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The day After : Come le previsioni di ieri si aggravano_di Cesare Semovigo

La Crisi sembra delinearsi .

The day After : Come le previsioni di ieri si aggravano 

La Crisi sembra delinearsi .

Di Cesare Semovigo 

WarrenBuffett continua a disinvestire nel mercato azionario, segnalando una crescente cautela in un contesto economico globale instabile. Nel terzo trimestre del 2025, la sua holding @BerkshireHath ha venduto azioni per un controvalore lordo di circa 12,5 miliardi di dollari, acquistandone solo 6,4 miliardi, risultando in un disinvestimento netto di 6,1 miliardi. 

Questo segna l’11° trimestre consecutivo di vendite nette, con un cumulativo di 177,4 miliardi di dollari dal 2022, un trend che riflette una strategia difensiva protratta nel tempo. 

Parallelamente, la liquidità detenuta da Berkshire Hathaway ha raggiunto un livello record di 381,7 miliardi di dollari al 30 settembre 2025, superando i precedenti picchi e testimoniando un accumulo prudente dettato da valutazioni di mercato considerate eccessivamente elevate, con indici come I’S&P 500 che sfiorano multipli P/ E storici superiori a 30 in settori tech e Al-driven. 

Questo approccio privilegia riserve liquide rispetto a investimenti azionari rischiosi, evitando esposizioni a bolle potenziali in un’era di volatilità amplificata da mega-trend come l’Al, il cambiamento climatico e le tensioni geopolitiche.

Tale strategia di Buffett si inserisce perfettamente in un quadro di politiche monetarie espansive da parte della @federalreserve, che nel 2025 ha continuato a immettere liquidità con ritmi intensi: solo negli ultimi mesi, iniezioni come i 125 miliardi di dollari in cinque giorni attraverso operazioni repo e standing facilities, o i 29,4 miliardi in un singolo overnight repo il 31 ottobre, hanno sostenuto il sistema bancario ma alimentato preoccupazioni su bolle speculative, con il bilancio Fed ancora a livelli elevati nonostante riduzioni marginali. Con tagli ai tassi di 0,25% all’ultima riunione di ottobre e piani per terminare la contrazione del balance sheet dal 1° dicembre, la Fed sta essenzialmente “stampando” moneta per prevenire credit crunch, ma questo rischia di gonfiare asset bubbles in equities e crypto, come visto con l’impatto su Bitcoin post-iniezioni e il calo dei reverse repo che segnala vulnerabilità sistemiche.

Questa prudenza si sposa con dinamiche emergenti nei mercati globali e settori sensibili, richiamando le mie analisi OSINT su @italiaeilmondo relative alle previsioni di “shutdown” governativi prolungati, come l’attuale shutdown federale USA iniziato il 1° ottobre 2025 e giunto al 35° giorno (il più lungo della storia, con 14 voti falliti al Senato per riaprire), che sta impattando servizi federali, dipendenti e budget statali, con rischi di credit crunch e instabilità economica. Similmente, le posizione short-term e tactical di BlackRock su asset considerati stabili – come il pivot verso investimenti a breve termine, alternative liquide e diversificazione anti-volatilità, con enfasi su mega-forze come Al e climate – indicano una stance cautelativa, prevedendo pullbacks near-term nonostante un outlook pro-risk per il 2025 e un focus su bets più corti amid shaky global foundations.

 L’incalzante stampa di moneta da parte delle banche centrali globali, inclusa la Fed, amplifica questi rischi sistemici, con liquidità che fluisce in asset gonfiati ma vulnerabili a correzioni.

Inoltre, questa instabilità si estende all’Eurozona, dove il problema è che alcuni paesi sono essenzialmente broke ma rifiutano di ammetterlo, mascherando fragilità debitorie sotto politiche di austerity selettiva e contributi minimi a sforzi collettivi. Prendiamo l’esempio dell’aiuto all’Ucraina: i tre paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) hanno contribuito complessivamente più di Italia in termini assoluti, nonostante il PIL italiano sia circa 13-15 volte maggiore (PIL Italia ~ 2.3T USD vs. Baltic combined~170B USD). Dati aggiornati al 2025 dal Kiel Institute mostrano Estonia al top con ~ 2.2-2.8% del PIL in aiuti bilaterali (circa 1-1.3B EUR), Lettonia

~1.5% (~0.7B EUR), Lituania ~ 1.8% (~1.4B EUR), per un totale combinato di

~3.4B EUR. Italia, al contrario, ha impegnato solo ~ 1.05-1.7B EUR totali (0.05-0.08% del PIL), riflettendo vincoli di debito elevato (~140% PIL) e riluttanza a spendere in contesti geopolitici. 

Questo squilibrio non è solo un’anomalia umanitaria, ma un segnale di disfunzionalità strutturale: paesi con debito alto come Italia priorizzano il contenimento fiscale, alimentando tensioni interne all’Eurozona e rischi di default sovrano o bail-in. La discussione sul debito Eurozona deve cambiare, passando da negazione a riforme reali come mutualizzazione selettiva o haircut, altrimenti amplificherà shock globali – pensate a come un “Italexit” o crisi bancaria italiana potrebbe triggerare una recessione EU, impattando supply chain e mercati USA, giustificando ulteriormente la strategia cash-heavy di Buffett.

L’accumulazione record di contanti da parte di Berkshire non è mero tatticismo, ma un indicatore quantitativo di prudenza investoriale contro scenari con rischi non trascurabili, come shutdown governativi prolungati (si pensi ai 35+ giorni di US shutdown nel 2025, con impatti su mandatory e discretionary funding), anomalie geofisiche influenzanti supply chain, bolle economiche con probabilità bayesiana di burst al 35% entro il 2027, o fragilità Eurozona come sopra. In questo senso, la posizione di Buffett rafforza l’esigenza di un approccio ibrido di valutazione, simile al mio metodo bayesiano sperimentale su @italiaeilmondo – che integra evidenze economiche (es. P/E ratios, debt-to-GDP), finanziarie (liquidity injections) e geopolitiche (aid disparities as proxies for fiscal health) con priors conservativi e 100K iterazioni Monte Carlo per prevedere discontinuità o correzioni profonde.

Per illustrare con l’Eurozona: consideriamo un modello bayesiano semplice per stimare la probabilità di una crisi debitoria EU (es. spread BTP-Bund

>400 bps o default parziale) entro il 2027, incorporando fattori come aid disparities (indicatori di riluttanza fiscale), debt levels e monetary divergence. Iniziamo con un prior conservativo Beta(3, 7), che implica una probabilità media iniziale di 0.3 (basata su crisi storiche EU dal 2010, con varianza per incertezza attuale). Aggiorniamo con evidenza: in 15 periodi osservati simili (es. anni con debt >120% GDP in major economies, low aid contributions relative to peers, e ECB tightening), si sono verificate 6 crisi (adattato da dati ECB/Eurostat).

 La posterior diventa Beta(9, 16), con media analitica 9/25 = 0.36. Per approssimare la distribuzione e ottenere intervalli credibili, usiamo Monte Carlo: campioniamo 100.000 valori dalla posterior Beta. Il risultato è una probabilità stimata di 0.360 (36%), con deviazione standard ~0.095 e intervallo credibile al 90% [0.215, 0.515].

Questo approccio – prior + likelihood bayesiana + sampling Monte Carlo – quantifica come disparità come quelle negli aiuti all’Ucraina (segnalando paesi “broke” in negazione) spostino la probabilità verso l’alto, integrando con rischi USA per un outlook globale cauto.

Investitori consapevoli: Diversificate, accumulate cash e usate OSINT bayesiano con Monte Carlo per navigare l’incertezza, specialmente in un’Eurozona fragile.

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Le rivoluzioni in Russia nel 1917: febbraio e ottobre_di Vladislav Sotirovic

Le rivoluzioni in Russia nel 1917: febbraio e ottobre

La Russia nella Grande Guerra

Entrambe le rivoluzioni del 1917 in Russia, la cosiddetta rivoluzione di febbraio e la cosiddetta rivoluzione di ottobre, ebbero luogo durante la prima guerra mondiale (la Grande Guerra), quando la Russia combatté contro le potenze centrali e i loro alleati come membro a pieno titolo delle potenze dell’Intesa insieme a Francia e Gran Bretagna e ai loro alleati (cioè membri associati), tra cui il Regno di Serbia, per il quale la Russia zarista entrò in guerra in modo altruistico e sacrificale, anche se nell’estate del 1914 non era sufficientemente preparata per la guerra contro le potenze centrali, soprattutto in termini puramente militari. Tuttavia, nell’agosto 1914, a San Pietroburgo, prevalsero ragioni morali e storico-culturali piuttosto che ragioni puramente militari e politiche, dato che la Russia, ovvero lo zar Nicola II, decise di difendere a tutti i costi l’indipendenza della Serbia contro l’imperialismo pangermanico e la politica di Berlino del Drang nach Osten (spinta verso est attraverso i Balcani fino a Bassora e al Golfo Persico).

Sebbene la Russia entrò con riluttanza nella Grande Guerra nel 1914, lo fece con grande entusiasmo e fiducia nella vittoria finale. Tuttavia, subito dopo i primi successi militari, divenne chiaro che l’esercito russo non era in grado di affrontare efficacemente l’esercito del Secondo Reich tedesco, che all’epoca era la forza militare terrestre più forte d’Europa. I primi giorni di entusiasmo bellico nell’esercito russo cominciarono a svanire dopo la pesante sconfitta di Tannenberg nell’estate del 1914, durante il primo mese dell’offensiva tedesca sul fronte orientale (la cosiddetta seconda battaglia di Tannenberg o Grünwald, 23-30 agosto 1914).

In Russia, a quel tempo, solo i bolscevichi si opposero risolutamente alla guerra e furono accusati dalle autorità della Russia zarista e dai patrioti russi di essere mercenari tedeschi. Pertanto, cinque deputati bolscevichi della Duma (il parlamento russo) furono esiliati in Siberia dalle autorità zariste. Il leader dei bolscevichi, Vladimir Ilyich Lenin (1870-1924), vide nella sconfitta militare della Russia l’unico e più sicuro modo per raggiungere gli obiettivi rivoluzionari dei bolscevichi, che lottavano con fervore per la distruzione della Russia zarista con ogni mezzo necessario.

Rivoluzione di febbraio/marzo

Man mano che la guerra si protraeva, divenne chiaro che più le ostilità duravano, meno il governo zarista russo era in grado di porre fine alla guerra a proprio favore. C’era anche la possibilità che il governo zarista firmasse una pace separata con le potenze centrali, dato che il fronte occidentale non si era mosso e che si stava combattendo una guerra di trincea stazionaria senza risultati significativi per entrambe le parti. In questo contesto, la Russia riteneva che gli alleati occidentali (Francia e Gran Bretagna con tutte le loro ricche colonie d’oltremare) non fossero pienamente disposti a sfondare il fronte occidentale, lasciando così la Russia in una posizione difficile sul fronte orientale. Qualcosa di simile accadde nella seconda guerra mondiale. Vale a dire, solo quando J. V. Stalin, dopo le vittoriose battaglie dell’Armata Rossa contro l’esercito tedesco nel 1943 (Stalingrado, Kursk), minacciò di avviare negoziati con i tedeschi con la possibilità di firmare una pace separata con Berlino, a meno che gli Alleati occidentali non avessero lanciato un’invasione terrestre della Germania, aprendo così il fronte occidentale. Questo stesso fronte, concordato alla Conferenza di Teheran nell’autunno del 1943, fu finalmente aperto il 6 giugno 1944 con lo sbarco degli Alleati in Normandia, Francia (D-Day).

Oltre a quanto sopra, l’operazione di Gallipoli del 1915 da parte dei membri occidentali dell’Intesa fallì e le potenze centrali invasero la Serbia nell’autunno dello stesso anno, creando in tal modo un collegamento diretto con l’Impero ottomano attraverso la Serbia e la Bulgaria. In ogni caso, il governo zarista fu spiacevolmente sorpreso dalla rivoluzione del marzo (febbraio, secondo il vecchio calendario) 1917, così come lo furono i suoi oppositori. Lo zar Nicola II (1868-1918), costretto ad abdicare il 15 marzo, fu rovesciato dal potere da contadini affamati, da un’aristocrazia disillusa e insoddisfatta e da un esercito ribelle. Il potere a San Pietroburgo fu trasferito a un governo provvisorio il cui compito era quello di governare il paese fino all’adozione di una nuova costituzione da parte dell’Assemblea costituente e, sulla base di essa, alla formazione di un governo legale. Il primo governo provvisorio non voleva far uscire la Russia dalla guerra e quindi aveva il sostegno degli Alleati occidentali, ma allo stesso tempo, d’altra parte, cadde perché non riuscì a porre fine alla guerra, che nel 1917 si stava svolgendo in modo sfavorevole per la Russia.

A quel tempo, la pace (cioè il ritiro della Russia dalla guerra) e la ridistribuzione della terra (cioè la riforma agraria) erano strettamente collegate. Va sottolineato che a quel tempo la Russia aveva pagato un prezzo enorme in termini di vittime umane a causa della sua impreparazione alla guerra e della sua incapacità di condurre una guerra moderna lunga ed estenuante, a differenza, ad esempio, della Germania. A metà del 1917, più di 15 milioni di persone erano state mobilitate in Russia. Circa 1,7 milioni di persone erano scomparse sul campo di battaglia, 4,9 milioni erano state ferite e 2,4 milioni erano state catturate. Da un lato, durante la guerra, la Russia era superiore all’Impero ottomano, alla Bulgaria e all’Austria-Ungheria, ma si rivelò una parte inferiore sul campo di battaglia principale contro il suo principale nemico, la Germania. Se la Russia si fosse ritirata dalla guerra a qualsiasi condizione, i soldati, cioè per lo più contadini in uniforme, avrebbero chiesto che venisse loro data più terra da coltivare. Se ai contadini fosse stata data la terra come parte della riforma agraria in tempo di guerra, i soldati-contadini avrebbero disertato per prendere la loro parte. Allo stesso tempo, il governo provvisorio russo dovette combattere contro nuove forme di governo: i soviet (consigli). I soviet più influenti e famosi si trovavano a Mosca e San Pietroburgo, ma altri sorsero in tutta la Russia dopo la Rivoluzione di marzo.

Le manifestazioni contro la guerra dell’aprile 1917 portarono alla caduta del primo governo provvisorio e alle dimissioni del ministro degli Esteri Milyukov (1859-1943). Tuttavia, la Russia continuò il suo sforzo bellico e i sovietici sostennero sempre più i bolscevichi, che erano favorevoli al ritiro della Russia dalla guerra, il che indubbiamente andava a vantaggio delle potenze centrali e in particolare della Germania. V. I. Lenin, che viveva all’estero dal 1900, tornò dalla Svizzera in un treno blindato con l’aiuto dei tedeschi in aprile e espose le sue richieste di una rivoluzione socialista e le sue opinioni sul socialismo nelle Tesi di aprile.

Chiedendo la pace e un graduale trasferimento del potere dal governo provvisorio ai soviet, i manifestanti nel giugno 1917 dimostrarono che, da un lato, l’influenza dei bolscevichi stava crescendo e, dall’altro, il sostegno al governo provvisorio stava rapidamente diminuendo. Nonostante il sostegno dei socialisti moderati (menscevichi e socialisti rivoluzionari), il governo provvisorio fu risolutamente osteggiato dai bolscevichi, guidati da Lenin. Dal 16 al 18 luglio 1917 a San Pietroburgo scoppiarono manifestazioni armate di operai e soldati, durante le quali i manifestanti chiesero che tutto il potere fosse trasferito ai soviet e tentarono di prendere il potere, ma il governo provvisorio represse questa ribellione. Il governo provvisorio accusò ufficialmente V. I. Lenin di essere un agente tedesco, di essere finanziato dalla Germania e di voler organizzare una rivoluzione per prendere il potere in modo illegittimo e poi concludere una pace separata con le potenze centrali a danno della Russia, facendo così uscire la Russia dalla guerra, il che avrebbe permesso alla Germania di trasferire tutti i suoi eserciti dall’est al fronte occidentale contro i francesi e gli inglesi, dando ai tedeschi un vantaggio militare cruciale sul fronte occidentale, che avrebbe probabilmente portato alla fine della guerra a favore della Germania.

Dopo il fallimento delle manifestazioni di luglio e un colpo di Stato di piazza a San Pietroburgo, Lenin fu costretto a fuggire in Finlandia (che all’epoca era di fatto separata dalla Russia), e Alexander Kerensky (1881-1970) divenne primo ministro il 22 luglio 1917 e tentò di ristabilire l’ordine nella capitale. Kerensky stesso ebbe un ruolo importante nell’attuazione delle politiche di tutti i governi provvisori della rivoluzione del 1917. Fu ministro nei primi due governi provvisori, primo ministro da luglio in poi e, dopo la repressione di una rivolta militare in settembre, divenne comandante in capo dell’esercito. Tuttavia, l’incapacità di Kerensky di risolvere i principali problemi del Paese aprì la strada a Lenin e ai suoi bolscevichi per prendere il potere nel novembre 1917 (Rivoluzione di ottobre/novembre). Lo stesso Kerenskij commise un errore fondamentale nel settembre 1917 che, più tardi, nel novembre dello stesso anno, facilitò ulteriormente il percorso dei bolscevichi verso il potere. Infatti, il generale L. G. Kornilov (1870-1918), comandante in capo del governo di Alexander Kerenskij, marciò con le sue truppe su San Pietroburgo nell’agosto 1917. Kerenskij percepì questa azione militare come un tentativo di colpo di Stato contro di lui e il governo provvisorio e, per opporsi ai golpisti, si rivolse ai bolscevichi di Lenin per ottenere assistenza armata. Questa manovra politica indicava chiaramente che Kerenskij non era in grado di superare i problemi e le sfide cruciali del momento con il solo governo provvisorio, e che doveva persino fare affidamento sui bolscevichi, che riuscirono a sfruttare questa manovra poco dopo per i loro obiettivi politici nella Rivoluzione d’Ottobre.

Rivoluzione di ottobre/novembre

V. I. Lenin tornò segretamente dalla Finlandia (così come dalla Svizzera in aprile) il 7 novembre1917 (25 ottobre secondo il calendario giuliano) a San Pietroburgo, dove organizzò una rivolta armata in cui i soldati e gli operai ribelli sotto la guida dei bolscevichi rovesciarono il governo Kerenskij e compirono un cambiamento rivoluzionario del potere e, come si scoprì in seguito, un cambiamento dell’intero sistema socio-politico dopo la guerra civile che seguì. Il Palazzo d’Inverno dello zar fu conquistato dai bolscevichi il 7 novembre, quasi senza spargimento di sangue, mentre A. Kerensky fuggiva e gli altri membri del governo provvisorio venivano arrestati. Ora i bolscevichi dovevano combattere per consolidare il loro potere contro i reazionari filo-zaristi (“bianchi”) e gli eserciti invasori occidentali. Durante la guerra civile che seguì tra i “rossi” e i “bianchi”, i bolscevichi riuscirono a usare la propaganda per presentarsi come combattenti per la salvaguardia dell’indipendenza e dell’integrità della Russia contro gli occupanti stranieri (occidentali) (gli americani, ad esempio, avevano occupato Vladivostok nell’agosto 1918 e l’area circostante fu mantenuta fino alla primavera del 1920, ecc.

Durante la Rivoluzione di ottobre/novembre, i lavoratori speravano che la nuova Russia sarebbe stata governata dai soviet, ma il corso degli eventi prese molto rapidamente una direzione diversa. Va notato che i contadini non parteciparono alla rivoluzione, né Lenin fece alcun tentativo cruciale durante la rivoluzione a San Pietroburgo per animare i contadini e attirarli dalla parte dei bolscevichi. La rivoluzione era marxista, e i contadini non erano visti di buon occhio dal marxismo, dato che tutta l’attenzione era concentrata sulla classe operaia (urbana-industriale) dei produttori. In molti casi i contadini erano addirittura etichettati come un elemento conservatore-reazionario. Tuttavia, il problema fondamentale dei contadini era che costituivano la stragrande maggioranza della popolazione russa, ben l’80%, e senza di loro la vittoria nella guerra civile era praticamente impossibile.

A causa della base rivoluzionaria-politica molto limitata, dato che nel novembre 1917 c’erano poco meno di 300.000 bolscevichi in tutta la Russia, Lenin e i suoi compagni dovettero affrontare una forte opposizione su tutti i fronti. Al fine di espandere la base rivoluzionaria subito dopo la rivoluzione a San Pietroburgo, quando i risultati della rivoluzione dovevano essere difesi sotto la minaccia di una grave guerra civile, Lenin promise alle grandi masse popolari due cose:

1) la pace (cioè l’uscita della Russia dalla guerra in condizioni estremamente sfavorevoli dal punto di vista degli interessi nazionali) e

2) la distribuzione della terra ai contadini, che all’epoca costituivano l’80% della popolazione (cioè una riforma agraria che allo stesso tempo avrebbe provocato una contro-reazione di opposizione da parte dell’aristocrazia e dei grandi proprietari terrieri ai quali sarebbe stata confiscata la terra per distribuirla ai contadini).

I bolscevichi, per ragioni puramente politiche e non ideologiche, attuò una riforma agraria, cioè una nuova politica fondiaria, che adottò dai socialisti rivoluzionari, dato che la rivoluzione doveva essere difesa a tutti i costi. Naturalmente, sulla base dei principi del programma marxista, la terra fu nazionalizzata e collettivizzata (aziende agricole statali e collettive) poco dopo il successo della rivoluzione difensiva durante la guerra civile, cosicché alla fine i contadini furono ingannati. Tuttavia, nell’anno rivoluzionario del 1917 e negli anni successivi della guerra civile, i contadini consideravano la terra acquisita come propria.

Durante la guerra civile russa (1918-1920), il grano e alcuni altri prodotti alimentari furono requisiti con la forza dalle autorità bolsceviche per sfamare i soldati dell’Armata Rossa al fronte e la popolazione urbana nelle retrovie. Tuttavia, in risposta a questa politica, i contadini cominciarono a seminare meno grano, il che portò alla carestia e alle malattie. Alla fine, lo stesso Lenin fu costretto a cedere e, subito dopo la guerra civile, nel 1921, introdusse la NEP (Nuova Politica Economica), che favoriva i contadini, poiché si basava in parte sull’economia di mercato. L’obiettivo politico di questa politica economica, almeno per un certo periodo, era quello di non mettere i contadini contro la nuova Russia sovietica, che il 30 dicembre 1922 divenne l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, l’URSS.

Durante la rivoluzione bolscevica e la guerra civile (1917-1920), c’erano sostenitori di una guerra rivoluzionaria per accelerare lo sviluppo del socialismo su basi marxiste in Europa. Ciò significava in particolare esportare la rivoluzione bolscevica oltre i confini della Russia sovietica. Lenin stesso voleva prima consolidare il potere rivoluzionario bolscevico in Russia e quindi sosteneva la firma di una pace separata con le potenze centrali che avrebbe portato la Russia fuori dalla guerra e facilitato la posizione dei bolscevichi nella lotta contro la reazione zarista “bianca”. In quel periodo rivoluzionario, alcuni bolscevichi sostenevano l’abolizione del denaro, che doveva essere distrutto, e l’introduzione immediata di un’economia socialista, mentre i contadini volevano che il nuovo governo li lasciasse in pace e li lasciasse tenere le terre appena acquisite nell’ambito della riforma agraria. Tuttavia, la resistenza più feroce al governo bolscevico fu opposta dai sostenitori del sistema zarista, noti come “Guardie Bianche”.

Il trattato di Brest-Litovsk del 1918

Con la firma di una pace separata a Brest-Litovsk il 3 marzo 1918 con le potenze centrali (Germania, Austria-Ungheria, Bulgaria e Impero ottomano), V. I. Lenin pose fine alla guerra con il principale nemico della Russia, la Germania, ma il prezzo della pace era troppo alto per la Russia. Dopo la vittoria della Rivoluzione bolscevica dell’ottobre/novembre 1917, il governo sovietico adottò immediatamente misure diplomatiche per garantire che la Russia sovietica si ritirasse dalla Grande Guerra e creare così condizioni favorevoli al consolidamento del nuovo governo bolscevico e alla ricostruzione economica del Paese. L’8 novembre 1917, il governo emanò il Decreto sulla pace, in cui si rivolgeva a tutte le parti in guerra con un appello a concludere una pace generale senza annessioni e contributi, sul principio dello status quo ante bellum. In questo modo, la mappa geopolitica dell’Europa non sarebbe cambiata, cioè sarebbe rimasta la stessa di prima della guerra. Questa proposta di pace era del tutto adeguata alla Russia, dato che a quel tempo i territori baltici della Russia a ovest erano già occupati dalla Germania e, se la guerra fosse continuata, c’era il pericolo reale che le potenze centrali occupassero presto la Bielorussia e l’Ucraina.

Le potenze dell’Intesa respinsero la proposta di Lenin e offrirono alla Russia sovietica fondi e assistenza per prolungare la guerra, considerando che il ritiro della Russia dalla guerra avrebbe dato un grande vantaggio alle potenze centrali, anche se gli Stati Uniti erano entrati in guerra nell’aprile 1917. Tuttavia, Lenin respinse risolutamente questa proposta dell’Intesa, sostenendo che l’ulteriore partecipazione della Russia alla guerra l’avrebbe trasformata in un agente dell’imperialismo anglo-francese. Tuttavia, le cose andarono più facilmente con le potenze centrali, perché la Germania era essenzialmente interessata al ritiro della Russia dalla guerra. Così, la Russia sovietica firmò un armistizio con le potenze centrali il 15 dicembre 1917 a Brest-Litovsk e il 22 dicembre iniziarono i negoziati finali per la firma di un trattato di pace separato tra le potenze centrali e la Russia sovietica. A quel punto, la Russia aveva perso un vasto territorio a ovest, dall’Estonia al Mar Nero, e le truppe tedesche avevano sfondato sul fiume Dnieper. Kiev fu occupata all’inizio di gennaio del 1918. Il 18 gennaio 1918, una delegazione delle potenze centrali chiese alla Russia di rinunciare a tutti i territori occupati a ovest come condizione per la firma della pace. Contemporaneamente a questi negoziati, il governo controrivoluzionario ucraino, protetto dalla Germania, avviò dei negoziati e il 9 febbraio 1918 concluse una pace separata con le potenze centrali, che ora chiedevano in modo intransigente e con un ultimatum che Mosca accettasse i termini dettati per la pace. Il capo della delegazione negoziale della Russia sovietica, Leon Trotsky (vero nome Lev Davidovich Bronstein, 1879-1940), contrariamente alle istruzioni di Lenin, interruppe i negoziati il 10 febbraio con una dichiarazione di rifiuto di firmare il trattato di pace, annunciò la fine della guerra e la smobilitazione dell’esercito russo.

L’esercito tedesco decise di approfittare della nuova situazione sul fronte orientale e il 18 febbraio 1918 lanciò un’offensiva lungo l’intera linea del fronte. Il governo sovietico dovette quindi richiedere la ripresa dei negoziati e la pace fu finalmente firmata il 3 marzo, ma a condizioni ancora più difficili di quelle rifiutate da Trotsky. In particolare, con il trattato di Brest-Litovsk, la Russia sovietica rinunciò alla Polonia, alla Lituania e alla Curlandia (le regioni occidentali della Livonia/Lettonia) e riconobbe l’indipendenza dell’Ucraina, dell’Estonia, della Livonia/Lettonia e della Finlandia. Queste aree dovevano essere evacuate immediatamente. La Russia dovette cedere Ardahan, Kars e Batumi all’Impero ottomano. Le truppe tedesche e austro-ungariche occuparono anche parte del territorio russo oltre il confine stabilito dal trattato di pace (insieme all’Ucraina) fino a Rostov sul Don a sud e Narva a nord. Il trattato di Brest-Litovsk ebbe vita breve, poiché la Germania capitolò l’11 novembre e il governo sovietico annullò il trattato due giorni dopo. Tuttavia, la firma di questo trattato diede inizio alla guerra civile russa, poiché i bolscevichi furono dichiarati traditori e agenti tedeschi dai reazionari zaristi.

La guerra civile russa, che durò dal 1918 alla fine del 1920, divise il paese tra i sostenitori della rivoluzione bolscevica e del loro governo e i loro oppositori, che sostenevano l’ex regime zarista. Dopo la firma del trattato di Brest-Litovsk, le forze dell’Intesa entrarono in Russia per impedire ai tedeschi di occupare i centri chiave. Dopo la capitolazione tedesca nel novembre 1918, le truppe alleate rimasero in Russia per aiutare i Bianchi a combattere il peso della guerra civile. Lenin sfruttò questa situazione a fini propagandistici per presentare il governo sovietico come combattente contro l’occupazione straniera e per l’indipendenza russa. I bolscevichi, che avevano sciolto l’esercito zarista, dato la terra ai contadini e chiesto una pace separata, dovettero creare rapidamente una nuova forza militare per opporsi ai Bianchi e agli Alleati. Fu così che nacque l’Armata Rossa bolscevica, di cui Trotsky fu il principale artefice. I soldati dell’Armata Rossa dovettero combattere contro i “Verdi” (anarchici), i polacchi e i dissidenti in tutta la Russia, da San Pietroburgo a Vladivostok. Nell’Estremo Oriente russo combatterono contro le invasioni americane e giapponesi. Durante la guerra civile russa, il 17 luglio 1918 i bolscevichi giustiziarono tutti i membri della dinastia zarista dei Romanov per motivi politici e di sicurezza. Alla fine della guerra civile, i bolscevichi con la loro Armata Rossa vinsero.

La nuova Russia sovietica post-rivoluzionaria

Dopo il trattato di Brest-Litovsk e la fine della guerra civile, la Russia sovietica bolscevica dovette accontentarsi di un territorio più piccolo rispetto al vecchio Impero russo. Le zone di confine a ovest – Finlandia, Estonia, Livonia/Lettonia, Lituania, parti della Bielorussia e dell’Ucraina, Polonia e Bessarabia/Moldavia – furono perse, almeno per un certo periodo. Tuttavia, nelle tre repubbliche indipendenti della Transcaucasia – Georgia, Armenia e Azerbaigian – la strada verso il potere era aperta per i bolscevichi dopo l’evacuazione degli inglesi dalla Transcaucasia nel dicembre 1919. Grazie all’intervento dell’Armata Rossa, la Transcaucasia tornò ai confini della Russia nell’aprile 1921.

Il primo grande problema che il nuovo governo sovietico dovette affrontare dopo la vittoria nella guerra civile fu la carestia che imperversò durante l’inverno del 1921/1922 e causò circa 5 milioni di vittime. Fu anche la ragione principale del crollo dell’economia russa nel 1921. Alla fine del 1920, le Guardie Bianche furono completamente sconfitte e gli Alleati si ritirarono dalla Russia. I sette anni di guerra dal 1914 alla fine del 1920 portarono la Russia in uno stato di vero caos. L’insoddisfazione della popolazione era causata dall’inflazione, dalla carenza di cibo e combustibile, ma anche dalle misure autocratiche sempre più severe delle nuove autorità sovietiche, introdotte per superare le minacce interne ed esterne che incombevano sul giovane Stato sovietico. Nel 1921 Lenin introdusse la Nuova Politica Economica (NEP) per incoraggiare la ripresa economica ma anche per placare i contadini, consentendo così un’economia di mercato limitata e una produzione più libera. Il periodo della NEP fu anche un periodo di significativa libertà, che si espresse anche nelle arti.

Il problema della successione di Lenin rimaneva. Lenin stesso preferiva Trotsky come suo successore, ma alla fine Joseph Stalin (1879-1953) si rivelò il politico più capace di prendere il potere dopo la morte di Lenin nel 1924, in seguito a una malattia nel 1922. Fu quindi formato un triumvirato per governare il paese: Zinoviev (1883-1936), Kamenev (1883-1936) e Stalin. Lenin non si fidava di Stalin, il cui principale rivale per il potere era Trotsky. Grazie ad abili manovre politiche e al controllo dell’apparato del partito, Stalin riuscì ad eliminare Trotsky, ad assumere la guida sia del partito che dello Stato e infine a instaurare una dittatura personale e un culto della personalità. La seconda metà degli anni ’30 fu il periodo delle purghe politiche di Stalin, quando la Rivoluzione di ottobre/novembre divorò i suoi figli, tranne Stalin.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex professore universitario

Ricercatore presso il Centro di studi geostrategici

Belgrado, Serbia

© Vladislav B. Sotirovic 2025

www.geostrategy.rs

sotirovic1967@gmail.com

Le rivoluzioni in Russia nel 1917: febbraio e ottobre

Revolutions in Russia in 1917: February and October

Russia in the Great War

Both revolutions of 1917 in Russia, the so-called February and the so-called October, took place during World War I (the Great War) when Russia fought against the Central Powers and their allies as a full member of the Entente powers together with France and Great Britain and their allies (i.e. associated members), including the Kingdom of Serbia, for which Tsarist Russia selflessly and self-sacrificing entered the war, even though in the summer of 1914 it was not sufficiently prepared for war against the Central Powers, especially in terms of purely military parameters. However, in August 1914, in St. Petersburg, moral and cultural-historical reasons prevailed rather than purely military-political ones, given that Russia, i.e., its Tsar Nicholas II, decided to defend Serbia’s independence at all costs against Pan-German imperialism and Berlin’s policy of Drang nach Osten (driving through the Balkans to Basra and the Persian Gulf).

Although Russia reluctantly entered the Great War in 1914, it entered it with great enthusiasm and faith in a final victory. However, soon after the initial military successes, it became clear that the Russian army was unable to effectively confront the army of the Second German Reich, which was then the strongest military land force in Europe. The first days of war enthusiasm in the Russian army began to disappear after the heavy defeat at Tannenberg in the summer of 1914, during the first month of the German offensive on the Eastern Front (the so-called Second Battle of Tannenberg or Grünwald, August 23rd–30th, 1914).

In Russia at that time, only the Bolsheviks resolutely opposed the war, and they were accused by the authorities of Tsarist Russia and Russian patriots of being German mercenaries. Therefore, five Bolshevik deputies in the Duma (Russian parliament) were exiled to Siberia by the Tsarist authorities. The leader of the Bolsheviks, Vladimir Ilyich Lenin (1870‒1924), saw in the military defeat of Russia the only and surest way to achieve the revolutionary goals of the Bolsheviks, who were fighting fervently for the destruction of Tsarist Russia by any means necessary.

February/March Revolution

It became clear as the war dragged on that the longer the hostilities lasted, the less capable the Tsarist Russian government was of bringing the war to an end in its favor. There was also the possibility that the Tsarist government would sign a separate peace with the Central Powers, given that the Western Front had not moved and that a stationary trench war was being waged without any major results for either side. In this context, Russia believed that the Western Allies (France and Britain with all their rich overseas colonies) were not fully willing to break through the Western Front, thus leaving Russia in a difficult position on the Eastern Front. Something similar happened in World War II. Namely, only when J. V. Stalin, after the successful battles of the Red Army against the German army in 1943 (Stalingrad, Kursk), threatened to begin negotiations with the Germans with the possibility of signing a separate peace with Berlin unless the Western Allies launched a ground invasion of Germany, thus opening the Western Front. This same front, agreed upon at the Tehran Conference in the fall of 1943, was finally opened on June 6th, 1944, with the Allied landings in Normandy, France (D-Day).

In addition to the above, the Gallipoli Operation of 1915 by the Western members of the Entente failed, and the Central Powers overran Serbia in the autumn of that year making at such a way a direct connection with the Ottoman Empire via Serbia and Bulgaria. In any case, the Tsarist government was unpleasantly surprised by the revolution in March (February, according to the old calendar) 1917, as were its opponents. Tsar Nicholas II (1868–1918), who was forced to abdicate on March 15th, was overthrown from power by hungry peasants, a disillusioned and dissatisfied aristocracy, and a rebel army. Power in St. Petersburg was transferred to a provisional government whose task was to govern the country until a new constitution could be adopted by the Constituent Assembly, and based on it, a legal government would be formed. The first provisional government did not want to take Russia out of the war and therefore had the support of the Western Allies, but at the same time, on the other hand, it fell because it failed to end the war, which in 1917 was unfolding unfavorably for Russia.

At that time, peace (i.e., Russia’s withdrawal from the war) and land redistribution (i.e., agrarian reform) were in the closest connection. It must be emphasized that by that time, Russia had paid a huge price in human casualties due to its unpreparedness for war and its inability to wage a long and exhausting modern war, unlike, for example, Germany. By mid-1917, more than 15 million people had been mobilized in Russia. About 1.7 million people had disappeared on the battlefield, 4.9 million were wounded, and 2.4 million were captured. On the one hand, during the war, Russia was superior to the Ottoman Empire, Bulgaria, and Austria-Hungary, but it proved to be an inferior side on the main battlefield against its main enemy, Germany. If Russia had withdrawn from the war under any conditions, the soldiers, i.e., mostly peasants in uniform, would demand that they be given more land to cultivate. If peasants were given land as part of the wartime agrarian reform, the soldier-peasants would desert to take their share. At the same time, the Russian provisional government had to fight against new forms of governing – ​​the soviets (councils). The most influential and famous soviets were located in Moscow and St. Petersburg, but others sprang up throughout Russia after the March Revolution.

The April 1917 demonstrations against the war led to the fall of the first provisional government and the resignation of Foreign Minister Milyukov (1859–1943). However, Russia continued its war effort, and the soviets increasingly supported the Bolsheviks, who were in favor of Russia’s withdrawal from the war, which undoubtedly suited the Central Powers and especially Germany. V. I. Lenin, who had lived abroad since 1900, returned from Switzerland in an armored train with the help of the Germans in April and set out his demands for a socialist revolution and his views on socialism in the April Theses.

Demanding peace and a gradual transfer of power from the provisional government to the soviets, the demonstrators in June 1917 showed that, on the one hand, the influence of the Bolsheviks was growing, and on the other hand, support for the provisional government was rapidly declining. Despite the support of moderate socialists (Mensheviks and social revolutionaries), the provisional government was resolutely opposed by the Bolsheviks, led by Lenin. Armed demonstrations of workers and soldiers broke out in St. Petersburg on July 16th‒18th, 1917, when the demonstrators demanded all power from the soviets and tried to seize power, but the provisional government suppressed this rebellion. The provisional government officially accused V. I. Lenin of being a German agent, of being financed by Germany, and of aiming to stage a revolution in order to seize power illegitimately and then conclude a separate peace with the Central Powers to the detriment of Russia, thus taking Russia out of the war, which would allow Germany to transfer all of its armies in the east to the Western Front against the French and British, which would give the Germans a crucial military advantage on the Western Front, which would likely lead to the end of the war in Germany’s favor.

After the failed July demonstrations and a street coup in St. Petersburg, Lenin was forced to flee to Finland (which was then effectively separated from Russia), and Alexander Kerensky (1881–1970) became Prime Minister on July 22nd, 1917, and attempted to restore order in the capital. Kerensky himself played an important role in implementing the policies of all the provisional governments of the revolutionary 1917. He was a minister in the first two provisional governments, Prime Minister from July onwards, and after the suppression of a military uprising in September, he became Commander-in-Chief of the Army. However, Kerensky’s failure to resolve the country’s major problems paved the way for Lenin and his Bolsheviks to seize power in November 1917 (October/November Revolution). Kerensky himself made a cardinal mistake in September 1917 that, later in November, further facilitated the Bolsheviks’ path to power. Namely, General L. G. Kornilov (1870–1918), commander-in-chief in the government of Alexander Kerensky, marched with his troops on St. Petersburg in August 1917. Kerensky actually perceived this military action as an attempted coup against him and the Provisional Government, and in order to oppose the putschists, he turned to Lenin’s Bolsheviks for armed assistance. This political maneuver clearly indicated that Kerensky was unable to overcome the crucial problems and challenges at the given moment with the Provisional Government alone, and he even had to rely on the Bolsheviks, who were able to exploit this maneuver somewhat later for their political goals in the October Revolution.

October/November Revolution

V. I. Lenin secretly returned from Finland (as well as from Switzerland in April) on November 7th, 1917 (October 25th according to the Julian calendar) to St. Petersburg, where he organized an armed uprising in which the rebel soldiers and workers under the leadership of the Bolsheviks overthrew the Kerensky government and carried out a revolutionary change of power and, as it later turned out, a change of the entire socio-political system after the civil war that followed. The Tsar’s Winter Palace was captured by the Bolsheviks on November 7th, almost bloodlessly, while A. Kerensky fled, and the other members of the Provisional Government were arrested. Now the Bolsheviks were left to fight to consolidate their power against the pro-tsarist reactionaries (“Whites”) and the Western invading armies. During the ensuing civil war between the “Reds” and “Whites”, the Bolsheviks managed to use propaganda to present themselves as fighters for preserving the independence and integrity of Russia against the foreign (Western) occupiers (the Americans, for example, had occupied Vladivostok in August 1918 and the area around was kept till spring 1920, etc.).

During the October/November Revolution, the workers hoped that the new Russia would be ruled by the soviets, but the course of events very quickly took a different course. It should be noted that the peasantry did not participate in the revolution, nor did Lenin make any crucial attempts during the revolution in St. Petersburg to animate the peasants and attract them to the side of the Bolsheviks. The revolution was Marxist, and the peasantry was not viewed very favorably in Marxism, given that all attention was focused on the working (urban-industrial) class of producers. The peasantry was even labeled in many cases as a conservative-reactionary element. However, the basic problem with the peasantry was that the peasants constituted the overwhelming majority of the population of Russia, as much as 80%, and without them, victory in the civil war was practically impossible.

Due to the very limited revolutionary-political base, given that in November 1917 there were slightly less than 300,000 Bolsheviks in all of Russia, Lenin and his comrades faced great opposition on all fronts. In order to expand the revolutionary base immediately after the revolution in St. Petersburg, when the achievements of the revolution had to be defended under the threat of a severe civil war, Lenin promised the broad masses of the people two things:

1) Peace (i.e., Russia’s exit from the war under extremely unfavorable conditions from the point of view of national interests), and

2) The distribution of land to the peasants, who at that time constituted 80% of the population (i.e., an agrarian reform that at the same time would provoke an oppositional counter-reaction of the aristocracy and large landowners from whom the land was to be confiscated for distribution to the peasants).

The Bolsheviks, for purely political reasons, but not ideological ones, implemented an agrarian reform, i.e., a new land policy, which they adopted from the social revolutionaries, given that the revolution had to be defended at all costs. Of course, based on Marxist program principles, the land was nationalized and collectivized (state farms and collective farms) shortly after the successful defense revolution during the civil war, so that in the end, the peasants were cheated. However, in the revolutionary year of 1917 and in the following years of the civil war, the peasants considered the acquired land their own.

During the Russian Civil War (1918‒1920), grain and some other food products were forcibly requisitioned by the Bolshevik authorities in order to feed the Red Army soldiers at the military front and the urban population in the background. However, in response to this policy, the peasants began to sow less grain, which led to famine and disease. Finally, Lenin himself was forced to give in, and immediately after the Civil War, in 1921, he introduced the NEP – the New Economic Policy, which was in favor of the peasants, since it was based partly on a market economy. The political goal of this economic policy, at least for a while, was not to turn the peasants against the new Soviet Russia, which on December 30th, 1922, became the Union of Soviet Socialist Republics – the USSR.

During the Bolshevik Revolution and the Civil War (1917–1920), there were supporters of a revolutionary war in order to accelerate the development of socialism on Marxist foundations in Europe. This specifically meant exporting the Bolshevik revolution beyond the borders of Soviet Russia. Lenin himself wanted to first consolidate Bolshevik revolutionary power in Russia and therefore advocated signing a separate peace with the Central Powers that would take Russia out of the war and make the Bolsheviks’ position easier in the fight against the “white” tsarist reaction. At that revolutionary time, some Bolsheviks advocated the abolition of money, which should be destroyed, as well as the overnight introduction of a socialist economy, while the peasants wanted the new government to leave them alone and their newly acquired land within the framework of agrarian reform. However, the fiercest resistance to the Bolshevik government was provided by supporters of the tsarist system known as the “White Guards”.

The Treaty of Brest-Litovsk in 1918

By signing a separate peace in Brest-Litovsk on March 3rd, 1918, with the Central Powers (Germany, Austria-Hungary, Bulgaria, and the Ottoman Empire), V. I. Lenin ended the war with Russia’s main enemy, Germany, but the price of peace was too high for Russia. After the victory of the October/November Bolshevik Revolution in 1917, the Soviet government immediately took diplomatic measures to ensure that Soviet Russia would withdraw from the Great War and thus create favorable conditions for the consolidation of the new Bolshevik government and the economic reconstruction of the country. On November 8th, 1917, the government issued the Decree on Peace, in which it addressed all warring parties with an appeal to conclude a general peace without annexations and contributions on the principle of status quo ante bellum. Thus, the geopolitical map of Europe would not change, i.e., it would remain the same as before the war. This peace proposal was entirely suitable for Russia, given that at that time the Baltic territories of Russia in the west were already occupied by Germany, and if the war were to continue, there was a real danger that the Central Powers would soon occupy Belarus and Ukraine.

The Entente powers rejected Lenin’s proposal and offered Soviet Russia funds and assistance to prolong the war, considering that Russia’s withdrawal from the war would give a great advantage to the Central Powers, even though the United States had entered the war in April 1917. However, Lenin resolutely rejected this Entente proposal, arguing that Russia’s further participation in the war would turn it into an agent of Anglo-French imperialism. However, things went more easily with the Central Powers, because Germany was essentially interested in Russia’s withdrawal from the war. Thus, Soviet Russia signed an armistice with the Central Powers on December 15th, 1917, in Brest-Litovsk, and on December 22nd, final negotiations began for the signing of a separate peace treaty between the Central Powers and Soviet Russia. By then, Russia had lost a huge territory in the west from Estonia to the Black Sea, and German troops had broken out on the Dnieper River. Kiev was occupied in early January 1918. On January 18th, 1918, a delegation of the Central Powers demanded that Russia renounce all occupied territories in the west as a condition for signing a peace. Simultaneously with these negotiations, the Ukrainian counter-revolutionary government, which was patronized by Germany, began negotiations and on February 9th, 1918, concluded a separate peace with the Central Powers, which now uncompromisingly and ultimatum-wise demanded that Moscow accept the dictated terms for peace. The head of the negotiating team of Soviet Russia, Leon Trotsky (real name Lev Davidovich Bronstein, 1879–1940), contrary to Lenin’s instructions, broke off the negotiations on February 10th, with a declaration of refusal to sign the peace treaty, announced the end of the war, and the demobilization of the Russian army.

The German army decided to take advantage of the new situation on the Eastern Front, and on February 18th, 1918, the Germans launched an offensive along the entire front line. The Soviet government, therefore, had to request the renewal of negotiations, and peace was finally signed on March 3rd, but now under even more difficult conditions than those rejected by Trotsky. Specifically, with the Treaty of Brest-Litovsk, Soviet Russia renounced Poland, Lithuania, and Courland (the western regions of Livland/Latvia), and recognized the independence of Ukraine, Estonia, Livland/Latvia, and Finland. These areas had to be evacuated immediately. Russia had to hand over Ardahan, Kars, and Batumi to the Ottoman Empire. German and Austro-Hungarian troops also occupied part of Russian territory beyond the border stipulated by the peace treaty (along with Ukraine) as far as Rostov-on-Don in the south and Narva in the north. The Treaty of Brest-Litovsk was short-lived, as Germany capitulated on November 11th, and the Soviet government annulled the treaty two days later. However, the signing of this treaty initiated the Russian Civil War, as the Bolsheviks were declared traitors and German agents by the tsarist reactionaries.

The Russian Civil War, which lasted from 1918 to the end of 1920, divided the country into supporters of the Bolshevik revolution and their government and their opponents, who supported the former tsarist regime. After the signing of the Treaty of Brest-Litovsk, the Entente forces entered Russia to prevent the Germans from occupying key centers. After the German capitulation in November 1918, Allied troops remained in Russia to help the Whites fight the burden of the civil war. Lenin used this for propaganda purposes to present the Soviet government as fighting against foreign occupation and for Russian independence. The Bolsheviks, who had disbanded the tsarist army, given land to the peasants, and demanded a separate peace, had to quickly create their new military force to oppose the Whites and the Allies. Thus was created the Bolshevik Red Army, for which Trotsky was the most deserving. The Red Army soldiers had to fight with the “Greens” (anarchists), Poles, and dissidents throughout Russia from St. Petersburg to Vladivostok. In the Russian Far East, they fought against the American and Japanese invasions. During the Russian Civil War, the Bolsheviks on July 17th, 1918 executed all members of the Romanov tsarist dynasty for political and security reasons. At the end of the civil war, the Bolsheviks with their Red Army won.

The New Post-Revolutionary Soviet Russia

After the Treaty of Brest-Litovsk and the end of the Civil War, Bolshevik Soviet Russia had to be satisfied with a smaller territory than the old Russian Empire. The borderlands in the west – Finland, Estonia, Livland/Latvia, Lithuania, parts of Belarus and Ukraine, Poland, and Bessarabia/Moldova – were lost, at least for a time. However, in the three independent Transcaucasian republics – Georgia, Armenia, and Azerbaijan – the path to power was open for the Bolsheviks after the evacuation of the British from Transcaucasia in December 1919. Thanks to the intervention of the Red Army, Transcaucasia returned to the borders of Russia in April 1921.

The first major problem that the new Soviet government had to face after the victory in the civil war was the famine that raged during the winter of 1921/1922 and claimed about 5 million lives. It was also the main reason for the collapse of the Russian economy in 1921. By the end of 1920, the White Guards were completely defeated, and the Allies withdrew from Russia. The seven years of war from 1914 to the end of 1920 brought Russia into a state of true chaos. The people’s dissatisfaction was caused by inflation, food and fuel shortages, but also by the increasingly harsh autocratic measures of the new Soviet authorities, which were introduced to overcome the internal and external threats that threatened the young Soviet state. In 1921, Lenin introduced the New Economic Policy (NEP) to encourage economic recovery but also to appease the peasants, thus allowing a limited market economy and freer production. The NEP period was also a period of significant freedom, which was also expressed in the arts.

The problem of the succession of Lenin remained. Lenin himself favored Trotsky as his successor, but in the end, Joseph Stalin (1879–1953) proved to be the most capable politician to seize power after Lenin’s death in 1924, following an illness in 1922. A triumvirate was then formed to rule the country: Zinoviev (1883–1936), Kamenev (1883–1936), and Stalin. Lenin did not trust Stalin, whose main rival for power was Trotsky. Through skillful political maneuvering and control of the party machinery, Stalin managed to eliminate Trotsky, take over leadership of both the party and the state, and finally establish a personal dictatorship and a cult of personality. The period of the second half of the 1930s was the time of Stalin’s political purges when the October/November Revolution ate its children except Stalin.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex-University Professor

Research Fellow at Centre for Geostrategic Studies

Belgrade, Serbia

© Vladislav B. Sotirovic 2025

www.geostrategy.rs

sotirovic1967@gmail.com

Afrocentrismo e decolonialismo o la storia della rivincita_di Bernard Lugan

https://bernardlugan.blogspot.com/

Se i numerosi conflitti africani odierni sono spesso la riattivazione di quelli precedenti alla colonizzazione, il loro aggravarsi deriva invece dal tracciato dei confini coloniali accettati durante il periodo postcoloniale dagli Stati indipendenti. Il principio della loro intangibilità risale infatti al 21 luglio 1964, quindi dopo l’indipendenza, data a partire dalla quale ha costituito uno dei fondamenti dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA), l’antenata dell’Unione Africana (UA). Fu proprio in quel giorno, durante la seconda Conferenza dei Capi di Stato e di Governo dell’OUA, riunita al Cairo, in Egitto, che fu sancito questo principio cristallino, con gli Stati membri che si impegnarono a rispettare i confini esistenti al momento dell’indipendenza. Mentre nel 1961, quindi prima dell’indipendenza, il GPRA (Governo provvisorio della Repubblica algerina) aveva aderito al “Gruppo detto di Casablanca” che era favorevole, caso per caso, alla ridefinizione dei confini dei nuovi Stati, l’Algeria dopo il 1962 si schierò invece a favore dello status quo coloniale. La posizione dell’Algeria era comprensibile, poiché aveva beneficiato in modo eccessivo delle “generosità” territoriali concesse dal suo ex colonizzatore, ovvero tutto il Marocco orientale (Tindouf, Béchar, il Gourara, il Tndikelt, la Saoura, Tabelbala), nonché una parte della Tunisia e della Libia, per non parlare del nord dell’ex AOF, il “faro” dell’anticolonialismo che era l’Algeria difese quindi “con le unghie e con i denti” l’eredità territoriale coloniale che l’aveva fatta nascere… Tuttavia, il principio dell’intangibilità dei confini presenta quattro difetti principali: 1) Conferma le amputazioni e i tagli operati dai colonizzatori. 2) Separa popoli affini. 3) Costringe a vivere negli stessi Stati popoli storicamente in conflitto. 4) Grazie all’etno-matematica elettorale del “one man, one vote”, conferisce automaticamente il potere ai popoli le cui donne sono più fertili. Dopo il 1960, chiusa la parentesi coloniale senza scontri di rilievo, senza quelle battaglie di grande intensità che devastarono l’Indocina, l’Africa fu devastata da molteplici conflitti etnici, nati per lo più dalla questione dei confini, che causarono milioni di morti e decine di milioni di sfollati. Terminata la “guerra fredda”, l’Africa si è poi infiammata intorno alla questione, dichiarata o meno, dei confini. Nel decennio 2000-2010, il 70% delle decisioni dell’ONU e il 45% delle sessioni del Consiglio di Sicurezza sono state dedicate ai conflitti africani. Oggi in Africa sono in corso più di 50 conflitti armati. E se li analizziamo in modo obiettivo, dobbiamo constatare che nella maggior parte dei casi sono, direttamente o indirettamente, la conseguenza di uno dei quattro punti negativi evidenziati sopra. Bernard Lugan

Afrocentrismo e decolonialismo o la storia della rivincita

A partire dagli anni ’50-’60, la storia dell’Africa viene regolarmente scritta attraverso un prisma ideologico basato sui postulati afrocentristi. Questa ideologia, teorizzata dall’accademico afroamericano Molefi Kete Asante negli anni ’80 e che si basa sullo storico senegalese Cheikh Anta Diop, è costruita attorno alla volontà di porre l’Africa al centro di ogni riflessione storica, culturale e identitaria. Questo volontarismo fa sì che gli afrocentristi e i loro parenti decoloniali non ragionino come storici. Per loro, la storia non è una scienza, ma un mezzo per affermare visioni valorizzanti. Per giustificare le loro ipotesi, hanno rinunciato alla storia come scienza perché non fanno differenza tra fatti e miti. Affermano inoltre che la storia ufficiale non è altro che una forma di imperialismo, poiché è scritta con concetti storici occidentali. Cugino dell’afrocentrismo, il decolonialismo (o pensiero decoloniale) è una corrente intellettuale nata in America Latina alla fine del XX secolo. Il suo obiettivo era quello di criticare e decostruire la “colonialità” del potere e del sapere visti come strutture di dominio ereditate dalla colonizzazione. Secondo i decolonialisti, queste strutture persistono nonostante l’indipendenza e per questo è necessario mettere in discussione i concetti ereditati dall’Occidente che le mantengono in vita. L’afrocentrismo e il decolonialismo si incontrano nella loro critica all’eredità coloniale ed entrambi immergono i loro sostenitori negli eteri, proiettandoli nelle nuvole.

AFROCENTRISMO O NEGROCENTRISMO?

L’afrocentrismo, che è un’ideologia razziale e vendicativa, si basa sui postulati enunciati da Cheikh Anta Diop negli anni ’50-’60. Autodidatta e compilatore, quest’ultimo sosteneva che la storia fosse una falsificazione dei bianchi destinata a occultare l’eredità “negra” al capitale dell’umanità

. L’afrocentrismo, questo nazionalismo culturalista su base razziale, afferma il primato creativo della negritudine. Esso postula che i neri abbiano inventato tutto, dall’agricoltura alle scienze, che il primo uomo fosse nero e che l’antico Egitto fosse “negro”. Piuttosto che di afrocentrismo, sarebbe quindi più corretto parlare di “negrocentrismo”, poiché tutta la dimensione nordafricana (bianca) ne è assente.

Gli afrocentristi affermano: 1) Che tutte le invenzioni fondamentali sono state fatte dagli egizi, quindi dai neri. 2) Che la civiltà egizia è all’origine di tutte le evoluzioni intellettuali che hanno avuto luogo nel bacino del Mediterraneo, in particolare in Grecia, e che quindi la civiltà occidentale è nata dall’Africa “negra”. Per razzismo, perché non potevano ammettere di dovere tutto ai neri, i bianchi hanno nascosto che la cultura greca è “negra” e che, di conseguenza, la civiltà europea da cui deriva è un’eredità, un lascito “negro”.

I postulati di C.A. Diop furono enunciati a partire dal 1952 nel n. 1 di La Voix de l’Afrique, organo degli studenti del RDA (Rassemblement Démocratique Africain), intitolato “Vers une idéologie politique africaine” (Verso un’ideologia politica africana). Essi furono ripresi e sviluppati nel 1954 in “Nazioni negre e cultura: dall’antichità negra egiziana ai problemi attuali dell’Africa nera oggi” pubblicato da Présence Africaine, poi nel 1960 in “I fondamenti culturali, tecnici e industriali di un futuro Stato federale dell’Africa nera”, nel 1967 in “Antériorité des civilisations nègres. Mythe ou vérité historique ?” (Anteriorità delle civiltà negre. Mito o verità storica?) e nel 1981 in “Civilisation ou Barbarie” (Civiltà o barbarie). Le principali critiche ai postulati di C.A. Diop sono state formulate da: – Fauvelle-Aymar, F-X., (1996) L’Africa di Cheikh Anta Diop, storia e ideologia. Parigi.

Verso il 5000 a.C., dalle Fiandre al Danubio si costituì una civiltà contadina europea che utilizzava la trazione animale, mentre l’Africa subsahariana, l’Africa nera, da parte sua, scoprì quest’ultima, così come la ruota, la carrucola e l’aratro… solo con la conquista araba e poi la colonizzazione, quasi 6000 anni dopo… Per quanto riguarda i tre quarti delle piante alimentari consumate oggi a sud del Sahara (mais, fagioli, manioca, patate dolci, banane, ecc.), sono di origine americana o asiatica e sono state introdotte a partire dal XVI secolo dai colonizzatori portoghesi…

I faraoni, famosi elettricisti Durante un’intervista surreale pubblicata lo scorso 22 marzo su Youtube, totalmente permeata dall’afrocentrismo, il rapper “Maître Gims” spiegava con tono dottorale che gli antichi egizi, che secondo lui erano naturalmente di pelle nera, conoscevano tra l’altro l’elettricità. Infatti: “Le piramidi (…) hanno dell’oro sulla sommità. L’oro è il miglior conduttore di elettricità. Erano delle maledette antenne, la gente aveva l’elettricità […]. Gli egizi, la scienza che possedevano, supera ogni comprensione e gli storici lo sanno”.

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Qual è il vero motivo per cui The Economist vuole che l’Europa spenda altri 400 miliardi di dollari per l’Ucraina?_di Andrew Korybko

Qual è il vero motivo per cui The Economist vuole che l’Europa spenda altri 400 miliardi di dollari per l’Ucraina?

Andrew Korybko5 novembre
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Il vero obiettivo è la federalizzazione dell’UE, non la fantasia politica di sconfiggere la Russia, e per completarlo occorrono altri quattro anni di guerra per procura e almeno altri 400 miliardi di dollari.

L’Economist ha sostenuto che l’UE e il Regno Unito dovrebbero soddisfare il fabbisogno finanziario stimato dell’Ucraina, pari a 390 miliardi di dollari, nei prossimi quattro anni. Secondo loro, “un altro quinquennio di [presunto peggioramento della situazione economico-finanziaria della Russia] innescherebbe probabilmente una crisi economica e bancaria in Russia”, mentre “qualsiasi soluzione di finanziamento a lungo termine per l’Ucraina aiuterebbe l’Europa a costruire la forza finanziaria e industriale di cui ha bisogno per difendersi”. Ciò costerebbe solo lo 0,4% del PIL per ciascun membro della NATO (esclusi gli Stati Uniti).

Hanno anche diffuso il panico dicendo che “l’alternativa sarebbe che l’Ucraina perdesse la guerra e diventasse uno stato amareggiato e semi-fallito, il cui esercito e le cui industrie di difesa potrebbero essere sfruttati da Putin come parte di una nuova e rinvigorita minaccia russa”. Sebbene sia improbabile che l’Ucraina si allei con la Russia per minacciare uno stato della NATO, l’Ucraina potrebbe incolpare la Polonia per la sua sconfitta, dopodiché potrebbe sostenere una campagna terroristica-separatista in Polonia condotta dalla sua diaspora ultranazionalista, come avvertito qui .

A prescindere da ciò che si possa pensare dello scenario sopra descritto, il punto è che The Economist sta adottando il tipico approccio del bastone e della carota nel tentativo di convincere il suo pubblico europeo d’élite che è meno costoso per loro pagare il conto stimato di 390 miliardi di dollari dell’Ucraina nei prossimi quattro anni piuttosto che non farlo. Il contesto immediato riguarda l’ intensificazione della guerra di logoramento per procura degli Stati Uniti contro la Russia, nell’ambito della nuova strategia in tre fasi di Trump, volta a mandare in bancarotta il Cremlino e poi a fomentare disordini in patria.

Per essere chiari, citare questa strategia non implica un’approvazione, ma serve solo a dimostrare perché The Economist ritiene che il suo pubblico potrebbe ora essere ricettivo al suo fascino. A questo proposito, sarà difficile convincere la gente della necessità di sovvenzionare l’Ucraina in misura così elevata nei prossimi cinque anni, il che potrebbe comportare maggiori tasse e tagli alla spesa sociale. Dopotutto, i 100-110 miliardi di dollari spesi quest’anno (“la somma più alta finora”) non hanno fatto arretrare la Russia, quindi probabilmente non lo faranno nemmeno nei prossimi quattro.

Il fondo di guerra russo è inoltre abbastanza consistente da continuare a finanziare il conflitto durante questo periodo, quindi la proposta dell’Economist si limiterebbe a mantenere lo status quo invece di modificarlo a favore dell’Occidente. Le dinamiche potrebbero addirittura spostarsi ulteriormente a favore della Russia, ha candidamente avvertito l’Economist, “se la Russia potesse attingere fondi dalla Cina”. In tale scenario, l’UE sarebbe probabilmente costretta a “attingere” alla propria popolazione per una somma equivalente almeno per mantenere lo status quo, aggravando così il proprio onere senza una chiara conclusione in vista.

Come ha scritto The Economist: “Se l’UE emettesse collettivamente obbligazioni, creerebbe un bacino più ampio di debito comune, rafforzando il mercato unico dei capitali europeo e rafforzando il ruolo dell’euro come valuta di riserva. Un orizzonte pluriennale per l’approvvigionamento di armi aiuterebbe l’Europa a sequenziare la crescita della sua industria della difesa”. Ciò è in linea con la valutazione di luglio 2024 secondo cui ” la prevista trasformazione dell’UE in un’unione militare è un gioco di potere federalista “. Federalizzare l’UE, non sconfiggere la Russia, è quindi il vero obiettivo.

Questa intuizione permette di comprendere perché le élite dell’UE – in particolare la Germania, leader dell’UE – abbiano rispettato le sanzioni anti-russe degli Stati Uniti a proprie spese economiche. In cambio della neutralizzazione del potenziale rivale dell’euro rispetto al dollaro, alle élite dell’UE è stato consentito di accelerare la federalizzazione del blocco per consolidare il proprio potere, cosa che gli Stati Uniti hanno approvato dopo aver smesso di considerare l’ UE, ormai subordinata, come una minaccia latente. Per completare questo processo sono ora necessari altri quattro anni di guerra per procura e almeno 400 miliardi di dollari circa.

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I piani della Francia di inviare truppe in Ucraina rischiano di scatenare una grave crisi

Andrew Korybko6 novembre
 
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Putin deve decidere se raggiungere un accordo con Trump su questo punto per gestire l’escalation o se intensificare la tensione autorizzando attacchi contro quelle truppe qualora venissero dispiegate in quella zona.

Il Servizio di intelligence estero russo (SVR) ha riferito che la Francia sta pianificando di schierare fino a 2.000 soldati, il cui nucleo sarà costituito da truppe d’assalto latinoamericane della Legione straniera, attualmente sottoposte ad addestramento intensivo in Polonia, nell’Ucraina centrale nel prossimo futuro. Ciò fa seguito alla dichiarazione del capo di Stato Maggiore dell’esercito francese Pierre Schill che ha affermato che il suo Paese sarà pronto a schierare truppe in Ucraina il prossimo anno come parte delle “garanzie di sicurezza”. Putin aveva precedentemente avvertito che qualsiasi truppa straniera presente sul territorio sarebbe stata un bersaglio legittimo.

Ciononostante, SVR ha riferito alla fine di settembre che “il primo gruppo di militari di carriera provenienti dalla Francia e dal Regno Unito è già arrivato a Odessa“, ma non è seguita alcuna crisi. Il motivo potrebbe essere che nessuno dei due paesi ha confermato la presenza delle proprie forze in loco, forse per evitare un’escalation, quindi né loro né la Russia stanno (ancora?) dando grande risalto alle potenziali vittime. Tuttavia, sarebbe impossibile nascondere fino a 2.000 soldati convenzionali, il che rappresenterebbe un’escalation significativa.

Il presidente francese Emmanuel Macron ha inizialmente accarezzato l’idea di inviare truppe in Ucraina nel febbraio 2024, ma il progetto non è andato in porto, probabilmente a causa della riluttanza dei suoi alleati della NATO a rischiare una terza guerra mondiale con la Russia. Un anno dopo, il nuovo segretario alla Difesa (ora alla Guerra) Pete Hegseth ha informato il blocco che gli Stati Uniti non estenderanno le garanzie di sicurezza dell’articolo 5 alle truppe degli alleati in Ucraina. Da allora, sono circolate voci secondo cui Trump potrebbe autorizzare il supporto logistico e dell’intelligence statunitense proprio per tale dispiegamento postbellico.

Queste voci hanno fatto seguito al suo vertice di Anchorage con Putin e hanno preceduto di due mesi l’ultima escalation degli Stati Uniti contro la Russia, che è stata valutata qui come in parte motivata dalla convinzione di Trump di poter costringere Putin a concedere il massimo possibile in termini di concessioni realistiche. A tal proposito, è improbabile che la Russia ceda mai i territori contesi sotto il suo controllo, poiché la costituzione lo vieta, ma è ipoteticamente possibile che un giorno possa accettare lo schieramento di truppe occidentali in Ucraina.

Non importa se alcuni considerano questa ipotesi una fantasia politica, poiché ciò non sminuisce l’argomentazione secondo cui Trump sta formulando la politica statunitense nei confronti del conflitto ucraino tenendo presente questo scenario. Se questa forza potenzialmente guidata dalla Francia verrebbe dispiegata durante le ostilità o solo dopo è oggetto di dibattito, per non parlare del fatto che non è nemmeno certo che una forza del genere verrebbe mai dispiegata, ma la Francia ricorda ciò che Hegseth ha detto a febbraio e quindi probabilmente non agirebbe unilateralmente senza l’approvazione degli Stati Uniti.

Di conseguenza, si dovrebbe presumere che Trump sia a conoscenza della dichiarazione di intenti di Schill riguardo al possibile dispiegamento in Ucraina il prossimo anno e dei potenziali piani di Macron di dispiegare truppe d’assalto anche prima, ma che almeno non abbia sollevato obiezioni, forse incoraggiando addirittura questa mossa come leva su Putin (come potrebbe vederla lui). Se così fosse, Putin dovrebbe decidere se raggiungere un accordo con Trump su questo punto per gestire l’escalation o se intensificare la tensione autorizzando attacchi contro quelle truppe qualora venissero dispiegate.

Era stato previsto qui alla fine di settembre, dopo il rapporto dell’SVR sulle truppe francesi e britanniche a Odessa, che “l’intervento diretto dell’Occidente nel conflitto sta ormai diventando un fatto compiuto, resta solo da vedere come reagirà la Russia e se gli Stati Uniti saranno poi coinvolti in una missione sempre più ampia”. Le due ultime notizie confermano l’accuratezza di tale analisi, che avvalora la valutazione complessiva secondo cui Trump sta “escalando per de-escalare” a condizioni migliori per l’Occidente e peggiori per la Russia.

Quanto è probabile che la Polonia offra alla Bielorussia un accordo equo invece che sbilanciato?

Andrew Korybko5 novembre
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Il capo del KGB bielorusso ha recentemente affermato di aver “raggiunto un’intesa di interessi reciproci” con la Polonia “in alcuni casi”, sorprendendo molti osservatori.

Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko ha recentemente dichiarato di essere pronto per un ” grande accordo ” con gli Stati Uniti, a patto che vengano presi in considerazione gli interessi del suo Paese, posizione che il capo del KGB Ivan Tertel ha ribadito , dicendo ai giornalisti: “Abbiamo tutte le possibilità di raggiungere una svolta nelle relazioni con gli Stati Uniti”. Lukashenko ha svolto un ruolo chiave nel facilitare il dialogo Putin-Trump, mentre Tertel ha svolto un ruolo complementare nel facilitare gli scambi di prigionieri di guerra russo-ucraini e altre iniziative diplomatiche legate all’Ucraina .

Il loro ottimismo fa seguito a un rapporto secondo cui l’Occidente sta cercando di convincere la Bielorussia a riequilibrare i suoi legami con la Russia, cooperando più strettamente con essa. Si affermava che “l’Occidente vuole che la Bielorussia sostituisca il presunto vassallaggio russo con l’effettivo vassallaggio polacco”, ma “la Russia è responsabile della continua stabilità socioeconomica della Bielorussia attraverso decenni di generosi sussidi energetici e accesso al suo enorme mercato, e ha contribuito a sedare la Rivoluzione Colorata dell’estate 2020, quindi Lukashenko dovrebbe saperlo e non tradirla”.

Pur concedendo a Lukashenko e Tertel il beneficio del dubbio, dato che non hanno fatto nulla che possa destare sospetti sulle loro intenzioni, qualsiasi accordo tra Stati Uniti e Bielorussia richiederebbe comunque un accordo tra Polonia e Bielorussia per essere completato, ma questo scenario finora inverosimile potrebbe già essere in corso, con sorpresa di molti osservatori. Il principale quotidiano polacco Rzeczpospolita ha citato fonti anonime per riferire all’inizio di ottobre sulle tre condizioni poste dal loro Paese per un ripristino delle relazioni bilaterali.

Si tratta di porre fine alla presunta strumentalizzazione dell’immigrazione clandestina da parte della Bielorussia contro la Polonia, rilasciare l’attivista polacco Andrzej Poczobut , condannato per accuse di estremismo nel 2023 , e identificare i responsabili dell’omicidio di una guardia di frontiera polacca lo scorso anno. BelTA, finanziata con fondi pubblici, ha risposto a queste condizioni in un lungo articolo qui , pubblicato diversi giorni dopo l’articolo di Rzeczpospolita, lo stesso giorno delle dichiarazioni coordinate di Lukashenko e Tertel su una svolta nei rapporti con gli Stati Uniti.

Sebbene le polemiche di BelTA contrastino con l’ottimismo propugnato dai due suddetti, Tertel ha anche rivelato lo stesso giorno che “stiamo gradualmente raggiungendo un’intesa (con la Polonia e gli Stati baltici). Discutiamo questioni urgenti e, in alcuni casi, raggiungiamo un’intesa sugli interessi reciproci”. Se ciò fosse vero, sebbene la Polonia lo neghi , allora un accordo equo potrebbe prevedere che la Bielorussia rispetti le condizioni polacche, a condizione che la Polonia smetta di agitare le mani, cessi di sostenere i rivoluzionari colorati in Bielorussia e apra tutti i valichi di frontiera.

L’adesione della Bielorussia potrebbe basarsi sul calcolo di cui BelTA ha scritto nel suo lungo articolo: “Annullare tutto ciò che le élite polacche hanno fatto negli ultimi cinque anni sarebbe visto come un completo fallimento della politica polacca nei confronti della Bielorussia. In queste circostanze, Varsavia ha bisogno almeno di una vittoria simbolica. Da qui le condizioni”. È sensato, ma data la mancanza di fiducia bilaterale, potrebbero alla fine concordare un riavvicinamento graduale che potrebbe rispecchiare qualsiasi grande accordo russo-statunitense sull’Ucraina.

La Russia è il principale alleato della Bielorussia, proprio come gli Stati Uniti lo sono della Polonia, quindi c’è una logica nel fatto che i loro riavvicinamenti siano paralleli, poiché qualsiasi riavvicinamento tra Stati Uniti e/o Polonia-Bielorussia che preceda un riavvicinamento tra Russia e Stati Uniti potrebbe seminare sfiducia nei rapporti tra Russia e Bielorussia, anche se non è questo l’intento di Lukashenko e Tertel. Certo, Stati Uniti e Polonia non se ne preoccuperebbero, ma le due figure più potenti della Bielorussia sembrano abbastanza sagge da evitare la loro trappola. Se riuscissero a convincere Stati Uniti e Polonia a concedere alla Bielorussia un accordo equo, la Russia lo accoglierebbe con favore.

Il conferimento di un premio da parte della Bielorussia al polacco Grzegorz Braun è stato un regalo avvelenato?

Andrew Korybko6 novembre
 
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Questa è stata una spiacevole sorpresa per i suoi sostenitori, poiché era prevedibile che sarebbe stata sfruttata per screditarlo con il pretesto che nessun vero patriota polacco sarebbe mai stato premiato dalla Bielorussia nel mezzo della loro guerra ibrida in corso, tanto meno da una fondazione intitolata a una persona che molti polacchi considerano un traditore.

La “Fondazione benefica internazionale Emil Czeczko” della Bielorussia ha conferito uno dei suoi premi annuali “Peace & Human Rights Awards” al controverso eurodeputato polacco Grzegorz Braun, che si è classificato quarto al primo turno delle elezioni presidenziali di maggio di quest’anno con il 6,34% dei voti. Il premio prende il nome da un giovane soldato polacco che nel 2021 disertò in Bielorussia, accusando successivamente la Polonia di “genocidio” degli immigrati clandestini lungo il confine, per poi presumibilmente impiccarsi, ma il presidente Alexander Lukashenko ha poi affermato che è stato ucciso.

Czeczko è celebrato in Bielorussia come un giovane coraggioso la cui vita è stata tragicamente stroncata, ma è ampiamente considerato in Polonia come un attivista fuorviato nella migliore delle ipotesi o una risorsa dei servizi segreti stranieri nella peggiore. Molti in Polonia lo considerano semplicemente un traditore, indipendentemente dalla loro opinione sulle sue motivazioni. Vale la pena ricordare che Braun sostiene l’uso della forza da parte delle forze armate polacche contro gli immigrati clandestini invasori e quindi molto probabilmente aveva un’opinione negativa di Czeczko prima di ricevere un premio dalla fondazione che porta il suo nome.

Questo contesto politico interno permette di comprendere meglio perché il ministro degli Esteri Radek Sikorski ha deriso Braun affermando che si è “guadagnato” il suo premio, mentre il ministro della Difesa Wladyslaw Kosiniak-Kamysz lo ha descritto come una “situazione molto pericolosa” e un “palese tradimento dei principi del patriottismo”. Queste reazioni erano del tutto prevedibili anche senza conoscere l’opinione che si ha di Czeczko in Polonia, poiché è risaputo che la Polonia e la Bielorussia sono coinvolte in quella che entrambe descrivono come una “guerra ibrida” l’una contro l’altra.

Ci si chiede quindi perché la Fondazione abbia premiato Braun. La prima risposta è la più innocente ed è che i membri del consiglio volevano sinceramente mostrare apprezzamento per il suo approccio pacifista, simile a quello di Orban, nei confronti del conflitto ucraino. È possibile, ma considerando che la Fondazione prende il nome da una persona che la Bielorussia considera un dissidente polacco, ci sono motivi per supporre che i membri del consiglio di amministrazione non siano all’oscuro della situazione politica interna della Polonia, come suggerisce questa risposta.

Questo ci porta alla seconda risposta, secondo la quale la Fondazione avrebbe voluto porgere a Braun un calice avvelenato per il suo sostegno alle stesse forze armate polacche che la Bielorussia ritiene rappresentino una minaccia tale da spingere Lukashenko a richiedere alla Russia armi nucleari tattiche e Oreshnik per scoraggiarle. Conferirgli un premio da una fondazione intitolata a Czeczko, che incarnava ciò a cui Braun si oppone, potrebbe quindi significare screditarlo per questo motivo e creare un pretesto per esercitare una maggiore pressione statale su di lui.

Una variante di questa risposta va ancora più a fondo, ipotizzando che i suddetti risultati potrebbero far parte dell'”accordo” che il capo del KGB bielorusso ha dichiarato che il suo Paese ha raggiunto con la Polonia “in alcuni casi” come parte del “grande accordo” che Lukashenko ha dichiarato di voler raggiungere con gli Stati Uniti. Sebbene si tratti certamente di una teoria cospirativa, è possibile che il governo abbia incoraggiato la Fondazione a consegnare a Braun il loro calice avvelenato come gesto di buona volontà nei confronti delle autorità polacche o come contropartita per qualcos’altro.

L’unica cosa certa è che il conferimento di un premio a Braun da parte della Bielorussia è stata una spiacevole sorpresa per i suoi sostenitori, poiché era prevedibile che sarebbe stato sfruttato per screditarlo con il pretesto che nessun vero patriota polacco sarebbe mai stato premiato dalla Bielorussia nel mezzo della loro guerra ibrida in corso. Il fatto che provenisse da una fondazione intitolata proprio a Czeczko, che incarnava tutto ciò a cui Braun si oppone, ha aggiunto la beffa al danno. Pertanto, anche se questo premio non era inteso come un calice avvelenato, ha comunque servito a questo scopo.

Le origini polacche del Giorno dell’Unità Nazionale della Russia sono ancora attuali

Andrew Korybko4 novembre
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Oggi la Russia ritiene che la Polonia sia la minaccia più costante alla sua unità nazionale.

La Russia celebra il Giorno dell’Unità Nazionale ogni 4 novembre in ricordo della rivolta nazionale che cacciò le truppe polacche da Mosca, l’unica volta in cui la capitale russa fu occupata da una potenza straniera (i Mongoli sottomisero la “Vecchia Rus’ [di Kiev]”). Le origini polacche di questa festa sono ancora attuali, anche se non c’è alcuna possibilità realistica che la storia si ripeta. L’articolo esaminerà brevemente le minacce polacche all’unità russa nel corso dei secoli, prima di concludere con alcune considerazioni sul presente.

Dopo la distruzione dell’antica Rus’ da parte dei Mongoli, la federazione di stati slavi orientali e a maggioranza ortodossa da cui emerse lo stato-civiltà russo, il Granducato di Lituania finì per controllare gran parte dell’odierna Ucraina. Si unì presto alla Polonia nel 1385-86, iniziò la polonizzazione, formò una Confederazione con la Polonia nel 1569 e poi accelerò la polonizzazione fino all’Unione di Brest del 1596, che creò la Chiesa uniate, composta essenzialmente da credenti ortodossi fedeli al Papa.

Putin ha spiegato in alcune parti del suo capolavoro del luglio 2021 ” Sull’unità storica di russi e ucraini ” e nell'” Intervista con Tucker Carlson ” del febbraio 2024 che la Russia riteneva che questi sviluppi avessero diviso il popolo russo attraverso la creazione di un’identità proto-ucraina. Ha anche raccontato come alcuni polacchi del XIX secolo “sfruttarono la ‘questione ucraina’” (il periodo della ” clopomania “) contro la Russia, ma poi gli austriaci ne approfittarono per dividere il loro movimento nazionale.

La fine della Prima Guerra Mondiale determinò la nascita di diversi stati ucraini, rappresentando così una pietra miliare nella divisione dell’antica Rus’, un tempo unita, il cui territorio fu infine spartito tra Polonia e URSS con il Trattato di Riga del 1921, in seguito alla guerra polacco-bolscevica. Il periodo tra le due guerre fu poi segnato dall’infruttuosa applicazione delle strategie dell’eroe indipendentista polacco Jozef Piłsudski, volte a balcanizzare l’Unione Sovietica (” Prometeismo “) e a governare l’intera regione (” Intermarium “).

La Polonia riconobbe i suoi confini orientali tracciati dall’Unione Sovietica dopo la dissoluzione dell’URSS nel 1991, in base alla Dottrina Giedroyc, ma cercò comunque di diventare il fratello maggiore dei suoi vicini, un obiettivo che oggi si concretizza nell'” Iniziativa dei Tre Mari “. Questa politica neo-“Intermarium” è parte integrante del tentativo di far rivivere alla Polonia lo status di Grande Potenza perduto nel contesto geopolitico contemporaneo. Il “prometeismo” non è stato tuttavia abbandonato, come dimostra l’ex presidente Andrzej Duda che ha chiesto la “decolonizzazione” della Russia nell’estate del 2024.

È tenendo conto di questi fatti e di altri ancora, che oggi la Russia ritiene che la Polonia abbia rappresentato la minaccia più consistente alla sua unità nazionale, come ha spiegato la Società Storico-Militare Russa nella sua recente mostra all’aperto sui ” Dieci secoli di russofobia polacca “. Amplificare questa percezione nel presente significa riportare l’attenzione del russo medio sulla Polonia, preparandola a svolgere un ruolo di primo piano nel contenere il loro paese nella regione una volta che il conflitto ucraino sarà finalmente terminato.

A dire il vero, anche la Polonia ritiene che la Russia sia stata la minaccia più costante alla sua unità nazionale per ovvi motivi. Ragioni storiche , la cui percezione è stata amplificata anche nel presente, spingendo i polacchi a sostenere i suddetti sforzi di contenimento. Indipendentemente dall’opinione che si abbia su queste percezioni, il punto è che sono responsabili della recente rinascita della storica rivalità russo-polacca, che si prevede tornerà a essere una caratteristica distintiva della geopolitica regionale nei prossimi anni.

L’Occidente pone nuove sfide alla Russia lungo tutta la sua periferia meridionale

Andrew Korybko2 novembre
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Sorge spontanea la domanda: perché i partner regionali della Russia stanno accettando questa proposta?

La scorsa settimana il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha avvertito che “la NATO e l’UE stanno costruendo i propri dialoghi e quadri di interazione con l’Asia centrale e il Caucaso meridionale. Non credo che nessuno possa vedervi secondi fini, tranne quando, come stiamo vedendo ora, l’Occidente cerca di usare questi legami per allontanare questi paesi dalla Federazione Russa, anziché stabilire una cooperazione reciprocamente vantaggiosa”. Questo avviene in vista dell’incontro di Trump con i leader dell’Asia centrale a Washington la prossima settimana.

Il contesto più ampio riguarda la “Trump Route for International Peace and Prosperity” ( TRIPP ), negoziata dagli Stati Uniti tra Armenia e Azerbaigian ad agosto, che dovrebbe portare la Turchia, membro della NATO, a rafforzare l’influenza occidentale in tutti gli stati della periferia meridionale della Russia. Anche se il presidente azero Ilham Aliyev accettasse di non consentire l’uso del TRIPP per scopi militari, nel contesto del suo incipiente riavvicinamento con Putin, ciò legherebbe comunque queste due regioni molto più strettamente all’Occidente.

Queste osservazioni sollevano la questione del perché i partner regionali della Russia stiano assecondando questa iniziativa. Dopotutto, hanno un’agenzia e potrebbero quindi respingere le proposte dell’Occidente, eppure nessuno di loro l’ha fatto. Al contrario, i leader armeni e azeri hanno lasciato che gli Stati Uniti mediassero un accordo probabilmente rivoluzionario tra loro, mentre le loro controparti dell’Asia centrale si apprestano a compiere un pellegrinaggio lì. Il direttore del programma del Valdai Club, Timofei Bordachev, ha cercato di rispondere a questa domanda per RT all’inizio di luglio:

“La Russia sa che risolvere le controversie regionali con la forza è solitamente contro i propri interessi. Ma non può dare per scontato che i vicini vedano Mosca allo stesso modo. Gli altri stati giudicano inevitabilmente la Russia in base alla sua storia, alle sue dimensioni e al suo potere – e una grande potenza può sempre essere tentata da soluzioni semplici… I vicini della Russia hanno confini aperti in molte direzioni e continue opportunità di proteggere le proprie posizioni. È naturale che cerchino amici altrove per placare le loro paure.

Le grandi potenze devono comprendere le paure dei loro vicini, ma non arrendersi ad esse. La Russia non dovrebbe né abbandonare la propria influenza né aspettarsi di essere amata per questo. Dovrebbe invece gestire le conseguenze delle sue dimensioni e del suo potere, e considerare la paura dei vicini come parte del prezzo da pagare per essere un gigante. Questo è il compito che attende la diplomazia russa, e una prova della sua capacità di bilanciare forza e responsabilità in un mondo sempre più instabile.

Bordachev sta fondamentalmente riconoscendo i limiti dell’influenza della Russia lungo tutta la sua periferia meridionale, che sono dovuti non solo alla paura percepita di essa che ha accennato in un cenno alla scuola costruttivista delle relazioni internazionali , ma sono anche collegati alle percezioni della speciale operazione . Sebbene sia davvero impressionante che la Russia stia tenendo testa a una guerra di logoramento improvvisata con l’Occidente, che dura da oltre 3 anni e mezzo , i suoi partner regionali potrebbero ancora percepirla come relativamente indebolita e distratta.

Di conseguenza, in parte spinti dalla suddetta paura che hanno nei confronti della Russia, avrebbero potuto plausibilmente valutare – da soli, tramite consultazioni reciproche e/o con l’assistenza dell’Occidente – che si è aperta una finestra di opportunità per “proteggere al massimo le loro posizioni”. Il TRIPP è il mezzo logistico per farlo, che sarebbe completato dalla prevista ferrovia PAKAFUZ tra il “principale alleato non NATO” Pakistan e l’Asia centrale se i legami afghano-pakistani dovessero mai migliorare come vuole Trump .

Lo sviluppo condiviso proposto da Putin durante il Secondo Vertice Russia-Asia Centrale all’inizio di ottobre dimostra che il suo Paese riconosce queste nuove sfide ed è pronto a competere con l’Occidente. Tuttavia, potrebbe non essere sufficiente per scongiurare preventivamente le minacce alla sicurezza che potrebbero materializzarsi a seguito della Turchia, che guida l’espansione dell’influenza militare occidentale in questa regione. Le menti più brillanti della Russia come Bordachev dovrebbero quindi dare priorità alla formulazione di una politica integrativa.

La potenziale caduta del Mali nelle mani dei terroristi potrebbe portare a un altro intervento guidato dalla Francia

Andrew Korybko3 novembre
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Il duplice pretesto di annientare l’ultimo califfato del mondo e di scongiurare un’altra crisi migratoria simile a quella del 2015 potrebbe essere sufficiente per mobilitare l’opinione pubblica attorno a una missione guidata dalla Francia volta a ripristinare l’influenza occidentale nella regione.

Il Wall Street Journal ha recentemente lanciato l’allarme: ” Al Qaeda è sul punto di conquistare un Paese “, affermando che l’alleato locale del gruppo, Jamaat Nusrat al-Islam wal-Muslimin (JNIM), ha circondato la capitale, tagliandola fuori da cibo e carburante. L’inaspettata scarsità di quest’ultimo ha ostacolato la capacità di risposta delle Forze Armate del Mali (FAM). Secondo la loro valutazione, il JNIM spera di replicare la presa del potere dei suoi alleati con idee simili in Afghanistan e Siria, in particolare attraverso una propria guerra di logoramento contro lo Stato.

Il FAM non è affatto debole come lo è sempre stato l’Esercito Nazionale Afghano, né come si è rivelato essere l’Esercito Arabo Siriano . La Russia fornisce loro armi, addestramento, intelligence e supporto logistico già da diversi anni, trasformandoli così in una forza da non sottovalutare. Il problema è che Francia, Ucraina e, presumibilmente, la vicina Algeria, in una certa misura, hanno sostenuto i separatisti Tuareg, definiti terroristi, che ancora una volta hanno stretto un’alleanza empia con gli islamisti.

Ciò ha creato lo spazio per l’espansione del JNIM in altre parti del paese e anche nel vicino Burkina Faso , che comprende l’ Alleanza / Confederazione Saheliana con il Niger, anch’esso impegnato a fronteggiare la propria insurrezione islamista, ma guidata da un alleato locale dell’ISIS anziché dal JNIM di Al Qaeda. Questo blocco di integrazione regionale considera la Francia uno Stato sponsor del terrorismo , dopo averla a lungo accusata di sostenere un gruppo eterogeneo di tali gruppi nei propri paesi, con il sospetto che sostenga persino gli islamisti.

L’effetto combinato di queste offensive terroristiche (sostenute dalla Francia?) è stato quello di destabilizzare il cuore dei processi multipolari dell’Africa occidentale, l’Alleanza/Confederazione del Sahel, e di creare la possibilità credibile (ancora lontana dall’essere certa) che uno, due o tutti e tre i suoi membri cadano nelle mani dei terroristi. Sebbene siano tutti partner militari russi, con il Mali in testa, la Russia sta ancora conducendo la sua speciale… operazione e quindi non è realisticamente possibile realizzare un intervento simile a quello siriano del 2015 per salvarli.

Ciononostante, ci si aspetta che i media avversari attribuiscano le loro potenziali cadute alla Russia, per presentarla come un alleato inaffidabile, arrivando persino a provare una sorta di schadenfreude se i terroristi prendessero il controllo di questa parte dell’Africa occidentale. In questo scenario, si tratterebbe di un evento geopolitico di grande portata, non solo per il suo simbolismo, ma anche perché questi stati controllano alcune delle rotte del contrabbando dalla costa popolata dell’Africa occidentale all’Europa, con il rischio di un’esplosione dell’immigrazione clandestina e di infiltrazioni terroristiche.

Inoltre, il precedente dell’intervento militare della Francia in Mali per fermare l’avanzata dei separatisti tuareg sostenuti dagli islamisti all’inizio del 2013, su richiesta di Bamako, suggerisce che Parigi potrebbe tentare unilateralmente qualcosa di simile, ma forse con un sostegno più diretto dell’Europa occidentale e/o degli Stati Uniti. Il doppio pretesto di annientare l’ultimo califfato del mondo e di scongiurare un’altra crisi migratoria simile a quella del 2015 potrebbe essere sufficiente per mobilitare l’opinione pubblica attorno a questa missione guidata dalla Francia per ripristinare l’influenza occidentale nella regione.

Garantire l’accesso alle risorse, ai mercati e alla manodopera africani è di grande importanza strategica per l’Occidente, così come lo è ostacolare l’accesso del suo rivale sistemico cinese a tali risorse. L’occidentale medio, tuttavia, non comprende l’importanza di questo obiettivo, da qui la necessità di lasciare che la regione cada in parte o interamente in mano ai terroristi (e possibilmente contribuire a questo). Se ciò accadesse, l’Occidente potrebbe mettere in atto la sua ultima mossa di potere nel Sud del mondo, ma i costi indesiderati potrebbero alla fine superare i benefici attesi.

La continua “pakistanizzazione” del Bangladesh rappresenta una minaccia crescente per l’India

Andrew Korybko2 novembre
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È un cattivo presagio che il leader ad interim del Bangladesh, salito al potere dopo un colpo di stato appoggiato dagli Stati Uniti, abbia regalato a un generale pakistano in visita un libro la cui copertina implica rivendicazioni sull’India nordorientale.

La visita del Presidente del Comitato dei Capi di Stato Maggiore Congiunto del Pakistan, il Generale Sahir Shamshad Mirza, in Bangladesh per incontrare il Consigliere Capo Muhammad Yunus, era già abbastanza preoccupante per l’India, dato l’allontanamento di Dhaka da Delhi dopo il cambio di regime sostenuto dagli Stati Uniti nell’agosto 2024. Questo significava ipso facto che il Bangladesh avrebbe fatto affidamento sul Pakistan come minimo come contrappeso all’India, invece di rimanere saldamente alleato con essa. Gli Stati Uniti avrebbero quindi potuto sfruttare questa situazione per intensificare il contenimento dell’India.

A peggiorare le cose, Yunus regalò a Mirza un libro la cui copertina raffigura un dipinto astratto del Nord-Est dell’India come parte del Bangladesh. Non si trattava di una coincidenza, considerando che il Bangladesh aveva già avanzato tre rivendicazioni “plausibilmente negabili” su quella regione dopo il violento cambio di regime avvenuto quasi 15 mesi fa. I lettori possono saperne di più qui , qui e qui . La trovata di Yunus con Mirza aveva quindi lo scopo di far capire all’India che il Pakistan avrebbe presto potuto aiutare il Bangladesh a raggiungere questo obiettivo.

Il Bangladesh ospitava militanti separatisti sostenuti dal Pakistan, che l’India aveva etichettato come terroristi per i mezzi con cui cercavano di perseguire i loro obiettivi, ma abbandonò questa politica durante il lungo governo dell’ex Primo Ministro Sheikh Hasina. La sua estromissione fu immediatamente seguita dal ritorno dell’Islam politico, dell’ultranazionalismo e del ruolo preminente dell’esercito nella società, tutte e tre tendenze preesistenti che aveva fino ad allora represso e che possono essere collettivamente descritte come “pakistanizzazione” .

I precedenti suggeriscono che l’interazione tra questi fattori sopra menzionati si traduca in un feroce odio verso l’India, alimentato da specifiche percezioni religiose e controegemoniche. La differenza principale tra la “pakistanizzazione” nel suo omonimo Paese e quella in Bangladesh è che il primo è ancora coinvolto nel conflitto irrisolto del Kashmir con l’India, che dura da decenni, mentre il secondo non ha controversie territoriali con quest’ultima. Tuttavia, la situazione sta rapidamente cambiando, come dimostra la valanga di rivendicazioni “plausibilmente negabili” da parte del Bangladesh.

Per ricordare ai lettori, il Bangladesh era noto come Pakistan Orientale ed era dominato dal Pakistan Occidentale fino alla vittoriosa Guerra d’Indipendenza del 1971, sostenuta dall’India. Durante la Guerra, il Bangladesh sostiene che il Pakistan abbia commesso un genocidio del suo popolo ( le stime variano ampiamente tra 300.000 e 3 milioni di morti). Furono le ingiustizie che portarono a questa guerra e la brutalità commessa contro i bengalesi durante la guerra a far sì che le ultime due generazioni nutrissero un’intensa avversione per il Pakistan. La nuova generazione, tuttavia, non ha alcun ricordo di quei tempi bui.

Questo, unito alla percezione popolare della corruzione diffusa durante il governo di Hasina, predispose ampi segmenti della società, la cui età media è di soli 26 anni , al radicalismo, facilitando così il cambio di regime. Il risultato naturale fu la “pakistanizzazione”, la cui forma geopolitica finale potrebbe vedere l’ex Pakistan orientale sottomettersi volontariamente a quello che un tempo era il suo signore occidentale, al fine di fungere da trampolino di lancio per un’alleanza ibrida congiunta. Guerra all’India contro i suoi stati del Nord-Est, guerra che potrebbe essere aiutata anche dagli Stati Uniti.

La trovata di Yunus con Mirza conferma che il Bangladesh sta attraversando una fase di “pakistanizzazione”, che rappresenta una minaccia crescente per l’India e potrebbe presto portare a un ritorno delle minacce terroristiche-separatiste, sostenute dal Pakistan e provenienti dal Bangladesh. Il Pakistan potrebbe persino giustificare questa situazione come una risposta simmetrica a quelle che sostiene essere simili, sostenute dall’India e provenienti dall’Afghanistan. Se ciò dovesse accadere, si aprirebbe la strada a una guerra regionale, il cui timore gli Stati Uniti potrebbero sfruttare nel tentativo di spingere l’India a concedere concessioni strategiche.

La Russia dovrebbe indagare sulle affermazioni dei talebani sulla cooperazione tra Stati Uniti e Pakistan sui droni

Andrew Korybko4 novembre
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Sebbene vi siano motivi per sospettare che i talebani abbiano interessi politici personali nel diffondere bugie sul Pakistan, vi sono anche motivi per cui la Russia dovrebbe prendere molto sul serio la sua ultima affermazione.

Il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, ha affermato nel fine settimana che “i droni americani stanno effettivamente operando nei cieli afghani; attraversano lo spazio aereo pakistano e violano il nostro. Questo non deve accadere. Loro [il Pakistan] sono impotenti qui, non possono fermarlo. Naturalmente, questo dovrebbe essere visto come una forma di incapacità, e lo comprendiamo. Sospettiamo che dietro queste pressioni ci siano le principali potenze globali, quelle che un tempo si scontrarono con noi o rivendicarono Bagram”.

Ha concluso osservando che “Non arrivano direttamente, ma incaricano altri di provocare disordini nella regione e creare pretesti. Siamo fermi contro qualsiasi cospirazione e non permetteremo che ambizioni mal riposte diventino realtà nella regione”. La sua ultima affermazione segue un’altra altrettanto scandalosa di inizio ottobre, secondo cui l’attacco terroristico di Crocus sarebbe stato orchestrato dal Pakistan . Il contesto più ampio riguarda la violenza transfrontaliera tra i due Paesi che ha suscitato timori di un’invasione pakistana dell’Afghanistan .

Ciò non è avvenuto in un vuoto, ma nel contesto del rapido riavvicinamento tra Stati Uniti e Pakistan e delle rinnovate richieste di Trump di riportare le forze statunitensi alla base aerea di Bagram in Afghanistan , entrambe avvenute prima di un articolo del Financial Times secondo cui il Pakistan avrebbe offerto agli Stati Uniti un porto apparentemente per scopi economici. In questo contesto, se da un lato vi sono motivi per sospettare che i talebani abbiano interessi politici personali nel diffondere menzogne ​​sul Pakistan, dall’altro vi sono anche motivi per cui la Russia dovrebbe prendere molto sul serio la sua ultima affermazione.

Non è la prima volta che i talebani affermano che quei due stiano cospirando contro di loro in questo modo. Il ministro della Difesa Mohammad Yaqoob ha affermato, in occasione del primo anniversario del ritiro americano dall’Afghanistan, che “i droni statunitensi provengono dal Pakistan ed entrano in territorio afghano”. Il Pakistan ha negato questa accusa, proprio come ha negato l’ultima , ma non sarebbe sorprendente se la CIA avesse segretamente riottenuto l’accesso alle basi dei droni in cambio del recente sostegno di Trump al Pakistan rispetto all’India .

La Russia dovrebbe quindi indagare sulle affermazioni dei Talebani sulla cooperazione tra Stati Uniti e Pakistan in materia di droni. Nonostante il loro rapido riavvicinamento , negli ultimi anni la Russia ha lasciato intendere due volte che il Pakistan potrebbe fare il doppio gioco. La prima indicazione è arrivata nel novembre 2022, quando l’inviato speciale presidenziale russo per l’Afghanistan, Zamir Kabulov, ha dichiarato che “gli americani stanno ricattando apertamente i leader talebani, minacciandoli con un attacco con droni e costringendoli a prendere le distanze da Russia e Cina”.

L’insinuazione era che questi attacchi con i droni sarebbero stati facilitati dal fatto che il Pakistan avrebbe permesso agli Stati Uniti di usare il suo spazio aereo, dato che è l’unico modo realistico per bombardare l’Afghanistan. Alla fine di agosto di quest’anno, il Segretario del Consiglio di Sicurezza Sergey Shoigu ha poi scritto in un articolo che “La situazione è aggravata dai fatti documentati del trasferimento di militanti da altre regioni del mondo in Afghanistan. Vi è motivo di credere che dietro queste azioni ci siano i servizi speciali di diversi paesi occidentali”.

Come affermato da Kabulov quasi tre anni prima, l’insinuazione è che il Pakistan stia facilitando l’infiltrazione di questi terroristi in Afghanistan, sostenuta dall’intelligence occidentale, ancora una volta perché è l’unica via realistica per entrare nel Paese. Se a ciò si aggiunge la recente affermazione dei talebani secondo cui l’attacco terroristico al Crocus sarebbe stato orchestrato dal Pakistan, ci sono tutti gli elementi per consentire alla Russia di indagare se il suo nuovo partner stia facendo il doppio gioco e poi riconsiderare le loro relazioni se ciò verrà confermato.