USA vs CINA_di Cesare Semovigo
Le relazioni tra Stati Uniti e Cina nel 2025 incarnano quella che gli analisti del Council on Foreign Relations definiscono una competizione gestita, un eufemismo per un duello geopolitico dove ogni concessione cela una mossa calcolata. Con il ritorno di Donald Trump alla presidenza, si osserva un pragmatismo commerciale evidente nella riduzione del dieci per cento sulle tariffe cinesi in cambio di importazioni agricole e una moratoria sui controlli alle terre rare, ma la traiettoria sottesa rimane immutata: Pechino persegue una multipolarità attraverso la fusione civile-militare, mentre Washington un contenimento tecnologico mediante alleanze come quella denominata AUKUS. Tali accordi, tuttavia, esibiscono una fragilità intrinseca, con una probabilità di sopravvivenza oltre il 2026 stimata tra il cinquanta e il sessanta per cento, influenzata dalla volatilità interna statunitense e dalla resilienza economica cinese, che ha incrementato la produzione domestica di semiconduttori del venticinque per cento dal 2023, mitigando dipendenze da fornitori esteri. Nel contesto post-pandemia, le interruzioni nelle catene di fornitura hanno accelerato questo decoupling, con proiezioni economiche che anticipano un calo del cinque-otto per cento nella crescita globale in caso di escalation. Integrando elementi dal complesso militare-industriale di entrambe le parti, rapporti recenti evidenziano come aziende cinesi occultino legami con il complesso militare-industriale per eludere divieti statunitensi sugli investimenti, mentre rumors su ritardi in progetti statunitensi – come quello dell’F-35 e dei sottomarini nucleari – derivano da restrizioni cinesi su minerali critici. Competizioni emergono nell’intelligenza artificiale militare, con la Cina che sfrutta modelli come DeepSeek per erodere profitti statunitensi, e un mega-comando cinese occidentale che supera di dieci volte il Pentagono in scala operativa. Contesti passati rivelano radici nella normalizzazione del 1979, quando Deng Xiaoping e Jimmy Carter posero le basi per un’integrazione economica che ha visto il commercio bilaterale superare i seicentonovanta miliardi di dollari nel 2023, prima delle tariffe; scenari futuri, come delineato dal RAND Corporation, prevedono una stabilizzazione parziale attraverso dialoghi militari, ma con rischi di confronto ibrido nel Pacifico entro il 2030, dove la Cina potrebbe raggiungere parità nucleare. Nella sfera difensiva, l’Esercito Popolare di Liberazione cinese prosegue una modernizzazione che il Pentagono qualifica come sfida primaria, con un arsenale nucleare superiore alle seicento testate e proiezioni verso le mille entro il 2030, sostenuto da una triade integrata composta da missili DF-41, sottomarini JL-3 e bombardieri H-20. Questa evoluzione, spesso presentata da Pechino come deterrenza minima contro interventi statunitensi su Taiwan, cela un’ambizione più ampia, come nota il Brookings Institution: un riequilibrio asimmetrico che privilegia armi ipersoniche e sistemi anti-accesso/area-denial. L’accordo del novembre 2025 tra i ministri della Difesa – Pete Hegseth e Dong Jun – per canali diretti mira a mitigare rischi di incidenti, con riduzione stimata del venti-trenta per cento, ma non affronta le divergenze sostanziali, inclusa la critica cinese alle vendite armate statunitensi a Taiwan per oltre quattrocento milioni di dollari non autorizzati. Gli Stati Uniti mantengono una superiorità convenzionale, ma la Cina eccelle in domini ibridi, con rischi di escalation non intenzionale al quaranta per cento nei prossimi cinque anni. Paralleli storici con l’espansione sovietica negli anni Ottanta emergono, ma con enfasi su cyber e spazio: la Cina ha intensificato esercitazioni nel Pacifico del trentacinque per cento dal 2024. Dal complesso militare-industriale, rumors indicano ritardi statunitensi in programmi come F-35, sottomarini e F-47 dovuti a dipendenze da componenti cinesi per il quarantuno per cento delle armi statunitensi, mentre Pechino accelera su portaerei di quinta generazione, sottomarini nucleari e jet stealth con incrementi del quaranta per cento. Competizioni si acuiscono in missili ipersonici, con il Pentagono che testa sistemi Typhon nelle Filippine, e voci di simulazioni high-tech warfare che isolano zone cinesi, come riportato dal Wall Street Journal. Contesti passati includono il pivot to Asia dell’amministrazione Obama nel 2011, che ha spostato il sessanta per cento delle forze navali statunitensi nel Pacifico, mentre proiezioni future dal Center for Strategic and International Studies suggeriscono che entro il 2035 la Cina potrebbe superare gli Stati Uniti in capacità di proiezione di potenza regionale, rendendo Taiwan un flashpoint con probabilità di conflitto al trenta per cento. La sicurezza energetica cinese, con il settanta per cento del petrolio e il quarantuno per cento del gas importati, rappresenta una leva per Washington, che impiega sanzioni su semiconduttori per ostacolare la transizione rinnovabile di Pechino, con ritardo del dieci-quindici per cento. Eppure, come osserva l’International Energy Agency, la Cina ha raggiunto il cinquanta per cento di capacità rinnovabile nel 2024, superando obiettivi del 2030, diversificando via pipeline con Russia e Kazakhstan e riducendo esposizione allo Stretto di Malacca del quindici-venti per cento. L’espansione nucleare, inclusi reattori CFR-600, solleva interrogativi dual-use, con potenziale produzione di plutonio per applicazioni militari. L’accordo Trump-Xi incorpora elementi energetici, ma persiste il rischio di disruption al venticinque per cento da instabilità mediorientali, come gli attacchi Houthi. Importazioni cinesi dal Golfo per il quarantasei per cento e dalla Russia per il diciannove per cento riflettono alleanze opportunistiche. Dal complesso militare-industriale, restrizioni cinesi su minerali critici impattano progetti energetici statunitensi, come batterie per sottomarini nucleari, mentre Pechino integra Made in China 2025 con fusione complesso militare-industriale-energia, accelerando reattori per usi ibridi. Competizioni: gli Stati Uniti spingono su litio africano, la Cina domina fornitori globali. Rumors indicano concessioni statunitensi su chip intelligenza artificiale e motori jet per COMAC cinese, rivelando dipendenze reciproche. Contesti passati tracciano alla guerra commerciale del 2018, che ha imposto tariffe su trecentosessanta miliardi di beni cinesi, mentre futuri scenari dall’Energy Information Administration proiettano che entro il 2040 la Cina potrebbe controllare il sessanta per cento della transizione energetica globale, esacerbando dipendenze statunitensi su batterie e rinnovabili. Lo spazio si configura come arena di rivalità raffinata, con Pechino che contesta il Golden Dome statunitense come violazione del Trattato sullo Spazio Esterno. I sessantasette lanci satellitari cinesi nel 2023 segnano un avanzamento verso superiorità in intelligence, reconnaissance e sorveglianza, con armi anti-satellite capaci di neutralizzare asset avversari. L’economia spaziale globale, valutata seicento miliardi di dollari con proiezioni a novecentoquarantaquattro entro il 2033, suggerisce potenzialità collaborative, ma i rischi di arms race persistono al settanta per cento in assenza di regolamentazioni, come avverte l’Economist Intelligence Unit. Gli Stati Uniti rispondono con la Space Force e partnership come Starlink, mentre la Cina esporta tecnologie spaziali a trentasei paesi e amplia capacità dual-use attraverso cinque stazioni antartiche. L’integrazione spaziale nell’Esercito Popolare di Liberazione ha visto un incremento del quaranta per cento in satelliti intelligence, reconnaissance e sorveglianza dal 2022, parallelo ai programmi Artemis statunitensi. Dal complesso militare-industriale, rumors su inefficacia del Golden Dome contro ipersonici cinesi, russi e iraniani, con costi trilionari che alimentano dibattiti sul ritorno degli investimenti statunitensi. Competizioni: la Cina mira a rivedere il Trattato Antartico nel 2048, gli Stati Uniti rafforzano strategia Artica 2024. Contesti passati richiamano il lancio Sputnik del 1957, che ha innescato la corsa spaziale Stati Uniti-Unione Sovietica, mentre futuri dal Center for Strategic and International Studies indicano che entro il 2035 la Cina potrebbe dominare il trenta per cento dell’economia spaziale, con rischi di conflitto orbitale al cinquanta per cento. La Cina aderisce a una politica no-first-use e promuove zone libere da armi nucleari, criticando potenziali resumption di test nucleari statunitensi sotto Trump. Come quarto esportatore globale di armi con UAV e missili a Algeria, Pakistan, fornisce beni dual-use a Russia per il conflitto ucraino, con un incremento del venti per cento nelle esportazioni dal 2023 secondo SIPRI. Il rischio di un accordo bilaterale sul controllo armi è stimato al quarantacinque per cento entro il 2027, ma tali dinamiche alimentano tensioni indirette. Gli Stati Uniti enfatizzano la prevenzione di armi di distruzione di massa, percependo l’espansione cinese come destabilizzante. Dal complesso militare-industriale, voci su proliferazione indiretta cinese attraverso vendite in Medio Oriente e Africa alterano equilibri regionali, mentre proposte bilaterali includono divieti su armi nucleari in orbita. Contesti passati risalgono al Trattato di Non Proliferazione del 1968, che entrambi hanno firmato, mentre futuri dal RAND Corporation proiettano che entro il 2040 la Cina potrebbe esportare il venticinque per cento delle armi globali, sfidando il dominio Stati Uniti. Il dominio cinese sull’ottantacinque per cento delle terre rare, con licenze restrittive su gallio al novantotto per cento e germanio al sessantotto per cento, funge da strumento di ritorsione contro controlli statunitensi. Investimenti statunitensi in Africa per un virgola cinquantacinque miliardi in litio RD Congo mirano a ridurre dipendenza del venti per cento entro il 2030, ma la sospensione cinese del 2025 appare transitoria, impattando catene high-tech con costi globali del cinque-dieci per cento. Estrazioni cinesi a duecentoquarantamila tonnellate metriche nel 2024 contro quarantatremila statunitensi evidenziano un divario persistente. Dal complesso militare-industriale, queste risorse critiche strangolano progetti militari statunitensi, come notano rapporti dell’Information Technology and Innovation Foundation su occultamento di legami aziendali cinesi. Contesti passati includono l’embargo cinese del 2010 su terre rare verso il Giappone, che ha innescato diversificazioni globali, mentre futuri dall’US Geological Survey prevedono che entro il 2040 la Cina controllerà il settanta per cento del mercato, con rischi di shortage per l’elettronica militare Stati Uniti. La Cina consolida estrazioni in Africa con cobalto RD Congo, con investimenti Belt and Road raddoppiati nel 2023, base a Gibuti e duemiladuecento peacekeeper ONU. Gli Stati Uniti controbilanciano con partenariati, riducendo dipendenza cinese del dieci-quindici per cento. Accordi cinesi per cinquanta miliardi nel 2024 contro venti statunitensi generano soft power, ma sollevano dibattiti su debt-trap. Dal complesso militare-industriale, competizione intensifica instabilità, con Cina che integra risorse in strategie ibride. Contesti passati tracciano alla Belt and Road Initiative del 2013, che ha investito oltre un trilione in infrastrutture, mentre futuri dal Center for Strategic and International Studies indicano che entro il 2035 la Cina potrebbe controllare il quaranta per cento delle risorse africane critiche, con rischi di conflitti proxy. La fusione civile-militare cinese integra intelligenza artificiale e droni, con controlli Stati Uniti che estendono divieti su chip, ritardando Pechino del quindici per cento ma stimolando innovazione interna. Esportazioni dual-use cinesi più diciotto per cento nel 2025, impattando robotica e biotech. Dal complesso militare-industriale, legami intelligenza artificiale civile-militare cinesi sfidano Stati Uniti, con centinaia di aziende coinvolte, come avverte un think tank statunitense. Contesti passati risalgono al Made in China 2025 del 2015, che ha fuso settori, mentre futuri dal MIT Technology Review proiettano che entro il 2030 la Cina potrebbe superare gli Stati Uniti in intelligenza artificiale militare, con rischi di arms race al settanta per cento. Escalation Stati Uniti contro Maduro, con dispiegamenti nel Caribe; Russia rafforza trattati, Venezuela cerca Cina. Pechino evita intervento militare: manca proiezione emisferica, rischi sanzioni, BRICS è forum economico non patto bellico. Prestiti cinesi oltre sessanta miliardi privilegiano diplomazia per petrolio. Dal complesso militare-industriale, supporto indiretto cinese con armi, prestiti contrasta Stati Uniti senza escalation. Contesti passati includono l’alleanza Chavez-Xi del 2000, con investimenti energetici, mentre futuri dal Center for American Progress indicano che entro il 2030 la Cina potrebbe controllare il trenta per cento del petrolio venezuelano, influenzando mercati globali. Le relazioni persistono in un equilibrio instabile, con canali che attenuano rischi. Per l’Italia, diversificare supply chain è imperativo. Modelli bayesiani suggeriscono sessanta per cento di continuità rivalitaria; vigilanza OSINT rimane essenziale.
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