Italia e il mondo

LA CAPANNA DELLO ZIO TOMAHAWKS_con Gianfranco Campa, Cesare Semovigo, Giuseppe Germinario

Una conversazione che vede poche buone nuove e molte notizie preoccupanti. Lo scontro politico all’interno del mondo Anglosassone è senza quartiere . Trump ha barattato mano libera nella politica interna lasciando ai rep-neocon ( ancora ) campo libero ?

Cosa ne pensate ? Rispondete nei commenti .

Un imperiale Gianfranco Campa intervistato da Semovigo e Germinario .

CONTRIBUITE!_La situazione finanziaria del sito è pressoché insostenibile per la quasi totale protratta assenza di sostegno finanziario

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:

– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;

– IBAN: IT30D3608105138261529861559

PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo

Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo

Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).

Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

https://rumble.com/v70sssm-la-capanna-dello-zio-tomahawks-con-gianfranco-campa-cesare-semovigo.html

Il tempo a prestito_di WS

L’ amico Ernesto porta sempre più  dei contributi molto complessi  che  superano  la  dimensione  del  semplice  “commento  disqus”  e che    meriterebbero  una  esposizione più estesa,  cosa  che Ernesto ha dimostrato  di poter  fare (  se lo  vuole, ovviamente)

Nel  suo commento   ad un mio contributo, Ernesto  ha   discusso  una   questione  molto importante : 

 Entro quanto  tempo  LORO ci “ucrainizzeranno” ?

E con  argomenti  validissimi che  condivido conclude   che  non  ce la faranno.

Ma  purtroppo   è   solo lì   che  loro cercheranno comunque  di portarci    spinti  dalla loro “ disperazione  strategica “   ,   perché  loro  hanno già      rotto  tutti  i ponti  possibili per uscire  dal pantano in cui  si sono  e ci hanno  cacciati .

  Quindi  io non sono  così “ottimista”  e    lo preciserò in modo  più articolato.

Innanzitutto  dico che  condivido   con   Ernesto  che  gli ci vorrà certamente del tempo a ” militarizzarci”  e    alle sue  giuste osservazioni ne aggiungo  un’ altra   a favore  del suo punto di vista.

 C’è  infatti  una differenza evidente  tra NATO-ucraina di oggi e la NATO-€uropa di domani. La NATO-ucraiana è tenuta a galla grazie a un trasferimento  annuo di denaro NOSTRO pari al 50% del PIL ucraino, ma chi , “da fuori” pagherebbe le spese per tenere a galla la NATO-€uropa ?

Ovviamente nessuno.

Allora   ”  siamo salvi”? 

Io  direi proprio per niente  se la vediamo invece dal punto di vista dei NATO-gauleiter €uropei. Cioè  valutando ciò che  essi temono , ciò  che  essi  sono stati chiamati a fare  e   che  cosa realmente  vogliono  dal “Conflitto  con la Russia”.

Vediamolo per punti

0) Essi se ne fregano dei popoli che “amministrano”! La loro unica preoccupazione è la stessa di “mister Ze”:  durare   ed incassare.

1) Il loro piano iniziale, quindi  quello  dei loro   “superiori”,  era   semplicemente   provocare la dissoluzione  della Russia. Questo “piano A” lo abbiamo già discusso  ed è sostanzialmente già fallito.

 2)  Questo   fallimento ha  già provocato un grave  contraccolpo  economico  e politico in €uropa  che essi ora  devono  gestire  anche   con  “le maniere  forti “

3) Alla lunga  le  “maniere forti”  devono  essere  giustificate   da  uno  stato di emergenza   sostenuto  da una incessante “narrazione “. La cosa è stata già collaudata  con l “emergenza  pandemica “,  per questo ora vogliono una  “ emergenza  di guerra “. Con  uno  stato di guerra permanente con la Russia , loro   possono facilmente tenerci sotto e farci  anche un bel gruzzoletto a nostre spese.

 4)Ma ovviamente  loro NON vogliono una guerra “totale”;   i nostri “amministratori”  hanno bisogno  solo  di una “guerra” lunga  e a bassa intensità  che non degeneri in una  “nuclearmente”  rapida.

Questo è il loro  “ pianoB” e   va benissimo anche ai loro “superiori”  che,  ricordiamolo, sempre hanno  bisogno  di un conflitto globale incentrato   in €uropa.

 5)Ed in questo  quali  sono i calcoli su cui   loro  si appoggiano ?  Semplice: puntano sulla   superiorità  di stazza  numerica  ed   economica  che l €uropa  , pur  declinante,  ancora  vanta  sulla Russia.

In pratica   essi  dicono : noi  collettivamente possiamo permetterci il  costo  di un “conflitto lungo”  con  la Russia  dove possiamo anche perdere all’anno qualche  centinaia  di MLD  e  migliaia di soldati .

  Per loro  l’ importante   è  tenere  sotto pressione la Russia  più a lungo possibile.  Alla Russia non deve  essere  concesso nulla; non concedendogli nulla  loro mantengono  lo stato di crisi con cui possono  “legalmente”  restare  al potere  e   gestire ” il   gregge “     secondo “l’ Agenda”  dei loro  padroni.

Ed a  questo punto,   l’ inevitabile  declino  economico-sociale   dell’€uropa   può  anche  essergli utile  per  fornirgli  le migliaia  di  volontari  “economici”  pronti a sostituire le perdite.

Daltronde  questa “Finis Europae”   era già stata  decisa da tempo  sotto varii pretesti   : pandemici, climatici,   immigrazionistici e  a quel  progetto “l’ emergenza  di  guerra” viene ancora meglio.

Ora ovviamente  tutto  questo è un calcolo sbagliato per  vari motivi. Ad  esempio ancora  essi sottovalutano   la  “resilienza”    della Russia   e sopravvalutano    quella  della NATO-€uropa;   ma   è sicuro  che  questo progetto  verrà perseguito perché   li farà   restare  più a lungo in sella  e  d’altronde  per restare  al potere  non hanno  un piano migliore.

Quindi , se non verranno  rimossi prima ( ma da CHI? )  loro non defletterano  e i  rischi  di una guerra nucleare in   EUROPA      cresceranno .   Così la  nostra rovina   potrebbe  pure  essere  anche  rapidamente  mortale, ma   se anche questo non succedesse    ci aspetta solo  una lunga  e  dolorosa discesa    agli inferi.

Da cui  non  escludo risalite  che   nella  Storia   talvolta  accadono   (  vedi Cina/ Russia).

  Ma  anche così  io   avrei preferito  evitare  il tutto. perché  quando il vento  tira   sono  gli stracci  che volano .


  Ma infine  , per rispondere  al quesito  di  Ernesto,  tutto  questo  QUANDO ? 

  Non lo so , viviamo  un “tempo a prestito”  e  quindi   consiglio  solo  di viverlo  finché   c’ è .

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:

– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;

– IBAN: IT30D3608105138261529861559

PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo

Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo

Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).

Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

I termini “teoria” e “dottrina” nelle scienze politiche_di Vladislav Sotirovic

I termini “teoria” e “dottrina” nelle scienze politiche

Le scienze politiche (politologia/politologia) sono una disciplina scientifica generale che studia la politica. Il termine “politica” era spesso definito come l’arte di governare lo Stato (dal greco antico polis – città-Stato), ma nel corso della storia è stato inteso e trattato in modo diverso come materia di studio. Inizialmente, la scienza politica come materia di studio era solo una parte della storia generale del pensiero filosofico, ma in seguito è diventata gradualmente indipendente sotto forma di storia delle dottrine politiche, storia della filosofia politica o filosofia sociale, pensiero filosofico statale e/o giuridico, e persino come storia delle teorie giuridiche, dato che l’arte di gestire uno Stato e i suoi cittadini si basa in gran parte sull’applicazione, l’interpretazione, la realizzazione e il rispetto delle norme giuridiche ufficiali (nonché sull’applicazione della legislazione giuridica non scritta ma tradizionale e delle sue norme socio-morali sulla base delle quali un determinato ambiente sociale ha vissuto e risolto le sue relazioni interpersonali per secoli).

Il termine “filosofia” nel suo significato è sufficientemente elaborato e conosciuto e si riduce essenzialmente all’“amore per la saggezza”, cioè alla conoscenza o alla conoscenza generale (scienza) dell’uomo, cioè della sua esistenza in questo mondo o nell’altro, nonché del mondo che lo circonda, compresa una vasta gamma di fenomeni sociali e naturali che influenzano l’esistenza dell’uomo. Tuttavia, il significato dei termini “teoria” e “dottrina” rimane in molti casi specifici di ricerca, almeno per quanto riguarda le scienze politiche, indefinito o, nella maggior parte dei casi, definito in modo poco chiaro o non accettato a livello generale (globale).

Il termine “teoria” ha origini greche antiche e, in senso generale, rappresenta una conoscenza generalmente accettata come tale. Tuttavia, tale conoscenza appare anche nella pratica in almeno tre forme:

1. Conoscenza teorica che non è (o non deve essere) direttamente correlata all’applicazione nella pratica;

2. Conoscenza scientifica, ovvero conoscenza ottenuta attraverso sistemi ufficiali di verifica e prova scientifica, e che come tale diventa formalmente provata e “generalmente riconosciuta” come conoscenza accurata (provata) (ovvero conoscenza del funzionamento di un determinato fenomeno);

3. Significato ipotetico (cioè un’affermazione che non è stata ancora provata, cioè “generalmente riconosciuta”, ma che è ampiamente applicata nella pratica così com’è).

A differenza del termine ‘teoria’, il termine “dottrina” in scienze politiche è generalmente prevalente tra i teorici e gli scrittori occidentali, ma soprattutto francesi, che si occupano di storia delle scienze economiche. Tuttavia, lo stesso termine “dottrina” nelle scienze politiche può assumere un significato completamente diverso in contesti diversi, ad esempio in riferimento alle azioni di politica estera delineate da uno Stato (ad esempio, la “Dottrina Bush” del 2001, che proclamava la politica “America First”). In ogni caso, i teorici francesi ritengono che nella storia della filosofia (politica ed economica) si debbano distinguere due tipi di pensiero:

1. Conoscenze scientifiche e leggi accuratamente stabilite e ufficialmente adottate (nel senso stretto del termine – provate) relative a un determinato fenomeno che è oggetto di un determinato studio – “teoria”;

2. Opinioni, comprensioni, interpretazioni o punti di vista di determinate persone che non sono ufficialmente stabiliti come “teorie scientifiche”, ma sono utilizzati come una sorta di direttiva per azioni politiche specifiche – “dottrina” o ‘ipotesi’, che sono più o meno istruzioni pratiche per un’azione specifica, ma non conoscenze scientificamente riconosciute ufficialmente come verità provata o sviluppo provato di un fenomeno (“teoria”).

Tuttavia, il termine “dottrina” è di origine latina e deriva dalle parole doceo, docere, doctus (insegnare, essere insegnato, conoscere). Tuttavia, questo termine latino ha originariamente diversi significati, come ad esempio:

1. Conoscenza teorica che non ha ancora ricevuto conferma scientifica ufficiale come verificata, cioè conoscenza provata nella vita pratica (questo punto è praticamente identico al punto 3 della suddetta presentazione del significato del termine “teoria”);

2. Conoscenza che è essenzialmente considerata vera, ma che in senso pratico è legata all’azione (politica o economica), cioè conoscenza che non è puramente teorica. In questo caso, è importante notare che la conoscenza teorica è considerata un fatto provato, mentre la dottrina implica una sorta di istruzioni per l’azione pratica o, in politica, un ordine di eseguire un determinato compito pratico al fine di risolvere un problema pratico.

3. Conoscenza scientifica, che coincide praticamente con i punti 1 e 2 della suddetta presentazione del significato del termine “teoria”.

Tuttavia, nella pratica della ricerca scientifica nelle scienze politiche, giuridiche ed economiche, “teoria” significa conoscenza comprovata (scientifica), mentre il termine “dottrina” si riferisce a conoscenze ancora non comprovate da un punto di vista puramente scientifico – ipotesi che, in sostanza, non devono essere necessariamente errate, ma che nella pratica non sono ancora state formalmente dimostrate come scientificamente corrette, cioè vere. Nelle scienze politiche, il termine “teoria” è usato nel senso più ampio del termine per indicare la conoscenza in senso generale: quindi, come conoscenza che è stata scientificamente verificata, ma anche come conoscenza che è ancora sotto forma di opinione ipotetica non provata o conoscenza che è fondamentalmente diretta all’attività pratica di un certo gruppo di persone.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex professore universitario

Ricercatore presso il Centro di studi geostrategici

Belgrado, Serbia

© Vladislav B. Sotirovic 2025

www.geostrategy.rs

sotirovic1967@gmail.com

Il  sito Italia e il Mondo non riceve finanziamenti pubblici o pubblicitari. Se vuoi aiutarci a coprire le spese di gestione (circa 4.000 € all’anno), ecco come puoi contribuire:

– Postepay Evolution: Giuseppe Germinario – 5333171135855704;

– IBAN: IT30D3608105138261529861559

PayPal: PayPal.Me/italiaeilmondo

Tipeee: https://it.tipeee.com/italiaeilmondo

Puoi impostare un contributo mensile a partire da soli 2€! (PayPal trattiene 0,52€ di commissione per transazione).

Contatti: italiaeilmondo@gmail.com – x.com: @italiaeilmondo – Telegram: https://t.me/italiaeilmondo2 – Italiaeilmondo – LinkedIn: /giuseppe-germinario-2b804373

The Terms “Theory” and “Doctrine” in Political Science

Political science (politology/politologia) is a general scientific discipline of politics. The term “politics” was most often defined as the art of managing the state (ancient Greek polis – city-state), but it was understood and treated differently as a subject over the course of history. Initially, political science as a subject was only part of the general history of philosophical thought, but later it gradually became independent in the form of the history of political doctrines, the history of political philosophy or social philosophy, state and/or legal philosophical thought, and even as the history of legal theories, given that the art of managing a state and its citizens is largely based on the application, interpretation, realization, and respect for official legal norms (as well as on the application of unwritten but traditional legal legislation and its socio-moral norms based on which a certain social environment has lived and resolved its interpersonal relations for centuries).

The term “philosophy” in its meaning is sufficiently elaborated and known and essentially boils down to “love of wisdom”, i.e., knowledge or general knowledge (science) about man, i.e., his existence either in this world or the next, as well as the world around him, including a wide range of social and natural phenomena that influence man’s existence. However, the meaning of the terms “theory” and “doctrine” remains in many specific research cases, at least as far as political science is concerned, undefined or, in most cases, unclearly defined or not accepted at some general (global) level.

The term “theory” is of ancient Greek origin and, in a general sense, represents knowledge that is generally accepted as such. However, such knowledge also appears in practice in at least three forms:

1. Theoretical knowledge that is not (or does not need to be) directly related to application in practice;

2. Scientific knowledge, i.e., knowledge obtained through official systems of scientific verification and proof, and which as such becomes formally proven and “generally recognized” as accurate (proven) knowledge (i.e., knowledge of the functioning of a certain phenomenon);

3. Hypothetical meaning (i.e., a statement that has not yet been proven, i.e., “generally recognized”, but is widely applied in practice as it is).

In contrast to the term “theory”, the term “doctrine” in political science is generally prevalent among Western, but especially French, theorists and writers who deal with the history of economic science. However, the same term “doctrine” in political science can mean a completely different context in terms of, for example, the outlined foreign policy actions of a state (e.g., the “Bush Doctrine” of 2001, which proclaimed the “America First” policy). In any case, French theorists believe that in the history of (political and economic) philosophy, two types of thought should be distinguished:

  1. Accurately established and officially adopted (in the strict sense of the word – proven) scientific knowledge and laws relating to a certain phenomenon that is the object of a certain study – “theory”;

2.  Views, understandings, interpretations, or opinions of certain persons that are not officially established as “scientific theories” but are used as a kind of directive for specific political actions – “doctrine” or “hypotheses”, which are more or less practical instructions for a specific action but not officially scientifically recognized knowledge of proven truth or proven development of phenomenon (“theory”).

Nevertheless, the term “doctrine” is of Latin origin and comes from the words doceo, docere, doctus (to teach, to be taught, to know). However, this Latin term originally has several meanings, such as:

1. Theoretical knowledge that has not yet received official scientific confirmation as verified, i.e., proven knowledge in practical life (this item is practically identical to point 3 from the above-mentioned presentation of the meaning of the term “theory”);

2. Knowledge that is essentially considered true, but is in a practical sense related to action (political or economic), i.e., knowledge that is not purely theoretical. In this case, it is important to note that theoretical knowledge is considered proven facts, while doctrine implies some kind of instructions for practical action or, in politics, an order to perform a certain practical task in order to solve a practical problem.

3. Scientific knowledge, which practically coincides with points 1 and 2 from the above-mentioned presentation of the meaning of the term “theory”.

However, in the practice of scientific research in political, legal, and economic sciences, “theory” means proven (scientific) knowledge, while the term “doctrine” refers to still unproven knowledge from a purely scientific point of view – assumptions, which in essence do not have to be incorrect but in practice have not yet been formally proven as scientifically correct, i.e. true. In political science, the term “theory” is used in the broadest sense of the word for knowledge in a general sense: therefore, as knowledge that has been scientifically verified, but also as knowledge that is still in the form of use as an unproven hypothetical opinion or knowledge that is basically directed at the practical activity of a certain group of people.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex-University Professor

Research Fellow at Centre for Geostrategic Studies

Belgrade, Serbia

© Vladislav B. Sotirovic 2025

www.geostrategy.rs

sotirovic1967@gmail.com

Sociologia della povertà, autori e teorie, di Francesco Caliò

Sociologia della povertà, autori e teorie

By

Sociologicamente

16 Ottobre 2025

  • https://www.facebook.com/plugins/like.php?href=https://sociologicamente.it/sociologia-della-poverta-autori-e-teorie/&layout=button_count&show_faces=false&width=105&action=like&colorscheme=light&height=21
  • https://platform.twitter.com/widgets/tweet_button.2f70fb173b9000da126c79afe2098f02.en.html#dnt=false&id=twitter-widget-0&lang=en&original_referer=https%3A%2F%2Fsociologicamente.it%2Fsociologia-della-poverta-autori-e-teorie%2F&size=m&text=Sociologia%20della%20povert%C3%A0%2C%20autori%20e%20teorie&time=1760954952727&type=share&url=https%3A%2F%2Fsociologicamente.it%2Fsociologia-della-poverta-autori-e-teorie%2F

Oggi più che mai la povertà assume drammaticamente una valenza pervasiva, e nonostante lo sviluppo tecnico tumultuoso a cui si assiste, essa non arretra minimamente, anzi proprio grazie a quella che viene identificata come iper-tecnica della società post moderna, che essa si moltiplica in una modalità incontrollata. Il tutto ovviamente reso possibile da un neoliberismo sfrenato e da un totale cedimento politico verso oligarchie finanziarie, le quali generano sia nel presente che in prospettiva, un nuovo modello sociale, ristretto e per pochi. Cosa è la povertà? Chi sono i poveri? Come reagisce e come interagisce la società con il fenomeno? Questi sono solo alcuni aspetti studiati da quella particolare disciplina conosciuta come sociologia della povertà, che tenta anche portandosi dietro non poche antipatie, di dare risposte, spesso mal accette dal potere.

Difatti, la povertà è sempre esistita, ma è con la rivoluzione industriale che essa assurge a fenomeno sociale, una vera questione sociale derivante dalle relazioni tra il capitalismo e lo sfruttamento sociale, meritevole di indagini sociologiche e di attenzioni politiche, quest’ultime in realtà purtroppo contenute soltanto in movimenti che hanno sempre avuto al centro del loro interesse la strutturazione di uno stato sociale. Insomma, la lotta alla povertà non è un primato per tutti, ma sconta senza dubbio l’agire reazionario di quella parte di potere che si riconosce in quelle posizioni di Thatcheriana memoria, non esiste la società, non esistono le classi sociali, esiste solo l’uomo.

Indice

La sociologia della povertà in Marx

Tra i classici del pensiero che è utile mensionare per gli studi di sociologia della povertà si può annoverare senza dubbio Karl Marx (come ci ricorda lucidamente Umberto Galimberti nel suo I miti di oggi) che nelle sue previsioni sulla deriva capitalistica ha errato solo per difetto. E se per decenni persino nel mondo accademico era relegato a mero ornamento obsoleto, in questi tempi torna, anzi ritorna prepotentemente attuale, non è un caso che in alcuni ambienti quando riecheggia il suo nome, sembra che aleggino gli spettri.

Marx inquadra la povertà come prodotto delle diseguaglianze economiche e sociali. Il capitalismo infatti nel suo sviluppo non può non avere come effetto diretto e antagonista l’impoverimento delle masse e la contestuale centralizzazione della ricchezza nelle mani di pochi. Fotografia che non è affatto distante dal quadro economico e geopolitico a cui assistiamo oggi. La globalizzazione ha smarcato lo sfruttamento pseudolegale della forza lavoro (esattamente come una catena di montaggio che aliena gli operatori ad essa addetti), cosi il fenomeno ha reso ininfluenti le opinioni dei lavoratori anche se organizzati in movimenti o sindacati.

La deflagrazione lavoristica e sociale

Karl Marx
Karl Marx

La frammentazione stessa del lavoro e la relativa perdita di d’identità del lavoratore ha sancito quella che viene chiamata deflagrazione lavoristica e sociale. Ora, per quanto non tutto quello che Marx ha teorizzato si è verificato, non c’è dubbio che l’esplosione delle diseguaglianze sociali siano da collegare direttamente e indiscutibilmente al vero volto del capitalismo, senza maschera e privo di ogni forma di eticità politica, sociale e culturale. Manca totalmente quel principio tanto caro a Hans Jonas, la responsabilità come guida etica, in quest’ottica in problema non è il capitalismo bensì l’etica che dovrebbe guidarlo, indirizzarlo. Un esempio storico mai dimenticato fu quello di Adriano Olivetti, sintesi perfetta di un capitalismo a misura collettiva, lavoristica, urbana e di welfare.

La sociologia della povertà in Simmel e Foucault

Georg Simmel da parte sua, ha posto l’attenzione invece sulla relazione sociale, dove il povero non è posto al di fuori della società, bensì ne è parte integrante in una relazione di dipendenza, positiva o negativa. In un certo senso è un fuori nel dentro il contesto sociale. Il povero è identificato come uomo marginale, non è un caso che lo studioso lo tratta insieme al migrante e allo straniero. Gli studi sull’uomo marginale saranno oggetto di analisi da parte della scuola di Chicago nei primi anni 20 del novecento.

Michel Foucault è utile per la sociologia della povertà poiché si concentra sia sulle politiche assistenziali utilizzate per combattere la povertà, ma anche sulla relazione di potere, essa è una costruzione sociale, un meccanismo che determina chi è incluso e chi è escluso dalla società. La povertà è dunque un fattore che genera fastidio, un fastidio aggiunge lo studioso, spesso voluto, provocato, esposto agli occhi sociali della cd società del benessere, sta lì fisso come un faro, una presenza costante quasi a ricordarci che la povertà è volutamente prodotta non dal povero ma dal sistema. Una delle sue opere, La follia nell’età classica, affonda l’analisi su come veniva vista la follia, e in particolare ne viene descritto il processo di segregazione e criminalizzazione del fenomeno, che trova purtroppo profondità proprio in contesti di alta povertà e miseria. 

La sociologia della povertà in Bourdieu e Bauman

Pierre Bourdieu invece, focalizza l’attenzione sulla miseria di posizione, invero, la stessa distinzione tra povertà e miseria assume dei contorni stratificati, di esclusione all’accesso di tutte quelle potenziali opportunità che si collocano all’interno delle relazioni sociali. L’analisi è quindi orientata verso i ceti popolari, che sono depotenziati proprio nella loro dignità umana, nella perdita del rispetto del se e della propria autonomia individuale. L’immiserimento nasce da una serie di variabili, lavoristici, smantellamento del welfare, esclusione sociale, classismo della scuola e abbandono da parte delle istituzioni delle periferie urbane.

Anche Zigmunt Bauman ha contribuito alla sociologia della povertà. Il teorico della società liquida infatti, intravede il senso della povertà legata alla società del consumo, laddove essa non si palesa soltanto con la mancanza di mezzi di sostentamento, bensì è proprio l’impossibilità a partecipare al consumo stesso. In questa prospettiva, è’ il consumo che formatta la società, la soddisfazione dei bisogni e la relativa non soddisfazione degli stessi, non sono scelte in capo all’individuo, che ha perso la propria soggettività, ma in capo al sistema, che sceglie, impone, decide persino che cosa è l’essere umano stesso, tanto che, la povertà è stabilita dai livelli di consumo.

Il sistema così strutturato decide chi è povero, riuscendo a far evaporare e banalizzare le criticità di intere filiere dello Stato apparato, lo sfacelo della sanità per esempio è illuminante, se paghi ti curi altrimenti muori, se non è questa una prova dell’esistenza delle classi sociali e di come persino le istituzioni vengono curvate per interessi privatistici è quanto meno plausibile che il fenomeno sia assiomatico, e paradossalmente, anche il malaffare si fa liquido e dilagante.        

La povertà come processo di degradazione sociale

Il fenomeno di cui si sta discutendo è da molti studiosi di sociologia della povertà inquadrato come un vero e proprio processo, essa infatti ne è l’output, il risultato finale, che risulta essere composito e complesso. Deve essere chiarito che la povertà oltre ad essere un risultato è anche un catalizzatore di degrado, i due fattori infatti sono interconnessi e osmotici. Storicamente si può fare riferimento proprio al caso inglese, esso infatti rappresenta un vero e proprio laboratorio sociale, essendo stata l’Inghilterra la culla della rivoluzione industriale, essa fotografa il passaggio della povertà tra pauperismo e proletarizzazione, difatti il venir meno del lavoro contadino e il riversamento di masse di uomini nelle città provocò la devastazione delle campagne e paradossalmente la perdita d’identità degli stessi contadini.

Essere poveri oggi: tra miseria e aspettative sociali
APPROFONDISCI CON “Essere poveri oggi: tra miseria e aspettative sociali” di Stefano Ghilardi

La classe povera divenne sempre più povera e sfruttata con il risultato che moltissimi di loro passarono dal lavoro agricolo al vagabondaggio e alla delinquenza da strada, tanto che, furono emanate delle normative dirette a colpire proprio coloro i quali facevano esperienza di tale portata, quasi a voler sancire che l’essere povero era un atto volontario e consapevole, doloso insomma, un’idea presente anche oggi. In non pochi territori dell’Europa continentale fu persino vietata la raccolta della legna caduta e secca, rimane storica la metafora di Marx a riguardo, paragonando la legna secca alla pelle morta del serpente circa il suo basso valore, contrapponendola alla vegetazione viva, il paragone si indirizza nella identificazione tra la classe povera e quella ricca. Era un modo per sancire che i poveri in quanto dediti alla criminalità, non erano meritevoli nemmeno di quello che la natura poteva concedergli come semplici raccoglitori.  

Essere poveri è una colpa? sociologia di un mitema

Il passaggio, dall’essere poveri veicolati da cause esterne ed estranee, a quello di status colpevolmente acquisito, raggiunge il suo apice nelle politiche neoliberiste, e in quella particolare visione che non solo non esiste la società, ma nemmeno le classi sociali. Questa tipizzazione nefasta purtroppo è imperante proprio nei nostri tempi, con un ritorno a passate e oscure idee, nazionaliste, sovraniste, di disconoscimento delle differenze etniche e culturali, e le guerre in corso ne rappresentano l’emblema (non è un caso che si bruciano immense risorse pubbliche in armi a scapito delle politiche sociali), il sigillo.

Il mutamento dell’atteggiamento sociale verso i poveri è una vera e propria politica, oggetto d’indagine particolare della sociologia della povertà, che sembra pervada anche una parte del tessuto sociale o almeno di quella parte di elettorato che si identifica con quelle visioni politiche che si traducono in pratiche governative negazioniste tanto in voga oggi, e non solo in Italia. E’ cosi, nel mentre si nega che i salari sono statici con relativa perdita del potere d’acquisto, allo stesso tempo si assiste a proclami comunicativi unidirezionali, che fotografano realtà produttive e indici di benessere inesistenti. Si palesa un vero e proprio orientamento punitivo verso i poveri e verso la povertà, un processo questo che si attiva attraverso tre forme.

Le forme dell’orientamento punitivo verso la povertà

  • Una prima forma è legata all’espansione delle politiche pubbliche di sicurezza sociale, intese non come politiche sociali in senso stretto ma come mantenimento dell’ordine pubblico. Paradossalmente nel venir meno del welfare, cresce l’orientamento securitario con slogan tanto miseri quanto utopici (tipo tolleranza zero o similari).
  • Vi è poi quello che viene definito il populismo penale, ovvero la tendenza ad enfatizzare l’azione penale verso la micro criminalità o verso reati a spinta di sopravvivenza, mentre contestualmente si decriminalizza il comportamento criminoso politico-burocratico che fu a fine anni 70 ben inquadrato da Massimo Severo Giannini (Il Rapporto sulle disfunzioni della pubblica amministrazione presentato alle camere nel 1979 qualificò il mostruoso connubio tra politica e amministrazione).
  • Il cerchio viene chiuso con la soggettivizzazione delle norme penali, per cui lo status di deviante viene ascritto a coloro i quali appartengono o determinate categorie (rom, migranti, poveri, senzatetto), e non a coloro i quali compiono il reato, ciò in aperto contrasto con il dettame costituzionale, per cui si viene puniti, identificati, per quello che si è ma non per quello che si è commesso.

Il parlamento italiano stesso è oggi composto da decine di soggetti che a vario titolo hanno a loro carico o inchieste in corso o persino precedenti penali, come dire, se sei povero hai la certezza della pena, se non lo sei può godere dei privilegi d’ancien regime. In una recente intervento Nicola Gratteri (“Cultura della legalità e partenariato tra pubblico e privato per l’inclusione sociale dei detenuti: la provincia di Caserta come nuovo modello di sviluppo internazionale”), ha palesato proprio il fatto che le carceri sono pieni di soggetti che appartengono proprio alle categorie sopra citate, quelli che commettono piccoli reati (trasgressori comuni) creando il sovraffollamento, il più alto d’Europa.              

I dati non mentono, i media….

L’Istat ci restituisce ad oggi un quadro desolante, e per quanto si possano negare e mascherare le informazioni reali sull’economia e su come il tessuto socio economico sopravvive, alcuni fondamentali dati non lasciano dubbi. Circa 11 milioni di persone sono a rischio povertà, 5,7 milioni versano in condizioni di povertà assoluta, dati che riflettono la cruda realtà. E se è pur vero che vi è stato un incremento dei contratti di lavoro, e altrettanto vero che si tratta in massima parte di lavori precari (somministrati, determinati, collaborazioni coordinate e continuative, partite iva, etc.). Nel 2024 circa 6 milioni di individui hanno rinunciato alle cure (esami diagnostici, visite specialistiche), vuoi per i tempi di attesa improponibili (salvo recarsi in strutture private a pagamento o in strutture pubbliche in regime intramoenia), vuoi per costi elevati da sopportare.

Non ho e quindi non esisto: i problemi economici che non fanno più notizia
APPROFONDISCI CON “Non ho e quindi non esisto: i problemi economici che non fanno più notizia” di Gianni Broggi

Persino il settore della cultura risulta sotto attacco, con una proiezione spinta verso istituzioni universitari privati a danno di quelli pubblici e con una tendenza a voler restringere il diritto allo studio in senso reazionario. Ogni ambito sociale registra un impoverimento di risorse ad esso assegnate, mentre al contrario l’unico settore che esplode di profitti è quello bellico, ma si sa, i morti non votano e i poveri e le classi meno abbienti non hanno voce e la narcotizzazione sociale rappresenta lo strumento ideale del potere.   

Qualche nozione importante di povertà

Ci si immagina il povero come una persona in condizioni di estrema indigenza, che non è in grado nemmeno di procacciarsi i beni di prima necessità, avulso da ogni legame produttivo e non in grado di avere un’esistenza dignitosa. Questa è quella che i sociologici chiamano la povertà assoluta (mancanza delle risorse utili e necessarie per soddisfare i bisogni umani fondamentali). Vi è anche una povertà relativa, che è quella che si rapporta all’ambiente sociale in cui si vive. In sostanza, il povero, in questa prospettiva è colui che pur potendo soddisfare i bisogni primari non è in grado di raggiungere quelle condizioni di soglia che sono tipiche della società di appartenenza (si parla infatti di soglia di povertà). L’indice utilizzato è definito ISPL (International Standard of Poverty Line), in sostanza, viene classificato povero una persona il cui reddito non supera la metà di quello nazionale procapite.

Nel tempo di oggi, con una società frammentata, liquida, con pochissime certezze sociali e lavoristiche, emerge anche il concetto di povertà fluttuante. Si tratta di persone che pur conducendo una vita dignitosa, tuttavia non riescono a raggiungere il tenore di vita medio della società di appartenenza (salari bassi, occupazione precaria, residenza in territori economicamente asfittici, rendono impraticabile la soddisfazione di bisogni superiori). Sin qui, una visione della povertà mono dimensionale, ma oggi ci si indirizza anche verso un modello di analisi multidimensionale. In sostanza, non pesa solo il reddito, l’aspetto economico, bensì l’intero parametro della qualità globale della vita, e l’uso che viene fatto dei beni e le scelte possibili. In questa diagonale contano anche la mancanza di salute, di libertà politica e di istruzione. Quindi al peggioramento di questi fattori viene legata in causa ed effetto la povertà.    

Francesco Caliò

Riferimenti