Italia e il mondo

Cose bulgare in Moldova_di Cesare Semovigo

L’ultima tornata elettorale in Moldavia rappresenta, più che un semplice appuntamento democratico, un inquietante capitolo di una democrazia ormai di facciata, segnata da una serie impressionante di irregolarità e repressioni che mettono in discussione la legittimità stessa del processo elettorale. Otto partiti sono stati illegalmente esclusi dal voto, due sono stati espulsi dai blocchi un solo giorno prima delle elezioni, mentre sei leader dell’opposizione sono rinchiusi in carcere con accuse palesemente inventate e tre esponenti politici dell’opposizione sono stati assassinati nel corso degli ultimi anni[articolo a mia firma]. A ciò si aggiungono misure di censura estesa: tutti i canali televisivi dell’opposizione sono stati chiusi e oltre 260 canali Telegram – fondamentali nella comunicazione politica moderna – bloccati. Perfino agli osservatori elettorali provenienti da Russia e Bielorussia è stato negato l’ingresso nel Paese, rappresentando una violazione grave del diritto internazionale relativo al controllo elettorale[articolo a mia firma].

Le condizioni di voto nella regione separatista della Transnistria hanno raggiunto il paradosso: nonostante vi risiedano circa 200.000 elettori, sono state stampate appena 13.000 schede per questa zona e sono stati allestiti soltanto sei seggi – peraltro in luoghi inaccessibili ai residenti – mentre la diaspora moldava in Europa ha potuto votare con facilità, ospitando centinaia di seggi e privilegi burocratici. In Russia, con un numero di cittadini moldavi simile a quello in Europa, i seggi aperti sono stati centoventi volte meno rispetto ai paesi europei. Inoltre, il voto postale è stato totalmente escluso dalla Russia.

Questi dati, uniti a una vittoria elettorale del Partito d’Azione e Solidarietà di Maia Sandu con numeri troppo alti rispetto agli stessi sondaggi, sollevano dubbi più che legittimi su un risultato che alcuni hanno definito sospetto, quasi irrealistico anche rispetto alle migliori previsioni. Questi segnali torbidi riflettono una Moldavia che, dietro la parvenza di una democrazia liberale, si sta trasformando in una “non-democrazia” e in un regime autoritario mascherato, come mostrato anche dalle ingenti somme di fondi internazionali – dall’USAID ai vari network ONG “arancioni” e filo-occidentali – che sostengono in modo impressionante e sistematico la campagna filo-europea .

Analogo discorso riguarda la Romania, che ha visto in passato crescere investimenti di organizzazioni e fondi occidentali destinati a plasmare la società civile secondo modelli ideologici ben precisi, in coincidenza con un significativo rafforzamento NATO e un’erosione della sovranità interna.

Non è casuale che queste tensioni elettorali si svolgano nello stesso momento in cui il riarmo militare in Moldavia e Romania diventi sempre più evidente. La presenza militare straniera è oramai una costante: in Moldavia, basi e avamposti francesi, britannici e di altri Stati membri sono presenti nelle regioni di confine, un chiaro segno di come la NATO stia lentamente colonizzando un paese formalmente neutrale, sfruttandolo come piattaforma logistica e militare nell’attuale confronto con Mosca. La presidente Maia Sandu, noncurante del malcontento popolare, insiste sull’idea di un ingresso pieno della Moldavia nella NATO, benché sondaggi e realtà politiche interne indichino una profonda frattura con l’opinione pubblica.

La Romania, invece, funge da principale “testa di ponte” occidentale nell’area, ospitando importanti basi della NATO come quella di Mihail Kogălniceanu, cruciali per il dispiegamento di mezzi, tecnologie e forze aeree – dagli F-35 alle unità missilistiche operative – rivolte a contrastare la Russia. 

Le esercitazioni militari sono diventate un evento permanente e ancor più massiccio: la manovra Sea Shield nel Mar Nero ha coinvolto migliaia di soldati di una dozzina di paesi, mettendo in campo capacità offensive di terra, aria e mare, chiaramente orientate a uno scenario di guerra prolungata. Le parole del premier Ilie Bolojan e di alti funzionari NATO sono emblematiche della subordinazione totale di Bucarest agli interessi americani, con accenti espliciti sul ruolo di baluardo strategico, “per garantire una pace duratura” ma più verosimilmente per preparare uno scontro reale.

Parallelamente, lungo il confine orientale, da mesi si registra un’escalation inquietante di provocazioni tecnologiche e militari: almeno 120 sconfinamenti di droni e velivoli NATO nello spazio aereo russo sono stati documentati, con episodi concentrati soprattutto in Polonia e nei Paesi Baltici. Sorvoli illegali di droni armati, alcuni abbattuti, altri capaci di eludere le difese, alimentano una costante tensione che rischia di trasformarsi in incidente militare di grave portata. Le incursioni aeree e le manovre di spionaggio sono ormai una prassi, che contribuisce a rafforzare una retorica dove la minaccia russa è usata come giustificazione per un continuo aumento militare, alimentando così la spirale di escalation.

In questo scenario fortemente militarizzato e politicamente manipolato emerge l’amara ironia di una “Europa” che si proclama garante di pace e democrazia, ma che sta accelerando in modo febbrile verso una guerra che – come documentato in numerosi studi e analisi – potrebbe scoppiare apertamente tra il 2027 e il 2029. A questo si aggiunge un ritardo  tecnologico inquietante che sembra scomparso dalle riflessioni degli analisti , quasi a negarlo : il recente successo russo nel lancio di un missile antisatellite ipersonico.

 Il Monito Ipersonico: Il Missile Antisatellite Russo

In questo contesto di follia bellicista, spicca per paradosso una realtà che dovrebbe suggerire prudenza: il successo del recente lancio russo di un missile antisatellite ipersonico. Questo sistema, evoluzione avanzata dei precedenti missili Nudol DA-ASAT, ha la capacità di distruggere satelliti in orbita bassa, un dominio strategico fondamentale per il comando, controllo e intelligence occidentale .

È una manifestazione di superiorità che arriva in un momento non casuale  che pone sotto accusa non solo le ambizioni occidentali di dominio militare, ma la stessa sicurezza dello spazio condiviso. Il fatto che questa svolta tecnologica sia stata praticamente ignorata dalle istituzioni europee e dagli ambienti militari occidentali è il segno più evidente di una cecità strategica e di distacco sempre più evidente per la realtà .

Questa innovazione militare russa, anche se compensata dalla capacità statunitense di lancio di grappoli di satelliti e dallo sviluppo di tecnologie laser specie cinesi, non solo dimostra una relativa superiorità tecnologica significativa, ma produce anche un gran numero di detriti spaziali che minacciano la sicurezza di tutte le attività spaziali civili e militari, mettendo a rischio qualsiasi cosa voli a 33.000 km/h sulle nostre teste .

Mentre la Russia consolida una postura difensiva-spaziale d’avanguardia, l’Occidente rincorre una follia strategica che vede addirittura come “inevitabile” un conflitto distruttivo, persino dopo decenni di retorica pacifista e diplomatica.

Tutta questa situazione getta luce su una nuova forma di sopraffazione: quella che chiamo “non-democrazia centralizzata”, un sistema che sottrae potere e sovranità ai popoli in nome di un ordine globalizzato, tecnocratico e militarizzato, dove la Moldavia e la Romania non sono altro che frontiere avanzate di un disegno geopolitico privo di una visione rappresentativa . Il modello  rappresenta questo inquietante futuro, nel quale l’autonomia degli Stati finisce agli archivi della storia e l’Europa si avvia – in maniera schizofrenica e autolesionista – verso un conflitto pericoloso dagli esiti imprevedibili.

Cesare Semovigo, italiaeilmondo.com

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Testo completo del “Piano di pace” di Trump per Gaza

Testo completo del “Piano di pace” di Trump per Gaza

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30 settembre 2025 4 minuti

Benjamin Netanyahu ha già rettificato quanto dichiarato da Trump sulla costruzione di uno stato palestinese. Intanto riemergono nuovi attori con Netanyahu che inizia a perdere l’esclusiva_Giuseppe Germinario

Lunedì 29 settembre, alla Casa Bianca, Donald Trump ha presentato le sue proposte per un piano di pace per la Striscia di Gaza, in vista di una dichiarazione congiunta con Benjamin Netanyahu.

Trasmesso su diversi media internazionali , questo progetto ha ricevuto l’approvazione del Primo Ministro israeliano.

Ecco la traduzione del piano in 20 punti per porre fine alla guerra a Gaza:

1-Gaza sarà una zona deradicalizzata, libera dal terrorismo e non rappresenterà una minaccia per i suoi vicini.

2-Gaza verrà riqualificata a beneficio della popolazione di Gaza, che ha già sofferto abbastanza.

3- Se entrambe le parti accettano questa proposta, la guerra terminerà immediatamente. Le forze israeliane si ritireranno sulla linea concordata per preparare il rilascio degli ostaggi. Durante questo periodo, tutte le operazioni militari, compresi i bombardamenti aerei e di artiglieria, saranno sospese e le linee del fronte rimarranno congelate fino a quando non saranno soddisfatte le condizioni per un ritiro completo e graduale.

4- Entro 72 ore dall’accettazione pubblica del presente accordo da parte di Israele, tutti gli ostaggi, vivi o deceduti, saranno restituiti.

5- Una volta rilasciati tutti gli ostaggi, Israele rilascerà 250 ergastolani e 1.700 cittadini di Gaza detenuti dopo il 7 ottobre 2023, comprese tutte le donne e i bambini detenuti in questo contesto. Per ogni ostaggio israeliano le cui spoglie saranno restituite, Israele rilascerà le spoglie di 15 cittadini di Gaza deceduti.

6- Una volta che tutti gli ostaggi saranno stati restituiti, ai membri di Hamas che si impegneranno per la coesistenza pacifica e il disarmo verrà concessa l’amnistia. A coloro che desiderano lasciare Gaza verrà garantito un passaggio sicuro verso i paesi ospitanti.

7- Una volta accettato il presente accordo, tutti gli aiuti saranno immediatamente inviati alla Striscia di Gaza. Come minimo, i volumi di aiuti corrisponderanno a quelli previsti dall’accordo del 19 gennaio 2025 sugli aiuti umanitari, compresa la riabilitazione delle infrastrutture (acqua, elettricità, fognature), degli ospedali e dei panifici, nonché l’invio delle attrezzature necessarie per la pulizia e la riapertura delle strade.

8- L’ingresso e la distribuzione degli aiuti nella Striscia di Gaza saranno effettuati senza interferenze da entrambe le parti, attraverso le Nazioni Unite e le sue agenzie, nonché la Mezzaluna Rossa e altre istituzioni internazionali neutrali. L’apertura del valico di Rafah in entrambe le direzioni seguirà lo stesso meccanismo stabilito dall’accordo del 19 gennaio 2025.

9-Gaza sarà amministrata da una governance transitoria temporanea affidata a un comitato palestinese tecnocratico e apolitico, incaricato della gestione quotidiana dei servizi pubblici e dei comuni. Questo comitato sarà composto da palestinesi qualificati ed esperti internazionali, supervisionato da un nuovo organismo internazionale di transizione, il “Consiglio per la Pace”, presieduto da Donald J. Trump, con altri membri e capi di Stato da annunciare, tra cui l’ex Primo Ministro Tony Blair. Questo organismo definirà il quadro e gestirà il finanziamento della ricostruzione di Gaza fino a quando l’Autorità Nazionale Palestinese non avrà completato il suo programma di riforme, come previsto in diverse proposte, tra cui il piano di pace di Trump del 2020 e la proposta franco-saudita, e sarà in grado di riprendere effettivamente il controllo di Gaza.

10- Verrà elaborato un piano di sviluppo economico guidato da Trump per ricostruire e rivitalizzare Gaza, con un gruppo di esperti che hanno contribuito alla creazione di città moderne e prospere in Medio Oriente. Le proposte di investimento e le idee di sviluppo esistenti saranno integrate per attrarre e facilitare investimenti che creino posti di lavoro, opportunità e speranza per il futuro di Gaza.

11-Sarà creata una zona economica speciale con tariffe preferenziali e accordi di accesso negoziati con i paesi partecipanti.

12- Nessuno sarà costretto a lasciare Gaza e coloro che lo desiderano saranno liberi di farlo e di tornare. L’obiettivo è incoraggiare i residenti a rimanere e costruire una Gaza migliore.

13- Hamas e altre fazioni si impegnano a non avere alcun ruolo nella governance di Gaza, direttamente o indirettamente. Tutte le infrastrutture militari, terroristiche e offensive, compresi tunnel e fabbriche di armi, saranno distrutte e non potranno essere ricostruite. Sarà attuato un processo di smilitarizzazione, supervisionato da osservatori indipendenti, per rendere le armi permanentemente inutilizzabili, con un programma di riacquisto e reintegrazione finanziato a livello internazionale, verificato da questi osservatori.

14-I partner regionali garantiranno che Hamas e le sue fazioni rispettino i propri obblighi e che la “nuova Gaza” non rappresenti una minaccia per i suoi vicini o per la sua popolazione.

15- Gli Stati Uniti collaboreranno con i partner arabi e internazionali per istituire una Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) temporanea da dispiegare immediatamente a Gaza. L’ISF addestrerà e supporterà determinate forze di polizia palestinesi, in coordinamento con Giordania ed Egitto. Garantirà la sicurezza interna a lungo termine, collaborerà con Israele ed Egitto per proteggere i confini e impedire l’ingresso di armi, facilitando al contempo il flusso rapido e sicuro di beni per la ricostruzione.

16- Israele non occuperà né annetterà Gaza. Man mano che le IDF ne ristabiliranno il controllo e la stabilità, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) si ritireranno secondo criteri, fasi e calendari relativi alla smilitarizzazione, concordati tra le IDF, le IDF, i Garanti e gli Stati Uniti. Le IDF cederanno gradualmente i territori occupati alle IDF fino al completo ritiro, fatta eccezione per una presenza di sicurezza periferica finché Gaza non sarà protetta da qualsiasi minaccia terroristica.

17-Se Hamas ritarda o respinge questa proposta, le misure di cui sopra, tra cui l’intensificazione delle operazioni di aiuto, saranno attuate nelle zone libere dal terrorismo trasferite dalle IDF alle IDF.

18-Sarà avviato un processo di dialogo interreligioso, basato sulla tolleranza e sulla coesistenza pacifica, al fine di cambiare le mentalità e le narrazioni di palestinesi e israeliani, evidenziando i benefici concreti della pace.

19-Con il progredire della ricostruzione di Gaza e il raggiungimento del programma di riforme dell’Autorità Nazionale Palestinese, si potranno finalmente creare le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e la creazione di uno Stato palestinese, aspirazione del popolo palestinese.

20-Gli Stati Uniti avvieranno un dialogo tra Israele e i palestinesi per concordare un orizzonte politico di coesistenza pacifica e prospera.

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Il piano B_di WS

Chiedo  scusa  per la  sovraesposizione.   Al mio precedente  post   l’amico   Ernesto   ha posto un commento  talmente condivisibile      da richiedere  su di un punto  una replica  estesa, soprattutto  per  far capire   il tornante  geopolitico che , purtroppo,  ci  siamo lasciati   dietro  questa  estate .

Partirò quindi  da  questa  affermazione  di Ernesto

“A questo punto il condor ha ancora la possibilità di tirarsene fuori abbandonando i topolini al loro destino” .

Su questo  io penso di no.  Il Condor    non sopravviverà  ai   suoi  topolini.

Forse, sottolineo forse, c’ è stato un tempo che Trump voleva davvero ciò che raccontava ai suoi elettori, ma anche a quel primo Trump le “leggi ferree della geopolitica” non hanno dato scampo.

 Gli USA che sono stati non torneranno più e gli U$A che ci sono adesso non hanno altra speranza de ” o la va o la spacca” .  Gli U$A  andranno avanto con il LORO “piano B”, ma  contrariamente   a quello  che   sperano ancora molti    sostenitori  di Trump     gli U$A non potranno NON  essere   coinvolti   nel    destino  dei   loro “topolini “.

E    adesso lo spiegherò meglio  esplicitando   il “piano B”   della NATO   già rivelato nella  sue modalità dai  “topolini”  più  eccitati.

 Come infatti è innegabile il “piano A” russo è fallito. Non è stato possibile indurre  una qualche resipiscenza nel regime NATO -nazista di Kiev. Non so se al Kremlino ci sperassero veramente ma era sicuramente una cosa da tentare, fallita la quale alla Russia non è restato che il “piano B”: liquidare la NATO-ucraina attraverso il suo esaurimento sul campo di battaglia  grazie  alle  superiori   forze  della Russia

La cosa però procede lentamente grazie alle continue “trasfusioni” occidentali. Male per tutti ma soprattutto per l’ Ucraina che alla fine in un modo o nell’ altro non esisterà più.

  Ma  specularmente anche il “piano A” della NATO è fallito.

 Il  “piano A”  della NATO  era  portare la  Russia in un Afganistan 2.0. La  Russia  doveva   impantanarsi  in Ucraina  e poi  spezzarsi sotto una  enorme pressione  “occidentale”.

Ma  la Russia è ancora solidamente lì nel mentre la loro Ucraina scricchiola sotto il piano B russo.

 Quale è allora il nuovo piano B della NATO? Replicare il piano B russo partendo dall’assunto che la Russia  è un “nano”  rispetto a “l’ occidente”

Ma  come   evitare  che un  conflitto   DIRETTO  NATO-Russia    non vada  fuori  controllo?

Usando  l’ arma   della “narrazione”, l’ unica  arma in cui l’occidente  ha un vantaggio incolmabile.

La “ narrazione”   serve  per mobilitare      tutte le     ( supposte)  maggiori risorse de “ l’ occidente” per una   “guerra  di usura”  a  “bassa intensita” che  alla  lunga logori  la Russia,  provocandone il “  crollo interno”  come   in  Germania-1918 , o un  disperato   avventurismo  come  in Germania-1941.

Ma    anche sorvolando    sulla  faciloneria     di questo  schema  (ad esempio  come mandare   milioni di idioti  a morire  in Russia ? ), la  vera incognita  resta  evitare  il “fuori controllo”, essendo  che la Russia   lotta  per la PROPRIA  sopravvivenza  mentre  l’ €uropa   dovrebbe immolarsi    per  la LORO.

E’ quindi  chiaro  che gli U$A hanno un “piano C”   che in sostanza   sembra  lo stesso  di sempre e   su cui  contano    le €uroelites     come  propria  ciambella di salvataggio :   entrare in guerra  DIRETTAMENTE con  tutto il proprio peso quando   la Russia  sarà  logorata ben bene .  

Ma  anche  questo è  avventurismo  perché    questo   la Russia  la sa bene e anche la  Cina  lo  sa.

Quindi   il vero “ piano C”  americano   è  NON  entrare MAI   direttamente in guerra ,  accendendo la guerra  in tutto il mondo  e restando  a guardarla    al riparo di due oceani.

Ma è altrettanto avventurismo  perché  Russia e Cina sanno bene anche questo.

Quindi la conclusione    resta  la stessa  che scrissi     fin dall’inizio : la Russia NON  si farà logorare e  nel momento  che la Russia     giudicherà  inevitabile  far    finire   questa   finzione    della   NON-guerra     NATO-Russia,    vedremo subito  i “fuochi  d’artificio”. Altro che  “logoramento” !

Insomma    stiamo  andando     alla cieca   verso una  guerra nucleare.

Per questo  i   russi    sono disposti  ad “una  cattiva pace”  ma  non al prezzo  di una  “sconfitta  strategica”; quella   se la devono imprimere  chi  questa  guerra   l’ ha voluta, e Trump  ha perso l’ attimo magico per  cui poteva ancora  dire  “ questa  guerra non è la mia”.

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Israele si avvicina alla linea rossa dell’Egitto_di Geoffrey Aronson

Israele si avvicina alla linea rossa dell’Egitto

Le relazioni israelo-egiziane sono più pericolose che in qualsiasi altro momento dell’era post-Sadat.

Organization of Islamic Cooperation - Arab League Extraordinary Summit in Qatar

Geoffrey Aronson

19 settembre 202512:05

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Si può perdonare il discorso del 15 settembre del Presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi al vertice straordinario convocato all’indomani dell’attacco di Israele al Qatar. C’è troppo rumore nella cacofonia di voci generata dalla metastasi della campagna di vendetta di Israele a Gaza e, a dire il vero, Sisi non è noto per fare discorsi consequenziali.

Ciononostante, il presidente egiziano ha tenuto quello che potrebbe essere il discorso più importante di un leader egiziano, anzi di un governante arabo, dopo l’epocale discorso di Anwar Sadat davanti alla Knesset di Israele a Gerusalemme, quasi mezzo secolo fa.

Le osservazioni pionieristiche di Sadat hanno stabilito i parametri dello storico impegno israelo-egiziano che ora sono minacciati. Con tutti i suoi difetti e le sue inadeguatezze, la pace tra Egitto e Israele ha inaugurato una nuova era, anche se tutt’altro che pacifica, negli affari israelo-arabi e regionali, con al centro la diplomazia a guida americana.

“Se Dio mi ha destinato ad assumermi la responsabilità per conto del popolo egiziano”, dichiarò Sadat dal podio della Knesset;

uno dei compiti principali di questa responsabilità è quello di non lasciare nulla di intentato per risparmiare al mio popolo arabo egiziano gli orrori strazianti di un’altra guerra distruttiva, la cui portata solo Dio può conoscere. Dopo aver riflettuto a lungo, sono giunto alla conclusione che la responsabilità che mi assumo davanti a Dio e al popolo mi impone di andare in qualsiasi parte del mondo, anche a Gerusalemme, per esporre ai membri della Knesset – rappresentanti del popolo israeliano – tutti i fatti. Vi lascio quindi liberi di decidere, e sia fatta la volontà di Dio….

Oggi vi dico, e dichiaro al mondo intero, che accettiamo di vivere con voi in una pace duratura e giusta. Non vogliamo circondarci l’un l’altro con razzi pronti a distruggere o con missili di faide e odi….

Vi chiedo oggi – attraverso la mia visita a voi – perché non tendiamo le mani con fede e sincerità, per infrangere insieme questa barriera? … L’espansione non vi farà guadagnare nulla. …

Per quanto riguarda la causa palestinese, nessuno può negare che sia il nocciolo dell’intero problema. Nessuno in tutto il mondo oggi può accettare slogan sollevati qui in Israele, che ignorano l’esistenza del popolo palestinese e si chiedono addirittura: “Dov’è questo popolo? La causa del popolo palestinese e i suoi legittimi diritti non sono più ignorati o negati da nessuno.

Ero a Gerusalemme al momento della visita di Sadat, insieme a decine di giornalisti di tutto il mondo riuniti nel Teatro di Gerusalemme, per registrare questa nuova, drammatica e, in effetti, speranzosa svolta degli eventi;

Quel mondo è scomparso.

La strada così eloquentemente immaginata da Sadat è diventata un vicolo cieco, che minaccia l’esistenza stessa del popolo palestinese (per non parlare della creazione di uno Stato palestinese) e la distruzione della struttura diplomatica e di sicurezza costruita dagli Stati Uniti dopo la guerra del giugno 1967, con al centro il riavvicinamento Israele-Egitto.

A Doha, Sisi, l’erede di Sadat e della sua eredità, ha lanciato un avvertimento senza precedenti. Ha descritto Israele come un “nemico”, avvertendo che le politiche israeliane “non porteranno a nuovi accordi di pace, ma potrebbero annullare quelli esistenti”. Ha sollecitato “un’azione decisa e sincera” contro quelle che ha definito “le ambizioni del nemico”, affermando che solo misure decise potrebbero scoraggiare “ogni aggressore e avventuriero sconsiderato”.

“Israele”, ha dichiarato Sisi, “cerca di trasformare [la regione] in un’arena di aggressione, che minaccia la stabilità dell’intera regione e costituisce una grave violazione della pace e della sicurezza internazionale e delle regole stabili dell’ordine internazionale”.

Ha proseguito,

Le pratiche israeliane hanno superato ogni logica politica o militare e hanno oltrepassato tutte le linee rosse.

Al popolo di Israele dico: Ciò che sta accadendo ora mina il futuro della pace, minaccia la vostra sicurezza e quella di tutti i popoli della regione, ostacola qualsiasi possibilità di nuovi accordi di pace e addirittura annulla gli accordi di pace esistenti con i Paesi della regione. Le conseguenze saranno disastrose, con il ritorno della regione all’atmosfera di conflitto e la perdita degli sforzi storici di costruzione della pace e delle conquiste ottenute grazie ad essi, un prezzo che pagheremo tutti senza eccezioni.

Ci troviamo di fronte a un momento cruciale che richiede la nostra unità come fulcro fondamentale per affrontare le sfide della nostra regione, in modo da evitare di scivolare in ulteriori caos e conflitti e prevenire l’imposizione di accordi regionali che contraddicono i nostri interessi e la nostra visione comune.

Sisi non sta aspettando gli arabi e le nazioni islamiche. Sta prendendo misure militari concrete e minacciose nel punto di potenziale conflitto armato – la linea Philadelphi che separa l’Egitto da Gaza – e nel Sinai in generale, per scoraggiare le mosse israeliane di spostare i palestinesi oltre la frontiera.

Dall’ottobre 2023, l’Egitto ha aumentato significativamente la sua presenza militare nel Sinai settentrionale, in particolare lungo il confine con Gaza. The Middle East Eye ha riferito nell’agosto 2025 che l’Egitto ha dispiegato circa 40.000 soldati nel Sinai settentrionale, il doppio del numero consentito dal trattato di pace con Israele del 1979 e ben oltre gli aumenti negoziati negli ultimi 15 anni. 

Questi dispiegamenti nel Sinai includono anche armi pesanti e sistemi avanzati di difesa aerea HQ-9B di fabbricazione cinese, simili agli S-400 russi.

Questa rimilitarizzazione del Sinai mette alla prova la pertinenza delle limitazioni del trattato alla base dell’accordo di pace israelo-egiziano, compresa la MFO guidata dagli Stati Uniti con sede a Sharm al Sheikh, istituita per monitorare il rispetto del trattato ma apparentemente del tutto assente nell’attuale crisi.

Le immagini satellitari disponibili nei primi mesi dopo l’inizio della guerra (ma non attualmente) hanno rivelato che l’Egitto ha costruito un recinto di sicurezza murato nel Sinai, lungo la linea Egitto-Gaza, per prepararsi a un afflusso di massa di rifugiati palestinesi da Gaza. Questa costruzione comprende muri alti 7 metri intorno a un’area di 20 chilometri quadrati destinata ad accogliere più di 100.000 sfollati.

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Le conseguenze di una decisione israeliana di fomentare l’esodo di massa dei palestinesi attraverso la linea Philadelphi verso l’Egitto non possono essere sopravvalutate. Un esodo palestinese verso l’Egitto è infatti al centro delle preoccupazioni egiziane per l’aggressione di Israele a Gaza. Già nel novembre 2023, Sisi descriveva tale esodo come una “linea rossa” che avrebbe trasformato il Sinai in una base per attacchi contro Israele.

Una simile calamità potrebbe produrre un momento del 1948, mettendo in luce l’impotenza degli arabi in generale di fronte alla potenza militare israeliana e minacciando la stessa sopravvivenza del regime di Sisi.

Per una questione di autoconservazione sulla scia dell’implosione del vecchio ordine, il leader egiziano sta avvertendo Israele che la guerra è un’opzione.

L’autore

Geoffrey Aronson

Geoffrey Aronson è uno scrittore, analista e consulente americano specializzato in questioni mediorientali, con particolare attenzione al conflitto israelo-palestinese.. Ha partecipato agli sforzi diplomatici Track II tra gruppi israeliani e palestinesi e ha ospitato un impegno tra Israele e Siria nel 2005. Aronson è autore di diversi libri, tra cui Creare fatti: Israele, i palestinesi e l’Intifada e Da contorno a palcoscenico: La politica degli Stati Uniti verso l’Egitto.