L’Italia e i Rapporti con le Due Libie e Mezzo_di Cesare Semovigo

L’Italia e i Rapporti con le Due Libie e Mezzo
L’Opposto al Sole
La recente luna di miele in Libia tra il comparto del golden power turco e italiano mi ha colpito, e molto. Parliamo di un’inversione storica clamorosa: eravamo quelli che bastava portare il nome e ci facevano accomodare in prima fila; ora ci tocca aspettare il nostro turno dietro la porta e, soprattutto, farci garantire il passaggio proprio dagli ex sfidanti ottomani. Sembra quasi di casa: quando ti si rompe la chiave nella serratura puoi metterti a sbracciarti o forzare, ma spesso tocca arrendersi e chiedere al vicino turco di tirarti fuori con il grimaldello giusto. Questa, più o meno, è diventata la condizione italiana in Libia: per entrare nella grande operazione ricostruzione – l’affare dove si decide chi vivrà e chi marcirà per i prossimi vent’anni – ci siamo dovuti piegare. Senza la “chiave” di Ankara, niente slot, niente commesse grosse, niente partita vera: in Libia oggi, se vuoi il biglietto, te lo timbrano i turchi alla frontiera degli affari. Ma cosa ha cambiato davvero le carte? Qui il prequel è spudoratamente monetario. Undici miliardi di dollari che si materializzano, come nei migliori colpi da Far West, direttamente nella disponibilità di Saddam Haftar, il figlio prediletto del generale. Soldi formalmente destinati alle grandi opere pubbliche e alla stabilizzazione, ma che nel contesto locale – dove governance significa in realtà controllo personale e delle risorse – diventano il carburante per alimentare clientelismi, pagare le milizie e comprare fedeltà. Chi detiene la banca e il porto, a Bengasi, non solo tiene in vita il potere, ma letteralmente compra la pace sociale. Ecco perché i fondi finiscono lì: in Libia non conta lo Stato, conta chi sta fisicamente seduto sulla cassaforte. Saddam Haftar questo ruolo non lo ha per caso, ma perché sa tessere la tela fra famiglia, esercito e tribù; il grosso dei flussi internazionali passa su quello snodo, garantendo solo a lui la possibilità di “offrire il banchetto”. Ma la festa, per Bengasi, rischia di essere l’ultima. Sotto l’urto delle azioni militari rivali, delle pressioni ONU e dei giochi sempre più aggressivi di Tripoli, il sistema di Haftar traballa ogni giorno di più. Se la Cirenaica perde la banca centrale e il controllo del porto – fonte di approvvigionamento e pagamento sia per le armi che per la fedeltà di centinaia di migliaia di stipendiati – finisce la magia. Si secca la linfa, le milizie cambiano bandiera, e il potere in Cirenaica si sgretola all’istante: senza cassa e senza traffico navale, Haftar rischia di non riuscire a comprarsi più nemmeno la fedeltà del parcheggiatore, figuriamoci quella dei comandanti. E, mentre la sabbia si sposta sotto i piedi dei potentati libici, l’Italia si è presentata con i soliti dossier polverosi e infinite cene tra funzionari, assumendo che per diritto naturale il tavolo spettasse a noi. Inoltre, non va sottovalutato come per Riyadh (e alleati) il controllo delle rotte commerciali e di traffico nel triangolo meridionale della Libia rappresenti un obiettivo parallelo a porto e finanza: una piattaforma fondamentale per influenzare i flussi dal Sahel verso il Mediterraneo, con tutto ciò che ne deriva in termini di sicurezza e proiezione regionale. L’equilibrio geopolitico che l’Arabia Saudita ricerca per il secondo piano politico di lettura con il nucleo dei “Fratelli Mussulmani “ si riconosce anche nelle influenze in quest’area , esattamente come facilmente riscontrabile nel ben controllato sostegno all’Egitto di Al Sissi . Il conto però stavolta ce lo hanno portato Turchia, Baykar : se vuoi giocare sei il benvenuto, dicono, ma toccherà passare dalla loro porta d’ingresso. Siamo scesi dal palco principale e ora impersoniamo , non per copione ,il ragazzo del latte che porta il cappuccino nei camerini, come comparse, pur di strappare ancora un giro di pista al grande banchetto della ricostruzione. Un discorso a parte lo merita il rapporto di Roma con il governo di Tripoli, la cui profondità strategica ormai rivaleggia esclusivamente con l’adulatoria cordialità tra i portieri di condominio e la signora dell’attico . Anche qui logorati dalla consuetudine post 92 di equiparare l’infrastrutturale delle ex Controllate Statali della golden era con il Mil-Diplomatico , stimo come era prevedibile raccogliendo i frutti , quelli buoni per il macero . E come sopra siamo passati al ricevere inviti che somigliano sempre più a quei biglietti da visita cinesi: dorati fuori, ma nel retro solo la scritta “vedremo” e ancora più in piccolo : se conosce qualcuno che vende un locale , paghiamo in contanti . Il protocollo “ Smile “ resiste per le agenzie stampa dove qualche sorriso si trova sempre; Il fatto deludente è che rispetto alla sue entità politiche e mezzo della Libia , l’Italia sia riuscita per l’ennesima volta di non conservare nemmeno il mezzo . A Tripoli infatti , ci fanno partecipare al valzer dei negoziati solo perché ogni tanto , per mezzo di qualche ricatto sul quale non mi dilungo , ma che potete facilmente immaginare , conviene chiamarci ancora . Onestamente , nel paese dove la linea tra il cerimoniale e l’umiliazione è sempre più sottile, questo tipo di trattamento per innegabili meriti storici ( esclusa la gestione Mattei) ce lo meritiamo pure , ed essere inseriti nella categoria “amici e parenti del sindaco”, non risulta nemmeno eccessivamente severa . Eccoci quindi alla somma delle conseguenze e alle valutazioni . Possiamo condensarle in questi termini : Il Paese che insegnava la diplomazia agli altri, oggi costretto a chiedere il permesso perfino per piantare una tenda nella casa che un tempo ci apparteneva per diritto di storia e influenza. Piccola considerazione finale detestando l’ipocrisia . L’Italia ha condotto una politica tra il tragico e il grottesco negli ultimi quindici anni in Libia e oltre a non avere fatto ammenda dopo l’intervento autolesionista nella guerra di Libia , assecondando Francesi e Anglosassoni e bombardando nei fatti i propri asset quasi secolari , si è giocata ancora peggio il dopo e nell’ultimo periodo nel tipico stile del nuovo mondo liberista , sacrificando la politica gli interessi privati in balletto incomprensibile ( dove ha anche il ricatto subito attraverso la leva dei migranti – vedi Al-Masri) tra il Governo sempre più debole di Bengasi e la zona controllata dal Generale Haftar . Cesare Semovigo
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