UN SUICIDIO, a cura di Elio Paoloni

Qui sotto alcune sconsolanti considerazioni riguardanti un atto tragico, il più tragico verso se stessi, verificatosi in un paese del Sud Italia del quale abbiamo eliminato ogni riferimento geografico e personale. Non conosciamo ovviamente la esatta concretezza dei rapporti di quella famiglia. Al di là della retorica e del lirismo familistico riteniamo che questa, essendo il nucleo elementare di ogni formazione sociale, nasconde e produce in sè il bene e il male che di solito viene rappresentato oggettivamente e nei suoi nessi causali in spazi più ampi della società. Le considerazioni però, sottolineando comunque la serietà dell’estensore, vanno ben al di là della verifica accurata dei fatti specifici. Riguardano la solitudine individuale, il decadimento del senso della vita comune di coppia e dell’intero nucleo familiare che tende a ridursi ad una sommatoria di interessi e punti di vista individuali, ad una solitudine in comunità che spinge a sentirsi alla fine chi più si è identificato in un particolare vissuto in comune, tradito, inutile e senza senso. Succede in maniera esplosiva nelle zone depresse dove spesso il degrado si aggiunge alla fatica a testa bassa per garantire vita e “futuro”; succede in maniera drammatica anche se rimossa nelle situazioni di rottura delle famiglie dove spesso e volentieri la situazione peggiore di isolamento e discriminazione riguarda proprio la figura maschile detentrice esclusiva, secondo il conformismo contemporaneo, del potere di genere; succede in maniera plateale anche in quelle situazioni nelle quali con leggerezza e cinismo dogmatico si procede con scientifica superficialità a separare i bambini dalle famiglie. E’ una tendenza, però, che si sta diffondendo sempre più nei diversi ambiti della società, anche quelli più strutturati. Ci dice dove potrebbe risucchiarci una concezione di società che considera l’individuo solo per le proprie prerogative egoistiche o al massimo utilitaristiche verso l’altro, piuttosto che come singolo contributore e frutto di una comunità piena di valori e rappresentazioni comuni, di un sistema di relazioni dove conflitto e cooperazione plasmino e trovino il loro spazio_Giuseppe Germinario
UN SUICIDIO
Una brava persona. E già questo è il primo errore, perché i mariti buoni tendono a non avere il rispetto delle mogli. E di conseguenza, dei figli.
Vedo questo poverocristo. Buon lavoratore, buona persona, buon marito, molto mite.
Ha fatto studiare i figli e com’è nella maledizione del Sud, sono tutti andati via, al Nord, che è forse il più caro prezzo che il Sud paga per quel che è la sua sventura e al Nord.
La moglie ha cominciato col fare visita ai figli al Nord e le visite man mano si sono allungate, finché qui in paese non è quasi più venuta. E il marito qui da solo, ormai inutile a tutti, a da solo fare pasqua natale e ferragosto.
Oggi si è impiccato.
Si è impiccato perché si è reso conto dell’inutilità ormai manifesta a tutti in famiglia. Si è reso conto di aver costruito tutta la vita e di non avere assolutamente niente, nemmeno una famiglia, non una moglie non dei figli. E la cosa è tanto cocente perché queste cose lui aveva creduto di averle un tempo.
La figlia al telefono era piuttosto freddina. Sono stati i vicini a piangere, gli amici. I figli e la moglie, con calma, verranno, forse.
Stando come stanno le cose, in questo matriarcato assoluto spalleggiato dalla legge, quando un uomo si sposa è un uomo sposato. Quando nascono i figli, le mogli si scordano del marito e si ricordano solo del pargolino.
Una mia amica, appena partorito mi disse una cosa apparentemente bella, ma che è l’origine del concetto amorale di famiglia: “Per me adesso esiste lui solo, non esiste nessuno”.
Un uomo che si sposa e che ha figli è un uomo che ha perso il dominio e il controllo su tutto. Lo ha perso sulla sua proprietà, non è certo nemmeno che casa sua sarà casa sua fino alla fine, sui suoi beni e risparmi, e così la paternità. Queste cose sono anche sue finché la moglie le importa di condividerle. Tutto diventa un ricatto. Le promesse davanti all’altare, la vita vissuta insieme, non pesano nulla.
Perché pesa soltanto il “come io voglio stare” dell’altro.
Il Noi comincia a non esistere più.
Qui è pieno di gente che si separa nel momento in cui dovrebbe unirsi, cioè quando arriva l’età e gli acciacchi. La prova del fuoco sono i “figli che se ne vanno”.
Qualcuno resta solo.
Ogni tanto qualcuno si suicida.
La famiglia “tradizionale” non esiste più, a nessun livello, e non saranno lodevoli fenomeni sporadici che alla fine risultano folkloristi a salvarla, perché non fanno “cultura”, pedagogia collettiva; non saranno dei cartelli e delle manifestazioni, non delle dichiarazioni vaticane. In Occidente, Italia, non esiste più. Non esiste, perché tutte le leggi sulla famiglia sono pensate per questo: a fare di una coppia, due individualità. Con interessi in concorrenza. Sovente in contrasto. Due futuri nemici. O peggio: due estranei.
A.M.