Draghi sintetizzato, di Roberto Buffagni
Governo Draghi, sintesi.
Draghi è un politico, non un tecnico. Per la precisione, è un proconsole inviatoci dall’impero euro-atlantico con l’obiettivo di stabilizzare il sistema politico italiano, non di “salvare l’Italia” e tanto meno di “salvare gli italiani”, i quali si arrangeranno (nostra specialità da secoli).
Formando questo governo zeppo di revenants, lo conferma. Con la sua sola presenza, Mario Draghi riesce a:
a) integrare il centrodestra polverizzando in nanoparticelle l’espressione politica del “sovranismo/populismo”
b) riconfigurare l’intero sistema politico italiano, centrosinistra compreso (PD e M5* dovranno rifondarsi)
c) ostendere urbi et orbi che il refrain qualunquista “sono tutti uguali” è una TAC della realtà, ossia a delegittimare il suffragio universale, che dà molto fastidio ma non è possibile abolire, e demoralizzare l’iniziativa politica autonoma
d) predisporre lo scarico di tutte le colpe sui partiti (tutti) e l’avocazione di tutti i meriti a sé e ai tecnici che purtroppo, rispettosi come sono delle leggi e dei popoli, non possono guidare da soli come sarebbe opportuno e giusto
e) infine, come effetto collaterale, semplificare il recupero crediti e le procedure fallimentari (la riforma della giustizia civile consisterà in questo) + gestire il Recovery Fund in modalità più presentabili.
E’ un risultato politico di eccezionale valore e importanza per i mandanti di Draghi (l’amministrazione USA), che così fanno un decisivo passo avanti nell’integrazione dell’intero Stato Maggiore politico di tutte le forze antisistemiche “sovraniste/populiste” occidentali, che li hanno seriamente preoccupati negli scorsi anni. L’Italia non è più un problema, la Francia è avviata nella stessa direzione. Più lungo e difficile il lavoro di integrazione delle forze che hanno espresso Trump negli Stati Uniti (normalizzazione del partito repubblicano tutto).
Comunque, il campo euro-atlantico si è guadagnato anni di tregua e di stabilità. I problemi di fondo restano insoluti, ma dormienti. “Goodnight, sweet prince”.
Non si capisce la questione della competenza se non si tiene presente che nel corso del Novecento – oltre al conflitto centrale tra capitale economico e capitale culturale che costituisce la vera “lotta di classe”, ovvero borghesi contro burocrati, trasfigurato nella fase di transizione in un conflitto tra padri e figli – è andato in scena un continuo conflitto *all’interno* della classe competente, attorno alla definizione stessa della competenza in funzione di una lotta per il potere direttivo, articolato in dicotomie: tecnici contro organizzatori, e prima ancora specialisti contro intellettuali. In più piccolo è lo stesso conflitto che ritroviamo in ogni dibattito contemporaneo, o meglio in tutti quei dibattiti che non arrivano all’esistenza perché un’opposizione radicale sul metodo li precede, e sostituisce direttamente il dibattito. La disfatta culturale cui oggi assistiamo consiste nell’avere costituito un sistema educativo perfettamente in grado di formare tecnici, specialisti e organizzatori, salvo renderci conto che essi non possono soddisfare domande di ordine valoriale (cioè relative ai fini) mentre siamo totalmente incapaci di formare chi sarebbe preposto a rispondervi, ovvero gli intellettuali (che era poi l’ideale della Bildung, su cui non a caso si era fondata la precaria legittimità dei tempi moderni). Non stupisce che quel vuoto ora pretenda di occuparlo la religione. Nel frattempo la sindrome dell’arto mancante ha prodotto una galassia di pseudo-intellettuali, nella peggiore ipotesi inconsapevoli dei propri giganteschi limiti e nella migliore impegnati a rimpiangere quello che avrebbero potuto essere se non fossero stati costretti a inventarsi da soli, senza maestri e senza direzione.