La preparazione di Draghi_di Gianni Candotto

Draghi, comunque, appartiene alla schiera ristretta dei decisori o quantomeno al livello immediatamente inferiore. E’ in grado quindi di adattare e rivedere le proprie posizioni in un contesto diverso, ferma restando la costanza della sua rete di relazioni e della sua appartenenza a determinati centri decisionali. Che sia in corso e che ci sia la consapevolezza e la necessità da almeno un paio di anni di un cambio di paradigma pare ormai evidente ai più_Giuseppe Germinario
DRAGHI E’ PREPARATO E HA UN GRAN CURRICULUM. QUINDI VIVA DRAGHI? PERCHE’ NO.
Dopo due anni e mezzo di grillismo e di improvvisati al governo, la domanda di gran parte della società è quella di avere persone competenti che sappiano gestire la cosa pubblica. Quindi per alcuni la figura di Draghi, che rappresenta l’antitesi umana e culturale del Di Maio di turno, rappresenta una lieta novità.
Al netto del fatto che in politica la competenza deve essere nella politica, non in una materia tecnica (essere un bravissimo architetto di suo non ha nessun valore per determinare la competenza politica, come essere un bravissimo medico, un bravissimo banchiere o un bravissimo fioraio, non significa essere un politico competente), ma questo è un argomento complesso che ci fuorvierebbe rispetto al ragionamento che voglio fare, occorre capire perché prima della competenza personale è necessario analizzare le idee che un politico vuol portare a compimento.
In politica conta molto la preparazione, perché la preparazione politica permette l’essere in grado di mettere in atto le idee che si vogliono portare avanti. Ma prima di tutto contano le idee che si vogliono portare avanti. Perché se le idee sono sbagliate la competenza è un pericolo, non una qualità.
Faccio un esempio pratico per semplificare il concetto (esempio che non c’entra con Draghi, ma è in generale). Prendiamo due politici fortemente favorevoli a un aumento dell’immigrazione in Italia. Di quelli che “non esistono i confini”, non esistono le nazioni, i popoli, abbiamo bisogno di milioni di immigrati perché ci paghino le pensioni ecc. La differenza tra i due è che uno è competente, l’altro incompetente e fannullone. Il risultato finale è che se governa il competente riuscirà a far venire molti più immigrati perché creerà un sistema efficiente di sussidi per immigrati, con casa, assistenza ecc., mentre se al governo ci sarà l’incompetente riuscirà a farne venire molti meno perché non riuscirà a organizzare un sistema di accoglienza ecc.ecc. Ma alla fine, se assumiamo che far venire milioni di immigrati sia un danno e un problema per l’Italia, il competente farà molti più danni dell’incompetente. Potrei fare esempi molto più estremi su quanti più danni può fare un competente preparato rispetto a un incompetente fannullone quando le idee sono molto più radicali e criminali, per esempio sulla volontà di creare una dittatura totalitaria, o di sterminare delle persone, ma mi fermo qua sperando che il concetto sia chiaro.
Quindi assunto che la competenza serve ad applicare con efficienza delle idee di governo, ma che la cosa fondamentale è sapere quali sono le idee, parliamo di Mario Draghi.
Quali sono quindi le idee che negli anni ha propugnato Mario Draghi? Quali sono le politiche che Draghi ha portato avanti negli anni?
Dal 1991 al 2001 è stato direttore generale del Tesoro e si è reso protagonista in tre vicende: le privatizzazioni del patrimonio dell’IRI (dal 1992 in poi), l’acquisto di derivati di Morgan Stanley (1994) e la legge Draghi (Testo Unico della Finanza legge 58 del 1998). Sulle privatizzazioni, oggi è opinione comune che si trattò di una scellerata operazione di svendita del patrimonio pubblico italiano che costò tantissimo all’Italia. Se Draghi fu forse (o forse no?) più il braccio operativo di questa operazione che la mente, fu comunque Draghi a presentare la vendita del patrimonio pubblico alla grande finanza anglosassone sul panfilo Britannia nel 1992.
Sempre sovrainteso da Draghi fu l’acquisto dei derivati “a copertura del debito”, i celebri “credit default swap” di Morgan Stanley, operazione riprodotta da tante amministrazioni locali, che dal 2008 creò un grande buco di bilancio a favore della grande banca d’affari americana (circa 25 miliardi). Un’operazione sicuramente disastrosa.
Un’altra decisione poi rivelatasi disastrosa è l’eliminazione della separazione tra banche d’affari e banche commerciali decisa nella legge Draghi del 1998. Questa legge ha permesso alle banche di usare il credito dei cittadini per acquistare titoli derivati e fare operazioni a rischio. Questa legge, assieme agli accordi europei di Basilea 3, anche lì Draghi ebbe un ruolo come presidente della BCE, fu lo strumento che permise alle banche operazioni spericolate e portò al fallimento di tante di esse, con i conseguenti disastri per i cittadini che avevano lasciato alle stesse i loro risparmi.
I tanti che lo ammirano, e oggi si sono moltiplicati come funghi, ricordano il “whatever it takes” del luglio 2012 che mise fine alla speculazione sul debito italiano, riportando il celebre spread a livelli più normali. Ma a parte essere un’operazione normale di una banca centrale, che l’Italia, se avesse avuto una banca centrale propria, avrebbe fatto da sola senza tanto clamore, bisogna analizzare i tempi. Fu fatta nel luglio 2012, 10 mesi dopo che l’Italia era andata in sofferenza per lo spread. E non in crisi di debito pubblico, che un po’ tutti gli studiosi un po’ più seri sapevano non esistere, ma sotto attacco speculativo. E la dimostrazione l’abbiamo sotto gli occhi di tutti oggi. Col debito al 125% del 2011 dicevano che lo stesso era insostenibile, oggi col debito al 160% in netto peggioramento lo spread è quasi a zero e il debito risulta sostenibilissimo. Questo perché l’Italia può sostenere un debito pubblico, pur non avendo una banca centrale creditrice di ultima istanza, fino circa al 230/240% del proprio Pil. Quindi era solo una speculazione finanziaria, e aver aspettato 10 mesi per difendere uno stato da un attacco speculativo, per me è ben lungi dall’essere un merito. Ma nel 2012 c’era Monti che applicava alla lettera i “consigli” proprio di Draghi della lettera Draghi Trichet inviata a Berlusconi il 5 agosto 2011.
Cosa diceva quella lettera, che era un po’ il manifesto politico di ciò che andava fatto secondo Draghi? Parlava di necessità di tagli pesanti alla spesa sociale. Monti e i suoi successori applicarono questa direttiva. I 50 miliardi di tagli alla sanità nascono da lì. E le mancanze degli ospedali, del personale, delle terapie intensive, che abbiamo avuto sott’occhio con l’emergenza Covid hanno origine lì: nella visione politica di Draghi. Nella lettera si parla di necessità di rendere flessibili i contratti di lavoro. Il dramma del precariato estremo dei giovani ha origine nelle idee che hanno ispirato la lettera di Draghi. Nella lettera si parla liberalizzazione dei mercati e aumento della concorrenza. Il fatto che lo Stato non abbia fatto nulla per evitare la vendita di tantissime aziende italiane a francesi o hedge funds ha origine lì (mentre i francesi hanno fatto leggi che vietano l’acquisto di aziende private francesi da parte di stranieri), il fatto che Amazon, per fare un esempio, faccia una concorrenza sleale ai negozi e questi ultimi siano costretti a chiudere ha origine lì. E così via.
Quindi il suo curriculum è quello di un liberista intransigente. E’ vero che nell’intervista del 25 marzo 2020 al Financial Times Draghi parla anche di investimenti pubblici, ma un’intervista a un giornale vale di meno dell’attività di una vita. Coerente. Da uomo preparato. Da liberista intransigente.
Se pensate che il liberismo intransigente sia la cura necessaria per l’Italia abbracciate l’idea che Draghi sia la soluzione. Se non lo pensate no.
E io penso che il liberismo sia il problema.
Non la soluzione.