Epigenetica e fantasmagorie transumaniste_4a parte, di Massimo Morigi

Massimo Morigi

Epigenetica, Teoria endosimbiotica, Sintesi evoluzionista moderna, Sintesi evoluzionistica estesa e fantasmagorie transumaniste. Breve commento introduttivo, glosse al Dialectical Biologist di Richard Levins e Richard Lewontin, su Lynn Margulis,  su Donna Haraway e materiali di studio strategici per la teoria della filosofia della  prassi olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale    del    Repubblicanesimo    Geopolitico

                                                    (IV parte di 5)

 

Al Dialectical Biologist, che è in errore numerose volte ma che è  nel giusto sui punti essenziali

A Lustig von Dom e alla sua madre in dialettica Frau Stockmann, Friederun von Miran-Stockmann

Questo documento, che ora viene presentato in anteprima sul blog di geopolitica “L’Italia e il Mondo”, inteso a raccogliere e a dare un primo approccio alle valenze teoriche che per il Repubblicanesimo Geopolitico possono rivestire le ultime acquisizioni della biologia molecolare e dell’epigenetica e costituito dal presente commento su questo argomento più una  rassegna di URL attraverso i quali i lettori possono prendere visione di importanti documenti afferenti a queste branche della biologia, che erano già presenti sul Web ma che noi, vista la loro importanza sia scientifica  che per la teoria del Repubblicanesimo Geopolitico, abbiamo provveduto a caricare su Internet Archive (e nella rassegna bibliografica finale verranno debitamente indicati gli URL da cui originariamente sono stati scaricati i documenti  – URL e documenti relativi che, quando tecnicamente possibile,  sono stati da noi anche “congelati” tramite  la Wayback Machine – accanto agli URL creati ex novo attraverso i nostri caricamenti su Internet Archive), sviluppa la sua critica a queste nuove acquisizioni delle scienze biologiche nell’ambito dello studio e dell’elaborazione   del  paradigma olistisco-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico – teoria-paradigma dell’azione olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico   ultima sintesi e sistemazione della filosofia della prassi i cui maggiori esponenti sono stati nel Novecento Antonio Gramsci, Giovanni Gentile e Karl Korsch – e azione olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale che, in primo luogo, dalla profonda   dialetticità del Dialectical Biologist di Richard Levins e Richard Lewontin (per quanto ancora  il Dialectical Biologist non sia riuscito del tutto a liberarsi dello pseudodialettico  engelsismo1 della Dialettica della natura e dell’ Anti-Dühring),  dall’epigenetica (principale esponente Eva Jablonka), dalla teoria endosimbiotica di Lynn Margulis e quindi da un aggiornato lamarckismo riceve potenti stimoli dialettici ed euristici. (Oltre che ottenere una riabilitazione, se non in sede di histoire événementielle, cioè in sede di una impossibile riabilitazione dello stalinismo, ma sì dal punto di vista di una nuova teoresi olistico-dialettica-gnoseologica-epistemologica-politica – cioè dal punto di vista di una rinnovata filosofia della prassi di cui si è appena detto – cui il Repubblicanesimo Geopolitico cerca di dar vita, del tanto ideologicamente diffamato Trofim Denisovič Lysenko, la cui genetica non può essere sbrigativamente liquidata come una infelice pseudoscienza frutto della pseudodialettica dell’autoritario e veteroengelsiano Diamat staliniano, quanto fu piuttosto una forma di lamarckismo ancora all’oscuro dei meccanismi    che    indirizzano   l’evoluzione  degli  organismi2, meccanismi  che cominciano solo ora ad essere compresi dall’epigenetica e, più in generale, da tutti quegli approcci di ricerca biologica e genetica che intendono costruire una Extended  Evolutionary Synthesis  –  Sintesi evoluzionistica estesa, per la  quale anche il dato culturale acquisito,  costruito ed introiettato  dall’organismo stesso in una sorta di autopoiesi genotipico-fentotipica per poi riverberarsi, questa autopoiesi culturale-genetipica-fenotipica, al livello dello stesso ambiente che ne rimane influenzato perché, evolutosi in seguito a questa modificazione dell’organismo, modifica a sua volta dialetticamente l’organismo stesso, è una decisiva componente dell’evoluzione3 – non contrapposta alla Modern Evolutionary Synthesis (Sintesi evoluzionistica moderna, detta anche neodarwinismo – responsabile di aver esasperato in senso meccanicistico le felici intuizioni darwiniane, e costituendo quindi la Sintesi Evoluzionistica Estesa non tanto una fuoruscita dal canone evoluzionista darwiniano ma bensì, attraverso la consapevole introduzione nel campo  teorico esplicativo dell’evoluzione di una Gestalt storicistico-dialettica, non una contrapposizione all’idea darwiniana di evoluzione, modello darwiniano di evoluzione  nel quale erano tenuti in precario equilibro valenze meccanicistiche e valenze storicistiche, ma semmai una sua pur profonda e radicale integrazione alla luce di un rinnovato lamarckismo che solo ora con le nuove tecniche di investigazione scientifica comincia a sviluppare tutte le sue potenzialità) ma al più o meno rozzo meccanicismo che precedentemente aveva afflitto la Modern Evolutionary Syntesis che ha portato alle più estreme ed infauste conseguenze i nodi irrisolti  presenti nel modello  darwiniano4. Si noti bene:  Darwin  era  ben  consapevole dei notevoli problemi che il suo schema di evoluzione delle specie animali e vegetali che vedeva questi organismi come soggetti passivi rispetto all’ambiente si portava con sé e, piuttosto che per il meccanicismo del suo schema evolutivo, l’immortale importanza del suo lascito scientifico consiste nel fatto che egli, a differenza di Lamarck, collegò la variabilità degli organismi all’interno di una specie con la comparsa di nuove specie che non sarebbero mai comparse se questa variabilità individuale non si fosse manifestata, mentre Lamarck, pur avendo correttamente individuato un meccanismo evolutivo dove l’organismo non giocava solo un ruolo passivo – classico l’esempio della giraffa che si allunga il collo per mangiare le foglie degli alberi e riesce poi a trasmettere direttamente alla prole questa sua caratteristica somatica – confinò questo meccanismo evolutivo all’interno di ogni singola specie, cosicché, per farla semplice, le giraffe potevano sì allungare il loro collo a seconda delle necessità ambientali ma dalle giraffe potevano evolversi solo delle giraffe e mai, mettiamo, una nuova specie di erbivori distinta dalle giraffe. Era un’idea di evoluzione un po’ modello arca di Noè, dove le specie del Creato sono sempre state le stesse ab initio temporum – nell’arca gli animali entrano a coppie  e, a parte la facile ironia che viene dalla domanda su come faranno i milioni di specie di viventi, anche se presenti solo a livello di una coppia composta da un maschio e una femmina, a stare dentro un così ridotto vascello, c’è una visione del mondo che sta dietro a questo singolare mito biblico, e cioè l’eterna fissità delle specie viventi che, dai tempi antidiluviani, quindi sin dall’inizio del mondo, sono sempre le stesse.  L’immortale lascito di Darwin non è, quindi, quello di avere recisamente rifiutato e sovvertito in direzione meccanicista il modello lamarckiano di un processo di attiva autopoiesi genotipico-fentotipica dell’organismo e di trasmissione di queste nuove caratteristiche così attivamente acquisite anche alle successive generazioni ma il fatto di aver compreso che la variabilità degli individui all’interno di una popolazione può generare nuove specie. Per rimanere all’esempio della giraffa. Secondo lo schema darwiniano, se particolari condizioni ambientali non costringono più le giraffe ad allungare il collo – o per attenerci ad una formulazione di ancor più stretta osservanza darwiniana, se particolari condizioni ambientali non favoriscono la selezione di giraffe dal collo sempre più lungo –, questo mutamento ambientale può selezionare   –  perché un collo troppo lungo che non risponda più a necessità alimentari è uno svantaggio in quanto una eccessiva massa dell’animale consuma troppe calorie – non solo giraffe dal collo più corto ma una nuova specie animale che non riesce più a riprodursi con le giraffe a collo lungo. Una eccezionale intuizione che, per la prima volta, riusciva a spiegare la presenza delle varie specie presenti sulla Terra partendo da una stessa famiglia di organismi. Insomma prima di Darwin sarebbe stato assolutamente impossibile concepire  LUCA (Last Universal Common Ancestor), e in mancanza di questo ‘ultimo antenato comune universale’ – o almeno in mancanza nella teoria evoluzionistica di un originario antenato iniziatore della vita, sia stato questo antenato un singolo organismo o un gruppo di (proto)organismi e/o molecole organiche (oppure vari e distinti gruppi di molecole organiche e/o (proto)organismi)  che siano divenuti una comunità di organismi  (o più comunità di organismi come nel secondo caso dei gruppi distinti) tramite il trasferimento di geni orizzontale ed evolutesi e differenziatesi in seguito in molteplici e diversificate altre comunità di organismi, cioè nelle varie specie biologiche presenti sul nostro pianeta – gli attuali  paradigmi evoluzionistici sulla varietà e differenziazione delle  specie dei viventi presenti sulla Terra, Sintesi evoluzionista moderna e Sintesi evoluzionistica estesa indifferentemente,  sarebbero gravemente mùtili  della loro  forza  euristica ed analogica nell’opposizione a qualsiasi Weltanshauung imperniata su una divinità personalistica e creazionistica ex nihilo ed ex suo5 – opposizione che è consustanziale alla filosofia della prassi olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico –, una ingenua rappresentazione della religiosità popolare sull’origine del mondo  che iconicamente  trova oggigiorno la sua più limpida manifestazione nelle immagini devozionali di proselitismo religioso dei Testimoni di Geova rappresentanti il Paradiso Terrestre, dove leoni, giraffe e gazzelle ed altre specie selvagge vivono felici e rispettandosi a vicenda – povero leone costretto ad una dieta vegetariana, da costituirsi immediatamente un’associazione animalista contro i maltrattamenti alimentari che il leone subisce in questo paradiso terrestre, e alle fiamme il dipinto Paradiso di Jan Brueghel il Giovane, forse la più diretta fonte iconografica di queste immagini devozionali!6 –, e, a parte la bizzarria del leone vegetariano, recanti queste immagini un’altra informazione al devoto, e cioè che queste specie ora pacificate nel Paradiso sono state create tali e quali  ab initio temporum. Insomma, siamo sempre dalle parti dell’arca di Noè e delle mitologie veteroneotestamentarie e derivati7. Darwin  ha iniziato  a  liberarci  da  questa   mitica arca8. La Sintesi evoluzionistica estesa riesce, a sua volta, a liberarsi – e a liberarci –  nel campo della biologia e degli studi sull’evoluzione degli organismi dell’ideologia meccanicistica di stampo cartesiano-galileano – che nell’ Ottocento e  nel Novevento trovò la sua più tetra e ridicola interpretazione nel positivismo e nel neopositivismo – in cui finora era stata costretta questa liberazione e in cui era rimasto impastoiato, pur fra profondi dubbi, anche Darwin. E ovviamente il Repubblicanesimo Geopolitico non può che cogliere con profonda soddisfazione questo ulteriore avanzamento dialettico delle scienze biologiche e genetiche.).  Un’ultima notazione. Pur prendendo spunti ed analogie dalle nuove frontiere aperte dall’epigenetica, dalla sintesi evoluzionistica estesa  e dalla teoria endosimbiotica, ideata quest’ultima  da Lynn Margulis, il Repubblicanesimo Geopolitico si pone decisamente agli antipodi da tutte le ridicole e cupe impostazioni transumaniste, siano queste anche in forma più o meno attenuata come, per esempio, in Donna Haraway. Questo perché – sempre rimanendo al transumanismo harawayno, che attualmente  ne è la forma più attenuata, ed anzi la Haraway espressamente nega di condividerne i fini, anche se, in pratica, deve a buon diritto essere inserita in questa disumanizzante impostazione antropologica – pur riconoscendo volentieri e come segno indubbiamente positivo le potenzialità dialettiche e/o contro la vecchia suddivisione natura/cultura che promanano da tutto il lavoro della Haraway (dal Cyborg Manifesto per finire col Staying with the Trouble. Making kin in the Chthulucene9),  si   deve   sottolineare  il fatto che 1) questa dialettica è espressa per lo più attraverso immagini simboliche (il cyborg del Cyborg Manifesto, l’endosimbionte del Stayng with the Trouble – quest’ultimo, comunque effettivamente esistente nella realtà mentre il primo, almeno per ora, è solo il frutto di una fantasmagoria fantascientifica), che per quanto immagini inconsce ed oniriche della dialettica si fermano sempre ad un passo da una piena consapevolezza della stessa e che 2) il progetto transumanista che traspare da tutto il lavoro della Haraway (per quanto il transumanismo venga formalmente respinto dalla Haraway) altro non si risolve alla fine, anche se abbandonando l’iniziale fantasmagoria fantascientifica del Cyborg perché evidentemente percepita dalla Haraway troppo disumanizzante, che in una fuoruscita dall’umano  non più in via bioingegneristica  come nel Cyborg Manifesto ma in via ingegneristico-genetica (cfr. in Staying with the Trouble il racconto fantascientifico The Camille Stories: Children of Compost10), ma fuoruscita storica dalle attuali contraddizioni storiche dell’umano –  e non dall’umano stesso inteso come dispositivo olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale come invece propone il transumanismo che lo vorrebbe sostituire con un più perfezionato prodotto da laboratorio ma dal quale, ahinoi, scompare la dimensione storico-dialettica della sua evoluzione – che solo può compiere una soddisfacente Aufhebung attraverso una rinnovata e potenziata filosofia della prassi, insomma quella filosofia della prassi, erede dell’idealismo storicista italiano e tedesco e delle migliori espressioni del marxismo occidentale direttamente influenzate da questo idealismo,  che nel XXI secolo solo il Repubblicanesimo Geopolitico ha assunto su di sé il compito del suo sviluppo e potenziamento teorico-pratico. E, infatti, l’incapacità della Haraway a formulare coerentemente un suo autonomo ed originale pensiero dialettico e addirittura il tentativo di fare dell’endosimbionte il simbolo di un nuovo rapporto dell’uomo con la natura  e con la società – suggerendo quindi che l’endosimbionte è, in un certo senso, il  culmine della scala biologica e l’obiettivo cui deve tendere una rinnovata ingegneria sociale poggiata su un’ideologia ecologista e realizzata attraverso le sempre più penetranti tecnologie genetiche utilizzate per modificare il genoma umano: cfr. oltre al summenzionato apologo fantascientifico ancora, passim, Staying with the Trouble. Making kin in the Chthulucene e, in particolare, alle pp. 61-62, 64 la trattazione sul simbionte   Mixotricha paradoxa11– sfocia  alla  fine,  sempre   in  Staying   with  the Trouble, certamente risultato non voluto dalla Haraway, nel progetto di una sorta di uomo nuovo, conseguito non attraverso una selezione e/o eliminazione di pool genetici e culturali umani come nel nazismo12 ma attraverso l’assorbimento nel stesso patrimonio genetico dell’homo sapiens, ad opera dell’ingegneria genetica,  del patrimonio genetico di altre specie animali e vegetali (questo processo di trasferimento di DNA e RNA non finalizzato a finalità riproduttiva all’interno di una specie ma fra membri appartenenti a specie diverse e quindi svincolato da qualsiasi teleologia riproduttiva – che, alla luce delle attuali acquisizioni nell’ambito del paradigma della sintesi evoluzionistica estesa, tutto si può dire di questo fenomeno tranne che si tratti di un ‘epifenomeno’ di trascurabile importanza, mentre è assai più verosimile pensare che si tratti di un passaggio decisivo dell’evoluzione degli organismi e dal punto di vista della dialettica del Repubblicanesimo Geopolitica ne è evidente la grande valenza euristica in quanto si pone agli antipodi di qualsiasi visione “fissista”  del mondo biologico e,  con profonda analogia,  della realtà tutta,  fisica, biologica, culturale e storica, proiettandoci quindi in uno schema olistico della realtà informato alla creazione autopoietica della stessa attraverso il  paradigma   dell’azione dialettico-espressiva-strategica-conflittuale – non è una fantasmagoria fantascientifica ma avviene in natura, e avviene anche per quanto riguarda l’uomo nel cui materiale genetico sono state rinvenute tracce più o meno consistenti di materiale genetico di altre specie animali, un trasporto probabilmente avvenuto attraverso virus vettori). Questo ‘trasferimento genico orizzontale’ svincolato dalla riproduzione  (acronimo TGO,  o ‘trasferimento di geni laterale’, acronimo TGL, in inglese ‘Horizontal gene transfer’, acronimo HGT) che avviene, ovviamente, anche dall’uomo verso gli animali, mentre potrebbe costituire una potentissima metafora dell’intima dialetticità non solo del mondo biologico ma, nell’ambito di una visione olistica della realtà tutta, non solo del mondo della φύσις globalmene intesa ma anche della realtà culturale e storica dell’uomo, viene  quindi suggerito dalla Haraway in Staying with the Trouble  – con grande sfacciataggine ed ingenuità materialistica, ma mai come nel caso della Haraway questo materialismo non è altro che il volto deturpato e degradato di un non ben superato spiritualismo, e infatti la Haraway non ha mai fatto mistero della suo background cattolico e della centralità nello sviluppo del suo   Bildungsroman del mistero della transustanziazione13– come  una  sorta  di processo da intensificare ulteriormente attraverso una sempre più scaltrita ingegneria genetica, venendo così a delineare, sempre involontariamente per carità, una sorta di eugenetica non di marca nazista ma di tipo ecologista, ignorando, come del resto avviene sempre nel nazismo e nelle altre forme di totalitarismo, che se mai si può parlare di uomo nuovo, questo uomo nuovo – se vogliamo mantenere per comodità espositiva questa espressione, sideralmente lontana dalla Weltanschauung olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale (e storicista) del Repubblicanesimo Geopolitico – non può che avere la sua reale epifania attraverso il potenziamento del Logos (Logos che non è una peculiarità dell’uomo ma che nell’uomo, a differenza degli altri animali ed anche vegetali, è la principale forza di indirizzo e di sviluppo della sua evoluzione), potenziamento del Logos che trova la sua massima espressione – attraverso il manifesto e pubblico compimento nella società, di una cultura informata al modello dell’azione olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale – nell’ Epifania strategica del Repubblicanesimo Geopolitico;  ed Epifania strategica che, per concludere,  può trarre, come effettivamente già trae attraverso la filosofia della prassi del Repubblicanesimo Geopolitico, potenti spunti euristici e dialettici dall’epigenetica e, più in generale, dall’ Extended evolutionary synthesis che finalmente si è lasciata definitivamente alle spalle il mito di un’evoluzione biologica guidata meccanicamente da forze esterne all’organismo e verso le quali l’organismo non possa dialetticamente interagire (quindi si può dire che l’ Extended Evolutionary Synthesis è una sorta di filosofia della prassi  per quanto riguarda gli studi biologici e di storia naturale); ma Epifania strategica che è l’esatto contrario della fuga in utopie comunistiche, comunitaristiche o eugenetiche di destra o sinistra che esse siano ma è,  una sorta di obiettivo limite;  o, se vogliamo una sorta di mito, ma un mito che affonda le sue radici nella reale natura dell’uomo14, natura dell’uomo, che similmente al resto del mondo animato ed inanimato ma con maggior evidenza di questi due ambiti  – che, allo stesso titolo  dell’uomo, appartengono alla stessa totalità dialettico-espressiva-strategica-conflittuale, e qui torniamo all’artificiosità della separazione fra mondo naturale biologico o fisico che esso sia e il mondo culturale, sociale e storico fino a poco tempo fa ritenuto di esclusiva costruzione umana, artificiosità nella separazione di questi due mondi che, alla luce di un vigoroso anche se non impeccabile sforzo dialettico perché impacciato da  un sentimento di reverentia ac metus verso la figura di Friedrich Engels, nessuno meglio del Dialectical Biologist è riuscito ad esprimere, cfr. del Dialectical Biologist pp. 277-288, sulle quali ritorneremo anche in future altre discussioni15 –,  è il Logos concreto ed immanente dell’azione olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale; un Logos (o Epifania strategica) che anche dalle scienze biologiche di cui si è appena detto (nonché,  –  vedi Teoria della Distruzione del Valore   e Dialecticvs Nvncivs – dalla meccanica quantistica e dall’elaborazione  di modelli matematici non lineari, cioè dallo studio della  Teoria del caos  e dei Complex Adaptive Systems – antesignano di questo approccio non lineare nello studio della guerra e della società Carl von Clausewitz col suo Vom Kriege –,  approcci anche questi, analogamente a quelli introdotti dalla nuove scienze biologiche e genetiche appena illustrate, di grande valore dialettico  per lo  studio della società e dell’uomo perché ci liberano dai vecchi meccanicismi e determinismi cartesiani e galileiani che hanno afflitto gli ultimi cinque secoli di studi  “umanistici” e che fra Ottocento e Novecento hanno visto il loro triste trionfo nel positivismo, nel neopositivismo per finire col Diamat staliniano), trae potentissimi spunti dialettici ed operativi16  

Note 

 [Nota 1 omessa perchè già riportata nella prima parte del presente saggio]

[Nota 2 omessa perchè già riportata nella prima parte del presente saggio] 

3  [Nota 3 omessa perchè già riportata nella prima parte del presente saggio]

4   [Nota 4 omessa perchè già riportata nella prima parte del presente saggio] 

5 [Nota 5 omessa perchè già riportata nella seconda parte del presente saggio] 

6 [Nota 6 omessa perchè già riportata nella seconda parte del presente saggio] 

[Nota 7 omessa perchè già riportata nella seconda parte del presente saggio] 

[Nota 8 omessa perchè già riportata nella seconda parte del presente saggio] 

[Nota 9 omessa perchè già riportata nella seconda parte del presente saggio]

10  [Nota 10 omessa perchè già riportata nella terza parte del presente saggio] 

11  [Nota 11 omessa perchè già riportata nella terza parte del presente saggio]

 

12 Usiamo queste due locuzioni per introdurre meglio il concetto di ‘genocidio’ essendo tecnicamente inesatto – e, ancor peggio, storicamente una vera e propria scemenza – parlare di razze umane ed anche di gruppi umani, le etnie, determinati genotipico-fenotipicamente e culturalmente una volta per sempre. Questo non solo per non assumere le categorie politico-biologiche degli sterminatori nazisti (trappola in cui sono caduti e cadono sempre tutti coloro che in nome del “politicamente corretto” impiegano, alla fine, le stesse categorie di coloro che vorrebbero combattere e così farneticano misticamente delle meraviglie di società multietniche e multiculturali prossime venture e che partendo da un errore concettuale anche se di semantica invertita rispetto al nazismo, le razze umane appunto, si entusiasmano per un disastro socio-culturale da evitare ad ogni costo e tentato e programmato  al solo scopo di rimpolpare una sinistra politica in crisi politico-identataria-culturale e di consensi elettorali) ma soprattutto, in conformità costruttivo-costruttivista al paradigma prassistico del Repubblicanesimo Geopolitico, che pur politicamente basandosi su un fortissimo senso identitario ma rappresentato attraverso  la sua interpretazione cultural-dialettica del concetto di Lebensraum espressivo sia della vita della polis come di quella del singolo individuo, è paradigma storico-storicista olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale in totale antitesi rispetto a qualsiasi visione fissista e ab aeterno. E se ciò vale per le scienze fisiche, per quelle naturali e/o biologiche (cioè per queste scienze e per le realtà che sono oggetto del loro studio) e per le c.d. scienze umane della società e della cultura, vale, a maggior ragione, per le c.d. razze umane e/o etnie, che sia per quanto riguarda la loro realtà empirica di riferimento che per le “scienze” che hanno il compito di studiarle sono concetti che denotano realtà che – pur, lo ripetiamo, assai malamente per la loro deformazione metafisica fissista – stanno proprio a cavallo fra le c.d. scienze della natura e le c.d. scienze umane. Parafrasando Clausewitz dal Libro primo del Vom Kriege, tutto in dialettica è molto semplice ma la cosa più semplice è di difficile applicazione e quanto il concetto  di ‘Lebensraum’ sia per il Repubblicanesimo Geopolitco semplice ma, al tempo stesso, fonte di complessi, per non dire difficili percorsi, citiamo da Glosse al Repubblicanesimo Geopolitico, di sempre rinviata pubblicazione, dove si vede che il concetto di ‘spazio vitale’ è a centro degli intricati percorsi bibliografici ma anche, al tempo stesso, pur nella loro dialetticità,  concettualmente lineari passaggi teorici  che hanno visto  la nascita del Repubblicanesimo Geopolitico che partendo dalla contestazione del concetto di libertà inteso dall’attuale neorepubblicanesimo come assenza di dominio ne elaborano  uno alternativo  come  ‘Republican Diffusive Domination’, ‘Aumentato dominio comune repubblicano’ o  RDD, basato non sulla contrapposizione fra potere e libertà come nell’attuale neorepubblicanesimo ma sulla complementarietà fra questi due momenti della vita psichico-individuale e sociale dell’uomo, inestricabilmente e dialetticamente uniti a tal punto da poter affermare che potere e libertà non solo altro che la concreta realizzazione del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale in due diverse ma complementari e dialetticamente connesse fasi, quella dell’affioramento del momento espressivo la libertà e quello della sua realizzazione strategico-conflittuale il potere, dove un potere dinamicamente distribuito in tutti gli strati della società in un processo di continuo accrescimento dello stesso, l’ ‘Aumentato dominio comune repubblicano’ appunto, altro non significa che la realizzazione concreta –  sul piano sociale come su quello individuale – della libertà, altrimenti detta Epifania strategica: «La videoregistrazione di questo intervento, originariamente Il Repubblicanesimo Geopolitico, presentato in questa modalità indiretta per l’impossibilità dell’autore ad essere presente fisicamente al convegno “Il mondo verso  un futuro multipolare – Milano-Bergamo 26-27-28 Novembre 2015”,  è visionabile e scaricabile all’URL https://archive.org/details/IlMondoVersoUnFuturoMultipolare-RepubblicanesimoGeopolitico

(direttamente sempre su Internet Archive all’ URL https://ia601304.us.archive.org/5/items/IlMondoVersoUnFuturoMultipolare-RepubblicanesimoGeopolitico/IlMondoVersoUnFuturoMultipolare-Milano26-27-28Novembre2015-InteventoDiMassimoMorigiSulRepubblicanesimoGeopolitico.ogv; URL su ResearchGate: https://www.researchgate.net/publication/313602857_IlMondoVersoUnFuturoMultipolare-Milano26-27-28Novembre2015-InteventoDiMassimoMorigiSulRepubblicanesimoGeopolitico: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.36176.92165). Inoltre, sul Repubblicanesimo Geopolitico è possibile prendere visione di un altro contributo videoregistrato: per conto del blog “Conflitti e Strategie”, in data 5 maggio 2015, sono stato intervistato su questo argomento da Giuseppe Germinario. Gli URL presso i quali è visionabile questo documento sono     http://www.conflittiestrategie.it/repubblicanesimo-geopolitico-intervista-al-professor-massimo-morigi, https://www.youtube.com/watch?t=519&v=VeOUHYC8zq8    e                                                                                   https://archive.org/details/RepubblicanesimoGeopoliticoIntervistaAlProfessorMassimoMorigi; oppure andando direttamente agli URL di Internet Archive https://ia800508.us.archive.org/8/items/RepubblicanesimoGeopoliticoIntervistaAlProfessorMassimoMorigi/RepubblicanesimoGeopoliticoIntervistaAlProfessorMassimoMorigi.mp4 o https://archive.org/details/UnContributoAgliAmiciAllaRiflessioneDaMassimoMorigiAPropositoDi (gli URL di ResearchGate presso i quali è pure possibile scaricare l’intervista: https://www.researchgate.net/publication/313581660_Intervista_a_Massimo_Morigi_di_Giuseppe_Germinario_di_Conflitti_e_Strategie_sul_Repubblicanesimo_Geopolitico: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.13632.53760 o https://www.researchgate.net/publication/313598484_Intervista_a_Massimo_Morigi_sul_Repubblicanesimo_Geopolitico_di_Giuseppe_Germinario_per_il_blog_di_Geopolitica_e_di_conflittualismo_strategico_Conflitti_e_Strategie: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.22440.57606). Tralasciando i momenti aurorali e generativi di questa teoria politica, che per ogni autore potrebbero risalire al momento della sua nascita e al suo carattere e, volendo concedere un minimo di maggior spazio alle convenzioni filologiche, i primi passi verso la costruzione del Repubblicanesimo Geopolitico risalgono agli studi del sottoscritto sull’estetizzazione della politica nei regimi totalitari e i primi documenti sul Repubblicanesimo Geopolitico, incentrati sul concetto della ‘Republican Diffusive Domination”, apparvero a fine 2013 sul blog di geopolitica “Il Corriere della Collera”. Queste fonti primarie sono quindi consultabili agli URL  https://corrieredellacollera.com/2013/11/23/alla-ricerca-dellidentita-italiana-di-massimo-morigi/https://corrieredellacollera.com/2013/11/28/alla-ricerca-della-identita-italiana-dialogo-tra-morigi-e-stefanini/ (in alternativa, vista la volatilità delle fonti internet, si è provveduto a depositarle anche presso le piattaforme WebCite e Wayback Machine di Internet Archive, il cui compito è appunto dotare i documenti sul Web di un URL di riserva qualora la piattaforma originale dovesse cessare, agli URL http://www.webcitation.org/6aNTUJQ82, http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com%2F2013%2F11%2F23%2Falla-ricerca-dellidentita-italiana-di-massimo-morigi%2F&date=2015-07-29, http://www.webcitation.org/6aNSrbd66    e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com%2F2013%2F11%2F28%2Falla-ricerca-della-identita-italiana-dialogo-tra-morigi-e-stefanini%2F&date=2015-07-29  per quanto riguarda WebCite e http://web.archive.org/web/20200315074249/https://corrieredellacollera.com/2013/11/23/alla-ricerca-dellidentita-italiana-di-massimo-morigi/http://web.archive.org/web/20200315074554/https://corrieredellacollera.com/2013/11/28/alla-ricerca-della-identita-italiana-dialogo-tra-morigi-e-stefanini/ per quanto riguarda Wayback Machine). Sempre riguardo al “Corriere della Collera”, in seguito vi sono stati altri contributi del sottoscritto sempre ispirati al Repubblicanesimo Geopolitico. Questi sono stati poi successivamente raccolti in unico file e – sebbene il contenuto di questo file abbia più l’aspetto di una bozza   che di un lavoro definitivo – esso è ora liberamente consultabile e scaricabile agli  URL di Internet Archive  https://archive.org/details/RepubblicanesimoGeopoliticoProvaMassimoMorigi.pdf/mode/2up e https://ia800903.us.archive.org/1/items/RepubblicanesimoGeopoliticoProvaMassimoMorigi.pdf/RepubblicanesimoGeopoliticoProvaMassimoMorigi.pdf (WebCite: http://www.webcitation.org/6dWqmW5BV e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801405.us.archive.org%2F2%2Fitems%2FRepubblicanesimoGeopoliticoProvaMassimoMorigi.pdf%2FRepubblicanesimoGeopoliticoProvaMassimoMorigi.pdf&date=2015-12-04;  ResearchGate: https://www.researchgate.net/publication/313526603_REPUBBLICANESIMO_GEO-POLITICO_IL_CORRIERE_DELLA_COLLERA_Per_la_Repubblica_di_domani_IL_CORRIERE_DELLA_COLLERA_ALLA_RICERCA_DELL%27IDENTITA_ITALIANA: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.14903.93601). Nel 2017 questi contributi sul Repubblicanesimo Geopolitico apparsi sul “Corriere della Collera” e poi pubblicati autonomamente sul Web sono stati poi ripubblicati dal blog di geopolitica marxista “L’Italia e il Mondo” e si rinvia al blog in questione, URL http://italiaeilmondo.com/, per la consultazione di queste ripubblicazioni. A loro volta anche questi contributi “ripubblicati” sono stati immessi direttamente nel Web e a differenza della “ripubblicazione” originaria, questa volta il testo è stato ripulito dagli altri interventi apparsi a commento sul blog, dimodoché   Repubblicanesimo Geopolitico copiaincolla dal “Corriere della Collera” e dall’ “Italia e il Mondo”, questo il titolo del documento in questione, ha perso il carattere di bozza della prima immissione di questi articoli nel Web. Gli URL attraverso i quali risalire a Repubblicanesimo Geopolitico copiaincolla dal “Corriere della Collera” e dall’ Italia e il Mondo”: Internet Archive: https://archive.org/details/RepubblicanesimoGeopoliticoCopiaincollaDalCorriereDellaColleraE/mode/2up, https://ia801609.us.archive.org/19/items/RepubblicanesimoGeopoliticoCopiaincollaDalCorriereDellaColleraE/RepubblicanesimoGeopoliticoCopiaincollaDalCorriereDellaColleraEDallitaliaEIlMondo.pdf; WebCite: http://www.webcitation.org/6pApJZZD4, http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601500.us.archive.org%2F25%2Fitems%2FRepubblicanesimoGeopoliticoCopiaincollaDalCorriereDellaColleraE%2FRepubblicanesimoGeopoliticoCopiaincollaDalCorriereDellaColleraEDallitaliaEIlMondo.pdf&date=2017-03-23; ResearchGate: https://www.researchgate.net/publication/315516889_REPUBBLICANESIMO_GEOPOLITICO_COPIAINCOLLA_DAL_CORRIERE_DELLA_COLLERA_E_DALL%27ITALIA_E_IL_MONDO: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.26753.66407. Per chi volesse poi avventurarsi nei momenti aurorali e generativi del Repubblicanesimo Geopolitico profondamente influenzati dai miei studi sull’estetizzazione della politica nei regimi totalitari del Novecento, rinvio a Repvblicanismvs Geopoliticvs Fontes Origines et Via, che è visionabile e scaricabile all’URL https://archive.org/details/RepvblicanismvsGeopoliticvsFontesOriginesEtViaReloaded. Di questo URL non si fornisce il corrispettivo “congelamento” su  WebCite visto che questa piattaforma non consente  il caricamento di file audiovisivi (in questo documento sono visionabili anche dei  video musicali scaricati da YouTube), ma file audiovisivi il cui upload è consentito su  ResarchGate, per cui  Repvblicanismvs Geopoliticvs Fontes Origines et Via è consultabile  anche all’ URL https://www.researchgate.net/publication/313560201_Repvblicanismvs_Geopoliticvs_Fontes_Origines_et_Via_-_Karl_Marx: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.15152.97286). Nella formazione del mio pensiero politico e specialmente nella genesi del Repubblicanesimo Geopolitico questi studi sull’estetizzazione della politica rivestono una importanza fondamentale perché l’estetizzazione della politica nei regimi totalitari, per quanto sia stata certamente l’arma di   “distrazione di massa” per eccellenza impiegata da questi regimi è, al tempo stesso, il “segnalatore d’incendio” che le cosiddette democrazie rappresentative non sono assolutamente in grado di rispondere a quelle fondamentali necessità per una “vita buona” che il pensiero politico classico ha indicato  come l’ autentico obiettivo del vivere associato. Mentre nella retorica delle democrazie rappresentative questa “vita buona” sarebbe assicurata, oltre  che dalla prospettiva di un sempre maggiore benessere materiale che questi regimi hanno finora apparentemente garantito (apparentemente garantito perché questa crescente prosperità sotto i regimi democratici è avvenuta nei paesi industrializzati mentre per il “non Occidente” se non è avvenuto l’esatto contrario poco ci manca ma ancor più apparentemente garantito perché ora anche questi paesi del perimetro occidentale registrano un regresso in termini di redistribuzione delle risorse per quanto riguarda le classi non dirigenti), anche dall’innalzamento del livello  culturale ottenuto dalle masse attraverso la  partecipazione democratica (in realtà, questa partecipazione democratica è una “gentile” concessione delle classi dirigenti per tenere tranquille le classi sottoposte e tutto si può dire del rapporto cultura e democrazia tranne il fatto che le moderne democrazie industriali siano un ambiente favorevole all’elaborazione e diffusione culturale, si può affermare anzi il contrario), nella realtà tutto si può dire delle attuali forme politiche più o meno democratiche tranne il fatto che promuovano una “vita buona”. I regimi totalitari avevano compreso il bisogno di questa “vita buona” negata dalle forme politiche democratiche ma la loro risposta fu fornire una “negazione bella e buona” della vita associata e privata che soggiacendo  agli input espressamente totalitari dell’ideologia di partito estetizzava la politica,  nel senso che rendeva esteticamente accettabili  e quindi truffaldinamente eticamente positivi e con tutte le energie palesemente perseguibili  tutti quei rapporti di forza che cristallizzando il dominio di classe erano, di fatto, proprio la negazione della “vita buona” (nelle democrazie questi input totalitari sono egualmente presenti ma sono celati dalle retoriche politiche, prima fra tutte quelle dei diritti umani, che consentono sul piano interno di ritenere formalmente uguali individui appartenenti a classi con enormi disparità di reddito e di potere politico e all’esterno di esportare queste “democrazie”). La risposta invece del Repubblicanesimo Geopolitico al bisogno di “vita buona” è, lungo la direttrice del miglior pensiero politico realista che si dipana lungo la linea Aristotele-Machiavelli-Hegel-Marx, mandare letteralmente al macero ogni retorica politica sia di stampo democratico-criptototalitario che di forma estetizzante sfacciatamente totalitaria,  sottolineando che mentre la libertà nelle c.d. democrazie rappresentative o il mito della nazione o del popolo eletto sono delle retoriche ingannatrici e comunque intrinsecamente totalitarie, l’operare concretamente per il miglioramento della propria condizione implica l’abbandono dell’ottica totalitaria attraverso un’azione che, nella teoria come nella prassi,  si pronuncia  espressamente per una visione antitotalitaria e, perciò,  totale e dialettica  della realtà, visione totale e dialettica  della realtà che, al contrario di ogni visione totalitaria, implica sia la decisiva importanza del soggetto agente (azione del soggetto agente e non di  vaghe, fumose e mitologiche entità metastoriche come la razza o i diritti umani) sia la modificabilità dello stesso agente in ragione della sua azione modificatrice sulla realtà (il totalitarismo dei regimi totalitari persegue, invece, uno stadio finale di perfezione omega, la razza o la patria oltre il quale non è possibile il mutamento; per i regimi totalitari democratici lo stadio finale omega viene sostituito dal mito di una generica umanità perfettibile all’infinito, il mito cioè del progresso, mito del progresso che è però, in realtà, nient’altro che  regresso perché fa appello ad una generica umanità e non ad una concreta umanità che trova il suo progresso, se proprio vogliamo impiegare questo termine mitologico, in una concretissima azione modificatrice della realtà e quindi di creazione non generica proiettata in un tempo infinito e perciò inverificata ed inverificabile ma individuata, hic et nunc, anche di sé stessa). Con il Repubblicanesimo Geopolitico ha raggiunto quindi piena maturità – al di ogni miraggio “democratico”, totalitario comunque declinato e pure di ogni mitologia della classe operaia come classe intermodale e rigettando questo ultimo  universalismo marxista anche  attraverso, ma non solo, il farmaco “antiuniversalista” di una teoria e di una prassi che trae abbondante ispirazione dalla migliore tradizione della geopolitica, di quella geopolitica, cioè, non offuscata da miti “fissisti” di stampo positivistico  o neo-positivisitico – tutta quella filosofia della prassi che ha sempre compreso che la libertà non è né una retorica né una mitologia ma la piena comprensione e realizzazione dell’inestricabile legame dialettico fra soggetto e oggetto, legame dialettico che continuamente modifica sia il primo che il secondo e che consente, se correttamente inteso, sia un’efficace azione liberatoria perché basata su una concreta e non metafisica cognizione della realtà  e quindi delle concrete possibilità di miglioramento individuale e sociale sia l’evitare di  ricadere in Weltanschauung totalitarie che nella loro rigida e fissista visione sono la negazione della “vita buona” perché sono, di fatto, la negazione della vita. Vedremo nel corso del presente scritto, se questo radicale ed impegnativo riorientamento culturale e politico del Repubblicanesimo Geopolitico rispetto a tutta la tradizione liberale ma anche a quella marxista è stato mantenuto. La prima (garbata) polemica sul Repubblicanesimo Geopolitico risale al luglio del 2014 ed apparve sulle pagine del blog repubblicano “Democrazia Pura” ed era imperniata sull’osservazione da parte di “Democrazia Pura” che  «Sul criterio di lettura della storia e sulla prospettiva politica del [Repubblicanesimo Geopolitico] non mancano interpretazioni tendenzialmente finalistiche che non possono non suscitare forti perplessità per il loro carattere intrinsecamente assolutista». La risposta all’osservazione di “Democrazia Pura”, pur non accogliendo il mal interpretato carattere assolutista di questa dottrina politico-filosofica, fu che il Repubblicanesimo Geopolitico era integralmente e convintamente finalistico e compiendo questa affermazione, sempre in questa risposta al contempo il sottoscritto cominciò a mettere apertamente in discussione quelli che da “Democrazia Pura” (non solo da questa, ovviamente, ma  anche da parte della mentalità prevalente di coloro che oggi si proclamano repubblicani o neo-repubblicani) vengono considerati i capisaldi filosofico-politici del repubblicanesimo, vale a dire Kant e Popper. In questa risposta, è vero, non si menziona ancora alcun autore “dialettico” ma quello che si è affermato in seguito in merito al conflittualismo dialettico del Repubblicanesimo Geopolitico e per ultimo all’‘epifania strategica’ che, se vogliamo, costituisce la sua finalità (ed anche il suo mito: ma un mito che si basa non su vuote elucubrazioni totalitarie ma sulla natura stessa della realtà, che come cercheremo di mostrare, non è altro che la manifestazione espressiva del conflitto olistico-dialettico-espressivo-strategico), trova nella risposta alle garbate osservazioni di “Democrazia Pura” il punto di partenza e sviluppo. Si rimanda quindi in prima battuta all’URL di “Democrazia Pura” attraverso alla quale si accede alla pagina che ha pubblicato la polemica, http://www.democraziapura.altervista.org/?page_id=1119#comment-129, e poi ai successivi “congelamenti” di questa pagina per far sì che una volta cessata “Democrazia Pura” (si spera il più tardi possibile) di questa polemica rimanga adeguata documentazione: Internet Archive: https://archive.org/details/RepubblicanesimoGeopoliticoDemocraziaPuraRepubblicanesimoMarxMassimo/mode/2up e https://ia800905.us.archive.org/10/items/RepubblicanesimoGeopoliticoDemocraziaPuraRepubblicanesimoMarxMassimo/RepubblicanesimoGeopoliticoDemocraziaPuraRepubblicanesimoMarxMassimoMorigi.pdf; WebCite: http://www.webcitation.org/6oGSlmKEX e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fwww.democraziapura.altervista.org%2F%3Fpage_id%3D1119%23comment-129&date=2017-02-14; Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200316070941/http://www.democraziapura.altervista.org/suggerimenti; ResearchGate: https://www.researchgate.net/publication/313675931_Polemica_su_Democrazia_Pura_sul_Repubblicanesimo_Geopolitico_di_Massimo_Morigi: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.31504.20489. Sempre all’estate del 2014 risale la mia prima intervista sul Repubblicanesimo Geopolitico fattami da Sauro Mattarelli per conto della rivista politica repubblicana “Il Senso della Repubblica” (Sauro Mattarelli, a cura di, Dialogo con Massimo Morigi. Il Repubblicanesimo Geopolitico, in Il “Senso della Repubblica”, anno VII, n. 8, agosto 2014), nel corso della quale viene ribadito quello che già nelle prime esposizioni del 2013 del Repubblicanesimo Geopolitico apparse sul “Corriere della Collera” era il punto di partenza di tutti i ragionamenti su questa nuova dottrina filosofico-politica, vale a dire  il rifiuto da parte del Repubblicanesimo Geopolitico di una visione della libertà intesa come “non dominio”. Questo concetto di libertà come “non dominio” rivela tutta la natura ideologica ed utopica (sarebbe ancor meglio dire mitologico-utopica ma di una mitologia-utopia regressiva: anche il Repubblicanesimo Geopolitico ha la sua componente utopica, l’ Epifania strategica, ma si tratta di un mito, o meglio  di un obiettivo limite, basato – come già sottolineato – sull’autentica natura olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale della realtà e non su una libertà intesa come sottrazione di potere, mentre il potere, come viene spiegato bene nell’intervista, non è il male della società ma ciò che costituisce il suo momento generativo) dell’attuale scuola filosofico-politica neo-repubblicana (per intenderci nominando i suoi due principali esponenti: Quentin Skinner e Philip Pettit), che pur ha avuto grandi meriti nell’aver iniziato a mettere in discussione all’interno del perimetro ideologico liberal-democratico una libertà che, e su ciò siamo d’accordo con questi autori neo-repubblicani, il pensiero liberale intravede solo come ‘non interferenza’del potere sui cittadini piuttosto che, come vorrebbero i neo-repubblicani, di “non dominio” od autonomia dal potere degli stessi. Purtroppo, e nell’intervista viene ribadito a chiare lettere, se si vuole innescare un processo di autentica, progressiva e dialettica libertà umana non si tratta di meglio precisare il ‘non’, non si tratta di istituire –  seppur inconsapevolmente da parte di questa scuola neo-repubblicana – una sorta di  adorniana ‘dialettica negativa’ sottrattiva di potere ma si tratta di risalire e guardare negli occhi il momento generativo ed evolutivo di ogni società, il potere, appunto, e come questo potere, effettualmente e non in un ipotetico mondo delle fate dove costituirebbe solo un momento negativo che molto ha a che vedere col mito cristiano del diavolo, crei il lagrassiano conflitto strategico e quindi si costituisca come l’autentica genesi ed unico motore  delle classi sociali e del dialetticamente necessitato e socialmente poietico confronto-scontro fra le stesse. Gli URL dove è possibile accedere al formato PDF delle pagine del numero in questione del “Senso della Repubblica”. Per Internet Archive: https://archive.org/details/DialogoConMassimoMorigi.IlRepubblicanesimoGeopolitico.IlSensoDella/mode/2up e https://ia600501.us.archive.org/9/items/DialogoConMassimoMorigi.IlRepubblicanesimoGeopolitico.IlSensoDella/DialogoConMassimoMorigi.IlRepubblicanesimoGeopolitico.IlSensoDellaRepubblicaAnnoViiN.8Agosto2014.pdf; per WebCite: http://www.webcitation.org/6oEzHotbi                                                                                                               e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia600501.us.archive.org%2F9%2Fitems%2FDialogoConMassimoMorigi.IlRepubblicanesimoGeopolitico.IlSensoDella%2FDialogoConMassimoMorigi.IlRepubblicanesimoGeopolitico.IlSensoDellaRepubblicaAnnoViiN.8Agosto2014.pdf&date=2017-02-13; per ResearchGate: https://www.researchgate.net/publication/313648067_Tesi_di_Massimo_Morigi_sul_Repubblicanesimo_Geopolitico: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.34420.55689. La Democrazia che Sognò le Fate (Stato di Eccezione, Teoria dell’Alieno e del Terrorista e Repubblicanesimo Geopolitico) del gennaio 2015 potrebbe in apparenza essere considerato, come da titolo, un bizzarro divertissement trattando nelle sue poche paginette argomenti come la tesi n. 8 di Tesi di Filosofia della Storia di Walter Benjamin  e il suo conseguente ‘iperdecisionismo’ (iperdecisionismo che verrà affrontato poco dopo in maniera più approfondita  in Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico. Lo Stato di Eccezione come Regola), il costruttutivismo del teorico politico neorealista Alexander Wendt affrontando, seppur da un punto di vista schmittiano e con precisa individuazione della natura parareligiosa del fenomeno degli avvistamenti degli UFO, la domanda che si pone Wendt sui cambiamenti politici e culturali cui andrebbe incontro l’umanità nel momento in cui avesse contezza di una civiltà aliena (l’alieno, secondo La Democrazia che Sognò le Fate, come postmoderna incarnazione del nemico assoluto schmittiano e come novella incarnazione del diavolo) e le radici culturali del Repubblicanesimo Geopolitico, per le quali, sempre  nella Democrazia che Sognò le Fate, non si ha alcuna remora di  recuperare anche il ratzeliano tanto demonizzato concetto di Lebensraum (una sprezzatura del Repubblicanesimo Geopolitico verso le mitologie negative e positive del passato – o, meglio, verso la mitologizzazione negativa o positiva del passato che è, sempre e comunque,  il velo di Maya intessuto dal potere dominante per nascondere, appunto, il suo potere –, tanto che, per rimanere a questo caso specifico,  una alternativa definizione di Repubblicanesimo Geopolitico potrebbe essere ‘Lebensraum repubblicanesimo’ o ‘Repubblicanesimo dello spazio vitale’). Gli autori citati nella Democrazia che Sognò le Fate,  Ratzel,  Benjamin, Schmitt, potrebbero sembrare in apparenza autori che nulla hanno a che spartire fra loro. In realtà hanno molto e questo molto è, assieme ad una visione conflittuale della società, un rifiuto della narrazione politica e storica che si dipana attraverso l’affabulazione mitologica dei principi universali dei diritti dell’uomo e della loro conseguente sacralizzazione ideologica da parte liberale e democratica. Questa loro idiosincrasia è fatta interamente propria anche dal Repubblicanesimo Geopolitico e per quanto riguarda la loro dialetticità, alcuni di loro sono più dialettici, per altri, vedi Ratzel, totalmente informato ad una visione geo-spaziale del potere, apparentemente non si potrebbe pensare ad  una elaborazione teorica più lontana da un approccio dialettico ma quello che  per noi conta dal punto di vista della rinnovata filosofia della prassi del Repubblicanesimo Geopolitico è che tutti questi autori portarono efficacemente a consunzione il canone liberaldemocratico e che, quindi, anche quando la dialettica non viene espressamente riconosciuta, essi operano all’interno di una Weltanschuung che vede il fenomeno storico e sociale come una totalità, una totalità dove non è ammesso alcun sacro recinto, men che meno gli immortali diritti dell’uomo e la totalitaria sacralizzazione ideologica della democrazia rappresentativa. Discorso a parte, infine, si deve fare per Alexander Wendt. A rigore esso non può essere considerato un autore scettico della democrazia, anzi per il suo rifiuto di un realismo politico elementare e violento potrebbe essere considerato, sotto molti aspetti, come un modello del “politicamente corretto” ma il suo Anarchy is What States Make of It (per citazione bibliografica completa ed indicazione di reperibilità internettiana, vedi infra nota n°16), articolo il cui titolo e contenuto è divenuto il simbolo del suo pensiero  si ribella sì ad una teoria della relazioni internazionali ispirata ad un realismo meccanicista in cui le nazioni sono costrette alla conflittualità per via della intima struttura anarchica del sistema internazionale ma questa fuoruscita dal classico duro realismo delle relazioni internazionali non avviene in base ad una affabulazione ideologica sui sacri principi politici universalistici ma viene messa in atto attraverso una magistrale mossa: l’anarchia del sistema internazionale è, come tutte le creazioni sociali e storiche, frutto delle rappresentazioni degli attori sulla storia e sulla società e sono queste rappresentazioni, e non viceversa, che conferiscono una natura determinata alla storia e alla società stesse. Da qui la sfavillante conclusione che abbiamo anarchia (o, il suo contrario, armonia) nel sistema internazionale nella misura in cui i decisori (ed anche le masse) all’interno di questo sistema se lo rappresentano mettiamo alla Hobbes o alla Ghandi. Siamo qui veramente ad un passo da una pienamente dispiegata filosofia della prassi che vuole essere il nucleo costitutivo del Repubblicanesimo Geopolitico. Manca a Wendt, però, un tassello fondamentale per l’inveramento di una compiuta filosofia della prassi, e cioè che queste rappresentazioni mentali e/o culturali che muovono gli Stati e le loro subunità politiche (fino a giungere, come vedremo nel prosieguo di queste Glosse,  secondo l’integrale e compiuta filosofia della prassi del Repubblicanesimo Geopolitico, alle subunità  dialettico-espressive-strategiche-conflittuali della biologia, delle quali l’uomo è la più alta espressione nella sua pienamente sviluppata anche se quasi mai completamente consapevole – e anche non esclusiva rispetto alle altre  forme non solo biologiche ma anche culturali e fisiche meno evolute –  dialettica strategicità) hanno una genesi dialettico-espressiva-strategica-conflittuale. Questa consapevolezza dialettico-espressiva-strategica-conflittuale è la grande conquista della filosofia della prassi che troviamo in  György Lukács, Karl Korsch e Antonio Gramsci, e il Repubblicanesimo Geopolitico intende riprendere la loro bandiera prassistica depurandola, però, dalle mitologie politiche che albergavano in questi pensatori, vale a dire la classe operaia vista come la classe in grado di far scoppiare le contraddizioni all’interno del sistema capitalistico perché, a differenza di tutte le altre classi di oppressi apparse sullo scenario della storia, essa sarebbe, come pensavano Marx ed Engels nell’Ideologia Tedesca, una classe “intermodale”, in grado cioè di rappresentare tutte le potenzialità umane e non solo le istanze della propria classe. È qui di tutta evidenza che si è ricaduti nella mitologia, seppur riveduta e corretta a “sinistra”, degli universali diritti dell’uomo e la filosofia della prassi del Repubblicanesimo Geopolitico intende spazzare via, una volta per tutte, questa mitologia per sostituirla sì con un mito, quello dell’ Epifania strategica, ma un mito che si basa sul  riconoscimento realistico (e quindi al tempo stesso inestricabilmente dialettico e perciò mai  meccanicistico, fatalistico o psicologicamente disperato, ma dialetticamente creativo e quindi rivoluzionario) della  natura dialettico-espressiva-strategica-conflittuale della realtà. Si forniscono gli URL del nostro caricamento diretto di  questo divertissement sul Web. Per Internet Archive: https://archive.org/details/LaDemocraziaCheSognLeFatestatoDiEccezioneTeoriaDellalienoEDel/mode/2up e https://ia801603.us.archive.org/16/items/LaDemocraziaCheSognLeFatestatoDiEccezioneTeoriaDellalienoEDel/LaDemocraziaCheSognLeFatestatoDiEccezioneTeoriaDellalienoEDelTerroristaERepubblicanesimoGeopolitico.pdf.                                                                                                                                                   Per WebCite: http://www.webcitation.org/6oSfQfMIr e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801501.us.archive.org%2F25%2Fitems%2FLaDemocraziaCheSognLeFatestatoDiEccezioneTeoriaDellalienoEDel%2FLaDemocraziaCheSognLeFatestatoDiEccezioneTeoriaDellalienoEDelTerroristaERepubblicanesimoGeopolitico.pdf&date=2017-02-22. Per ResearchGate: https://www.researchgate.net/publication/313860507_La_democrazia_che_sogno_le_fate_Redux: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.31736.85760. Oltre questa immissione in proprio nel Web, nel 2017 La Democrazia che Sognò le Fate è stata pubblicata anche dal blog di geopolitica marxista “L’Italia e il Mondo” . Qui di seguito i due URL del blog attraverso i quali si prende visione di questa pubblicazione ed i relativi “congelamenti” su WebCite e Wayback Machine: http://italiaeilmondo.com/2017/02/19/la-democrazia-che-sogno-le-fate-stato-di-eccezione-teoria-dellalieno-e-del-terrorista-e-repubblicanesimo-geopolitico-di-massimo-morigi/ (WebCite: http://www.webcitation.org/6oO5aLz4z e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fitaliaeilmondo.com%2F2017%2F02%2F19%2Fla-democrazia-che-sogno-le-fate-stato-di-eccezione-teoria-dellalieno-e-del-terrorista-e-repubblicanesimo-geopolitico-di-massimo-morigi%2F&date=2017-02-19; Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200316084413/http://italiaeilmondo.com/2017/02/19/la-democrazia-che-sogno-le-fate-stato-di-eccezione-teoria-dellalieno-e-del-terrorista-e-repubblicanesimo-geopolitico-di-massimo-morigi/) e http://italiaeilmondo.com/category/zibaldone/ (WebCite: http://www.webcitation.org/6oO68C9Zj e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fitaliaeilmondo.com%2Fcategory%2Fzibaldone%2F&date=2017-02-19; Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200316084705/https://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fitaliaeilmondo.com%2Fcategory%2Fzibaldone%2F&date=2017-02-19). Nel febbraio del 2015 il “Senso della Repubblica” ha pubblicato un altro mio contributo sul Repubblicanesimo Geopolitico, Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico. Lo Stato di Eccezione come Regola (Massimo Morigi, Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico. Lo Stato di Eccezione come Regola, in “Il Senso della Repubblica”, anno VIII, n. 2, febbraio 2015), attraverso il quale si continua, approfondendola, nell’operazione iniziata con la Democrazia che Sognò le Fate di inserimento nel canone del Repubblicanesimo Geopolitico di tutte quelle “elaborazioni di senso” che dall’Ottocento fino ai giorni nostri abbiano da un lato costituito una sorta di antemurale a tutte le Weltanschauung positivistiche e meccanicistiche (compreso quindi tutte le versioni più o meno diamattine del marxismo orientale con le loro interpretazioni  deviate e positivizzate del materialismo dialettico) e dall’altro si siano duramente contrapposte ad ogni forma di irrazionalismo e spiritualismo (e il culmine della suddetta “operazione di senso” dovrebbero essere, appunto, le presenti Glosse al Repubblicanesimo Geopolitico). Ora Walter Benjamin può a buon diritto essere iscritto nel novero di coloro che rifiutarono sempre una meccanicizzazione della vita quotidiana e politica e la sua “illuminazione profana”, prima ancora di essere giustamente inquadrata nell’ambito degli influssi surrealisti, non sarebbe stata possibile senza un profondo immanentismo unito ad una indiscutibile visione dialettica della stessa. Ma andando nello specifico dell’articolo in questione, in Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico. Lo Stato di Eccezione come Regola, si è voluto porre in rilievo che questa visone “antimeccanicistica” di Walter Benjamin si sostanziò in una sorta di “filosofia della prassi” che poneva la decisione al centro di tutto il suo universo umano e politico. Scrive infatti Benjamin nella VIII tesi di Tesi di filosofia della storia: «La tradizione degli oppressi ci insegna che lo ‘stato di eccezione’ in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di eccezione; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che viviamo sono ‘ancora’ possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.». A differenza di Carl Schmitt per il quale la decisione suprema e superiore come ordine gerarchico alla legge stessa si manifesta (e si deve manifestare) solo nel momento dello stato di eccezione, per Walter Benjamin lo stato di eccezione non esiste o, meglio, dialetticamente parlando, lo ‘stato di eccezione’ è una ‘non eccezione’, cioè lo ‘stato di eccezione’ si manifesta come regola costante, pervasiva  e senza soluzione di continuità nel tempo e nello spazio e la consapevolezza di questo stato di eccezione/regola costituisce il nucleo primigenio e generativo di ogni autentico rivoluzionario   che, avendo compreso la funzione pantocratrice dello stato di eccezione/regola nella nascita e sviluppo dei rapporti sociali ed umani, deve  informare il proprio  operato teorico e pratico a questa ontologia iperdecisionista  e iperconflittualista della realtà (ben oltre il timido decisionismo di Schmitt per il quale, da vero conservatore cattolico – e fascista –, la decisione extra legem, seppure formalmente superiore alla legge stessa, in pratica non era altro che un episodio per opporsi alla rivoluzione e  finalizzato al ristabilimento dei vecchi ordini e gerarchie tradizionali della società). «Per essere ancora più chiari: per Carl Schmitt uno stato di eccezione che entra in scena solo nei momenti di massima crisi; per Walter Benjamin uno stato di eccezione continuamente ed incessantemente  operante e in cui il suo mascheramento in forme giuridiche è funzionale al mantenimento dei rapporti di dominio ma che, se pienamente riconosciuto e vissuto dalle classi dominate, diventa un Anti-Katéchon e quindi non il  frenatore [il Katéchon come aveva mitologicamente pensato Carl Schmitt, riprendendo questo termine dalla Seconda Lettera ai Tessalonicesi  nella quale  Paolo di Tarso evocava il frenatore dell’Anticristo e per traslato per il grande giuspubblicista fascista di Plettenberg Katéchon come ultima mitica risorsa per arrestare o frenare la rivoluzione, ndr]  ma un acceleratore della rivoluzione. Se giustamente, ma con intento nemmeno tanto nascostamente denigratorio, il pensiero di Carl Schmitt è stato definito ‘decisionismo’, Walter Benjamin apre al pensiero politico la dimensione dell’iperdecisionismo.»: Massimo Morigi, Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico: Lo Stato di Eccezione in cui Viviamo è la Regola, (Versione REDVX – Reloaded il 25 febbraio 2017), pp. 5-6, versione Redux di Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico. Lo Stato di Eccezione in cui viviamo è la Regola, caricata autonomamente e visionabile  agli URL https://archive.org/details/WalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDi_949/mode/2up e https://ia801900.us.archive.org/0/items/WalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDi_949/WalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDiEccezioneInCuiViviamoLaRegola-VersioneRedvx.pdf. Benjamin, quindi, come un vero campione di una filosofia della prassi integralmente immanentistica ed integralmente olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale che abbia rotto tutti i punti con tutte le filosofie meccanicistiche di destra e di sinistra (semplificando positivismo, neopositivismo e marxismo orientale, cioè Diamat) e per questo di fondamentale ed ineludibile importanza per il canone del Repubblicanesimo Geopolitico che intende informarsi ad una radicale, dialettica ed antimeccanicistica filosofia della prassi, che, come vedremo nelle note seguenti, porti al culmine della sua consapevolezza quanto già elaborato da Lukács, Korsch e Gramsci. Fondamentale (e fondante) quindi è, per il Repubblicanesimo Geopolitico, l’inserimento all’interno di questo canone anche di Walter Benjamin, visto così ora non più come una sorta di autore in cui il momento politico avrebbe costituito una sorta di forzatura della sua vera natura influenzata dal surrealismo (influsso reale ma che è stato travisato nel suo autentico senso) e da una visione mistico-poetica della realtà che lo avrebbe reso uno spirito essenzialmente impolitico (in realtà la sua fu una matura visione dialettico-espressiva-strategica-conflittuale e se Benjamin fu un impolitico lo fu alla stessa stregua di un Aristotele, di un Machiavelli, di un Hegel o di un Marx e su questo penso non sia necessario aggiungere altro). Gli URL attraverso i quali si accede al formato PDF delle pagine del suddetto numero del “Senso della Repubblica”. Per Internet Archive: https://archive.org/details/WalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDi/mode/2up e https://ia800501.us.archive.org/34/items/WalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDi/WalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDiEccezioneComeRegola.IlSensoDellaRepubblicaAnnoViiiN.2Febbraio2015.pdf. Per WebCite: http://www.webcitation.org/6oF2D6q32 e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia800501.us.archive.org%2F34%2Fitems%2FWalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDi%2FWalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDiEccezioneComeRegola.IlSensoDellaRepubblicaAnnoViiiN.2Febbraio2015.pdf&date=2017-02-13. Per ResearchGate: https://www.researchgate.net/publication/274641401_WALTER_BENJAMIN_IPERDECISIONISMO_E_REPUBBLICANESIMO_GEOPOLITICO_LO_STATO_DI_ECCEZIONE_COME_REGOLA_testo_preparatorio_di_Massimo_Morigi_sul_%27Repubblicanesimo_Geopolitico%27: https://doi.org/10.13140/RG.2.1.5099.7287. Non essendo il “Senso della Repubblica” un blog, cioè una piattaforma sul Web dove quello che viene caricato viene immesso direttamente e quindi corrisponde integralmente senza possibilità di discostamenti  alla volontà e agli errori del suo autore (al netto, ovviamente della sua eventuale non pubblicazione  o correzione sotto responsabilità del gestore del blog, interventi comunque non di natura tecnica ma dovuti ad una precisa volontà politica editoriale), ma un rivista che viene solo in seguito digitalizzata, sono possibili i classici errori tecnici redazionali  di natura editoriale nella pubblicazione dei documenti che le vengono sottoposti. Per questo motivo, e senza andare a segnalare eventuali piccoli discostamenti rispetto alla bozza originale sottoposta alla rivista stessa, si è provveduto da parte del suo autore all’autonoma immissione in rete del testo originale a suo tempo sottoposto alla rivista (ciò non è stato fatto per l’intervista sul Repubblicanesimo Geopolitico per la quale l’autore non è in possesso di bozze definitive perché la scrittura finale dell’intervista è stata interamente a cura del “Senso della Repubblica”; ciò, per lo stesso motivo, non è stato  fatto per la polemica sul  blog “Democrazia Pura” ma, nonostante la sua natura di blog dell’ “Italia e il Mondo”, si è provveduto pure, come vedremo in questa nota, di caricare autonomamente  sul Web il Dialecticvs Nvncivs, l’ultima saggio che precede e prepara le presenti Glosse che, nonostante  la sua pubblicazione  senza errori  e  revisioni  sull’ “Italia e il Mondo” – si ringrazia il blog per la fiducia ed anche per la condivisione teorica –, si è ritenuto, vista la sua importanza precorritrice rispetto alle Glosse, di fornirgli anche una ridondanza  autonoma rispetto alla pubblicazione su “L’Italia e il Mondo”). Tornando quindi agli URL della pubblicazione autonoma sul Web di Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico. Lo Stato di Eccezione come Regola, per Internet Archive l’articolo è consultabile presso i già citati URLhttps://archive.org/details/WalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDi_949/mode/2up e https://ia601900.us.archive.org/0/items/WalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDi_949/WalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDiEccezioneInCuiViviamoLaRegola-VersioneRedvx.pdf; presso il “congelamento” attraverso la piattaforma WebCite agli URL http://www.webcitation.org/6or3YW9yH  e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801509.us.archive.org%2F17%2Fitems%2FWalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDi_949%2FWalterBenjaminIperdecisionismoERepubblicanesimoGeopolitico.LoStatoDiEccezioneInCuiViviamoLaRegola-VersioneRedvx.pdf&date=2017-03-10;  e infine presso ResearchGate all’ URL https://www.researchgate.net/publication/314065896_Walter_Benjamin_Iperdecisionismo_e_Repubblicanesimo_Geopolitico_Lo_Stato_di_eccezione_in_cui_Viviamo_e_la_Regola: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.27706.39363. Inoltre Walter Benjamin, Iperdecisionismo e Repubblicanesimo Geopolitico. Lo Stato di Eccezione come Regola è stato recentemente ripubblicato sempre dal blog di geopolitica marxista “L’Italia e il Mondo” agli URL http://italiaeilmondo.com/2017/02/22/walter-benjamin-iperdecisionismo-e-repubblicanesimo-geopolitico-lo-stato-di-eccezione-in-cui-viviamo-e-la-regola-di-massimo-morigi/ (WebCite: http://www.webcitation.org/6oUAR6xbI e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fitaliaeilmondo.com%2F2017%2F02%2F22%2Fwalter-benjamin-iperdecisionismo-e-repubblicanesimo-geopolitico-lo-stato-di-eccezione-in-cui-viviamo-e-la-regola-di-massimo-morigi%2F+&date=2017-02-23; Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200316100853/http://italiaeilmondo.com/2017/02/22/walter-benjamin-iperdecisionismo-e-repubblicanesimo-geopolitico-lo-stato-di-eccezione-in-cui-viviamo-e-la-regola-di-massimo-morigi/) e http://italiaeilmondo.com/category/zibaldone/ (WebCite: http://www.webcitation.org/6oUAhrwer e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fitaliaeilmondo.com%2Fcategory%2Fzibaldone%2F&date=2017-02-23; Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200316101436/https://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fitaliaeilmondo.com%2Fcategory%2Fzibaldone%2F&date=2017-02-23). Una tappa fondamentale dell’elaborazione teorica sul Repubblicanesimo Geopolitico risale al 2015, la Teoria della Distruzione del Valore (Teoria Fondativa del Repubblicanesimo Geopolitico e per il  Superamento/conservazione del Marxismo), che è una riconsiderazione, dal punto di vista dell’integrale filosofia della prassi  del Repubblicanesimo Geopolitico, della teoria marxiana del plusvalore. È visionabile all’URL https://archive.org/details/MarxismoTeoriaDellaDistruzioneDelValore/mode/1up e direttamente, sempre su Internet Archive,  all’URL https://ia800501.us.archive.org/20/items/MarxismoTeoriaDellaDistruzioneDelValore/MarxismoTeoriaDellaDistruzioneDelValore.pdf (su WebCite, “congelando” l’upload su Internet Archive, agli URL  http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia800501.us.archive.org%2F20%2Fitems%2FMarxismoTeoriaDellaDistruzioneDelValore%2FMarxismoTeoriaDellaDistruzioneDelValore.pdf&date=2015-12-04                            e    http://www.webcitation.org/6dWOlPr8n – su ResearchGate: https://www.researchgate.net/publication/313529225_Teoria_della_Distruzione_del_Valore: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.10604.77443 –, anche con se Internet Archive, per il suo ruolo istituzionale di conservazione della memoria digitale, non dovrebbe essere necessario ricorrere alla ridondanza di WebCite); inoltre segnaliamo che la Teoria della Distruzione del Valore è stata anche pubblicata sul sito di geopolitica marxista “Italia e il Mondo” agli ’URL http://italiaeilmondo.com/2017/02/04/teoria-della-distruzione-del-valore-teoria-fondativa-del-repubblicanesimo-geopolitico-e-per-il-superamentoconservazione-del-marxismo-di-massimo-morigi/ e https://italiaeilmondo.com/category/agora/, che queste due pagine del blog “Italia e il Mondo” sono state anche rispettivamente caricate su WebCite agli URL http://www.webcitation.org/6oAWYYDIZ e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fitaliaeilmondo.com%2F2017%2F02%2F04%2Fteoria-della-distruzione-del-valore-teoria-fondativa-del-repubblicanesimo-geopolitico-e-per-il-superamentoconservazione-del-marxismo-di-massimo-morigi%2F&date=2017-02-10 e  http://www.webcitation.org/6oBx5xZNt e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fitaliaeilmondo.com%2Fcategory%2Fagora%2F&date=2017-02-11 (cui ha fatto seguito anche un “congelamento” su Wayback Machine all’URL http://web.archive.org/web/20200318073423/http://italiaeilmondo.com/2017/02/04/teoria-della-distruzione-del-valore-teoria-fondativa-del-repubblicanesimo-geopolitico-e-per-il-superamentoconservazione-del-marxismo-di-massimo-morigi/), che  la pubblicazione su “Italia e il Mondo” della Teoria della Distruzione del Valore è stata copiaincollata e poi così di nuovo caricata   su  Internet Archive generando gli URL https://archive.org/details/TeoriaSullaDistruzioneDelValorePubblicataSuItaliaEIlMondo/mode/2up                                                               e https://ia801602.us.archive.org/19/items/TeoriaSullaDistruzioneDelValorePubblicataSuItaliaEIlMondo/Teoria%20sulla%20Distruzione%20del%20Valore%20-%20Pubblicata%20su%20Italia%20e%20il%20Mondo.pdf e, per ultimo, che la Teoria della Distruzione del Valore era stata pubblicata anche nel 2015 sulla già citata rivista “Il Senso della Repubblica”. Quella pubblicata sul “Senso della Repubblica” è una versione della Teoria con un testo leggermente diverso da quello originariamente direttamente immesso nel Web (testo originale ora pubblicato anche dal blog “L’Italia e il Mondo”) ma, al di là delle differenze stilistiche fra la versione semplificata del “Senso della Repubblica” resa necessaria, a giudizio della rivista, per un più facile lettura e la versione originale, entrambe contengono un elemento che avrà una decisiva importanza per l’elaborazione teorica del Repubblicanesimo Geopolitico e che è già stato affrontato direttamente nel Dialecticvs Nvncivs e viene ancora di più approfondito nelle presenti Glosse: e, cioè, l’artificiosa e totalmente antidialettica divisione fra natura e cultura, o fra storia e natura, o fra scienze fisico-biologiche e scienze storico-sociali. Gli URL attraverso i quali si può prendere visione di questa versione semplificata della Teoria della Distruzione del Valore pubblicata sul “Senso della Repubblica”: Internet Archive: https://archive.org/details/TeoriaDellaDistruzioneDelValoreSRGiugno15/mode/2up, https://ia801600.us.archive.org/8/items/TeoriaDellaDistruzioneDelValoreSRGiugno15/Teoria%20della%20Distruzione%20del%20Valore%20-%20SR_Giugno_15.pdf; WebCite: http://www.webcitation.org/6oFMlBGla, http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601506.us.archive.org%2F28%2Fitems%2FTeoriaDellaDistruzioneDelValoreSRGiugno15%2FTeoria%2520della%2520Distruzione%2520del%2520Valore%2520-%2520SR_Giugno_15.pdf&date=2017-02-13; ResearchGate: https://www.researchgate.net/publication/313656814_Teoria_della_Distruzione_del_Valore_-_SR_Giugno_15: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.25717.37608. Come per gli altri documenti pubblicati non solo direttamente dall’autore  ma anche a cura di altri  soggetti, si è provveduto   da parte nostra, senza verificare troppo attentamente eventuali errori nella pubblicazione da parte del “Senso della Repubblica” e al solo scopo di provvedere il cortese lettore di una indiscutibile fonte primaria per la discussione sul Repubblicanesimo Geopolitico,  ad immettere nel Web anche il testo  poi affidato alla redazione del “Senso della Repubblica”. Ancora qui di seguito gli URL attraverso i quali si può avere contezza del testo originale semplificato inviato al “Senso della Repubblica” senza i possibili (e quasi inevitabili) errori redazionali del “Senso della Repubblica”: Internet Archive:https://archive.org/details/TEORIADELLADISTRUZIONEDELVALOREREDUX/mode/2up , https://ia801600.us.archive.org/20/items/TEORIADELLADISTRUZIONEDELVALOREREDUX/TEORIA%20DELLA%20DISTRUZIONE%20DEL%20VALORE%20-%20REDUX.pdf; WebCite: http://www.webcitation.org/6oFLMkhYx, http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601508.us.archive.org%2F30%2Fitems%2FTEORIADELLADISTRUZIONEDELVALOREREDUX%2FTEORIA%2520DELLA%2520DISTRUZIONE%2520DEL%2520VALORE%2520-%2520REDUX.pdf&date=2017-02-13; ResearchGate: https://www.researchgate.net/publication/313656735_TEORIA_DELLA_DISTRUZIONE_DEL_VALORE_-_REDUX: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.10617.88168. Infine, le presenti Glosse devono essere considerate come la parte conclusiva di un trittico sul Repubblicanesimo Geopolitico le cui prime due parti sono state composte e pubblicate nel secondo semestre del 2016 e sono Repubblicanesimo Geopolitico Anticipating Future Threats. Dialogo sulla moralità del Repubblicanesimo Geopolitico più breve nota all’intervista del CSEPI a La Grassa (di Massimo Morigi) (agli URL https://archive.org/details/MARXISMO_345/mode/2up            e https://ia601909.us.archive.org/4/items/MARXISMO_345/MARXISMO.pdf; WebCite:    http://www.webcitation.org/6o8vF7WLt  e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601909.us.archive.org%2F4%2Fitems%2FMARXISMO_345%2FMARXISMO.pdf&date=2017-02-09; ResearchGate: https://www.researchgate.net/publication/309427489_Repubblicanesimo_Geopolitico_Anticipating_Future_Threats_Dialogo_sulla_Moralita_del_Repubblicanesimo_Geopolitico_piu_Breve_Nota_all%27Intervista_del_CSEPI_a_La_Grassa_di_Massimo_Morigipdf: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.11532.72320) e Dialecticvs Nvncivs. Il punto di vista del Repubblicanesimo Geopolitico attraverso i Quaderni del Carcere e Storia e Coscienza di Classe per il rovesciamento della gerarchia della spiegazione meccanicistico-causale e dialettico-conflittuale, per il rinnovamento degli studi marxiani e marxisti e per l’Aufhebung della gramsciana   e   lukacsiana   Filosofia   della  Praxis (agli URL https://archive.org/details/DialecticvsNvncivs_201701/mode/2up                                              e                            https://ia801904.us.archive.org/6/items/DialecticvsNvncivs_201701/Dialecticvs%20Nvncivs.pdf; WebCite:  http://www.webcitation.org/6o8wW4znJ e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801509.us.archive.org%2F26%2Fitems%2FDialecticvsNvncivs_201701%2FDialecticvs%2520Nvncivs.pdf&date=2017-02-09; ResearchGate: https://www.researchgate.net/publication/313278043_Dialecticvs_Nvncivs_Il_punto_di_vista_del_Repubblicanesimo_Geopolitico_attraverso_i_Quaderni_del_Carcere_e_Storia_e_Coscienza_di_Classe_per_il_rovesciamento_della_gerarchia_della_spiegazione_meccanici: https://doi.org/10.13140/RG.2.2.29749.47842. Similmente  alla Teoria della Distruzione del Valore, anche Dialecticvs Nvncivs è stato pubblicato sul blog  “L’Italia e il Mondo”, agli URL   http://italiaeilmondo.com/2016/12/13/dialecticus-nuncius-di-massimo-morigi/ e http://italiaeilmondo.com/category/agora/; WebCite: rispettivamente http://www.webcitation.org/6oBwn5kXP e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fitaliaeilmondo.com%2F2016%2F12%2F13%2Fdialecticus-nuncius-di-massimo-morigi%2F&date=2017-02-11 e http://www.webcitation.org/6oBx5xZNt e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fitaliaeilmondo.com%2Fcategory%2Fagora%2F&date=2017-02-11, cui ha fatto seguito anche un “congelamento” su Wayback Machine all’URL   http://web.archive.org/web/20200318082736/http://italiaeilmondo.com/2016/12/13/dialecticus-nuncius-di-massimo-morigi/). Se Repubblicanesimo Geopolitico Anticipating Future Threats poteva essere considerato una breve esposizione della moralità (dialettica) del Repubblicanesimo Geopolitico e  Dialecticvs Nvncivs, sempre attraverso un’impostazione dialettica imperniata sulla filosofia della praxis di György Lukác, Karl Korsch e Antonio Gramsci, è il tentativo, come da titolo, per rovesciare l’inveterata primazia della spiegazione meccanicistico-causale su quella teleologica del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale mettendo questa seconda non solo come primo ed imprescindibile punto di partenza  nella spiegazione  dei cosiddetti fenomeni storico-sociali   ma anche in quella dei cosiddetti fenomeni naturali  e fisici, Glosse al Repubblicanesimo Geopolitico è, in ultima analisi, il tentativo sia alla luce di una rinnovata morale dialettica sia proseguendo nell’ulteriore approfondimento del rovesciamento gerarchico fra i due tipi di spiegazione appena citati, di comprendere e riassumere nel canone del Repubblicanesimo Geopolitico stesso tutta quella tradizione filosofica, politica e filosofico-politica che nel corso dell’Ottocento e del Novecento, anche se spesso su versanti politici contrapposti, si è sempre caratterizzata per il rifiuto in campo politico del canone liberale e, in campo filosofico, per il rigetto del positivismo e del neopositivismo. Glosse al Repubblicanesimo Geopolitico, insomma, vuole essere espressione di una  inedita moralità dialettica volta al rinnovamento della tradizione rivoluzionaria occidentale, una tradizione rivoluzionaria il cui rinnovato e rinvigorito nucleo dialettico si ponga il fondamentale ed ineludibile obiettivo dell’unificazione soprattutto  di quelle  esperienze filosofiche e politiche che nel recente passato si erano mortalmente combattute. Glosse al Repubblicanesimo Geopolitico costituisce, quindi, sia uno sforzo puramente teorico ma, al tempo stesso, anche un atto di concreta moralità dialettica per unire in senso rivoluzionario sia sul versante gnoseologico ed epistemologico che su quello dell’azione sociale indirizzi di pensiero e di concreta azione politica che sempre contestarono il canone liberale ma nei quali, oltre che  la storia politica otto-novecentesca, anche una non ancora pienamente sviluppata visione dialettica (o, anche, il totale rifiuto della stessa) non consentiva di vedersi e di riconoscersi con profondissime affinità. E questo vicendevole riconoscimento, cui con le presenti Glosse si ritiene di apportare un fondamentale contributo, altro non essendo che il primo ed imprescindibile passo per una rinascita della filosofia della prassi è, di conseguenza, l’atto fondante di quella rivoluzionaria moralità dialettica alla quale con questo lavoro si vuole sì dare, come nei due precedenti lavori, annuncio e sostanza scientifica ma anche fare in modo che questo annuncio si concretizzi in quella Epifania strategica che seguendo il filo rosso di Eraclito, Aristotele, Machiavelli, Vico, Hegel, Carl von Clausewitz, Marx, Mazzini, Gentile, Lenin, György Lukács, Karl Korsch, fino a giungere ad Antonio Gramsci, rivoluzioni ab imis sia la nostra visione ed interpretazione  del mondo che il nostro agire nella società.».

 

13 «I am conscious of the odd perspective provided by my historical position – a Ph.D. in biology for an Irish Catholic girl was made possible by Sputnik’s impact on U.S. national science-education policy. I have a body and mind as much constructed by the post-World War II arms race and Cold War as by the women’s movements. There are more grounds for hope by focusing on the contradictory effects of politics designed to produce loyal American technocrats, which as well produced large numbers of dissidents, rather than by focusing on the present defeats. The permanent partiality of feminist points of view has consequences for our expectations of forms of political organization and participation. We do not need a totality in order to work well. The feminist dream of a common language, like all dreams for a perfectly true language, of perfectly faithful naming of experience, is a totalizing and imperialist one. In that sense, dialectics too is a dream language, longing to resolve contradiction. Perhaps, ironically, we can learn from our fusions with animals and machines how not to be Man, the embodiment of Western logos. From the point of view of pleasure in these potent and taboo fusions, made inevitable by the social relations of science and technology, there might indeed be a feminist science.» (Donna Jeanne Haraway, A Manifesto for Cyborgs: Science, Technology, and Socialist Feminism in the 1980s, cit., in Id., The Haraway Reader, cit., London, Routledge, 2004, p. 31); «“Companion species” is a much bigger and more heterogeneous category than companion animal, and not just because one must start including such organic beings as rice, bees, tulips, and intestinal flora, all of whom make life for humans what it is – and vice versa. I want to rewrite the keyword entry for “companion species” to insist on four tones simultaneously resonating in the linguistic, historical voice box that makes uttering this term possible. First, as a dutiful daughter of Darwin, I insist on the tones of the history of evolutionary biology, with its key categories of populations, rates of gene flow, variation, selection, and biological species. All of the debates in the last 150 years about whether the category denotes a real biological entity or merely figures a convenient taxonomic box provide the over-and undertones. Species is about biological kind, and scientific expertise is necessary to that kind of reality. Post-cyborg, what counts as biological kind troubles any previous category of organism. The machinic is internal to the organic and vice versa in irreversible ways. Second, schooled by Thomas Aquinas and other Aristotelians, I remain alert to species as generic philosophical kind and category. Species is about defining difference, rooted in polyvocal fugues of doctrines of cause. Third, with an indelible mark on my soul from a Catholic formation, I hear in species the doctrine of the Real Presence under both species, bread and wine, the transubstantiated signs of the flesh. Species is about the corporeal join of the material and the semiotic in ways unacceptable to the secular Protestant sensibilities of the American academy and to most versions of the human sciences of semiotics. Fourth, converted by Marx and Freud, I hear in species filthy lucre, specie, gold, shit, filth, wealth. In Love’s Body, Norman O. Brown taught me about the join of Marx and Freud in shit and gold, in specie. I met this join again in modern U.S. dog culture, with its exuberant commodity culture, its vibrant practices of love and desire, its mongrel technologies of purebred subject and object making. Pooper scoopers for me is quite a joke. In sum, “companion species” is about a four-part composition, in which co-constitution, finitude, impurity, and complexity are what is.» (Id., Cyborgs to Companion Species: Reconfiguring Kinship in Technoscience, in Id., The Haraway Reader, cit., pp. 301-302). Mentre sul background cattolico di Donna Haraway pensiamo non ci sia altro da aggiungere, molto da aggiungere ci sarebbe sul fatto che la Haraway non operi mai un completo distacco da queste sue radici culturali ma cerchi di dialettizzarle intrecciandole con la cultura materialista-positivista e darwinista della comunità della maggior parte degli studiosi di genetica e biologia. Non vogliamo qui riprendere i discorsi appena fatti in merito allo stile fantasmagorico e profondamente feticistico della Haraway che denuncia una libido dialectica che non riesce mai (anche i ragione dei nefasti influssi heideggeriani e poststrutturalisti mostrati anche in queste nostre citazioni e che non sono solo una delle note dominanti di tutta la sua produzione ma sono anche il morbo antistrategico – il filosofo di  Meßkirch il pensatore più antistrategico ed antidialettico di tutta la tradizione filosofica occidentale! – che ha colpito il pensiero di “sinistra” a partire dagli anni ’80, dopo cioè che erano cadute, travolte dall’evidente fallimento storico ed  epistemologico del rozzo e monocorde conflittualismo classe operaia vs classe capitalista industriale che era stato il motore ideologico delle rivoluzioni anticapitalistiche del Novecento, tutte le illusioni millenariste e crolliste sul capitalismo del pensiero marxiano e marxista) a prendere piena consapevolezza di sé, preferiamo piuttosto concentrare la nostra riflessione su un passaggio del secondo brano da noi citato, dove l’Haraway in merito alla sua formazione cattolica e all’importanza che ha per lei il dogma della transustanziazione (che, per una sorta di pudore antiteologico essa non definisce dogma, come invece dovrebbe nominarlo attenendoci ad una corretta dottrina cattolica) essa chiaramente riconosce l’importanza di San Tommaso nella sua formazione. Riproponiamo il passaggio in questione: «Second, schooled by Thomas Aquinas and other Aristotelians, I remain alert to species as generic philosophical kind and category. Species is about defining difference, rooted in polyvocal fugues of doctrines of cause. Third, with an indelible mark on my soul from a Catholic formation, I hear in species the doctrine of the Real Presence under both species, bread and wine, the transubstantiated signs of the flesh.», nel quale, visto che si parla di San Tommaso d’Aquino e della transustanziazione, la prima cosa che notiamo è una assordante assenza, vale a dire non si menziona minimante il fatto che l’Aquinate è l’autore della preghiera Lauda Sion Salvatorem, il cui messaggio è riassumibile nelle parole «Dogma datur christianis, quod in carnem transit panis, et vinum in sanguinem» («Un dogma è dato ai cristiani: il pane si trasforma in carne e il vino in sangue») e il cui testo, oltre che per la sua evidente bellezza, per il suo ruolo di benjaminiano teologico nano gobbo nascosto dentro il tavolo della scacchiera filosofica della Haraway, citiamo per intero: «Lauda Sion Salvatórem/ Lauda ducem et pastórem/ In hymnis et cánticis.// Quantum potes, tantum aude:/ Quia major omni laude,/ Nec laudáre súfficis.// Laudis thema speciális,/ Panis vivus et vitális,/ Hódie propónitur.// Quem in sacræ mensa cœnæ,/ Turbæ fratrum duodénæ/ Datum non ambígitur.// Sit laus plena, sit sonóra,/ Sit jucúnda, sit decóra/ Mentis jubilátio.// Dies enim solémnis ágitur,/ In qua mensæ prima recólitur/ Hujus institútio.// In hac mensa novi Regis,/ Novum Pascha novæ legis,/ Phase vetus términat.// Vetustátem nóvitas,/ Umbram fugat véritas,/ Noctem lux elíminat.// Quod in cœna Christus gessit,/ Faciéndum hoc expréssit/ In sui memóriam.// Docti sacris institútis,/ Panem, vinum, in salútis/ Consecrámus hóstiam.// Dogma datur Christiánis,/ Quod in carnem transit panis,/ Et vinum in sánguinem.// Quod non capis, quod non vides,/ Animósa firmat fides,/ Præter rerum ordinem.// Sub divérsis speciébus,/ Signis tantum, et non rebus,/ Latent res exímiæ.// Caro cibus, sanguis potus:/ Manet tamen Christus totus,/ Sub utráque spécie.// A suménte non concísus,/ Non confráctus, non divísus:/ Integer accípitur.// Sumit unus, sumunt mille:/ Quantum isti, tantum ille:/ Nec sumptus consúmitur.// Sumunt boni, sumunt mali:/ Sorte tamen inæquáli,/ Vitæ vel intéritus.// Mors est malis, vita bonis:/ Vide paris sumptiónis/ Quam sit dispar èxitus.// Fracto demum Sacraménto,/ Ne vacílles, sed memento,/ Tantum esse sub fragménto,/ Quantum toto tégitur.// Nulla rei fit scissúra:/ Signi tantum fit fractúra:/ Qua nec status nec statúra/ Signáti minúitur.// Ecce panis Angelórum,/ Factus cibus viatórum:/ Vere panis fíliórum,/ Non mittendus cánibus.// In figúris præsignátur,/ Cum Isaac immolátur:/ Agnus paschæ deputátur/ Datur manna pátribus.// Bone pastor, panis vere,/ Jesu, nostri miserére:/ Tu nos pasce, nos tuére:/ Tu nos bona fac vidére/ In terra vivéntium.// Tu, qui cuncta scis et vales:/ Qui nos pascis hic mortales:/ Tuos ibi commensáles,/ Cohærédes et sodales,/ Fac sanctórum cívium./ Amen./ Allelúja.» (scaricato da https://it.cathopedia.org/wiki/Lauda_Sion_Salvatorem; Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20160730225817/http://it.cathopedia.org/wiki/Lauda_Sion_Salvatorem; inoltre sull’importanza per la Chiesa cattolica della preghiera Lauda Sion Salvatorem, citiamo da Maria Francesca Carnea, Il “Lauda Sion Salvatorem” di Tommaso d’Aquino, 5 giugno 2012, all’URL http://comunicativaviva.blogspot.com/2012/06/il-lauda-sion-salvatorem-di-tommaso.html, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200929060931/http://comunicativaviva.blogspot.com/2012/06/il-lauda-sion-salvatorem-di-tommaso.html: «Contemplata ai vertici della poesia religiosa di ogni tempo, il Lauda Sion Salvatorem è mirabile preghiera della tradizione cristiana cattolica. In essa viene enunciato il dogma della transustanziazione e spiegata la presenza completa e reale di Cristo in ogni specie. L’autore è Tommaso d’Aquino, che la compose nel 1264, su richiesta di Papa Urbano IV quando questi stabilì la festa del Corpus Domini per tutta la Chiesa, festa che fu istituita l’8 settembre 1264 con la Bolla Transiturus de hoc mundo, in seguito al miracolo eucaristico di Bolsena. Papa Urbano IV fece convocare un’assemblea che riuniva i più famosi maestri di Teologia di quel tempo. Tra questi San Tommaso d’Aquino e San Bonaventura, noti per la brillante intelligenza e purezza della dottrina. Urbano IV desiderava che fosse composto in onore del Santissimo Corpus Domini un Ufficio, da utilizzare unicamente nella Messa cantata in occasione di quella solennità e, per questo, sollecitò ad ognuna di quelle dotte personalità una composizione. Il primo a esporre fu l’Aquinate che declamò la Sequenza da lui composta. Fra Bonaventura, ascoltandolo, con un autentico gesto di umiltà, rese tributo alla devozione dell’Aquinate e, senza indugio, cancellò la propria composizione.»). Questa preghiera, ottimamente illustrata dal punto di vista storico-dottrinale dall’autorevolezza della voce della filosofa e teologa cattolica Maria Francesca Carnea, riassume tutto il cattolicesimo perché 1) esprime una fondante e fondativa Weltanschaung dove regna una inestricabile commistione fra spirito e materia (ma dove né l’una né l’altra riescono ad essere superate in una convincente prospettiva dialettica); perchè 2) nonostante questa debolezza dialettica, meravigliosamente rappresenta il  fortissimo anelare del cattolicesimo verso una dimensione olistica della realtà, dimensione olistica che trova la sua rappresentazione mitico-materica nell’ostia consacrata che non funge da simbolo del passaggio di Cristo su questa Terra ma ne è il vero e proprio corpo vivente che, attraverso il rituale della sua ingestione, conferisce ai semplici credenti  laici nel Salvatore e ai sacerdoti della comunità cristiana  la stessa qualità di immortalità del corpo del Dio-uomo; e perché 3) vi si rappresenta come meglio non si potrebbe le difficoltà dialettica del cattolicesimo che ogniqualvolta non riesce ad elaborare una più o meno convincente sintesi dialettica fra i suoi vari contrastanti momenti ricorre al dogma e al mito. Ma se l’Haraway cela il suo teologico nano gobbo, noi espressamente gli riconosciamo il suo grande valore per la dialettica proprio in ragione del fatto che è uno dei testi della tradizione religiosa occidentale dove più chiara risulta la tensione fra una pulsione dialettica che non riesce a tramutarsi in un corpo filosofico e un ricorso al mito proprio in ragione di questo fallimento. Insomma, il Lauda Sion Salvatorem, oltre ad essere una delle più belle preghiere mai scritte sulla sacra transustanziazione è anche l’esito di una filosofica transustanziazione che ci svela il suo fallimento ma che proprio in questo suo chiaro fallimento apre le strade, per chi le voglia percorrere, ad una migliore comprensione dialettica. E la Haraway nascondendo questo  nano gobbo ancora una volta ci dimostra che l’unico percorso che le è consentito intraprendere dalla sua personale teologia è quello di sostituire i vecchi miti religiosi con altri nuovi, che nel suo caso sono i cyborg e gli endosimbionti, fantasmagoriche e feticistiche transustanziazioni del suo particolare e personale fallimento dialettico.  

 

14 Sulla natura olistico-dialettica-espressiva-strategica-conflittuale dell’uomo, natura che è completamente sovrapponibile a quella di tutto il resto della totalità espressiva  ma la cui realtà dialettica prassisticamente si realizza nelle modalità politiche dello ζῷον πολιτικόν e  dello  ζῷον  λόγον  ἔχων  e su come queste due Gestalt  aristoteliche  possano dare origine ad un mito che, a differenza dei miti dell’antichità, non ci parla attraverso poetiche mefafore ed allegorie ma si poggia  sulla  realistica e “scientifica” Weltanschauung dell’uomo animale politico e dell’uomo animale dotato di linguaggio, invitiamo ad una attenta e rivelatrice rilettura delle   Réflexions sur la violence di Georges Sorel (all’URL https://cras31.info/IMG/pdf/sorel_reflexions_violence.pdf, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200803152218/https://cras31.info/IMG/pdf/sorel_reflexions_violence.pdf, è consultabile e scaricabile l’edizione elettronica del testo di Georges Sorel, Réflexions sur la violence, Paris, Pages libres, 1908, del testo cioè della prima edizione delle Riflessioni sulla violenza.  Per ulteriori considerazioni bibliografico-internettiane sulle Riflessioni sulla violenza, vedi infra sezione bibliografica internettiana del presente lavoro).

 

 

15 Comunque, nessuno meglio del Dialectical Biologist ha saputo esprimere l’inanità della separazione  fra mondo culturale e mondo della natura basandosi sulla consapevolezza che la dimensione storico-dialettica è sempre prevalente sulla supposta meccanicità  delle c.d. leggi di natura e determinanti, quindi, in ragione di questa illusoria meccanicità, una sorta di separazione ontologico-epistemologica fra mondo naturale dove sarebbero vigenti queste leggi  e mondo umano storico-sociale-culturale dove queste non sarebbero valide (storicismo tedesco non hegeliano ma neokantiano, impostazione sostanzialmente corretta per quanto riguarda l’inapplicabilità di una legalità meccanica nello studio della cultura, storia e della società ma mancanza in questo storicismo di una consapevole visione dialettica, per cui ontologica separazione fra mondo naturale e mondo culturale e spiegazone di quest’ultimo tramite categorie psicologistiche e/o critpto-spiritualistiche che denotano una dialettica in nuce ma soffocata: Wilhelm Dilthey, separazione fra scienze della natura e scienze dello spirito, dove queste seconde riguarderebbero lo studio dell’Erlebnis, cioè dell’esperienza vissuta, dove ai nostri occhi è di tutta evidenza che l’Erlebnis è una sorta di inconscio grafema del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico; Wilhelm Windelband distingue fra scienze nomotetiche, le scienze della natura,  e scienze idiografiche, cioè le scienze storiche e quelle che riguardano lo studio della cultura: un tentativo epistemologico per il Repubblicanesimo Geopolitico di grande interesse non perché ribadisce la distinzione fra scienze della cultura e quella della natura ma perché, dando una definizione della scienza storica come scienza idiografica, cioè una scienza che studia una vicenda storica nella sua unicità, delinea anche il caratteristico movimento del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale, che è appunto movimento che di volta in volta deve trovare la sua unica espressività non riconducibile ad alcuna legge meccanica; molto interessante, e potenzialmente eversivo rispetto al pensiero di Dilthey e Windelband, il discorso di Heinrich Rickert, dove egli pur riprende l’impostazione di Windelband in merito alla distinzione delle scienze ma a differenza di Windelband sostiene che questa distinzione non dipende dall’oggetto studiato ma dal metodo adottato dallo studioso, per cui anche la natura può essere studiata con metodo idiografico e le scienze naturali, al contrario, con metodo nomotetico: in Rickert, dal nostro punto di vista, vediamo attuata in nuce una sorta di atteggiamento strategico riguardo alla conoscenza, un atteggiamento strategico molto affine al paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico, il quale, per esempio, per quanto riguarda le spiegazioni nomotetiche e meccanicistiche delle scienze fisiche non le rigetta in ragione di questa loro natura antidialettica ma, al momento, si limita a far notare che queste leggi sono l’umana estrapolazione hic et nunc di una vicenda dialettico-storica-fisica-naturale mal conosciuta dall’uomo e che quando verrà conosciuta – se mai ovviamente verrà conosciuta –  valuterà la veridicità della meccanicità di queste leggi alla stessa stregua di come noi moderni giudichiamo  la veridicità dei miti dell’antichità) o se valide, a differenza che nelle leggi di natura, di più complessa e complicata applicazione (positivismo e/o neopositivismo: nel giusto nel volere delineare un campo unificato fra mondo della natura e quello della cultura, in totale errore in quanto la sola legalità valida in questo mondo così unificato è quella meccanico-deterministica e non quella dialettica); primato del Dialectical Biologist che, però, gli riconosciamo solo  limitatamente al campo delle elaborazioni filosofiche direttamente ispirate dalla moderna biologia e/o dai più recenti sviluppi della genetica, cioè l’epigenetica, la teoria endosimbiotica e la sintesi evoluzionistica estesa, perché se allarghiamo il nostro esame al pensiero che direttamente scaturisce dall’elaborazione della tradizione filosofica, cioè il pensiero nato da filosofi professionali che non partono  per le loro elaborazioni da ragionamenti scaturenti dalla problematizzazione di nozioni tecnico-professionali originariamente estranee al dibattito filosofico, l’idealismo italiano aveva già saputo magistralmente e ancor più cristallinamente delineare il problema. Ecco cosa scrive in proposito Giuseppe Galasso (Napoli, 19 novembre 1929 – Pozzuoli, 12 febbraio 2018), che può essere considerato lo storico che meglio seppe far fruttare la lezione dell’idealismo italiano e, in particolare, di Benedetto Croce: «1.2 Il carattere della storicità. Per questo primo aspetto, dunque, il problema del rapporto con la filosofia non si pone per la storiografia in maniera difforme che per ogni altra scienza o disciplina. Per un secondo aspetto – secondo, ovviamente solo nell’ordine espositivo qui seguito – è, invece, da vedere se tale rapporto si ponga per la storiografia anche in maniera diversa, e cioè con una sua particolarità concettuale e metodologica, con una specificità sostanziale e, insomma, in modo da delineare tra storiografia e filosofia una special partnership, con un suo privilegium fori, i suoi contenuti e le sue procedure, irriducibili a ogni altra societas della filosofia con le varie branche del sapere. La risposta positiva a un tale quesito è dettata da una considerazione fondamentale: quella, cioè, relativa al carattere storico della realtà in tutte le sue determinazioni e qualificazioni. Se la filosofia è, innanzitutto, coscienza critica delle scienze e se le scienze sono lo studio della realtà, se la realtà è tutta storica e se c’è una scienza che specificamente si occupa di storia, la relazione alla quale accenniamo non solo non può sorprendere, ma appare come oggetto di una constatazione obbligata. Il carattere storico della realtà, di tutta la realtà è nozione fondamentale, ma di cui si è meno consapevoli di quanto non si dica e non appaia. Orgoglio umanistico e, all’apposto, senso religioso o filosofico o artistico della finitezza e della pochezza umane portano a ritenere che la storicità sia un privilegio o, a seconda dei punti di vista, un doloroso destino dell’uomo. Niente di ciò che sappiamo della realtà può, tuttavia, fare accettare una tale visione delle cose. Storico: cioè, non dato una volta per tutte, non immobile nella sua struttura e nelle sue condizioni, e quindi sottoposto a un mutamento perenne, a una modificazione continua, a un movimento inarrestabile; storico appare ed è tutto quello che l’uomo conosce del mondo, dell’universo in cui si ritrova. Cambiano e sono enormemente diversi tra loro i tempi del mutamento. I tempi biologici, i tempi geologici, i tempi galattici sono tempi di lunghezza incommensurabile rispetto ai tempi storici e a quelli dell’esperienza umana collettiva e individuale. Qualsiasi lunga o lunghissima durata di fenomeni storici si voglia postulare, quei tempi della «natura» sono incomparabili nella loro estensione. Le stesse più ampie misure storiche (il secolo, il millennio) sono, al confronto, semplicemente inani. La «natura» appare immobile e costante solo in grazia di queste enorme sfasatura temporale. Ma, se la ragione varca i limiti del tempo umano e non se ne fa tenere prigioniera, la storicità del mondo emerge come un dato fin troppo immediato ed evidente. Le nebulose, i sistemi solari, i soli, i pianeti quali l’esplorazione e lo studio astronomico ce li configurano sono assetti mutevoli, che hanno avuto un inizio e avranno, altrettanto certamente, una fine. La vita stessa in quanto fenomeno biologico, l’ordine delle specie vissute e viventi, oltre che l’assetto dei mari e delle terre e ogni altro elemento geografico, geologico ecc,  sono mutati nel tempo in maniera radicale, e sono innumerevoli gli aspetti della realtà terrestre che hanno cessato di essere dopo aver durato, in molti casi, per diecine di milioni di anni. Che si qualifichino queste grandiose e lunghissime vicende come evoluzione o in qualsiasi altro modo, il dato di fondo non cambia. La «natura» è tanto poco immobile e immutabile e duratura quanto, sulla propria e, al confronto, minima scala, lo è qualsiasi realtà umana. L’espressione «storia naturale» ha, da questo punto di vista, una pregnanza e una dimensione storica e filosofica che non deve sfuggire. È singolare che a mostrarsene avvertiti siano, in qualche caso, più i filosofi che i naturalisti: basti ricordare qualche pagina di Windelband o di Croce (filosofi, per giunta, di varia fisionomia idealistica). È solo da ricordare e da aggiungere che anche nella filosofia, ma soprattutto nella scienza moderna la nozione di «natura» ha progressivamente ceduto il campo ad una sua diversa, per non dire opposta, considerazione. Dalla natura come res, sostanza o materia più o meno inerte e passiva, si giunge alla materia come complesso di forze, di energie, nei cui equilibri e nelle relative modificazioni consistono propriamente quelli che noi chiamiamo corpi e cose e le loro vicende. Questa visione dinamica della natura non ha fatto che accentuarne – per quanto inconsapevolmente ciò possa essere accaduto –  il carattere storico, fino al punto che in termodinamica si è giunti all’ipotesi  della morte termica dell’universo e in meccanica statistica, ma anche fuori del campo strettamente fisico, si è parlato di entropia come una misura del disordine e dello stato indifferenziato di un sistema e, quindi, della probabilità che il sistema tenda agli strati macroscopici per esso più prevedibili. La nozione di entropia è, peraltro, ancor più raccordata con la riflessione qui avanzata. Il suo proprium scientificamente e filosoficamente più rilevante sta nell’aver fissato la irreversibilità non solo di un campo fondamentale di fenomeni qual è quello dei fenomeni entropici, bensì, e ancor più, del tempo, ossia della dimensione temporale, di tali fenomeni. La realtà si conferma così come un fiume che non può rifare all’inverso il suo percorso e che nel suo cammino consuma un tempo che va sempre nella direzione dell’anteriore al posteriore, sempre ex ante, mai ex post, un tempo cioè non rovesciabile. L’unità di destino spazio-temporale è, così, profondamente affermata e confermata. Direzione del moto e direzione del tempo non sono variabili indipendenti o elementi indifferenti del processo, che in quelle due congiunte direzioni sviluppa la sua irrecuperabilità, la impossibilità di restaurare le situazioni anteriori: impossibilità che non è, peraltro,  pura e semplice impotenza, bensì, insieme, spinta creativa a nuovi equilibri, a nuovi assetti, a nuovi movimenti. È, questa spinta, da un punto di vista non fisico, ma storico-filosofico, a consentire di parlare di entropia non come principio di morte, bensì come una condizione o un dato nello svolgimento del processo vitale. La menomazione proveniente dall’entropia è irrecuperabile, perché deriva da situazioni e rapporti chiusi, isolati; è, invece, compensabile in regime di sistemi aperti, connessi, in cui altre energie e altri slanci introducono nella direzione del moto e del tempo nuovi elementi, e cioè se la creatività non è solo consumo di una dotazione originaria, ma è anche funzione specifica di produzione in corso d’opera. Si capisce, perciò, la ritrosia degli scienziati ad ammettere un’estensione universale dell’entropia e la loro tendenza a limitarne senso e valore ai sistemi chiusi o parziali. Il che non significa la possibilità di invertire ciò che è irreversibile; vuol dire, invece, possibilità di proseguire o proiettare altrimenti, la vita, il moto, il tempo. Il carattere della storicità determina, dunque, tra filosofia e storiografia un nesso profondo e particolare. Esso determina, peraltro, un tale nesso anche tra la storia e qualsiasi altra scienza. Qualsiasi ramo dello scibile, in quanto attiene a un elemento della realtà, ha a che vedere, infatti, con problemi storici. Accade, nel caso di assetti fisici o biologici, geologici o di altro ordine, che la durata del regime sub specie del quale li conosciamo sia talmente estesa da togliere ogni rilievo pratico alla loro natura storica dal punto di vista dello studio che ne facciamo. L’aspetto istituzionale, strutturale appare allora nettamente prevalente e le relative scienze assumono, a tutto buon diritto, quel carattere «nomotetico», che è stato spesso opposto, come elemento fra loro discriminante, al carattere «idiografico» della conoscenza storica: le scienze fisiche, naturali ecc. guardano ai casi generali e ricorrenti e alle forme strutturali dei loro oggetti di studio e tendono a enunciare, al riguardo, leggi e principi rigorosi; le discipline storiche si interessano a casi singoli, irripetibili e tendono a descriverli nella loro individuante specificità. Checchè si voglia pensare di questa distinzione, sta di fatto che essa può valere solo se e in quanto si astrae dal carattere storico della «natura» quale sopra è stato illustrato. In realtà, poi, a questo carattere storico non si può, in ultima analisi, sfuggire. Perciò, qualsiasi sistemazione nomotetica (per dire tutto con una sola parola) in qualsiasi ramo dello scibile è convertibile in ordine idiografico: sull’orizzonte delle scienze dei corpi e delle cose, vicinissimo o lontanissimo, si staglia sempre il profilo  delle scienze della storia dei corpi e delle cose, e sono queste seconde il sovrano legittimo del campo che le prime, giustificatamente, per intanto possono occupare. Ciò è vero, contro ogni avversa apparenza, anche per le scienze matematiche. Le si consideri dedotte dalla considerazione astratta di aspetti o forme della realtà o le si consideri un’autonoma e soggettiva elaborazione dello spirito umano, esse non hanno fatto altro nella loro lunga storia che ampliare, modificandole anche in modo sostanziale, le nozioni elementari e primitive dell’aritmetica e della geometria: il numero e il calcolo, le linee e i volumi della fine del secolo XX non sono soltanto più complessi, sono anche in certo qual modo «altri» da quelli di trenta secoli prima.»: Giuseppe Galasso, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 168-172. E ribadisce sempre in Nient’altro che storia: «Da questo punto di vista il rapporto tra storia e filosofia è destinato a riemergere sempre come un problema centrale di ogni metodologia storica, al di là di quelle che sono le occasionali congiunture di distacco fra le due attività e al di là delle periodiche, salutari e reciproche rivolte. Nella società contemporanea, in un periodo di profonda trasformazione, la storiografia ha fatto appello alle scienze sociali per riempire un vuoto, che costituisce esso stesso, come si è detto, un importante fatto storico. La risposta è stata oltremodo generosa e ha consentito un arricchimento delle procedure storiche proprio negli anni delle vacche magre, quando allo storico è venuto a mancare il suo tradizionale quadro di riferimento. Il dovere dello storico è quello di rivelarsi largamente ingrato verso le generose donatrici, conservandone i doni e utilizzandoli in un diverso e più sicuro e scaltrito rapporto con il proprio orizzonte umanistico53. [Nota 53 di p. 237 di Giuseppe Galasso, Nient’altro che storia, cit.: «L’espressione «orizzonte umanistico della storiografia» non dovrebbe essere fonte di equivoco, se si tiene fermo che gli oggetti della «scienza» storica non hanno limitazioni di campo e che la storicità non è definita da un tipo di contenuti, ma dall’impiego di categorie, come quelle di mutamento e successo, di cui si parla nel testo. Anche di recente è stato opportunamente sottolineato che, dal punto di vista storico,  «il nostro atteggiamento è esattamente lo stesso, così dinanzi agli avvenimenti umani come dinanzi agli avvenimenti naturali: ciò che solo ci interessa è la loro specificità» (Veyne, Come si scrive la storia, cit., p. 109). E il Croce, in pagine che si ha il torto di non tenere mai abbastanza presenti, negò energicamente che vi potesse essere «una “storia della natura”, la quale, pur essendo storia, ubbidirebbe stranamente a leggi diverse da quelle dell’unica storia» (Teoria e storia della storiografia, cit., p. 109); o che si potesse «restringere la storia al campo umano, che sarebbe conoscibile, e dichiarare tutto il resto metastoria e limite della conoscenza umana» (p. 122). L’affermazione della storicità dei processi naturali (che è il succo della tesi crociana circa la «risoluzione del concetto realistico di “natura” in quello idealistico di “costruzione” che lo spirito fa della realtà», p. 122) risponde, del resto, pienamente alla tendenza di fondo di tutta la scienza contemporanea. Si veda il semplice, ma lucidissimo cenno introduttivo di B. Russell, Storia della filosofia occidentale, trad. it. Milano, 1958, pp. 1207-1208,  alla cui risoluzione della «materia» in una «serie di avvenimenti» sembra in un certo qual modo, e magari inconsapevolmente, arieggiare la risoluzione dei «fatti» storici in «intrecci» da parte del Veyne, Come si scrive la storia, cit., p. 59.»]. Detto in altri termini, la disideologizzazione contratta dalla storiografia nel rapporto con le scienze sociali dev’essere trascesa, senza che nulla vada perduto delle acquisizioni nel frattempo conseguite, in una nuova capacità di storicizzazione, insieme più ampia e più profonda, che esalti ulteriormente la dimensione prospettica propria della storiografia. Solo così quest’ultima potrà evitare di rimanere chiusa nel dilemma che Adorno evidenziava per la stessa sociologia, quando notava che la «la sociologia, non filosofica si rassegna a una pura descrizione prescientifica di ciò che è il dato di fatto e che, privo di riferimenti col concetto dal quale viene mediato, rimane facciata, apparenza, insomma non vero» mentre, d’altra parte,  «la sociologia, per rendere giustizia a quell’idea di scienza cui si è subordinata fin dalle sue origini e che è indissolubilmente legata alla parola positivismo, deve di necessità emanciparsi dalla filosofia»54. [Nota 54 di p. 238 di Giuseppe Galasso, Nient’altro che storia, cit.: «Adorno, in La sociologia nel suo contenuto sociale, cit., p. 255.»]. Solo che questo dilemma, benché stringente, si è rivelato per la sociologia piuttosto fecondo che letale, mentre per la storia non è detto che possa accadere altrettanto, se è vero che storicizzare significa giudicare (sia pure senza emettere sentenze di condanna o di assoluzione) e che giudicare non si può senza la mediazione del concetto55. [Nota 55 di p. 238 di Giuseppe Galasso, Nient’altro che storia, cit.: «Ciò è sostanzialmente valido sia che si adotti il piano di una  «logica del ragionamento», sia che si adotti il piano  di una «logica dell’argomentazione», sia che ci si riferisca alla realtà, sia che ci si riferisca al significato; sia che ci si muova nell’ambito di una metodologia positivo-materialistica, sia che ci si muova nell’ambito dialettico-materialistico.»]. Forse questa affermazione apparirà più chiara, se si fa presente che il giudizio storico è fondato su categorie estremamente determinate come quelle del mutamento e del successo. La storicizzazione piena consiste appunto nellaindividuazione di un mutamento e nella qualificazione dell’orientamento di esso. È questo il problema fondamentale che sta alla base di ogni ricerca storica. Le società immobili e pietrificate esistono solo nelle ipotesi di alcuni antropologi. A dissolvere ogni fondatezza di simili ipotesi basterà ricordare che per lo storico non può avere importanza la lunghezza dei tempi entro i quali il mutamento si produce, minima o massima che essa sia. Le diversità del ritmo del tempo storico sono un presupposto ovvio della considerazione storiografica. Gli europei dell’Ottocento consideravano immobile attraverso i millenni la società cinese e la contrapponevano, come modello di immobilità storica appunto, al dinamismo della loro storia. Cattaneo protestava con energia contro questa veramente indebita ipostasi, e la liquidava in poche righe degne di quel grande storico che egli era56. [Nota 56 di p. 239 di Giuseppe Galasso, Nient’altro che storia, cit.: «Lo scritto di C. Cattaneo, La China antica e moderna, è ora nei suoi Scritti storici e geografici, a cura di G. Salvemini e E. Sestan, Firenze, 1967, pp. 130 ss.; e certamente si tratta del documento di una mente storica di eccezionale sensibilità e profondità. Per il suo valore pedagogico dovrebbe far testo. Che poi l’esame del caso cinese (come di quello indiano) serva al Cattaneo come esempio di una sorta di sociologia storica del fenomeno della decadenza (cfr. ibidem, p. 131) è un altro discorso. Per quanto è detto qui cfr. in particolare pp. 162-163.»]. Lo stesso si potrebbe fare, mutata la scala dei tempi, per qualsiasi civiltà57. [Nota 57 di p. 239 di Giuseppe Galasso, Nient’altro che storia, cit.: «Forse, almeno da un punto di vista sintomatico, nulla potrebbe meglio confermare ciò quanto le pagine dedicate da C. Lévi-Strauss (Antropologia Strutturale, trad. it. Milano, 1966, pp. 119 ss.) al concetto di arcaismo in etnologia. La conclusione, rigorosamente e positivamente ragionata, è che anche le società «che potrebbero sembrare le più autenticamente arcaiche sono contorte per discordanze in cui, inequivocabile, si scopre il segno dell’avvenimento» (corsivo dell’A., p. 137).»]. L’etnologia, o studio delle cosiddette società primitive, se non si esaurisce in una etnografia, per quanto complessa e articolatamente strutturata questa possa essere, è una disciplina storica né più né meno di quanto lo è l’archeologia58. [Nota 58 di p. 239 di Giuseppe Galasso, Nient’altro che storia, cit.: «Proprio per la dimostrazione di ciò è particolarmente significativa, nell’ambito della cultura italiana, la vicenda intellettuale di Ernesto De Martino, per cui si veda G. Galasso, Croce, Gramsci e altri storici, Milano, 1969.»].»: Ivi, pp. 235-239. Ora che abbiamo mostrato come Galasso (con Croce) sottolinea, sulla scorta di una impostazione storicistica di solido impianto hegeliano, «la  storicità dei processi naturali (che è il succo della tesi crociana circa la «risoluzione del concetto realistico di “natura” in quello idealistico di “costruzione” che lo spirito fa della realtà», p. 122) [e che] risponde, del resto, pienamente alla tendenza di fondo di tutta la scienza contemporanea.» (e noi, integrando il riferimento alla «storicità dei processi naturali» in cui Galasso implicitamente si riferisce alla teoria evoluzionistica ed esplicitamente alla termodinamica, aggiungiamo  anche la meccanica quantistica, nella quale non solo la presenza o meno dell’osservazione-osservatore nella storia dell’evento sperimentale incide – ed altera – il fenomeno stesso posto sotto osservazione ma che, rispetto alla termodinamica, presenta anche il vantaggio molto dialettico di non legare questa storicità ad un flusso unidirezionale del tempo, vedi l’esperimento della doppia fenditura, cfr., infra, nota seguente, ma al di là di questo appunto Galasso è veramente impareggiabile nel delineare il suo schema di storicità della conoscenza in cui le scienze nomotetiche indirizzate allo studio dei fenomeni fisico-naturali sono, appunto, nomotetiche solo perché questi fenomeni non vengono studiati nella loro genesi e genealogia originarie obbligatoriamente legate alla dimensione evolutivo-temporale; e analogamente noi  affermiamo che il paradigma esplicativo olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale per certe scienze, quelle fisico-naturali – e nemmeno in tutti i loro aspetti, perché, come abbiamo già detto, la meccanica quantistica è fisica intrinsecamente storico-storicistica – richiede una proiezione probativa estesa per eoni, in mancanza della quale strategicamente e provvisoriamente ci si accontenta di spiegazioni di natura nomotetica) vediamo come analogamente sul medesimo punto argomenta il Dialectical Biologist: «There are, of course, physical constants like the mass of the electron, the speed of light, and Planck’s constant, which we regard as fixed and insensitive to the systems of which they are a part. Yet their constancy is not a law derived from yet other, more primitive principles, but an assumption. We do not, in fact, know that “the” mass of “the” electron has been the same since the beginning of matter nor, even if it has been so constant, that its value is not an accident of the history of matter. Whether such values are indeed changing and, if they are, at what rate, is a contingent question, not to be answered from principle. The difference between the reductionist and the dialectician is that the former regards constancy as the normal condition, to be proven otherwise, while the latter expects change but accepts apparent constancy. Not only do parameters change in response to changes in the system of which they are a part, but the laws of transformation themselves change. In the alienated world view, entities may change as a consequence of developmental forces, but the forces themselves remain constant or change autonomously as a result of intrinsic developmental properties. In fact, however, the entities that are the objects of laws of transformation become subjects that change these laws. Systems destroy the conditions that brought them about in the first place and create the possibilities of new transformations that did not previously exist. The law that all life arises from life was enacted only about a billion years ago. Life originally arose from inanimate matter, but that origination made its continued occurrence impossible, because living organisms consume the complex organic molecules needed to recreate life de novo. Moreover, the reducing atmosphere that existed before the beginning of life has been converted, by living organisms themselves, to one that is rich in reactive oxygen. The change that is characteristic of systems arises from both internal and external relations. The internal heterogeneity of a system may produce a dynamic instability that results in internal development. At the same time the system as a whole is developing in relation to the external world, which influences and is influenced by that development. Thus internal and external forces affect each other and the object, which is the nexus of those forces. Classical biology, which is to say alienated biology, has always separated the internal and external forces operating in organisms, holding one constant while considering the other. Thus embryology has always emphasized the development of an organism as a consequence of internal forces, irrespective of the environment. At most the environment is regarded as a signal that sets the interior developmental forces going. Developmental biology is consumed with the problem of how the genes determine the organism. On the other hand, evolutionary biology, at least as practiced in Anglo-Saxon countries, is obsessed with the problem of the organism’s adaptation to the external world and assumes without question that any favorable alteration in the organism is available by mutation. There is abundant evidence, however, that the ontogeny of an individual is a function of both its genes and the environment in which it develops. Moreover, it is certainly the case that no tetrapc.1 [sic!, prob. tetrapod] has ever, no

matter what selective forces are involved, succeeded in acquiring wings without giving up a pair of limbs. The separation of the external and internal forces of development is a characteristic of alienated biology that must be overcome if the problems of either embryology or evolution are to be solved. The assertion that all objects are internally heterogeneous leads us in two directions. The first is the claim that there is no basement. This is not an a priori imposition on nature but a generalization from experience: all previously proposed undecomposable “basic units” have so far turned out to be decomposable, and the decomposition has opened up new domains for investigation and practice. Therefore the proposition that there is no basement has proven to be a better guide to understanding the world than its opposite. Furthermore, the assertion that there is no basement argues for the legitimacy of investigating each level of organization without having to search for fundamental units. A second consequence of the heterogeneity of all objects is that it directs us toward the explanation of change in terms of the opposing processes united within that object. Heterogeneity is not merely diversity: the parts or processes confront each other as opposites, conditional on the whole of which they are parts. For example, in the predator-prey system of lemmings and owls, the two species are opposite poles of the process, predation simultaneously determining the death rate of lemmings and the birth rate of owls. It is not that lemmings are the opposite of owls in some ontological sense, or that lemmings imply owls or couldn’t exist without owls. But within the context of this particular ecosystem, their interaction helps to drive the population dynamics, which shows a spectacular fluctuation of numbers. What characterizes the dialectical world, in all its aspects, as we have described it is that it is constantly in motion. Constants become variables, causes become effects, and systems develop, destroying the conditions that gave rise to them. Even elements that appear to be stable are in a dynamic equilibrium of forces that can suddenly become unbalanced, as when a dull gray lump of metal of a critical size becomes a fireball brighter than a thousand suns. Yet the motion is not unconstrained and uniform. Organisms develop and differentiate, then die and disintegrate. Species arise but inevitably become extinct. Even in the simple physical world we know of no uniform motion. Even the earth rotating on its axis has slowed down in geologic time. The development of systems through time, then, seems to be the consequence of opposing forces and opposing motions. This appearance of opposing forces has given rise to the most debated and difficult, yet the most central, concept in dialectical thought, the principle of contradiction. For some, contradiction is an epistemic principle only. It describes how we come to understand the world by a history of antithetical theories that, in contradiction to each other and in contradiction to observed phenomena, lead to a new view of nature. Kuhn’s (1962) theory of scientific revolution has some of this flavor of continual contradiction and resolution, giving way to new contradiction. For others, contradiction is not only epistemic but political as well, the contradiction between classes being the motive power of history. Thus contradiction becomes an ontological property at least of human social existence. For us, contradiction is not only epistemic and political, but ontological in the broadest sense. Contradictions between forces are everywhere in nature, not only in human social institutions. This tradition of dialectics goes back to Engels (1880) who wrote, in Dialectics of Nature, that “to me there could be no question of building the laws of dialectics of nature, but of discovering them in it and evolving them from it.” Engels’s understanding of the physical world was, of course, a nineteenth-century understanding, and much of what he wrote about it seems quaint. Moreover, dialecticians have repeatedly attempted to make the identification of contradictions in nature a central feature of science, as if all scientific problems are solved when the contradictions have been revealed. Yet neither Engels’ factual errors nor the rigidity of idealist dialectics changes the fact that opposing forces lie at the base of the evolving physical and biological world. Things change because of the actions of opposing forces on them, and things are the way they are because of the temporary balance of opposing forces. In the early days of biology an inertial view prevailed: nerve cells were at rest until stimulated by other nerve cells and ultimately by sensory excitation. Genes acted if the raw materials for their activity were present; otherwise they were quiescent. Gene frequencies in a population remained static in the absence of selection, mutation, random drift, or immigration. Nature was at equilibrium unless perturbed. Later it was recognized that nerve impulses act both to excite and to inhibit the firing of other nerves, so the state of a system depends on the network of opposing stimuli, and that network can generate spontaneous activity. Gene action is regulated by repressors, repressors of the repressors, and all sorts of active feedbacks in the cell. There are no genetic loci immune to mutation and random drift, and no populations are free of selection. The dialectical view insists that persistence and equilibrium are not the natural state of things but require explanation, which must be sought in the actions of the opposing forces. The conditions under which the opposing forces balance and the system as a whole is in stable equilibrium are quite special. They require the simultaneous satisfaction of as many mathematical relations as there are variables in the system, usually expressed as inequalities among the parameters of that system. If these parameters remain within the prescribed limits, then external events producing small shifts among the variables will be erased by the self-regulating processes of stable systems. Thus in humans the level of blood sugar is regulated by the rate at which sugar is released into the blood by the digestion of carbohydrates, the rate at which stored glycogen, fat, or protein is converted into sugar, and the rate at which sugar is removed and utilized. Normally, if the blood sugar level rises, then the rate of utilization is increased by release of more insulin from the pancreas. If the level of blood sugar falls, more sugar is released into the blood, or the person gets hungry and eats some source of sugar. The result is that the blood sugar level is kept not constant but within tolerable limits. So far we are dealing with the familiar patterns of homeostasis, the negative feedback that characterizes all self regulation. However, the pancreas might respond weakly to a high sugar level, which could result in diabetic coma. Or the blood sugar level may fall so low that the person is incapable of eating. The opposing forces are seen as contradictory in the sense that each taken separately would have opposite effects, and their joint action may be different from the result of either acting alone. So far, the object may seem to be the passive victim of these opposing forces. However, the principle that all things are internally heterogeneous directs our attention to the opposing processes at work within the object. These opposing processes can now be seen as part of the self-regulation and development of the object. The relations among the stabilizing and destabilizing processes become themselves the objects of interest, and the original object is seen as a system, a network of positive and negative feedbacks. The negative feedbacks are the more familiar ones. If blood pressure rises, sensors in the kidney detect the rise and set in motion the processes which reduce blood pressure. If more of a commodity is produced than can be sold, prices fall, and the surplus is sold cheaply while production is cut back; if there is a shortage, prices rise, and that stimulates production. Or if a baby cries, this tells the responsible adult that something is wrong, and he or she initiates action to remove the cause of discomfort and stop the crying. In each case a particular state of the system – high blood pressure, overproduction, crying – is self-negating in that within the context of the system an increase in something initiates processes that leads to its decrease. But systems also contain positive feedback: high blood pressure may damage the pressure-measuring structures, so that blood pressure is underestimated and the homeostatic mechanisms themselves increase the pressure; overproduction may lead to cutbacks in employment, which reduce purchasing power and therefore increase the relative surplus; the crying of the baby may evoke anger, and the abuse of the child can then result in more crying. Real systems include pathways for both positive and negative feedback. Negative feedbacks are a prerequisite for stability: the persistence of a system requires self-negating pathways. But negative feedback is no guarantee of stability and under some circumstances can throw the system into oscillation. If there is a preponderance of positive feedback or if the indirect negative feedbacks by way of intervening variables are strong enough, the system will be unstable. That is, its own condition is sufficient cause of its negation. Thus systems are either self-negating (state A leads to some state not-A) or depend for their persistence on self-negating processes. We see contradiction first of all as self-negation. From this perspective it is not too different from logical contradiction. In formal logic process is usually replaced by static set-structural relations, and the dynamic of “A leads to B” is replaced by “A implies B.” But all real reasoning takes place in time, and the classical logical paradoxes can be seen as A leads to not-A leads to A, and so on. For instance, consider Russell’s paradoxical barber who shaves any and all men who do not shave themselves. If we assume that the barber shaves himself, then he belongs to the set of those he does not shave. Therefore, he is eligible to be a shaver by himself, and so we go round and round, as each affirmation is in turn negated. (Logicians would exclude the feminist solution that the barber is a woman and does not shave herself.) Material and logical contradiction share the property of being self-negating processes.  The stability or persistence of a system depends on a particular balance of positive and negative feedbacks, on parameters governing the rates of processes falling within certain limits. But these parameters, although treated in mathematical models as constants, are real-world objects that are themselves subject to change. Eventually some of these parameters will cross the threshold beyond which the original system can no longer persist as it was. The equilibrium is broken. The system may go into wider and wider fluctuations and break down, or the parts themselves, which have meaning only within a particular whole, may lose their identity as parts and give rise to a qualitatively new system. Further, the changes in the parameters may be a consequence of the stable behavior of the system that they condition in the first place. As a result of the cycle of over-and underproduction, businesses fail, firms merge and expand, a permanent body of unemployed people is created, and political struggles culminate in the replacement of the capitalist system with its whole dynamic. If predator and prey are in demographic balance, this may hide the prey’s evolution toward better predator avoidance, thus eventually resulting in the extinction of the predator; or the predator’s efficiency at hunting may evolve beyond the threshold compatible with the survival of the prey, and both become extinct. The dialectical model suggests that no system is really completely static, although some aspects of a system may be in equilibrium. The quantitative changes that take place within the apparent stability cross thresholds beyond which the qualitative behavior ;s [sic!, prob. is] transformed. All systems are in the long run self-negating, while their short-term persistence depends on internal self-negating states. The dialectical viewpoint sees dynamical stability as a rather special situation that must be accounted for. Systems of any complexity – the central nervous system, the national and world capitalist economies, ecosystems, the physiological networks of organisms – are more likely to be dynamically unstable. Even systems designed explicitly to be stable, such as nuclear power plants, have shown a remarkable propensity to behave in unplanned ways. The important point here is that complex systems show spontaneous activity. Each of these systems responds to events from outside, but it is not necessary to look to external sources for the causes of movement. The capitalist business cycle does not depend on sunspots. Political “unrest” is not explained by outside agitators. Changing abundance of species is not evidence of human impact on the environment. And it is becoming increasingly apparent that the prevention of change in wildlife management, environmental protection, or society is, in the long run, an impossible goal. Self-negation is not simply an abstract possibility derived from arguments about the universality of change. We observe it regularly in nature and society. Monopoly arises not as a result of the thwarting of “free enterprise” but as a consequence of its success: hence the futility of antitrust legislation. The freeing of serfs from feudal ties to the land also meant the possibility of their eviction from the land; freedom of the press has increasingly meant the freedom of the owners of the press to control information. The self-negating processes of capitalism are often expressed as ironic commentaries, as the realization of ideal goals turns out to thwart their original intent. Sometimes this self-negation is the consequence of quantitative changes that cross a threshold. For instance, at one time the Polish government established a policy of subsidizing the price of bread at a fixed level in order to guarantee the basic food supply. As inflation developed, the gap between the subsidized price of bread and the prices of other goods widened until one morning Warsaw was without bread: farmers had discovered that it was cheaper to buy bread to feed their livestock than to grow feed: the very mechanisms designed to guarantee the urban bread supply were turned into their opposite. A second aspect of contradiction is the interpenetration of seemingly mutually exclusive categories. A necessary step in theoretical work is to make distinctions. But whenever we divide something into mutually exclusive and jointly all-encompassing categories, it turns out on further examination that these opposites interpenetrate. In Chapter 3 we examined the interpenetration of organism and environment. Here we note briefly several more examples. At first glance, “deterministic” and “random” processes seem to exemplify mutually exclusive categories. Many trees have been sacrificed to the cause of printing debates about whether the world, or species aggregates, or evolution, is deterministic or random. (The deterministic side implying order and regularity, the stochastic side implying absence of system or explanation). In the first place, however, completely deterministic processes can generate apparently random processes. In fact, the random numbers used for computer stimulation of random process are generated by deterministic processes (algebraic operations). Recently, mathematicians have become interested in so-called chaotic motion, which leads neither to equilibrium nor to regular period motion but rather to patterns that look random. In systems of high complexity the likelihood of stable equilibrium may be quite small unless the system was explicitly designed for stability. The more common outcome is chaotic motion (turbulence) or periodic motion with periods so long as never to repeat during even long intervals of observations, thus also appearing as random. Second, random processes may have deterministic results. This is the basis for predictions about the number of traffic accidents or for actuarial tables. A random process results in some frequency distribution of outcomes. The frequency distribution itself is determined by some parameters, and changes in these parameters have completely determined effects on the distribution. Thus the distribution as an object of study is deterministic even though it is the product of random events. Third, near thresholds separating domains of very different qualitative behaviors, a small displacement can have a big effect. If these small displacements arise from lower levels of organization, they will be unpredictable from the perspective of the higher level. And in general the intrusion of events from one level to another appears as randomness. Finally, the interaction of random and deterministic processes gives results in evolution that are different from the consequence of either type of process acting alone. In Sewall Wright’s model, selection alone would lead all local populations to the same gene frequencies, so no selection among populations would be possible. The random drift that arises from small numbers within each population would result in the nonadaptive fixation of genes. The joint effect, however, is to allow variation among local populations, which provides the variability for new cycles of selection in different directions. People have long known that random search can be an important part of adaptive processes, the trial and error procedure leading to desired results by unexpected paths. Similarly, the dichotomy between equilibrium and nonequilibrium systems is not absolute. When ecologists realized that nature changes, there was a rush to abandon equilibrium analysis as unrealistic. However, it is not at all obvious that a changing system is not also in equilibrium. The proportions of various ionic forms of phosphorus in a lake reach equilibrium in seconds, even though the total amount of phosphorus may change. Algae populations may equilibrate with the mineral level, which itself changes, changing the algae. Phenomena that are very much slower than those of interest can be treated provisionally as constant, while those that are very much faster can be treated as if already at equilibrium. In the long run it is important to see equilibrium as a form of motion rather than as its polar opposite. Our conclusion, borne out by the history of our science, is that such dichotomies are both necessary and misleading and that there is no nontrivial and complet [sic!, prob. complete] decomposition of phenomena into mutually exclusive categories. Contradiction also means the coexistence of opposing principles (rather than processes) which, taken together, have very different implications or consequences then they would have if taken separately. Commodities embody the contradiction between use value and exchange value (reflected indirectly in price). If objects were produced simply because they met human needs, we would expect the more useful things to be produced before less useful things, and we would expect objects and methods of production to be designed to minimize any harm or danger and maximize durability or reparability. The amounts produced would correspond to the levels of need; any decline in need would allow either more leisure or the production of other objects. If objects had no use value at all, of course, they couldn’t be sold; use value makes exchange value possible. But the prospect of exchange value leads to results that often contradict the human needs that called forth the commodities in the first place. Commodities will be produced, for example, only for those who can afford them, and priority will be given to the production of those commodities with the highest profit margins. Productive innovations which make commodities easier and cheaper to make may create unemployment or ill health for workers and consumers. Thus the process of supplying human needs by the creation of commodities whose exchange value is paramount actually creates new hardship. A single proposition may have opposing implications. Consider, for example, the statement that more than half the population of Puerto Rico receives food stamps. This serves as a basis both for the party in power to justify the continuation of American rule and for the opposition to criticize that rule. On the one hand, eighty-six years after the United States occupied Puerto Rico, the island’s economy is more dependent and less able to support its population than before. Some $5 billion are extracted annually by United States businesses in the form of profits and interest, preventing Puerto Rico from accumulating what it needs for autonomous development. On the other hand, food stamps are not available in Honduras and the Dominican Republic. For the recipient of food stamps, the direct experience is of American benevolence. It requires an intellectual detour to perceive also that the necessity for food stamps is a result of being absorbed into the American economy, that the United States is the cause of the problem that it partly ameliorates. Much of the political conflict around the status of Puerto Rico derives from the contradictory implications of the same fact. The principles of materialist dialectics that we attempt to apply to scientific activity have implications for research strategy and educational policy as well as methodological prescriptions: Historicity. Each problem has its history in two senses: the history of the object of study (the vegetation of North America, the colonial economy, the range of Drosophila pseudoobscura) and the history of scientific thinking about the problem, a history dictated not by nature but by the ways in which our societies act on and think about nature. Once we recognize that state of the art as a social product, we are freer to look critically at the agenda of our science, its conceptual framework, and accepted methodologies, and to make conscious research choices. The history of our science must include also its philosophical orientation, which is usually only implicit in the practice of scientists and wears the disguise of common sense or scientific method. It is sure to be pointed out that the dialectical approach is ro [sic!, prob. no] less contingent historically and socially than the viewpoints we criticize, and that the dialectic must itself be analyzed dialectically. This is no embarrassment; rather, it is a necessary awareness for self-criticism. The preoccupation with process and change comes in part from our commitment to change society. An alertness to the fallacies of gradualism derives from a challenge to liberalism. An insistence on seeing things as integrated wholes reflects a belief that much of the suffering, waste, and destruction in the world today comes from the operation of patriarchal capitalism as a world system penetrating all corners of our lives rather than from a list of separable and isolatable defects. And the emphasis on the social interpretation of science comes from a political commitment to struggle for an alternative way of relating to nature and knowledge that is congruent with an alternative way of organizing society. One practical consequence of this viewpoint is that the study of the history, sociology, and philosophy of science is a necessary part of science education. Universal interconnection. As against the alienated world view that objects are isolated until proven otherwise, for us the simplest assumption is that things are connected. The ignoring of interconnections, especially across disciplinary boundaries, has been the main source of error and even disaster in complex fields of applied biology such as public health, agriculture, environmental protection, and resource management and the cause of the stagnation of theory in these areas. Therefore we urge that an early stage of any investigation should be to trace out the indirect, speculative, and even far-fetched connections among phenomena of interest and to justify any ignored connections. Heterogeneity. The internal heterogeneity of all things and all populations of things is the complementary perspective to universal connections: different things combine into greater, heterogeneous wholes. This perspective leads us to focus on quantitative and qualitative variability as objects of interest and sources of explanation. Then certain problems become especially appealing, such as the organization of phenotypic variability in plants and animals, the differentiation of classes in society, the recognition that plants which bear the same species name can be quite different to the herbivores that eat them, or that the same species may have different ecological significance in different places. When faced with an ensemble of things of any sort, we are suspicious of any apparent homogeneity. Interpenetration of opposites. The more we see distinctions in nature, and the more we subdivide and set up disjunct classes, the greater the danger of reifying these differences. Therefore, complementary to any process of subdividing is the hypothesis that there is no nontrivial and complete subdivision, that opposites interpenetrate and that this interpenetration is often critical to the behavior of the system.  Integrative levels. As against the reductionist view, which sees wholes as reducible to collections of fundamental parts, we see the various levels of organization as partly autonomous and reciprocally interacting. We must reject the molecular euphoria that has led many universities to shift biology to the study of the smallest units, dismissing population, organismic, evolutionary, and ecological studies as forms of “stamp collecting” and allowing museum collections to be neglected. But once the legitimacy of these studies is recognized, we also urge the study of the vertical relations among levels, which operate in both directions. We do not know whether or not these elements of a research and educational program will in fact result in solutions to long-standing problems of biology. Dialectical philosophers have thus far only explained science. The problem, however, is to change it.»: Richard Levins, Richard Lewontin, The Dialectical Biologist, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1985 (Delhi, Aakar Books for South Asia, 2009), pp. 277-288 (per indicazioni di bibliografia internettiana indispensabili per consultare e scaricare il documento, si rimanda, supra, alla nota n°1 e, infra, alla nota successiva n° 16 e alla sezione finale di bibliografia internettiana di documenti reperibili sul Web sugli argomenti trattati nella presente comunicazione). Prima di arrivare a decretare la profonda assonanza di fondo fra il brano citato di Nient’altro che storia e quello del Dialectical Biologist, riteniamo però anche di una certa utilità rilevare i problemi dialettici di quest’ultimo e che sono: 1) Estrema difficoltà di individuare la natura del metodo dialettico, con conseguente riduzione della realtà esperita dall’uomo in una serie di momenti distinti e il cui unico tratto comune è l’essere continuamente  ed incessantemente in moto, anziché questa realtà essere autocreata  ex nihilo ed ex suo e messa in azione attraverso il paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale esprimente prassisticamente il rapporto generativo biderazionale fra soggetto ed oggetto («What characterizes the dialectical world, in all its aspects, as we have described it is that it is constantly in motion.»; «The dialectical viewpoint sees dynamical stability as a rather special situation that must be accounted for. Systems of any complexity – the central nervous system, the national and world capitalist economies, ecosystems, the physiological networks of organisms – are more likely to be dynamically unstable. Even systems designed explicitly to be stable, such as nuclear power plants, have shown a remarkable propensity to behave in unplanned ways.»; «Phenomena that are very much slower than those of interest can be treated provisionally as constant, while those that are very much faster can be treated as if already at equilibrium. In the long run it is important to see equilibrium as a form of motion rather than as its polar opposite. Our conclusion, borne out by the history of our science, is that such dichotomies are both necessary and misleading and that there is no nontrivial and complet [sic!, prob. complete] decomposition of phenomena into mutually exclusive categories.») ; 2) Estremo tentativo di recupero –  conseguente alla assolutamente non voluta ma de facto avvenuta nel testo del Dialectical Biologist  riduzione della realtà in momenti distaccati – di una dimensione olistica della realtà, ma tentativo che non approda a risultati soddisfacenti («Universal interconnection. As against the alienated world view that objects are isolated until proven otherwise, for us the simplest assumption is that things are connected. The ignoring of interconnections, especially across disciplinary boundaries, has been the main source of error and even disaster in complex fields of applied biology such as public health, agriculture, environmental protection, and resource management and the cause of the stagnation of theory in these areas. Therefore we urge that an early stage of any investigation should be to trace out the indirect, speculative, and even far-fetched connections among phenomena of interest and to justify any ignored connections. ») e non approda a risultati soddisfacenti perché se il Dialectical Biologist riesce a comprendere che le cose sono interconnesse non riesce a comprendere che le cose sono, cioè esistono, proprio in quanto interconnesse e, risultato di questa mancata consapevolezza sull’essenza della natura olistica della realtà –  essenza che è, lo ribadiamo, la sua continua ed incessante autocreazione ex nihilo ed ex suo  attraverso la sua dialetttica espressivo-strategica-conflittuale – abbassa la consapevolezza della interconnessione di tutte le cose a pura constatazione empirica, certamente frutto di buonsenso ma mortificante di qualsiasi altro progresso in senso dialettico, tantomeno un progresso in senso espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico; e 3) Conseguente a questa libido dialectica ma che non riesce mai a concretizzarsi in una innovativa e autonoma proposta dialettica, poco convincente – volutamente ci esprimiamo con termini non urticanti – riallacciarsi alla c.d. dialettica engelsiana con i suoi discutibili – ancora una volta decidiamo di esprimerci cortesemente visti, comunque, i grandi meriti del Dialectical Biologist – tre principi di logica dialettica (il principio della negazione della negazione, quello della conversione della quantità in qualità e quello della compenetrazione degli opposti): «Interpenetration of opposites. The more we see distinctions in nature, and the more we subdivide and set up disjunct classes, the greater the danger of reifying these differences. Therefore, complementary to any process of subdividing is the hypothesis that there is no nontrivial and complete subdivision, that opposites interpenetrate and that this interpenetration is often critical to the behavior of the system.», dove addirittura, come nel passaggio appena di nuovo evidenziato, la compenetrazione degli opposti viene visto come lo strumento conoscitivo per superare la fallace riduzione della realtà in momenti separati e distinti. Usando un termine marxiano questa scomposizione della realtà in momenti separati,  distinti e quindi ontologicamente ed epistemologicamente estranei viene definito dal Dialectical Biologist reificante, solo che, e qui apriamo velocemente a due considerazioni a latere, A) ovviamente la reificazione della realtà può essere affrontata solo all’interno del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale, ma se facessimo solo questa considerazione potremmo essere accusati di accusare il Dialectical Biologist di non pensare come noi pensiamo e B) dal punto di vista olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico la reificazione non è affatto – o solo – uno stato negativo e disumanizzante ma, piuttosto, strettamente legato al momento strategico-conflittuale del succitato paradigma dialettico. E sulle differenze fra il conflittualismo marxiano-marxista ed il nostro di stampo machiavelliano-hegeliano abbiamo in molti altri luoghi ed anche qui più volte detto. Ma fatte tutte queste debite osservazioni critiche (attraverso le quali, qualche nostro benevolo ma attento lettore potrebbe accusarci non solo di aver voluto  imputare al Dialectical Biologist il reato di lesa maestà al paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale ma anche, in un nostro soprassalto di narcisismo, di non aver avuto nemmeno il più fioco barlume, invece di adottare la logica dialettica engelsiana, dell’unico principio logico-dialettico che agisce attraverso il suddetto paradigma e da noi individuato, e cioè il principio di non identità, già da noi rappresentato attraverso questa simbolizzazione: A A≠A A≠A ≠ A≠A A≠A ≠ A≠A≠ A≠A ≠ A≠A…↔∞↔∞), veniamo ora alla profonda assonanza del Dialectical Biologist con la visione galassiana dell’intrinseca storicità della realtà tutta e del bisogno quindi di adottare sempre un approccio storico per lo studio della stessa, anche di quella naturale-fisica, e riprendendo dalle prime parole della citazione in questa nota del Dialectical Biologist, concordiamo con Galasso e con Levins e Lewontin che «There are, of course, physical constants like the mass of the electron, the speed of light, and Planck’s constant, which we regard as fixed and insensitive to the systems of which they are a part. Yet their constancy is not a law derived from yet other, more primitive principles, but an assumption. We do not, in fact, know that “the” mass of “the” electron has been the same since the beginning of matter nor, even if it has been so constant, that its value is not an accident of the history of matter. Whether such values are indeed changing and, if they are, at what rate, is a contingent question, not to be answered from principle.» e anche se in The Dialectical Biologist il non aver messo a fuoco un convincente schema dialettico mette continuamente in crisi la dinamica del suo storicismo: «Historicity. Each problem has its history in two senses: the history of the object of study (the vegetation of North America, the colonial economy, the range of Drosophila pseudoobscura) and the history of scientific thinking about the problem, a history dictated not by nature but by the ways in which our societies act on and think about nature. Once we recognize that state of the art as a social product, we are freer to look critically at the agenda of our science, its conceptual framework, and accepted methodologies, and to make conscious research choices. The history of our science must include also its philosophical orientation, which is usually only implicit in the practice of scientists and wears the disguise of common sense or scientific method. It is sure to be pointed out that the dialectical approach is ro [sic!, prob. no] less contingent historically and socially than the viewpoints we criticize, and that the dialectic must itself be analyzed dialectically. This is no embarrassment; rather, it is a necessary awareness for self-criticism. The preoccupation with process and change comes in part from our commitment to change society. An alertness to the fallacies of gradualism derives from a challenge to liberalism. An insistence on seeing things as integrated wholes reflects a belief that much of the suffering, waste, and destruction in the world today comes from the operation of patriarchal capitalism as a world system penetrating all corners of our lives rather than from a list of separable and isolatable defects. And the emphasis on the social interpretation of science comes from a political commitment to struggle for an alternative way of relating to nature and knowledge that is congruent with an alternative way of organizing society. One practical consequence of this viewpoint is that the study of the history, sociology, and philosophy of science is a necessary part of science education.», il punto non è mai un nostro dissenso sulla storicità intrinseca della realtà ma su come questa storicità riesca concretamente ad esprimersi e quindi attraverso quale paradigma a rendersi creativamente autosufficiente ed autogenerante (ulteriore segno di questa difficoltà espressiva dialettica è il ricorso ad una sorta di visione modello ‘realtà come squilibrio incessante’ paradigma elaborato con questa formulazione da Gianfranco La Grassa – modello che il pensatore marxista di Conegliano ha cercato di coerentizzare in Gianfranco La Grassa, La realtà è “assenza”: (in squilibrio incessante), s.l., Conflitti&Strategie, 2015, anche questo saggio e pur fondamentale opera complessiva di La Grassa sintomo della medesima difficoltà espressiva della dialettica – poiché, coerentemente con una visione dinamica della realtà ma che stenta a trovare il suo ubi consistam, abbiamo già visto che il   Dialectical Biologist ha affermato che «The dialectical model suggests that no system is really completely static, although some aspects of a system may be in equilibrium. The quantitative changes that take place within the apparent stability cross thresholds beyond which the qualitative behavior ;s [sic!, prob. is] transformed. All systems are in the long run self-negating, while their short-term persistence depends on internal self-negating states. The dialectical viewpoint sees dynamical stability as a rather special situation that must be accounted for. Systems of any complexity – the central nervous system, the national and world capitalist economies, ecosystems, the physiological networks of organisms – are more likely to be dynamically unstable. Even systems designed explicitly to be stable, such as nuclear power plants, have shown a remarkable propensity to behave in unplanned ways. The important point here is that complex systems show spontaneous activity.», in questo caso impiegando i principi engelsiani della conversione della quantità in qualità e della negazione della negazione e sotto un’ottica, appunto, di un lagrassiano squilibrio incessante). Ma una volta fatta l’opzione fondamentale sulla storicità della realtà tutta, tutto il resto, in fondo, non è che un dettaglio, o, meglio, non è altro che un passaggio verso l’Epifania strategica. E il Dialectical Biologist ne costituisce un importante e dialetticamente cosciente passaggio (da mettere in antitesi con tutta la produzione della Haraway, anch’essa dialettica ma, per lo più, a sua insaputa, o, ancor meglio, con modalità espressiva mitico-fantasmagorica e totalmente incapace di esprimere, quindi, qualsiasi potenzialità autogenerativa ex nihilo ed ex suo), e che in questo caso nasce da studi biologici ma la cui genealogia trova i suoi punti fondanti negli aristotelici ζῷον πολιτικόν e ζῷον  λόγον  ἔχων, in Machiavelli, in Hegel, in Marx e nella filosofia della prassi di György Lukács, di Karl Korsch e del più grande pensatore del marxismo occidentale che risponde al nome di Antonio Gramsci (e sottolineando, fra l’altro che, specialmente in Antonio Gramsci,  la filosofia della prassi sarebbe impensabile senza gli sviluppi idealistici hegelo-fichtiani dello storicismo assoluto di Benedetto Croce e dell’ attualismo di Giovanni Gentile)  e, come oggigiorno momento di chiusura, nella dialettica prassistica espressivo-strategica-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico.

 

 

[L’ ultima nota n° 16 con la succussiva   sezione bibliografica  che concludono questa comunicazione verrano pubblicate dall’ “Italia e il Mondo”  nella quinta e conclusiva  trance del presente saggio.]