Stefano Feltri, Populismo sovrano_recensione di Teodoro Klitsche de la Grange
Stefano Feltri, Populismo sovrano, Torino 2018, pp. 138, € 12,00.
In un saggio dove si tiene conto di varie cause dell’ascesa dei partiti sovran-populi-identitari, il vice direttore del “Fatto quotidiano” scrive che elettori e politici (citiamo dalla quarta di copertina) “Spaventati dai fantasmi di una sovranità che sembra svanire, stiano così distruggendo proprio quegli strumenti che consentirebbero di ricostruirla in un mondo che non è più quello dominato dagli Stati nazionali”.
L’autore prende in esame le diverse ragioni del fenomeno, per lo più parzialmente trascurate dai molti che, recentemente, se ne sono occupati: la ribellione delle élite, la sfiducia delle masse (e quindi la crisi di legittimità) il tradimento dei sovrani, l’illusione di una ritrovata sovranità.
Questo esame “a tutto campo” evita all’autore i paternostri delle deprecazioni (molti) e i gloria delle adulazioni (meno per ora) al nuovo potere, spesso originati da considerazioni ideologiche e non fattuali.
Non mancano però un paio di punti che occorre ricordare, anche leggendo un libro esauriente come questo.
Il primo, meno rilevante per gli altri sovranismi, ma assai per quello italiano, è di aver trascurato l’importanza nelle vicende politiche, e ancor di più nelle democrazie, della virtù delle classi dirigenti. Virtù da intendersi nel senso di Machiavelli (e in altro aspetto di Montesquieu), che non è sicuramente quello di S. Maria Goretti.
Secondo il Segretario fiorentino la virtù è in primo luogo la capacità di attingere a uno scopo (anche e) nonostante, i mezzi; in secondo luogo, attraverso quella, di ridurre spazi e danni della fortuna cioè delle vicende e situazioni indipendenti dalla (propria) volontà. A tal fine adeguandosi agli eventi, cambiando anche il proprio modo di agire.
Quanto ai “mezzi” della virtù si tratta d’impiegare bene le astuzie della volpe e la forza del leone. Se manca (nei governanti) la virtù, la capacità di (creare) e mantenere l’essere, l’ordine e il benessere della comunità, non si realizza l’obbligazione politica, della scambio tra protezione ed obbedienza (Hobbes) ed è la stessa legittimità del potere di governo a venire meno.
Feltri ricorda il concetto hobbesiano del potere legittimo che da protezione e cui, pertanto si deve obbedienza, e che il welfare State è stato ridimensionato. Ma con ciò, nel contesto di uno Stato sociale che considera propria funzione primaria assicurare il benessere economico, legittimità e consenso verso le élite “globaliste” si sono drasticamente ridotte, avendo imposto sacrifici senza alcun beneficio. Qualche settimana fa m’interrogavo sulla differenza tra Quintino Sella e il governo Monti, data una certa somiglianza dell’azione da svolgere (ridurre il disavanzo nel primo caso, il debito pubblico nel secondo). Mentre quando cadde la Destra storica il disavanzo non c’era più, quando Monti se ne andò, il debito pubblico era notevolmente aumentato. Nel primo caso l’odiosa tassa sul macinato aveva almeno contribuito al raggiungimento dell’obiettivo, nel secondo l’IMU non era servita ad alcun risultato, anzi aveva aggravato il male. Conclusione populista, ma logica: farsi governare da certe élite non è solo inutile, è dannoso. Forse, con altre, la musica può cambiare: in ogni caso è difficile facciano peggio delle precedenti. Probabilmente è per questo che il primo governo sovran-populista dell’Europa occidentale è quello italiano.
Quindi più che crisi di idee delle vecchie élite (che c’è, ma è concausa) c’è una crisi di azioni e risultati, una carenza di virtù machiavellica.
Scrive l’autore, quanto alla sovranità, riprendendo la concezione hobbesiana del protego ergo obligo , che sta scemando – per difetto di protezione, la contropartita dell’obbedienza “se la legittimità del Leviatano deriva dalla sua capacità di proteggere le membra che compongono il suo corpo artificiale dai pericoli dello Stato di natura, se fallisce in questa missione allora perde anche la legittimità a esercitare il suo potere e a pretendere obbedienza”; onde “le élite non possono più garantire protezione e benessere, i cittadini reclamano indietro la loro sovranità, quel potere non ha più legittimità”.
In questa situazione i movimenti populisti invitano “a riprendersi quella sovranità di cui le élite non riescono più a fare un uso efficace. Questo è ciò che sta succedendo. ma che uso fare di questa sovranità che viene reclamata indietro?”. E qui l’autore individua l’illusione fondamentale dei populisti che pensano di ricondurre la sovranità allo Stato-Nazione: “Ma che sia il livello più efficace, da cui i cittadini possono sperare di ottenere davvero rassicurazioni e protezione dalle incertezze globali, i populisti non provano neppure a dimostrarlo”. Secondo Feltri non è credibile “offrire soluzioni nazionali a problemi globali”.
Gli è che alternative più credibili non se ne vedono, perché presuppongono solidarietà e cooperazione, cioè accordo tra boni pater familias che spesso tali non sono (né debbono esserlo), onde quello non si trova, mentre sono sempre presenti (e operanti) le “regolarità della politica”: lotta per il potere, interessi degli Stati, dominio e timore del dominio. Che si realizzino le condizioni per uno spirito di cooperazione nella storia è successo, anche se per lo più accompagnato da un (misurato) uso della forza. Uno degli esempi nella storia dell’Europa moderna è stata l’unità tedesca compiuta da Bismarck, in cui l’esistenza e la volontà del Reich coesisteva con quella dei länder nella costituzione federale.
Ma purtroppo di Bismarck in giro non se ne vedono, anche volgendo lo sguardo oltre le Alpi.
Così come non si vedono quegli statisti (De Gasperi, Adenauer, Martino, Monnet) i quali, al fine (principale) di evitare altri conflitti come le guerre mondiali del XX secolo, edificarono l’Europa, proprio per una scelta, razionale e ragionevole, verso la cooperazione. La quale tuttavia implica che tra comunità vi sia solidarietà, spesso, di converso, carente.
E il problema si complica ancor più, ove dalla dimensione federale regionale (come, nel caso, europea) si passi ad una ancora superiore.
In conclusione e ragionando in base all’hobbesiano protego ergo obligo (soprattutto) e alle regolarità del politico, la soluzione dei sovranisti di assicurare la protezione attraverso lo Stato sovrano ha il pregio di essere stata collaudata dalla Storia; peraltro è l’unica che permette di avere una sovranità del popolo cioè democratica. In cui il demos prende delle decisioni efficaci. In altri tipi di sintesi politica, specie le più grandi, non sarebbero possibili. Di imperi nella storia ce ne sono stati tanti, ma nessuno democratico, perché a divenire tali avrebbero cessato di essere imperi.
Ultima conferma ne è stato il crollo dell’Unione sovietica, impero totalitario succeduto a quello zarista (autoritario) ma non sopravvissuto alla trasformazione in democrazia.
E perciò, malgrado tutto, al sovranismo occorre riconoscere una realistica ragionevolezza – in funzione della scelta politica democratica – superiore all’alternativa globalista, la quale di quello è stata la levatrice.
Teodoro Klitsche de la Grange