Italia e il mondo

Il meno americano’ dei cardinali americani: cosa aspettarsi dal pontificato di Leone XIV?_Di Ekaterina Shebalina

Il cardinale americano meno americano: cosa aspettarsi dal pontificato di Leone XIV?

28.05.2025

Ekaterina Shebalina

© Sputnik/Alexander Logunov

In qualità di primo pontefice nato negli Stati Uniti, ma formatosi all’interno delle tradizioni pastorali e teologiche dell’America Latina, Leone XIV intende perseguire un percorso che coniughi il pragmatismo globale con l’ortodossia della Chiesa, scrive Ekaterina Shebalina.

Il pontificato di Papa Francesco – vivace, imprevedibile e segnato da contraddizioni – è stato caratterizzato da numerose riforme che hanno sollevato più domande che risposte. Nel 2013, i cardinali sono stati chiamati a rispondere a un evento scioccante: le dimissioni di Benedetto XVI. Dopo aver analizzato le cause immediate, sono giunti alla conclusione che uno dei problemi risiedeva nella struttura organizzativa e amministrativa della Chiesa come istituzione. Dopo qualche tempo, la colpa è stata attribuita ai collaboratori del Papa. Si pensava che «quattro anni di Bergoglio potessero essere sufficienti». Ciò significava che era necessario un papa «dalla fine del mondo» per scuotere l’istituzione e gettare le basi per una riforma. Ma solo per circa quattro anni. Alla fine, i dodici anni di regno di Francesco hanno portato a uno scontro tra il Vecchio Mondo, l’America Latina e il Nord America. Al conclave del 2025, tutti i cardinali hanno capito che era giunto il momento di voltare pagina, e il cardinale Robert Prevost era l’uomo con il curriculum più adatto al ruolo. Leone XIV non è un papa di compromessi, ma un papa chiamato a portare armonia.

Essendo il primo pontefice nato negli Stati Uniti ma formatosi all’interno delle tradizioni pastorali e teologiche dell’America Latina, Leone XIV intende perseguire un percorso che combini il pragmatismo globale con l’ortodossia ecclesiastica. Il pontefice manterrà il tono delle iniziative progressiste del suo predecessore Francesco in materia di sinodalità, etica ambientale (Laudato si’) e lavoro con le comunità emarginate, ma tutte le riforme saranno probabilmente attuate nel rigoroso rispetto della dottrina cattolica, senza innovazioni populiste radicali. Prevost parla apertamente della necessità di un’azione urgente per combattere il cambiamento climatico. Recentemente, in qualità di cardinale, ha sottolineato che la Chiesa deve passare «dalle parole ai fatti», mettendo in guardia contro le conseguenze «dannose» dello sviluppo tecnologico incontrollato e sostenendo un rapporto reciproco e non tirannico con l’ambiente.

Asia ed Eurasia

Sinfonia di armonia e pace di tutte le religioni a Valdai

Nourhan ElSheikh

La fede è potere ed è necessario usare questa forza per il bene. La politicizzazione della religione è molto distruttiva. La nostra volontà di muoverci insieme verso la prosperità e lo sviluppo può portare pace, stabilità e unità nazionale, scrive Nourhan ElSheikh, professore di scienze politiche all’Università del Cairo. L’articolo fa seguito alla conferenza del Valdai Club “Polifonia religiosa e unità nazionale”.

Opinioni

La visione teologica del nuovo pontefice, influenzata dall’etica sociale dell’Ordine Agostiniano, è una visione della Chiesa come comunità morale e sacramentale, piuttosto che come piattaforma di propaganda politica. Il primate romano mantiene una posizione pragmatica nei confronti delle innovazioni dottrinali su questioni quali l’identità di genere, il celibato clericale e le unioni omosessuali. Non è un caso che, pochi giorni dopo l’inizio del suo pontificato, rivolgendosi ai diplomatici, Leone XIV abbia affermato: «Il dovere di chi ha responsabilità di governo è quello di adoperarsi per creare società civili armoniose e pacifiche. Ciò può essere fatto, innanzitutto, investendo nella famiglia, fondata sull’unione solida tra un uomo e una donna, una piccola ma vera società, che precede qualsiasi società civile». L’affermazione in sé non è né rivoluzionaria né sensazionale, essendo parte della morale cristiana predicata dalla Chiesa, ma l’enfasi posta su tale formulazione della questione trasmette un messaggio chiaro alla comunità mondiale riguardo alle priorità del nuovo pontificato.

Questa posizione era già emersa in precedenti dichiarazioni del capo della Chiesa cattolica romana. Nel suo discorso ai vescovi nel 2012, il cardinale Prevost esprimeva preoccupazione per l’influenza dei media occidentali e della cultura popolare, accusandoli di incoraggiare «la simpatia per credenze e pratiche in contrasto con il Vangelo». Tra i temi citati figuravano «gli stili di vita omosessuali» e «le famiglie alternative composte da partner dello stesso sesso e dai loro figli adottivi». Durante il suo mandato nella diocesi di Chiclayo, nel nord-ovest del Perù, Prevost si è espresso con forza contro un progetto del governo volto a introdurre l’educazione di genere nelle scuole pubbliche. «La promozione dell’ideologia di genere è fonte di confusione, perché cerca di creare generi che non esistono». L’elezione del nuovo Papa non è stata priva di scandali che hanno coinvolto la sua persona. «Negli ultimi mesi, e soprattutto nelle ore precedenti il Conclave, il cardinale Robert Francis Prevost è stato oggetto di una campagna organizzata da circoli ultraconservatori della Chiesa», ha confermato un’inchiesta del quotidiano spagnolo El Pais. L’accusa riguarda l’occultamento di evidenti violenze commesse da un sacerdote peruviano subordinato a Prevost. Allo stesso tempo, tali attacchi sono stati rapidamente neutralizzati dal contesto informativo positivo creato dal primate romano dopo la sua ascesa al potere. Papa Leone non è un fan dei selfie e non cerca di guadagnare popolarità con tecniche mediatiche popolari. Tuttavia, in uno dei suoi recenti discorsi, il pontefice ha messo in guardia i credenti dalle fake news con le parole «coltiviamo il pensiero critico». I contatti diplomatici di Papa Leone XIV con la leadership ucraina, i funzionari americani e i cattolici cinesi già avvenuti indicano che la rinnovata diplomazia vaticana sarà assertiva e conciliante, meno dichiarativa e più efficace. In materia di costruzione della politica estera della Santa Sede, il pontefice romano probabilmente trarrà ispirazione dall’Ostpolitik dell’era della Guerra Fredda, adattandola alle tensioni multipolari odierne.

Le questioni chiave dell’agenda globale di Leone XIV sono l’effettiva partecipazione della Santa Sede alla risoluzione dei conflitti, in particolare in Ucraina, Medio Oriente e Africa subsahariana.

Non è un caso che il pontefice abbia già proposto il Vaticano come piattaforma di negoziazione per i rappresentanti di Mosca e Kiev.

Un tema altrettanto importante per il pontefice romano è la mediazione tra i regimi autoritari e le comunità cattoliche clandestine, soprattutto in Cina e in alcune parti del mondo islamico. Inoltre, l’agenda del nuovo pontefice include la riaffermazione dello status del Vaticano come voce morale nel diritto internazionale e nella politica umanitaria, piuttosto che come partecipante di parte nei conflitti politici occidentali. Pertanto, la Santa Sede sotto Leone XIV probabilmente riaffermerà il suo ruolo di attore non allineato, ma allo stesso tempo basato su principi, sottolineando l’importanza della solidarietà internazionale, della libertà religiosa e del multilateralismo diplomatico. Un argomento a parte che ha attirato l’interesse dei media è la cittadinanza americana del Pontefice e il suo rapporto con Donald Trump. È un grave errore ritenere che il nuovo papa sia un rappresentante dell’identità statunitense. Secondo i vaticanisti, Prevost era «il meno americano di tutti i cardinali americani»: i vent’anni trascorsi in Perù hanno avuto un impatto significativo sulla visione del mondo del pontefice. Ciò, tra le altre cose, ha influito sui suoi rapporti con i partiti politici statunitensi. L’interazione del nuovo Papa con il team della Casa Bianca sembra tesa. Il Pontefice ha già dimostrato di non considerarsi un rappresentante del Nord America: durante un incontro con il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance, Leo si è mostrato molto riservato, mantenendo una chiara distanza formale. È ovvio (come era evidente nelle sue precedenti dichiarazioni) che il pontefice non sostiene l’attuale linea del partito repubblicano nei metodi di risoluzione della crisi migratoria, così come il suo atteggiamento consumistico nei confronti della religione, che è stato attivamente utilizzato per attirare gli elettori nella corsa alle elezioni. Allo stesso tempo, sui temi della salute riproduttiva e dell’aborto, Prevost sta già dimostrando approcci che risuonano con le idee dei seguaci di MAGA.

In relazione alla Russia, il pontefice segue attualmente una politica di neutralità, che tuttavia si manifesta in una partecipazione attiva, ovvero il desiderio della Santa Sede di svolgere un ruolo importante nella risoluzione della crisi ucraina. Secondo Ivan Soltanovsky, ambasciatore russo in Vaticano, «il nuovo Papa è noto come sostenitore del dialogo e combattente per la pace, speriamo che questo approccio si concretizzi nel suo pontificato». Tuttavia, la lotta per la pace non si esprimerà in “inchini” alternati al pubblico russo e ucraino, che, come è avvenuto durante il pontificato di Francesco, il Segretario di Stato della Santa Sede Pietro Parolin ha poi smorzato con commenti sulla neutralità diplomatica del Vaticano. Leone XIV è interessato ad azioni concrete: facilitare lo scambio di prigionieri di guerra e fornire una piattaforma per il dialogo. È abbastanza logico che il primate romano non abbandoni l’idea del suo predecessore di visitare Mosca e Kiev a turno; non a condizioni che soddisfino il suo scopo di popolarizzazione, ma in circostanze favorevoli che consentano una tale manovra.

In un mondo frammentato alla ricerca di linee guida morali stabili, Papa Leone XIV potrebbe mostrarsi non solo come un leader religioso, ma anche come un interlocutore etico globale, un ruolo che il papato moderno è in grado di svolgere in modo abbastanza efficace.

W Leone XIV: cosa è rimasto del sogno dopo la Messa di intronizzazione?_di Fogliolax

W Leone XIV: cosa è rimasto del sogno dopo la Messa di intronizzazione?

Con l’occasione ricordiamo che il Papa è una monarca, quindi si siede sul trono

Fogliolaxrivista 19
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Ah beh, mica poco! Leggere per credere, e anche per capire, qui .

Anzitutto il nome , con tanto di riferimento fatto da Sua Santità all’illustre predecessore Leone XIII. Non a Leone Magno o altri grandi papi con quel nome lì, no no, proprio a Leone XIII come nel sogno.

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E conosciamo le potenziali implicazioni di questa scelta: fine della festa per i cristiani part-time così come per chi guarda alla Chiesa come a un’agenzia dell’ONU.

Teniamo presente che Leone XIV è un uomo con 2 lauree, un master e un dottorato, che parla fluentemente 5, no dico 5, lingue; non è certo la persona che sceglie emotivamente o casualmente un nome così, specialmente dopo un papato cosà.

E poi il Padre Nostro o, meglio, il Pater Noster , che ha recitato in latino saltando così a piè pari la nuova versione, come auspicato nel sogno.

Rispetto al sognato Burke (si pronuncia Bərk e non Bärk vero Report?) non ha la stessa preparazione in materia di dottrina e diritto canonico; non importa, Robert Francis Prevost ha il suo esperto connazionale a disposizione.

Ah già, anche la nazionalità è quella del sogno: nata negli USA . Vale quindi quanto scritto in proposito per Raymond Leo (Burke). Tra l’altro si vocifera di un Conclave fortemente influenzato dal blocco statunitense capitanato dallo stesso Burke e dal Cardinale Dolan.

Quanto all’autorità morale cui si accennava nel sogno per dare un bel giro di vite ai cardinali e ai vescovi non meritevoli dell’abito che indossano…beh è il Papa, è l’autorità morale per eccellenza. Se poi si comporterà da Papa, avrà tutti i poteri necessari per intervenire sia dal punto di vista giuridico che da quello pratico.

Per contrastare la deriva della Chiesa tedesca , non avendo mai avuto stretti legami con la stessa, saprà sicuramente farsi aiutare, ad esempio dal cardinale Müller. Il fatto che Leone XIV abbia già espresso sostegno alla famiglia tradizionale (ahimè come tocca chiamarla per farsi capire) credo sia un buon indizio sul fatto che i germanici devonono darsi una calmata nell’andare dietro alle ideologie correnti. E poi, beh, e poi c’è questo tocco di classe da parte del vicario di Cristo ( qui )

Sulle doti di amministratore vale la pena nutrire un certo ottimismo, anche al di là delle voci che indicano ingenti finanziamenti già ricevuti dagli Stati Uniti. Leone XIV è stato il Priore Generale dell’Ordine di Sant’Agostino che conta monaci in tutti e 5 i Continenti, sa quindi venire far quadrare i conti e può scegliere con cognizione di causa le persone adatte per completare la ristrutturazione di IOR (la cassa del Vaticano) e Governatorato (il governo del Vaticano) avviata da Benedetto XVI.

La seconda parte del sogno, quella riguardante il Segretario di Stato (il numero 2 della Chiesa Cattolica), è ancora attualissima. Il prescelto, come sapete, è Sua Eminenza Robert Cardinale Sarah ↓

Sì Eminenza proprio lei. Rimandiamo al sogno per approfondimenti ( qui ).

Sul punto dedicato ai sacerdoti , Leone XIV appare più in linea che mai col sogno: si è vestito da Papa fin dalla sua prima apparizione; parla in maniera più che comprensibile, prepara i discorsi con grande attenzione dimostrando rispetto per il suo ruolo e per i suoi interlocutori. Ha inoltre una calma e un sorriso che avercelo noi…pare davvero un uomo in pace con se stesso e con Nostro Signore.

Fin qui tutto bene, affrontiamo ora i punti dolenti . Schema in onore della pragmaticità statunitense.

  1. È stato creato Cardinale da Bergoglio quindi per i tradizionalisti duri e puri non è legittimo. Torniamo al sogno, l’alternativa qual è? Lo scisma? Abolire tutto quanto fatto dal Concilio Vaticano II in poi? Bene, in quel caso nell’ultimo Conclave avremmo avuto 0 (zero) Cardinali elettori. Senza voler dar per certe le voci che il nostro amato Cardinale Burke assieme al cardinale Dolan hanno orchestrato tutto da anni, diamo fiducia al nuovo eletto. Si chiamano Fede e Speranza per i cristiani.
  2. Non ha mai criticato le derivate del suo predecessore. Torniamo al sogno ea quanto scritto sopra. E aggiungiamo che il clima creatosi dal 2013 in poi non rendeva facile opporsi, molte volte lo Spirito Santo ei Cardinali che lo ascoltano agire sottotraccia per un bene più grande.
  3. Segue la narrazione dominante sui vaccini : anzitutto usiamo il passato, ha seguito; ora che è il Vicario di Cristo e che esistono tonnellate di provare contro tutto quanto è avvenuto nel biennio 2020-2022 possiamo ragionevolmente sperare che modifichi le sue convinzioni. Così come sta facendo la maggior parte delle persone comuni che hanno subito la pandemia.
  4. Segue la narrazione dominante sul conflitto russo ucraino : eh eh, è un punto dolente. In questo ricorda il suo connazionale Trump che prima dell’elezione era convinto di risolvere tutto in 24 ore e di trovare una Russia in ginocchio e dalla parte del torto. Non è così, ora che il Santo Padre avrà modo di parlare coi protagonisti diretti se ne renderà sicuramente conto e lavorerà e pregherà per la pace in maniera più consapevole. Come capo della Chiesa Cattolica, il suo coinvolgimento nella guerra russo ucraina va ben al di là della situazione sul campo. La riconciliazione con la Chiesa ortodossa , per un devoto alla Madonna come è Leone XIV, dovrebbe rivestire un ruolo cruciale del suo ministero.

Avviamoci verso la conclusione con altre due domande dolenti che il Papa dovrà affrontare.

La prima: la difesa dei cristiani perseguitati . Negli ultimi anni abbiamo assistito a levate di scudi a favore più o meno di chiunque tranne che di chi ancora rischiando la vita (come in Nigeria) o la prigione (come in Cina) per professare la fede cristiana. Auguriamoci che Leone XIV interrompa questo trend.

La seconda: le nomine dei suoi “ministri” a capo dei Dicasteri. Alla Segreteria di Stato abbiamo già accennato. Ci vuole una pulizia in stile DOGE di Elon Musk. L’attuale Segretario, il cardinale Parolin, ha la grave colpa di aver ceduto al governo cinese sulla nomina dei vescovi (e non solo). Se il Papa vuole ristabilire la sua autorità ha bisogno di un uomo forte. Sul vice di Parolin, Peña Parra, evitiamo commenti, andrebbe rimosso subito.

Altro Dicastero importante da azzerare è quello per la Dottrina della Fede. Senza dilungarsi troppo, diciamo che è più fonte di imbarazzo che di ispirazione.

Puro quello della Comunicazione va rimesso in bolla, soprattutto nei suoi componenti laici.

Anche la Pontificia Accademia per la Vita necessita un cambio al vertice, magari con la scelta di qualcuno che difende la vita dal concepimento alla morte naturale.

Degli organi finanziari e di governo abbiamo già detto, repulisti completi.

Se poi Leone XIV desse un’occhiata anche al Dicastero delle cause dei Santi…con tutto il rispetto, negli ultimi decenni di Santi ne sono stati fatti troppi: si rischia di sminuirne l’importanza.

EWTN

Concludiamo con una chicca che neppure il sognato Cardinale Burke ha: una laurea in matematica che, in tempi dominati da chip e intelligenza artificiale, non è niente male, anzi…

Dulcis in fundo , il Papa ha già 19 milioni di follower su X e 14 su Instagram in meno di una settimana, scusate se è poco.

O Leone XIV!

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Conclave. Ho un sogno: Leone XIV_di Fogliolax

Conclave. Ho un sogno: Leone XIV

Due, a dire il vero

Fogliolaxrivista 8
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Un sogno del giorno prima_Giuseppe Germinario

Premetto che questo vuole essere uno scritto rivolto al futuro, una sorta di antidoto contro il senso di negatività che è serpeggiato qua e là negli ambienti cattolici tramite qualche velatissima critica sul pontificato di Bergoglio…”lascia che i morti seppelliscano i loro morti” dice Gesù nel Vangelo di Matteo.

Veniamo a noi.

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Dall’immagine sopra avrete inteso i protagonisti del sogno. Purtroppo, il cardinale Zen non è eleggibile per raggiungere limiti di età, tuttavia non manca di “stressare” lo Spirito Santo in quel di Tor Bella Monaca. E dal video capirete perché lo sono ( qui ): un’entrata trionfale in San Pietro che manca Mel Gibson in Braveheart…

Per farla breve, il sogno prevede il Cardinale Raymond Leo Burke come Papa e il Cardinale Robert Sarah come Segretario di Stato (una figura che racchiude contemporaneamente i compiti di un ministro degli interni e degli esteri, una sorta di numero 2 nella gerarchia ecclesiastica). Leone XIV deriva ovviamente dal secondo nome del Cardinale Burke e, ricordando l’illustre predecessore, farebbe subito capire che l’aria è cambiata (approfondire chi fu Leone XIII, il primo Papa social della storia ( qui ), fa parte dello sforzo personale del lettore, altrimenti viene fuori un papiro).

Ok, fin qui il sogno, ma nella realtà serve davvero una combo del genere?

Eh beh, direi proprio di sì.

Burke dal punto di vista dottrinale e del diritto è un numero 1 ; è avvocato canonista ed ex Prefetto del supremo tribunale della Segnatura Apostolica (il più alto organo giudiziario e amministrativo della Chiesa).

Sarebbe quindi la figura ideale per rimettere ordine nella stanza, ossia ristabilire con fermezza quali sono i principi immutabili della dottrina cattolica (in quanto stabilità da Gesù Cristo in persona e non da un teologo o da un profeta).

Questo è un passaggio essenziale e propedeutico a qualsiasi parola esca dalla bocca di un cristiano, sia esso un laico o un sacerdote. Altrimenti cosa comunichiamo? Non so, che il matrimonio è sacro e poi la domenica dal pulpito si afferma il contrario? Pensateci bene, l’unicità dell’insegnamento è anche una forma di rispetto verso chi cerca faticosamente di stare sulla retta via e verso i perseguitati: scusate, noi rischiamo la vita in Africa e in Asia per seguire Gesù e voi non riuscite a contenervi 3 giorni di fila? Eh non va mica bene. In ballo c’è la vita eterna, non una promozione o dei like sui social.

Se poi il nuovo Papa iniziasse dal restauro del Padre Nostro, che nella nuova versione nun se po’ sentì , sarebbe davvero fantastico.

Sempre col fine di rimettere ordine nella stanza, Raymond Leo avrebbe anche l’ autorità morale e le competenze giuridiche, come uomo e come sacerdote ancora prima che come Papa, per dare un bel giro di vite ai cardinali e ai vescovi non meritevoli dell’abito che indossano.

Sua Eminenza ha anche un altro plus: è statunitense , può dunque sistemare con cognizione di causa gli abusi commessi oltreoceano e mettere un freno al rischio che la Curia diventi per Roma quello che l’ONU è per New York.

Mica basta. Burke ha da sempre un legame speciale con i cardinali tedeschi , basti ricordare gli stretti rapporti con Ratzinger, Meisner, Brandmuller e Muller; conosce quindi bene la deriva che sta prendendo quella Chiesa e può intervenire duramente, lì credo non ci sia altra alternativa.

E ancora…oggi i critici non devono trovare pane per i loro denti. Burke è anche un grande amministratore , basti guardare il successo del “suo” santuario in Wisconsin ( qui ); non un petalo fuori posto, organizzazione degli eventi impeccabile, contatto coi fedeli costante durante tutto l’anno (preghiere, novene, video, newsletter), una festa per la Madonna di Guadalupe da togliere il fiato: c’erano persino le golf car per portare i fedeli, non so se mi spiego. Andrebbe quindi assai bene per ricominciare le pulizie di primavera presso il Cortile Sisto V (IOR) e via Paolo VI (Governatorato).

Ora, per evitare che uno costruisca e l’altro distrugga, è indispensabile avere come numero 2 un altro mastino della fede.

Che cosa abbiamo?

Sì certo, il guineano Robert Sarah, 80 anni a giugno, perciò elettore per un solo mese, dato che dopo gli 80 si rimane fuori dalla Cappella Sistina; quando si dice il diavolo fa le pentole, ma non i coperti. È arzillo come un 20enne (di una volta, non quelli di oggi), saggio, colto, ha una carriera esemplare alle spalle e un ottimo rapporto con Leone XIV.

Lo so che non vi basta, e allora brevemente gli altri plus.

È originario di quel Global South , ovvero più o meno tutto il resto del mondo esclusi i Paesi NATO, che è in rampa di lancio dal punto di vista geopolitico, economico e demografico. Potrebbe sfruttare il grande ritorno mediatico di una sua nomina a Segretario di Stato. Si è formato in Africa e ci ha lavorato, non è un membro di quell’élite del Continente Nero che ha studiato a Oxford e va in vacanza a Saint Tropez. Conosce la gente comune, è un valido insegnante, sa farsi ascoltare.

Dulcis in fundo tutti e due sarebbero cardinali anche senza Bergoglio, così non inizia la tiritera sulla non legittimità della nomina cardinalizia.

Presentati i due, siccome i tradizionalisti duri avranno comunque da obiettare, vi dico la mia su quello che state pensando, su quel:

“ ah però nemmeno loro hanno detto una parola contro Bergoglio ”.

Anzitutto non è vero, ne han spesso evidenziato gli errori dottrinali (i Dubia del 2016 e del 2023) promuovendo la vera fede; certo, non sono arrivati allo scontro aperto, come del resto nessuno dei Cardinali presenti e passati, ripeto, nessuno. Possiamo pensare che siano tutti impazziti, timorosi o compiacenti? Non penso proprio; magari sanno qualcosa che non è di dominio pubblico o han ritenuto che far saltare il banco avrebbe provocato un danno maggiore alla Chiesa. Non possiamo saperlo con certezza. Andiamo a vedere cosa è stato il 1300 per il Cattolicesimo: 80 anni di gravi tumulti tra lo spostamento del Papa ad Avignone e lo scontro tra Urbano VI e Clemente VII. Oggi, con l’amplificazione dei dati dai mass media (social inclusi) il rischio più sarebbe probabile quello di uno scisma; voi critici ve la prendereste questa responsabilità?

E già che ci siamo, vi dico anche la mia su cosa potremmo fare noi laici “praticanti” in vista del Conclave. Correggere i nostri secolari difetti; so’ sempre quelli: chiuderci nei nostri circoli, discutere se sia più aderente alla tradizione questo o quel prelato quando fuori ci sono intere generazioni che non hanno la minima idea di quale sia la materia del contendere, farci prendere dalla sfiducia, dimenticarci dell’azione dello Spirito Santo e del fatto che i Suoi tempi (l’eternità) non sono i nostri tempi (100 anni se va bene).

E i sacerdoti fuori dal Conclave? Vogliamo risparmiare? Anche loro dovrebbero fare la loro parte per aiutare il prossimo Papa. Venire? Anzitutto, rendendosi riconoscibili (l’abito fa il monaco) e ricordandosi che il loro compito principale per il quale sono insostituibili è amministrare i sacramenti. Tradotto, quando una persona ha la necessità di confessarsi scattare sull’attenti; non dico di andare a recuperare la pecorella smarrita, però, se torna, almeno che trovi il recinto aperto più di un’ora a settimana. Poi accettando il contradditorio, spiegando a chi ha una fede traballante o basata su falsi miti quale sia la vera fede, con parole semplici, con l’esempio e la vicinanza, non con un trattato di teologia e 400 riferimenti a testi antichi; care Eccellenze Reverendissime, cari Don, la persona che avete di fronte probabilmente si ricorda a mala pena il Gloria e l’ultimo l’Eterno Riposo l’ha recitato al funerale della zia.

Infine, se posso permettermi, basta con le polemiche , allontanano le persone. Abbiamo moltissimi esempi di Santi in rapporti non proprio idilliaci col “Vaticano”, eppure hanno continuato la loro missione salvando anime (basti pensare a San Padre Pio) o addirittura correggendo i Papi con successo (Santa Caterina da Siena).

Per concludere, fino a quando non vedremo la fumata bianca, partecipiamo alla Novena suggerita da? Ovviamente dal cardinale Burke ( qui )!

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Dalla politica della sedia vuota alla politica del buttafuori di sedia, di Jean DASPRY

DE LA POLITIQUE DE LA CHAISE VIDE À LA POLITIQUE DU VIDEUR DE CHAISE
Jean Daspry
Pseudonyme d’un haut fonctionnaire français,
docteur en sciences politiques

” Le vie del Signore sono imperscrutabili “. La diplomazia offre spesso occasioni per verificare l’attualità di questa formula ispirata a una lettera di San Paolo ai Romani. La prova è nella conversazione improvvisata tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, seduti su due sedie nella Basilica di San Pietro a Roma il 26 aprile 2025, pochi istanti prima dei funerali di Papa Francesco. Un simbolo della storia che si fa in diretta? Una pura coincidenza del calendario? Emmanuel Macron, che ha voluto imporsi al tête-à-tête tra l’americano e l’ucraino, è stato prontamente e senza mezzi termini allontanato dai due capi di Stato. La sedia, maliziosamente portata con sé per fare da paciere, è stata prontamente rimossa da un ecclesiastico ben addentro alle regole del protocollo. Giove è stato così rimandato per la sua strada come un ragazzaccio a cui viene impartita una lezione di buone maniere. Alla Santa Sede non si scherza con gli usi e i costumi diplomatici! Nel giro di pochi decenni, siamo passati dalla politica della sedia vuota, specchio di una diplomazia francese che brilla, a quella del buttafuori, specchio di una diplomazia francese che svanisce.

La politica della sedia vuota o una diplomazia francese che brilla

C’è stato un tempo, anche se passato, in cui la diplomazia francese brillava sia sulla scena europea sia nel concerto delle nazioni. Era incarnata da un uomo, l’uomo che lanciò l’appello il 18 giugno 1940. Poco dopo il suo ritorno al potere nel 1958, De Gaulle rimise ordine nel disordine interno ed esterno lasciatogli da una Quarta Repubblica in declino. Mise fine al conflitto in Algeria. Dotò la Francia di un deterrente nucleare autonomo e credibile (a differenza degli inglesi). Pur rimanendo un fedele alleato degli Stati Uniti, in particolare durante il blocco di Berlino (1948-1949) e la crisi dei missili di Cuba (1962), intendeva condurre una politica estera indipendente. Compì una visita trionfale in sei Paesi dell’America Latina (settembre-ottobre 1964); criticò l’egemonia americana, in particolare il fatto che il dollaro fosse l’unica moneta convertibile in oro (1965); lasciò il comando militare integrato della NATO (1966);criticò pubblicamente e senza mezzi termini la guerra del Vietnam nel suo discorso del 1966; sviluppò le relazioni con l’Unione Sovietica, come dimostrato dalla sua visita di dieci giorni in quel Paese nel 1966, durante la quale firmò accordi di cooperazione bilaterale… Questo elenco è solo indicativo.

Il primo Presidente della Quinta Repubblica, attaccato all’Europa delle Nazioni, non ha alcuna intenzione di piegarsi alle richieste della Commissione europea, tentata da avventure federaliste, in particolare sulla questione del finanziamento della Politica Agricola Comune (PAC) proposta dal Presidente di questo organismo, Walter Hallstein. Per dimostrare il suo malumore, ha praticato la “politica della sedia vuota”. Non voleva sentire parlare di Stati messi da parte nello sviluppo delle proprie risorse o di poteri di bilancio supplementari per il Parlamento europeo… Il generale de Gaulle rifiutava qualsiasi cessione di sovranità che non fosse prevista nei trattati istitutivi della Comunità economica europea (CEE). Sapeva perfettamente cosa voleva e cosa non voleva. Lo disse chiaramente in un’intervista televisiva a Michel Droit (14 dicembre 1965):

“Bisogna prendere le cose per come sono, perché la politica si basa solo sulla realtà. Certo, si può saltare sulla sedia come una capra dicendo Europa! Europa! Europa! ma questo non ottiene nulla e non significa nulla. (…) C’è gente che grida: Ma l’Europa, l’Europa sovranazionale! basta mettere insieme i francesi con i tedeschi, gli italiani con gli inglesi, ecc. (…) Sì, sapete, è comodo e a volte molto seducente, andiamo per chimere, andiamo per miti. Ma ci sono delle realtà, e le realtà non possono essere affrontate in questo modo. Le realtà si affrontano alle loro condizioni”. La sua linea di condotta è chiara, coerente e costante.

Ma i tempi sono certamente cambiati tra la seconda metà del XX secolo e la prima metà del XXI per la diplomazia della nostra Douce France. Soprattutto da quando Emmanuel Macron ha preso le redini del nostro Paese nel 2017. Un recente esempio di cronaca mostra come la nostra azione esterna non sia più quella di una volta.

La politica del buttafuori o la diplomazia francese impallidita

La scena a cui abbiamo assistito – attraverso i social network, con i canali televisivi tradizionali che hanno ignorato lo schiaffo inflitto a Giove – merita di essere esaminata per qualche istante per avere un quadro completo.

Come spesso accade per i grandi momenti della storia, dietro c’è una piccola storia. In passato, venivano raccontati qualche anno dopo attraverso le confidenze delle personalità presenti all’evento. Oggi sono immediatamente visibili. Il video (e anche la foto ufficiale dell’agenzia ucraina e dell’AFP) è schiacciante: nel balletto che precede l’installazione delle sedie per l’incontro tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, si vede una terza sedia, destinata a un terzo ladro. Per un traduttore? Per Emmanuel Macron, che vuole sempre essere nella foto, per mostrare i muscoli con i Grandi, una volta alla fine del lungo tavolo a Mosca, un’altra volta al braccio di Donald Trump a Notre-Dame? Ancora una volta, l’uomo dai capelli biondi lo spinge delicatamente fuori dall’inquadratura. Cosa ha detto in quei pochi secondi? Ci piacerebbe essere un angelo per scoprirlo! Da questa scena, possiamo intuire che Giove è in fuorigioco per il 47esimo Presidente degli Stati Uniti. Ma è successo molto tempo fa. Come lo è anche per molti francesi. Emmanuel Macron è il gadget diplomatico.

Rifiutato gentilmente per la foto che il miliardario americano voleva nella Basilica di San Pietro, il Presidente francese sta dimostrando la sua consueta testardaggine diplomatica. Ed è certamente a questo dispetto che va attribuita quella in cui posa con Volodymyr Zelensky nei magnifici giardini dell’ambasciata francese presso la Santa Sede. Va ricordato che, prima di partire per Roma, il Capo dello Stato – rientrato in fretta e furia dal suo viaggio nell’Oceano Indiano – aveva dichiarato, urbi et orbi, che il suo soggiorno non avrebbe dato luogo a ” nessun incontro diplomatico “ durante questo ” periodo di raccoglimento per tutti i fedeli e per il mondo intero “. Quindi, due sedie per il francese e l’ucraino per un’identica messa in scena, nella Villa Bonaparte. È stato forse Papa Francesco a capire meglio – e a vanificare – la strategia di comunicazione permanente del nostro Presidente, rifiutandosi di partecipare all’inaugurazione di Notre-Dame[1]. Al termine dell’intervista, Giove si è cinto di corone d’alloro in un tweet, scritto in inglese nel testo. Gli imperativi del mondo francofono sono stati dimenticati dall’uomo che dovrebbe esserne l’ardente difensore!

Questo episodio è tutt’altro che glorioso per il nostro Presidente, per la sua diplomazia scribacchina, ma soprattutto per la Francia che dà lezioni.

Nessun seggio sacro nella Santa Sede per Giove

” Tutto ciò che accade è elevato alla dignità dell’espressione ; tutto ciò che accade è elevato alla dignità del significato. Tutto è simbolo o parabola “. Questa citazione del diplomatico e scrittore Paul Claudel coglie perfettamente il simbolismo della scena del trio diplomatico (mancato e trasformato in duetto) a cui abbiamo assistito il 26 aprile nella Basilica di San Pietro a Roma. Può essere interpretato come ” nessun posto alla Santa Sede ” per il nostro istrione della scena diplomatica ! Andate avanti, non c’è niente da vedere per chi si mette in mezzo. Le comparse nei negoziati sull’Ucraina devono rimanere al loro posto modesto e non cercare di imporsi nella grande lega. L’unica cosa che gli è consentita è il gioco delle sedie a rotelle. Il compianto Papa Francesco ha di che riflettere, lui che non ha nel cuore il Presidente della Repubblica francese, lui che è venuto a rimettere Roma al centro del mondo per lo spazio di una mattina di primavera. Dalla diplomazia del generale de Gaulle negli anni ’60 a quella di Emmanuel Macron nel 2020, siamo passati dalla politica della sedia vuota alla politica del buttafuori di sedia !


[1] Frédéric Sirgant, ” Foto storica a Saint-Pierre. Mais pas de chaise pour Macron “, www.bvoltaire.fr , 27 aprile 2025.

SPIGOLATUREVATICANEMichele RalloAPPUNTI DI UN GHIBELLINO, di Michele Rallo

Riceviamo e pubblichiamo una breve rassegna di articoli di Michele Rallo, incentrati sull’impronta data da Papa Bergoglio alla conduzione della chiesa cattolica_Giuseppe Germinario

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Il papa, l’innocenza delle vittime e la logica del regime, di Leonardo Lugaresi

L’altro giorno papa Francesco ha pronunciato parole di cristiana pietà per Darya Dugina: nel contesto di una generale condanna della “pazzia della guerra”, di ogni guerra e di questa guerra in particolare (e Dio sa quanto ce n’è bisogno!), l’ha chiamata “povera ragazza” e “vittima innocente”. Credo siano state in particolare queste espressioni a scatenare la rabbia che è montata contro di lui in questi ultimi due giorni. Lasciando perdere, nella loro inanità, i tanti che sui social hanno inveito contro il papa e l’hanno insultato – non solo ignoti e irrilevanti leoni da tastiera ma anche personaggi con un profilo pubblico e una qualche notorietà – colpisce soprattutto la dura reazione del regime di Kiev, che ha fatto un passo ufficiale come la convocazione del nunzio pontificio per esprimere quella che, in sostanza, si pone come una condanna morale della posizione del papa.

Poiché con la morte non si scherza – infame chi lo fa! – bisogna essere rigorosi nella formulazione dei concetti, quindi è necessario chiarire bene il senso dell’espressione vittima innocente, sulla quale c’è invece, e non certo da oggi, una pericolosa confusione. Mi pare che esistano due significati, che non si escludono a vicenda ma che debbono restare distinti, di “innocenza” e di “vittima”. In senso stretto, vittima innocente è solo chi, non avendo alcuna responsabilità per il male del mondo, di quel male subisce ingiustamente le conseguenze, fino a quella estrema della morte per mano altrui. In questo senso, a parte i bambini, che non sono responsabili di nulla nella misura in cui non sono pienamente capaci, di vittime innocenti io tra gli adulti ne conosco una: nostro Signore Gesù Cristo, il solo giusto, il quale è morto appunto per “pagare il conto” di tutte le ingiustizie del mondo. La fattura, dice Paolo, l’ha inchiodata alla croce (IVA inclusa). In tutti gli altri casi, la condizione di vittima, per quanto grave e intollerabile sia l’ingiustizia che la determina, non rende automaticamente innocenti, come invece un diffuso e radicato errore cognitivo ci porta a pensare. Noi proviamo compassione per la vittima, solidarizziamo con essa, “stiamo dalla sua parte” e perciò vogliamo anche che sia “innocente”, che non abbia difetti, che abbia sempre e solo ragione. Ma non è così

I torti delle vittime, i peccati che hanno commesso, piccoli o grandi che siano, pertinenti o meno alla sorte che le ha colpite, non giustificano però in alcuno modo la loro ingiusta sofferenza e morte (se noi crediamo al comandamento “Non uccidere”). C’è quindi un secondo senso, valido quanto il primo e per nulla incompatibile con esso, in cui le vittime, ma questa volta tutte le vittime!, sono innocenti. L’innocenza della vittima, in questo caso, consiste nel fatto che essa non meritava di morire. Coloro che si indignano perché papa Francesco ha definito vittima innocente Darya Dugina, si riferiscono presumibilmente al suo pensiero e alla sua attività nel campo dell’informazione (o disinformazione, o propaganda o quel che volete voi: non mi interessa). Questi tali devono – per decenza, perché se non lo fanno sono infami che irridono alla morte (altrui) – dichiarare apertamente che chiunque “pensa e parla male” merita di essere dilaniato da una bomba messa da un attentatore.

Tale deve essere, a quanto sembra, anche la posizione ufficiale del governo ucraino, che sopra ho definito regime perché quella appena esposta è appunto la logica di un regime, cioè di una forma di governo che non ammette opposizioni, conosce solo sostenitori o nemici da eliminare e rivendica per sé – in quanto vittima di un’ingiusta aggressione – uno status di innocenza assoluta che invece non gli spetta, come sopra abbiamo detto. Mi si obietterà che il presidente Zelensky fu a suo tempo eletto democraticamente, il che è vero. Però non mi risulta che attualmente nel suo sfortunato paese vi sia libertà di opposizione, il che fa del suo governo tecnicamente un regime autoritario. Si replicherà che anche questa è una conseguenza dello stato di guerra e che la guerra l’ha scatenata un altro regime, quello di Putin, che dunque è il colpevole ultimo di tutto il male. Non discuto; però sta di fatto che non solo quello russo ma anche quello che c’è adesso in Ucraina è un regime autoritario, che, in quanto tale, si sente offeso perfino dalla cristiana pietà di papa Francesco per la vittima di un attentato.

Una “povera ragazza”, ha detto lui, e qui c’è in gioco una terza semantica cristiana che purtroppo ha bisogno di essere spiegata, perché ormai le persone parlano una lingua bastarda che non capisce più neanche le parole ereditate dai padri. Oltre a quella sorta di “innocenza” di cui ho appena parlato, che è di ogni vittima in quanto non meritevole di essere uccisa, esiste anche una speciale “dignità dello sconfitto”, un’aura di decoro e di rispettabilità, per non dire di sacralità, che avvolge ogni perdente, ogni caduto nel momento della sua fine, per quanto cattivi siano stati i suoi costumi pregressi e orribile la sua condotta passata. È quell’aura che un cristiano come Renzo Tramaglino, nei Promessi sposi, riconosce subito attorno al corpo agonizzante di don Rodrigo nel Lazzaretto. Quella che rende tutti “poveri” i morti (i “poveri morti”, diceva infatti il popolo, accomunando tutti, di default, in questa sorta di ordine cavalleresco).

Io non so praticamente nulla di Darya Dugina, barbaramente assassinata a 24 anni qualche giorno fa: vedo che per alcuni era una creatura meravigliosa, mentre altri la considerano una persona pessima. Qui e ora non mi importa: quello che so con certezza è che il popolo cristiano di un tempo non avrebbe esistato un minuto a chiamarla, proprio come ha fatto Francesco, “povera ragazza”, senza neanche voler sapere che cosa avesse fatto in vita. Perché il popolo cristiano di un tempo dava d’istinto a ogni defunto il titolo, massimamente onorifico, di “povero” (il più cristologico di tutti, a ben vedere). Bastava morire, e anche il più detestato degli avversari diventava “il povero x”.

Dunque sì: «vittima innocente» e «povera ragazza». Francesco ha parlato cristiano.

https://leonardolugaresi.wordpress.com/2022/08/26/il-papa-linnocenza-delle-vittime-e-la-logica-del-regime/?fbclid=IwAR2LPVvBXV5ia0f-SySzVX5pM494ZyHJ0BmtkI1RPGn9MKbf8k_OMLTyY4A

SOLO? NIENTE AFFATTO, di Elio Paoloni

SOLO? NIENTE AFFATTO

https://italiaeilmondo.com/2020/04/01/la-solitudine-di-papa-francesco-di-angelo-perrone/

Il pezzo di Angelo Perrone, La solitudine di Papa Francesco, mi ha ricordato un post FB di Alessandro Vietti che sosteneva la tesi della cantonata mediatica a proposito della benedizione urbi et orbi:

Perché quello che ha fatto, solo, in questa Piazza San Pietro desolatamente vuota, sotto queste nuvole e questa pioggia dal sapore apocalittico, degne di un film di Ridley Scott, è stato a mio avviso quanto di più lontano ci potesse essere dalla comunicazione di un sentimento di speranza e di fiducia nel futurouna “messinscena” oltremodo tragica, surrealmente tragica, al punto da potersi dire addirittura disturbante come la migliore inquadratura di un film di David Lynch. Perché quello che resterà nell’inconscio collettivo di quell’intervento non saranno tanto le sue parole, bensì la sua immagine, la solitudine e l’impotenza dell’Uomo – di “un” uomo – di fronte alla furia cieca della Natura (del Creato) che innalza il suo urlo triste e disperato contro un cielo di piombo, cieco e sordo”.

 

Apparentemente Perrone è su un altro versante. In realtà ha la stessa impressione di Vietti e si sforza di giustificare e sublimare il “cortocircuito”.

 

Io invece non riesco proprio a capire come si possa vedervi un errore – o un inciampo – di comunicazione. E’ passato proprio ciò che andava comunicato: l’impotenza dell’uomo, la violenza della natura, l’incombere dell’Apocalisse, la consapevolezza della propria fragilità, condizione necessaria per rivolgersi a Dio.

Se anche non fosse stata voluta, era necessaria proprio la potenza di quello spettacolo, che Emiliano Ferranti descrive così: “La forza dirompente di un’immagine che è già Storia. La potenza iconica e scenografica dell’Urbe. I colori e i capricci del cielo. Forme e vuoto alternate con geometrica e sacra cadenza. Il crepuscolo di un’era. Vox clamantis nel deserto: è La Foto di un epoca che si nutre di se stessa. Di fotogrammi disorganici e frantumati. Di un’epoca di distanze abissali nel paradosso di vicinanze virtuali, di anime frantumate, di voli rasoterra. E la nostra sconfitta scolpita nello spazio, tra i marmi eterni della Grande Bellezza”.

 

Vox clamantis in deserto. Come è stato, come è e come sarà. Ma il deserto metaforico è divenuto reale. Qualcuno ha rimarcato – oltre alla solitudine del Papa – la solitudine del Cristo, la foto scattata dopo l’entrata in Chiesa del Papa, col crocifisso desolato di fronte al vuoto. E invece mai come in quel momento il Cristo miracoloso è sembrato davvero il centro del mondo. Fuori dalla clausura di San Marcello e libero da folle turistiche col cappellino da baseball sotto il solleone, eccolo abbracciare la piazza e distendere il colonnato su Roma, sul paese, sul pianeta intero. Mai si era irraggiata così la sua influenza, mai era stata così necessaria la sua benedizione. Folle di astanti mediatici la attiravano, la accoglievano, liberati dal traffico e dalle distrazioni.

 

E’ mancata, come spesso accade a quest’uomo, la genuflessione davanti al Santissimo. Ma quanti hanno potuto notarla, se è sfuggita anche a me? Non ho alcuna simpatia per Bergoglio ma quando è lì, a pregare e a benedire, vedo solo il consacrato, il tramite, il Vicario, e dimentico le fesserie che spara quando svolazza da un paese all’altro.

La speranza nel futuro che Vietti trovava troncata dalle immagini, un cattolico non la trova nelle folle, nel traffico, nel cielo azzurro: la trova – e l’ha trovata – nell’esposizione di quel cerchio di pane bianco e piatto, piccolo, con tutt’attorno il più prezioso dei metalli, mirabilmente cesellato, il fasto più ardito che l’arte umana abbia potuto concepire e realizzare, la grandiosità dell’architettura più matura e più ricca nell’audacia delle sue forme e dimensioni. Che splendeva ancor di più nell’imbrunire bluastro.

 

 

Io ho presenziato in ispirito, insieme a milioni di persone, e la commozione di fronte alla maestà della Chiesa cattolica – l’Eucaristia, il Crocifisso bagnato dalle lacrime del Cielo, la Salus Populi Romani, la preghiera in San Pietro, cuore e centro di tutto l’orbe cattolico, “il luogo, diceva Chesterton, dove tutte le verità si danno appuntamento” – maestà che non è subordinata alle qualità del papa di turno, mi hanno impedito di notare una reticenza nelle parole, quella colta da Antonio Bianco:
“Papa Francesco ha elencato una serie di “manchevolezze” (perché in tutto il suo discorso la parola “peccato” non viene mai nominata) qui riassunte: guerre e ingiustizie planetarie e  l’indifferenza verso il “grido dei poveri e il grido “del nostro pianeta gravemente malato”.

Ma se, come affermano alcuni alti prelati, e come la bimillenaria storia della Chiesa insegna, le prove che siamo chiamati a superare sono conseguenza di un avvertimento di Dio, quindi una punizione meritata dall’uomo per i suoi molteplici peccati, e se il Signore lascia che si manifestino affinché l’uomo si ravveda, comprenda e si converta tornando a Dio, alla Sua vera ed unica Chiesa, quella Cattolica, e ai suoi sacramenti, sarebbe stato opportuno un chiaro riferimento ai peccati che ammorbano il mondo contemporaneo: la negazione del primato di Dio, il non santificare le feste, l’ateismo di stato, la negazione perpetua della Verità, gli aborti, gli omicidi, i peccati di adulterio, l’eutanasia, i furti, in pratica la “normalizzazione” di ogni peccato.

Noi non siamo Profeti, non conosciamo i disegni del Signore, e non possiamo affermarlo, ma chi, in cuor suo, non è stato sfiorato dall’idea che quel deserto, quella pioggia, quelle sirene spiegate, abbiano una relazione con il peccato mortale reiterato, negato ed elevato a normalità? Anche un non credente avrà potuto vederci la punizione della Hybris, del prometeismo, della divinizzazione della scienza manipolatrice.

 

No, quell’uomo non era solo; mai tanti uomini gli sono stati accanto. E non sarà mai solo: ha l’approvazione del Mondo, è in ottima compagnia. Le moltitudini adorano chi evita accuratamente di rammentare il peccato, il giudizio, l’Inferno.

 

 

 

 

legami proibiti, di Roberto Buffagni

Commentino al documento di papa Benedetto XVI[1]

 

Premessa: parlare di pedofilia è improprio. La pedofilia vera e propria è un fenomeno moralmente gravissimo ma sociologicamente marginale, nella Chiesa e fuori. Nella Chiesa il problema è l’omosessualità. In soldoni: i preti omosessuali gradiscono spesso la carne fresca (ragazzi ventenni, anche ragazzini sedici-diciottenni), esattamente come gli eterosessuali. Nella Chiesa l’omosessualità è dilagante, perchè in una istituzione esclusivamente maschile gli omosessuali selezionano, cooptano e fanno salire in posizioni apicali altri omosessuali, dando luogo a una crescita esponenziale, numerica e di potere, della loro tribù. Nella Chiesa non può avvenire la stessa cosa per gli eterosessuali, perché  i preti che preferiscono le donne NON le possono cooptare nell’istituzione, almeno fino a quando non verrà introdotto il sacerdozio femminile; altrimenti, al tempo di Alessandro VI Borgia, che dava festicciole con diecine di puttane nude a cui lanciava le caldarroste per godersi il panorama quando le raccoglievano, avremmo avuto un Collegio Cardinalizio composto per il 73% da belle ed esperte cortigiane (c’erano magari i loro figli, ma non è la stessa cosa). Sul piano dottrinale e istituzionale, l’ effetto provocato DIRETTAMENTE dall’altissimo tasso di omosessuali nel clero e nelle gerarchie è questo: che quando la propria condotta di vita è incompatibile con l’istituzione della quale si fa parte, ci sono tre possibilità. Uno, cambi condotta. Due, non cambi condotta ma sapendo che è sbagliata la nascondi ipocritamente e ti senti, in grado maggiore o minore, colpevole. Tre: cambi la valutazione istituzionale della tua condotta, rendendola meno incompatibile con le tue preferenze. Dal pdv psicologico, la soluzione tre è la più egosintonica (fai meno fatica + ci stai meglio), ma si può adottare solo quando sei in grado di cambiare l’ideologia dell’istituzione, ciò ch’è possibile solo quando a) hai consenso a livello anzitutto dirigenziale b) il clima culturale generale, interno ed esterno all’istituzione, lo permette (per esempio, difficile dire “evadere le tasse è un peccatuccio” in Germania, facile dirlo in Italia). Nel caso di specie, per ragioni culturali molto complesse che non si possono certo ricondurre all’omosessualità, nella Chiesa cattolica si può dire senza tema d’errore che almeno a partire dal Concilio Vaticano II il concetto di “peccato” (centrale nella dottrina) è stato abbondantemente annacquato, psicologizzato, etc. L’annacquamento del concetto di peccato incontra immediatamente un interesse primario dei preti omosessuali. Segnalo che, giusto o sbagliato che lo si ritenga, l’omosessualità (praticata) è, nella dottrina tradizionale della Chiesa, un “peccato che grida vendetta al Cielo”, molto ma molto più grave dell’eterosessualità praticata anche in contrasto alla severa morale tradizionale cattolica (=bene nel matrimonio, male fuori, stop). E’ quindi effetto della pura e semplice dinamica degli interessi, se una larga maggioranza di preti omosessuali è favorevole all’ “aggiornamento” e “modernizzazione” della dottrina cattolica: perché  risponde a un interesse personale e psicologico vitale dei preti omosessuali, che come tutti desiderano dormire tranquilli alla notte, e non farsi venire la gastrite tormentandosi con i rimorsi per la propria ipocrisia. >Insomma: nella Chiesa cattolica, omosessualità e modernismo SI RINFORZANO A VICENDA retroagendo ciberneticamente l’uno sull’altra. Nel passato “pre-sessantotto”, invece, la dinamica istituzionale era assai diversa. Anche qui, una premessa. Nel cattolicesimo, il tema della sessualità ha un’importanza decisiva, perché  al contrario del protestantesimo, il cattolicesimo è fortemente “materialista”: ritiene cioè che il mondo creato in generale, e in particolare quella parte del creato che è il corpo umano, sia “divinizzabile”, come illustrano plasticamente i dogmi dell’ Incarnazione e della Presenza Reale del corpo e del sangue di Cristo nell’Eucarestia. Di qui, forti divieti e prescrizioni nel campo della sessualità. Un forte divieto attrae sempre, per una legge psicologica ben nota, un forte desiderio di trasgredirlo, specie se si unisce a prescrizioni perentorie e difficili da rispettare come il voto di celibato per il clero. Ma torniamo all’istituzione-Chiesa “pre-sessantotto”. In essa, i preti omosessuali c’erano senz’altro, anche se in percentuale penso assai minore rispetto alla Chiesa “post-sessantotto”, perché  nella Chiesa prima della cura sessantottina non poteva svolgersi pacificamente la dinamica “selezione-cooptazione” che ho tratteggiato sopra (la cultura dominante nell’istituzione e nella società non lo permetteva, l’omosessuale doveva reprimersi e/o camuffarsi con la massima cura). Preti omosessuali ed eterosessuali che venivano frequentemente meno al voto di celibato, allungavano le mani o peggio, etc., naturalmente ce n’erano, vista la forza travolgente dell’impulso sessuale e del desiderio erotico nell’uomo; di più o di meno a seconda del clima culturale prevalente nella società in generale e nell’istituzione in particolare, in conformità al quale si strutturano le direttrici educative e repressive del personale ecclesiastico (es., di più nel Rinascimento, di meno nella Controriforma). Nella Chiesa “pre-sessantotto”, che era una istituzione molto forte, avveniva quel che sempre avviene nelle istituzioni molto forti: che l’istituzione faceva quadrato intorno al membro trasgressore, ne negava e copriva le colpe, intimidiva e/o tacitava le vittime delle trasgressioni, etc. (a meno che una fazione le utilizzasse per colpire la fazione avversa). Non si verificava MAI, invece, che un comportamento sessuale trasgressivo del clero, anche molto diffuso, costituisse una forte concausa nel mutamento della dottrina, come invece avviene nella Chiesa “post-sessantotto”; la quale è un’istituzione molto ma molto più debole, dove è assai più facile che si instauri la dinamica “adattiamo la dottrina o almeno la pastorale ai nostri gusti & interessi”. Ora, è evidente che una discrasia clamorosa tra quel che una istituzione predica e quel che i suoi membri effettivamente fanno, da una certa soglia imprecisabile in su costituisce un grave problema istituzionale, che può contribuire in modo decisivo a una crisi anche gravissima dell’istituzione (v. ad es. il rapporto, indubbio, tra enorme corruzione della Chiesa e Protesta). E’ però infinitamente più grave, dal punto di vista istituzionale, se una istituzione finisce per distorcere seriamente o negare, nei fatti o addirittura nel diritto, ciò che la legittima: in questo caso la dogmatica e la dottrina cattolica. In parole povere: se finisce per saltare agli occhi che “neanche il papa ci crede più” a Dio, al peccato, alla salvezza, al paradiso inferno purgatorio eccetera, l’istituzione, molto semplicemente, non ha più ragione di esistere e finisce, not with a bang but with a whimper. Nel caso della Chiesa cattolica, per chi ci crede ci sarebbe la promessa dei Piani Superiori che “portae inferi non praevalebunt”. Ma in ogni caso, i Piani Superiori NON hanno mai promesso che “tutto andrà bene” e che i bilanci della Vaticano Spa. viaggeranno tranquilli di bene in meglio. Anzi, i Piani Superiori hanno ripetutamente avvisato che il principe di questo mondo NON tifa per la Chiesa: tutt’altro. That’s all, folks.

[1] https://www.corriere.it/cronache/19_aprile_11/papa-ratzinger-chiesa-scandalo-abusi-sessuali-3847450a-5b9f-11e9-ba57-a3df5eacbd16.shtml?fbclid=IwAR3WQupfF4r4fZdD4uu8XylXlrL3pHQnRiqg_cyek54BxJUXJec8FSGyzJM Consiglio: meglio leggere la versione inglese, l’italiana è mal fatta.

Gli USA e il Vaticano, di Luigi Longo

Italia e il mondo riproporrà in successione tre articoli di Luigi Longo già apparsi anni fa sul sito www.conflittiestrategie.it di analisi del ruolo del Vaticano nel contesto geopolitico. Contestualizzando gli eventi citati, offrono comunque importanti punti di riflessione. Qui sotto il terzo articolo. Buona lettura_Giuseppe Germinario

Il Vaticano si adegua alla nuova strategia degli USA

a cura di Luigi Longo

 

1.Il Vaticano di papa Joseph Ratzinger con la guerra di aggressione alla Libia si è adeguato alla nuova strategia americana di Bill Clinton-Barack Obama che è, per quanto riguarda le relazioni con il Vaticano, la continuazione della strategia di George W.Bush.

Il Vaticano di papa Karol Wojtyla aveva avanzato una timida opposizione alla guerra contro il terrorismo della nuova strategia di George W. Bush (2001-2002) e assunto una posizione favorevole alla guerra giuridicamente camuffata dall’intervento umanitario nella ex Yugoslavia (24 marzo1999 guerra di aggressione NATO con comando USA e ruolo servile importante del Presidente del Consiglio Massimo D’Alema. E’ una grande maestrìa americana quella di far fare il lavoro sporco ai propri scherani: l’Italia nel 1999, Francia e Inghilterra nel 2011 contro la Libia) finalizzata all’accerchiamento territoriale con basi militari della ri-nascente potenza mondiale Russa ( geopolitica). In altre occasioni lo stesso Vaticano ha assunto la posizione di opporsi alla guerra di aggressione all’Iraq (1991 e 2003), le cui ragioni sono da ricercare nella georeligione del Vaticano (1), rompendo la convergenza e l’alleanza con la strategia di Ronald Reagan ( soprattutto nella metà degli anni ottanta del secolo scorso) nel combattere l’”impero del male” rappresentato dal cosiddetto comunismo dell’ex URSS.

Nella guerra di aggressione contro la Libia il vescovo di Tripoli, monsignor Giovanni Martinelli, è stato lasciato praticamente solo (2). Il Vaticano non si è opposto alla guerra di aggressione alla Libia, ma si è preoccupato soltanto dell’aspetto umanitario della crisi senza entrare nel merito della guerra stessa.

Il cambio di politica estera vaticana è iniziato con la morte del papa Karol Wojtyla e la data simbolica del cambiamento è stata proprio quella del suo funerale. Così scrive Massimo Franco:<< Dunque, il vero significato dell’omaggio collettivo reso dalle personalità statunitense a Roma ( ai funerali del papa erano presenti tre presidenti George Bush, George W. Bush e Bill Clinton, precisazione mia) è stato quello di un investimento dell’America di Bush sull’alleanza con la Santa Sede; di più, di un salto di qualità nelle relazioni politico-diplomatiche, impensabile prima del papato wojtyliano. Forse perché l’Amministrazione repubblicana scommette su una sintonia che riguarda tutto lo spettro di questioni che << la chiesa considera sinonimo  di “santità di vita”, dalla ricerca sulle cellule staminali all’aborto e all’eutanasia >>; confida e forse un po’ si illude, che si riducano le resistenze vaticane sulle teorie unilateraliste della Casa Bianca e del Pentagono. Ma dietro si avvertiva il vago timore che la convergenza fra i due “imperi paralleli” orfani di Giovanni Paolo II potesse essere, se non rimessa in discussione, allentata >>.

Il cardinale Camillo Ruini, allora presidente della CEI e grande elettore di Benedetto XVI, così conferma << Esiste nel mondo, e in particolare negli Stati Uniti >> ha spiegato a proposito dell’alleanza tra Benedetto XVI e i neoconservatori USA << un movimento di rinascita cristiana che va al di là delle frontiere delle Chiese, e che sottolinea un afflato cristiano del quale non si può non tenere conto >>.

L’influente teologo americano Michael Novak sull’”Herald Tribune” così dichiarava << …Benedetto XVI sarà l’uomo della guerra dei valori del nuovo millennio, che indicherà “la cultura necessaria a preservare le società libere dai pericoli che le minacciavano dall’interno…”: un alleato di fatto della crociata Bush. La presenza della nomenklatura statunitense a piazza San Pietro era dunque una novità ad occhi esterni, non a quelli smaliziati della Curia >>.

Infine <<Esponenti dell’establishment vicini al Pentagono come Luttwak tendono a rimuover Giovanni Paolo II come una parentesi irripetibile e tutto sommato fuorviante; e a sottolineare preventivamente il profilo di Ratzinger come pontefice del “ritorno alla realtà” di una Santa Sede confinata in un ruolo non politico; e soprattutto innocua, non concorrenziale rispetto alle strategie di Washington ( corsivo mio) >> (3).

2.Riprendendo l’analogia storica dei cotonieri del Sud degli USA nell’800 in combutta con la potenza predominante di allora ( Gran Bretagna) avanzata da Gianfranco La Grassa per leggere, oggi, il ruolo dei nostri decisori subordinati agli interessi del paese predominante (USA), definiti da Gianfranco La Grassa come GF e ID (Grande Finanza parassitaria e Industria Decotta delle passate ondate della rivoluzione industriale) (4), riporto alcuni stralci di due libri sul ruolo del Vaticano nella guerra di secessione degli Stati Uniti d’America (1861-1865).

3.Una precisazione. La religione ha un ruolo importante nel legame sociale della produzione e riproduzione della formazione sociale data. Le sue istituzioni svolgono un ruolo significativo nelle varie strategie degli agenti strategici dominanti in tutte le sfere sociali ( soprattutto economiche-finanziarie). Gli stralci dei racconti riportati vanno letti sia nella logica gramsciana della religione e cioè il ruolo della religione e delle sue istituzioni vanno visti tenendo conto della logica dell’insieme della società:<< Nello sviluppo di una classe nazionale, accanto al processo della sua formazione nel terreno economico, occorre tener conto del parallelo sviluppo nei terreni ideologico, giuridico, religioso, intellettuale, filosofico, ecc.: si deve dire anzi che non c’è sviluppo sul terreno economico, senza questi altri sviluppi paralleli. >> (5); sia nella logica lagrassiana del tutto torna ma in maniera diversa :<< Il gioco del conflitto capitalistico ha sue regole generali, ma è condotto da giocatori “individuali” ( gruppi sociali) che le interpretano e le modificano, venendosi così a trovare in un “nuovo mondo”, di cui si ha in genere una comprensione alla fine del periodo storico di trapasso. Da qui nasce l’esigenza della memoria storica, della comprensione del nostro passato ( “il tutto torna”), servendoci però d’essa al fine di apprestare nuovi orientamenti utili nella presente epoca, in cui tutto si manifesta in forme differenti>> (6).

4.Primo libro. Massimo Franco, Imperi paralleli. Vaticano e Stati Uniti: due secoli di alleanza e conflitto 1788-2005, Mondadori, Milano,2005.

 

Capitolo III. QUANTE GAFFES, SANTITA’.

 

Paragrafo: Quando Pio IX sposò la causa sudista ( pp.36-37).

 

…Tutto sembrava congiurare per il fallimento dei rapporti diplomatici fra i due stati ( Stato pontificio e Stati Uniti, precisazione mia), in quel periodo. In una fase di transizione traumatica, qualunque atto assumeva caratteri che risvegliavano risentimenti, diffidenze, incomprensioni. Proprio nel 1863, con la guerra civile americana all’apice dell’incertezza, Pio IX pensò bene di scrivere ai cardinali di New York e New Orleans, uno geograficamente “nordista” e l’altro “sudista”, per rivolgere loro un appello teoricamente ecumenico affinché si adoperassero per la pace. Era la tipica impostazione vaticana, tesa a non prendere posizione rispetto ai due contendenti. Ma l’iniziativa coincideva con un atteggiamento della Chiesa cattolica americana, di prudenza estrema nella controversia sull’abolizione della schiavitù. Monsignor Spalding, che in seguito sarebbe diventato arcivescovo di Baltimora, fra l’aprile e il maggio di quell’anno aveva scritto una relazione a Propaganda Fide, proponendo la neutralità rispetto allo schiavismo dei neri del Sud. A suo avviso, gli abolizionisti avrebbero portato gli Stati sudisti alla rovina economica e gli schiavi alla rovina morale, perché secondo i vertici ecclesiastici erano impreparati alla libertà. << Spalding definiva “atroce proclama” l’atto di emancipazione del presidente Lincoln”.

Ma pesavano altre ragioni, a cominciare dall’ostilità degli immigrati irlandesi in USA

Nei confronti dei neri, visti come pericolosi concorrenti sul mercato del lavoro; e ancora, l’alleanza fra gli abrogazionisti e i protestanti, soprattutto quei nativi pronti ad attaccare qualsiasi simulacro di ingerenza vaticana. E poi, al fondo c’era la realtà di una gerarchia americana conservatrice; spaventata da qualunque sovvertimento dell’ordine costituito e dunque dalla prospettiva che la fine della schiavitù aprisse le porte a una rivoluzione. Per questo quando il presidente sudista Jefferson Davis rispose alla lettera di Pio IX, si intuì una larvata scelta di campo da parte del pontefice: soprattutto perché il papa replicò con un’altra missiva rivolta “ All’illustre e onorabile Jefferson Davis, presidente degli Stati confederati d’America”. Per i nordisti era una scelta di campo, sebbene il segretario di Stato Giacomo Antonelli si sforzasse di negare qualunque intento politico. La situazione americana era così tesa, e la posizione dei vescovi locali così ambiguamente neutrale, da offrire spazio a tutti i sospetti. E il guaio, per la Santa Sede, era che quella lettera sembrava schierare Pio IX dalla parte più retriva della società americana; e soprattutto, di quella perdente. Il risultato fu di mantenere unito il clero americano; ma al prezzo di connotarsi come chiesa conservatrice, lasciando ai protestanti la bandiera del progresso e dell’emancipazione degli ex schiavi. Non era una macchia da poco. Si sarebbe rivelata di lì a quattro anni uno dei motivi inconfessati della rottura di fatto delle relazioni diplomatiche tra Washington e la Roma papalina.

 

Paragrafo:Il killer di Lincoln è una guardia papalina! (pp.37-39).

 

In fondo, anche l’incidente successivo va inquadrato in questa cornice di ostilità contro il Vaticano, per reazione ai sospetti di aver larvatamente appoggiato la causa sudista durante la Guerra di secessione. D’altronde, Roma offrì un nuovo pretesto a dir poco ghiotto. Si scoprì infatti che nel 1865 un americano di nome John Surrat si era arruolato nell’esercito papalino. E’ vero che quell’armata era una sorta di pia “legione straniera”, nella quale affluivano soldati da un po’ tutta Europa e anche da altre parti del mondo. Ma si presumeva che ci fosse un qualche controllo sull’origine dei soldati pontifici. Si può indovinare quale fu la reazione dell’opinione pubblica d’oltre Atlantico quando filtrò la notizia che Surrat, accusato insieme con John Wilkes Booth e altri dell’assassinio del presidente Abraham Lincoln, era uno dei soldati zuavi della guardia papalina: una fotografia della Biblioteca del Congresso USA lo ritrae con la divisa, il volto affilato e un paio di baffi lunghi e sottili. In qualche misura, il suo arruolamento improvvido, del quale il Vaticano giurava di non sapere nulla, faceva quadrare il cerchio dei sospetti e dei pregiudizi. La Santa Sede prosudista veniva scoperta mentre non solo sembrava proteggere uno degli assassini di Lincoln, uomo-simbolo degli Stati Uniti democratici, antischiavisti e vincenti del Nord; ma addirittura lo arruolava nelle proprie file. Uno dei killer del “Great Emancipator”, il Grande Emancipatore, aveva trovato rifugio, protezione, salario e armi alla corte di Pio IX.

…per Pio IX si trattava di un incidente che rischiava di mandare all’aria decenni di faticosi tentativi di legittimazione; e di moltiplicare le difficoltà delle gerarchie cattoliche americane. In più, Surrat era protetto dall’assenza di un qualsiasi trattato di estradizione fra Vaticano e Stati Uniti; dunque, formalmente non poteva essere processato in America.

…Rufus King, “ministro” USA a Roma, capiva che le relazioni fra i due Stati si stavano rapidamente deteriorando…Così cercò di spiegare a Washington che la reazione del Vaticano indicava la volontà di non lasciare andare in malora i rapporti con l’Amministrazione. Il fatto che Surrat fosse stato bloccato a Roma aveva << il solo scopo di mostrare la pronta disponibilità delle autorità pontificie ad accondiscendere all’attesa richiesta del governo americano >>, scrisse King al segretario di Stato William Steward. Ma dietro rimaneva l’ipoteca pesante della politica vaticana negli anni della guerra civile americana. E i nemici della prospettiva di un Paese infettato dal gesuitismo e dalle manovre papaline, insidiato nel sacro principio della divisione fra Stato e Chiesa, ripreso una forza alla quale era difficile resistere (corsivo mio).

 

Secondo libro. Eric Frattini, L’Entità. La clamorosa scoperta del servizio segreto vaticano: intrighi, omicidi, complotti degli ultimi cinquecento anni, Fazi editore, Roma, 2008.

 

Capitolo: IL TEMPO DELLE SPIE ( 1823-1878) [ pp. 181-185].

 

A causa della situazione di smantellamento che viveva lo Stato della Chiesa, le comunicazioni tra l’Entità (7) a Roma e i suoi uomini sparsi per il mondo erano quasi inesistenti, per cui lo spionaggio pontifico fu incapace di prevedere la guerra che si avvicinava negli Stati Uniti.

Nel 1861, gli Stati Uniti d’America, che erano “uniti” da poco più di ottant’anni, furono scossi da una guerra civile. Era una nazione in cui si sviluppavano due società, ognuna con un proprio modello sociale, politico ed economico; in quattro decenni aveva visto ampliato il suo territorio in più occasioni grazie all’acquisto della Louisiana dalla Francia, della Florida dalla Spagna, all’annessione del Texas e alla guerra con il Messico, svoltasi tra il 1846 e il 1848.

La politica statunitense era condizionata da una parte dall’interesse dei sudisti per le loro piantagioni di tabacco, zucchero e cotone, e dalla loro volontà di mantenere a tutti i costi i quasi tre milioni e mezzo di schiavi; dall’altra dall’orientamento degli unionisti, inclini al commercio e alla navigazione, più interessati alle questioni finanziarie e ai dazi doganali. Da un lato stavano i capitalisti del Nord, creditori, e dall’altro gli agricoltori del Sud, debitori.

… Durante la guerra civile, dal 1861 al 1865, l’Entità contò su Louis Binsse, console papale a New York. I suoi rapporti come spia erano, in realtà, piuttosto curiosi e per niente interessanti.

…Se si studiano i rapporti di Binsse, si nota che l’agente dell’Entità si focalizzava sull’informazione politica del momento, ricavandola soprattutto dai giornali, piuttosto che dedicarsi al complesso lavoro di spia. Tuttavia la sua attitudine non gli impedì di ottenere informazioni importanti. Una di queste fu quella scoperta nel giugno del 1861, quasi per caso.

Louis Binsse era stato inviato a New York a un ricevimento di politici e militari organizzato per raccogliere fondi per la causa unionista. Durante la festa, alcune signore gli si avvicinarono ignorando che fosse in realtà un agente dello spionaggio papale, e gli chiesero cosa pensasse di Giuseppe Garibaldi. Di certo le signore non sapevano che Garibaldi era un nemico di papa Pio IX e, per tanto, anche del suo console a New York. L’agente dell’Entità, utilizzando tutto il suo charme, riuscì a sapere dalla moglie di un generale dell’Unione che il presidente Abraham Lincoln aveva invitato Giuseppe Garibaldi per istruire i suoi generali sulle tattiche di guerra.

L’agente Binsse comunicò all’Entità a Roma e al segretario di Stato Giacomo Antonelli le intenzioni del presidente unionista. La notizia scatenò presso la Santa Sede uno scandalo di grandezza tale che Lincoln fu costretto a ritirare la sua offerta a Garibaldi e a presentare scuse formali a papa Pio IX.

…Altra cosa fu la posizione del Vaticano e dell’Entità a favore di una delle due fazioni in conflitto. Le prime pressioni arrivarono al papa e al segretario di Stato arcivescovo di New York, John Hughes, dieci mesi dopo l’attacco a Fort Sumter. Hughes disse a Pio IX e al cardinale Antonelli che il suo compito era servire la Chiesa e non gli interessi particolare di una nazione, ma in realtà l’arcivescovo di New York era un agente sotto copertura e un propagandista di Washington. Il suo stipendio era pagato dal governo di Lincoln e i suoi rapporti venivano letti dal segretario di Stato William Seward.

La missione affidata all’arcivescovo John Hughes consisteva nell’andare a Roma per ottenere pubblicamente l’appoggio di papa Pio IX alla causa unionista. Perciò, Hughes si presentò a sorpresa presso la Santa Sede, affermando che durante il suo lavoro per l’Entità aveva scoperto che la Confederazione aveva pianificato di attaccare il Messico e le isole cattoliche dei Caraibi.

Ma le simpatie di Pio IX e del suo segretario di Stato per il Nord cominciarono a diminuire quando l’Entità dal maggio del 1863 iniziò a ricevere rapporti da un’altra fonte. Si trattava di Martin Spalding, arcivescovo di Louisville, nello Stato confederato del Kentuchy, favorevole alla secessione. Spalding, come Hughes dal governo Lincoln, riceveva in segreto dal governo di Jefferson Davis somme di denaro per ottenere l’appoggio del papa alla causa della Confederazione. Il principale interlocutore di Spalding era Judah Benjamin, segretario di Stato della Confederazione.

L’arcivescovo Spalding nel suo rapporto all’Entità assicurava che l’emancipazione degli schiavi neri era in realtà un movimento politico guidato da protestanti abolizionisti e che la gente del Sud rappresentava il vero cattolicesimo. Monsignor Martin Spalding affermava in un rapporto che << i neri erano per natura troppo inclini alla vita licenziosa e non erano pronti per la libertà. Inoltre, la loro emancipazione poteva provocare disordini sociali che avrebbero compromesso il lavoro missionario della Chiesa >>.

I rapporti di John Hughes e Martin Spalding per l’Entità dimostrarono che i vescovi non erano immuni alla causa politica  e che a volte la loro lealtà verso l’Unione o la Confederazione era superiore a quella verso il papa e la Santa Sede. Le cattive informazioni ricevute dagli agenti del servizio di spionaggio pontificio durante il conflitto mise in evidenza una seria debolezza delle relazioni tra Roma e Washington, sede dell’Unione, e tra Roma e Richmond, sede della Confederazione.

Pio IX manifestò prima le proprie simpatie alla causa del Nord, poi a quella del Sud e infine di nuovo a favore degli unionisti. Fu probabilmente a partire dal 1865, quando la guerra si concluse con la vittoria del Nord, che i responsabili dello spionaggio vaticano capirono che bisognava formare degli agenti professionisti, se l’Entità del futuro voleva diventare uno strumento capace di aiutare il pontefice a prendere la decisione migliore di fronte a una specifica situazione politica.

 

 

NOTE

 

  1. Lo storico Andrea Riccardi ha osservato:<< la Chiesa cattolica, per istinto profondo, non ha mai amato l’impero unico…In fondo, si considera un impero. Ma, come spiegò Pio XII in un discorso del 1946, non un impero nel senso di imperialismo ma in quello di essere a casa fra tutte le genti, di non essere assorbita da nessuna civiltà >>, citato da Massimo Franco, Imperi paralleli. Vaticano e Stati Uniti: due secoli di alleanza e conflitto 1788-2005, Mondadori, Milano,2005, p.199.
  2. Si rimanda fra le tante interviste al vescovo Giovanni Martinelli a Alberto Bobbio, Libia i dubbi del vescovo di Tripoli in famiglicristiana.it (20/3/2011); Bernardo Cervellera, Vescovo di Tripoli: spero ancora in una riconciliazione in www.asianew.it (23/8/2011).
  3. Massimo Franco, Imperi paralleli, op. cit., 199, 201, 203, 211.
  4. Gianfranco La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, Roma, 2008, pp. 25-39.
  5. Antonio Gramsci, Il Vaticano e l’Italia, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 58.
  6. Gianfranco La Grassa, Tutto torna ma diverso. Capitalismo o capitalismi?, Mimesis edizioni, Milano, 2009.
  7. Nell’anno del Signore 1566, papa Pio V decise di dar vita al primo servizio di intelligence in forma ufficiale e organizzata, con la finalità di lottare contro il protestantesimo rappresentato dall’erede al trono d’Inghilterra Elisabetta I. Il nuovo servizio segreto pontificio venne battezzato col nome di Santa Alleanza.

Nei seguenti 387 anni, la Santa Alleanza visse momenti di luce e di ombra sotto il nome che gli dette Pio V. Nel 1953, durante il pontificato di Pio XII, l’allora direttore dell’appena nata CIA, Allen W. Dulles, decise di rinominare in via ufficiosa la Santa Alleanza con l’appellativo di “Entità”, nome con cui ora è conosciuto il servizio segreto di spionaggio vaticano nella comunità internazionale dei servizi segreti di intelligence in Eric Frattini, L’Entità. La clamorosa scoperta del servizio segreto vaticano: intrighi, omicidi, complotti degli ultimi cinquecento anni, Fazi editore, Roma, 2008, p. VIII ( Nota dell’editore).

 

 

Due papi, due misure_ di Luigi Longo

Italia e il mondo riproporrà in successione tre articoli di Luigi Longo già apparsi anni fa sul sito www.conflittiestrategie.it di analisi del ruolo del Vaticano nel contesto geopolitico. Contestualizzando gli eventi citati, offrono comunque importanti punti di riflessione. Qui sotto il secondo brano. Buona lettura_Giuseppe Germinario

Papa emerito Benedetto XVI e Papa Francesco, un

 riallineamento della Chiesa nella fase multipolare?

di Luigi Longo

 

 

*Non lascio la croce, resto in modo nuovo

                                                                                                   Papa Benedetto XVI

Il potere è presente. La santità è postuma.

Thomas Stearns Eliot

 

 

1.Le dimissioni del papa Benedetto XVI hanno provocato un terremoto epocale nella Chiesa ( intesa come comunità cristiana) e nello Stato della Città del Vaticano ( inteso come governo della istituzione con le sue ramificazioni territoriali a livello nazionale e mondiale). Avanzerò, per interpretare la rinunzia del papa, due ipotesi di ragionamento che tengono in subordine le questioni storiche di grande importanza per la Chiesa: la soggettività della donna, la questione interna della pedofilia, il ruolo dello IOR e dell’Opus Dei, il suo ruolo nelle diverse sfere ( solo per astrazione ) della società, soprattutto in quella economico – finanziaria, le attività dei servizi segreti, il ruolo dei movimenti ( Comunione e Liberazione, Comunità) e delle congregazioni ( gesuiti, salesiani e francescani). Le due ipotesi, che cercano di capire la profondità delle vibrazioni rapide e più o meno potenti del sisma, sono: a) una rottura storica nella Chiesa e nello Stato della Città del Vaticano (1), b) la ricerca di un nuovo sistema di ri-equilibrio della Chiesa, nella fase multipolare che sta avendo una certa accelerazione ( sia pure imperfetta), considerando le cose che accadono nelle varie aree del mondo(2) dove tutti gli Stati- potenza, quello “egemonico”, in declino ( USA ) e, quelli emergenti in ascesa ( Cina, Russia, India ), sono in movimento [ è utile ricordare, come insegnano Giovanni Arrighi e Gianfranco La Grassa, che le transizioni egemoniche non sono processi lineari, fluidi e uniformi] (3).

 

2.La rottura storica. Il ritiro del Papa riguarda la messa in discussione della sacralità, dell’infallibilità e dell’insostituibilità del << sovrano assoluto vicario di Cristo in terra, cioè il sostituto dell’al di qua della Seconda Persona della Santissima Trinità che regna nell’aldilà >> (4). Per dirla con Massimo Franco :<< […] il Vaticano comincia ad apparire un sistema di governo come gli altri; e dunque il Papa, capo della Chiesa cattolica, a uscire dalla nicchia teocratica nella quale lo poneva la sua carica a vita, inserendolo nella lista di presidenti, primi ministri e dirigenti. E’ questo che colpisce di più. Rispecchia il dramma di un’istituzione che dovrà ricalibrare molti dei suoi principi sulla base di una novità prevista ma mai verificatasi negli ultimi seicento anni. >> (5).

La rottura storica del Papa può avviare un processo di rinnovamento del potere religioso temporale che svela il conflitto esistente, un conflitto strategico tra diversi blocchi di potere che si contendono l’egemonia, all’interno della Chiesa e dello Stato della Città del Vaticano, tra visioni diverse del ruolo della religione, della fede, degli strumenti del potere (istituzionali e non), del dialogo con la modernità (6) nella società a modo di produzione capitalistico. Una sorta di disvelamento dell’uso che il potere religioso temporale fa del potere religioso spirituale (7). Una nuova sintesi e una nuova evangelizzazione mondiale che si proietta nella nuova fase intrinseca ai mutamenti storici ( la fase multipolare) e che va oltre la storica opposizione tra conciliaristi e conservatori << il suo modo [ del papa] particolare di essere rivoluzionario ha soprattutto contribuito a superare lo schema attraverso il quale, fin dall’Ottocento, veniva letta anche storicamente la vita interna della Chiesa, e cioè la contrapposizione fra conservatori e riformisti >> (8). In questo senso non è convincente, a mio avviso, la scelta della via conciliarista auspicata da Franco Cardini e Luisa Muraro ( una delle madri del pensiero della differenza sessuale), che resta comunque all’interno della contrapposizione tra monarchia papale e governo conciliarista, quando il primo afferma :<< Un rinnovamento che, in termini ecclesiali, equivale a una parola chiara, ma complessa, costosa, rischiosa: concilio[corsivo mio]. >> (9); e la seconda, indirettamente, indica: << “Santità… Lei prenda come esempio e modello il migliore dei papi che abbiamo avuto nel secolo ventesimo, Giovanni XXIII, che si dimostrò umile, affettuoso, coraggioso e politicamente intelligente” >> (10). La Chiesa a monarchia papale e la Chiesa conciliare, che storicamente si intrecciano e si sorreggono a vicenda, condividono, con le proprie istituzioni e le proprie strutture, il legame sociale dato, l’ordine simbolico della società a modo di produzione capitalistico. Il loro potere religioso spirituale ( la santità è postuma ) alimenta e giustifica il potere religioso temporale (il potere è presente ) che è espressione di una realtà che esiste in superficie come fenomeno , ma che non ha niente a che fare con la sostanza del mondo materiale e spirituale. E’ una Chiesa che non ha niente a che fare né con l’ecumenismo popolare né con l’ecumenismo istituzionale, intendendo con essi quanto scriveva Giulio Girardi: << Per “ecumenismo istituzionale” intenderei il rapporto di rispetto, stima e collaborazione tra le diverse istituzioni religiose, promosso dalle rispettive gerarchie. Per “ecumenismo popolare” intenderei invece un rapporto promosso dal “popolo di Dio”, indipendentemente dalla gerarchia e spesso in contrasto con essa. Il contrasto si riferisce specialmente alla natura della relazione, che in questo ecumenismo è di uguaglianza e reciprocità tra  tutte le religioni, compresa la cattolica.[ corsivo mio] >> (11). E’ una Chiesa in cui il Gesù di Nazaret ( Gesù storico ) non si riconoscerebbe, farebbe una ben più profonda cacciata dalla città-tempio di Gerusalemme dei decisori strategici del potere: << Il regno di Dio, nell’accezione originaria di Gesù, porta la distruzione, non la pace, ai reggitori e ai beneficiari di un ordine ingiusto [ corsivo mio] >> (12); mentre, il Paolo di Tarso ( il vero fondatore della Chiesa cristiana) la apprezzerebbe << le distinzioni sociali fra ricchi e poveri, schiavi e padroni erano accettate, ma dovevano essere mitigate da donazioni generose e da condotte gentili >> (13).

Le dimissioni del Papa denunciano che il mondo è cambiato. Non c’è più il <<comunismo storico novecentesco realmente esistito (1917-1991) >> ( utilizzo qui la definizione di Costanzo Preve). Le potenze mondiali si stanno delineando. Una fase multipolare incalza. La Chiesa come si pone, sia all’interno che all’esterno, in questi cambiamenti epocali? Non può rimanere prigioniera della logica conservatrice o progressista: è una nuova sintesi e un nuovo ruolo che bisogna ricercare. Ricercare una nuova grammatica e un nuovo linguaggio che serva a costruire un nuovo ordine simbolico della Chiesa cristiana la cui relazione con la realtà sia sempre più corrispondente << La grammatica è “storia” o “documento storico”: essa è la “fotografia” di una fase determinata di un linguaggio nazionale (collettivo) [ formatosi storicamente in continuo sviluppo ], o i tratti fondamentali di una fotografia. La quistione pratica può essere: a che fine tale fotografia? Per fare la storia di un aspetto della civiltà o per modificare un aspetto della civiltà? >> (14).

La scelta di Papa Benedetto XVI pone all’ordine del giorno la temporalità del mandato. Temporalità legata all’equilibrio dinamico degli attori strategici sia esso espressione della nuova sintesi ( per modificare un aspetto delle civiltà ), sia esso espressione della suddetta storica opposizione ( per fare la storia di un aspetto della civiltà). E in questa fase di nuova sintesi e di un nuovo riallineamento il Papa emerito ci vuole stare con tutto il suo potere per indirizzare in << modo nuovo >>.

 

3.Il riallineamento della Chiesa. L’abdicazione del Papa può prospettare un nuovo riallineamento che tenga conto della nuova configurazione mondiale che si va delineando con la sempre più avanzata fase multipolare.

Ieri, nella fase policentrica, attraversata da ben due guerre mondiali, la Chiesa si schierò con l’occidente sotto l’egida americana, in contrapposizione al blocco rappresentato dal cosiddetto comunismo dell’ex URSS. La fase policentrica, preceduta da una lunga fase multipolare, segnò il passaggio, come centro coordinatore egemonico di un equilibrio dinamico prevalentemente occidentale, dall’impero britannico a quello americano.

Francesco Cossiga ricorda che << Negli anni cinquanta la scelta atlantica era obbligata[ dalla sfera di influenza americana, corsivo e precisazione mia]. Su di essa convergevano l’interesse nazionale italiano e l’interesse ecclesiastico vaticano: non solo non eravamo in grado di garantire la nostra indipendenza senza l’ombrello atlantico, ma esso era necessario anche a proteggere la sicurezza della Santa Sede, l’organo centrale della Chiesa cattolica incastonato nel nostro territorio >> (15).

La Chiesa fu un << baluardo >> contro l’espansione del socialismo. Non cercò un gramsciano << sistema di equilibrio >> (16) un confronto non più con i vecchi Stati capitalistici, bensì con i nuovi Stati socialisti (17 ) per il conseguimento delle intese tra i popoli e tra le loro religioni.

Oggi, nella fase multipolare, la Chiesa dovrebbe essere universale ( a partire da questo insegnamento della storia, ma superandolo, considerata l’attuale fase storica), e dovrebbe, in maniera autonoma, intrecciare relazioni con tutte le religioni ( pluralismo religioso) di tutti i popoli ( intesi come le parti maggioritarie e sfavorite delle popolazioni), di tutti i Paesi ( pluralismo culturale) per favorire il loro sviluppo nel rispetto della sovranità, dell’autodeterminazione e della maggioranza del popolo.

Il nuovo gruppo di decisori strategici che si andrà a costituire intorno al nuovo Papa [ed al Papa emerito?] dovrà intrecciare relazioni con tutte le altre religioni; dovrà, quindi, necessariamente allearsi con i decisori strategici di quei Paesi che hanno funzioni importanti per rafforzare le sovranità nazionali, le identità storiche, culturali, sociali, economiche e politiche; questo costituirà il legare tra l’ecumenismo istituzionale e la sovranità nazionale. Un primo passo importante in questa direzione sarà quello di cercare << un nuovo equilibrio >> non più guardando all’impero “egemonico” USA bensì a quei nuovi stati-potenza che si stanno delineando ( Cina, Russia, India). Da una Chiesa universale americanista a una Chiesa universale multipolare.

Non ho parlato di una collocazione della Chiesa fatta di alleanze strategiche, nella fase multipolare, per una società mondiale fatta di popoli e nazioni liberi e autodeterminati ( un ecumenismo popolare), perché l’ecumenismo popolare presuppone un processo che << porta il popolo al potere >>, un popolo ( con le sue articolazioni sociali) che progetta, che sogna e che realizza una costruzione reale di un mondo ideale. Il popolo, in questa fase storica determinata, non c’è più. Da tempo ha smesso di informarsi, di partecipare, di indagare, di conoscere, di analizzare, di pensare e di darsi gli strumenti di decisione per una prassi reale di cambiamento. E quando un popolo non si informa << è plebe, ed una plebe disinformata non ha né sovranità né potere >> (18).Ne è un esempio il popolo italiano giusto per rimanere in Italia, la nazione dove vivo.

 

4.Mentre scrivevo questa riflessione è stato nominato il nuovo Papa. Il cardinale di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, è il Papa Francesco. L’arcivescovo Jorge Mario Bergoglio non si presenta bene. << La storia lo condanna >>, ha detto Fortunato Mallimacci, ex preside della Facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Buenos Aires. Bergoglio << si è sempre opposto a tutte le innovazioni all’interno della Chiesa e, soprattutto, durante gli anni della dittatura, ha dimostrato di essere molto vicino al governo militare >>. Nel 2007 le mamme di plaza de Mayo scrissero in un comunicato che Bergoglio era << complice della dittatura >> (19). Non sostenne la Teologia della Liberazione che, come sostiene Gustavo Gutierrez (teologo peruviano), è fondata sulle lotte di liberazione che << sono il luogo di un nuovo modo di essere uomo e donna in America latina, e perciò stesso di un nuovo modo di vivere la fede [ corsivo mio]>> (20).

Credo che la nomina del Papa Francesco, un papa che guarderà all’America latina, sia una scelta che aiuti gli USA a rallentare la fase multipolare e a contrastare il loro declino ( la Chiesa, si sa, subisce il forte fascino degli imperi). La storia non insegna e come sosteneva Thomas Stearns Eliot << Gli uomini non imparano molto dall’esperienza degli altri >>.

Avanzo questa ipotesi, provvisoria, per le seguenti ragioni: a) una scelta geopolitica, per rompere l’intesa di quei paesi (Brasile e Argentina, due grandi paesi dell’America latina e membri dominanti del Mercosur; il primo fa parte del BRICS) che ragionano in termini di autodeterminazione e di sovranità nazionale,oltre ad allontanarsi dalla sfera di influenza americana; b) una scelta georeligiosa, il cattolicesimo nell’America del nord e nell’America latina ( dove vivono il 42% dei fedeli cattolici mondiali: mezzo miliardo su un totale di 1,2 miliardi ) perde terreno a favore delle chiese e delle sette protestanti (21); c) una scelta di nuova evangelizzazione, che riparte dal fallimento della strategia di Giovanni Paolo II (22).

Per le cose dette credo che il nome Francesco si addica, come riferimento, più a Francesco Saverio, co-fondatore della Compagnia di Gesù, uno dei primi missionari ad aver tentato di evangelizzare terre nuove (23), che a Francesco d’Assisi che non ha niente a che vedere con questa Chiesa (24).

Parafrasando Giorgio Gaber, posso dire che Papa Francesco è un uomo ricco e potente che ama i poveri. E’una cultura storica che viene dal IV e V secolo come ci ricorda lo storico Peter Brown<< […] i rapporti fra l’imperatore e i suoi sudditi, e fra le differenti classi della società, vennero a permearsi di un nuovo pathos generatosi all’interno della Chiesa cristiana. Le relazioni fra credenti e Dio, fra suddito e imperatore e fra debole e potente vennero a essere permeate di un’unica immagine elementare: l’immagine di un legame fra quanti erano poveri e quanti erano ricchi e potenti, verso i quali i poveri “levavano le loro grida” in cerca non solo di elemosine bensì di giustizia e protezione[…]. Era dovere dei potenti (e, invero, era considerato uno speciale ornamento del loro potere ) ascoltare il “grido” dei poveri >> (25).

Nell’anno 1939, annota nei suoi diari monsignor Domenico Tarditi, uno dei più acuti segretari di Stato che il Vaticano abbia mai avuto :<< A chi la guarda da fuori la Santa Sede sembra un albero frondoso, ma chi la conosce sa che le sue radici sono piene di vermi >>.

<< Né più né meno delle “radici” di qualsiasi altra organizzazione di potere >> (26).

 

 

 

 

NOTE

 

*

Le epigrafi sono tratte da:Ultima udienza del Papa Benedetto XVI a San Pietro del 27 febbraio 2013 e da Thomas Stearns Eliot, Assassinio nella cattedrale, Rizzoli, Milano, 2010, pag.35.

 

  1. Nove sono stati i Papi dimissionari nella storia della Chiesa. Alcuni di essi furono barbaramente uccisi. Per una ricostruzione della storia dei Papi si veda Mario Guarino, Vaticano proibito. Duemila anni di soldi, sangue e sesso. Un potere che si sgretola sempre più, Koinè edizioni, Roma, 2011; Eric Frattini, L’entità. La clamorosa scoperta del servizio segreto vaticano: intrighi, omicidi, complotti degli ultimi cinquecento anni, Fazi editore, Rom, 2008.
  2. Guerre in corso e in preparazione, metamorfosi della Nato, confronto USA-Cina nella regione Asia- Pacifico, confronto Usa-Russia nei Balcani e nel Medio Oriente, aumento degli armamenti in USA, Cina, Russia e India, aggressione USA in Africa, conflitto per le risorse dell’Artico, costruzione di un’area di libero scambio fra Usa-Europa,
  3. Giovanni Arrighi, Capitalismo e (Dis)ordine mondiale, a cura di, Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010; Gianfranco La Grassa, Oltre l’orizzonte. Verso una nuova teoria dei capitalismi, Besa editrice, Lecce, 2011.
  4. Su questi temi si rimanda a Christian Carvalho da Cruz, Il papa emerito e il marchio della Chiesa. Intervista a Paolo Flores d’Arcais, 2013, in repubblica.it/micromega-online; Franco Cardini, Morte del papa, esposizione mediatica. Considerazioni comparative nell’orizzonte delle grandi religioni monoteiste in “Religioni e Società” n.53/2005, pp.20-25.
  5. Massimo Franco, Verso il conclave in “Corriere della Sera” del 1 marzo 2013.
  6. Riporto la definizione di modernità, da me condivisa, di Marshall Berman:<< Esiste una forma dell’esperienza vitale – esperienza di spazio e di tempo, di se stessi e degli altri, delle possibilità e dei pericoli di vita – condivisa oggigiorno dagli uomini e dalle donne di tutto il mondo. Definirò questo nucleo d’esperienza col termine di “modernità”. Essere moderni vuol dire trovarsi in un ambiente che ci promette avventura, potere, gioia, crescita, trasformazione di noi stessi e del mondo; e che al contempo, minaccia di distruggere tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che conosciamo, tutto ciò che siamo. Gli ambienti e le esperienze moderne superano tutti i confini etnici e geografici, di classe e nazionalità, di religione e di ideologia: in tal senso, si può davvero affermare che la modernità accomuna tutto il genere umano. Si tratta, dunque, di un’unità paradossale, di un’unità della separatezza, che ci catapulta in un vortice di disgregazione e rinnovamento perpetui, di conflitto e contraddizione, d’angoscia e ambiguità. Essere moderni vuol dire essere parte di un universo in cui, come ha affermato Marx, “ tutto ciò che è solido di dissolve nell’area” >> in L’esperienza della modernità, il Mulino, Bologna, 1985, pag.25.
  7. Sull’intreccio tra potere temporale e potere spirituale si rimanda a Thomas Stearns Eliot, Assassinio nella cattedrale, Rizzoli, Milano, 2010.
  8. Lucetta Scaraffia, La via della fede, in “L’osservatore romano” del 3 marzo 2013.
  9. Franco Cardini, Il concilio necessario in “Il Manifesto” del 15 febbraio 2013. Si legga anche Franco Cardini, Luisa Muraro, Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli, Lindau, Torino, 2012.
  10. Luisa Muraro, Le dimissioni del papa: bravo e avanti in questa direzione, 20 febbraio 2013, libreriadelledonne.it
  11. Giulio Girardi, La teologia della liberazione nell’epoca di Ratzinger, 2005, puntorosso.it
  12. Massimo Bontempelli, Costanzo Preve, Gesù uomo nella storia, Dio nel pensiero, Editrice CRT, Pistoia, 1997, pag.178.
  13. Peter Brown, Povertà e leadership nel tardo impero romano, Laterza, Roma-Bari, 2003, pag.29.
  14. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, quaderno 29, paragrafo 1, pp. 2341-2342. Francesco Aqueci, Espressività ed egemonia in Gramsci. Note sul quaderno 29, in “Critica marxista” n. 6/2012.
  15. Lucio Caracciolo, Perché contiamo poco, colloquio con Francesco Cossiga, “Limes” n.3/1995. Si veda anche Francesco Cossiga, Fotti il potere. Gli arcana della politica e della umana natura, Alberti editore, Roma, 2010, pp.191.219.
  16. Antonio Gramsci, L’Ordine nuovo 1919-1920, Einaudi, Torino, 1975, pag.426.
  17. Si veda la prefazione alla prima e seconda edizione di Alberto Cecchi ad Antonio Gramsci, Il Vaticano e l’Italia, Editori Riuniti, Roma, 1972.
  18. Costanzo Preve, Il popolo al potere. Il problema della democrazia nei suoi aspetti storici e filosofici, Arianna editrice, Casalecchio (BO), 2006.
  19. Tratto da Redazione, Bergoglio, luci e ombre sul nuovo papa, “corriere della sera”, 13 marzo 2013. Si veda anche Gennaro Carotenuto, Il papa argentino. Francesco I, il conservatore popolare nei torbidi della dittatura, 14 marzo 2013, gennarocarotenuto.it ; Horacio Verbitsky, Francesco I, successore di Benedetto XVI. Un Ersatz, “il Manifesto”, 15 marzo 2013.
  20. Gustavo Gutierrez, La forza storica dei poveri, Queriniana, Brescia, 1981, pag 242; Josè Ramos Regidor, Il “popolo di Dio” soggetto della chiesa e della teologia in Giulio Girardi, a cura di, Le rose non sono borghesi…popolo e cultura del nuovo Nicaragua, Borla,Roma, 1986,pp.382-429.
  21. Stefano Velotti, a cura di, Protestanti e cattolici nelle due americhe, tavola rotonda con Bruno Cartosio, Mario Miegge, Alessandro Portelli e Mario Perniola, “ Lo straniero” n.150/151, dicembre 2012/ gennaio 2013.
  22. Sulle cause del fallimento della nuova evangelizzazione di papa Giovanni Paolo II, si rinvia a Alain de Benoist, La “nuova evangelizzazione” dell’Europa. La strategia di Giovanni paolo II, Arianna editrice, Casalecchio (BO), 2002.
  23. Giulia Belardelli, Papa Bergoglio, il primo gesuita a salire sul soglio di Pietro. Intervista a Padre Giovanni La Manna, “L’Huffington Post” del 14 marzo 2013.
  24. Per una introduzione alla vita di Francesco d’Assisi si rimanda a Jacques Le Goff, San Francesco d’Assisi, Laterza, Roma-Bari, 2006.
  25. Peter Brown, Povertà e leadership nel tardo impero romano, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. 119.120.
  26. Francesco Cossiga, Fotti il potere. Gli arcana della politica e della umana natura, Alberti editore, Roma, 2010, pp.219.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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