La Russia e il Grande RESET,  di Lucien Cerise _ a cura di Giuseppe Angiuli

La Russia e il Grande RESET

 di Lucien Cerise

 (https://www.egaliteetreconciliation.fr/Lucien-Cerise-La-Russie-et-le-Great-Reset-73585.html)

 Traduzione a cura di Giuseppe Angiuli

 Premessa.

Nel 2017, il politico e intellettuale moldavo Yurie Roșca ha lanciato l’iniziativa del Forum di Chișinău, soprannominato “forum anti-Davos“, con il contributo di Aleksandr Dugin e del Presidente della Repubblica di Moldova, Igor Dodon. Ho avuto l’onore di essere invitato da Yurie Roșca a partecipare in loco all’evento internazionale organizzato a dicembre a Chișinău, nonché al terzo forum che si terrà nella capitale moldava nel settembre 2019. Qualche anno dopo, il 9 settembre 2023, in occasione della quarta edizione del forum, intitolata “Agenda 21 dell’ONU e il grande reset – La caduta del liberalismo nella tecnocrazia e nel transumanesimo“, Yurie Roșca mi ha gentilmente invitato a parlare di nuovo. Questa volta ho parlato a distanza con un articolo e un video per riassumere il contenuto.

 

  • § §

 

Il Great Reset è un programma di ispirazione cibernetica per informatizzare le società umane fino a “fondere il biologico e il digitale“, secondo le parole di Klaus Schwab, presidente del World Economic Forum (WEF) di Davos. L’informatica deve diventare onnipresente, una parte essenziale di ogni momento, un collo di bottiglia universale, se vogliamo condurre una vita normale. Più in generale, l’obiettivo è superare la condizione umana e andare verso il transumanesimo attraverso il controllo completo della vita quotidiana da parte delle tecnologie NBIC – nanotecnologie, biotecnologie, scienze informatiche e cognitive. Le organizzazioni del capitalismo occidentale (WEF, FMI, GAFAM) sostengono con entusiasmo questo programma.

 

Ma come spiega Peter Töpfer:

 

Sembra che il ‘Grande Reset’ dei centri di potere occidentali stia prendendo piede anche in Paesi che pretendono di rappresentare poli geopolitici alternativi. L’applicazione delle misure dettate dall’OMS contro la pseudo-pandemia, la completa digitalizzazione della società, la sostituzione del denaro contante con le CBDC [valute digitali], ecc. fanno parte dell’agenda ufficiale di tutti i Paesi BRICS senza eccezioni, così come dei Paesi musulmani che rivendicano anch’essi la loro autonomia dall’Occidente“.[1]

 

Da parte sua, Yurie Roșca ha riflettuto sul suo intervento alla Conferenza mondiale sul multipolarismo organizzata il 29 aprile 2023 da Alexandre Dugin:

 

Vorrei ringraziare l’amico tedesco Peter Töpfer per aver preso nota del mio intervento alla recente conferenza internazionale sul multipolarismo. E se il mio modesto contributo è stato notato, è perché ho cercato di far notare che al momento, nonostante i grandi conflitti tra i diversi Paesi, tutti seguono obbedientemente la stessa agenda globalista. Ho ricordato che si tratta del cosiddetto Grande Reset, dell’Agenda 21 o dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottate in seno alle Nazioni Unite. E se tutti i Paesi, senza eccezioni, seguono la stessa agenda, il risultato ottenuto sarà comune a tutta l’umanità. (…) I circoli occulti che si nascondono dietro organizzazioni come il WEF (Forum Economico Mondiale), la Commissione Trilaterale, il CFR (Consiglio per le Relazioni Estere), il Gruppo Bilderberg, il Club di Roma, ecc. e che operano attraverso organismi internazionali ufficiali come l’ONU, l’UE, l’OMS, l’OMC, il FMI, la Banca Mondiale, la Banca dei Regolamenti Internazionali, ecc. hanno strumenti di dominio a cui nessuno Stato può resistere“.[2]

 

È vero che nessuno Stato può resistere al globalismo e che tutti i Paesi ne seguono l’agenda? Questa è anche l’opinione di altri commentatori della situazione, come Pierre Hillard, Nicolas Bonnal ed Edward Slavsquat (Riley Waggaman), che dedicano molto tempo a spiegarci che anche la Russia fa parte del Grande Reset e del Nuovo Ordine Mondiale. In realtà, siamo tutti nello stesso mondo, costretti a combattere sullo stesso campo di battaglia e con le stesse armi del nemico, compresi gli autori di cui sopra, che fanno anche largo uso di computer e hanno già messo il dito nella spirale che porta al Grande Reset e al Nuovo Ordine Mondiale. Siamo tutti dei Charlie Chaplin invischiati nelle macchine, come in Tempi moderni. C’è un’area di studio che viene raramente esplorata: le regole universali delle relazioni di potere, modellate dalla teoria dei giochi, di cui la corsa agli armamenti è un esempio ben noto. Due nemici mortali possono condividere lo stesso campo di battaglia e le stesse armi, quindi sembrare quasi identici, e rimanere comunque nemici mortali. Oggi la guerra è in gran parte basata sui computer, quindi non deve sorprendere che anche la Russia e gli altri Paesi BRICS stiano investendo in questo settore, una conditio sine qua non se vogliono sostenere l’equilibrio di potere con l’Occidente in questo campo. Non si può combattere la NATO con archi e frecce. E perché no? Perché la NATO non attacca con archi e frecce. Questa alleanza militare e il suo complesso militare-industriale impongono la scelta delle armi per la loro guerra ibrida su scala globale, tanto più facilmente perché è la tecnologia che sta scrivendo la storia del mondo e tutti sono obbligati ad adattarsi al suo ritmo, quello della scoperta scientifica, se non altro per rimanere competitivi e sostenere l’equilibrio di potere su un piano di parità sulla scena internazionale, e se non altro per sfidare l’agenda della NATO.

 

Un approccio epistemologico, in termini di filosofia della scienza, rivela che il transumanesimo e il Grande Reset sono spin-off civili della ricerca condotta dai vari complessi militari-industriali nazionali di tutto il mondo, impegnati in un’emulazione competitiva senza limiti. Nella scienza, tutto ciò che può essere fatto sarà fatto. La condizione umana è guidata da un eccesso scientifico prometeico che potenzialmente porterà alla sua rovina, ma a cui nessun attore può rinunciare, a meno che non rinunci ai mezzi per difendersi, e quindi alla propria sovranità. Qualsiasi attore geopolitico che voglia difendere la propria sovranità, la propria identità e la propria umanità è costretto a partecipare alla corsa agli armamenti e quindi a correre il rischio di essere disumanizzato dalla tecnoscienza. Un dilemma corneliano. Anche gli attori nazionali che sono riluttanti ad abbracciare il transumanesimo saranno costretti a posizionarsi rispetto a questo dibattito – a favore o contro l’alterazione della natura umana da parte della tecnoscienza – nella misura in cui questo dibattito è universale e ineludibile, guidato dalla forza motrice della storia umana, ossia l’incessante ottimizzazione tecnologica dei sistemi d’arma e delle sue ricadute e applicazioni civili. Il soldato aumentato porta inevitabilmente all’uomo aumentato.

Più in generale, indossare abiti o occhiali, viaggiare in auto o in aereo, sono già ampliamenti culturali e tecnologici delle capacità del corpo umano attraverso strumenti, protesi, manufatti e artifici. La nostra genetica neotenica è incompleta alla nascita e deve essere aumentata dall’epigenetica culturale per essere vitale e funzionale. È facile dimenticarlo quando la tecnologia è applicata da tempo, perché la cultura diventa una seconda natura, ma l’essere umano è aumentato nelle sue potenzialità da questa sua seconda natura e questo processo è a priori infinito e illimitato, come quello della scoperta scientifica. Questo fatto antropologico porta ad alcuni paradossi. Ad esempio, molti individui criticano e denunciano il transumanesimo, l’identità digitale, il 5G e le Smart City, ma lo fanno su Internet o su sistemi di messaggistica per smartphone come Telegram, diventando così soggetti connessi e aumentati, e quindi attori del transumanesimo, dell’identità digitale, del 5G e delle Smart City. La dissonanza cognitiva che deriva da questa situazione viene rapidamente “razionalizzata”, a costo di contorsioni retoriche poco razionali o di vere e proprie negazioni, ma attenzione al ritorno del represso. Infatti, nessuno può sfuggire alle sirene della tecnoscienza, che ci permettono di amplificare il nostro campo d’azione e il nostro impatto sugli altri, perché nessuno vuole rinunciare al diritto di essere ascoltato. È così che il multipolarismo, il rispetto della diversità, porta a una sorta di unipolarismo tecnocratico, e viceversa, perché tutti convergono sui mezzi tecno-scientifici per garantire la divergenza. Sul rapporto della Russia con il Grande Reset, alcuni commentatori non riescono a distinguere tra quella che sarebbe una semplice obbedienza all’agenda occidentale e, invece, una posizione di “rivalità mimetica“, un’applicazione della teoria dei giochi, che induce due movimenti contraddittori in tutti gli attori di un conflitto: movimenti rivalitari e divergenti, ma anche mimetici e convergenti, come due sinusoidi intrecciate. Due nemici mortali sono costretti a incrociarsi e a mantenere punti di contatto per combattere, il che servirà da pretesto ad alcuni commentatori per dire che in definitiva appartengono allo stesso sistema. Il che non è falso, ma di fatto vale per tutti. La dialettica hegeliana è universale e nessuno può sottrarsi ad essa, perché nessuno può sfuggire alle contraddizioni, siano esse esterne o interne. Per essere efficaci sul campo di battaglia, bisogna condividere lo stesso campo di battaglia con il proprio nemico, e persino condividere le stesse armi, in modo da poter almeno combattere ad armi pari. Paradossalmente, sono proprio queste convergenze obbligate sul campo di battaglia, il metodo e i mezzi, che permettono di sostenere l’equilibrio di potere per divergere sull’agenda e sull’obiettivo.

 

Lo scopo di questo articolo è quello di analizzare questa illusione ottica intellettuale, che mette sullo stesso piano l’ideatore dell’agenda e coloro che sono obbligati a seguirla a livello tecnico, e che quindi sono obbligati anche ad applicarla, almeno in parte, per poterla sfidare, con il rischio permanente di essere alla fine esclusi e poi dominati dall’avversario – quello che i militari chiamano “capability gap“, per descrivere il momento in cui vengo superato dalla tecnologia del nemico. Questo meccanismo è alla base della corsa agli armamenti, che è una corsa all’innovazione tecnologica e all’aumento delle capacità del corpo umano per sostenere meglio l’equilibrio fisico del potere, che presuppone la condivisione della stessa agenda di “ricerca e sviluppo” dell’avversario, ma per superarlo – cosa che la Russia è riuscita a fare nel campo delle armi ipersoniche.

La storia del mondo avanza in modo decentrato, attraverso interazioni che sono competitive e conflittuali ma anche cooperative e convergenti, anche tra nemici. In breve: bisogna rimanere in contatto con il proprio nemico se si spera di batterlo. Credere che sia possibile vincere un conflitto senza mai passare sul terreno del nemico sembra essere una visione mentale puramente teorica, il cui effetto principale è quello di disertare teoricamente, e poi fisicamente, il campo di battaglia e consegnare la vittoria al nemico. Nel suo conflitto con l’Occidente, la Russia ha capito chiaramente che non deve commettere l’errore di escludersi dal campo di battaglia tecnologico ed economico. Ecco perché i globalisti stanno cercando di espellere la Russia dalla globalizzazione contro la sua volontà. Già il 27 febbraio 2022, appena tre giorni dopo l’inizio dell’operazione militare russa in Ucraina, la finanza occidentale ha usato la bomba atomica in campo economico e ha iniziato a disconnettere la Russia dal sistema SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication), il sistema universale per le transazioni informatiche tra le banche di tutto il mondo:

 

«I Paesi occidentali hanno adottato una nuova raffica di sanzioni finanziarie contro Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina, prevedendo sabato di escludere molte banche russe dalla piattaforma interbancaria Swift, un ingranaggio chiave della finanza globale. In una dichiarazione congiunta, la Casa Bianca ha affermato che i leader di Commissione europea, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Canada e Stati Uniti sono determinati “a continuare a imporre alla Russia costi che la isoleranno ulteriormente dal sistema finanziario internazionale e dalle nostre economie”. “Siamo impegnati a escludere alcune banche russe dal sistema di messaggistica Swift”, misure che saranno prese “nei prossimi giorni”, ha aggiunto la Casa Bianca».[3]

 

Nel 2023, l’esclusione della Russia dal sistema SWIFT sarà completa: gli occidentali che vorranno recarsi in Russia dovranno andarci con i contanti in tasca per cambiare il denaro sul posto, perché nessuna carta bancaria occidentale, sia per il prelievo di contanti che per il credito, funzionerà in Russia. Nel suo bollettino Stratpol n. 144, Xavier Moreau ha salutato il lancio da parte del Cremlino del rublo digitale, la CBDC (Central Bank Digital Currency) russa, ricevendo una raffica di commenti negativi da parte di persone legittimamente preoccupate per la partecipazione della Russia alla scomparsa del contante. Forse Xavier Moreau aveva commesso un errore: suggerire che la Russia potesse scegliere se passare o meno al rublo digitale. In realtà, nessuno ha scelta, è come la corsa agli armamenti: se non lo fai, gli altri lo faranno comunque, e tu ti disarmi. Un Paese che non sviluppa una propria valuta digitale sarà soggetto alle valute digitali degli altri Paesi, punto e basta. E questo può avere conseguenze catastrofiche. L’Occidente sta conducendo una guerra di sterminio contro i russi, basata sul principio hitleriano della “guerra totale“, e i russi lo capiscono bene. La creazione di un sistema di transazioni finanziarie digitali in alternativa a SWIFT e la creazione di un’appropriata valuta digitale nazionale è quindi una questione di sopravvivenza economica, e quindi di sopravvivenza in breve, per la Russia. Il lancio del rublo digitale nell’agosto del 2023, prima del dollaro digitale, ha lo scopo di occupare la posizione di moneta digitale di riferimento prima della concorrenza – nel tentativo di occupare il centro della scacchiera – e avrà l’effetto collaterale, nel medio termine, di de-dollarizzare parzialmente il mondo nel campo delle transazioni digitali. È una corsa agli armamenti anche nella guerra economica, e se non si gioca la partita come imposto dalle nuove tecnologie, si lascia che il nemico vinca. Il sito web Coin Academy, specializzato in valute digitali, ha riferito nel gennaio 2023:

 

La Banca centrale della Russia vuole utilizzare il suo CBDC, il rublo digitale, come mezzo di pagamento tra Paesi per aggirare le sanzioni. A tal fine, la Banca Centrale della Federazione Russa ha presentato due modelli per i regolamenti transfrontalieri sotto forma di CBDC. La Federazione inizierà a sviluppare il modello di regolamento transfrontaliero nel primo trimestre del 2023″.[4]

Un’altra conseguenza dell’operazione militare russa in Ucraina è stata che il Forum economico mondiale (WEF) si è logicamente schierato con l’Ucraina e ha escluso la Russia dal Forum di Davos del 2022, nell’ambito di una serie di sanzioni volte a isolare la Russia sulla scena internazionale. All’inizio di maggio 2022, la stampa svizzera ha riferito che:

 

Il portavoce del WEF Samuel Werthmüller ci assicura che il denaro russo non arriva più al Forum. VTB, Gazprom e Sberbank sono scomparse dall’elenco dei partner strategici e il direttore di Sberbank non è più menzionato come membro del Consiglio di amministrazione. Il WEF si è spinto ancora più in là, eliminando ogni traccia di precedenti collaborazioni: il Centro per la sicurezza informatica, creato nel 2018 come iniziativa congiunta per la sicurezza informatica dal WEF e da Sberbank, non cita più la banca come partner fondatore. Si tratta di un tentativo di nascondere queste collaborazioni, ormai divenute imbarazzanti? Samuel Werthmüller smentisce: “Rispettiamo semplicemente le sanzioni“.[5]

 

L’edizione 2023 del Forum di Davos non ha reintegrato la Russia, la cui espulsione sembra essere definitiva. In seguito all’espulsione dalle cosiddette organizzazioni internazionali, la Russia intende prendere l’iniziativa e ricreare un proprio spazio di indipendenza e relazioni internazionali alternative, staccandosi completamente dal sistema controllato dall’Occidente. Il 18 maggio 2022, Piotr Tolstoj, vicepresidente del parlamento russo, la Duma di Stato, ha rilasciato una dichiarazione esplosiva che ci dà uno sguardo dietro le quinte dello Stato profondo russo e dei suoi piani di sovranità a lungo termine:

 

Le commissioni, i deputati e i senatori avranno molto lavoro da fare nel prossimo futuro, che credo possa durare più di un mese”. La lista che la Duma di Stato ha ricevuto dal Ministero degli Affari Esteri contiene 1.342 voci: si tratta di trattati e accordi internazionali che sono stati firmati e ratificati dalla Russia negli ultimi decenni. Dovremo analizzarli tutti per determinarne la rilevanza e, per così dire, l’utilità per il Paese. Molti di essi sono entrati a far parte della nostra legislazione nazionale e, di conseguenza, le commissioni competenti dovranno valutare anche le nostre leggi russe e decidere quali norme introdotte in esse possiamo e dobbiamo abbandonare. Inoltre, abbiamo il compito di valutare l’adeguatezza della presenza della Russia negli organismi sovranazionali e nelle organizzazioni internazionali. Ci siamo già ritirati dal Consiglio d’Europa e, ad aprile, il presidente della Duma di Stato, Vyacheslav Volodin, ha incaricato le commissioni competenti, in collaborazione con gli esperti, di studiare l’opportunità della presenza della Russia all’interno dell’OMC, dell’OMS e del FMI, dato che queste organizzazioni hanno già violato tutte le loro regole nei confronti del nostro Paese. Certo, questi due compiti non sono facili, c’è molto lavoro da fare e dobbiamo soppesare i pro e i contro. Ma questa è la strada per la piena sovranità della Russia, che dovrebbe essere guidata solo dai suoi interessi e da quelli dei suoi cittadini.[6]

 

Lo Stato profondo russo sta lentamente, troppo lentamente – il tempo amministrativo e l’inerzia istituzionale lo obbligano a seguire tal ritmi – iniziando a ribellarsi a tutte le minacce alla sua sovranità. Le minacce militari tradizionali, come quella incarnata dalla NATO, sono state identificate dal cervello umano per secoli. Le nuove minacce, rappresentate in particolare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sono più difficili da percepire e combattere. L’essere umano medio stenta a credere che la medicina possa essere usata contro le persone su una tale scala e non si è ancora abituato a questo nuovo campo di battaglia tecnocratico e burocratico che si è sviluppato solo a partire dall’espansione del settore terziario nel XX secolo, ma che ora ha invaso tutto. Le Nazioni Unite (ONU) rappresentano un caso da manuale e un vero e proprio dilemma per Russia e Cina: come possono questi due Paesi reagire alla minaccia alla loro sovranità rappresentata dall’Agenda 2030 dell’ONU, ovvero come possono uscire dall’ONU quando la loro posizione dominante al suo interno rafforza la loro sovranità? La lentezza della reazione critica del governo russo è dovuta anche alla sua divisione, perché, come ovunque, una parte del governo è sinceramente sedotta dal globalismo transumanista – quella che alcuni chiamano la “quinta colonna“. Ma occorre distinguere questa frazione da un’altra apparentemente indistinta, quella degli individui che hanno capito che la sovranità nazionale è inscindibile dalla sovranità tecnologica, perché è la sovranità tecnologica che permette la sovranità nazionale, e non altro, cioè la capacità di assicurare con la forza il rispetto dell’integrità del proprio territorio nazionale.

 

La questione della sovranità in generale è quindi legata alla questione del potere e all’irresistibile corsa a perdifiato che esso genera. Per non essere superato dalla volontà di potenza altrui, per non essere ridotto all’impotenza, io stesso devo coltivare la mia volontà di potenza. Prima di poter superare il mio concorrente, devo prima mettermi al suo livello e stare al suo fianco. Non esiste un centro di potere universale, ma esistono leggi universali che regolano l’esercizio del potere. Ci sono vincoli universali che sono gli stessi per tutti i soggetti che vogliono esercitare il potere, su se stessi o sugli altri. Ogni soggetto sovrano deve attenersi a queste regole, il che implica una somiglianza nel comportamento di tutti i soggetti sovrani, compresi i nemici, che può essere interpretata dall’esterno come un accordo, una connivenza o addirittura una cospirazione – in breve, un piano intenzionale. Ma non c’è un piano intenzionale per cadere se si salta dalla finestra. I nemici mortali cadono allo stesso modo se saltano dalla finestra. Questo non significa che non si scontrino davvero, ma solo che le leggi della fisica sono universali e si applicano a tutti allo stesso modo. Ma ci sono anche leggi universali della fisica sociale che impongono ai nemici di adottare lo stesso comportamento, o quasi, non appena cercano di ottenere potere e sovranità. La fisica sociale è strutturata da relazioni di potere potenzialmente dannose per tutti gli attori della situazione. Dal punto di vista della competizione tecno-scientifica, siamo tutti sulla stessa barca, che può finire come il Titanic, il che non significa che siamo tutti d’accordo e unificati da un programma comune. Alcuni attori politici, più saggi di altri, stanno anticipando la possibile catastrofe e stanno cercando di inquadrare la tecnoscienza in modo che rimanga al servizio degli interessi umani e nazionali. Il 6 dicembre 2016, il governo russo ha pubblicato un aggiornamento della “Dottrina della sicurezza informatica della Federazione Russa“:

 

Gli interessi nazionali nel campo dell’informazione sono i seguenti: a) garantire e proteggere i diritti e le libertà costituzionali dell’uomo e del cittadino per quanto riguarda la ricezione e l’uso delle informazioni, l’inviolabilità della privacy nell’uso delle tecnologie dell’informazione, fornire un supporto informativo alle istituzioni democratiche, ai meccanismi di interazione tra lo Stato e la società civile, nonché all’uso delle tecnologie dell’informazione nell’interesse della conservazione dei valori culturali, storici, spirituali e morali del popolo multinazionale della Federazione Russa; b) garantire il funzionamento sostenibile e ininterrotto dell’infrastruttura informativa, in primo luogo dell’infrastruttura informativa critica della Federazione Russa (di seguito denominata “infrastruttura informativa critica”) e della rete di telecomunicazioni unificata della Federazione Russa, in tempo di pace, in caso di minaccia imminente di aggressione e in tempo di guerra; (…)“.[7]

Come si suol dire, tutti sarebbero perdenti in un’escalation verso un conflitto nucleare globale. In una prospettiva pacifista e win-win, al fine di controllare, mitigare, contenere e ridurre il più possibile i danni collaterali universali della corsa agli armamenti informatici, Vladimir Putin ha pronunciato nel settembre 2017 un clamoroso discorso sulla strategia digitale russa:

L’intelligenza artificiale rappresenta il futuro non solo della Russia, ma dell’intera umanità. Oggi porta con sé opportunità colossali e minacce imprevedibili”, ritiene il leader. E prosegue: “Chiunque diventi leader in questo campo sarà il padrone del mondo. Ed è altamente indesiderabile che qualcuno ottenga il monopolio in questo campo. Quindi, se saremo leader in questo campo, condivideremo queste tecnologie con tutto il mondo“, ha dichiarato Vladimir Putin.[8]

Due anni dopo questo discorso, il governo russo ha pubblicato la sua strategia ufficiale per l’intelligenza artificiale:

«Decreto del Presidente della Federazione Russa del 10 ottobre 2019 n. 490 – sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale nella Federazione Russa”.[9] Thierry Berthier e Yannick Harrel, specialisti francesi di cybersecurity e cyberstrategy, hanno fornito un commento approfondito pochi giorni dopo sul sito web The Conversation.[10] Quest’ultimo, esperto in materia, aveva già pubblicato nel 2013 un libro intitolato “La cyberstratégie russe” (La strategia cibernetica russa), la cui quarta di copertina ne riassume il contenuto: “La strategia delle potenze nell’era digitale non è un insieme monolitico, e caratteristiche nazionali specifiche stanno emergendo negli Stati Uniti, in Russia, in Francia e altrove. Finora la cyber-strategia russa non ha mai beneficiato di uno studio serio; è stata ridotta ad approssimazioni o percepita attraverso il prisma di studi molto frammentari. Senza trascurare in alcun modo l’importanza dei servizi di intelligence o il crescente interesse dei militari per questo nuovo spazio, l’autore di questo libro analizza le potenziali capacità e alleanze della Russia nel cyberspazio, valutando al contempo l’emergere di una specifica “arte della guerra digitale” russa».[11]

Nel 2021, l’Istituto francese di relazioni internazionali ha pubblicato un rapporto sul suo sito web:

«Firmata dal presidente russo nell’ottobre 2019, la strategia nazionale per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale mira a mettere la Russia sulla mappa dei Paesi che contano, intraprendendo uno sforzo per recuperare il ritardo tecnologico e finanziario nell’intelligenza artificiale (IA) e nella robotica avanzata”. L’IA fondamentale (ricerca) e l’IA applicata (destinata all’uso commerciale) sono ancora monopolizzate dal settore della difesa, che le utilizza come strumento per modernizzare le proprie attrezzature e le capacità operative delle forze armate”.[12]


Sempre nel 2021, in occasione dell’incontro annuale del forum di discussione Valdai, Vladimir Putin ha delineato la strategia nazionale russa per le nuove tecnologie:

«La rivoluzione tecnologica e le impressionanti conquiste nei campi dell’intelligenza artificiale, dell’elettronica, delle comunicazioni, della genetica, della bioingegneria e della medicina aprono prospettive colossali, ma sollevano anche questioni filosofiche, morali e spirituali che, fino a poco tempo fa, erano poste solo dagli scrittori di fantascienza. Cosa succederà quando la tecnologia supererà la capacità di pensare dell’uomo? Qual è il limite di interferenza nell’organismo umano, oltre il quale l’uomo cessa di essere se stesso e si trasforma in un altro tutto? Qual è il limite dell’interferenza nell’organismo umano, oltre il quale l’uomo cessa di essere se stesso e si trasforma in un’altra entità? Quali sono i limiti etici in un mondo in cui le possibilità della scienza e della tecnologia stanno diventando quasi illimitate, e che cosa significherà questo per ciascuno di noi, per i nostri discendenti, per i nostri figli e nipoti?»[13]

 

L’autore di queste righe spera di aver chiarito il rapporto della Russia con il Grande Reset e il “Nuovo Ordine Mondiale” e, più in generale, il rapporto di tutti gli esseri viventi con la tecnoscienza. Si tratta di un rapporto intrinsecamente problematico. Non è né bianco né nero, dipende dal contesto. L’errore dell’essenzialismo è quello di farci pensare in termini di sostanze pure e valori assoluti ideali, mentre la realtà può essere analizzata in termini di sfumature e percentuali. Quindi la domanda in termini corretti non può essere: “La Russia è globalista o no?“, ma “Quale percentuale della Russia è globalista e quale percentuale è antiglobalista?“.

Poi basta fare un confronto con l’Occidente per vedere le differenze. Lo stesso metodo delle percentuali dovrebbe essere applicato a tutte le entità, gli individui, le comunità e le organizzazioni. I commentatori che ignorano questo aspetto troveranno i loro commenti immediatamente obsoleti. Cerchiamo ora di voltare pagina rispetto a una serie di giudizi affrettati ed emotivi, per fissare i termini del dibattito nella prossima fase, nel campo archeofuturistico della piattaforma intellettuale e di advocacy comune da creare tra bio-conservatori di ogni provenienza nell’era di internet e dei soggetti connessi.

[1] Peter Töpfer, “Un contributo alla metodologia multipolarista“, Multipolaristen, 07/05/2023 (https://multipolaristen.de).

[2] Yurie Roșca, “La morte del paradigma liberale e l’ascesa della tecnocrazia“, Geopolitika.ru, 12/05/2023 (https://www.geopolitika.ru/fr/article/la-mort-du-paradigme-liberal-et-la-montee-de-la-technocratie-iurie).

[3]Che cos’è il sistema Swift da cui le banche russe sono appena state escluse“, Euronews, 27/02/2022, https://fr.euronews.com/2022/02/27/qu-est-ce-que-le-systeme-swift-dont-des-banques-russes-viennent-d-etre-exclues.

[4] “CBDC: la Russia prepara il suo sistema di pagamento transfrontaliero”, Coin Academy, 11/01/2023. https://coinacademy.fr/actu/russie-cbdc-paiements-transfrontaliers/.

[5] «La Russie exclue du Forum de Davos, l’Ukraine pourrait prendre le devant de la scène», Le Matin, 01/05/2022. https://www.lematin.ch/story/la-russie-exclue-du-forum-de-davos-lukraine-pourrait-prendre-le-devant-de-la-scene-788387079059.

[6] Piotr Tolstoï, Telegram, 18/05/2022 (https://t.me/petr_tolstoy/1374).

[7] https://rg.ru/documents/2016/12/06/doktrina-infobezobasnost-site-dok.html.

[8] “Vladimir Putin: “Il leader dell’intelligenza artificiale dominerà il mondo“, La revue du digital, 02/09/2017, https://www.larevuedudigital.com/vladimir-poutine-le-leader-en-intelligence-artificielle-dominera-le-monde/.

[9] http://publication.pravo.gov.ru/Document/View/0001201910110003.

[10] «La stratégie russe de développement de l’intelligence artificielle», The Conversation, 26/11/2019, https://theconversation.com/la-strategie-russe-de-developpement-de-lintelligence-artificielle-127457.

[11] «Yannick Harrel : ’’L’intelligence artificielle – révolution anthropologique’’», Dialogue Franco-Russe, 12/06/2023, https://www.youtube.com/watch?v=dOQe_nYSFvw.

[12] «L’intelligence artificielle: enjeu stratégique de la Russie», IFRI, 21/04/2021, https://www.ifri.org/fr/espace-media/lifri-medias/lintelligence-artificielle-enjeu-strategique-de-russie.

[13] http://kremlin.ru/events/president/news/66975.

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Il rapporto dell’Army War College prevede un numero elevato di vittime in una lotta quasi ravvicinata contro la [Russia] – Analisi

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Il rapporto dell’Army War College prevede un numero elevato di vittime in una lotta quasi alla pari contro la [Russia] – Analisi

Traduciamo questa utilissima analisi in cui “Simplicius the Thinker” prende in esame due documenti: il rapporto dello U.S. Army War College pubblicato sul numero d’autunno di “Parameters”, già tradotto e pubblicato da italiaeilmondo.com, e un recentissimo studio della RAND sulle possibilità di escalation nella guerra ucraina, che tradurremo e pubblicheremo a breve.

Sono entrambi documenti del massimo interesse per prevedere i futuri sviluppo delle ostilità, e indagare le intenzioni degli Alti Comandi occidentali e russi.

Buona lettura. Roberto Buffagni

Qualche settimana fa l’U.S. Army War College ha pubblicato un documento[1] in cui si chiedeva alle forze armate statunitensi di adattarsi al moderno stile di guerra innovato nel conflitto ucraino.

[1] https://italiaeilmondo.com/2023/09/15/lezioni-dallucraina-per-le-forze-armate-del-futuro/

Il documento ha fatto il giro del mondo grazie ad alcune ammissioni sorprendenti, di cui parleremo. Ma ciò che è più importante capire è che il documento rappresenta un grande cambiamento generale di pensiero che si propaga in tutta la sfera dell’Occidente atlantista, ed è stato pubblicato di concerto con molti altri pezzi chiave di think tank e cambiamenti di politica annunciati dall’UE, dalla NATO, eccetera, che nel complesso manifestano la diffusione massiccia del panico nelle strutture dell’Occidente, e la conseguente necessità di cambiare urgentemente la loro strategia.

Questo punto è uno dei temi centrali del documento del War College. Il suo preambolo iniziale può essere riassunto in una sola frase: l’attuale periodo segnato dal conflitto ucraino rappresenta il più grande “punto di inflessione” in 50 anni di storia militare. Gli autori ritengono che la guerra dello Yom Kippur del 1973 sia stato il precedente punto di inflessione di maggior impatto. Raccontano come l’esercito statunitense fosse demoralizzato dall’esperienza in Vietnam e dall’incapacità di raggiungere i propri obiettivi, seguito dal fatto che Israele ha quasi perso contro un Egitto equipaggiato con mezzi sovietici nella guerra dello Yom Kippur.

Per fare un quadro molto sintetico e troppo generico, anche se Israele è indicato come “vincitore” ufficiale della Guerra dello Yom Kippur, l’Egitto ha in realtà raggiunto la maggior parte dei suoi obiettivi politici, che consistevano nell’impossessarsi di alcune terre a est di Suez per poi riprendersi la penisola del Sinai, cosa che è avvenuta. Sebbene l’Egitto abbia commesso errori madornali che hanno causato la sconfitta di parte del suo esercito, la guerra ha dimostrato a Israele, agli Stati Uniti e agli alleati che il futuro sarebbe stato pericoloso, poiché gli arabi stavano diventando molto più forti, in particolare con l’appoggio sovietico. Infatti, per chi fosse interessato, per pura coincidenza, una settimana fa il Jerusalem Post ha pubblicato un nuovo articolo[1] sull’ironia del fatto che, a distanza di anni, Israele considera la guerra dello Yom Kippur come un’esperienza cupa, mentre in Egitto viene celebrata come una grande vittoria.

 

In ogni caso, il War College spiega che come risultato di questo periodo di inflessione, gli Stati Uniti hanno fondato la scuola TRADOC (United States Army Training and Doctrine Command). Che in realtà è una rete di scuole incaricate di creare nuove dottrine operative, in modo che l’esercito americano sia pronto per i conflitti futuri. In breve, erano spaventati dagli sviluppi degli anni precedenti e avevano bisogno di un modo per “saltare in avanti” rispetto alla concorrenza. Questo ha portato a una serie di nuove dottrine, come l’AirLand Battle di cui ho scritto a lungo in questa precedente analisi[2] di un think-tank interno agli Stati Uniti:

[1] https://www.jpost.com/israel-news/article-760011

[2] https://simplicius76.substack.com/p/dissecting-west-point-think-tanks

La nuova analisi del think tank di West Point sull’evoluzione militare della Russia

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JUN 21
Dissecting West Point Think-tank's New Analysis of Russia's Military Evolution
Il Modern War Institute di West Point – una sorta di think tank presieduto da Mark Esper e che fa parte del Department of Military Instruction – ha pubblicato un’interessante analisi approfondita delle innovazioni russe sul campo di battaglia, intitolata SMO: IL MODO RUSSO DI FARE LA GUERRA IN UCRAINA: UN APPROCCIO MILITARE IN CORSO DI REALIZZAZIONE DA NOVE DECENNI.
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Il punto chiave di Esper culmina come segue:

La nuova organizzazione di DePuy (TRADOC) è stata incaricata di studiare la guerra dello Yom Kippur per sviluppare concetti, guidare le modifiche agli approvvigionamenti e ai materiali e preparare l’esercito a combattere una guerra moderna.

Il Segretario alla Difesa James R. Schlesinger, Abrams e DePuy si resero conto che l’Esercito si trovava in una fase critica e che solo un cambiamento monumentale avrebbe potuto preparare le forze armate al cambiamento del carattere della guerra. Sarebbero passati 50 anni prima che emergesse il prossimo grande punto di inflessione che avrebbe suggerito la necessità di cambiamenti a livello di dottrina e di materiali.

Cinquant’anni dopo, l’Esercito si trova di fronte a un nuovo punto di inflessione strategico, una scelta per modificare il modo fondamentale in cui l’Esercito americano si prepara alla prossima battaglia. Mentre l’establishment della Difesa esce da 20 anni di operazioni di controinsurrezione e inizia ad abbracciare un futuro di operazioni di combattimento su larga scala, il conflitto russo-ucraino in corso mette in evidenza il carattere mutevole della guerra: un futuro di guerra caratterizzato da sistemi d’arma autonomi e avanzati, dall’intelligenza artificiale e da un tasso di vittime che gli Stati Uniti non sperimentavano dalla Seconda Guerra Mondiale.

 

Il rapporto prosegue affermando che la guerra è stata un campanello d’allarme per l’esercito, che ha bisogno di un importante “cambiamento culturale” per interiorizzare e abbracciare appieno gli sviluppi sul campo di battaglia a cui si sta assistendo. In effetti, questo rapporto del War College è stato redatto su richiesta e sotto gli auspici del TRADOC.

Il succo della loro principale preoccupazione è qualcosa che tutti conosciamo e di cui ho scritto continuamente, anche nel rapporto precedentemente pubblicato. Si tratta del fatto che gli ultimi due decenni di azione militare degli Stati Uniti all’estero non sono stati altro che azioni di polizia glorificate contro le minacce degli insorti, in cui ci si è occupati principalmente di addestramento, tattica e dottrina strategica generale COIN (Counter Insurgency).

Ora gli Stati Uniti capiscono che anni di combattimenti in cui la dominanza nelle comunicazioni e la supremazia aerea hanno permesso agli Stati Uniti di diventare indisciplinati e lassisti, senza doversi mai preoccupare di essere “contestati” in alcun ambito. Questo è lo stesso punto sollevato dal discorso del dottor Philip Karber[1] a West Point, dove ha ripetutamente sottolineato quanto i punti logistici nelle retrovie e C2/C3 dell’esercito americano “brillino” nello spettro elettromagnetico, e con quanta facilità sarebbero stati visti e individuati dalla Russia o da qualsiasi forza avanzata di pari livello.

[1] https://youtu.be/_CMby_WPjk4

La guerra Russia-Ucraina manifesta che la segnatura elettromagnetica emessa dai posti di comando degli ultimi 20 anni non può sopravvivere contro il ritmo e la precisione di un avversario che possiede tecnologie basate su sensori, guerra elettronica e sistemi aerei senza pilota o ha accesso alle immagini satellitari.

 

Il documento rivela che attualmente i posti di comando dei battaglioni ucraini sarebbero composti da soli sette soldati che si trincerano e cambiano posizione due volte al giorno.

 

Un altro nuovo rapporto[1] complementare conferma questo dato.

[1] https://www.defenseone.com/threats/2023/09/lessons-ukraine-us-army-using-conflict-europe-prepare-soldiers-next-war/390763/

Citando il generale di brigata David Gardner del JRTC (Joint Readiness Training Center):

A loro volta, le formazioni dell’Esercito stanno imparando ad adattarsi, anche utilizzando il meno possibile le apparecchiature di comunicazione. “In passato erano solo gli esploratori ad andare in silenzio radio”, ha detto Gardner. “Ora lo vediamo in tutte le formazioni”.

Le formazioni si stanno adattando anche modificando le loro comunicazioni, utilizzando antenne paraboliche per dirigere le onde radio, utilizzando cavi a fibre ottiche e cercando di adeguarsi allo schema del traffico di altri segnali nella zona per non farsi notare, ha detto Taylor.

 

Il principale punto di preoccupazione di Gardner riguardo al campo di battaglia moderno è la sua natura completamente “trasparente”: nulla di ciò che si fa può essere veramente nascosto, almeno non con una certa facilità e non senza un sforzo sproporzionato.

Tornando al rapporto del War College, arriviamo ora alla parte più illuminante che sta facendo il giro di internet. La cruda ammissione che, di fronte a una guerra ad alta intensità senza precedenti come il conflitto ucraino, gli Stati Uniti possono aspettarsi di subire 3.600 vittime al giorno:

Perdite, rimpiazzi e reintegrazioni

La guerra tra Russia e Ucraina sta mettendo a nudo significative vulnerabilità della profondità strategica del personale dell’Esercito e della sua capacità di sopportare e rimpiazzare le perdite11. I pianificatori medici di teatro dell’Esercito possono prevedere una percentuale costante di circa 3.600 caduti al giorno, tra gli uccisi, i feriti o gli affetti da malattie o altre lesioni non ricevute battaglia.12 Con un tasso di rimpiazzo previsto del 25%, il sistema del personale richiederà 800 nuove unità al giorno. Per fare un confronto, gli Stati Uniti hanno subito circa 50.000 perdite in due decenni di combattimenti in Iraq e Afghanistan. In operazioni di combattimento su larga scala, gli Stati Uniti potrebbero subire lo stesso numero di vittime in due settimane.

:

In primo luogo, questa sembra un’interessante ammissione di ciò che probabilmente ritengono essere le vere perdite quotidiane dell’Ucraina, compreso il totale dei feriti, ma forse anche un’ammissione del fatto che gli Stati Uniti possono finire per subire perdite ancora più elevate perché attualmente non hanno la capacità di disperdersi e de-centralizzarsi con l’efficienza di cui l’Ucraina sta dando prova. Per non parlare della comprensione generale che in una guerra tra Stati Uniti e Russia, quest’ultima non combatterà con i “guanti di velluto” come sta facendo attualmente con l’Ucraina, che considera come una nazione sorella. La Russia, oggi, ha determinate priorità di missione per ridurre le vittime civili e i danni alle infrastrutture in una terra che in seguito intende occupare e annettere. Tutto questo andrebbe a rotoli contro gli Stati Uniti o la NATO.

Secondo il rapporto, in sole due settimane gli Stati Uniti possono subire 50.000 vittime. Ma il problema più grande è che si prevede la necessità di 800 rimpiazzi al giorno, per sostenere una guerra di questo tipo, mentre si richiama l’attenzione sulle gravi carenze dell’attuale sistema di riserva:

 

La Individual Ready Reserve, che era di 700.000 unità nel 1973 e di 450.000 nel 1994, è ora composta da 76.000 unità.15 Questi numeri non sono in grado di colmare le lacune esistenti nella forza attiva, per non parlare del rimpiazzo delle perdite o dell’espansione delle forze in un’operazione di combattimento su larga scala. Ne consegue che il concetto anni ’70 di una forza interamente volontaria ha superato la sua validità, e non è in linea con l’attuale ambiente operativo. La rivoluzione tecnologica descritta di seguito suggerisce che questa forza ha raggiunto l’obsolescenza. Il fabbisogno di truppe per operazioni di combattimento su larga scala potrebbe richiedere un ripensamento della forza tutta volontaria degli anni ’70 e ’80, e un passaggio alla coscrizione parziale.

 

L’aspetto più interessante è che questa pubblicazione arriva nel bel mezzo di una spinta tempestiva e chiaramente coordinata da parte di altre pubblicazioni per iniziare a condizionare l’opinione pubblica statunitense sulla necessità di una nuova futura leva per rifornire le forze armate americane, ormai esaurite.

Military.com ha lanciato per primo l’allarme[1] su questa necessità un paio di mesi fa:

[1] https://www.military.com/daily-news/opinions/2023/07/29/we-need-limited-military-draft.html

Military.com first blew the horn :

L’autore sostiene che la fiducia nelle forze armate è ai minimi termini e che i reparti non riescono a riempire le loro quote annuali di reclute. Una “leva limitata” potrebbe aiutarli a recuperare i loro numeri. Ciò si accorda con il rapporto del War College che afferma che:

 l’Esercito degli Stati Uniti si trova ad affrontare una terribile combinazione tra carenza nel reclutamento e riduzione della Individual Ready Reserve [Riserva composta da ex membri effettivi o della riserva dell’esercito, N.d.C.] Questa carenza nel reclutamento, pari a quasi il 50% nelle carriere che preparano le truppe di prima linea, è un problema longitudinale. Ogni soldato di fanteria e forze corazzate che non reclutiamo oggi è una risorsa strategica per la mobilitazione che non avremo nel 2031.

In breve, stanno pensando ai conflitti futuri e hanno già individuato che l’America non avrà nemmeno lontanamente il numero di “corpi” necessario per affrontare un avversario competente.

Ma ecco la bomba più grande di tutte. Chi ha letto il mio lavoro sa che ho insistito ripetutamente sul fatto che la dicotomia “coscritti vs. contrattisti” è una semplificazione deliberata in Occidente, progettata per denigrare e sminuire l’esercito russo e, soprattutto, che la forza “interamente professionale” vista come l’incarnazione dell’ideale militare occidentale è in realtà un’illusione destinata solo a sostenere conflitti insurrezionali localizzati. In breve, ho detto fin dall’inizio che queste forze “interamente professionali” non hanno alcuna possibilità di successo in scenari di guerra totale su larga scala.

Ora, sorpresa, il rapporto del War College concorda con la seguente ammissione:

Ne consegue che il concetto anni ’70 di una forza interamente volontaria ha superato la sua validità, e non è in linea con l’attuale ambiente operativo. La rivoluzione tecnologica descritta di seguito suggerisce che questa forza ha raggiunto l’obsolescenza. Il fabbisogno di truppe per operazioni di combattimento su larga scala potrebbe richiedere un ripensamento della forza tutta volontaria degli anni ’70 e ’80, e un passaggio alla coscrizione parziale

Traduzione: l’idea di una forza interamente volontaria/professionale è obsoleta. Le operazioni di combattimento su larga scala richiedono almeno una coscrizione parziale. Chiunque capisca qualcosa in campo militare lo sapeva già da tempo. Come si può sostenere uno sforzo bellico ad alta intensità, con migliaia di vittime al giorno, solo con arruolamenti volontari? I pianificatori statunitensi dovrebbero saperlo: la loro ultima “vera guerra”, quella del Vietnam, era notoriamente caratterizzata da una leva obbligatoria su larga scala, eppure gli Stati Uniti persero lo stesso. Immaginate di combattere una guerra del genere senza leva o “coscritti”?

 

Ma il problema fatale per gli Stati Uniti ora è che l’orgoglio nazionale e il morale generale sono ai minimi storici, probabilmente. Per non parlare del fatto che la popolazione eleggibile è ormai prevalentemente troppo malata e fuori forma per essere qualificata per il servizio militare, il che richiede un costante e strisciante regime di allentamento degli standard.

Gli ultimi dati non sono solo “preoccupanti”, ma addirittura catastrofici, e questo è quanto emerge da un rapporto ufficiale del Dipartimento della Difesa:

In realtà, l’articolo di Military.com ammette che la leva è stata abolita e sostituita con il sistema dei “volontari” nel 1973, principalmente a causa del disgusto e della stanchezza dell’opinione pubblica americana per la guerra del Vietnam. Si può vedere come funziona la propaganda: gli Stati Uniti hanno perso una guerra impopolare e sono stati costretti a cambiare il loro sistema. Poi, questo sistema viene successivamente valorizzato in ogni pubblicazione militare, rappresentazione della cultura pop, ecc. come il sistema “superiore” a qualsiasi sistema arretrato usato dalla Russia. Eppure è chiaro che gli Stati Uniti si sono differenziati dal sistema russo solo per mancanza di scelta, e costretti dalla propria popolazione.

 

Altre pubblicazioni sono giunte alla stessa conclusione per quanto riguarda il collegamento del rapporto del War College con le recenti voci di una potenziale riattivazione della leva negli Stati Uniti:

La verità è che per molti versi le forze armate statunitensi sono attualmente molto più piccole e meno pronte per un conflitto importante di quanto sappia la maggior parte delle persone. Non solo per quanto riguarda le truppe necessarie e le capacità industriali strategiche, di cui abbiamo già discusso a lungo in questa sede, per la produzione di armi, eccetera, ma anche per l’equipaggiamento attualmente disponibile.

Solo per fare un esempio, senza perdersi nei dettagli, ecco la revisione dell’esercito americano delle sue attuali forze terrestri per il 2024, che rivela una quantità scioccante di forze corazzate pesanti:

Si tratta di appena 970 carri armati Abrams operativi, il resto è in deposito. Le loro forze sono distribuite su appena 31 brigate da combattimento attive.

Forse starete pensando che anche i Marines hanno gli Abrams, ma avrebbero dovuto cederli tutti all’Esercito diversi anni fa dopo la transizione verso una forza interamente anfibia.

In realtà, il giornale “Army Times” dell’esercito americano ha segnalato[1] i problemi l’anno scorso, affermando che la “crisi di reclutamento” ha ridotto l’esercito a 445.000 unità entro l’ottobre 2023, il che richiede una ristrutturazione dei BCT (Brigade Combat Team).

Le cifre si suddividono in appena 11 ABCT (Armor Brigade Combat Teams), ognuna delle quali ha 6 compagnie corazzate di circa 15 carri armati Abrams ciascuna, ovvero 87 carri armati per ABCT. Quindi 87 x 11 = 957, che è all’incirca l’attuale forza di carri armati degli Stati Uniti come dal grafico più sopra.

È estremamente poco per una guerra moderna contro una potenza come la Russia che, anche secondo fonti occidentali, avrebbe perso migliaia di carri armati e continua a funzionare bene. Inoltre, quei miseri 900 carri armati Abrams non sono nemmeno tutti le varianti più avanzate: molti di loro sono vecchi M1A1. Si dice che l’Ucraina abbia perso circa 400-500 carri armati o più nella controffensiva da giugno. In pratica, in tre mesi sarebbe sparita la metà dell’intero esercito americano in attività.

Ma torniamo al rapporto del War College. Alla luce di questi problemi, quali sono le loro ricette per il futuro? Ad essere onesti, sembra un elenco piuttosto anemico di suggerimenti, alcuni dei quali discutibili e nessuno dei quali offre una panacea. Ritengono che le forze armate dovrebbero sviluppare legami più stretti con le aziende private responsabili di molti sistemi d’arma, dall’intelligence open-source ai droni, ecc. Sembrano ritenere che questa sorta di fusione tra privato e militare sia parte integrante della vittoria nelle battaglie future, basandosi semplicemente sul modo in cui l’open source e le società satellitari, ecc. hanno aiutato l’Ucraina a ottenere la supremazia nell’ISR nell’attuale conflitto.

 

Naturalmente ignorano la miriade di insidie e vulnerabilità che si nascondono dietro una trappola così allettante. Ne ho già descritti molti in precedenza. I documenti del Pentagono hanno dimostrato che l’intelligence statunitense si è spesso affidata a dati open source di “BroSinters” dilettanti, spesso – o oserei dire di solito – a loro discapito. Ad esempio, l’uso di numeri fraudolenti di Oryx per calcolare le perdite russe, in base alle quali poi vengono scritte le strategie e le politiche. O l’uso della pletora di account OSINT amatoriali specializzati nella mappatura topografica della linea russa Surovikin a Zaporozhye, che ha portato a catastrofici errori di calcolo e sottovalutazione delle difese strategiche della Russia.

 

Il fatto è che, dovendo far fronte a carenze e deficit disastrosi, le forze armate statunitensi non hanno altra scelta se non quella di “esternalizzare” molte delle loro future capacità di combattimento – sia che si tratti di società private, di collettivi open source su Internet, ecc. Uno dei difetti fatali che questo crea è un sistema poroso e privo di sicurezza operativa. Lo dimostrano le fughe di notizie del Pentagono all’inizio dell’anno, quando si è scoperto che, a causa dell’enorme quantità di appaltatori esterni necessari per lavorare sui sistemi interni delle forze armate statunitensi, era semplicemente impossibile imporre restrizioni nel protocollo di accesso che proteggessero totalmente il labirinto delle condutture di informazioni.

Ma i pianificatori dell’Esercito vogliono fare leva su questo aspetto. L’intera sezione che ho appena riassunto è intitolata “Maggiore uso dell’intelligence non classificata”.

Un’altra prescrizione un po’ umoristica è quella di creare un “manuale dei manuali” interno usando l'”intelligenza artificiale generativa”, come ChatGPT:

I manuali del passato “come si combatte” di DePuy, reinventati come piattaforme di chat alimentate da basi di conoscenza generativa dell’intelligenza artificiale, e sovrapposti alle rotazioni del Centro nazionale di addestramento, alle esercitazioni dei combattenti di divisione e di corpo d’armata, e all’addestramento delle piccole unità, costituirebbero l’attività di. convergenza definitiva.

In effetti, l’altro articolo complementare che ho citato in precedenza ha fatto luce su come questo tipo di addestramento sia già in corso nei centri dell’esercito statunitense:

 

In una recente esercitazione, le truppe OPFOR di Taylor hanno utilizzato il modello di linguaggio AI ChatGPT per creare oratori nemici sul sito artificiale di social media utilizzato per l’addestramento. Il ministro della Difesa nemico dell’IA ha ingaggiato una guerra di tweet con l’unità dell’esercito.

 

È questa la loro risposta? Guerra di tweet con ChatGPT? Non sono impressionato. Anche se, per certi versi, non è molto diverso da quanto già sperimentato dall’Ucraina. Un recente articolo di “Le Monde” ha descritto la “delusione” degli istruttori della NATO, costretti a cercare soluzioni “su YouTube” per aiutare i loro allievi ucraini:

[1] https://www.armytimes.com/news/your-army/2022/07/29/army-may-restructure-brigade-combat-teams-amid-recruiting-woes/

🇺🇦

“Ci sono stati diversi casi in cui (gli istruttori della NATO) sono andati a cercare soluzioni su YouTube, soprattutto quando si pianificavano le operazioni o si risolvevano i disaccordi”.

Secondo un soldato ucraino addestrato in Occidente, gli stessi istruttori non sempre sanno come agire in situazioni impreviste.

La situazione della ricognizione aerea con i droni è la più deplorevole: gli istruttori sostengono che non è inclusa nel programma di addestramento della NATO, sebbene questa disciplina sia parte integrante della guerra in Ucraina.

 

Beh, con generali come Milley alla guida degli Stati Uniti, suppongo che si possa usare la ChatGPT per costruire la propria strategia offensiva in una guerra futura: probabilmente avrà più successo di generali e comandanti ignoranti, politicizzati e “woke”.

 

Naturalmente, questo dimostra che l’autrice dell’articolo non solo era il “Direttore della Strategia e dei Piani del Comando Centrale delle Operazioni Speciali degli Stati Uniti”, ma era anche il “Direttore della Strategia e dei Piani del Comando Centrale delle Operazioni Speciali degli Stati Uniti”:

Ironia della sorte, il secondo autore del documento è John A. Nagl, le cui credenziali principali lo indicano come esperto di fama mondiale di “controinsurrezione”. Penso che stiamo iniziando a vedere il problema alla base della moderna dottrina militare statunitense. Avete un’assunzione in base alla “diversità” e un operatore COIN che scrivono le vostre strategie per sconfiggere le superpotenze Russia e Cina. Ovviamente questo è un problema endemico delle forze armate statunitensi e, invece di cambiare, non potrà che peggiorare. Per esempio, il primo discorso pubblico del nuovo sostituto di Milley come Capo dei Joint Chiefs of Staff, Charles Q. Brown, è stato incentrato sull’assunzione di personale militare “diversificato”. Questo oltre al fatto che era già noto da tempo come “più woke” dello stesso Milley, il che la dice lunga:

Non intendo politicizzare l’analisi, ma evidenziare che le forze armate americane sono in declino terminale perché il loro obiettivo primario continua ad essere la identity politics, la soddisfazione delle quote di “diversità” e altre questioni che non dovrebbero trovare posto in un esercito, o almeno non dovrebbero costituire la preoccupazione principale della sua leadership. Naturalmente, Russia e Cina si stanno sfregando le mani per la completa mancanza di iniziativa da parte del loro principale avversario.

La sezione finale del rapporto del War College ribadisce la richiesta di grandi cambiamenti nell’apprendimento e nell’addestramento a partire da questo “punto di inflessione” storico. Ritiene che l’antica dottrina della Airland Battle si trasformerà ora in una dottrina della battaglia terrestre con l’IA, grazie a ciò che la Russia ha insegnato loro:

 

Il concetto di battaglia aerea in appoggio alle forze di terra derivato dalla guerra dello Yom Kippur (dopo il fallimento dell’incursione nella Difesa attiva) potrebbe ora trasformarsi in una battaglia terrestre con intelligenza artificiale, informata dalla guerra Russia- Ucraina e da un futuro di veicoli da combattimento terrestri in gran parte senza equipaggio o con equipaggio remoto.

È interessante notare che questo cambiamento rispecchia quanto accadde nella Guerra del Golfo, dove la Russia ha visto gli Stati Uniti sconfiggere l’Iraq in un modo “nuovo” e imprevisto, che ha spinto gli istituti di guerra e i think tank russi a riconfigurare le loro idee su come potrebbe essere la guerra futura. Ho scritto qui delle idee che hanno tratto da quell’esperienza di apprendimento – e la maggior parte di esse si è rivelata molto accurata per il conflitto odierno.

FIN QUI

Passiamo ora al nuovo documento della RAND[1], che tratta il tema dell’escalation del rischio nella guerra in Ucraina. Ci sono solo un paio di punti principali da approfondire. Il più importante è l’elenco RAND dei 3 principali tipi di scenari di escalation che potrebbero verificarsi:

[1] Frederick, Bryan, Mark Cozad, and Alexandra Stark, Understanding the Risk of Escalation in the War in Ukraine. Santa Monica, CA: RAND Corporation, 2023. https://www.rand.org/pubs/research_briefs/RBA2807-1.html.

Di nuovo, per collegare le cose all’attualità, è interessante che abbiano scelto di concentrarsi su quest’area proprio ora. Il motivo è che appena ieri la Gran Bretagna ha fatto scalpore affermando che invierà “consiglieri in Ucraina”. Ora, come in un’altra uscita concertata, la Rand discute di cosa accadrebbe se la Russia uccidesse funzionari della NATO all’interno dell’Ucraina.

È anche uno strano tempismo, viste le recenti dichiarazioni di Medvedev, che a loro volta fanno seguito a un’importante provocazione da parte della Germania riguardo al missile Taurus, secondo cui la Russia sarebbe legalmente autorizzata a colpire le strutture tedesche al di fuori dell’Ucraina, in risposta alla posizione della Germania secondo cui l’Ucraina può usare i missili Taurus per colpire obiettivi all’interno della Russia stessa.

Di solito queste catene di provocazioni sono accuratamente pianificate e orchestrate dall’Occidente, come lo è stata l’intera guerra ucraina. Perché conoscere i punti sensibili di un Paese e le sue reazioni dottrinali dichiarate su quei punti, per poi premerli, così provocando il Paese a fare esattamente ciò che si vuole che faccia, è una tattica elementare.

Abbiamo parlato a lungo del fatto che, quando l’Ucraina sarà sull’orlo della capitolazione totale, ci sarà un pericoloso periodo di aumento del rischio che un importante evento sotto falsa bandiera venga orchestrato dell’Occidente per salvarla. Quindi, data la tempistica e il fatto che l’Ucraina pare entrata in una fase di declino, il rapporto RAND mi sembra quasi di natura prescrittiva, ossia un sottile “incoraggiamento” ai responsabili politici clandestini ad avviare una fase di operazioni che potrebbero provocare e spingere la Russia a creare la necessaria “reazione eccessiva” che porrebbe le basi per una qualche forma di intervento per salvare l’Ucraina.

Si noti come ognuno dei punti RAND sia situato un’area in cui l’Occidente ha iniziato, di recente, un’escalation. Eppure qui lo stanno caratterizzando come una giustificazione preventiva, in modo da darsi un’assoluzione postuma, se gli eventi dovessero precipitare come descritto.

Per esempio, prendiamo il numero 1: un attacco russo potrebbe uccidere funzionari della NATO all’interno dell’Ucraina, causando una “risposta collettiva” da parte dei membri della NATO. Stanno cercando di dare ai membri della NATO idee su cosa fare? E il Regno Unito, membro della NATO, ha appena annunciato l’invio di consiglieri al fronte in un ruolo molto più coinvolto, il che condurrebbe all’auto-realizzazione di questa profezia.

#2: Manovre aggressive della Russia contro gli aerei da ricognizione della NATO nel Mar Nero. Chiunque abbia seguito il conflitto di recente sa che, soprattutto nel periodo dei grandi attacchi alla Crimea, i voli di ricognizione della NATO nel Mar Nero sono diventati particolarmente ed eccezionalmente provocatori. Questo include un aumento del numero di voli, voli più ravvicinati verso la Crimea, nonché nuove rotte AWACS[1] stabilite in Lituania e Romania, per non parlare dell’annuncio che per la prima volta, anche gli aerei da ricognizione francesi hanno iniziato a operare nel Mar Nero.

Ancora una volta vediamo che sembra avanzare la dialettica della profezia che si autorealizza. Aumentano intenzionalmente la pressione sulla Russia in una determinata area per forzare una reazione eccessiva, poi ne prefigurano le conseguenze in un articolo per “dimostrare” retroattivamente che avevano sempre previsto le escalation aggressive/illegali/barbariche della Russia.

 

#3: La Russia percepisce erroneamente una mossa della NATO come l’inizio di un intervento. Beh, vediamo un po’: la Russia potrebbe forse fraintendere l’annuncio letterale di stivali NATO sul terreno fatto di recente da nientemeno che l’attuale Ministro della Difesa del Regno Unito – uno dei più importanti e potenti membri armati di armi nucleari della NATO – come l’inizio di una sorta di intervento? Come si fa a non “fraintendere”?

Ricordiamo che nei reportages dell’annuncio altamente provocatorio del Ministro della Difesa britannico[2], la parte più significativa è stata trascurata. Tutti si sono concentrati sulla dichiarazione di spostare gli stivali sul terreno “più a est” in Ucraina, piuttosto che semplici istruttori nella regione occidentale. Ma hanno completamente ignorato la parte in cui ha annunciato di portare la Royal Navy nel Mar Nero:

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Airborne_Early_Warning_and_Control

[2] https://web.archive.org/web/20230930203213/https://www.telegraph.co.uk/politics/2023/09/30/grant-shapps-to-send-uk-troops-to-ukraine/

Dopo un viaggio a Kiev la scorsa settimana, Shapps ha anche rivelato di aver parlato con Volodymyr Zelensky, il presidente ucraino, di come la Marina britannica potrebbe svolgere un ruolo nella difesa delle navi commerciali dagli attacchi russi nel Mar Nero.

 

Riassumiamo. Il Regno Unito annuncia una mossa altamente provocatoria per insinuare se stesso e la sua Marina nella guerra, e poi casualmente RAND pubblica un nuovo articolo che descrive come sia la Russia che potrebbe presto entrare in una “escalation” disperata lanciando attacchi non provocati alle truppe della NATO?

È chiaro che quanto che stanno cercando di fare è crearsi una giustificazione che faccia ricadere la colpa di ogni futura escalation sulla Russia.

Ecco il grafico finale del loro rapporto, con tutte le potenziali dinamiche di escalation che prevedono:

È interessante notare che, sepolta nel rapporto complementare esteso, c’è l’ammissione che la Russia non ha in realtà alcun motivo di escalation, perché prevede di poter ancora vincere la guerra attraverso un costante logoramento:

 

La Russia ritiene di avere ancora un percorso per raggiungere i suoi obiettivi in Ucraina. Al momento, al Cremlino sembra esserci ancora la percezione che una mobilitazione continua e la possibilità di superare l’Ucraina e i principali Paesi della NATO in termini di munizioni critiche possano consentire alla Russia di vincere una lunga e logorante guerra di logoramento, senza assumersi ulteriori rischi di intervento della NATO. Attaccare direttamente la NATO e sperare che la risposta sia una riduzione del sostegno all’Ucraina piuttosto che un aumento, o addirittura un ingresso diretto della NATO nella guerra, sarebbe un rischio enorme da correre per la Russia. Finché Mosca riterrà di avere altre strade plausibili per raggiungere i propri obiettivi in guerra, potrebbe preferire evitare tali rischi.

 

Ma questo sembra evidenziare una strana dicotomia: da un lato l’intero rapporto, intitolato Escalation in the War in Ukraine, sembra andare a gonfie vele nel tentativo di convincere i lettori e i politici che la Russia è circondata da una pletora di opzioni di escalation, insinuando che non avrà altra scelta se non quella di utilizzarne una quando diventerà sempre più “disperata” nello sforzo bellico. D’altra parte, però, ammettono che la Russia non vede alcuna ragione per un’escalation.

Questo ci porta a concludere che attualmente, il vero dibattito nei centri di comando militari nei think tank occidentali ruota attorno alla ricerca di ulteriori punti di pressione, e di modi per condurre la Russia a volere un’escalation, così da da rivolgere la percezione globale contro la Russia, e giustificare un ulteriore intervento di qualche tipo della NATO per salvare l’Ucraina. In un certo senso, come ho già detto, questo rapporto somiglia di più a un manuale o una guida, soggetto: come fare in modo che la Russia ci fornisca il casus belli per aumentare le nostre provocazioni, intensificare il conflitto e salvare un’AFU in difficoltà.

Quel che lo studio RAND mette in luce e fa risaltare, è il fatto che l’Occidente è molto suscettibile e irritato per l’approccio stoico e controllato della Russia a questa guerra. Sono fuori di sé, e non riescono a credere che la Russia possa combattere un conflitto così devastante e prolungato in modo tanto calmo e misurato, senza grandi sconvolgimenti politici, sociali ed economici che la mandino in tilt e creino l’ondata di disordini che renderebbe necessaria una “escalation” sproporzionata, che si rivelerebbe un grosso errore e farebbe un enorme regalo ai pensatori della NATO.

Pertanto, alla luce di ciò, l’Occidente intende utilizzare tutti i mezzi possibili per indurre la Russia a darsi la zappa sui piedi rispondendo in modo sproporzionato a una delle provocazioni che ha in serbo, al fine di dare una ragione d’essere a un intervento per salvare l’Ucraina. Non deve trattarsi di qualcosa di proporzioni massime, come un’invasione totale della NATO o qualcosa del genere. No, basterebbe anche solo la giustificazione di un ulteriore aumento del sostegno, o l’attivazione di armi strategiche più letali fornite all’Ucraina.

Ricordiamo che una parte importante – forse la più grande – del sostegno dell’Occidente consiste nel convincere le proprie popolazioni e i legislatori a giustificare impegni sempre più provocatori in materia di fornitura d’armi. Anche provocare una reazione avventata russa relativamente minore si potrebbe usare per convincere le popolazioni occidentali, ormai stanche, ad accettare la consegna di oggetti come gli ATACMS[1] o altri.

 

Naturalmente, ritengo che tutto questo sia un esercizio relativamente inutile e un vicolo cieco strategico, perché non credo che abbiano ancora molto da consegnare che possa cambiare la traiettoria, ormai cristallizzata, di questo conflitto. L’unico altro potenziale punto chiave che ho potuto cogliere dal documento della Rand e che potrebbe plausibilmente costituire l’asse di una strategia è l’ultimo punto della lista delle opzioni di escalation: l’opzione G.

L’opzione G recita: L’Ucraina espande i suoi attacchi all’interno della Russia. Motivazione: Aumentare i costi politici interni per la leadership russa.

Questa opzione racchiude praticamente l’unica opzione realistica che gli rimane e, viste le recenti tendenze, sembra essere una delle principali direttrici che stanno seguendo. Mi riferisco all’altra grande provocazione recente, la dichiarazione del membro del Bundestag tedesco Marie-Agnes Strack-Zimmermann, secondo cui l’Ucraina ha il diritto di colpire il territorio russo con i missili tedeschi Taurus. Mettendo insieme le due cose, possiamo solo arrivare alla conclusione che la progressiva spinta dell’Ucraina a colpire sempre più in profondità il territorio russo non ha nulla a che fare con considerazioni strategiche o militari, ma piuttosto ruota interamente intorno alla valutazione della RAND, “fare pressione politica sulla leadership russa”.

In altre parole, credono che colpendo in profondità in Russia possono causare abbastanza paura, panico e disagio pubblico da costringere i cittadini russi a iniziare a fare pressione sul governo per porre fine alla guerra, o semplicemente creare abbastanza impopolarità da dare ai servizi segreti occidentali l’opportunità di estromettere la leadership chiave, che si tratti di elezioni, rovesciamento, ecc. Sfortunatamente, tutto ciò non ha praticamente alcuna possibilità di sortire alcun effetto, in quanto l’opinione pubblica russa o non si preoccupa o non si accorge degli attacchi, compresi quelli nel cuore di Mosca, o semplicemente ne viene rinsaldata in una maggiore solidarietà.

La risposta “populista” e ruffiana di Dmitry Medvedev a entrambi i suddetti annunci provocatori lascia probabilmente un barlume di speranza ai think tanker occidentali:

 

Il numero di idioti al comando nei Paesi della NATO sta crescendo.

Un nuovo cretino – il ministro della Difesa britannico – ha deciso di spostare i corsi di addestramento britannici per i soldati ucraini nel territorio dell’Ucraina stessa. Cioè di trasformare i loro istruttori in un bersaglio legale per le nostre Forze Armate. Sapendo perfettamente che saranno spietatamente distrutti. E non come mercenari, ma come specialisti britannici della NATO.

Un altro pazzo – il capo del Comitato di Difesa della Repubblica Federale Tedesca con un cognome difficile da pronunciare – chiede di fornire immediatamente ai khokhobanderiti missili Taurus, in modo che il regime di Kiev possa colpire il territorio della Russia per indebolire le forniture del nostro esercito. Dicono che questo è conforme al diritto internazionale. Beh, in questo caso, anche gli attacchi alle fabbriche tedesche dove vengono prodotti questi missili sarebbero pienamente conformi al diritto internazionale.

Dopo tutto, questi imbecilli ci stanno attivamente spingendo verso la terza guerra mondiale….

– Medvedev

 

Ma ahimè, da sempre stoico praticante del “gioco lungo”, dubito che Putin regalerà loro l’inaspettato errore su cui contano per salvare la loro disastrosa campagna ucraina. Per quanto possa essere doloroso per noi prendere “sulla guancia” alcune provocazioni evidentemente deliberate, ci sono buone possibilità che in futuro, dopo la rapida disintegrazione e la successiva capitolazione dell’Ucraina – forse anche solo tra un anno o due – possiamo guardare indietro e riconoscere la saggezza della strategia che ha evitato la guerra nucleare grazie a un approccio metodico, incrollabile e strategicamente disciplinato.

[1] https://it.wikipedia.org/wiki/MGM-140_ATACMS


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A proposito de “IL MONDO È DI CHI FA PROGETTI “di Pierluigi Fagan e Roberto Buffagni

In margine a questo post su Facebook di Pierluigi Fagan del 1 ottobre, l’Autore e Roberto Buffagni hanno intrecciato una bella discussione, da punti di vista diversi, che pensiamo valga la pena di leggere. Nella forma concisa e semplificata di scambi come questo, vi si trovano molti spunti di riflessione sui quali noi tutti dovremo ritornare, in futuro. Ci scusiamo con gli altri interlocutori, molti dei quali sono intervenuti con commenti interessanti e pertinenti. Per coerenza e semplicità di lettura, riportiamo qui soltanto il dialogo a due tra Fagan e Buffagni.

Buona lettura.

 

IL MONDO È DI CHI FA PROGETTI (quindi non è nostro). Pochi mesi dopo l’inizio del conflitto russo ucraino, postai articoli con dichiarazioni molto ben argomentate di Zelensky, nei quali il nostro dichiarava che l’Ucraina sarebbe diventata “l’Israele d’Europa”.

Si riferiva all’idea che, finito il conflitto (era da poco iniziato, ma lui pensava già al “dopo”), Kiev sarebbe diventata un polo tecnologico grazie ad investimenti esteri (occidentali), lanciando così una Ucraina 2.0 nel futuro dell’info-digitale-globale. Per la verità già c’era una storia poco illuminata di fabbriche di biotecnologie soprattutto americane (con dietro storie ancora più oscure in cui si diceva coinvolto il figlio di Biden) dislocate nel paese che, prima della guerra, era noto per essere fuori dal novero dei paesi civili e democratici, come sancito dal Democracy Index del the Economist da qualche anno.

Lo stesso “inner circle” di Zelensky, di cui alcuni rappresentanti abbiamo apprezzato nei talk italici, era composto da giovani rampanti, anglofoni, poco più che trentenni, allevati nelle università anglo-americane. Giovanotti e giovanotte perfettamente in linea culturale con questa idea di una Nuova Ucraina che tramite il bagno di sangue, sarebbe transitata da “stato fallito” a punta di lancia info-tecnica dell’Occidente intero. Tanto al fronte mica ci andavano loro.

La cosa aveva senso non solo in termini di contenuto, ma anche di forma in quanto una Ucraina così importante dal punto di vista della ricerca, sviluppo e produzione strategica per l’intera Europa, sarebbe stata di fatto nell’UE e nella NATO a prescindere da quanto tempo concreto si sarebbe impiegato per ratificarlo. In un altro post, poco tempo dopo l’inizio della guerra, riferivo del noto gruppo di interesse che collettava la galassia atlantista stabilitisi a Kiev da tempo che, già ai tempi dell’elezione di Zelensky, interveniva pubblicamente dicendogli cosa doveva e non doveva fare. Zelensky è stato eletto nel 2019, ma questa gente operava massicciamente in Ucraina da anni.

Tutte cose a suo tempo del tutto note a chi segue le questioni geopolitiche non serietà ovvero non chi si sveglia la mattina e si mette a commentare fatti (o meglio articoli di giornali che danno una certa versione dei fatti) come se questi sorgessero improvvisi dal cappello magico del Mago Epifenomeno.

Per altro, occorre lettori e lettrici comprendano che chi scrive non è un giornalista ed ha poco o nulla interesse a far da cane di caccia di questi dietro le quinte. Come studioso, so perfettamente che ci sono i dietro le quinte, è nella storia, come lo sanno tutti quelli che trattano questi argomenti. Basta quindi approcciare il fenomeno del mondo facendosi le domande giuste, basta una intervista a Zelensky, basta capire cosa sta dicendo dietro ciò che sta dicendo, unirlo ad altre info e si ha il quadro senza passare la vita a scavare nella fogna degli eventi che scorre sotto le nostre strade pulite, resilienti, inclusive, innovative, sfidanti, futuro-promettenti e quanto alla galassia dei “valori” con cui si baloccano le menti ignare della realtà pensando di vivere nel migliore dei mondi possibili.

Non solo gli studiosi, anche i poeti sanno queste cose come ad esempio T.S.Eliot per il quale era noto che “Il genere umano non può sopportare troppa realtà”. Cosa arcinota anche ad ogni potere che riveste le scabrose vicende proprie di ogni potere di confezioni profumate, colorate, morbide ed attraenti ovvero ideologie, passioni, valori, identità, manifesti etici. Chi li vota e chi si sottomette al loro comando, avrebbe uno choc nello scoprire quanto è disgustosa la faccenda.

Molti studiosi abboccano anche loro alla versione parolaia delle realtà, debbono campare quindi lo fanno per lavoro o per debolezza psico-cognitiva. Altri sopportano il male del mondo, c’è, che ci vuoi fare, almeno cerchiamo di capire come funziona, magari troviamo il modo per diminuirlo un po’. I poeti, invece, poverini, ne escono con l’anima maciullata visto che di impostazione sono persone che vivono coltivando la sensibilità umana. Per questo tra i poeti c’è il più alto tasso di suicidi.

Ad ogni modo, eccoci all’approdo odierno di cotanta storia. Copio + incollo da Repubblica di stamane:

«L’Ucraina diventerà l’Israele d’Europa». Gli analisti militari più esperti usano questa immagine per spiegare il senso della cosiddetta Alleanza delle industrie della difesa, l’iniziativa lanciata dal presidente Zelensky davanti a 252 produttori di armamenti ed equipaggiamento giunti a Kiev da trenta Paesi per partecipare al primo forum internazionale del settore organizzato a conflitto in corso. «L’Ucraina nel futuro prossimo vuole essere insieme hub della tecnologia bellica occidentale più avanzata e prima utilizzatrice delle forniture realizzate nel suo stesso territorio», concordano gli analisti. Non più solo consumatrice di sistemi d’arma, quindi, ma anche produttrice ed eventualmente esportatrice. «È lo scenario più plausibile, che ricorda appunto la situazione in cui si trova Israele». C’è da apprezzare il buonsenso dell’idea, da consumatore e produttore, razionalità economica e strategica in un colpo solo.

“Zelensky ha anche un secondo scopo, però: attrarre investimenti e creare partnership con l’industria internazionale della difesa, sia pubblica che privata, finalizzando joint venture che portino alla delocalizzazione, cioè alla produzione delle armi Nato direttamente in Ucraina. “ dice Rep. Ucraina bene comune dell’Occidente ed hot spot governato da una banda di oligarchi trafficanti d’armi che è poi esattamente quello che facevano anche prima della guerra, assieme a corpi di giovani donne e traffico di droga e continuano a fare “per finanziare la propria eroica resistenza”, certificato dal rapporto 2013 del Dipartimento di Stato americano INCSR (International Narcotics Control Strategy Report che elegge lo sfortunato paese, hub internazionale di primo livello nel black-business). Oddio “per finanziare la propria eroica resistenza” magari è un po’ esagerato visto che è abbondantemente finanziata da noi e dagli americani.

Deliziosa la chiusura dell’articolo del giornale di Molinari: “Dietro la mossa di Zelensky, dietro l’Alleanza offerta all’industria della guerra (concordata con Washington assicura il giornale e sponsorizzata dall’industria delle armi britannica e tedesca che poveretti, ora hanno problemi con la loro industria metallurgica visto che gli hanno tagliato il gas), c’è anzitutto un’esigenza. Impellente e decisiva. Kiev ha percepito che l’aiuto degli alleati non sarà per sempre e non sarà per sempre a costo zero. Glielo ha ricordato, ancora due giorni fa, il ministro della Difesa francese Lecornu. «Gli arsenali francesi si stanno svuotando. La fornitura gratuita di armi deve diventare l’eccezione, la regola dev’essere la partnership industriale». Che, tradotto, significa che l’Ucraina, nel medio termine, dovrà mettere in conto di dover pagare per veder arrivare le armi che le stanno consentendo di resistere alla Russia.”. Eh cribbio, mica vorremmo passare la vita a dare soldi agli ucraini per le armi no? Che se le producano loro!

Grandioso, e con quali soldi gli ucraini dovrebbe far investimenti per diventare la Nuova Israele? Ma che sciocchini che siete, coi nostri e con quelli di tutto il complesso finanziar-militar-industrial-commerciale che è la vera punta di lancia dell’Industria 4.0 con cui gli americani sperano di evitare il tramonto occidentale con qualche app ed un po’ di intelligenza artificiale attorno.

Passano gli anni, i decenni, ma l’essenza occidentale non fa un passo avanti, amiamo le tradizioni. Sì, va be’ c’è qualche maschio che si traveste da femmina, siamo per una nuova etica con cui trattare gli animali (Nussbaum), andiamo dallo psicologo perché non sopportiamo il peso della consapevolezza della sesta estinzione di massa che avanza a grandi passi, però al fondo amiamo la nostra essenza eterna: à la guerre comme à la guerre!

Così chi può, ha deciso che affronteremo l’era complessa, meno cultura, mono-informazione, più lavoro a meno costo e diritti, democrazia di nome mai ormai non più di minimo fatto, grandi ondate di indignazione contro il Male del mondo autocratico, arabo, africano, cattivo, insensibile, infame, discriminatorio.

Il mondo è di chi fa progetti, questo è il progetto per il nostro Occidente, pensato e composto da decenni, preparato, guidato, tessuto con perizia e pazienza mentre voi vi dedicate alle pesche. Se poi qualcuno ha l’ardire di farvelo notare, sarà sicuramente un complottista, va tutto bene. L’importante è che non vi venga neanche per l’anticamera del cervello il dubbio che il mondo va, più o meno, per come qualcuno l’ha progettato, le strategie non esistono, tutto accade come lo vedete, a caso, azione-reazione.

Un tizio maligno dopo venti anni di proscenio mondiale, accorpato addirittura nei G8, con cui abbiamo fatto lingua in bocca per anni ed anni, una mattina si sveglia e si ricorda che lui è l’erede di Pietro il Grande, invade l’Ucraina e noi ci alziamo come un sol uomo al grido di “Libertà, Liberta!”. Da qui alla Nuova Israele è un attimo, segue Armageddon. Valore dei classici…

[Non so se l’articolo è a pagamento, l’essenziale però l’ho riportato nel virgolettato] Il noto gruppo di interesse citato nell’articolo è questo, 2019, avvertimento al neoeletto Zelensky (in realtà eletto anche dai russofoni, con mire anticorruzione e favorevole a gli accordi di Minsk. Dopo aver letto “Foreign Policy Issues” (ripeto 2019!), andare su About UCMC e scrollare a Donors: https://uacrisis.org/…/71966-joint-appeal-of-civil…#

 

ROBERTO BUFFAGNI Grazie Pierluigi. Il mondo è di chi fa progetti e ci indovina. Gli ucraini non ci hanno indovinato, e infatti il loro progetto finirà nel buco nero in cui stanno trasformando il loro paese.

PIERLUIGI FAGAN Roberto, il progetto non è ucraino. Attenzione a ridurre il conflitto alle mappe militari, quello è solo un aspetto e neanche il più importante.

ROBERTO BUFFAGNI Certo, hai ragione. Guarda però che a mio avviso, il progetto statunitense è sbagliato perché hanno errato l’analisi della correlazione di forze in tutti i campi dove conta: militare, economico e politico. Poi, sempre secondo me, il confronto militare, specialmente il confronto militare quasi diretto (speriamo non diretto senza quasi) tra grandi potenze come questo NATO-Russia lo è, la cosa più decisiva, perché una sconfitta umiliante fa perdere prestigio, deterrenza, influenza a chi la subisce. Qui chi perde in Ucraina ne esce seccamente ridimensionato se gli sconfitti sono gli USA, destabilizzato e forse distrutto se è la Russia. Perché perda la Russia ci vuole una serie di miracoli. Io in Dio ci credo ma una sfilza di miracoli così non mi è nota.

PIERLUIGI FAGAN C’è un altro piano del discorso. Portare il conflitto ad un livello in cui può succedere l’irreparabile. Tante cose che ci sembravano assurde due anni fa, oggi sono normali. Il conflitto non è stato programmato per avere fine, ma per salire gradini di una scala che chissà dove arriva. Oggi Vincenzo Costa scriveva un post sullo sdoganamento del nazionalismo, bestia che se fai uscire dalla gabbia non la riprendi più. Russia ed Europa sono sulla stessa zolla di terra, gli USA no.

ROBERTO BUFFAGNI Il conflitto è GIA’ su un piano in cui può succedere l’irreparabile. In caso di conflitto convenzionale NATO-Russia lo U.S. Army War college prevede 100.000 perdite/mese, un livello inaccettabile politicamente in Occidente, di modo che si giungerebbe rapidamente all’impiego dell’arma nucleare, prima tattica e poi nessuno sa che cosa succede perché non esistono precedenti e la pressione psicologica sui decisori farebbe fondere il granito. I russi hanno già detto che a loro un mondo senza la Russia non interessa, e io ci credo perché questo grado di determinazione assoluta sta nel loro patrimonio storico plurisecolare (qui quello che per ora, sottolineo “per ora” è stato fatto uscire dalla gabbia è il patriottismo russo, un animale che mette soggezione, ma non è il nazionalismo russo che è la mutazione genetica del patriottismo, e che uscirebbe senz’altro se il conflitto NATO-Russia si fa diretto). Siccome l’elemento più affidabile per indovinare il comportamento futuro è il comportamento passato, se uno pensa che i russi cedano prima di vincere alle loro condizioni quando ritengono sia in ballo l’esistenza della patria si sbaglia, secondo me. Per ora sono estremamente cauti e prudenti, e speriamo che continuino ad esserlo (tanti auguri di lunga vita e buona salute a Putin, statista moderato e saggio). Aggiungo per concludere che gli oceani non proteggono più come prima gli Stati Uniti, per l’evoluzione della tecnologia militare anche convenzionale.

PIERLUIGI FAGAN Sì, sì concordo ovvio, ma non stavamo facendo previsioni di chi vince (troppe variabili aperte e dinamiche non lineari), stavamo facendo analisi su cosa hanno pensato quelli che hanno varato questa strategia. Non so come hanno immaginato il finale. L’idea che qualcuno espone (secondo me per rincuorarsi) di una banda di cialtroni che agiscono alla come viene, non credo sia realistica. Ed al di là del finale più o meno cruento, pensare a cosa sarà la realtà politica, economica, sociale qui in Europa dopo questo lungo trattamento, m’inquieta. Un meeting di 252 armaioli stante che non c’è solo l’Ucraina, o in futuro l’Artico o il Centro-Asia o il Mar cinese, dà il segno dei tempi. Molto brutti, ma non solo per ucraini o russi. Se i “consumatori” diventano “produttori”, anche noi spettatori potremmo diventare attori alle giuste condizioni, condizioni che ci sembrano assurde oggi, ma potrebbero non esserlo più domani. Ritorna al 1914.

ROBERTO BUFFAGNI “cosa hanno pensato quelli che hanno varato questa strategia” è una bellissima domanda alla quale è estremamente difficile rispondere. Secondo me la tua risposta è perfetta se modifichiamo leggermente la domanda: “che cosa HANNO CREDUTO di pensare quelli che hanno varato questa strategia”. Essi NON sono né erano una banda di cialtroni, erano però, a mio avviso a) ubriachi di potenza e di certezza dell’impunità dopo il crollo dell’URSS b) drogati ideologicamente da una prospettiva sul mondo e sull’uomo radicalmente sbagliata che sta producendo la sua maestosa eterogenesi dei fini. Commessi i primi errori strategici di fondo (anzitutto l’integrazione della Cina nel sistema mondo a guida USA e lo sfruttamento senza riguardi della Russia) ne stanno facendo altri, a catena, in un circolo vizioso di correzioni dell’errore che sono altri errori che esigono altre correzioni che sono altri errori e così via fino al BLAM finale che non si sa in che forma e quando arriverà.

PIERLUIGI FAGAN Secondo te non hanno calcolato che i russi sono quattro volte gli ucraini e con 5000 testate nucleari? Ho letto delle analisi di generali americani da te pubblicati. I generali sono come gli economisti, leggono il mondo con una sola lente polarizzata, ma il mondo è l’insieme dei fatti ed a molti, la complessità di questo “insieme” sfugge. Non credo sfugga a chi governa il potere americano, possono sbagliare, possono non aver scelta ed infilarsi in un cul de sac, hanno però consapevolezza dell’intreccio di quell’insieme a differenza di molti altri.

ROBERTO BUFFAGNI Secondo me hanno calcolato a) che i russi fossero militarmente deboli, e che le FFAA ucraine, nel 2022 il secondo esercito NATO dopo gli USA le cui truppe per tradizione storica combattono con molta determinazione, fossero in grado di infliggere loro una sconfitta decisiva IN UCRAINA b) hanno creduto che le sanzioni destabilizzassero l’economia russa e aprissero crepe nella classe dirigente c) non hanno calcolato le capacità di generazione delle forze dell’industria militare russa d) hanno calcolato male la capacità della Russia di formare alleanze politiche. In sintesi hanno creduto che fosse possibile indebolire la Russia abbastanza da a) confinare il conflitto in Ucraina, e qui sconfiggere rapidamente le forze russe disponibili b) destabilizzare la Russia economicamente e politicamente, suscitando le spinte centrifughe sempre latenti in Russia. Per farla corta, hanno creduto che non fosse necessario infliggere una sconfitta militare decisiva a TUTTA la Federazione russa, facendola capitolare, come in realtà sarebbe necessario perché la NATO ottenesse una vittoria, ma bastasse una sconfitta parziale della Russia in Ucraina in combo con l’indebolimento sociale ed economico. Ovviamente quanto precede è una mia ipotesi, non mi ha telefonato Milley. Le ragioni dell’errore sono, in pillola, esposte nel commento precedente. Liofilizzando hanno sottovalutato gravemente la Russia e sopravvalutato gravemente se stessi. Aggiungo che “le analisi dei generali americani da me pubblicate”, che penso sia lo studio dei colonnelli dell’U.S. Army War College, dimostrano una cosa certo vera, ossia che ci sono ottimi professionisti nelle FFAA americane, ma costoro NON fanno parte dei circolo dei decisori, e anzi devono dire quel che dicono in punta di piedi e con mille eufemismi e circonlocuzioni, perché negli USA si verifica quel che si verifica anche qui, cioè la degenerazione delle classi dirigenti, la chiusura del pluralismo delle opinioni, vedi Mearsheimer che deve fare il dissidente sui social come te e me, insomma l’assenza di circolazione delle élites (v. Pareto). In breve chi prende le decisioni e detta l’agenda NON è chi dovrebbe farlo perché è il più bravo. Tutto qui ma è tanta roba.

Aggiunta. La previsione militare degli americani si è dimostrata errata, ma non era folle, perché (sempre secondo me, lo dico una volta sola) i russi, con l’intervento di febbraio, hanno fatto un capolavoro strategico e operativo. In inferiorità numerica 1:3, con una grande manovra diversiva hanno occupato il Donbass e protetto la Crimea. È probabile che l’intervento sia stato deciso in quel momento perché i russi, dalle informazioni che avevano e dall’interpretazione che davano delle intenzioni NATO, hanno prevenuto un attacco in forze ucraino nel Donbass che avrebbe minacciato direttamente la Crimea, e che sarebbe stato impossibile contrastare con le forze russe allora disponibili. Se il piano NATO-Ucraina era quello, in caso di riuscita i russi avrebbero subito una grave sconfitta militare, per reagire alla quale avrebbero dovuto mobilitare centinaia di migliaia di uomini, nell’ordine del milione, e affrontare una guerra estremamente difficile e costosa. Con la spinta di una crisi economica provocata dalle sanzioni, la destabilizzazione della Russia sarebbe stata possibile. Secondo me il progetto NATO-Ucraina era questo, a grandissime linee.

PIERLUIGI FAGAN Io e te abbiamo una visione radicalmente diversa. Tu pensi che la guerra in Ucraina l’abbiano promossa pensando solo alla Russia, io penso che l’abbiano promossa per più ragioni in cui c’è anche quello che dici, ma c’è anche (soprattutto) la piena e veloce cattura egemonica dell’Europa per riquadrare l’Occidente in vista del conflitto multipolare (fatto e non era affatto scontato), oltreché come citava Dado Derrick il vecchio caro keynesismo di guerra che oltretutto mobilita fondi, ricerche e sviluppi con ampie ricadute tecno-commerciali (lo stanno facendo) per economie occidentali sempre più alla frutta (e non solo alla “pesche”  ). Chi decide fa sintesi del sistema, ha responsabilità di sistema e la sintesi sfugge a molti studiosi che sono specializzati in un campo alla volta ed a cui sfugge irrimediabilmente il “sistema”.

ROBERTO BUFFAGNI C’è sicuramente anche questo, Pierluigi. Secondo me la cattura dell’Europa era un contorno, diciamo, e non il piatto forte. Il piatto forte era: sconfiggere la Russia e contenere la Cina. È poi vero che il mio punto di vista può esser distorto perché parziale, vedo meglio le dinamiche militari delle altre così che cerco le chiavi dove per me c’è luce, diciamo.

PIERLUIGI FAGAN Contorno? Pensa che quello che per te è un “contorno” per me è il tacchino del Thanksgiving in chiave di conflitto multipolare. Prima fai la squadra, poi giochi, immagina il conflitto multipolare con Germania, Francia ed Italia che flirtano con russi, cinesi e resto del mondo, entrano nei BRICS e nella Via della Seta e campano col gas siberiano, non ti reggono sponda all’ONU (e conseguenti), commerciano liberamente “col nemico”. Pensa solo se gli olandesi non avessero messo il ban alla Cina per le stampanti di sfoglie di chip ultima generazione. Questo conflitto non è solo multi-polare è multi-dimensionale, come ebbe a notare Qiao Ling in “Conflitto senza limiti” (LEG Edizioni, consiglio vivamente se sfuggito). In più, in termini di soft power, ti tolgono pure la legittimità di agire in nome alla “civiltà occidentale” come capitò a Bush in Iraq. Abbiamo forme del mentale molto diverse, è evidente, ne nascono analisi e giudizi diversi, ovvio. Le guerre era cose solo militari tanto tempo fa oggi sono “la continuazione della politica con tutti i mezzi”.

 

ROBERTO BUFFAGNI Ho pensato alla tua constatazione, indubbiamente corretta, che tu ed io “Abbiamo forme del mentale molto diverse, è evidente, ne nascono analisi e giudizi diversi, ovvio” e ho cercato di capire perché. Credo che la ragione sia l’impostazione teorica: per me, nella logica di potenza la priorità numero 1 degli attori è la sicurezza, la condizione necessaria (benché non sufficiente) per perseguire tutti gli altri obiettivi che si propongono. Di conseguenza, quando il conflitto diviene aperto cioè militare, questo dominio assume l’importanza numero 1, e la gerarchia di tutti gli altri domini si disegna in conformità alla relazione necessaria che intrattengono con esso. Non ho capito bene se anche nella tua impostazione teorica c’è una priorità numero 1.

PIERLUIGI FAGAN Dal punto di vista americano che questa guerra ha preparato, voluto ed apparecchiato? Mantenere quanta più potenza possibile nella pur inevitabile transizione multipolare. Molti hanno scoperto questo concetto del “multipolare” di recente, ma sono almeno due decenni che se ne discute nelle “alte sfere teoriche” di politica, IR (come chiamano l’argomento che noi chiamiamo “geopolitica” gli americani, in genere), geoeconomia e geofinanza, think tank vari. Non c’entra niente la sicurezza, che problema di sicurezza vuoi che abbiamo gli americani in mezzo a due oceani, ma poi chi li minaccerebbe davvero? Catturare integralmente l’Europa, cercar di imporre il “o di qui o di lì” al resto del mondo, apparecchiare la nuova guerra fatta di varie guerre e conflitti che non si sa se fredda o calda, abbassare la potenza militare russa anche in previsione di altri conflitti e sfere di egemonia (Artico, Centro Asia? Africa, Medio Oriente), disturbare in tutti i modi la crescita cinese e provare a fargli terra bruciata attorno. In tutto ciò, usare il militare con ricerca e produzioni annesse (pensa alla corsa per lo spazio) potenziate dallo sviluppo delle tecnologie NBIC, per sostenere un minimo l’economia con un keynesismo bellico di fatto (ci hanno inventato Internet, il GPS e molto altro, partendo da sviluppi militari, è stata la norma in Occidente, sin dal calcolo delle parabole dei proiettili di cannone al tempo di Galileo e tutta la rivoluzione artigianale e meccanica del XV e XVI secolo). Quanto ai russi nello specifico, l’obiettivo è tenerli occupati per lungo tempo ed infatti Putin sta conducendo sin dall’inizio un conflitto basato sul lungo tempo. Sa perfettamente che l’unica strategia americana che in qualche modo ha funzionato nel dopoguerra è stata impegnare l’URSS in decenni di conflitto usando risorse per il militare e non per il sociale. E’ come a poker. Se hai un contro in banca dieci volte il tuo avversario, alzi continuamente la posta, prima o poi lui non reggerà più. La vedo così, per come ho formato la mia interpretazione mentale, in maniera sistemica, credo ragionino in termini strategico sistemici, anzi ne sono certo. Più che leggere i grandi critici del loro sistema, a volte mi dedico a leggere i loro “intellettuali”, cerco di capire che ragionamenti si scambiano nel loro ambito. Si imparano un sacco di cose. Impari più cose da Kagan che da Hudson. Se non l’hai fatto, leggiti Qiao Liang, i cinesi sanno cose quando si tratta di “strategia”. Quel testo fece molto rumore negli USA ed è del 1999!

ROBERTO BUFFAGNI Grazie della bella replica. Ho letto Qiao Liang, anche Kagan e gli altri che citi o a cui alludi. Concordo con te che si debba ragionare in termini sistemici, e che così ragionino i decisori, americani e non solo. Cerco di farlo anche io. La differenza di prospettiva tra noi è che a mio avviso, il sistema si incardina intorno al problema sicurezza, il nucleo e la condizione di possibilità della potenza. Non ritengo più vero che gli Stati Uniti siano protetti dallo scudo oceanico come lo erano fino a qualche anno fa, perché a) l’evoluzione della tecnologia militare convenzionale mette a rischio il territorio statunitense + rende obsolete le flotte di superficie + rende estremamente difficile e costosa la proiezione di forza contro un nemico alla pari + rende vulnerabili le loro molte (troppe) basi estere. Per farla molto corta, gli USA sono overextended. Cercheranno sicuramente di sovraestendere la Russia con la partita a poker che descrivi (è il piano RAND di qualche tempo fa), però a) la guerra in Ucraina fa diventare la Russia PIU’, non MENO potente, perché a) sviluppa il dispositivo militare, tecnologia ed esperienza comprese, e l’economia industriale russa nel suo complesso in quanto potenza latente b) incoraggia una trasformazione complessiva della formazione sociale russa, che ritorna alla sua “forma ideale” che è imperiale, con le forze armate al primo posto e un patto tra lo Stato cesaristico e il popolo minuto (che deve combattere) + si forma una aristocrazia guerriera che innerverà la classe dirigente legittimandosi con la più antica forma di legittimazione, la guida in battaglia + vengono esclusi o marginalizzati dalla classe dirigente gli occidentalisti russi c) sintesi, in questo poker non c’è un giocatore con un C/C centuplo dell’altro, che può rilanciare fino al cielo ed escludere dal tavolo di gioco l’avversario. Ci sono due giocatori, il più forte dei quali ha la classe dirigente nella parabola discendente del ciclo, e il meno forte che ha la classe dirigente nella parabola ascendente. Poi ovviamente c’è il terzo giocatore, la Cina, che anch’essa ha la classe dirigente nella parabola ascendente, ha fondi quasi illimitati, ed è costretto ad allearsi con il giocatore russo perché a) se la Russia viene sconfitta sa di essere il primo della lista b) ha bisogno dell’esperienza militare russa perché la Cina ha le forze armate, ma non fa guerre da troppo tempo e le ultime che ha fatto le ha perdute. Per farla molto corta, a mio avviso gli Stati Uniti stanno facendo il passo molto più lungo della gamba, e mettono a rischio la propria sicurezza, anche la sicurezza del loro territorio nazionale perché i rischi di estensione della guerra in Ucraina sono reali, e implicano una possibilità, per ora piccola che può crescere fino a divenire una seria probabilità, di coinvolgimento del territorio americano. Questo rischio che si stanno prendendo è senz’altro volto a conservare il dominio egemonico che hanno conquistato dopo il crollo dell’URSS, ma andrebbe rammentato che non si può difendere tutto: chi difende tutto non difende nulla. La scelta strategica con un migliore rapporto rischi/benefici non era questa (era il rovesciamento delle alleanze dopo l’implosione dell’URSS, amicizia con la Russia e ostilità verso la Cina) ma una volta adottata la linea diventa estremamente difficile, quasi impossibile cambiarla, e ogni tentativo di correzione parziale implica nuovi errori, e così via in un circolo vizioso molto pericoloso (per tutti noi, non solo per loro).

PIERLUIGI FAGAN Molto bene, bella discussione. Quello che dici alla fine, sai che è quanto pensano più o meno quasi tutti gli strateghi a parte il gruppo degli invasati neocon ovvero dividere il nemico. Non sono certo io a difendere l’altra strategia, mi limito ad analizzarla. E’ piuttosto complicato capire meglio perché hanno scelto questa idea di lasciare l’avversario con due teste invece che provare a dividerlo in due come pensava Trump (e come pensano dai sacri testi di strategia ad un po’ tutti). Forse hanno visto questioni di legittimità, forse la Russia si presta a far keynesismo bellico visto che la Cina certo non abbocca più di tanto a tensioni come quelle di Taiwan, forse dovevano creare il muro tra Europa e Russia, forse -più semplicemente- il grosso del deep state ci metterà qualche generazione prima di non ritenere la Russia il problema dei problemi anche nell’immaginario. Ad ogni modo, per me il punto che hanno in testa è da qui a trenta anni o forse anche meno, in fondo sanno anche loro che ogni quattro-otto anni cambiano squadra, è il come difendere la proprie condizioni di possibilità economico-finanziarie che gli permettono di fare il 20% del Pil mondiale con solo il 4,5% della popolazione mondiale. Quell’eccesso di ricchezza (che poi si ridistribuiscono internamente alla ca@@o) dipende ovviamente molto da quanta porzione di mondo controllano. Quello che infine io credo semmai dovessi far loro una strategia è che forse non c’è una strategia per quell’obiettivo, stanno andando contro la storia, dovrebbero riorganizzarsi internamente fino a che sono ancora grossi e potenti. Ma del fallimento delle élite sorte in un momento storico ed incapaci di cambiare strada riconoscendo in tempo la profondità del cambiamento storico, è piena la storia. Non c’è e non c’è a nessun livello negli Stati Uniti, una discussione anche di nicchia sul “chi siamo? dove andiamo? Come possiamo andarci?”, anche fuori delle élite. E’ proprio che non sono in grado di realisticamente resettarsi, anche solo mentalmente.

ROBERTO BUFFAGNI Sì, bella discussione di cui ti ringrazio. Ecco, uno dei problemi più seri dell’Occidente e delle sue classi dirigenti è che tacita e rende impossibili queste “belle discussioni”, c’era più pluralismo nell’Impero spagnolo che perlomeno consentiva la pubblicazione delle analisi degli “arbitristas” (poi non è bastato, in effetti solitamente le classi dirigenti in decadenza non ascoltano nessuno e vanno a sbattere). Concordo con te che gli USA “dovrebbero riorganizzarsi internamente fino a che sono ancora grossi e potenti”, in sintesi la strategia più prudente ed efficace sarebbe un isolazionismo temperato, rafforzare la propria egemonia sull’emisfero occidentale, rafforzare la coesione in patria redistribuendo meglio la ricchezza, reindustrializzarsi, in sintesi rafforzare la propria base di potenza in vista dei conflitti futuri. Ma è un vaste programme che gli USA non vorranno e potranno seguire perché va contropelo a tutta la loro cultura, alla quale personalmente addebito il 75% della responsabilità degli errori strategici commessi dopo il 1991.

PIERLUIGI FAGAN Temo che il “ripensamento” della nostra condizioni di possibilità, quelle che permettono l’odine relativo delle nostre vite, sia un problema più ampio che riguarda anche noi europei ed italiani. E’ la mancanza di una seria e realistica diagnosi del mondo che inquieta di più. I più non hanno capito in che epoca son capitati. Giusto, ovvio, umano addossare le colpe alle nostre élite direttive. Tuttavia le forme di vita associata collassano tutte intere, élite con popolo appresso.

ROBERTO BUFFAGNI E su questo punto concordiamo al 371%. La responsabilità etica è anzitutto delle classi dirigenti, ma la responsabilità politica è delle intere comunità, che ne pagano il prezzo, spesso in proporzione inversa alla responsabilità etica.

PIERLUIGI FAGAN …da qui la mia invocazione per la ripresa dei modi democratici. Non è ideologica è del tutto e semplicemente funzionale. Tutto l’insieme di cambiamenti cui dovremmo sottoporci per avere una qualche speranza di trovare un modo adattativo al nuovo mondo, non potranno esser gestiti, accettati, condotti se la maggior parte delle persone non partecipa del problema e dei vari tentativi per affrontarlo. E’ come quando la famiglia (impresa/squadra di calcio etc.) è alle prese con problemi gravi, si fa consiglio, si spiega bene a tutti il problema, si sente cosa hanno da dire tutti gli altri, poi si decide e si fa accettando gli sbagli, gli intoppi, le difficoltà in comune. Non c’è una via facile per risolvere il nostro problema adattativo, forse molti non hanno ben presente realistiche diagnosi e prognosi cosa comportano.

ROBERTO BUFFAGNI E’ un’ipotesi di soluzione, spero che venga adottata ma diciamo che non ci scommetterei tanti soldi Pierluigi  Fuor di scherzo la tua ipotesi richiede, per cominciare, che ci sia un padre molto forte, saggio e autorevole, sennò la discussione in famiglia finisce nel chiacchiericcio o nella lite. Nella storia questo padre si chiama re, imperatore, zar, presidente, vedi tu, va bene anche Paperino, l’etichetta conta poco, conta il contenuto.

PIERLUIGI FAGAN A be’, neanche io. Tuttavia sarebbe già di conforto condividerne l’illusoria speranza. Mostrerebbe almeno senso adulto di responsabilità. Vedo molti che ancora pensano che il problema sia il motivetto da far suonare all’orchestra del Titanic. Ci rivediamo tutti di notte nella acque gelide…allora sì che forse si capirà quanto certe discussioni sono surreali.

ROBERTO BUFFAGNI E anche qui concordiamo al 371%. La lezione arriva, sarebbe meglio se arrivasse PRIMA dell’iceberg.

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IL MONDO È DI CHI FA PROGETTI, di Pierluigi Fagan

IL MONDO È DI CHI FA PROGETTI (quindi non è nostro). Pochi mesi dopo l’inizio del conflitto russo ucraino, postai articoli con dichiarazioni molto ben argomentate di Zelensky, nei quali il nostro dichiarava che l’Ucraina sarebbe diventata “l’Israele d’Europa”.
Si riferiva all’idea che, finito il conflitto (era da poco iniziato, ma lui pensava già al “dopo”), Kiev sarebbe diventata un polo tecnologico grazie ad investimenti esteri (occidentali), lanciando così una Ucraina 2.0 nel futuro dell’info-digitale-globale. Per la verità già c’era una storia poco illuminata di fabbriche di biotecnologie soprattutto americane (con dietro storie ancora più oscure in cui si diceva coinvolto il figlio di Biden) dislocate nel paese che, prima della guerra, era noto per essere fuori dal novero dei paesi civili e democratici, come sancito dal Democracy Index del the Economist da qualche anno.
Lo stesso “inner circle” di Zelensky, di cui alcuni rappresentanti abbiamo apprezzato nei talk italici, era composto da giovani rampanti, anglofoni, poco più che trentenni, allevati nelle università anglo-americane. Giovanotti e giovanotte perfettamente in linea culturale con questa idea di una Nuova Ucraina che tramite il bagno di sangue, sarebbe transitata da “stato fallito” a punta di lancia info-tecnica dell’Occidente intero. Tanto al fronte mica ci andavano loro.
La cosa aveva senso non solo in termini di contenuto, ma anche di forma in quanto una Ucraina così importante dal punto di vista della ricerca, sviluppo e produzione strategica per l’intera Europa, sarebbe stata di fatto nell’UE e nella NATO a prescindere da quanto tempo concreto si sarebbe impiegato per ratificarlo. In un altro post, poco tempo dopo l’inizio della guerra, riferivo del noto gruppo di interesse che collettava la galassia atlantista stabilitisi a Kiev da tempo che, già ai tempi dell’elezione di Zelensky, interveniva pubblicamente dicendogli cosa doveva e non doveva fare. Zelensky è stato eletto nel 2019, ma questa gente operava massicciamente in Ucraina da anni.
Tutte cose a suo tempo del tutto note a chi segue le questioni geopolitiche non serietà ovvero non chi si sveglia la mattina e si mette a commentare fatti (o meglio articoli di giornali che danno una certa versione dei fatti) come se questi sorgessero improvvisi dal cappello magico del Mago Epifenomeno.
Per altro, occorre lettori e lettrici comprendano che chi scrive non è un giornalista ed ha poco o nulla interesse a far da cane di caccia di questi dietro le quinte. Come studioso, so perfettamente che ci sono i dietro le quinte, è nella storia, come lo sanno tutti quelli che trattano questi argomenti. Basta quindi approcciare il fenomeno del mondo facendosi le domande giuste, basta una intervista a Zelensky, basta capire cosa sta dicendo dietro ciò che sta dicendo, unirlo ad altre info e si ha il quadro senza passare la vita a scavare nella fogna degli eventi che scorre sotto le nostre strade pulite, resilienti, inclusive, innovative, sfidanti, futuro-promettenti e quanto alla galassia dei “valori” con cui si baloccano le menti ignare della realtà pensando di vivere nel migliore dei mondi possibili.
Non solo gli studiosi, anche i poeti sanno queste cose come ad esempio T.S.Eliot per il quale era noto che “Il genere umano non può sopportare troppa realtà”. Cosa arcinota anche ad ogni potere che riveste le scabrose vicende proprie di ogni potere di confezioni profumate, colorate, morbide ed attraenti ovvero ideologie, passioni, valori, identità, manifesti etici. Chi li vota e chi si sottomette al loro comando, avrebbe uno choc nello scoprire quanto è disgustosa la faccenda.
Molti studiosi abboccano anche loro alla versione parolaia delle realtà, debbono campare quindi lo fanno per lavoro o per debolezza psico-cognitiva. Altri sopportano il male del mondo, c’è, che ci vuoi fare, almeno cerchiamo di capire come funziona, magari troviamo il modo per diminuirlo un po’. I poeti, invece, poverini, ne escono con l’anima maciullata visto che di impostazione sono persone che vivono coltivando la sensibilità umana. Per questo tra i poeti c’è il più alto tasso di suicidi.
Ad ogni modo, eccoci all’approdo odierno di cotanta storia. Copio + incollo da Repubblica di stamane:
«L’Ucraina diventerà l’Israele d’Europa». Gli analisti militari più esperti usano questa immagine per spiegare il senso della cosiddetta Alleanza delle industrie della difesa, l’iniziativa lanciata dal presidente Zelensky davanti a 252 produttori di armamenti ed equipaggiamento giunti a Kiev da trenta Paesi per partecipare al primo forum internazionale del settore organizzato a conflitto in corso. «L’Ucraina nel futuro prossimo vuole essere insieme hub della tecnologia bellica occidentale più avanzata e prima utilizzatrice delle forniture realizzate nel suo stesso territorio», concordano gli analisti. Non più solo consumatrice di sistemi d’arma, quindi, ma anche produttrice ed eventualmente esportatrice. «È lo scenario più plausibile, che ricorda appunto la situazione in cui si trova Israele». C’è da apprezzare il buonsenso dell’idea, da consumatore e produttore, razionalità economica e strategica in un colpo solo.
“Zelensky ha anche un secondo scopo, però: attrarre investimenti e creare partnership con l’industria internazionale della difesa, sia pubblica che privata, finalizzando joint venture che portino alla delocalizzazione, cioè alla produzione delle armi Nato direttamente in Ucraina. “ dice Rep. Ucraina bene comune dell’Occidente ed hot spot governato da una banda di oligarchi trafficanti d’armi che è poi esattamente quello che facevano anche prima della guerra, assieme a corpi di giovani donne e traffico di droga e continuano a fare “per finanziare la propria eroica resistenza”, certificato dal rapporto 2013 del Dipartimento di Stato americano INCSR (International Narcotics Control Strategy Report che elegge lo sfortunato paese, hub internazionale di primo livello nel black-business). Oddio “per finanziare la propria eroica resistenza” magari è un po’ esagerato visto che è abbondantemente finanziata da noi e dagli americani.
Deliziosa la chiusura dell’articolo del giornale di Molinari: “Dietro la mossa di Zelensky, dietro l’Alleanza offerta all’industria della guerra (concordata con Washington assicura il giornale e sponsorizzata dall’industria delle armi britannica e tedesca che poveretti, ora hanno problemi con la loro industria metallurgica visto che gli hanno tagliato il gas), c’è anzitutto un’esigenza. Impellente e decisiva. Kiev ha percepito che l’aiuto degli alleati non sarà per sempre e non sarà per sempre a costo zero. Glielo ha ricordato, ancora due giorni fa, il ministro della Difesa francese Lecornu. «Gli arsenali francesi si stanno svuotando. La fornitura gratuita di armi deve diventare l’eccezione, la regola dev’essere la partnership industriale». Che, tradotto, significa che l’Ucraina, nel medio termine, dovrà mettere in conto di dover pagare per veder arrivare le armi che le stanno consentendo di resistere alla Russia.”. Eh cribbio, mica vorremmo passare la vita a dare soldi agli ucraini per le armi no? Che se le producano loro!
Grandioso, e con quali soldi gli ucraini dovrebbe far investimenti per diventare la Nuova Israele? Ma che sciocchini che siete, coi nostri e con quelli di tutto il complesso finanziar-militar-industrial-commerciale che è la vera punta di lancia dell’Industria 4.0 con cui gli americani sperano di evitare il tramonto occidentale con qualche app ed un po’ di intelligenza artificiale attorno.
Passano gli anni, i decenni, ma l’essenza occidentale non fa un passo avanti, amiamo le tradizioni. Sì, va be’ c’è qualche maschio che si traveste da femmina, siamo per una nuova etica con cui trattare gli animali (Nussbaum), andiamo dallo psicologo perché non sopportiamo il peso della consapevolezza della sesta estinzione di massa che avanza a grandi passi, però al fondo amiamo la nostra essenza eterna: à la guerre comme à la guerre!
Così chi può, ha deciso che affronteremo l’era complessa, meno cultura, mono-informazione, più lavoro a meno costo e diritti, democrazia di nome mai ormai non più di minimo fatto, grandi ondate di indignazione contro il Male del mondo autocratico, arabo, africano, cattivo, insensibile, infame, discriminatorio.
Il mondo è di chi fa progetti, questo è il progetto per il nostro Occidente, pensato e composto da decenni, preparato, guidato, tessuto con perizia e pazienza mentre voi vi dedicate alle pesche. Se poi qualcuno ha l’ardire di farvelo notare, sarà sicuramente un complottista, va tutto bene. L’importante è che non vi venga neanche per l’anticamera del cervello il dubbio che il mondo va, più o meno, per come qualcuno l’ha progettato, le strategie non esistono, tutto accade come lo vedete, a caso, azione-reazione.
Un tizio maligno dopo venti anni di proscenio mondiale, accorpato addirittura nei G8, con cui abbiamo fatto lingua in bocca per anni ed anni, una mattina si sveglia e si ricorda che lui è l’erede di Pietro il Grande, invade l’Ucraina e noi ci alziamo come un sol uomo al grido di “Libertà, Liberta!”. Da qui alla Nuova Israele è un attimo, segue Armageddon. Valore dei classici…
[Non so se l’articolo è a pagamento, l’essenziale però l’ho riportato nel virgolettato] Il noto gruppo di interesse citato nell’articolo è questo, 2019, avvertimento al neoeletto Zelensky (in realtà eletto anche dai russofoni, con mire anticorruzione e favorevole a gli accordi di Minsk. Dopo aver letto “Foreign Policy Issues” (ripeto 2019!), andare su About UCMC e scrollare a Donors: https://uacrisis.org/…/71966-joint-appeal-of-civil…#
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la Russia, l’Ucraina e il rovesciamento dottrinale della NATO, di Big Serge_a cura di Roberto Buffagni

Traduco un’acuta, concisa e perspicua analisi tecnico-storica di “Big Serge”, probabilmente il miglior commentatore delle operazioni militari in Ucraina. È stata pubblicata il 4 ottobre in forma di thread su Twitter, account @witte_sergei.

L’Autore identifica le forti somiglianze tra la condotta delle operazioni russe in Ucraina e la dottrina NATO della “Airland Battle”, elaborata al culmine della Guerra Fredda per contrastare un attacco delle forze terrestri sovietiche, nettamente superiori per uomini e mezzi disponibili, e avvantaggiate dalla prossimità logistica al campo di battaglia. La dottrina della “Airland Battle” fu elaborata sotto il diretto influsso del più grande teorico militare statunitense, il colonnello John Boyd. L’analisi di “Big Serge” termina con queste parole: “Questo dovrebbe far riflettere i vertici militari occidentali. Piuttosto che liquidare i russi come un prodotto della forza bruta, dovrebbero considerare che questo esercito russo potrebbe essere un discepolo di John Boyd – un pensiero davvero preoccupante.”

È molto significativo che lo stesso, identico richiamo a John Boyd si ritrovi nell’illuminante studio in due parti sulle prime settimane di guerra che “Marinus” – probabilmente, il Ten. Gen. (a riposo) Paul Van Riper, Corpo dei Marines– ha pubblicato nel mese di giugno e agosto del 2022 sulla “Marine Corps Gazette”, e che a distanza di un anno e mezzo si rivela non soltanto di eccellente qualità, ma preveggente. Li ho tradotti[1] e approfonditamente commentati[2] su italiaeilmondo.com. La seconda parte dello studio termina così: “L’invasione russa dell’Ucraina potrebbe segnare l’inizio di una nuova guerra fredda, una “lunga lotta nel crepuscolo” paragonabile a quella che si è conclusa con il crollo dell’impero sovietico più di tre decenni fa. Se così è, allora ci troveremo di fronte a un avversario che, pur attingendo molto dal valore della tradizione militare sovietica, si è affrancato sia dalla brutalità insita nell’eredità di Lenin, sia dai paraocchi imposti dal marxismo. Ancor peggio, potremmo trovarci a combattere dei discepoli di John R. Boyd.

Buona lettura.

Roberto Buffagni

 

 

 

Thread: la Russia, l’Ucraina e il rovesciamento dottrinale della NATO

 

Da quando gli ucraini hanno iniziato la loro controffensiva nel sud del paese, è emerso un tema: i russi stanno combattendo in modo molto simile a quello dettato dalla dottrina della NATO della fine della guerra fredda.

(1)

Thread: Russia, Ukraine, and NATO's doctrinal reversal Ever since the Ukrainians began their counteroffensive in the south, a theme has emerged; namely, that the Russians are fighting in a manner eerily similar to that dictated by NATO's late cold-war doctrine. (1)

Cominciamo tornando ad alcune nozioni di base molto rudimentali. In guerra esistono due tipi di mezzi di combattimento: gli elementi della manovra e il fuoco. Coordinare l’interazione tra i vari mezzi di manovra e il fuoco a distanza è il compito fondamentale delle operazioni militari.

(2)

Let's start by going back to some very rudimentary basics. In warfare, there are really two types of combat assets: maneuver elements and fires. Coordinating the interplay of various maneuver assets and ranged fires is the foundational task of military operations. (2)

I mezzi di manovra sono quelli che forniscono potenza di combattimento sulla linea di contatto e determinano il controllo della posizione – carri armati, fanteria, veicoli blindati, ecc. I sistemi di fuoco a distanza sono quelli che forniscono potenza di fuoco a distanza dalla linea di contatto: artiglieria, razzi, droni, aerei, ecc.

(3)

Maneuver assets are those that deliver fighting power at the contact line and determine positional control - tanks, infantry, armored vehicles, etc. Ranged fires are systems that deliver firepower remotely from the contact line - artillery, rockets, drones, aircraft, etc. (3)

Al culmine della guerra fredda, i pianificatori militari occidentali si trovarono di fronte a un problema molto semplice: come si poteva organizzare una difesa efficace contro le forze del Patto di Varsavia/Armata Rossa che possedevano un enorme vantaggio in termini di mezzi di manovra? Qual è il piano di battaglia per una forza in inferiorità numerica?

(4)

During the height of the cold war, western military planners faced a very simple problem: how could an effective defense be waged against Warsaw Pact/Red Army forces which possessed an enormous advantage in maneuver assets? What is the plan of battle for an outnumbered force? (4)

I primi tentativi teorici di risolvere questo problema sono stati scoraggianti. Un’idea era quella di adottare una postura difensiva proattiva, concentrando la potenza di combattimento sulla linea di contatto più avanzata.

(5)

Early theoretical attempts to solve this problem were discouraging. One idea was to adopt a proactive defensive posture, concentrating fighting power at the most forward line of contact. (5)

Il problema di questo concetto era la dottrina sovietica delle operazioni sequenziali – pacchetti aggiuntivi di forze di riserva fresche per rafforzare l’attacco. Anche se le forze della NATO fossero riuscite a sconfiggere l’assalto iniziale sovietico, avrebbero avuto scarse possibilità di contrastare il secondo e il terzo assalto.

(6)

The problem with this concept was the Soviet doctrine of sequential operations - additional packages of fresh reserve forces to reinforce the attack. Even if NATO forces managed to defeat the initial Soviet onslaught, they had poor odds against the second and third assaults. (6)

Un’alternativa era la “Difesa in profondità”: più strati di linee difensive progettate per assorbire e attutire l’attacco nemico. Questa soluzione fu ritenuta politicamente problematica, perché implicava che gran parte della Germania occidentale potesse essere invasa e occupata prima che i sovietici esaurissero la loro forza.

(7)

An alternative was "Defense in Depth" - multiple layers of defensive lines designed to absorb and attrit the enemy attack. This was deemed politically problematic, because it implied that much of West Germany might be overrun and occupied before the Soviets ran out of steam. (7)

In definitiva, si trattava di un problema abbastanza semplice da capire, ma molto difficile da risolvere. Le forze sovietiche potevano contare su un vantaggio del 60% in carri armati e veicoli corazzati e su un vantaggio simile in termini di truppe.

(8)

Ultimately, this was a problem that was fairly straightforward to understand, but very hard to solve. Soviet forces could count on something like a 60% advantage in tanks and armored vehicles and a similar manpower advantage. (8)

Inoltre, l’URSS era molto più vicina al potenziale campo di battaglia (la Germania) rispetto agli Stati Uniti, il che significava che sarebbe stato molto più facile per i sovietici alimentare forze e rifornimenti aggiuntivi. Questo problema è cresciuto dopo il Vietnam, con la fine della leva in America.

(9)

Furthermore, the USSR was much closer to the potential battlefield (Germany) than the United States, which meant it would be much easier for the Soviets to feed in additional forces and supplies. This problem grew post-Vietnam with the end of the draft in America. (9)

La soluzione – fortemente influenzata dal più grande teorico militare americano, John Boyd – consisteva nel bloccare un’offensiva sovietica utilizzando una combinazione di fuoco a distanza potente e preciso e di sciami di contrattacchi da parte di mezzi di manovra a terra. Esaminiamone con ordine gli elementi.

(10)

The solution - influenced heavily by America's greatest military theorist, John Boyd - was to stymie a Soviet offensive using a combination of powerful and precise ranged fires and swarming counterattacks by maneuver assets on the ground. Let's review the elements in turn. (10)

Il vantaggio sovietico in termini di potenza di combattimento si basava su un massiccio sistema di alimentazione logistica. Dovevano sia alimentare forze aggiuntive in battaglia (scaglioni) sia spostare continuamente enormi quantità di carburante, munizioni e materiali al fronte.

(11)

The Soviet combat power advantage relied on a massive sustainment system. They needed to both feed additional forces into battle (echelons) and continually move enormous quantities of fuel, munitions, and material to the front. (11)

La superiorità del fuoco di precisione americano – in particolare i sistemi missilistici basati a terra (HIMARS) e quelli lanciati dall’aria – offriva il potenziale per interrompere il sistema di sostentamento sovietico, fornendo potenza di fuoco in profondità nelle retrovie dello spazio di battaglia.

America's superior precision fires - particularly ground based rocketry (HIMARS) and air launched systems - offered the potential to disrupt the Soviet sustainment system by delivering firepower deep into the rear of the battlespace. (12)

Si prevedeva che la capacità di colpire con continuità e potenza avrebbe strangolato la potenza di combattimento sovietica, costringendola a nascondere e distribuire le risorse, impedendole di concentrare le forze di riserva, di spostarle rapidamente al fronte o di rifornirle.

. (13)

It was anticipated that a sustained and powerful strike capability would choke off Soviet fighting power by forcing them to hide and distribute assets, preventing them from concentrating reserve forces, moving them quickly to the front, or supplying them. (13)

Saturando le retrovie sovietiche di attacchi, si sperava che la potenza di combattimento sovietica potesse essere fortemente ridimensionata, impedendo all’Armata Rossa di concentrare i suoi mezzi di terra superiori, e rallentando il loro arrivo sulla linea di contatto.

(14)

By saturating the Soviet rear area with strikes, it was hoped that Soviet fighting power could be severely blunted by preventing the Red Army from concentrating its superior assets on the ground and slowing their arrival at the line of contact. (14)

Inoltre, il col. John Boyd suggerì quello che chiamò “counter blitzing”, una dottrina di vivaci contrattacchi su tutto il fronte nemico. Ciò avrebbe creato una situazione operativa ambigua e avrebbe impedito al nemico di concentrare le sue forze.

(15)

Furthermore, Col. John Boyd suggested what he called "counter blitzing" - a doctrine of lively counterattacking all over the enemy front. This would create an ambiguous operational situation and further prevent the enemy from concentrating his forces. (15)

In sostanza, queste dottrine sinergiche – attacchi di precisione in profondità e una postura di contrattacco frenetica e aggressiva – avrebbero esteso lo spazio di battaglia in tutte le direzioni, diluito la potenza di combattimento dei sovietici, e impedito loro di concentrare le forze per un assalto decisivo.

(16)

In essence, these synergistic doctrines - precision strikes in depth and a frenetic and aggressive counterattacking posture - would stretch the battlespace out in all directions, dilute Soviet fighting power, and prevent them from concentrating forces for a decisive assault. (16)

Nel complesso, questa dottrina era nota come “Airland Battle” (battaglia aereo-terrestre) e la sua qualità distintiva era la difesa in contrattacco e l’uso del fuoco di precisione per distruggere le forze nemiche di retroguardia e degradare il sostentamento del nemico.

(17)

Collectively, this doctrine was popularly known as "Airland Battle", and its defining quality was a counterattacking defense and the use of precision fires to attrit rear echelon enemy forces and degrade the enemy's sustainment. (17)

Ebbene, cosa vediamo in Ucraina? Qualcosa di piuttosto simile alla “Airland Battle”, alla battaglia aereo-terrestre, a quanto pare. La difesa russa dalla controffensiva ucraina ha visto sia una postura di contrattacco altamente proattiva, sia una crescita esponenziale delle capacità di attacco russe.

(18)

Well, what do we have in Ukraine? Something rather similar to Airland Battle, it would seem. The Russian defense against the Ukrainian Counteroffensive has seen both a highly proactive counterattacking posture and an exponential growth in Russian strike capabilities. (18)

Mentre la NATO si è impegnata a riattrezzare le forze meccanizzate dell’Ucraina (soprattutto mezzi di manovra di grosso calibro), la maggior parte delle nuove capacità della Russia si presentano sotto forma di fuochi di sbarramento come il Lancet, il Geran, l’UMPK e gli sciami di droni FPV che affliggono le truppe ucraine.

(19)

While NATO labored to retool Ukraine's mechanized force (mainly big ticket maneuver assets), most of Russia's new capabilities come in the form of standoff fires like the Lancet, Geran, UMPK, and the swarms of FPV drones that plague Ukrainian troops. (19)

Mentre gli ucraini vogliono concentrare il loro pacchetto meccanizzato a sud, i russi hanno sferrato attacchi opportunistici su tutto il fronte, attirando le riserve ucraine e creando un’estrema ambiguità operativa. Il col. John Boyd approverebbe.

(20)

While the Ukrainians want to concentrate their mechanized package in the south, the Russians have conducted opportunistic attacks all around the front, drawing in Ukrainian reserves and creating extreme operational ambiguity. Col. John Boyd would approve. (20)

Nel frattempo, i mezzi d’attacco russi continuano a martellare le aree di sosta, i depositi di munizioni e i posti di comando nel teatro meridionale. Hanno colpito treni e punti di assemblaggio, e tempestano le forze ucraine con i droni.

(21)

Meanwhile, Russian strike assets continue to hammer staging areas, ammunition dumps, and command posts in the southern theater. They've hit trains and assembly points, and they harry Ukrainian forces with drones. (21)

Tutto questo rende quasi impossibile per l’Ucraina concentrare i mezzi di manovra per attaccare, e rallenta il rafforzamento dei loro attacchi. In queste condizioni, è quasi impossibile attaccare con successo. Il fuoco viene sfruttato per disperdere e dissipare i mezzi di manovra del nemico.

(22)

All of this works to make it nearly impossible for Ukraine to concentrate maneuver assets to attack, and slow to reinforce their efforts. Under these conditions, its nearly impossible to attack successfully. Fires are leveraged to dissipate the enemy's maneuver assets. (22)

Ovviamente, la dottrina militare russa attinge al suo profondo pozzo di elaborazioni teoriche – il punto qui non è suggerire che abbiano rubato la “Airland Battle”. Forse, invece, dovremmo dire che il piano “Airland Battle” aveva identificato le verità fondamentali del campo di battaglia e delle operazioni.

(23)

Obviously, Russian military doctrine is its own deep well of thinking - the point here is not to suggest that they ripped off Airland Battle. Maybe instead, we should say that Airland Battle had identified fundamental truths of the battlefield and operations. (23)

Quando il nemico ha bisogno di concentrare le sue forze per attaccare con successo, la risposta logica è estendere lo spazio di battaglia sia orizzontalmente (contrattaccando freneticamente) che verticalmente (colpendo le sue infrastrutture di supporto e le sue riserve), costringendolo a disperdersi.

(24)

When the enemy needs to concentrate his forces to attack successfully, the logical response is to stretch the battlespace both horizontally (counterattacking frenetically) and vertically (striking his sustainment infrastructure and reserves), forcing him to disperse. (24)

Questo dovrebbe far riflettere i vertici militari occidentali. Piuttosto che liquidare i russi come un prodotto della forza bruta, dovrebbero considerare che questo esercito russo potrebbe essere un discepolo di John Boyd – un pensiero davvero preoccupante.

(25)

This should give western military leadership pause. Rather than dismissing the Russians as a product of brute force, they ought to consider that this Russian Army might just be a disciple of John Boyd - a sobering thought indeed. (25)

 

 

[1] https://italiaeilmondo.com/2022/08/29/linvasione-russa-dellucraina-parte-i-e-ii-di-marinus_a-cura-di-roberto-buffagni/

[2] http://italiaeilmondo.com/2022/08/31/sulle-implicazioni-dello-studio-sullinvasione-russa-dellucraina-pubblicato-dalla-marine-corps-gazette-di-roberto-buffagni/

L’invasione russa è stata un atto razionale È nell’interesse dell’Occidente prendere Putin sul serio DI JOHN MEARSHEIMER E SEBASTIAN ROSATO

L’invasione russa è stata un atto razionale
È nell’interesse dell’Occidente prendere Putin sul serio
DI JOHN MEARSHEIMER E SEBASTIAN ROSATO

È opinione diffusa in Occidente che la decisione del presidente russo Vladimir Putin di invadere l’Ucraina non sia stata un atto razionale. Alla vigilia dell’invasione, l’allora primo ministro britannico Boris Johnson suggerì che forse gli Stati Uniti e i loro alleati non avevano fatto “abbastanza per scoraggiare un attore irrazionale e dobbiamo accettare al momento che Vladimir Putin forse sta pensando in modo illogico e non vede il disastro che lo attende”. Il senatore statunitense Mitt Romney ha fatto un ragionamento simile dopo l’inizio della guerra, osservando che “invadendo l’Ucraina, Putin ha già dimostrato di essere capace di decisioni illogiche e autolesioniste”. L’assunto alla base di entrambe le affermazioni è che i leader razionali iniziano le guerre solo se hanno la probabilità di vincere. Iniziando una guerra che era destinato a perdere, Putin ha dimostrato la sua non razionalità.

Altri critici sostengono che Putin non era razionale perché ha violato una norma internazionale fondamentale. Secondo questa visione, l’unica ragione moralmente accettabile per entrare in guerra è l’autodifesa, mentre l’invasione dell’Ucraina è stata una guerra di conquista. L’esperta di Russia Nina Khrushcheva ha affermato che “con il suo assalto non provocato, Putin si unisce a una lunga serie di tiranni irrazionali” e sembra “aver ceduto alla sua ossessione guidata dall’ego di ripristinare lo status della Russia come grande potenza con una propria sfera di influenza chiaramente definita”. Bess Levin di Vanity Fair ha descritto il presidente russo come “un megalomane assetato di potere”; l’ex ambasciatore britannico a Mosca Tony Brenton ha suggerito che la sua invasione è la prova che egli è un “autocrate squilibrato” piuttosto che l'”attore razionale” che era un tempo.

Queste affermazioni si basano tutte su una concezione comune della razionalità che è intuitivamente plausibile, ma in definitiva difettosa. Contrariamente a quanto molti pensano, non possiamo equiparare la razionalità al successo e la non razionalità al fallimento. La razionalità non riguarda i risultati. Gli attori razionali spesso non riescono a raggiungere i loro obiettivi, non a causa di un pensiero insensato, ma a causa di fattori che non possono né prevedere né controllare. C’è anche una forte tendenza a equiparare la razionalità alla moralità, poiché si pensa che entrambe le qualità siano caratteristiche del pensiero illuminato. Ma anche questo è un errore. Le politiche razionali possono violare standard di condotta ampiamente accettati e possono persino essere mortalmente ingiuste.

Che cos’è dunque la “razionalità” nella politica internazionale? Sorprendentemente, la letteratura scientifica non fornisce una buona definizione. Per noi, la razionalità consiste nel dare un senso al mondo – cioè capire come funziona e perché – per decidere come raggiungere determinati obiettivi. Ha una dimensione sia individuale che collettiva. I politici razionali sono guidati dalla teoria, sono homo theoreticus. Hanno teorie credibili – spiegazioni logiche basate su ipotesi realistiche e supportate da prove sostanziali – sul funzionamento del sistema internazionale, e le utilizzano per comprendere la loro situazione e determinare il modo migliore per affrontarla. Gli Stati razionali aggregano le opinioni dei principali responsabili politici attraverso un processo deliberativo, caratterizzato da un dibattito robusto e disinibito.

Tutto ciò significa che la decisione della Russia di invadere l’Ucraina è stata razionale. Si consideri che i leader russi si sono basati su una teoria credibile. La maggior parte dei commentatori contesta questa affermazione, sostenendo che Putin era intenzionato a conquistare l’Ucraina e altri Paesi dell’Europa orientale per creare un grande impero russo, qualcosa che avrebbe soddisfatto un desiderio nostalgico dei russi ma che non ha alcun senso strategico nel mondo moderno. Il presidente Joe Biden sostiene che Putin aspira “a essere il leader della Russia che ha unito tutti i russofoni”. Voglio dire… penso che sia irrazionale”. L’ex consigliere per la sicurezza nazionale H. R. McMaster sostiene che: “Non credo che sia un attore razionale perché ha paura, giusto? Quello che vuole fare più di ogni altra cosa è riportare la Russia alla grandezza nazionale. È guidato da questo”.

Ma ci sono prove concrete che Putin e i suoi consiglieri pensassero in termini di teoria dell’equilibrio di potenza, considerando gli sforzi dell’Occidente per fare dell’Ucraina un baluardo al confine con la Russia come una minaccia esistenziale che non poteva essere lasciata in piedi. Il presidente russo ha esposto questa logica in un discorso che spiega la sua decisione di entrare in guerra: “Con l’espansione della Nato verso est, la situazione per la Russia diventa ogni anno più grave e pericolosa… Non possiamo rimanere inattivi e osservare passivamente questi sviluppi. Sarebbe una cosa assolutamente irresponsabile per noi”. Ha poi aggiunto che: “Non è solo una minaccia molto reale ai nostri interessi, ma all’esistenza stessa del nostro Stato e alla sua sovranità. È la linea rossa di cui abbiamo parlato in numerose occasioni. Loro l’hanno superata”.

In altre parole, per Putin si trattava di una guerra di autodifesa volta a prevenire uno spostamento negativo dell’equilibrio di potere. Non aveva intenzione di conquistare tutta l’Ucraina e di annetterla a una grande Russia. Infatti, anche se nel suo noto resoconto storico delle relazioni tra Russia e Ucraina ha affermato che “russi e ucraini erano un unico popolo – un unico insieme”, ha anche dichiarato: “Rispettiamo il desiderio degli ucraini di vedere il loro Paese libero, sicuro e prospero… E ciò che l’Ucraina sarà, spetta ai suoi cittadini deciderlo”. Tutto ciò non significa negare che i suoi obiettivi si siano chiaramente ampliati dall’inizio della guerra, ma questo non è insolito quando le guerre si sviluppano e le circostanze cambiano.

Vale la pena notare che Mosca ha cercato di affrontare la crescente minaccia ai suoi confini attraverso una diplomazia aggressiva, ma gli Stati Uniti e i loro alleati non erano disposti ad accogliere le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza. Il 17 dicembre 2021, la Russia ha avanzato una proposta per risolvere la crescente crisi che prevedeva un’Ucraina neutrale e il ritiro delle forze della Nato dall’Europa orientale alle loro posizioni del 1997. Ma gli Stati Uniti l’hanno respinta a priori.

In questo caso, Putin ha optato per la guerra, che secondo gli analisti avrebbe portato al dominio dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. Descrivendo l’opinione dei funzionari statunitensi poco prima dell’invasione, David Ignatius del Washington Post ha scritto che la Russia avrebbe “vinto rapidamente la fase iniziale e tattica di questa guerra, se ci sarà. Il vasto esercito che la Russia ha schierato lungo i confini dell’Ucraina potrebbe probabilmente conquistare la capitale Kiev in diversi giorni e controllare il Paese in poco più di una settimana”. In effetti, la comunità dei servizi segreti “ha detto alla Casa Bianca che la Russia avrebbe vinto in pochi giorni travolgendo rapidamente l’esercito ucraino”. Naturalmente queste valutazioni si sono rivelate errate, ma anche i politici razionali a volte sbagliano i calcoli, perché operano in un mondo incerto.

La decisione russa di invadere è stata anche il prodotto di un processo deliberativo, non una reazione impulsiva di un lupo solitario. Anche in questo caso, molti osservatori contestano questo punto, sostenendo che Putin ha operato senza un serio input da parte di consiglieri civili e militari, che avrebbero sconsigliato la sua avventata corsa all’impero. Come ha detto il senatore Mark Warner, presidente della Commissione Intelligence del Senato: “Non ha avuto molte persone che hanno avuto contatti diretti con lui. Siamo quindi preoccupati che questo individuo isolato [sia] diventato un megalomane in termini di idea di essere l’unica figura storica in grado di ricostruire la vecchia Russia o di ricreare la nozione di sfera sovietica”. Altrove, l’ex ambasciatore a Mosca Michael McFaul ha suggerito che un elemento della non razionalità della Russia è che Putin è “profondamente isolato, circondato solo da yes men che lo hanno tagliato fuori da una conoscenza accurata”.

Ma ciò che sappiamo della cerchia di Putin e del suo pensiero sull’Ucraina rivela una storia diversa: I subordinati di Putin condividevano il suo punto di vista sulla natura della minaccia che la Russia stava affrontando e lui si è consultato con loro prima di decidere la guerra. Il consenso tra i leader russi sui pericoli insiti nelle relazioni dell’Ucraina con l’Occidente si riflette chiaramente in un memorandum del 2008 dell’allora ambasciatore in Russia William Burns, in cui si avverte che “l’ingresso dell’Ucraina nella Nato è la più brillante di tutte le linee rosse per l’élite russa (non solo per Putin)”. In più di due anni e mezzo di conversazioni con i principali attori russi, dai gorilla annidati nei recessi oscuri del Cremlino ai più acuti critici liberali di Putin, non ho ancora trovato nessuno che veda l’Ucraina nella Nato come qualcosa di diverso da una sfida diretta agli interessi russi… Non riesco a concepire nessuna confezione regalo che permetta ai russi di ingoiare questa pillola tranquillamente”.

Né sembra che Putin abbia preso la decisione di entrare in guerra da solo, come si dice che abbia complottato in un confino indotto da Covid. Alla domanda se il presidente russo si fosse consultato con i suoi principali consiglieri, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha risposto: “Ogni Paese ha un meccanismo decisionale. In questo caso, il meccanismo esistente nella Federazione Russa è stato pienamente utilizzato”. Sembra chiaro che Putin si sia affidato solo a una manciata di confidenti che la pensano come lui per prendere la decisione finale di invadere, ma questo non è insolito quando i politici si trovano di fronte a una crisi. Tutto questo per dire che la decisione russa di invadere è molto probabilmente emersa da un processo deliberativo, con alleati politici che condividevano le sue convinzioni e preoccupazioni principali sull’Ucraina.

Inoltre, la decisione della Russia di invadere l’Ucraina non solo è stata razionale, ma anche non anomala. Si dice che molte grandi potenze abbiano agito in modo non razionale quando in realtà hanno agito in modo razionale. L’elenco comprende la Germania negli anni precedenti la prima guerra mondiale e durante la crisi di luglio, nonché il Giappone negli anni Trenta e durante la preparazione di Pearl Harbor. In entrambi i casi, i principali responsabili politici si sono basati su teorie credibili di politica internazionale e hanno deliberato tra di loro per formulare strategie per affrontare i vari problemi.

LETTURA SUGGERITA
La guerra in Ucraina non è complicata
DI DOMINIC SANDBROOK
Questo non significa che gli Stati siano sempre razionali. La decisione britannica di non schierarsi contro la Germania nazista nel 1938 fu dettata dall’avversione emotiva del Primo Ministro Neville Chamberlain nei confronti di un’altra guerra terrestre europea e dal suo successo nel bloccare una deliberazione significativa. Nel frattempo, la decisione americana di invadere l’Iraq nel 2003 si è basata su teorie non credibili ed è emersa da un processo decisionale non deliberativo. Ma questi casi rappresentano delle eccezioni. Contro l’opinione sempre più diffusa tra gli studiosi di politica internazionale, secondo cui gli Stati sono spesso non razionali, noi sosteniamo che la maggior parte degli Stati sono razionali per la maggior parte del tempo.

Questo argomento ha profonde implicazioni sia per lo studio che per la pratica della politica internazionale. Nessuna delle due può essere coerente in un mondo in cui prevale la non razionalità. All’interno dell’accademia, la nostra argomentazione afferma l’ipotesi dell’attore razionale, che è stata a lungo un elemento fondamentale per la comprensione della politica mondiale, anche se recentemente è stata messa sotto accusa. Se la non razionalità è la norma, il comportamento degli Stati non può essere né compreso né previsto e lo studio della politica internazionale è un’impresa inutile. Solo se gli altri Stati sono attori razionali, i professionisti possono prevedere come amici e nemici si comporteranno in una determinata situazione e quindi formulare politiche che promuovano gli interessi del proprio Stato.

Tutto questo per dire che i politici occidentali farebbero bene a non dare automaticamente per scontato che la Russia o qualsiasi altro avversario sia non razionale, come spesso fanno. Questo serve solo a minare la loro capacità di capire come pensano gli altri Stati e di elaborare politiche intelligenti per affrontarli. Data l’enorme posta in gioco nella guerra in Ucraina, questo aspetto non sarà mai sottolineato abbastanza.

This is an edited extract from How States Think: The Rationality of Foreign Policy by John Mearsheimer and Sebastian Rosato

È tutta una questione di loro. Ma il complesso di sicurezza occidentale pensa che sia tutto per noi. _ AURELIEN

È tutta una questione di loro.
Ma il complesso di sicurezza occidentale pensa che sia tutto per noi.

AURELIEN30
27 SET 2023
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Vi ricordo che le versioni spagnole dei miei saggi sono ora disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta ora pubblicando anche alcune traduzioni in italiano. Grazie a tutti i traduttori.

Discutendo dei deboli borbottii nelle capitali occidentali sui “negoziati” sull’Ucraina la scorsa settimana, ho sottolineato quanto sia insicuro e fragile l’ego strategico collettivo occidentale e quanto poco possa tollerare l’opposizione o la critica. Mi è sembrato che valesse la pena di approfondire un po’ questo concetto, poiché ci aiuta a capire perché l’Occidente si sia cacciato in situazioni così disastrose, come quella attuale dell’Ucraina. Cercherò anche di spiegare come sia i ferventi ammiratori della politica occidentale sia i suoi più acerrimi critici facciano in realtà parte dello stesso incoerente discorso strategico. Tutto inizia con l’etnocentrismo

L’etnocentrismo è un termine che indica la tendenza universale a vedere il mondo esterno attraverso il prisma della propria storia e cultura. L’influenza dell’etnocentrismo sulla strategia, soprattutto quella occidentale, non è un argomento nuovo e decenni fa sono stati scritti dei libri al riguardo, anche se apparentemente non hanno influenzato né il pensiero né il comportamento.

L’etnocentrismo ci conforta sul fatto che fondamentalmente comprendiamo il mondo e che possiamo ragionevolmente comprendere e persino prevedere come e perché gli altri si comportano. Nei casi più estremi, l’etnocentrismo incorpora un volgare razzismo e presupposti di superiorità culturale: le altre nazioni o culture sono ritenute deboli e inferiori. Questo è stato il caso più noto delle supposizioni tedesche sulla facilità con cui l’Unione Sovietica sarebbe crollata nel 1941, ma è stato anche vero per le supposizioni giapponesi sugli Stati Uniti nello stesso anno: una buona bastonata sarebbe stata tutto ciò che serviva. In entrambi i casi, si andava oltre il semplice pregiudizio, fino ad arrivare a teorie pseudo-scientifiche di superiorità radicale. Nell’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda, invece, l’etnocentrismo si estendeva a una teoria ideologica completa del mondo e del suo funzionamento, tale per cui qualsiasi evento, ovunque, poteva in linea di principio essere analizzato e affrontato secondo una visione coerente.

L’etnocentrismo è spesso più una debolezza e un fastidio che un pericolo, ma può essere davvero molto pericoloso quando – come sopra – è combinato con il potere di fare del male. Il tipo di etnocentrismo che caratterizza la mente strategica occidentale in questo momento non è nuovo o unico, ma è legato a un potere e a un dominio maggiori di quelli che qualsiasi blocco politico ed economico è mai riuscito a raggiungere prima. Inoltre, i seguaci di questa ideologia – perché così è diventata – occupano la maggior parte dello spazio concettuale nel mondo di oggi e vedono questa egemonia come del tutto meritata, grazie alla correttezza delle loro convinzioni e alla purezza dei loro cuori. Trovano che le minacce ad essa siano destabilizzanti e persino spaventose. Semmai, questa ideologia è diventata progressivamente più rigida e onnicomprensiva dalla fine della Guerra Fredda, con la globalizzazione che ha ridotto e concentrato le fonti di notizie e con l’emergere di una nuova élite politica globale transnazionale, che condivide idee, formazione ed esperienze lavorative e che è servita da una Casta Politica e Manageriale (PMC) che diventa sempre più omogenea, e persino formica, con il passare degli anni.

Abbiamo quindi un insieme di presupposti etnocentrici che sono sviluppati come nessun altro nella storia, e anche molto pericolosi a causa della rigidità con cui sono sostenuti, del potere delle nazioni coinvolte e – fino a poco tempo fa, comunque – della capacità di queste stesse nazioni di imporre i loro giudizi agli altri. Di quali ipotesi stiamo parlando? Ne suggerirei tre e, come di solito accade con le ideologie assemblate un po’ alla volta nel tempo da diversi attori, la somma totale non è forse così coerente come potrebbe essere. Tuttavia, possiamo dire che il complesso strategico occidentale (e tornerò su questo concetto) probabilmente articolerebbe i suoi presupposti in questo modo, se fosse sfidato a farlo.

Primo: la maggior parte delle persone nel mondo sono come noi, o ragionevolmente tali. Se non si comportano come noi, o se i loro Paesi non si comportano come noi, è perché sono fuorviati o vittime di governi dittatoriali e di strutture di potere maligne. Se queste strutture possono essere rovesciate, molto rapidamente le persone nei Paesi interessati si dimostreranno come noi.

In secondo luogo, quando le persone non sono come noi o gli Stati non assomigliano ai nostri, capiamo e possiamo spiegare perché è così e sappiamo cosa bisogna fare per correggerlo. Così, possiamo essere delusi da comportamenti individuali o collettivi, ma li troviamo sempre abbastanza facili da spiegare. C’è poco al mondo che non siamo in grado di capire.

Infine, tutte le crisi e i conflitti internazionali riguardano fondamentalmente noi. Se come individui sosteniamo le politiche e le azioni dei governi, dei movimenti e delle organizzazioni internazionali occidentali, allora pensiamo che le crisi in altre parti del mondo siano causate dalla resistenza agli sviluppi democratici e alla diffusione delle nostre idee, o dalle macchinazioni di imprenditori politici che fomentano folle populiste anti-occidentali. Se le Nostre idee sembrano in difficoltà è perché non sono state spinte abbastanza o sono state deliberatamente sabotate. Ma paradossalmente, se ci opponiamo ai governi e alle organizzazioni internazionali occidentali, allora vediamo tutte le crisi e i conflitti del mondo come il risultato delle loro aggressioni e dei loro sforzi di destabilizzazione. In entrambi i casi, quindi, ciò che accade nel mondo riguarda solo noi.

Ora, cercare di descrivere un’ideologia incoerente in termini coerenti tende a produrre un risultato che assomiglia alla parodia o alla satira, e non sono sicuro che i rappresentanti del Complesso di Sicurezza Occidentale (Western Security Complex, in breve WSC), si esprimano in modo così schietto. Ma chiunque ne abbia frequentato una parte riconoscerà immediatamente le componenti della loro ideologia. Il fattore aggiuntivo che distingue il WSC di oggi dai suoi predecessori, anche di una generazione fa, è la delicatezza infantile del suo ego e la sua incapacità di sostenere le critiche, per non parlare dell’ammissione del fallimento. Si tratta di una questione generazionale di cui ho già parlato in precedenza.

Quindi, una parola sul complesso di sicurezza occidentale. La prima cosa da dire è che chiunque può farne parte o, se preferite, chiunque può affermare di esserne membro. Per molti versi questo è strano, perché la maggior parte delle comunità di esperti richiede almeno una certa competenza dimostrata, o un processo di ammissione. È improbabile che una pubblicazione come The Lancet includa articoli di persone che non hanno una formazione medica: il Complesso medico, il Complesso giuridico, il Complesso accademico in generale, il Complesso degli esperti di vino o dei fan dei Grateful Dead… tutti questi gruppi, sebbene possano avere contorni sfumati e persone a cui viene negata l’adesione per motivi controversi, sono comunque gruppi coerenti e si basano in linea di principio su conoscenze ed esperienze dimostrate. Anche i gruppi al di fuori del mainstream, come i praticanti della Medicina Tradizionale Cinese o i Riflessologi, hanno i loro standard professionali e i loro requisiti di appartenenza. Ma di fatto chiunque può scrivere su questioni di sicurezza e farsi pubblicare, anche su media influenti.

È strano se ci si pensa. Se un giornalista e opinionista, noto in passato per aver scritto di questioni di finanza commerciale internazionale, pubblica un articolo su uno dei principali quotidiani occidentali che sostiene, ad esempio, la fornitura di armi nucleari tattiche per l’Ucraina, nessuno lo riterrà strano e, se riflette il discorso dominante, potrà godere di una notevole pubblicità, anche se l’autore potrebbe non avere idea di cosa stia parlando. E un opinionista di spicco che non ha mai visitato la Cina, non parla il mandarino, non ha una particolare conoscenza dell’Asia o degli affari esteri in generale, non si sentirà inibito a scrivere sulle pagine di un’importante testata giornalistica, chiedendo una guerra con la Cina domani, se non oggi.

Perché? Perché gli opinionisti si sentono qualificati ad offrire opinioni su questioni di guerra e di pace, mentre esiterebbero ad essere altrettanto dogmatici sui vini della Linguadoca-Rossiglione o sugli assoli di chitarra di Jerry Garcia? E perché le loro opinioni tendono a rientrare in due categorie internamente molto omogenee: la maggioranza che sostiene che tutto ciò che l’Occidente sta facendo è giusto e va continuato, e una minoranza molto più piccola che sostiene che tutto ciò che l’Occidente sta facendo è sbagliato e va fermato? E soprattutto perché questi opinionisti, siano essi favorevoli o contrari, danno per scontato che le azioni occidentali in qualsiasi crisi determinino ciò che accadrà?

Non è che argomenti come la politica estera, la gestione dei conflitti e delle crisi siano intellettualmente semplici da capire. Di recente ci si è resi ridicoli parlando della guerra in Ucraina, degli effetti delle sanzioni, della fornitura di attrezzature occidentali, della stabilità del sistema politico russo… tutte cose che richiedono anni di studio e di esperienza per poter dire qualcosa di sensato. Credo che le ragioni siano essenzialmente due, oltre all’ovvio fatto che essere un membro del PMC significa non dover mai chiedere scusa, anche perché si scrive per lo più per persone ignoranti come voi.

Il primo, a mio avviso, è la convinzione che esistano campi di competenza chiamati “strategia” o “geopolitica” che permettono a chi ne fa parte (o si considera tale) di esprimersi su qualsiasi questione. Ora, naturalmente la “strategia” esiste come materia reale e importante. Comporta lo studio degli scritti dei teorici di tutti i tempi (Clausewitz, Mahan e tutti gli altri). È perfettamente legittimo applicare le intuizioni di Clausewitz all’attuale conflitto in Ucraina (io stesso mi dichiaro colpevole), ma non ci si può atteggiare a esperti di quella crisi, o di qualsiasi altra, solo perché la strategia è un argomento che interessa, o perché se ne è letto un libro all’università. D’altra parte, è molto dubbio che esista davvero un titolo di lavoro come “geostratega” o una materia come “geopolitica”. Esistono ovviamente interazioni complesse tra geografia, strategia, economia e politica in diverse regioni del mondo, ma è piuttosto fuorviante supporre che si possa semplicemente trasporre un modo di pensare (spesso materialista e riduttivo) da un’area del mondo a un’altra. Se si vede qualcuno che si presenta come “scrittore di questioni strategiche” o altro, in genere significa che ha solo una conoscenza superficiale di molte cose diverse. Questo è diverso dall’essere, per esempio, un esperto dell’industria petrolifera mondiale o dei flussi commerciali globali dell’elettronica, dove si deve effettivamente sapere qualcosa.

Il secondo è quello che io chiamo il credenzialismo dello status. Si parla di credenzialismo quando la frequentazione di un’università o di una business school, o il passaggio attraverso un qualche tipo di formazione professionale per ottenere una qualifica, fornisce credenziali, ma non necessariamente conoscenze e competenze. Il prototipo è l’MBA che conosce il valore attuale netto di tutto e il valore di niente, e che in realtà ha meno valore per un’organizzazione rispetto a chi ha lasciato la scuola a sedici anni, ma sa effettivamente come funzionano le cose. Questo accade in qualche misura anche nel campo dei conflitti e della sicurezza: l'”ex diplomatico”, l'”ufficiale militare in pensione”, l'”ex analista di intelligence” non hanno il diritto automatico di sentirsi dire cosa pensare al di fuori delle materie in cui hanno avuto esperienza professionale diretta. Molte di queste persone si sono rese ridicole dall’inizio del conflitto in Ucraina. (Dubito, infatti, che esista qualcosa di così semplice e generico come un “esperto militare”, e molti ufficiali militari con cui ho parlato la pensano allo stesso modo).

Ma ci sono anche altri tipi di credenziali, che non hanno nulla a che fare con la competenza in materia di conflitti. Dopotutto, se siete avvocati per i diritti umani, il vostro modello di business dipende dall’esistenza di violazioni dei diritti umani, e quindi reagirete immediatamente su Twitter a qualsiasi notizia, voce o persino menzogna deliberata su tali violazioni, e rivendicherete il diritto di dire ai governi cosa fare perché le vostre credenziali dicono che parlate a nome degli oppressi. E così un gruppo di voi scriverà un op-ed per un’illustre fonte di notizie dal titolo “Perché Vladimir Putin non merita un giusto processo e dovrebbe essere lapidato” e nessuno penserà che sia strano. All’altro estremo della scala, un economista, incatenato a una spiegazione materialista e razionalista del comportamento umano, si annoderà intellettualmente cercando di ridurre la crisi ucraina, o le tensioni con la Cina, o i recenti colpi di stato in Africa, a cause economiche che comprende, al fine di far progredire il proprio modello di business. E a sua volta questo incoraggerà altri gruppi d’interesse ad affrettarsi a pubblicare affermazioni secondo cui “si tratta di” fattori X, Y e Z che “vengono ignorati”. In parte, si tratta di ciò che gli psicologi chiamano Bias Cognitivo, ovvero quando le persone vedono le questioni in termini di ciò che conoscono, anche se in realtà non si tratta di ciò che riguarda principalmente la questione. Ma in parte è anche una caratteristica del nostro ambiente mediatico, intellettuale e delle ONG, aspramente competitivo, i cui attori fanno leva su un presunto status morale per pronunciarsi su argomenti sui quali sono profondamente ignoranti.

Poi, ci sono quelli che credono che il loro status individuale li autorizzi a farsi ascoltare, anche se non sanno nulla dell’argomento. La fama, o almeno la notorietà, dà il diritto di essere ascoltati. (Forse ricorderete la grottesca commedia dell’attore George Clooney che si è rivolto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per parlare del Darfur). Può anche essere possibile costringere gli altri a prendervi in considerazione perché rivendicate una sorta di autorità morale personale anche se, ancora una volta, non avete idea di cosa state parlando. E per alcune persone, sentirsi fortemente coinvolti in una questione diventa di per sé una qualifica, e nella nostra economia della disattenzione, purtroppo, coloro che gridano più forte spesso ottengono il pubblico più numeroso.

A dire il vero, i conflitti e le crisi non sono le uniche aree che attraggono esperti auto-selezionati: il cambiamento climatico e Covid sono altri esempi recenti. Ma il motivo per cui il WSC è così grande e poroso da permettere a quasi tutti di entrarvi, è che le crisi, e soprattutto i conflitti, sono di natura complessa, sono drammatici ed eccitanti e sollevano questioni morali e politiche in modo molto crudo. Spesso sono coinvolti molti soldi e ci sono così tanti possibili punti di ingresso – legali, etici, strategici, culturali, economici – che alla fine c’è spazio per tutti.

Avrete notato, naturalmente, che tutti gli attori che ho elencato sono occidentali e che gran parte del discorso della WSC consiste, come ci si aspetterebbe, in una competizione spesso brutale tra gruppi d’interesse per imporre la propria interpretazione di una situazione, nel perseguimento del proprio modello di business. Dopotutto, di cosa si è occupata la guerra civile nello Yemen? A seconda della persona con cui si parla, è una crisi politica, una guerra civile, una crisi umanitaria, una crisi dei diritti umani, una crisi ambientale, una crisi interna nord-sud, un risultato della rivalità saudita-iraniana, in qualche modo colpa dell’Occidente e molte altre cose. Probabilmente sono tutte queste cose in qualche misura, ma dobbiamo ricordare, ancora una volta, che si tratta di interpretazioni imposte dall’esterno, le armi di una lotta fratricida all’interno del CMS per controllare il discorso, influenzare la politica e, alla fine, accedere ai finanziamenti.

Ovviamente non è possibile o auspicabile impedire alle persone di esprimere le proprie opinioni al mondo su questioni importanti, anche se queste opinioni sono prive di valore. Ma, come in altri settori, il male scaccia il bene, e questo è un problema più grave quando sono in gioco delle vite che non quando, ad esempio, si tratta di musica. Non si può limitare il commento a esperti di spessore (non che siano tutti d’accordo, comunque), ma probabilmente è giusto dire che con le barriere all’ingresso per commentare pubblicamente i principali eventi mondiali più basse che mai, e con lo stock di competenze autentiche non più grande che mai, beh, la qualità è destinata a scendere.

Tuttavia, mi sembra che se stiamo decidendo se spendere o meno una parte dei nostri neuroni rimanenti per leggere un altro articolo su, ad esempio, la Cina, il G20, i BRICS o Taiwan, allora è ragionevole chiedere che chi scrive abbia almeno una conoscenza limitata di ciò di cui sta parlando. Leggendo fino alla fine una diatriba anti-occidentale di tremila parole che tratta tutti questi punti con grande veemenza e un linguaggio intemperante, sarebbe deludente scoprire che, ad esempio, l’autore è “un musicista e attivista politico con sede in Australia e vice-convocatore del Wollongong Green Party” o qualcosa di simile. So che viviamo in un mondo post-verità, post-autorità, non gerarchico, dove la verità è qualsiasi cosa si voglia, ma ci sono dei limiti: una concezione sbagliata della “verità” può avere conseguenze terribili nel mondo reale.

Parte del problema del WSC è una sorta di variante dell’effetto Dunning-Kruger. Le persone che sanno molto su una cosa, e che hanno un pubblico fedele, possono iniziare a credere di poter scrivere di questioni correlate, poi di questioni meno correlate, infine di questioni che non sono affatto correlate. Ma poiché il loro pubblico li legge in gran parte per avere le proprie opinioni confermate da qualcuno con un’apparente autorità, questo sembra non avere importanza. Così, qualcuno che è abbastanza bravo (per esempio) sui meccanismi dell’organizzazione militare o sul funzionamento dei mercati valutari, improvvisamente appare come opinionista sulla recente ondata di colpi di stato nell’Africa occidentale francofona, avendo appena scoperto, forse, che la maggior parte della regione è francofona.

Questo è un buon esempio, in realtà, perché è possibile stabilire alcune semplici qualifiche pragmatiche per fare opinionismo in modo responsabile sull’argomento. Con questo non intendo lasciare un contributo su un sito di notizie o di commenti, ma afferrare davvero le persone per il bavero e affermare che capite la questione e che dovrebbero ascoltarvi. Ne elenchiamo alcuni.

In primo luogo, è ovvio che bisogna conoscere la storia degli Stati africani francofoni dopo l’indipendenza, e come e perché ciò è avvenuto nel modo in cui è avvenuto. Bisogna comprendere le origini del franco CFA e la sua svalutazione nel 1994, ad esempio, e i cambiamenti politici sismici avvenuti dopo la fine della guerra fredda e il discorso di Mitterrand a La Baule nel 1990, che incoraggiava i sistemi multipartitici e la conseguente instabilità e conflittualità. Dovete avere familiarità con la rapida disintegrazione della posizione francese in Africa, al punto che già nel 2005 il libro di Glaser e Smith Comment la France a perdu l’Afrique ne parlava come di un fatto assodato, e il successivo libro di Glaser, uscito nel 2014, AfricaFrance, sosteneva in modo persuasivo che la situazione era ormai cambiata e che erano i leader africani ad avere il sopravvento sugli inquilini dell’Eliseo.

Naturalmente, bisogna avere familiarità con la letteratura generale sullo Stato patrimoniale in Africa, che è ormai ben consolidata, con scrittori come William Reno o Jeffrey Herbst, che hanno originariamente mostrato come, con territori troppo grandi per essere controllati da Stati deboli, i leader africani istituiscano sistemi patrimoniali per accedere e distribuire le ricchezze provenienti dalle risorse naturali e dai governi stranieri per mantenersi al potere, impedendo al contempo lo sviluppo e la crescita economica e l’ascesa di una classe media urbana che potrebbe minacciare il loro monopolio sull’accesso ai meccanismi di arricchimento e quindi al potere. Quindi la politica, sia essa democratica o attraverso colpi di stato militari, è una lotta per il controllo dello Stato e delle sue capacità di ricerca di rendite, proprio come accadeva in alcune parti d’Europa nell’era pre-moderna. (Nel frattempo, scrittori come Christopher Clapham hanno spiegato per decenni come gli Stati e i governanti apparentemente deboli in Africa sopravvivano e prosperino in un sistema internazionale ostile. E naturalmente non guasterebbero nemmeno un francese fluente, un’esperienza recente sul campo e conversazioni con politici, studiosi e giornalisti locali.

Ricorda di aver letto, nell’ultimo mese o giù di lì, qualcosa sulla recente ondata di colpi di Stato che tradisca lontanamente questo livello di competenza? Non ricordo. In generale, gli “esperti strategici” che la settimana prima si erano occupati dell’Ucraina e quella prima ancora della Cina e di Taiwan, e che fino a quel momento non si erano resi conto che la Nigeria e il Niger erano due Paesi diversi, si sono precipitati sulla stampa, afferrando di sfuggita uno dei vari quadri concettuali onnicomprensivi venduti al supermercato del WSC. Per una parte si trattava di un complotto russo-cinese, probabilmente guidato dal gruppo Wagner, per l’altra di una rivoluzione anticoloniale e anti-occidentale. Nessuno pensava che valesse la pena di andare a scoprire cosa stesse accadendo. E praticamente tutti questi opinionisti erano occidentali e convinti che non ci fosse nulla di molto complicato o difficile da capire. Le diverse fazioni del WSC, spesso aspramente divise dal punto di vista ideologico, condividevano la convinzione di aver capito tutto del problema. È sorprendente che le poche voci africane che sono riuscite a farsi sentire, come Ken Opalo e Chima Okezue, abbiano offerto un’analisi nettamente diversa.

La natura amorfa e divisa del WSC rende ancora più difficile comprendere la portata della sua influenza. Non è tutta una cospirazione: l’Agenzia svedese per lo sviluppo, che sta lavorando su procedure di controllo dei veicoli sensibili alle differenze di genere, sarebbe estremamente offesa se le dicessero che fa parte di una gigantesca cospirazione con la CIA. In effetti, anche varie parti del governo degli Stati Uniti lavoreranno, come al solito, in modo incrociato tra loro. Ma l’influenza del WSC è così pervasiva (così come, naturalmente, l’influenza delle istituzioni economiche e sociali dominate dall’Occidente) che non credo sia esagerato dire che l’Africa di oggi, ad esempio, è sottoposta a una maggiore influenza occidentale in tutti i settori rispetto all’epoca coloniale. Dopotutto, a quei tempi il numero di amministratori coloniali era esiguo, nella maggior parte delle colonie il potere veniva esercitato indirettamente attraverso i capi locali, e lo zambiano o il burkinabé medio (all’epoca, ovviamente, non esistevano questi Paesi) potevano non aver mai visto un europeo in tutta la loro vita. Oggi sono ovunque, spesso giovani, spesso motivati, spesso intenzionati a fare del bene (questo vale anche per l’assistenza alla sicurezza), mentre la crescente urbanizzazione di molti Paesi africani fa sì che un numero molto maggiore di africani abbia contatti diretti con gli occidentali.

Questo sarebbe meno importante se in Africa, o anche in Medio Oriente, ci fossero più fonti indipendenti di comprensione e commento al di fuori del CMS e della sua influenza. Ma in entrambe le aree, un pensiero veramente indipendente e informato sulle questioni di sicurezza è molto raro, in parte perché gli argomenti sono considerati molto delicati e in parte per mancanza di risorse. Le istituzioni che esistono dipendono in ultima analisi da una fazione o dall’altra del CMS per i loro finanziamenti. Ad esempio, una prestigiosa istituzione africana che conoscevo bene ai tempi, pubblicizza i suoi principali finanziatori come “la Fondazione Hanns Seidel, l’Unione Europea, la Fondazione Open Society e i governi di Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia”. Questa fondazione, nel caso ve lo steste chiedendo, è una Stiftung, finanziata dal governo tedesco come modo per perseguire una politica estera a distanza.

Quindi, in una forma o nell’altra, le varie lobby in competizione all’interno del WSC siedono in cima alla concezione stessa di cosa sia la sicurezza. (Come dicevo agli studenti in Africa: Finché possiamo controllare i vostri cervelli, non abbiamo bisogno di controllare i vostri Paesi). E questo è ancora il caso, probabilmente più di allora. I modelli di pensiero e di discorso sulla sicurezza – quelli che Foucault chiamava notoriamente discorsi – sono stati dominati fin dagli anni Cinquanta dalle forze politiche e intellettuali in competizione tra loro che oggi costituiscono il complesso di sicurezza occidentale, anche tra coloro che si considerano aspramente anti-occidentali.

La forma più caratteristica di questo dominio è l’appropriazione di un intero soggetto della storia come se esistesse solo perché l’Occidente l’ha creato. L’ego strategico occidentale non può tollerare l’idea che ci siano stati sviluppi nella storia che non sono stati opera sua. Prendiamo ad esempio gli imperi. Gli imperi sono essenzialmente l’epitome dell’idea che la terra e le persone appartengono a un governante, o a una famiglia, piuttosto che costituire una nazione. Questo sistema era la norma in tutte le parti del mondo fino a tempi molto recenti, e gli imperi si espandevano e si contraevano in seguito a guerre, matrimoni e problemi dinastici. I trasporti marittimi hanno permesso a spagnoli, portoghesi e arabi di dominare territori molto lontani e, verso la fine del XIX secolo, le tecnologie della rivoluzione industriale hanno permesso a inglesi e francesi di espandere notevolmente i propri imperi e ai tedeschi di iniziare a copiarli. In effetti, gli imperi, almeno da Alessandro agli Ottomani, sono stati la principale forza strutturante della storia mondiale. Tuttavia, per la WSC, “impero” significa soprattutto l’impero britannico e francese dal 1880 al 1960 circa, in gran parte in Africa: il che è strano se si considera che probabilmente nessun singolo fattore spiega la recente serie di crisi nei Balcani, in Medio Oriente, nel Maghreb e nell’Africa occidentale più delle conseguenze della diffusione dell’Islam e dell’Impero Ottomano. Ma questa storia non riguarda noi, quindi non viene menzionata.

Lo stesso vale per la schiavitù, per la quale il WSC si fissa in modo monomaniacale sul coinvolgimento europeo nella tratta atlantica degli schiavi, come se la schiavitù non fosse stata endemica in Africa (e altrove) per eoni, e fosse continuata in Africa fino a quando l’ultima parte di essa non è stata portata sotto il dominio coloniale. Per non parlare del massiccio commercio di schiavi musulmani verso l’Oriente, o anche del commercio molto più piccolo, ma comunque rispettabile, di europei catturati e venduti come schiavi nell’Impero Ottomano. Per quanto disdicevole sia l’argomento e disgustose le conseguenze, sembra che l’ego strategico occidentale non possa accettare che una parte della storia non riguardi noi. Dopo il crollo della Libia nel 2011, molti occidentali si sono stupiti che la schiavitù sia ricominciata, seguendo le stesse rotte e verso alcune delle stesse destinazioni, come ai tempi dell’Impero Ottomano. Non ne sapevano nulla.

Tuttavia, sono le dottrine conflittuali della CMS che da decenni strutturano le istituzioni internazionali e, soprattutto, il modo di pensare alle questioni internazionali. Il fatto che esista ancora un Comitato speciale delle Nazioni Unite sulla decolonizzazione, ad esempio, è un risultato diretto del dominio del pensiero occidentale sullo sviluppo del mondo postbellico. Si consideri che, almeno fino agli anni Venti, la maggior parte delle persone viveva in territori, piuttosto che in Paesi, sotto schemi mutevoli di controllo politico che spesso operavano in modo diverso a diversi livelli. Al livello più alto, il padrone fittizio poteva cambiare – dagli egiziani agli inglesi in Sudan, per esempio – con poca o nessuna differenza nella vita quotidiana. (Franz Kafka nacque come ebreo di lingua tedesca, suddito dell’Impero austriaco, in una regione di lingua ceca di quello che un tempo era stato il Regno di Boemia). L’idea che i gruppi etnici e linguistici debbano avere il controllo su strutture politiche sovrane, per quanto oggi sembri normale, è stata ampiamente praticata solo circa un secolo fa. I leader “indipendentisti” di quelle che allora erano colonie assorbirono questo pensiero politico europeo all’avanguardia, di solito attraverso l’educazione in Europa o nelle scuole missionarie. Erano le élite coloniali autoctone del loro tempo (come ce ne sono sempre state fin dai tempi dei Romani) che parlavano la lingua coloniale e ammiravano e volevano copiare il potere coloniale. (Come ha giustamente osservato Franz Fanon, ogni suddito coloniale desiderava segretamente essere bianco).

È in Africa che quella che Basil Davidson ha definito la “maledizione dello Stato-nazione” ha portato il maggior scompiglio. Sebbene il continente, con le sue scarse comunicazioni e la bassa densità di popolazione, così come la mancanza di frontiere naturali, le migliaia di lingue e le massicce variazioni culturali, fosse un’arena poco promettente per la rapida costruzione di Stati-nazione dall’alto verso il basso, e sebbene fossero state proposte molte alternative, dalle federazioni con le potenze coloniali alle entità politiche basate su strutture politiche tradizionali, i sostenitori del modello westfaliano di Stato-nazione hanno avuto la meglio, con conseguenze che si stanno ancora verificando. Da parte loro, le nazioni coloniali, stanche dell’onere finanziario e sempre più dubbiose sul valore delle colonie, non potevano immaginare altra struttura che lo Stato-nazione e incoraggiavano calorosamente questi progetti.

Ma questo era un discorso d’élite. Quando ero all’università, ricevevamo i manifesti della Federazione Internazionale degli Studenti (sic) con sede a Praga (sic) che ci invitavano a “sostenere il popolo angolano nella sua lotta per l’indipendenza”. Ma naturalmente per la maggior parte degli angolani “popolo” e “indipendenza” non erano altro che parole: L’Angola non era un Paese occupato, anzi non era nemmeno un Paese. Gran parte del movimento “indipendentista”, infatti, è meglio comprensibile come una ribellione dell’élite locale per sottrarre il controllo al potere esterno. L’FLN, ad esempio, aveva deciso di creare un Paese indipendente da chiamare Algeria, secondo gli ultimi modelli occidentali, ma con un’ideologia vagamente marxista-nazionalista, sotto il proprio controllo. (Naturalmente l’Algeria non è mai stata un Paese indipendente, ma una colonia da sempre: anche il nome deriva da Al-Jazira, “le isole”. Quella parte significativa della popolazione che cercò di rimanere neutrale o addirittura di appoggiare i francesi non lo fece per amore della potenza coloniale, ma per paura e antipatia verso le pratiche spietate e le ambizioni dell’FLN.

Ci troviamo quindi nella curiosa posizione in cui i problemi di tutto il mondo, creati dall’adozione di norme politiche occidentali, vengono ora analizzati… in base a queste stesse norme. Ci può essere un dibattito aspro e acrimonioso sull’Ucraina, per esempio, ma è in gran parte confinato all’interno del contenitore di idee che il WSC può comprendere, esse stesse ampiamente basate, ovviamente, sul moderno liberalismo occidentale. Uno dei motivi per cui questo non è così evidente come dovrebbe essere è che la CMS è profondamente e rumorosamente divisa al suo interno, come la Corte ottomana o il Papato rinascimentale, anche se, a differenza di loro, conduce le sue battaglie apertamente. Così, oggi leggiamo che gli Stati Uniti vogliono condizionare i futuri aiuti militari all’Ucraina, tra decine di altri obiettivi scollegati tra loro, ad eterni favoriti come i progressi nel “controllo civile democratico delle forze armate” e l'”agenda delle donne nella pace e nella sicurezza”, che gli stessi gruppi di interesse spingono da decenni in tutto il mondo. Come le fazioni di quei giorni, tuttavia, anche quelle del CMS perseguono fondamentalmente gli stessi obiettivi – potere, status e denaro – e condividono lo stesso quadro intellettuale generale. È vero, il gruppo di addestramento militare, il ricercatore dell’Università militare, il capo di una ONG per i diritti umani finanziata dall’estero, il gruppo di formazione sulla sensibilità di genere in visita, tutti finanziati dallo stesso governo, possono in prima istanza lavorare in contrasto l’uno con l’altro, riflettendo la competizione tra le diverse fazioni del governo nazionale per definire e controllare i problemi del Paese in questione. Ma condividono una serie di presupposti comuni sul mondo: Il nostro. Anche il giornalista investigativo che parla con il difensore dei diritti umani, che ha criticato pubblicamente le forze di sicurezza addestrate dai formatori e studiate dal ricercatore, e che è stato criticato per la mancanza di sensibilità di genere dalla ONG straniera, torna a casa per scrivere una storia che descrive il problema nel modo in cui lo intenderebbe il CMS: non necessariamente come lo descriverebbero i locali.

Il risultato è stato il progressivo trionfo del discorso del WSC, in tutta la sua complessità internamente incoerente. Il che va bene fino a quando il WSC non si imbatte in qualcosa che non può capire, ma che non può nemmeno ignorare. Dietro la confusione e la stupidità di molti commenti della CMS sull’Ucraina, anche da parte di “esperti militari” e “commentatori strategici”, c’è un ostinato rifiuto di accettare che nel mondo accadano cose che non rientrano nel suo quadro di riferimento. Fin dall’inizio, la guerra è stata interpretata in termini di ciò che la CMS capisce e di cui può parlare: un amalgama di Afghanistan, Iraq e Apocalypse Now. Alla fine il WSC non è in grado di immaginare un mondo che non riguardi loro. È impensabile che nel mondo ci siano guerre, rivoluzioni e cambi di governo in cui l’Occidente non sia l’attore principale, e in cui le cause locali e spesso radicate, che il CMS non può comprendere, siano i principali motori. L’ego collettivo del WSC non potrebbe sopportare a lungo una simile conoscenza: in ultima analisi, è meglio che la recente crisi politica in Pakistan o i colpi di stato in Africa occidentale siano il risultato di malvagie macchinazioni da parte dell’Occidente, piuttosto che siano in primo luogo eventi condotti dai locali per le loro ragioni, sfruttando l’Occidente lungo il percorso. Come un bambino che si comporta male per attirare l’attenzione, il WSC preferisce essere visto come il colpevole piuttosto che essere semplicemente ignorato, come sempre più spesso accade. Poverini: fanno quasi pena. Quasi.

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GLI ERRORI STORICI E STRATEGICI DELL’OCCIDENTE di Gordon Hahn

Traduciamo e pubblichiamo questa approfondita analisi storica e strategica degli errori commessi dall’Occidente che hanno condotto alla guerra in Ucraina. Buona lettura. Roberto Buffagni

 

GLI ERRORI STORICI E STRATEGICI DELL’OCCIDENTE

di Gordon Hahn[1]

17 settembre 2023

https://gordonhahn.com/2023/09/17/the-wests-historical-and-strategic-miscalculations/

 

La guerra in Ucraina è in buona parte il risultato di gravi errori di calcolo strategico-storici e storico-strategici commessi dell’Occidente alla fine della Guerra Fredda. I primi errori, strategico-storici, sono implicati da una filosofia della storia escatologicamente progressista –  progressista, cioè definita in termini puramente occidentali, non a caso conformi agli interessi dell’Occidente. Il secondo tipo di errori, quelli storico-strategici, derivano da una serie di ipotesi, generate dal primo tipo di errori, sul tipo di strategia di cui l’Occidente avrebbe avuto bisogno per assicurarsi di essere “dalla parte giusta della storia”. Nel contesto di questi errori di calcolo, l’Occidente ha anche commesso una serie di valutazioni errate sulla Russia, contribuendo a produrre il dilemma di sicurezza russo-occidentale che si sta riproducendo oggi nei campi, nei villaggi e nelle città dell’Ucraina.

 

GLI ERRORI DI CALCOLO STRATEGICO- STORICI DELL’OCCIDENTE

 

(1) L’errata filosofia della storia occidentale. Il primo errore storico-strategico successivo alla Guerra Fredda si radica nella filosofia della storia escatologica e occidentalocentrica dell’Occidente. Invece di vedere lo sviluppo della storia umana come circolare, l’Occidente lo vede lineare e progressivo. Il senso – radicato nell’escatologia cristiana dell’Anticristo, dell’apocalisse, della seconda venuta di Cristo, della salvezza dell’umanità e dell’avvento del Regno Celeste alla fine dei tempi – è che la Storia si dirige verso una particolare conclusione o esito. La storia, in questa visione, non è una serie di cicli ripetuti di ascesa e caduta, costruzione e distruzione, guerra e pace. Il punto finale della storia si sta decidendo in una lotta crepuscolare tra il bene e il male, in cui il primo vincerà. Non volendo essere perdenti in questa lotta, e non essendo meno incentrati su se stessi e orientati sui propri interessi degli altri, gli occidentali immaginano naturalmente una fine della Storia in cui il modello occidentale, essendo dalla parte giusta della Storia, alla fine trionferà. Le forze che si oppongono a questa conclusione della storia sono naturalmente “dalla parte sbagliata della Storia” e “malvagie”. Non ci può essere alcuna giustificazione per le loro azioni se violano le regole della “democrazia” nelle loro nazioni, e la legge dell’espansione della democrazia in tutto il mondo – la diffusione della “buona novella” e del Verbo dei valori democratici universali a livello globale, con l’arrivo dell’inevitabile, unica pace possibile: la pace democratica.

 

(2) La teleologia occidentale della fine della Storia nella pace democratica. Il secondo errore storico-strategico è stato quello di riempire il quadro storico-filosofico con contenuti che stabiliscono che non è tanto l’Occidente in sé a guidare la storia, ma i suoi elementi di civiltà: le libertà individuali, il governo repubblicano o, dove possibile, persino democratico, e le economie di libero mercato o il capitalismo. Francis Fukuyama in “La fine della storia e l’ultimo uomo” ha esposto questo argomento. Dopo la guerra fredda e il crollo dell’impero comunista sovietico, il repubblicanesimo capitalista era l’ultima ideologia o modello che restasse in piedi. Negli anni Quaranta, le “democrazie” occidentali (le democrazie sono poche, tutti gli Stati occidentali sono repubbliche) avevano apparentemente condotto la lotta per sconfiggere il fascismo in Germania, Italia, Giappone e, come spesso si dimentica, nell’Europa orientale. Hanno poi contenuto e superato l’altra ideologia che le sfidava, il comunismo, portandolo alla disillusione nei confronti di se stesso e provocando, in larga misura, alla sua dissoluzione. Ciò ha confermato l’escatologia dell’Occidente riguardo alla direzione e alla fine della Storia.

 

L’umanità era entrata nella fase finale della storia, che avrebbe portato a un mondo di Stati repubblicani, capitalisti e di libero mercato. Poiché, secondo la “teoria della pace democratica”, le repubbliche non si fanno guerra tra loro, il nuovo mondo di Stati repubblicani si sarebbe presto trasformato in un regno celeste di pace eterna e prosperità per tutti. L’eccitazione, in alcune comunità o sottoculture occidentali – ad esempio, nei circoli neocon – era palpabile. C’era una nuova energia ansiosa e un’impazienza intollerante verso qualsiasi resistenza oggettiva o soggettiva. Questa analisi teleologica lasciava da parte il bagaglio di centinaia di storie nazionali, di centinaia di memorie nazionali, di centinaia di culture nazionali, delle numerose religioni e civiltà che hanno generato e, di conseguenza, delle centinaia di questioni internazionali, interculturali e interconfessionali da risolvere. Inoltre, l’analisi aveva enormi implicazioni strategiche per il completamento della marcia del repubblicanesimo nel mondo.

 

GLI ERRORI STORICO- STRATEGICI DELL’OCCIDENTE

 

(1) Salvare la storia con la promozione della democrazia e l’espansione della NATO. L’origine religiosa della fede degli occidentali in una fine capitalista e repubblicana della storia non preclude necessariamente l’attività umana per accelerare lo sviluppo storico. Come alcune tradizioni cristiane ritengono che la purificazione dell’umanità e la grazia sulla terra possano contribuire ad avvicinare la salvezza finale, o come alcuni comunisti hanno revisionato il marxismo per giustificare la possibilità di un avvento del comunismo in Stati prevalentemente agricoli, soprattutto per mezzo di forze rivoluzionarie organizzate e guidate da un partito affiatato di rivoluzionari professionisti in grado di “telescopare” o contrarre il corso dello sviluppo storico tra la “fase democratica capitalista e borghese” e la rivoluzione socialista, così anche gli umanisti che credono nell’inevitabile avanzamento delle libere repubbliche in tutto il mondo si sforzano di accelerare l’avvento di una comunità globale repubblicana e della pace democratica. Ciò si è riflesso nella vasta espansione degli sforzi di promozione della democrazia dell’Occidente, in particolare degli Stati Uniti, volti a spingere le società meno mature verso la transizione democratica. A volte, le famigerate rivoluzioni colorate sono state soltanto alimentate, piuttosto che direttamente organizzate, ma il risultato è stato lo stesso: l’incorporazione degli aspiranti, e di alcuni dei non aspiranti di ogni specifico Stato, nel sistema occidentale, al fine di liberarli e salvarli dalla guerra, dalla povertà e dall’autoritarismo. Alcuni, come i russi e i cinesi, erano costernati per la curiosa correlazione tra vicinanza politica e geografica degli “Stati obiettivo” dell’Occidente, da un lato, e i propri alleati e vicini, dall’altro. Due corollari di questo proselitismo sono stati l’espansione della Comunità Europea per espandere le economie dominate dal mercato nei mondi post-sovietici e post-comunisti e – cosa più sconcertante per Mosca e Pechino – l’espansione del blocco militare più potente della storia mondiale, la NATO. Quest’ultimo corollario espansionistico è stato venduto come l’allargamento di un’alleanza puramente difensiva, in perfetta sintonia con l’imminente pace democratica. I membri della NATO vivrebbero in una zona di sicurezza e in una comunità di democrazie, e gli altri desidererebbero, naturalmente, unirsi alla pace.

 

(2) Trasformare l’Ucraina da Stato cuscinetto a dilemma di sicurezza. La sconvolgente portata della tracotanza politica e dell’errore storico di questa strategia della NATO, in particolare nel momento in cui è diventata sempre più stridente ed egoistica, è stata visibile a tutti i più esperti pensatori strategici dell’Occidente: George Kennan, John Mearsheimer, Michael Mandelbaum, tra gli altri (e compreso il sottoscritto). Altri, come Zbigniew Brzezinski, hanno visto la luce sul letto di morte.

Questi uomini navigati e ragionevoli hanno notato e avvertito fin dall’inizio che una simile politica avrebbe spinto Mosca nelle braccia di Pechino, creando un baluardo di potenza strategico anti-occidentale. È in questo errore di calcolo, di gravità storica, che l’odierno conflitto ucraino trova la sua genesi, poiché la “politica della porta aperta” della NATO ha sollevato la questione della copertura totale del confine russo da parte dei membri dell’alleanza. Tentando di far entrare l’Ucraina nella NATO – ufficialmente dal vertice di Budapest del 2008, ufficiosamente quasi di certo dal 1991 – l’alleanza si è privata di uno Stato cuscinetto tra Russia e Occidente che avrebbe in gran parte prevenuto e precluso il conflitto con la Russia, soprattutto se una strategia di buffer-building invece che di alliance-building fosse stata applicata anche al Baltico, alla Bielorussia e alla Moldavia. Fin dall’inizio, l’espansione della NATO ha screditato la democrazia e gli occidentalisti russi, e ha resuscitato la tradizionale norma di vigilanza sulla sicurezza della Russia nei confronti dell’Occidente.  I nuovi membri della NATO nutrivano forti rancori storici e animosità culturali e religiose nei confronti della Russia, e la Russia aveva una sensibilità storicamente radicata nei confronti dei suoi vicini occidentali, a causa di un modello secolare di interferenze politiche, sovversioni e interventi, animosità culturali e religiose, interventi militari e invasioni provenienti dall’Occidente, dall’Occidente e per l’Occidente.

 

L’Ucraina è stata una questione particolarmente problematica, visti gli elementi storici, culturali, religiosi ed etno-nazionali comuni tra Russia e Ucraina. Le identità nazionali ucraine e russe sono inestricabilmente intrecciate da esperienze storiche comuni e da legami politici, in parte comuni, in parte meno. Insistendo sul suo diritto di espandersi in Ucraina, la NATO ha trasformato il segno neutro sotto il quale esisteva l’Ucraina post-sovietica in un segno negativo per Mosca. Da potenziale Stato cuscinetto per l’Occidente (e per la Russia), l’Ucraina è diventata un oggetto del desiderio e di contesa tra l’Occidente e una Mosca già in uno stato di maggiore vigilanza a seguito di diverse ondate di espansione della NATO, anche ai confini con gli Stati baltici. In breve, l’Occidente ha sostituito un cuscinetto di sicurezza con un dilemma di sicurezza e un’alta probabilità di conflitto con la Russia.

 

Forse ancora più importante è il fatto che, a causa della storia spesso comune dei due Paesi, l’Ucraina era uno Stato diviso, diviso lungo linee etniche, linguistiche, identitarie, geografiche, storico-politiche e socioeconomiche. Gli sforzi della NATO per espandersi in Ucraina hanno aggravato le tensioni tra l’Ucraina occidentale e quella sud-orientale, dove queste divisioni erano pronte a esplodere, come un soldato che calpesta una mina. La rivolta di Maidan, sostenuta dall’Occidente, è stata la violenta scintilla che ha fatto esplodere questa polveriera.

 

(3) Ridimensionare la guerra convenzionale, mentre si spinge la Russia verso la guerra convenzionale in Ucraina. Allo stesso tempo, mentre l’ultima fase della presunzione storica di una pace democratica e altri fattori hanno contribuito a produrre un nuovo approccio “non convenzionale” alle dottrine militari e di sicurezza nazionale occidentali, il rivoluzionarismo cromatico dell’Occidente e l’espansionismo di NATO e UE hanno spinto la Russia verso la guerra convenzionale in Ucraina. Ma l’imminenza della pace democratica sembrava significare, almeno in Occidente, che il rischio di guerra era diminuito, e che le guerre convenzionali del tipo visto in Europa erano finite, così provando e anticipando l’avvento della pace democratica. Le vere grandi potenze erano ormai unanimi sulla superiorità dei sistemi politico-economici capitalistici e repubblicani; insieme avevano adottato i valori universali. Con una Russia indecisa, la debolezza post-Guerra Fredda, gli accordi di controllo degli armamenti dell’era della perestrojka, e la “politica assicurativa” dell’espansione della NATO erano garanzie affidabili che i timori di una minaccia russa all’Europa fossero limitati se non inesistenti. La guerra e le forze armate convenzionali potevano ancora emergere nel Terzo Mondo, ma per decenni non avrebbero rappresentato una minaccia, per le potenti macchine militari occidentali. Fuori dell’Occidente, la democrazia garantiva la pace con il Giappone e l’India, e la Cina era creduta in procinto di compiere una “transizione alla democrazia” di tipo sovietico, di cui Piazza Tienanmen era stata un presagio. Senza la minaccia di una guerra convenzionale di grandi dimensioni, le spese per la difesa e l’intelligence potevano essere ridotte, o almeno gli aumenti di bilancio potevano essere rallentati.

 

Nello stesso momento in cui i timori di una guerra convenzionale sono diminuiti, è emersa una nuova minaccia non convenzionale per la sicurezza, rappresentata dal terrorismo jihadista e dalle controinsurrezioni. La principale minaccia non convenzionale proveniva dal “Terzo Mondo”. Per questo motivo, una parte significativa delle spese per la difesa e l’intelligence è stata dirottata verso il “controterrorismo”, il nation-building e le esigenze di ingegneria sociale interna. Questo spostamento è stato particolarmente forte dopo il 2000, quando l’11 settembre ha scatenato la guerra contro il terrorismo jihadista, la guerriglia e l’insurrezione. Ma nel frattempo, le successive ondate di espansione della NATO e il conseguente ritorno all’autoritarismo più tradizionale della Russia e alla sua cultura di vigilanza sulla sicurezza stavano intensificando le tensioni con l’Occidente, facendo crescere le spese militari russe e aumentando la preoccupazione generale dello Stato riguardo alla percezione della crescita convenzionale dell’Occidente, dai Balcani al Caucaso, dalla Siria all’Ucraina, e alla necessità di una maggiore attenzione dello Stato e della società alla sicurezza nazionale. Dopo le rivoluzioni colorate in Georgia e Ucraina a metà degli anni Duemila e la guerra ossetiana Georgia-Russia dell’agosto 2008, la Russia ha intrapreso un grande sforzo di riforma e modernizzazione militare.

 

GLI ERRORI DI VALUTAZIONE DELL’OCCIDENTE NEI CONFRONTI DELLA RUSSIA E IL NUOVO CALCOLO RUSSO

 

L’errore di lettura strategica dell’Occidente è stato forse ancora più evidente quando si è trattato di sviluppare le relazioni con la Russia post-sovietica. Errori storici e strategici hanno portato a un atteggiamento accondiscendente nei confronti della Russia, a una sottovalutazione dello status di grande potenza storicamente persistente della Russia, a una sopravvalutazione del permanere della debolezza russa post-sovietica, a una tendenza a ignorare gli interessi nazionali e il senso dell’onore della Russia, e a un completo fraintendimento della determinazione –  della Russia, e non solo di Putin – a contrastare l’emergere di una minaccia militare ai suoi confini. Le grandi potenze non permettono questo tipo di dinamica, e la Russia è determinata a preservare il suo status di grande potenza per ragioni di storia, sicurezza, tradizione e onore. Numerosi studiosi occidentali hanno osservato che se l’Ucraina si unisse al campo occidentale e le facesse perdere il punto d’appoggio nel Mar Nero che le conferisce la flotta basata in Crimea, la Russia farebbe molta fatica a mantenere lo status di grande potenza.

 

Il già citato ritorno della cultura russa di vigilanza sulla sicurezza e il suo rifiuto della democratizzazione provocata dal rivoluzionarismo di promozione della democrazia e dalla militarizzazione della democrazia con l’espansione della NATO sono direttamente collegati anche all’ interpretazione occidentale completamente errata del crollo sovietico e della Russia post-sovietica in generale.  L’Occidente ha interpretato erroneamente la caduta del regime comunista sovietico come una rivoluzione dal basso o come una “transizione democratica”.  Non si trattava di nessuna delle due cose. Nel primo caso, le élite politiche sono state inclini a credere nel mito di una “rivoluzione popolare” dal basso, su ampia base sociale, perché questa era la teleologia politica dettata dal modello “fine della storia”. Nel frattempo, gli accademici inserirono il caso russo nella teoria popolare all’epoca: la teoria della transizione. In realtà, la trasformazione del regime sovietico/russo fu principalmente una rivoluzione dall’alto, con elementi secondari di una nascente rivoluzione dal basso e di “patti di transizione” o negoziati tra regime e opposizione verso una trasformazione democratica, ma questi ultimi elementi furono abortiti quasi immediatamente dopo il fallito colpo di Stato dell’agosto 1991 (cfr. Gordon M. Hahn, Russia’s Revolution From Above: Reform, Transition, and Revolution in the Fall of the Soviet Communist Regime, 1985-2000 (Transaction Publishers, 2002, Routledge, 2017).

 

Ciò significa che, piuttosto che un’ampia massa di rivoluzionari repubblicani che insorgono per cambiare il regime e prendere il potere, come in una rivoluzione dal basso, o a condividere il potere e rimanere politicamente vigili dopo una transizione negoziata dall’ancien regime, la rivoluzione è stata guidata dall’alto, all’interno dello Stato, da attori del Partito-Stato che avevano un’adesione limitata, se non addirittura una limitata comprensione, di che cosa siano governo repubblicano ed economia di mercato. Questi attori hanno dominato la leadership e l’apparato statale nella “nuova” Russia dopo il 1991. Il fatto che una parte della leadership e della burocrazia russa e una parte della società avessero un’adesione al modello repubblicano-capitalista rendeva possibile una trasformazione completa verso il regime repubblicano di mercato, che però restava un compito estremamente difficile. Ma poiché l’Occidente presupponeva che la rivoluzione avesse una base sociale più ampia di quanto fosse in realtà, non sentiva l’urgenza di fornire alla Russia un’assistenza economica che allora era, invece, assolutamente critica. L’assistenza arrivò, ma troppo poco e troppo tardi. Peggio ancora, l’Occidente iniziò a discutere e poi ad attuare l’espansione della NATO, delegittimando le forze filo-occidentali, filo-repubblicane e filo-libero mercato. La rivoluzione filo-repubblicana russa dall’alto è stata quindi messa a dura prova, con le rivoluzioni colorate e le successive ondate di espansione della NATO e dell’UE in arrivo (Hahn, Russia’s Revolution from Above, capitolo 11). All’inizio degli anni Duemila, quindi, la rivoluzione filorepubblicana russa dall’alto era morta.

 

Gli occidentali erano consapevoli, anche se forse sottovalutavano, il fatto che la rivoluzione era zavorrata dal complesso e sfaccettato fardello dell’eredità comunista sovietica: una politica totalitaria, un’economia ipercentralizzata e un’ideologia, una cultura e una politica anti-occidentali, anti-capitaliste e anti-libertarie. Ma non hanno visto arrivare la rinascita del passato tradizionalista pre-sovietico della Russia, tuttora utilizzabile. Questo sviluppo è stato il risultato diretto delle tensioni a cui l’espansione della NATO sottopose la debole base sociale e democratica della rivoluzione russa dall’alto. Con l’affievolirsi dell’influenza dei repubblicani russi, l’élite politica e intellettuale russa ha iniziato a cercare un nuovo percorso nel passato del Paese. La cultura, il pensiero, la storia e la politica russa pre-sovietica erano l’ovvia alternativa a una revanche comunista in risposta all’invasione occidentale annunciata dall’espansione della NATO e dell’UE. Nel Rinascimento religioso russo e nell’Età d’Argento durante il crepuscolo imperiale alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo, la cultura e i discorsi russi riflettevano non solo le idee che alimentarono l’ondata rivoluzionaria e la presa del potere comunista: comunismo proletario, socialismo agrario, utopismo rivoluzionario e internazionalismo comunista. Altrettanto influenti furono le idee dell’universalismo e del comunitarismo ortodosso, del messianismo russo, dell’anarchia slavofila e del “comunitarismo” agrario, del panslavismo, del liberalismo cristiano, del liberalismo occidentale, del sentimento antiborghese: in sintesi, varie forme di conservatorismo non occidentale e/o utopico. La politica, sotto l’autocrazia della Russia imperiale, era autoritaria, ma liberale per gli standard sovietici, e concedeva, occasionalmente, ulteriori liberalizzazioni. Per gli standard odierni costituisce un autoritarismo temperato, a volte morbido a volte meno, ma non era totalitaria, e quindi risponde al desiderio dei russi di libertà significative rispetto dell’esperienza sovietica. Allo stesso tempo, coincide con la sfiducia dei russi nei confronti dell’Occidente e con lo status di grande potenza del loro Paese.

 

Con il discredito del comunismo e del socialismo alla fine dell’era sovietica e quello del capitalismo e del repubblicanesimo nella depressione dei selvaggi anni ’90, sono stati questi conservatorismi russi pre-sovietici a emergere dal sedimento della memoria nazionale, scoperto dopo la liberalizzazione della perestrojka di Mikhail Gorbaciov e la debole democrazia di Boris Eltsin, che però ha permesso un discorso pubblico molto libero sul passato, il presente e il futuro della Russia. L’autoritarismo morbido con un notevole sostegno popolare e il ritorno dell’anticapitalismo o almeno dei sentimenti antiborghesi, l’universalismo e il comunitarismo russo ortodosso, il neo-eurasismo semi-universalista, il nazionalismo russo di Stato (non etnico) e la preferenza per la solidarietà nazionale rispetto al pluralismo politico sono tornati alla ribalta nella cultura russa – politica, economica e strategica. L’alternativa russa tradizionalista non è stata capita, perché l’Occidente l’ha ignorata o non l’ha mai presa sul serio. Dopotutto, la fine della storia prevista dai pensatori occidentali anticipava un futuro che si allontanava da queste tradizioni.

 

Inoltre, la recente rinascita russa ha visto il ritorno di una visione semi-messianica, neo-eurasiana, in cui la Russia è vista come una forza principale, se non la principale, in una grande alternativa eurasiatico-centrica all’Occidente, in cui Russia e Cina dovrebbero radunare il “Resto” contro l’Occidente, allo scopo di: difendere la religione contro il secolarismo; i valori tradizionali della famiglia contro il femminismo radicale, il genderismo, il transgenderismo e il transumanesimo; il comunitarismo contro l’individualismo, e il nazionalismo e la civiltà contro il globalismo. Ogni civiltà, in questa visione, è libera di determinare il tipo di sistema politico ed economico in cui vivere. Così, l’India e varie democrazie africane e latinoamericane si stanno integrando con diverse organizzazioni internazionali dell’alternativa sino-russa, dai BRICS all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, all’Unione Economica Eurasiatica e alla One Belt One Road. Il nuovo messianismo russo emergente – che ha anche radici nell’escatologia e nella teleologia di ispirazione cristiana – ritiene che la Santa Russia abbia una missione speciale, negli affari mondiali. Tale missione, al momento, si limita a quella incarnata dalla strategia neo-eurasianista, attualmente parte del partenariato sino-russo previsto da Mosca.

 

In termini di affari militari e di sicurezza, la Russia sta ancora una volta andando per la sua strada. Nonostante le guerre cecene e l’ascesa dell’Emirato del Caucaso, entrambi legati ad Al Qa`ida e poi all’ISIS, i russi non hanno mai ricevuto il promemoria sull’abbandono della guerra convenzionale, e di certo non l’hanno ricevuto i militari russi. Certo, nei depressi anni ’90 i leader civili russi sono stati costretti a tagliare i bilanci della difesa, e il jihadismo nel Caucaso ha richiesto di dirottare gli scarsi finanziamenti verso l’antiterrorismo e la contro-insurrezione. Ma questo è avvenuto solo ai margini e per necessità, a differenza che in Occidente, dove le nuove dottrine sono state accolte con entusiasmo e si sono radicate nella sua peculiare filosofia della fine della storia.

 

CONCLUSIONE

 

Tornando al 2022, vediamo che l’Occidente ha condotto, anzi trascinato l’Ucraina in una catastrofe. Con l’adesione alla NATO e all’Occidente in senso lato che le è stata prospettata per due decenni, Washington e Bruxelles hanno impegnato l’Ucraina nel tipo di ingegneria sociale che oggi spesso infligge alle proprie popolazioni, ma su una scala molto più grande. I governi sono stati rovesciati, la politica e l’economia sono state ridisegnate, l’ultranazionalismo, il neofascismo e, cosa più pericolosa, l’antirussismo sono stati non solo tollerati, ma per molti versi incoraggiati dall’Occidente in Ucraina. L’Occidente ha creato in provetta una “anti-Russia”, secondo la terminologia di Putin, ai confini della Russia, mentre ha alimentato i timori per la sicurezza in Russia soprattutto attraverso un’espansione della NATO che per l’Ucraina è rimasta temporaneamente in sospeso, ma che è risultata fin troppo reale per la Russia, con la sua memoria storica di otto secoli di interferenze, interventi e invasioni occidentali. La Russia non ha mai effettuato una transizione su larga scala da un’economia manifatturiera a una virtuale come quella occidentale. Questo, e il fatto che la Russia abbia conservato il know-how e la capacità bellica convenzionale si manifesta nella guerra provocata dal messianismo repubblicano e dalla teleologia storica dell’Occidente.

 

I numerosi errori di calcolo dell’Occidente hanno spinto l’orso russo nell’abbraccio del panda cinese. Gran parte del Resto del mondo è pronta ad abbracciare l’orso in risposta all’egemonia occidentale, alle rivoluzioni colorate, all’espansione della NATO ora anche in Asia, alle richieste dell’Occidente di sanzioni per la guerra in Ucraina, alle pesanti pressioni di FMI e Banca Mondiale. In Ucraina, il nuovo messianismo conservatore neo-eurasiatico della Russia sta cercando di proteggere le sue retrovie in Occidente, mentre si rivolge verso est. Nella sua arroganza, l’Occidente non solo ha “perso la Russia”, ma sta per perdere anche l’Ucraina e forse molto altro. I suoi calcoli sbagliati hanno creato un nuovo mondo, ma non l’utopia repubblicana del mercato che aveva immaginato profilarsi all’orizzonte tre decenni fa. Trascurando la permanenza del conflitto nella Storia, l’Occidente ha fatto rivivere sia il conflitto che la Storia, e lo ha fatto in modi che potrebbe rimpiangere.

[1] Gordon M. Hahn, Ph.D., è un analista esperto di Corr Analytics, www.canalyt.com .

 

Il dottor Hahn è l’autore del nuovo libro: Russian Tselostnost’: Wholeness in Russian Thought, Culture, History, and Politics (Europe Books, 2022). È autore di cinque libri precedenti: The Russian Dilemma: Security, Vigilance, and Relations with the West from Ivan III to Putin (McFarland, 2021); Ukraine Over the Edge: Russia, the West, and the New Cold War (McFarland, 2018); The Caucasus Emirate Mujahedin: Global Jihadism in Russia’s North Caucasus and Beyond (McFarland, 2014), Russia’s Islamic Threat (Yale University Press, 2007) e Russia’s Revolution From Above: Reform, Transition and Revolution in the Fall of the Soviet Communist Regime, 1985-2000 (Transaction, 2002).

Inoltre, il dottor Hahn ha pubblicato numerosi rapporti di think tank, articoli accademici, analisi e commenti su media in lingua inglese e russa. Ha insegnato presso le università: Boston, American, Stanford, San Jose State e San Francisco State e come borsista Fulbright presso l’Università statale di San Pietroburgo, in Russia. È stato inoltre senior associate e visiting fellow presso il Center for Strategic and International Studies, il Kennan Institute di Washington DC e la Hoover Institution.

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OPPENHEIMER, recensione teppistica_di Roberto Buffagni

OPPENHEIMER, recensione teppistica
Ieri pomeriggio ho visto “Oppenheimer”, un brutto film. Anticipo che mi sono perso gli ultimi venti minuti perché mi sono addormentato, come al solito mi ero svegliato molto presto e non avevo potuto fare il solito pisolino pomeridiano.
Prima di vedere il film, di Robert Oppenheimer non sapevo niente tranne quel che sanno tutti, che era stato il direttore del “Manhattan Project”, che dopo la bomba aveva citato le Baghavad-Gita, che aveva avuto qualche problema con il maccartismo, che portava un caratteristico cappello. Dopo il film, non ho imparato niente di più tranne un aspetto interessante e preoccupante della sua vita di cui parlerò dopo.
“Oppenheimer” è un brutto film perché un film incentrato sulla vita di un uomo che non ce ne mostra l’interiorità, con le sue motivazioni, il suo percorso e il suo cambiamento è un brutto film, a meno che l’uomo non sia Conan il Barbaro.
Dal film si evince quanto segue (che non so in che misura corrisponda alla realtà biografica):
Oppenheimer è un fisico brillante. Quanto brillante non si sa. L’impressione che si ricava è che fosse un brillante fisico di second’ordine (essere di second’ordine quando di prim’ordine sono Heisenberg, Bohr, Einstein è ovviamente un risultato notevolissimo). Pare invece che fosse un organizzatore e un venditore di primissimo ordine; anzitutto, venditore di se stesso, della sua immagine e della sua superiorità, tant’è vero che riesce a radunare menti brillantissime e a coordinarle nel progetto che dirige.
Non ha opinioni solide in merito alla politica o alla società. È genericamente “di sinistra” perché in quegli anni, praticamente tutti gli intellettuali che lo circondano lo sono. Il momento della verità coincide con la guerra di Spagna, che con la creazione della Legione internazionale a sostegno del governo repubblicano fornisce l’occasione per dimostrare quanto si fa sul serio a tutti gli intellettuali.
Ovviamente si può fare sul serio per davvero, ovvero prendere parte alla guerra anzitutto per sostenere le proprie idee e la causa repubblicana e antifascista, come fanno Orwell, che poi scrive il bel libro “Homage to Catalunia”, e Simone Weil, l’improbabile guerriera che appena giunta in Spagna si rovescia sui piedi un pentolone d’acqua bollente e deve tornare a casa, e poi, letto il meraviglioso “Les Grands Cimetières sous la lune”, scrive una lettera indimenticabile a Bernanos, un uomo di destra che militava dall’altra parte; oppure si può fare sul serio per finta, cioè per far vedere a tutti quanto siamo più fighi e valorosi di voi, come Hemingway, che fa un giro in Spagna e poi scrive uno dei libri più farlocchi della letteratura universale, “For Whom the Bell Tolls”, un sogno bagnato adolescenziale che pensando all’età in cui lo scrisse risulta seriamente imbarazzante.
Oppenheimer non fa nessuna delle due cose perché, a quanto risulta dal film, è abbastanza astuto e lungimirante da non compromettersi politicamente e così bruciarsi la possibilità di accedere all’ufficialità che desidera ardentemente. Si limita insomma a sostenere le cause di sinistra a parole.
Allo stesso modo non ha opinioni solide in merito alla bomba atomica. È persuaso che bisogna arrivarci prima dei tedeschi, e ovviamente ci sta. Dopo Hiroshima e Nagasaki ha qualche perplessità, che si manifesta nei seguenti modi: citazione dalla Baghavad-Gita (“Io sono morte, il distruttore di mondi”) e contrarietà alla ricerca per la bomba all’idrogeno, come se un aumento quantitativo della potenza distruttiva fosse il punto chiave. Non firma la petizione contro la bomba atomica promossa da Leo Szilard. Butta lì qualche auspicio inconcludente su una trattativa mondiale per la rinuncia generale agli armamenti atomici, non cogliendo il punto della questione: l’atomica non si può disinventare, le ipotesi possibili sono solo a) gli USA finché ne hanno il monopolio nuclearizzano l’URSS e creano un governo mondiale, come suggerito da Bertrand Russell al Segretario alla Difesa statunitense b) si entra nella meccanica avventurosa della deterrenza.
Ci sarebbe poi il tema della mutazione ontologica inaugurata dalla bomba atomica, ossia il fatto nuovo che l’uomo, uscito dalla minorità con l’Illuminismo come dice Kant, è diventato capace di distruggere sul serio se stesso, ma a questo tema Oppenheimer pare non dedicare pensiero alcuno.
Nel dopoguerra, con l’inizio della Guerra Fredda, il sostegno a parole alle cause di sinistra lo frega perché essendo molto vanitoso ha pestato i piedi a personalità importanti che si vendicano.
L’unica cosa nuova che ho imparato su Oppenheimer è che a un certo punto sbologna il figlio piccolo a una coppia di amici, perché sia lui sia la moglie non hanno voglia di occuparsene. Gli amici accettano, forse (è una mia inferenza, non c’è nel film) perché sono entrambi comunisti e sperano che Oppenheimer ricambi il grosso favore con informazioni sulla ricerca atomica da passare all’URSS.
Al momento della consegna del piccolo sventurato, Oppenheimer dice più o meno: “Siamo due persone orrende, insensibili ed egocentriche” e l’amico comunista ribatte “Le persone orrende, insensibili ed egocentriche non sanno di esserlo”, una affermazione totalmente falsa, come ognun sa: sono i PAZZI che credono di essere Napoleone che non sanno di essere pazzi, gli egocentrici sanno benissimo di esserlo e salvo qualche eventuale rimorso, di solito a parole, gli va bene così, sennò non sarebbero egocentrici.
In effetti Oppenheimer e sua moglie, se hanno fatto quel che il film mostra, SONO due persone orrende, insensibili ed egocentriche, anche perché sono entrambi ricchi di famiglia e se proprio non ce la facevano a occuparsi del bambino potevano tranquillamente pagarsi una o più governanti. Il film non spiega come mai non gli sia venuta in mente questa soluzione più semplice e tradizionale del problema “bambino piccolo che dà noia”. Si evince, o almeno io evinco, che non gli è venuta in mente perché sono effettivamente due persone orrende, insensibili ed egocentriche che vogliono sbarazzarsi totalmente della povera creatura che hanno messo al mondo, e per farla fuori non hanno abbastanza pelo sullo stomaco.
Quanto al film come tale, il povero Cillian Murphy che interpreta Oppenheimer brancola nel buio sgranando gli occhi dal primo all’ultimo minuto (salvo errore per gli ultimi venti in cui ho dormito), perché nessun attore può interpretare bene un personaggio così, sfuggente come un’anguilla, che resta sempre identico a se stesso e inspiegato nelle sue motivazioni. Gli altri attori forniscono il minimo sindacale perché i loro personaggi – tutti di contorno anche quando sarebbero interessanti, come l’amante di O. – sono anch’essi costruiti sulla sabbia, figure di cartone.
Bella fotografia di paesaggi, di esplosioni, di manifestazioni dell’energia con tante righine ondulatorie luminose che ci rinviano alla fisica quantistica (di cui si capisce, ovviamente, zero).
Costo: sei euro grazie alla riduzione per vecchi over 65. That’s all folks.

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Su un appello alla riforma dell’esercito degli Stati Uniti. Con Giacomo Gabellini e Roberto Buffagni

La sicumera di una élite, per oltre un ventennio certa di aver raggiunto il predominio militare assoluto e il controllo egemonico del pianeta e l’elezione a nemico di avversari incapaci di sostenere con qualche probabilità di successo un confronto militare in campo aperto da una parte; dall’altra la reazione determinata ed efficace del governo russo alla drammatica crisi di decomposizione degli anni ’90 e l’emersione definitiva, anche se non del tutto consolidata, ma sottovalutata, di nuovi attori protagonisti nello scenario geopolitico. E’ il contesto nel quale ha potuto crogiolarsi l’inerzia della macchina militare statunitense e l’elefantiasi del suo complesso industriale, pur con gli innegabili punti di forza tuttora esistenti. E’ la guerra a mettere a nudo i limiti e i pregi delle forze in campo. La Russia ha dimostrato di possedere la necessaria flessibilità e riserva di potenza pur tra i tanti problemi emersi. Gli Stati Uniti possono godere della posizione della conduzione dall’esterno del conflitto in Ucraina, senza mettere sul terreno di battaglia forze dalle perdite significative. Vedremo se sarà il pungolo sufficiente a riformare l’apparato militare secondo i canoni definiti dal documento di riferimento della conversazione http://italiaeilmondo.com/2023/09/15/…. Buon ascolto, Giacomo Gabellini, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v3irp7s-su-un-appello-alla-riforma-dellesercito-degli-stati-uniti.-con-giacomo-gabe.html

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