L’Italia, l’Europa e il Mondo: uno spaccato della servitù volontaria ed obbligatoria funzionale alle strategie Usa nel conflitto per l’egemonia mondiale. a cura di Luigi Longo

L’Italia, l’Europa e il Mondo: uno spaccato della servitù volontaria ed obbligatoria funzionale alle strategie Usa nel conflitto per l’egemonia mondiale.

 

a cura di Luigi Longo

 

 

Le letture che propongo riguardano gli aspetti nazionali, europei e mondiali che interessano le strategie della potenza egemonica mondiale, quali sono gli Stati Uniti d’America, nell’avanzamento della fase multicentrica.

La prima è tratta dal libro di Gianni Lannes, Italia, Usa e getta. I nostri mari: una discarica americana per ordigni nucleari, Arianna editrice, Bologna, 2014 (capitoli nn.4 e 5); la seconda è un articolo di Manlio Dinucci, Washington, la ragione della forza in il Manifesto del 5 febbraio 2019.

Qui mi interessa evidenziare tre questioni.

 

La prima. La sfera militare, nella fase multicentrica sempre più incalzante, tende ad avere un ruolo determinante all’interno del blocco dominante degli agenti strategici (principali, gestionali ed esecutivi). Per inciso, i nostri agenti strategici esecutivi della sfera militare sono incastrati sotto il comando di quelli principali statunitensi sia direttamente (Pentagono, Servizi segreti, eccetera) sia indirettamente tramite Nato.

E’ nella fase multicentrica, dove prevale l’egemonia coercitiva, che si incominciano a vedere le modifiche legislative ed istituzionali orientate ad un accentramento dei poteri per accorciare la filiera del comando e rendere più efficaci ed efficienti le strategie tra le potenze mondiali, finalizzate all’espansione e al controllo delle aree di influenza nel conflitto per l’egemonia mondiale (le potenze attuali sono Usa, Cina e Russia).

 

La seconda. La fine del progetto dell’Unione Europea, strumento strategico degli Usa pensato dopo la fine della seconda guerra mondiale per il coordinamento del mondo occidentale in opposizione al mondo orientale coordinato dall’Urss, coincide con l’inizio del relativo declino della potenza mondiale egemone statunitense (preceduto da una breve fase di dominio mondiale unipolare dopo l’implosione dell’Urss durata più o meno 10 anni) che tenta un cambio di strategia, per rilanciare il suo progetto egemonico mondiale, smembrando l’apparente Unione Europea (che è solo economico-finanziaria), che, nella fase unipolare, dove prevale l’egemonia consensuale, ha avuto un ruolo di dipendenza e servitù volontaria ed obbligatoria (coordinato principalmente nell’ultima fase dalla Germania tramite il sistema monetario dell’euro) permettendo l’occupazione militare dello spazio europeo da parte degli Usa. Altro che cambiare le regole, come sostengono molti sovranisti nostrani, per riconquistare sovranità come da Costituzione per mezzo delle elezioni europee (sic), ben sapendo che i Trattati europei hanno annullato la Costituzione italiana (e non solo), e, ammesso e non concesso che la Costituzione abbia a che fare con la vita reale della popolazione.

 

La terza. La fine dell’Unione Europea [che può essere simboleggiata formalmente dal trattato inconsistente di Aquisgrana tra Germania e Francia, due nazioni espressione di agenti strategici gestionali, che, tra le altre questioni, dimenticano sia la forza di polizia multinazionale a statuto militare, l’Eurogendfor, istituita con il Trattato di Velsen (Olanda), sia l’esercito europeo (la PeSCO), sia l’Eri (Iniziativa di rassicurazione dell’Europa), tutte sotto comando della Nato, cioè degli Usa] potrebbe comportare un ripensamento sia dell’autodeterminazione storica di una nazione sia dell’autodeterminazione storica del continente Europa.

Un ripensamento che deve partire dalla formazione di agenti strategici che siano in grado di rompere l’egemonia statunitense e guardare ad Oriente, a quelle nazioni che sono a favore di un mondo multicentrico: Russia e Cina.

Il problema delle nazioni europee è quello di essere egemonizzate e guidate da agenti strategici gestionali ed esecutivi delle strategie statunitensi per il dominio unipolare del mondo, ovverossia i tre rappresentanti Angela Merkel in Germania, Emmanuel Macron in Francia, Sergio Mattarella in Italia.

 

 

Gianni Lannes, Italia, Usa e getta. I nostri mari: una discarica americana per ordigni nucleari, Arianna editrice, Bologna, 2014:

 

Capitolo 4

 

Radiazioni belliche

 

«Non si sa che effetto avrà sul sistema immunitario dei siciliani di Lentini la radioattività delle scorie nucleari nascoste dagli americani nel suolo», si legge in un passaggio del libro Radiation and Human Health, scritto dal professor John William Gofman1, uno dei maggiori esperti in materia a livello internazionale.

A cosa si riferiva, lo scienziato nordamericano di caratura mondiale? Forse alle scorie della vicina base militare USA di Sigonella? Forse, in qualcuna delle 27 cave dismesse – etichettate “apri e chiudi” – del comprensorio locale? Gli investigatori della Direzione investigativa antimafia hanno rilevato che la base di Sigonella compare tra gli enti che per anni hanno scaricato rifiuti nella discarica abusiva di Salvatore Proto, un prestanome del clan Santapaola-Ercolano2. In ogni caso, c’è poco da stare allegri. Le ricerche scientifiche concordano nel ritenere l’esposizione a grandi quantità di radiazioni il maggiore fattore di rischio per il tumore del sangue. «La leucemia è associata al plutonio, responsabile della perdita dell’immunità biologica che colpisce un numero crescente di persone», argomenta Gofman nelle sue innumerevoli pubblicazioni. Il 21 gennaio 1968 un bombardiere B-52 americano che trasportava 4 bombe H cadeva nel nord della Groenlandia, disintegrandosi e spargendo rottami radioattivi su un’area vastissima di terra e di mare.

Nel giro di qualche anno, le persone che erano venute inavvertitamente a contatto con i rottami si ammalarono di leucemia, e in quel luogo proprio la leucemia divenne una delle più frequenti cause di morte.

Se si scava, emergono delle singolari analogie con due incidenti aerei – di carattere militare – che hanno funestato la Sicilia orientale a metà degli anni Ottanta.

Il 12 luglio 1984, alle ore 14:45, proprio a Lentini, un quadrigetto Lockeed C141B “Starlifter” dell’US Air Force, con un carico segreto si schiantò ed esplose in contrada Sabuci-San Demetrio, dopo essersi levato in volo da Sigonella, diretto in Germania. Nell’impatto, morirono sul colpo 9 militari americani.

«I marines giunsero sul luogo del disastro pochi minuti dopo e ostacolarono militarmente l’intervento dei mezzi di soccorso locali e l’accesso addirittura delle Forze dell’ordine italiane; l’indagine fu sottratta alla magistratura italiana», rivela il sostituto commissario della Polizia di Stato, Enzo Laezza che l’11 agosto 1987 ha perso la figlia Manuela di appena 7 anni, colpita dalla leucemia mieloide acuta.

Le autorità americane mantennero il massimo riserbo sul carico trasportato dal velivolo. La zona in cui era precipitato l’aereo USA venne transennata e per una quarantina di giorni la statale 194, che collega Catania a Ragusa, fu interdetta al traffico veicolare.

Un altro incidente aereo, del quale però si hanno solo scarne notizie, si verificò nel giugno del 1985. Nell’occasione, un altro velivolo dell’aviazione USA, in volo verso la base di Sigonella, perse quota proprio negli agrumeti di Lentini. L’aereo si disintegrò nell’impatto con il suolo. L’area rimase impenetrabile ai comuni mortali siciliani per diversi mesi, fino a quando tutti i frammenti del velivolo furono raccolti dai marines. Cosa trasportavano, i due aerei in missione per il Pentagono sui cieli di Lentini? Oltre ai velivoli e agli uomini che persero la vita nei due incidenti, cos’altro compenetrò il suolo siciliano da allora? A bordo vi erano materiali nucleari o soltanto uranio sporco usato come contrappeso dei velivoli? Conseguenze letali a prova di scienza.

Da allora, nelle contrade agricole del comprensorio di Lentini, Carlentini e Francofonte i bambini muoiono di leucemia più che in ogni altra parte d’Italia.

«In provincia di Siracusa negli ultimi anni si è osservato un aumento della mortalità per leucemie. Estendendo l’osservazione a otto anni, i tassi provinciali si attestano intorno a quelli regionali e nazionali, a eccezione del distretto di Lentini, dove si osservano tassi di gran lunga maggiori».

L’Atlante della “mortalità per tumori” (vol. 2), realizzato da alcuni epidemiologi coordinati da Anselmo Madeddu – con il contributo dell’università di Catania – e pubblicato dall’Azienda sanitaria locale, parla chiaro.

«Questo dato nell’ultimo periodo di osservazione non solo si è consolidato, ma è cresciuto e sembra ineluttabilmente destinato a moltiplicarsi. La mortalità e l’incidenza dei tumori del sangue, in particolare leucemie e linfomi, nella zona nord della provincia siracusana – caso totalmente diverso dalla situazione di Augusta, Priolo e Gela – stanno divenendo sempre più preoccupanti.

Sarebbe utile verificare se esistono fattori di rischio legati a determinati rifiuti tossici che hanno inquinato terreni e falde freatiche non distanti dall’insediamento militare di Sigonella», denuncia il dottor Pino Bruno, un medico della CGIL. Nell’area vivono 60.000 persone, su un totale di 403.000 dell’intero territorio provinciale. Il 30 gennaio 2006, l’associazione “Manuela-Michele”, che dal 1991 si batte per fare luce sul gran numero di bimbi e ragazzini deceduti a causa di questa particolare forma di cancro, ha presentato una denuncia alla Procura della Repubblica di Siracusa, sollecitando un’indagine sulla «tangibile possibilità che i numerosi casi di leucemia possano essere causati dalla commistione di reati contro l’ambiente». Secondo l’avvocato Santi Terranova, «tocca alla magistratura indagare e capire perché in questa zona della Sicilia i bambini muoiono in percentuale maggiore rispetto ad altre aree del Belpaese». L’incandescente fascicolo giudiziario giace nelle mani del sostituto procuratore Maurizio Musco. Il pubblico ministero, da me interpellato personalmente, però, non si sbottona di un millimetro. Ben due documentati rapporti dell’Azienda sanitaria siracusana ipotizzano una causa di inquinamento scatenata dalla presenza sul territorio di «discariche illegali di scorie radioattive. Infatti le radiazioni ionizzanti sono associate a un aumento di rischio per leucemie e possono avere due origini: origini nucleari, per disintegrazione di radionuclidi naturali come il radon, o per disintegrazione di radionuclidi artificiali, come nel caso delle centrali nucleari o delle bombe».

Il primo volume dell’Atlante ha ricevuto anche la prefazione del professor Donald Maxwel Parkin, membro dell’International Agency for Research on Cancer (IARC): «Si spera che gli autori di questa eccellente monografia avranno l’energia, il tempo e la pazienza per preparare una terza monografia, quando saranno disponibili i risultati scientifici». Il terzo volume dell’Atlante, la cui presentazione era prevista per l’ottobre del 2006, ha subito un brusco stop dalla Regione sotto il regno del governatore Totò Cuffaro.

L’area orientale della Sicilia è forse un luogo contaminato dalle invisibili radiazioni? Perché la magistratura non ha aperto doverosamente un’indagine, in occasione addirittura di ben due incidenti aerei? Il governo italiano non si è preoccupato di chiarire la vicenda e ha preferito occultare i rischi? Tutti gli scenari previsti da politicanti e strateghi negli interminabili anni della Guerra Fredda, erano così saltati. Forse in un Paese membro della Nato sono rovinate al suolo alcune bombe atomiche nordamericane, sia pure disattivate?

Il comando militare “alleato” e le autorità italiane hanno sempre mantenuto un silenzio tombale sui due incidenti di Lentini. Per quale ragione? Non era successo niente di preoccupante e tutto era apparentemente tranquillo?

Altri fatti. La base militare di Sigonella ha “smaltito”, ma è meglio dire “occultato”, le proprie scorie pericolose – prodotte in enorme quantità – nell’ampio complesso militare in territorio di Lentini, nella contrada Armicci. Sempre in loco sono stati interrati i rifiuti speciali ospedalieri prodotti nel grande ospedale della vicina base americana, che si occupa della salute degli ottomila soldati di stanza a Sigonella e di tutti gli altri assegnati alle diverse basi della marina militare USA dislocate nel Mediterraneo. Chi li controlla? Nessuno. Per lo “Zio Sam” non valgono le leggi italiane e il nostro governo non ha mai fatto rispettare la sua sovranità. Neppure l’EPA (agenzia federale americana di protezione ambientale) ha l’autorità di monitorare le basi militari all’estero. All’addetto stampa della base USA, a suo tempo, abbiamo girato i quesiti, ottenendo in cambio un seccato «No comment». Comunque, era alla Giano Ambiente, una società a responsabilità limitata, che l’US Navy aveva affidato lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri speciali. Fondata nel 1983, la Giano Ambiente fa parte del Gruppo Giano SpA, con sede a Messina e ufficio di rappresentanza a Milano. L’azienda opera nel settore per la bonifica, il trasporto, lo smaltimento e il trattamento dei rifiuti d’ogni genere prodotti in Italia, Germania, Francia e Austria; vanta ufficialmente un fatturato annuo di 4 milioni di euro. Essa è anche una delle aziende di fiducia della Marina militare italiana: la Direzione Commissariato in Sicilia affida alla Giano la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti delle basi navali di Augusta, Messina e Catania; l’impresa esegue inoltre lo smaltimento dei rifiuti industriali e tossici prodotti negli impianti di Priolo e Gela, di proprietà delle principali aziende petrolchimiche. Amministratore e principale azionista della Giano è il manager Gaetano Mobilia, rinviato a giudizio nell’aprile del 2004 con l’accusa di turbativa d’asta, falso e abuso d’ufficio. Già nel febbraio del 2002 il Tribunale aveva interdetto il Mobilia per due mesi dall’esercizio dell’attività d’impresa. Il nome di Gaetano Mobilia è poi comparso nel Rapporto Ecomafia 1998 di Legambiente: il manager messinese è legato alla ODM del faccendiere Giorgio Comerio, più volte sotto inchiesta per traffici di rifiuti radioattivi e tossico-nocivi, ovvero per affondamenti di navi e siluri nel Mediterraneo e in alcuni Oceani, nonché occultamenti in Africa (alla voce “Somalia”, ma non solo). Mobilia ha fatto anche parte del consiglio d’amministrazione della Servizi Ambientali di Filippo Duvia, società coinvolta nello scandalo dei rifiuti occultati nella discarica di Pitelli a La Spezia. Un dato generale: soltanto il Dipartimento della difesa USA produce mediamente 800.000 t di rifiuti nocivi, cinque volte quelli prodotti dalle cinque maggiori multinazionali chimiche, senza contare quelli nucleari.

Ma dove siamo? Nei pressi dell’Etna, prossimi a un altro deposito nucleare segreto. “Saygonella”, come dicono gli yankee, è stata messa a disposizione delle Forze Armate degli Stati Uniti d’America sulla base di un Memorandum firmato l’8 aprile 1957 e mai ratificato dal Parlamento italiano. Il 18 dicembre 2003, è stato predisposto segretamente un nuovo “Accordo Tecnico” tra l’Italia e gli Stati Uniti per regolare l’utilizzo delle installazioni militari della base militare. “Nassig” ricopre un ruolo fondamentale nello stoccaggio e nella manutenzione di testate e munizioni per le unità della VI flotta e i reparti dell’aviazione USA e NATO. L’infrastruttura è classificata dal Pentagono come “Special Ammunition Depot” (deposito di munizioni speciali), in quanto è a Sigonella che viene effettuato lo stoccaggio delle bombe nucleari del tipo B 57 – stimate in 100 unità – utilizzate per la guerra antisommergibile. Una ventina circa di queste testate nucleari è destinata ai velivoli Atlantic in forza al 41° Stormo dell’Aeronautica italiana. Il numero degli ordigni atomici occultati nella base siciliana cresce in particolari periodi di esercitazioni o di crisi internazionale, quando l’insediamento aeronavale funziona da centro di manutenzione per le armi nucleari destinate alle unità navali della VI flotta e ai velivoli imbarcati. «Periodicamente vengono dislocate a Sigonella anche le testate nucleari del tipo B 43, B 61 e B 83 con potenza distruttiva variabile da 1 kt a 1,45 Mt», rivela un alto ufficiale dell’US Navy, di origine italo-americana. A 39 km di distanza, si erge il vulcano Etna con le sue eruzioni e a 16 la città di Catania. La mastodontica base sorge nei territori di Lentini (Siracusa) e Motta Sant’Anastasia (Catania) e si compone di due sezioni: NAS 1 e NAS 2 (Naval Air Station 1 e 2). La prima ospita gli uffici amministrativi e di sicurezza, gli alloggi per gli ufficiali, servizi e strutture per il personale, un centro commerciale. NAS 2 sorge invece a 15 km di distanza e comprende le due zone militari operative degli USA e della NATO, un Air Terminal, altri centri residenziali, due piste d’atterraggio di 2500 m, due aree di parcheggio in grado di garantire la prontezza operativa a un’ottantina di mezzi, tra aerei da trasporto, cacciabombardieri, pattugliatori ed elicotteri da combattimento, depositi munizioni e sistemi radar e di intercettamento. A circa 3 km da NAS 2, nel territorio di Belpasso, è presente una terza area militare, in cui sono stati realizzati un centro trasmissioni e una decina di depositi sotterranei colmi di munizioni e di sistemi d’arma. Infine, nell’adiacente porto di Augusta, sovente attraccano e stazionano sommergibili a propulsione e armamento nucleare, sotto il controllo diretto del Pentagono5. L’US Naval Computer and Telecommunication Station Sicily controlla, inoltre, la base Ulmo di Niscemi, ove sono state installate 41 antenne, che collegano i reparti fra Asia sud-occidentale, Oceano Indiano e Oceano Atlantico, ed è stato allestito illegalmente il dispositivo di guerra denominato Muos, distruggendo un’antica sughereta protetta solo sulla carta.

Nel 2006, ho realizzato un’inchiesta giornalistica. Su questa base conoscitiva, i senatori Liotta, Russo Spena e Martone, il 13 settembre di sette anni fa, hanno indirizzato ai ministri dell’Ambiente, della salute e della difesa l’interrogazione a risposta scritta numero 4-026456.

A Lentini e dintorni, numerosi cittadini, e soprattutto quei genitori che hanno perso i figli, continuano a chiedere, con insistenza inascoltata, se esiste un qualche nesso di causalità tra l’elevato tasso di mortalità infantile per leucemie e i due incidenti aerei.

Perché il governo italiano non è intervenuto positivamente per garantire l’effettivo diritto alla salute, come sancito dall’articolo 32 della Costituzione? Non si può fare finta di nulla o girarsi dall’altra parte, anche se le radiazioni letali sono invisibili all’occhio umano. Si tratta di un crimine latente, che sfiora i governi, ma annienta i bambini.

 

 

Capitolo 5

 

Eldorado di guerra

 

Da anni svettiamo in cima alla classifica mondiale per spese ed esportazioni militari, grazie anche alle triangolazioni che hanno fatto la fortuna dei servizi segreti, soprattutto del SISMI, e causato l’eliminazione mirata di ben quattro giornalisti, vale a dire: Graziella De Palo e Italo Toni, assassinati in Libano nel 1980, nonché Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ammazzati in Somalia nel 1994. Sicuramente in barba alla legge 185 del 1990, che vieta la vendita a Paesi in guerra o in cui non regna la democrazia. Gli ignari contribuenti sborsano milioni di euro per mantenere le basi militari dello “zio Sam”.

Gli italiani pagano con nuovi debiti gli armamenti, che la Difesa USA ci assegna. Ultimo caso: il cacciabombardiere nucleare F- 35, dal costo faraonico in perenne lievitazione.

La casta dei politicanti drena senza controllo le casse pubbliche, sempre più al verde; poi agli italiani dicono che non ci sono risorse per la scuola pubblica, la sanità collettiva, la ricerca di qualità, i servizi pubblici efficienti, il lavoro dignitoso, e tanto meno per la cultura, la famiglia, la salvaguardia ambientale e la reale crescita umana. Che succede, in un Paese a sovranità cancellata in cui i segreti di Stato coprono di tutto, sotto il peso di molteplici e schiaccianti condizionamenti? In ossequio alle pianificazioni della NATO, ecco l’ultima «Direttiva Ministeriale sulla politica militare italiana». Argomenti e contenuti del documento ufficiale, firmato dal ministro della Difesa non lasciano adito a equivoci, dubbi o fraintendimenti; eppure, il testo istituzionale passato inosservato ad analisti e mass media. Di che si tratta? Di una cosa inquietante: la preparazione a un conflitto bellico convenzionale e ibrido contro un nemico esterno (Siria, Iran e altri Stati “canaglia”), ma anche contro un problema interno. La direttiva ministeriale, emanata per il 2013, è in vigore anche nel 2014; composta da 24 pagine, si richiama prevalentemente alle normative di guerra e, in particolare, alle decisioni della NATO. Inoltre, presenta un vistoso omissis, ovvero un riferimento a una norma, che non è indicata, ma solo presunta: la “Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia”; infatti vi è scritto, alla lettera: «VISTO il Codice dell’ordinamento militare […] VISTO il TESTO unico delle disposizione regolamentari in materia di ordinamento militare […] VISTO il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135; VISTA la Legge […………….] recante “Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale e norme sulla medesima materia”; VISTE le Conclusioni del Consiglio europeo del 13 e 14 dicembre 2012; VISTA la “Chicago Summit Declaration” rilasciata dai capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Alleanza atlantica il 20 maggio 2012, EMANA per l’anno 2013 la direttiva ministeriale in merito alla politica militare, di cui all’annesso documento… IL MINISTRO Giampaolo di Paola».

Nel sommario, c’è un riferimento esplicito alle «Direttive specifiche per il potenziamento della condotta delle operazioni», ovviamente belliche; infatti, a pagina 8 (punti da 29 al 33, in alcune parti evidenziate in grassetto) si legge: «29. In ragione della mutevolezza del quadro internazionale, l’Italia deve saper concorrere a iniziative multilaterali caratterizzate da un significativo impegno militare, per affrontare in tempi brevi e in maniera risolutiva, crisi che dovessero accendersi in aree o contesti di critica rilevanza per la sicurezza del Paese e della stabilità internazionale. 30. Nel contempo, alla luce delle istanze che giungono dal Paese, le Forze Armate devono tenersi pronte ad assicurare quel supporto tecnico e organizzativo che risulta decisivo in caso di particolari emergenze nazionali, nei modi e nei tempi che verranno richiesti da parte delle autorità preposte alla gestione di tali eventi. 31. Non può essere, infine, ignorata la possibilità, per quanto remota, di un coinvolgimento del Paese e del sistema delle alleanze del quale siamo parte in un confronto militare su vasta scala e di tipo “ibrido”, ovvero che implichi sia operazioni militari convenzionali, sia operazioni nello spettro informativo, sia operazioni nel dominio cibernetico. 32. Elemento irrinunciabile della politica nazionale è anche il rispetto degli impegni assunti in sede europea, impegni finalizzati a garantire la stabilità di lungo periodo della moneta comune e, con essa, dell’intero sistema economico comunitario. Tale stabilità dev’essere considerata come essenziale per il perseguimento del fine ultimo costituito dalla sicurezza del sistema internazionale e delle relazioni politiche ed economiche che in questo si sviluppano […]». Unione dittatoriale? Il Consiglio europeo si riunisce almeno due volte a semestre a Bruxelles, nel palazzo Justus Lipsius. È composto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’UE e dal presidente della Commissione europea. È presieduto dal suo presidente Herman Van Rompuy. Prende altresì parte alle riunioni l’alto rappresentante per gli Affari esteri. L’Europa del potere bancario internazionale, pilotata dalla politica di dominio imperiale degli Stati Uniti d’America, non ha nulla a che vedere con il “vecchio continente” dei popoli liberi, sovrani e pacifici; infatti, il 14 dicembre 2012 il Consiglio europeo approvava così: «Una tabella di marcia per il completamento dell’Unione economica e monetaria, basato su una maggiore integrazione e una solidarietà rafforzata. I leader dell’UE hanno esaminato anche aspetti connessi alla politica di sicurezza e di difesa comune, le strategie regionali, l’allargamento e il processo di stabilizzazione e associazione, e la Siria […]. Nella conferenza stampa che ha fatto seguito al primo giorno di vertice, Herman Van Rompuy ha presentato i risultati delle discussioni della serata: progressi sull’istituzione del meccanismo di vigilanza unico, che dovrebbe consentire la ricapitalizzazione diretta delle banche mediante il meccanismo europeo di stabilità, e la decisione di istituire un unico meccanismo di risoluzione, una volta istituito il meccanismo di vigilanza unico. Herman Van Rompuy ha annunciato che presenterà altre misure economiche, dirette a conseguire un’Unione economica e monetaria europea stabile, da discutere nel Consiglio europeo di giugno 2013. Il Consiglio europeo ha approvato una tabella di marcia per il completamento dell’Unione economica e monetaria, basato su una maggiore integrazione e una solidarietà rafforzata».

In tempi bellici vale appunto il Codice di Guerra del Patto Atlantico. Non a caso, si fa riferimento esplicito al Chicago Summit Declaration (dei capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’Alleanza atlantica (maggio 2012)3. Anche i rappresentanti del Belpaese senza alcun mandato parlamentare hanno accettato di scatenare la guerra, addirittura quella nucleare.

In punta di diritto, il poco noto Trattato di Lisbona (firmato il 12 dicembre 2007 da Prodi & D’Alema) entrato in vigore nel 2009, ha superato (annullato) la Costituzione italiana, ma chi detta legge preferisce non farlo sapere al popolo sovrano solo in teoria.

Attenzione: la questione tocca il rapporto tra la democrazia rappresentativa e il potere militare, che si reggono su princìpi diversi: su libertà e controllo pubblico, la prima; su disciplina, obbedienza cieca e gerarchia, il secondo. Quale pericolo si profila, concretamente, per l’Occidente? L’instaurarsi di tendenze autoritarie, che trovano espressione nel pensiero militare e legittimazione nell’ambito politico. Imperversa infatti il modello autoritario delle élite militari che hanno preso il sopravvento sui Parlamenti, già esautorati dai governi, palesemente eterodiretti. Le democrazie rappresentative occidentali hanno subito non golpe militari, bensì svuotamenti graduali che comportano un mantenimento solo apparente di forme democratiche, che coprono in realtà una sostanza oligarchica. È in questo tipo di processo che hanno trovato un ruolo le élite militari insieme a quelle dei servizi di sicurezza, vale a dire il potere repressivo. A parte i terroristici postulati del pensiero geopolitico nordamericano, c’è un documento del Pentagono, risalente al gennaio del 1992 (Prevent the Re-Emergence of a New Rival), davvero “illuminato”. Lo scenario che vi si profila è la fine del mondo in senso occidentale, e l’involuzione del sistema verso un unico e assoluto governo mondiale, non eletto dai popoli, selezionato dal sistema di potere finanziario. È interesse vitale, per gli USA, impedire, sia in Europa che in Asia, il sorgere di una superpotenza in grado di sfidare il potere mondiale degli Stati Uniti. Tale strategia, ufficialmente smentita, traspare però nell’adozione di una struttura delle Forze armate nordamericane.

La forza militare gioca un ruolo determinante nelle relazioni internazionali, e le armi nucleari non verranno eliminate. Ecco i due punti cardine del pensiero a stelle e strisce del presente e del futuro: essere l’unica superpotenza e l’esportazione della democrazia secondo il proprio modello quale realizzazione di una nuova storia basata sulla pax americana, imposta con la forza militare. Attenzione non solo al potere finanziario, ma a quello delle élite militari. Alla luce di Eurogendfor (alla voce “Trattato di Velsen”), ovvero la gendarmeria militare europea sotto il controllo della NATO, che esautora tutte le forze di polizia, carabinieri compresi, con licenza di uccidere chiunque, a buon diritto, osi ribellarsi e di distruggere qualunque obiettivo civile senza alcun controllo della magistratura e del Parlamento.

E allora? «Per amare la pace, bisogna armare la pace. L’F-35 risponde a questa esigenza», aveva dichiarato pubblicamente il ministro della Difesa Mario Mauro, titolare nel governo Letta (dimissionato dal capo dello Stato Giorgio Napolitano nel febbraio 2014): una “dichiarazione d’amore” al jet da guerra, utilizzata senza colpo ferire dalla multinazionale Lockheed Martin per lo “F 35 show” di New York.

Doveva essere il cacciabombardiere del futuro; invece l’F35 targato Lockheed, dopo la piena adesione dei governi tricolore al dispendioso e inutile programma di riarmo bellico in violazione dell’articolo 11 della Costituzione, rischia di diventare un boomerang. Specie ora che il Pentagono lo marchia come aereo difettoso e inaffidabile, con problemi strutturali e di gestione dei software. Il tutto, all’interno di un rapporto in cui, beffa ulteriore, si stimano nettamente al ribasso i livelli occupazionali promessi dal programma stesso. Secondo l’ultimo rapporto del Pentagono (per ora il sesto della serie) Director of Operational Test and Evaluation (DOT&E) – recapitato al Congresso venerdì 24 gennaio 2014, ma anticipato due giorni prima da una nota dell’agenzia giornalistica Reuters – «le prestazioni sull’operatività complessiva continuano a essere immature e rendono necessarie soluzioni industriali con assistenza e lavori inaccettabili per operazioni di combattimento».

È il DOT&E a definire “inaccettabili” le prestazioni del software, ponendo l’accento su altri due problemi particolarmente critici, già denunciati a più riprese: la continua scarsa affidabilità del sistema logistico ALIS, del cui “terminale di ingresso” italiano il sito di Cameri dovrebbe presto cominciare a equipaggiarsi, e l’altrettanto perdurante mancanza di adeguati margini di crescita del peso del velivolo, fattore chiave per ogni sviluppo ulteriore di cellula, sistemi e quant’altro. La fusoliera, in particolare, è soggetta a crepe che richiedono continua assistenza, circostanza, questa, che – in caso di guerra o di conflitto – rischierebbe di comprometterne in modo pesante l’operatività. Sempre sul fronte dell’affidabilità della fusoliera, già un anno fa la Difesa statunitense aveva sottolineato come, nel tentativo di ridurre il peso del velivolo (è stato infatti quasi raggiunto il peso massimo, prima di compromettere le capacità tecniche previste per contratto) lo si era reso talmente fragile che, se colpito da un fulmine, sarebbe potuto esplodere. Risultato: il cacciabombardiere non può volare a meno di 45 km da un temporale. Per non parlare, poi, della scarsa visibilità posteriore e del sistema radar, incapace di inquadrare gli obiettivi. Beffardamente, sarebbero proprio gli F-35 nella versione a decollo verticale su pista corta ad avere il software più difettoso. L’Italia ha già finanziato l’acquisto di 90 caccia F-35 (inizialmente erano 131) per l’Aviazione e per la Marina: di questi, due terzi sono modelli “tradizionali” Lightning 2, un terzo invece è composto da F-35B a decollo corto e atterraggio verticale. L’intera operazione costa, nel 2014, circa 12 miliardi di euro, ma il prezzo finale, quando il velivolo sarà ormai obsoleto, è destinato ad aumentare notevolmente. L’adesione al programma JSF è stata siglata per la prima volta dall’Italia nel 1998 (con la firma dell’allora ministro Massimo D’Alema); la scelta è stata poi confermata nel 2002 – senza ratifica parlamentare – dall’esecutivo allora in atto di mister Silvio Berlusconi (tessera P2 numero 1816)8; la decisione è stata infine confermata nel 2012 dal governo Monti. Secondo il Consiglio supremo della difesa, presieduto da Giorgio Napolitano, la prescrizione voluta dalla maggioranza non è attuabile. Il Consiglio supremo della difesa ha ribadito che la titolarità delle scelte sull’ammodernamento delle Forze armate, quindi anche sugli F-35, spetta al governo. La polemica sul programma di acquisto degli F-35 (Joint Strike Fighters) si è recentemente riaccesa dopo la notizia che il governo si appresta a dimezzare il parco dei velivoli Canadair antincendio, per mancanza di fondi. Eppure i lavori per l’assemblaggio del primo F-35 destinato all’Italia sono già cominciati (lo ha attestato «Il Sole 24 Ore») e il cacciabombardiere dovrebbe essere completato nel secondo semestre del 2015. Per i generaloni dell’Arma azzurra, questo caccia multiruolo è «un sistema d’arma di combattimento di nuova generazione economicamente sostenibile e supportabile in tutto il mondo». Nel portale online dell’Aeronautica militare è scritto: «Il Joint Strike Fighter (JSF) è un velivolo multi-ruolo con uno spiccato orientamento per l’attacco aria-suolo, Stealth, cioè a bassa osservabilità radar e quindi a elevata sopravvivenza, in grado di utilizzare un’ampia gamma di armamento e capace di operare da piste semipreparate o deteriorate, pensato e progettato per quei contesti operativi che caratterizzano le moderne operazioni militari di quest’era successiva alla Guerra Fredda. Nello specifico, il JSF può soddisfare un ampio spettro di missioni, a conferma della notevole versatilità della macchina, assolvendo compiti di operazioni di proiezione in profondità del “potere aereo”, di soppressione dei sistemi d’arma missilistici avversari e di concorso al conseguimento della superiorità aerea».

Il programma d’acquisto italiano per 131 aerei da guerra, in ossequio ai voleri del padrone nordamericano, prevede attualmente (8 maggio 2014) una previsione minima di spesa pari a ben 15 miliardi di euro (una lievitazione ingiustificata di altri 3 miliardi), equivalenti a una manovra finanziaria. Altre nazioni hanno già rinunciato. Le temute penali sul ritiro italiano non esistono. Lo ha confermato, tra l’altro, l’ex capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Vincenzo Camporini, che sa perfettamente quanto sia reale la subordinazione delle forze armate italiane. Perché comprare a tutti i costi – pagati però dagli ignari contribuenti – un autentico bidone, tant’è che lo stesso responsabile del programma Joint Strike Fighter, tale David Venlet, ha ammesso pubblicamente che «qualcosa non va nel programma, disegnato in modo da permettere la produzione massiccia prima ancora di terminare i test»? Infatti, secondo i responsabili tecnici USA, «il programma F35 continua a mostrare problemi tipici delle prime fasi di sperimentazione». Le reiterate richieste di ritocchi e modifiche fanno intuire che il JSF non sarà pronto per le operazioni belliche prima del 2019, ossia otto anni dopo il termine previsto. A quel punto, la macchina volante potrà essere considerata obsoleta, ma i costi saranno schizzati alle stelle.

In altri termini, il jet multiruolo, che doveva assicurare la superiorità aerea, atterrare sul ponte di una nave scendendo in verticale e di nascosto dai radar nemici, costa enormemente, ma non è ancora in grado di mantenere le promesse. In tempi di crisi speculativa, aumentano i dubbi sulla reale necessità di macchine inutili come i caccia di quinta generazione, che servono esclusivamente per fare la guerra, in violazione dell’articolo 11 della Costituzione (superata dal Trattato di Lisbona): un’altra brutta storia sconosciuta ai più, e da non dimenticare, mai.

 

 

Washington, la ragione della forza

L’arte della guerra. L’escalation Usa, dall’incoronazione di Guaidò alla sospensione del Trattato Inf

Manlio Dinucci

Due settimane fa Washington ha incoronato presidente del Venezuela Juan Guaidò, pur non avendo questi neppure partecipato alle elezioni presidenziali, e ha dichiarato illegittimo il presidente Maduro, regolarmente eletto, preannunciando la sua deportazione a Guantanamo. La scorsa settimana ha annunciato la sospensione Usa del Trattato Inf, attribuendone la responsabilità alla Russia, e ha in tal modo aperto una ancora più pericolosa fase della corsa agli armamenti nucleari. Questa settimana Washington compie un altro passo: domani 6 febbraio, la Nato sotto comando Usa si allarga ulteriormente, con la firma del protocollo di adesione della Macedonia del Nord quale 30° membro.

Non sappiamo quale altro passo farà Washington la settimana prossima, ma sappiamo qual è la direzione: una sempre più rapida successione di atti di forza con cui gli Usa e le altre potenze dell’Occidente cercano di mantenere il predominio unipolare in un mondo che sta divenendo multipolare. Tale strategia – espressione non di forza ma di debolezza, tuttavia non meno pericolosa – calpesta le più elementari norme di diritto internazionale. Caso emblematico è il varo di nuove sanzioni Usa contro il Venezuela, con il «congelamento» di beni per 7 miliardi di dollari appartenenti alla compagnia petrolifera di Stato, allo scopo dichiarato di impedire al Venezuela, il paese con le maggiori riserve petrolifere del mondo, di esportare petrolio.

Il Venezuela, oltre a essere uno dei sette paesi del mondo con riserve di coltan, è ricco anche di oro, con riserve stimate in oltre 15 mila tonnellate, usato dallo Stato per procurarsi valuta pregiata e acquistare farmaci, prodotti alimentari e altri generi di prima necessità. Per questo il Dipartimento del Tesoro Usa, di concerto con i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche Centrali di Unione europea e Giappone, ha condotto una operazione segreta di «esproprio internazionale» (documentata da Il Sole 24 Ore). Ha sequestrato 31 tonnellate di lingotti d’oro appartenenti allo Stato venezuelano: 14 tonnellate depositate presso la Banca d’Inghilterra, più altre 17 tonnellate trasferite a questa banca dalla tedesca Deutsche Bank che li aveva avuti in pegno a garanzia di un prestito, totalmente rimborsato dal Venezuela in valuta pregiata. Una vera e propria rapina, sullo stile di quella che nel 2011 ha portato al «congelamento» di 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici (ormai in gran parte spariti), con la differenza che quella contro l’oro venezuelano è stata condotta segretamente. Lo scopo è lo stesso: strangolare economicamente lo Stato-bersaglio per accelerarne il collasso, fomentando l’opposizione interna, e, se ciò non basta, attaccarlo militarmente dall’esterno.

Con lo stesso dispregio delle più elementari norme di condotta nei rapporti internazionali, gli Stati uniti e i loro alleati accusano la Russia di violare il Trattato Inf, senza portare alcuna prova, mentre ignorano le foto satellitari diffuse da Mosca le quali provano che gli Stati uniti avevano cominciato a preparare la produzione di missili nucleari proibiti dal Trattato, in un impianto della Raytheon, due anni prima che accusassero la Russia di violare il Trattato. Riguardo infine all’ulteriore allargamento della Nato, che sarà sancito domani, va ricordato che nel 1990, alla vigilia dello scioglimento del Patto di Varsavia, il Segretario di stato Usa James Baker assicurava il Presidente dell’Urss Mikhail Gorbaciov che «la Nato non si estenderà di un solo pollice ad Est». In vent’anni, dopo aver demolito con la guerra la Federazione Jugoslava, la Nato si è estesa da 16 a 30 paesi, espandendosi sempre più ad Est verso la Russia.

 

Il Progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica. di Luigi Longo

Il Progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica.

di Luigi Longo

 

 

[…] la Nato non è un’alleanza fra eguali. Essa pone

                                                           necessariamente gli alleati europei in posizione di

                                                           subalternità e li costringe ad allinearsi agli obiettivi

                                                           degli Stati Uniti. […] La storia degli ultimi dieci anni,

                                                           dalla guerra del Golfo a quella del Kosovo, dimostra che

                                                           la Nato non agisce e non agirà mai se non al servizio degli

                                                           obiettivi di Washington e niente altro. La Nato interverrà

                                                           solo se gli Stati Uniti lo decidono e non agirà se essi non lo

                                                           vogliono.

Samir Amin*

 

Lo spazio della resistenza è la matrice di ogni possibile

                                                           futuro cambiamento. Da esso possiamo aspettarci, pur

                                                           se non ancora a breve termine, anche una resistenza al

                                                           bombardamento etico ed all’interventismo umanitario,

                                                           che scommettono sull’idiozia e sull’ignoranza dell’uomo.

                                                           Ma l’uomo è un animale idiota ed ignorante, quando lo è,

                                                           solo a breve termine. A lungo termine l’uomo è un animale

                                                           reattivo e intelligente.

Costanzo Preve**

 

 

L’Europa e il progetto degli Stati Uniti d’America

 

Il declino dell’Europa inizia con la prima guerra mondiale e si consolida con la seconda guerra mondiale. Con le due guerre gli Stati Uniti si sono affermati come potenza mondiale egemone il cui inizio può essere datato con la guerra di secessione (1861-1865) che < […] era stata un fenomeno importantissimo sì, ma non solo americano. La sua portata mondiale nacque dal fatto che essa fu la prima guerra “industriale” dell’età contemporanea, il prodromo mal studiato e incompreso dei due conflitti mondiali in cui naufragò quel mondo di nazioni la cui comparsa aveva segnato l’inizio dell’età moderna.>> (1).

Avanzerò alcune riflessioni sulla fine dell’Unione Europea come espressione del progetto statunitense nella fase monocentrica e la metamorfosi della Nato come nuovo strumento degli Usa nel conflitto strategico della fase multicentrica (2).

Si chiude una fase che è iniziata nel secondo dopoguerra con l’affermazione definitiva della potenza degli Stati Uniti come centro di coordinamento, prima nella << Grande Area >> comprendente l’emisfero occidentale, l’Estremo Oriente e l’ex impero britannico con le sue risorse energetiche mediorientali, e dopo, nel mondo intero, con la implosione del socialismo irrealizzato dell’URSS e del suo blocco (1990-1991, preceduta dalla caduta del muro di Berlino del 1989): << […] All’interno della Grande Area gli Stati Uniti avrebbero conservato un “potere incontrastato” e la “supremazia militare ed economica”, e avrebbero allo stesso tempo “limitato qualsiasi esercizio di sovranità” da parte degli Stati che potevano intralciare i loro piani >> (3).

L’attuale Europa è figlia del progetto ideato e attuato dagli agenti strategici statunitensi nella fase monocentrica << L’Unione Europea […] non sarebbe mai diventata tale se non fosse stata il progetto, pensato, finanziato e guidato segretamente dagli Stati Uniti, di uno Stato Federale europeo politicamente a loro legato, per non dire vassallo degli Usa, come è emerso da documenti alcuni venuti alla luce nel 1997, altri desecretati nel 2000 grazie a un ricercatore della Georgetown University di Washington, Joshua Paul. Un piano volutamente portato avanti sotto traccia e gradualmente dal dopoguerra a oggi […] >> (4).

Il progetto Europa statunitense è stato imposto sia con il consenso attraverso il Piano Marshall (1947-1948): << Il 5 giugno 1947, meno di tre mesi dopo il drammatico discorso con cui era stata enunciata la Dottrina Truman (del mondo libero sotto l’egida statunitense, mia precisazione), il segretario di stato George C. Marshall […] parlò della necessità di elaborare un nuovo piano di aiuti per l’Europa […] comitati americani ed europei occidentali formularono un piano (l’ERP) a carattere quadriennale, sotto la direzione degli Stati Uniti, che prevedeva una serie di sovvenzioni e di prestiti gestiti da un nuovo organismo del governo americano denominato Amministrazione per la Cooperazione Economica (ECA). Con l’inclusione della Germania occidentale, ma senza la partecipazione dell’Unione Sovietica e degli altri paesi dell’Europa orientale, e al di fuori della Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa (ECE), l’ERP contribuì non poco a creare la violenta rottura del periodo della guerra fredda. Tale situazione si aggravò poi per la maniera provocatoria con cui gli Stati Uniti, ignorando l’ECE, delinearono e presentarono il Piano Marshall ma anche per l’intransigenza dell’URSS, che interpretò l’ERP come un’aggressiva iniziativa antisovietica. Secondo un commentatore, “con il Piano Marshall la guerra fredda assume il carattere di una guerra di posizione. Entrambe le parti si cristallizzarono su posizioni di ostilità reciproca”. Sia l’Unione Sovietica che gli Stati Uniti cercarono reciprocamente di creare piani di ricostruzione per le loro sfere di influenze; il confronto sembrò istituzionalizzarsi con i Piani Marshall e Molotov >> (5); sia con la forza attraverso la NATO (1949) << Lo strumento principale al servizio della strategia di Washington è la Nato, il che spiega il suo sopravvivere al crollo dell’avversario contro il quale era stata creata. La Nato oggi parla in nome della “comunità internazionale”, esprimendo anche con questo il suo disprezzo per il principio democratico che governa questa comunità per mezzo dell’Onu. […] L’obiettivo ben confessato di questa strategia è di non tollerare l’esistenza di alcuna potenza capace di resistere ai comandi di Washington, e cercare quindi di smantellare tutti i paesi giudicati “troppo grandi” per creare il massimo numero di stati satelliti, prede facili per stabilire basi americane destinate alla loro “protezione”. Uno stato solo ha il diritto di essere “grande”: gli Stati Uniti […] >> (6).

 

 

 

La metamorfosi della Nato e il declino degli USA

 

Ho già accennato alla metamorfosi della Nato in precedenti scritti (7). Un cambiamento di ruolo che non è solo quello militare ma economico, di sviluppo di territori, di sicurezza, di controllo, di penetrazione e di ampliamento dell’area di influenza in funzione del conflitto con le potenze mondiali emergenti (pensiamo, per esempio, alla guerra economica sulle fonti energetiche russe e sulle nuove vie della seta cinesi).

Qui voglio evidenziare soltanto il ruolo della Nato come strumento diretto di controllo per le nuove strategie statunitensi che la fase multicentrica impone, dell’Europa (8).

La Nato diventa una organizzazione che tiene insieme l’Europa, attraverso una centralizzazione della filiera del comando con una sfera decisiva militare e istituzionale-territoriale (9), per l’approntamento di opere infrastrutturali funzionali allargamento delle sfere di influenza e di contrasto alle due potenze mondiali protagoniste dell’attuale fase multicentrica (10). Inoltre gli Usa prediligono in maniera più strutturale i rapporti bilaterali con gli Stati europei (non dimentichiamo che l’Europa non è un soggetto politico) per realizzare a) le strategie del divide et impera, b) l’utilizzo delle basi militari presenti in tutta Europa soprattutto in Germania e in Italia, c) le linee guida dello sviluppo, degli Stati o di macro regioni, finalizzato alle esigenze delle proprie strategie. Una sorta di sistemi di valori territoriali (11) embedded nelle strategie statunitensi che mantengono l’unità europea con il controllo militare (le basi militari che occupano il continente Europa vorranno dire pure qualcosa!!!) ed economico (si pensi, per esempio, all’Italia e ai suoi territori e città Nato; alla spesa militare italiana integrata ed al servizio della politica militare Nato) (12).

Fabio Mini coglie parzialmente, nella misura in cui non dà il peso determinante egemonico agli Stati Uniti, la questione del rapporto Europa-Nato:<< […] Senza una vera e propria autonomia nella politica estera e di sicurezza l’Unione Europea ha dovuto affidarsi alla Nato che così ha potuto affiancare gli Stati Uniti nel loro intento d’impedire la nascita di una entità sovranazionale autonoma e indipendente. […] L’organizzazione politico-militare dell’Unione prevede una serie di duplicati di quella Nato che consentono soltanto equilibrismi, giochi di cappello e di ruolo. La stessa struttura di comando e controllo politico-militare è ridondante nel numero e inefficace nei risultati. La responsabilità di tutti i paesi membri e in particolare dell’Italia è grave non tanto per ciò che hanno combinato ma per ciò che non hanno fatto. Non hanno preteso la costituzione di un vero collante giuridico e politico fra i paesi membri, non hanno promosso la costituzione di un esercito comune, anzi tramite la politica industriale della difesa hanno incrementato la dipendenza dagli americani (corsivo mio). Non hanno resistito alle pressioni esterne e hanno permesso che l’Europa fosse di nuovo divisa in blocchi e che l’Unione Europea fosse divisa in fazioni. […] La Nato al servizio degli Stati Uniti dovrebbe essere un assetto importante. In realtà quello che conta per loro è la capacità della Nato di tenere sotto controllo tutti gli altri paesi, volenti o nolenti. Lo scopo principale della stessa alleanza è quello di mantenere la coesione dei membri. Nel momento in cui tale coesione scricchiola, l’alleanza non è più utile e le pressioni americane si spostano sui singoli Stati membri (corsivo mio). La stessa Nato diventa un tramite e una vittima consapevole e contenta di tali pressioni dirette ad aumentare i bilanci militari. Le pressioni sono esercitate anche con l’apertura di nuove missioni all’esterno o all’interno della stessa alleanza. Spesso crisi e salassi avvengono contemporaneamente e i paesi della Nato devono subirle mentre l’organizzazione della Nato, controllata dai neo-filoamericani dell’Europa orientale e settentrionale, si adopera per eliminare le eventuali e sempre deboli resistenze: un compito complementare e marginale che non conta molto nemmeno per gli stessi americani >> (13).

Sergio Romano, invece, non coglie il problema del rapporto Europa-Nato quando afferma, riprendendo la risposta di Donald Trump a Emmanuel Macron che parlava di sicurezza europea avanzando il disegno della Comunità Europea di Difesa (Sic!), << […] Ma l’organizzazione militare del Patto Atlantico, soprattutto all’epoca di Trump, non sembra essere in grado di dare una risposta convincente al problema della sicurezza europea. E’ stata usata dagli americani per guerre che si sono dimostrate sbagliate e ha avuto l’effetto, dopo la sua estensione al di là della vecchia cortina di ferro, di peggiorare i nostri rapporti con la Russia >> (14).

Il problema che non si vuole vedere per tante ragioni è che gli Usa comandano la Nato e attraverso di essa realizzano le loro strategie di conflitto strategico nell’attuale fase multicentrica. L’Europa è subordinata tramite la Nato agli Usa; pertanto, la questione da porre è: come uscire dalla sudditanza europea statunitense e quale progetto-processo di uscita dalla Nato per ri-costruire una Europa indipendente e autonoma che sappia dialogare con l’Oriente, la cui visione multicentrica delle potenze può bloccare la sciagurata fase policentrica che significa il conflitto militare (15).

Gli Usa non hanno una nuova visione del mondo per fermare il proprio declino, relativo o accentuato che sia, (16) e ri-lanciare la sfida egemonica della fase multicentrica, nè Donald Trump e i centri strategici che rappresenta sono nelle condizioni di costruire una nuova visione. Gli Usa sono una potenza in declino e non hanno la forza economica, scientifica, culturale e politica per rilanciare e costruire un nuovo modello di egemonia capace di sconfiggere le potenze mondiali che si stanno organizzando per mettere in discussione l’ordine monocentrico e affermare l’ordine mondiale multicentrico (17).

Nella fase multicentrica (a maggior ragione nella fase policentrica) la sfera militare assume un particolare peso nella formazione del blocco degli agenti strategici egemonici che delineano le linee del conflitto tra le potenze mondiali (è da approfondire la teoria, la pratica e la pratica teorica della relazione tra gli agenti strategici delle sfere sociali che configurano il blocco egemone strategico).

Nella presidenza Trump sta prevalendo la sfera militare (non è un caso la forte presenza politica di provenienza militare) che basa la sua strategia di contrasto al declino e di rilancio della egemonia solo sulla forza, avendo scelto, per la peculiare storia statunitense, la strada dell’accumulazione distruttiva (18).

 

 

Dal progetto UE della fase monocentrica al progetto Nato della fase multicentrica

 

La Nato diventa lo strumento di coordinamento dell’Europa per le strategie Usa nell’arginare le potenze mondiali della fase multicentrica, al contrario del recente passato dove era l’Unione Europea, con i suoi luoghi istituzionali e i suoi agenti strategici esecutori e gestionali, lo strumento di coordinamento.

Il progetto UE degli Usa, creato nel secondo dopoguerra, cessa la sua funzione e viene sostituito dal progetto Nato: dalla guerra di posizione della fase monocentrica alla guerra di movimento della fase multicentrica.

Con la fine del progetto UE finirà anche l’euro (19) che è un sistema monetario dipendente da quello basato sul dollaro (il denaro è un simbolo delle relazioni sociali e dei rapporti di forza nonché strumento di lotta tra dominanti): saranno i tempi delle strategie statunitensi a eliminare l’euro e le sue gerarchie di valori territoriali nazionali [si pensi al ruolo primario della Germania e a quello secondario della Francia (20)].

Una volta eliminato il sistema basato sull’euro, sostituito con quello basato sulla Nato, il vassallo tedesco e il valvassore francese dovranno trovare altri campi economico-finanziari per difendere il loro sviluppo nazionale in competizione con altre economie nazionali (valvassini); i predominanti statunitensi con il nuovo sistema monetario e le nuove architetture istituzionali (costruzione di nuove gerarchie) imporranno sia relazioni dirette con le nazioni europee, sia il loro coordinamento per la realizzazione delle loro strategie.

I valvassini liberati dal sistema dell’euro possono competere e valorizzare le loro qualità sociali e le loro peculiari risorse storiche e possono scardinare e comporre nuove gerarchie basate su nuovi sistemi territoriali di valore.

Per l’Italia e la Germania la situazione è particolare, come racconta Marco Della Luna << […] l’Italia è collocata, per ragioni storiche di sconfitte militari, in una posizione di sudditanza rispetto a certe potenze straniere e ai loro interessi (lo dimostra il fatto che, a 73 anni dalla II Guerra Mondiale, è ancora occupata da circa 130 basi militari statunitensi), cioè si trova in posizione subordinata entro la gerarchia degli Stati, e deve obbedire entro un foedus iniquum (patto di alleanza asimmetrico, mia precisazione), per dirla nel latino giuridico. Si sa che, per Italia e Germania, esistono in tal senso protocolli aggiunti al trattato di pace con gli Alleati, il cui contenuto non è pubblico, e che vengono fatti sottoscrivere ai capi del governo. I suoi presidenti della Repubblica e i predetti magistrati sono garanti di questa obbedienza agli interessi stranieri e non fanno altro che impedire che i governi vadano contro tale condizione di sottomissione esponendo il Paese a ritorsioni che sarebbero peggiori della sottomissione stessa. […] In ogni caso, bisogna anche fare un’opera di divulgazione-ufficializzazione dei trattati e dei protocolli riservati che vincolano e sottomettono l’Italia a comandi e interessi stranieri, altrimenti ogni ragionamento politico ed economico rimane minato dalla grande incognita costituita da tali obblighi, e di importanti atti politici contrari agli interessi nazionali rimarrà sempre il dubbio se siano stati compiuti per costrizione, per tradimento o per incompetenza. >> (21).

L’attuale Europa è finita. E’ stata ridotta ad una espressione geografica (22) a servizio delle strategie statunitensi e, per la prima volta nella sua storia, non sarà protagonista del conflitto tra le potenze mondiali che si formeranno nella fase multicentrica e in quella policentrica. Sarà, ahinoi, solo un campo di battaglia del conflitto mondiale.

All’interno di questo cambiamento europeo che resta, comunque, subordinato alle strategie dei pre-dominanti (gli agenti strategici principali) statunitensi, mancano dei decisori che vogliono attuare un processo di sviluppo nazionale autodeterminato, a partire dalla creazione di uno spazio della resistenza, capace di incunearsi nei giochi che si aprono nella fase multicentrica per proporre un progetto e una strategia di uscita dalla servitù volontaria verso gli USA e guardare a Oriente per le possibili costruzioni di nuove relazioni, di nuove idee di sviluppo, di nuove idee di società, di una Europa diversa (23). Purtroppo, ahinoi, questi decisori non si vedono in giro per l’Europa né si vedranno nel breve-medio periodo, considerata la situazione di degrado culturale, politico e sociale. I dominanti possono fare ancora sonni tranquilli.

Resta un problema storico da affrontare e riguarda i soggetti che si formano nelle varie fasi oggettive della storia nazionale, europea e mondiale. La domanda che si pone è: come i soggetti (sessuati) di trasformazione arrivano, sono pronti alle aperture delle finestre, delle crepe che le fasi multicentrica e policentrica necessariamente apriranno?

Oggi soffriamo la mancanza di una teoria adeguata che ci orienti nella pratica e nella pratica teorica per pensare un progetto-processo di autonomia e di autodeterminazione nazionale ed europeo. Siamo ridotti a scoprire, con le elezioni statunitensi, europee e nazionali (sic), l’esistenza di stati profondi (i luoghi istituzionali dove gli agenti strategici principali, esecutivi e gestionali realizzano il dominio) e a riscoprire l’illusione ideologica che con la vittoria elettorale, cioè la presa del potere non del dominio, gli obiettivi indicati (a prescindere dalle finalità reali, ripeto reali) nel programma elettorale minimamente squilibranti del sistema sono irrealizzabili.

Concludo riportando un interessante, a mio avviso, passo del Lenin interpretato da Gyorgy Lukacs << L’onnipotenza dominante della prassi è dunque realizzabile soltanto sulla base di una teoria orientata in senso onnicomprensivo. Ma la totalità oggettivamente dispiegata dell’essere è infinita, come Lenin sa bene, e quindi non può mai essere compresa adeguatamente. Così qui l’infinità della conoscenza e l’imperativo sempre attuale del giusto agire immediato sembrano dare origine a un circulus vitiosus. Ma ciò che non ha soluzione teorico-astratta, in pratica può essere tagliato come il nodo gordiano. L’unica spada adatta per farlo è ancora una volta un comportamento umano che anche qui possiamo opportunamente definire solo con parole shakespeariane: «L’essere pronti è tutto». Uno dei tratti più fecondi e caratteristici di Lenin è che egli non cessò mai d’imparare teoricamente dalla realtà e che in pari tempo era sempre pronto ad agire. Da ciò derivava una qualità singolare, in apparenza paradossale, del suo atteggiamento teorico: non ritenne mai di avere finito d’imparare dalla realtà, ma in pari tempo la conoscenza così acquisita era in lui sempre così ordinata e orientata da permettergli di agire in qualsiasi momento.>> (24).

 

 

 

 

 

 

 

 

Le citazioni scelte come epigrafi sono tratte da:

 

*Samir Amin, Fermare la Nato. Guerra nei Balcani e globalizzazione, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1999, pag.6.

**Costanzo Preve, Il bombardamento etico, Editrice C.R.T., Pistoia, 2000, pag. 163.

 

 

NOTE

 

  1. Raimondo Luraghi, La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale, BUR Rizzoli, 2013, pp.7-8.
  2. Sulla fase multicentrica si veda Gianfranco La Grassa, Crisi, multipolarismo e gruppi sociali in conflittiestrategie.it, 16/11/2018; Francisco La Manna, Intervista esclusiva a Gianfranco La Grassa: crisi economica, mutamenti geopolitici,conflitto strategico in www.scenarieconomici.it, 21/11/2018.
  3. Noam Chomsky, Chi sono i padroni del mondo, Ponte alle Grazie, Milano, 2018, pag.59.
  4. A rilanciare questa narrazione, già oggetto nel 2000 di un breve articolo del Telegraph di un giovane Ambrose Evans-Pritchard, è stato soprattutto un libro inglese, divenuto un best seller, di Christopher Brooker, Richard North, The Great Deception. A Secret History of the European Union, Continuum International Publishing Group Ltd, 2003 in Maria Grazia Ardizzone, L’UE dalle origini al TTIP. Le operazioni segrete Usa per dar vita a uno Stato Federale Europeo in ariannaeditrice.it, 3 giugno 2016 (già riportato nel mio scritto del 2016 su La fase multipolare e l’accentramento dei poteri apparso sui blog Conflittiestrategie e Italiaeilmondo).
  5. Thomas G. Paterson, Il piano Marshall in Elena Aga Rossi, a cura di, Gli Stati Uniti e le origini della guerra fredda, il Mulino, Bologna, 1984, pag. 222; si veda anche Giovanni Arrighi, Il lungo xx secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo, Il Saggiatore, Milano, 1996, pp.385-387 e David Harvey, Diciassette contraddizioni e la fine del capitalismo, Feltrinelli, Milano, 2014, pp.150-166. Giovanni Arrighi e David Harvey hanno proposto nelle loro ricerche, con saperi diversi, un paradigma sociale territoriale fondato sul potere territoriale e l’accumulazione del capitale. Il paradigma, a mio modo di vedere, ha un orientamento economico-sociale-territoriale e non afferra la totalità del rapporto sociale perché fondamentalmente tiene separato il potere territoriale (lo Stato) e l’accumulazione del capitale. Credo che la questione possa essere interessante con un confronto con il paradigma del conflitto strategico lagrassiano che può superare questa separazione, caratteristica di tutte le teorie economiche e sociali, con la costruzione di un diverso paradigma multidisciplinare.
  6. Samir Amin, Fermare la Nato. Guerra nei Balcani e globalizzazione, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1999, pp. 32-33. Per una ricostruzione storica della nascita della Nato si rimanda, con una lettura critica, a Marco Clementi, La Nato, il Mulino, Bologna, 2002.
  7. Luigi Longo, Tav, Corridoio V, Nato e Usa. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico; americanizzazione del territorio; gli Stati Uniti e lo spettro della Russia; le infrastrutture militari nella fase multicentrica. I primi due scritti sono stati pubblicati sui siti conflittiestrategie.it e www.italiaeilmondo.com; gli altri due sul sito www.italiaeilmondo.com.
  8. Manlio Dinucci, La Nato espandibile e sempre più costosa si allarga sull’Europa in ilmanifesto.it, 11/7/2018.
  9. Luigi Longo, La fase multipolare e l’accentramento dei poteri in conflittiestrategie.it, 13/6/2016.
  10. La Cina, e non la Russia, potrebbe essere la potenza mondiale che nel lungo periodo sarà in grado di contendere la egemonia mondiale agli Usa perché a) ha la capacità di sviluppare tutti i settori decisivi di una potenza egemonica (politico, economico, scientifico – tecnologico e culturale), b) svolge un ruolo fondamentale nella creazione di nuove istituzioni internazionali di coordinamento [ la Asian Infrastructure Bank (AIIB), la Shangai Cooperation Organition, il Brics, il Silk Road Fund e la Belt and Road Iniziative (BRI) ] c) instaura diverse forme di relazioni internazionali che non sono nè la forma coloniale né la forma neocoloniale, ma sono relazioni di integrazione, di innervamento che danno ampi strumenti e possibilità di sviluppo, per dirla con David Harvey, per una costruzione di valore territoriale. Si veda, Nicola Tanno, intervista a Diego Angelo Bertozzi sulla Belt and Road Iniziative in materialismostorico.blogspot.com, 11/07/2018; Vladimiro Giacchè, La UE e la BRI: un rapporto complicato in www.marx21.it, 2/11/2018.
  11. Sul significato dei valori territoriali si rimanda a David Harvey, Marx e la follia del capitale, Feltrinelli, Milano, 2018, pp.131-172.
  12. Sul senso del potere politico e militare dell’occupazione del territorio europeo da parte degli USA attraverso le proprie basi militari e quelle della Nato, si veda l’intervista ad Alexander Dugin, L’occupazione è occupazione, in millennium.org, 29/01/2014; sull’importanza della Nato si rimanda, con una lettura critica, a Eric R. Terzuolo, Perché alla Nato non rinunceremo mai in Limes n.4/2018, pp.51-58; sul ruolo sempre marginale dell’Europa si consiglia Manlio Dinucci, Usa e Nato soppiantano la UE in crisi in www.retevoltairenet.org, 3/7/2018; sull’integrazione dei sistemi militari industriali degli Stati europei con quello statunitense si suggerisce Manlio Dinucci, Il potere politico delle armi in www.voltairenet.org, 2/10/2018 e Gianandrea Gaiani, Missioni, Finanze, Industria: le ambiguità (a)strategiche della difesa italiana in Limes n.5/2018, pp.89-97.
  13. Fabio Mini, Siamo servi di serie B e non serviamo a niente in Limes5/2018, pp.75-87.
  14. Sergio Romano, Macron e l’esercito europeo, la chance di correggere De Gaulle in corriere.it, 17/11/2018.
  15. Si veda la imbarazzante (per la servitù intellettuale e politica espressa in difesa di questa Europa ancorata agli Stati Uniti) e apologetica lettera aperta di sei pensatori tedeschi Siamo seriamente preoccupati della crisi dell’Europa e della Germania per il riaffacciarsi della brutta testa del nazionalismo (I primi firmatari: Hans Eichel ex ministro delle finanze, Jürgen Habermas filosofo e sociologo, Roland Koch ex premier statale dell’Assia, Friedrich Merz avvocato e politico della CDU, Bert Rürup è l’economista capo di Handelsblatt, Brigitte Zypries è un ex ministro della giustizia e ministro dell’economia) in https://global.handelsblatt.com/opinion/europe-unity-future-habermas-koch-merz-zypries-975335?fbclid=IwAR1EIvJGxWOgdIg9HwKpiNZxZ6UR, 25/10/2018; sulla stessa scia Massimo Cacciari ed altri si veda Marco Damilano, Ora il PD si sciolga per far nascere la nuova Europa. L’appello di Massimo Cacciari in l’Espresso del 9/11/2018; sulla considerazione di una Europa occupata dalle basi Usa-Nato e il recupero della tradizione di territori europei con una pluralità di valori finalizzati alla costruzione di una coscienza e di una costituzione europea si pone in maniera problematica Franco Cardini, Europeisti traditi: perché questa Europa ha deluso in byoblu.com, video del 5/11/2018.
  16. Sul declino Usa rimando a Noam Chomsky, Chi sono i Padroni del mondo, Ponte alle Grazie, Milano, 2018, pp.74-105; Gianfranco La Grassa, Un sommario excursus storico per capire, conflittiestrategie.it, video del 11/11/2018.
  17. Sulla incapacità statunitense di una nuova visione del mondo come conseguenza della fine di una idea di sviluppo della modernità rinvio a Aleksandr Dugin, L’Occidente e la sua sfida (I e II parte) in ariannaeditrice.it, 18/10/2018; sulla mancanza di una ferma determinazione politica, propria della dottrina di Monroe del 1823, dovuta alla divisione tra gli agenti strategici statunitensi si veda Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli; sui limiti della politica estera degli USA collegati al vecchio retaggio da guerra fredda, sulle difficoltà di impostare una politica estera adatta alla nuova fase multipolare che si sta delineando e sulle lacune nonché sui conflitti decisionali basati su vecchi schemi cognitivi e su un modello decisionale istituzionale che esalta l’esecutivo, la natura elitaria, la lotta interistituzionale, i “groupthink”, si rimanda all’interessante articolo di Giulia Micheletti, Le origini interne della strategia geopolitica statunitense, 03/03/2014, www.eurasia-rivista.org.
  18. E’ emblematica la risposta degli agenti strategici statunitensi (a prescindere dal loro insanabile conflitto interno) alla << […] proposta cinese di razionalizzare e potenziare Transiberiana e Suez in forma cooperativa [che] è finora la maggiore iniziativa finanziaria e infrastrutturale del XXI secolo e inverte la direzione secolare delle influenze. La leadership americana sembra aver finora replicato alla cieca, con interventi inefficaci e controproducenti di guerra ibrida, cinetica o economica lungo la Loc terrestre (Intermarium, Mena, Asia centrale, Corea) e marittima (il Mar Cinese Meridionale e i due passaggi artici) che minano la coesione occidentale e spingono tutte le potenze eurasiatiche emergenti (che sentono di aver il futuro dalla loro) verso una pericolosa coalizione di necessità contro il vecchio ordine che si ostina ottusamente a respingerli >> in Virgilio Ilari, L’Italia è un’espressione geografica. Capiamola in Limes4/2018, pag.152.
  19. Luigi Longo, L’uscita dall’euro non è un problema prioritario. Prioritaria e la sovranità nazionale ed europea in conflittiestrategie.it, 16/1/2015.
  20. Marco Della Luna, Deficit di bilancio e deficit di efficienza in marcodellaluna.info, 30/9/2018.
  21. Marco Della Luna, L’Italia e il nemico carolingio in marcodellaluna.info, 28/10/2018; Sulla questione di uscita dalla Nato e sul ruolo dei Trattati si veda anche Fabio Mini, Siamo servi di serie B…, op.cit.; Fabio Mini, USA-Italia, comunicazione di servizio in Limes n.4/2017.
  22. Per un significato storico del concetto di espressione geografica si invia all’interessante articolo di Virgilio Ilari, L’Italia…, op. cit., pp. 149-154.
  23. Costanzo Preve, Il marxismo e la tradizione culturale europea, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2009, pp.101-115; Samir Amin, Fermare la Nato…, op.cit., pp.64-75.
  24. Gyorgy Lukacs, Unità e coerenza del suo pensiero. Postilla all’edizione italiana 1967 in www.gyorgylukacs.wordpress.com, 27/10/2018. Originariamente apparso in italiano in Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero, Einaudi, Torino 1970, ora in L’uomo e la rivoluzione, Edizioni Punto Rosso, Milano 2013.

 

 

uguale tra gli uguali, di Antonio de Martini

Una delle mancanze che venivano rimproverate alle alte gerarchie militari dell’Esercito Italiano, durante la seconda guerra mondiale e non solo, era la distanza e la separazione di ceto e di casta dalla truppa, anche nei momenti cruciali del confronto bellico. Una tara che provocò l’esplicito disprezzo verso i primi e la stima verso i secondi del generale Rommel durante la campagna d’Africa. Le più alte autorità stanno evidentemente cercando di cancellare quel retaggio vergognoso. Una volontà di riscatto apprezzabile, ma con la giusta misura.

Se non ci fosse, Antonio de Martini bisognerebbe inventarlo_Giuseppe Germinario

COME GESTIRE IL MONDO MILITARE. L’UOMO GIUSTO AL POSTO GIUSTO.

Servono ufficiali preparati, vivaci di corpo e di spirito e…democratici.

Il capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Graziano è senz’altro un democratico a 24 carati e saluta tutti con una virile stretta di mano.
Eccolo, nella foto, tentare di stringere la mano a un manichino che scambia per un soldato.
Democrazia dieci e lode. Per il resto fidiamo nei buoni rapporti tra San Gennaro e Di Maio.

PANEBIANCO e le fedeltà assolute; ma non alla verità_ Due articoli di Antonio de Martini

gli articoli si riferiscono al seguente editoriale del corriere della sera https://www.corriere.it/opinioni/18_settembre_01/i-pericoli-legame-mosca-ae02bf28-ad48-11e8-aed0-106e9275cc0a.shtml

PANEBIANCO? NO, CRUSCA E ANCHE MALEODORANTE !

Sul ” Corriere della sera” di oggi c’è una bella novità, il Ministro Paolo Savona, invece dii accettare la solita ” intervista ripratrice” circa la calunnia malevola pubblicata nell’articolo di fondo di Panebianco di ieri a pag 1 e 26,, ha risposto con una lettera secca e cortese verso il giornale, ma inequivoca verso il Panebianco, smentendo seccamente le illazioni del barbetta.

Panebianco, invitato dal direttore – che quindi si sfila nella polemica – a rispondere, se l’é cavata con una risposta equivoca quanto la calunnia precedente ” Non ho scritto che il ministro Savona auspica una crisi del nostro debito ( invece ha scritto a pag 26 del giornale di ieri ” Essi preparano il momento in cui le continue, e per nulla innocenti, profezie del Ministro Paolo Savona ( compresa l’ultima, quella sul possibile ruolo della Russia rispetto al nostro debito) diventeranno realtà….”

A parte la insinuante farragine è chiaro che voleva dire che Savona proponeva di chiedere i denari ai russi.
MAI DETTO E MAI PENSATO, ma lui cerca di svicolare allargando alle “dichiarazioni dei politici” non meglio identificati.

Incoraggiato dall’intervento diretto di Savona, ho pensato di far cosa gradita ai lettori nell’indicare le falsità scritte da un uomo evidentemente stanco e forse anche stufo di servire dei padroni che adesso sono in difficoltà e si sfilano mettendolo in prima linea.

Ne ho trovate , oltre alla perla di Savona, altre sei: Ve ne segnalo cinque.

PRIMA: Paolo Mieli. Viene citato come se fosse un economista che profetizza: cito il prof. che ormai chiamerò Crusca ” se mai arriverà il nostro momento ” greco” ( come ha scritto Paolo Mieli su questo giornale, nel marasma potremmo finire già in autunno) sarà facile imputare ciò non alla politica del governo ma ai nemici esterni.”
Capito? prepara l’albi ai compari ( compagni?) incaricati come lui di diffondere notizie false atte a turbare l’ordine pubblico e nel contempo fa un soffietto a Paolo Mieli che viene spacciato per un economista le cui previsioni sarebbero da prendere sul serio. PM è un giornalista intrigante che da un bel pezzo falsifica in TV la storia vicina e lontana cercando di fare la respirazione artificiale al PD.

SECONDA. CITAZIONE ” L’alleanza con il gruppo di Visegrad, sembra una tappa intermedia, serve a stabilire un ponte intermedio percorrendo il quale si potrebbe arrivare a una diversa collocazione internazionale dell’Italia.”

Qui ci sono due FALSITA’: la prima è la “diversa collocazione internazionale” che viene adombrata e la seconda è sul gruppo di Visegrad che viene presentato come una tappa intermedia verso …la Russia. Si specula sulla natura di questo gruppo. Se andate sul mio blog ( corrieredellacollera.com e clikkate sul nome, gruppo di Visegrad, troverete un mio articolo di tre anni fa che indicavo come un cavallo di Troia degli anglosassoni contro l’U.E.. Quindi non ha nulla a che fare con la Russia. Il prof Crusca non può non saperlo, quindi mente.

Terza. Sentiamo prima il prof ” come dimostrò il caso di Che Guevara al momento della formazione del primo governo castrista a Cuba, non c’è alcun bisogno di competenza per fare il ministro dell’economia in un governo rivoluzionario.”

FALSO.
Dopo nemmeno un mese il CHE fu rimosso dall’incarico e si giustificò con Castro dicendo che quando chiese se c’era un economista, lui aveva alzato la mano perché aveva capito ” comunista”. Allora la notizia fece epoca , ma il prof crede di essere il solo sopravvissuto al 1960. Siamo in due e lui è un bugiardo.

Quarta. Sempre il prof ” Come ha scritto mario Monti ( Corriere 27 agosto) tutto ciò avverrebbe senza alcuna preventiva discussione nel paese. Ne deriverebbero anche conseguenze anche per la nostra politica mediorientale: ad esempio, allineamento antisraeliano, stretti legani con l’Iran , paese alleato coi russi.”

QUI LE FALSITA’ SONO TRE
:
a) Non si può annunziare un evento futuro e dire che avverrà senza preventiva discussione nel paese ( per la contraddizion che nol consente direbbe padre Dante). Una cazzata simile è degna di quel bischero di Monti e viene ripresa da un suo pari.

b) in realtà è l’allineamento filo israeliano che si è verificato senza preventiva discussione nel paese. Il sottoscritto – e il resto d’Italia- eravamo rimasti al documento di Venezia ( in cui Moro mise in isolamento la Tatcher sul problema palestinese ED E’ QUESTO CHE GLI E’ COSTATO LA PELLE). De hoc satis.

Inoltre la politica estera italiana degli ultimi cinquanta anni è sempre stata filo araba fino a che Berlusconi ha cambiato direzione – SENZA DISCUSSIONE NEL PAESE- per motivi che non cito oggi per carità di Patria.

c) L’Iran non è alleato della Russia: la Russia, fino a prova del contrario, fa parte del quintetto che ha negoziato il disarmo unilaterale del nucleare iraniano assieme a USA, UK, UE, GERMANIA e ONU.

Quinta : ” sopratutto non sarà facile superare la ben più solida capacità di resistenza del Presidente della Repubblica , anche se, come abbiamo già visto, c’è chi è in grado di proporre la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica con la stessa disinvoltura con cui si ordina un caffé.”

QUESTO E’ UN FALSO COSTITUZIONALE: Il Presidente della Repubblica non può far nulla se non con la firma del Ministro competente per materia. La Costituzione dice questo, ne più ne meno.

Egli non puo resitere a nulla e certamente non alla volontà del Parlamento. Questo è il motivo per cui all’annunzio dell’esito delle elezioni del 4 marzo ho scritto su questo fbn che il Presiende della Repubblica dovrebbe dimettersi prima che lo faccia la gente.

L’ITALIA, LE SUE ALLEANZE E LE SUE FORZE ARMATE DAL FAR WEST AL FAR EAST?

Ieri il prof Angelo Panebianco – docente a Bologna – ha scritto un lunghissimo articolo sul ” Corriere della sera” con alcune imprecisioni come quella, quasi veniale, su Che Guevara di cui ho già scritto.

La seconda, non veniale, gaffe è che quando ci si vuole presentare come geopolitici si devono presentare tutte le alternative presenti sul tappeto ed esaminarle.

Presentarne solo una e demonizzare l’altra ( e tacere la terza) è tipico della dialettica gesuita e lo fa targare come uomo di parte, sia pure per necessità di mantenimento della collaborazione giornalistica..

La tesi del prof è ( cito il titolo del fondo)” I PERICOLI DEI LEGAMI CON MOSCA”. La tesi è che questo nuovo governo , su cui fa aleggiare il termine ” rivoluzionario”, ma io preferirei “velleitario”, almeno per ora, sta avvicinandosi a Mosca e questo per il prof sarebbe un pericolo.

Rettifichiamo: l’Italia economica si è avvicinata a Mosca quando era ancora URSS, col governo De Mita ( per protesta l’Ambasciatore Sergio Romano, oggi suo collega al Corriere si dimise e lasciò la diplomazia ) concedendo ben mille miliardi di crediti, dopo che l’Italia aveva già finanziato gli stabilimenti FIAT di Città Togliatti.

Dopo averci deplorato, gli USA seguirono la nostra strada.
Le deplorazioni anglosassoni, spesso – nel nostro caso sempre – sono invidie mascherate.

Abbandonare la NATO non vuol dire necessariamente allearsi con Mosca, significa prendere atto della cessata esigenza anti patto di Varsavia. Lo so di preciso essendo stato per oltre trenta anni il più diretto collaboratore- ed ora il successore – dell’uomo che ha chiesto per primo nel 1948 l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico : Randolfo Pacciardi.

Oggi dico con cognizione di causa e in tutta coscienza che il dispositivo militare NATO non ha più ragione d’essere.
.
Si può benissimo prendere atto dello sfaldamento dell’Alleanza – anche per il disinteresse del promotore divenuto isolazionista e le sue irragionevoli richieste economiche – e proporre una alternativa che un numero crescente di italiani , noi tra questi, chiede con voce ferma: costituire un blocco europeo di nazioni neutrali e ben armate assieme alla Svizzera ( che ne è il modello) , l’Austria ( che lo è già) la Slovenia e l’Ungheria, costituendo un Blocco Adriatico che impedisca ogni guerra tra i grandi nel nostro scacchiere e scoraggi ogni violazione della neutralità per le dimensioni stesse dell’alleanza nuova che si profilerebbe.

L’Italia sarebbe il paese demograficamente più importante e politicamente decisivo per questo blocco di NON ALLINEATI, contro cui si è pronunziato ( “è irrealistica”) il Presidente Mattarella al TG1 qualche giorno fa, con un significativo inciso alla siciliana, che mostra come non riescano più a tenere a bada col silenzio il 38% di italiani ( sondaggio Pew research) che considera superata la NATO.

L’ultimo sevigio che la NATO fa all’Italia è che dimostra come una alleanza militare possa realizzarsi nella normalità anche con paesi che non aderiscono alla UE. E non è poco.

Il mondo cattolico – cui l’Italia si vanta di appartenere- è neutralista per educazione e per dettato papale che definì la prima guerra europea una “inutile strage”.

Possibile che -ostaggi di crisi interne alle loro gerarchie- non capiscano i rischi che corre una Europa a rimorchio dell’uno o dell’altro blocco pronto alla guerra?

L’Europa ha significato solo se offre al mondo una alternativa di civiltà e non se appare come la coda della Cocacolonizzazione americana.

A questo primo “blocco promotore di neutralità vigile” potrebbero interessarsi anche altri stati della ex Yugoslavia memori della politica di non allineamento che tanto prestigio e sicurezza portò a quel paese fino a che la praticò.

Si realizzerebbe così una nuova collaborazione tra latini e slavi preconizzata da Pacciardi nel 1945 e De Michelis nel 1991 e sepolta in silenzio assieme ai suoi promotori.

Poiché gli attacchi dall’alto non vengono mai soli – il tema è d’attualità- anche il generale Vincenzo Camporini, sul suo sito suona l’adunata Atlantica e spezza una lancia a favore dell’esercito di professione in difesa della caricatura di esercito di mestiere che abbiamo messo assieme in questi anni in barba all’articolo 52 della Costituzione italiana e che rende disponibili maggiori fondi all’aeronautica.

Un esercito come quello che abbiamo oggi, serve ( lo ammettono sia il generale che la ministra Trenta) a un impiego nel sud mediterraneo….

Pensano di rivivere con due secoli di ritardo avventure coloniali contro paesi semi inermi per averne in cambio poco più che una carezza del padrone al cane che riporta una quaglia.

Gli alleati hanno armi nucleari e noi forniamo la carne da cannone o come si dice oggi pudicamente ” the boots on the ground”. E iun modello sbagliato, un approccio sbagliato e irto di pericoli che invece Panebianco non vede ipnotizzato dal FAR EAST Europeo.

Anche qui si offre la scelta manichea tra esercito di mestiere (in astratto, il nostro ne è la caricatura in chiave napoletana) e esercito di leva, trascurando ogni altra formula, inclusa quella ibrida che personalmente prediligo.

Serve una forza di intervento mobile professionale e ben equipaggiata – l’Italia, coi mezzi attuali, può fornirne al massimo quattro o cinque brigate a pieno organico e con mezzi adeguati – e un esercito a base locale e addestramento periodico sull’arco alpino sul modello svizzero.

Degli alpini provenienti da Gragnano, Portici o Salerno, non credo sia serio parlare. Un esercito a reclutamento napoletano può servire solo a scopi borbonici.

Ipotesi di intervento e scenari e scenari di guerre future, tutti gli stati maggiori li fanno da un secolo a questa parte e nessuno ci ha mai azzeccato nemmeno in parte.
Come noto, sono sempre in ritardo di una guerra.

Lo Stato Maggiore italiano, non me ne voglia, ha invece un regolare ritardo di almeno due guerre ed ha lo sguardo rivolto al passato come i dannati di Dante.

A roprova psicologica, ne fa fede la foto della prima comunione che Camporini ha messo nel suo sito per dispensarsi dall’argomentare e occupare uno spazio ben visibile.

Si sa , noi contribuenti possiamo solo pagare e poi lasciar fare agli “specialisti” che- a guerra finita- ci spiegheranno come l’hanno persa, dando la colpa a politici defunti. Solo che abbiamo cominciato a notare che nelle guerre in corso il numero dei morti civili supera sempre di gran lunga quello dei militari e allora vorremmo interessarcene.

Il rinnovamento dell’Italia passa per la sua politica estera e per quello delle sue Forze Armate. Il prossimo anniversario della fine della grande guerra potrebbe essere il momento opportuno per iniziare un dibattito nazionale e civile sul tema.

Il resto verrà da se.

TRUMP E ERDOGAN: PRIMO INCONTRO IN AMBITO N.A.T.O. DOPO IL FALLITO GOLPE, di Antonio de Martini

TRUMP E ERDOGAN: PRIMO INCONTRO IN AMBITO N.A.T.O. DOPO IL FALLITO GOLPE.

Ahmet Insel, gia titolare di cattedra alla Sorbona e editorialista di Cumhurriet, ha finalmente ammesso quel che scrivo da quattro anni: Erdogan è – mutatis mutandis- il nuovo Ataturk.

Ha vinto la sfida interna, sconfiggendo i golpisti e i seguaci di Gulen, ha sfidato gli USA, uscendone indenne e
adesso ruba la scena a Trump alla riunione NATO nella sua prima uscita estera dopo la rielezione.

Tutti gli analisti guardano a lui e liquidano le ingiunzioni del presidente USA, che è gia pronto ad offrire i saldi di stagione, agli alleati che ormai lo guardano con la preoccupata compassione riservata ai ripetitori di poesiole già logorate dalla Corea che resta nucleare.

Mezza Asia è intervenuta alla cerimonia di insediamento del “very powerful president” e poco contano gli assenti.
La Turchia assume sempre più i propri connotati asiatici e riesuma il passato che Ataturk aveva rinnegato per marciare verso l’Europa.

Il più grande scrittore Kirghiso, Cenghiz Aytmatov, – il terzo scrittore più letto al mondo con 70 milioni di copie vendute, amico e consigliere di Gorbaciov- viene commemorato ufficialmente da tutta la Turchia che gli ha dedicato l’intero l’anno 2018.

Ecco un avvicinamento in più tra russi e turchi, visto che Aytmatov era cittadino sovietico ( e ambasciatore URSS presso la NATO) e che oltre che in Kirghiso ha scritto in lin lingua russa.

In vista del suo primo incontro con Erdogan dopo il tentato golpe di ispirazione USA, Trump ha ostentato disinteresse per la sorte della NATO con l’intento di attutire il potere contrattuale di Erdogan, ma, in realtà, preoccupa solo se stesso. Erano anni che il massimo rappresentante USa non partecipava a un vertice N.A.T.O. e questa presenza suona smentita alle dichiarazioni fatte.

Il presidente USA, credendo di intimidire i turchi rimbrottando gli europei, si è inimicato l’intera UE e anche questo non mi pare un successo.

Il metanodotto verso l’Europa si farà, diminuendo il potere contrattuale dell’Ucraina verso la Russia e il 4% di spese per la Difesa non finiranno nelle tasche dei committenti del presidente USA che vuole gestire il mondo come fosse un condominio del New England e noi dei fornitori da spremere.

NOTA: questo post è stato aggiornato.

 

PERCHè ODIANO ERDOGAN. PERCHè NON DEVONO PASSARE, di Antonio de Martini

PERCHE ODIANO ERDOGAN. PERCHE’ NON DEVONO PASSARE.

A causa delle bizze fatte in sede di spartizione delle future spoglie della Siria, Erdogan è diventato persona non grata a Americani della CIA e a tedeschi, incaricati di gestire il problema per conto NATO.

La prima scelta fu di “correggere il discolo”, facendogli capire che l’accesso all’Europa dipendeva dal loro benvolere.

La seconda manovra, fu quella di volgere l’occhio altrove mentre alti gradi dell’aeronautica ( la più tecnologica e filo USA) tentavano un colpo di Stato.

Fallimento.

Rimase, agli stateghi da caffé, il sistema di finanziare i partiti politici avversi ( ma non i kemalisti) ammucchiando curdi e omosessuali in un solo “fascio di dibattimento” e condendolo con un paio di attentati per dar vita a una instabilità che avrebbe dovuto costringere il Premier turco a un governo di coalizione..

Preso il terrorista. Chiesta l’estradizione di Fetullah Gulen ( capo della P2 islamista turca, cittadino USA). Riformata la Costituzione in senso presidenziale. Attenuata la guerra indiretta contro Assad.

Con questa tornata elettorale, preceduta da contratti di acquisto di armi contraeree russe, Erdogan ha raggiunto la stabilità politica che gli permetterà di compiere il grande balzo in avanti che gli si voleva impedire.

COSA FARA’

Riprenderà, come promesso, il controllo della Banca centrale. Un esempio per tutto il Vicino Oriente che renderebbe vano l’assassinio di Gheddafi e darebbe l’indipendenza effettiva alla Turchia, consentendole di raddoppiare, quasi, l’efficacia dei suoi investimenti punbblici.

All’indomani delle elezioni, la borsa turca ha segnato un più 2,2% e la lira turca che ha vissuto di svalutazioni competitive nel corso dello scorso anno, ( 17%) si è apprezzata sul dollaro USA dell1,4% per poi ricadere.
Adesso, resta loro soltanto da giocare l’accusa di tradimento dell’occidente.

COSA FARANNO LORO

E’ per questo che gli USA hanno decretato il boicottaggio delle esportazioni petrolifere iraniane a partire dal prossimo 4 novembre. Sanno che la Turchia sosterrà l’Iran – come ha già fatto in passato- e vogliono criminalizzarla agli occhi del mondo.
Si tratta di due paesi di cui siamo primari fornitori in tutto o quasi. Essi valgono un paio di punti di PIL italiano.

Cento anni fa, proprio in quel giorno, vincevamo – prima degli anglo-francesi- la guerra mondiale.

Dobbiamo ritrovare l’orgoglio dei nostri sacrifici vittoriosi e creare una rete di solidarietà mediterranea e vanificare le sanzioni. Già nel 1953, quando gli angloamericani boicottarono l’Iran di Mossadeq, i soli che ruppero l’embargo furono gli italiani con la petroliera ” Mirella”.
Ripetere e resistere.

CHI GESTIRÀ LA FASE DI CHIUSURA DELL’ILVA DI TARANTO?, a cura di Luigi Longo

CHI GESTIRÀ LA FASE DI CHIUSURA DELL’ILVA DI TARANTO?

a cura di Luigi Longo

 

Ho sostenuto qui, qui, qui con una ragionevole ipotesi che l’Ilva di Taranto si avvierà verso la chiusura perché è incompatibile con l’allargamento della base Nato e perché gli USA ritengono Taranto e Foggia spazi fondamentali per le loro strategie nel Mediterraneo, Medio Oriente e Oriente.

L’avvio della chiusura di una impresa di livello mondiale, con il più grande impianto siderurgico d’Europa, strategica per l’economia italiana, significherà avviare l’Italia verso un più accentuato declino economico, sociale e politico; dimostrando così che siamo amministrati da sub-sub-decisori servili e stupidi ( ci vorrebbe un altro Johnathan Swift per aggiornare la follia dei decisori) nel momento in cui svendono una industria strategica ad una multinazionale facendo in modo che siano sempre più i gabinetti stranieri a decidere la sorte della nazione.

Si pone una domanda: la svendita dell’Ilva di Taranto alla Am Investco (joint venture tra AcelorMittal (85%)- multinazionale con sede in Lussemburgo con primo azionista la famiglia indiana Mittal e Marcegaglia (15%), con advisor Jp Morgan) é l’inizio della complessa fase di gestione della chiusura?

L’articolo di Comidad (L’Ilva tra nuvole tossiche e nuvole di astrazione, apparso sul sito www.comidad.org, il 14/6/2018), di seguito riportato, pone delle riflessioni che lasciano intravedere le irrisolvibili problematiche perchè l’Ilva possa continuare a produrre e fanno emergere il conflitto tra i sub-sub-decisori delle varie sfere: militare, politica, economica e ambientale, nella fase di gestione della chiusura dell’Ilva.

 

 

L’ILVA TRA NUVOLE TOSSICHE E NUVOLE DI ASTRAZIONE

di Comidad

 

 

L’ennesimo “governo del cambiamento” si è andato a scontrare con le normali emergenze”. Se il dibattito sull’ILVA di Taranto continua ad assumere gli stessi toni spesso esasperati ed esasperanti, è perché risulta astratto; risente cioè di un’assoluta mancanza di contestualizzazione. Anzitutto bisogna capire quanto ha inciso, e quanto incide tuttora, nella vicenda il fatto che lo stabilimento ILVA confini con strutture militari, tra cui una base NATO. Quale che sia il governo in Italia, la NATO ha fatto capire chiaramente che non intende mollare la presa sul Sud del Mediterraneo.
La presenza dello stabilimento ILVA a Taranto è per “caso” diventata di troppo? Ostacola con la sua presenza l’espansione delle strutture militari?
Circa tre anni fa l’allora Capo di Stato Maggiore della Marina ventilò l’ipotesi di un assorbimento dei lavoratori dell’ILVA nel personale civile della struttura militare dell’Arsenale di Taranto.
Che si tratti di un progetto abbandonato o di un progetto lasciato in sospeso, oppure di una boutade di pubbliche relazioni per far vedere quanto possono essere buoni e utili i militari, ancora non è chiaro.
Un’altra questione non da poco è cercare di stabilire quanto incida la presenza militare nell’inquinamento dell’area. Un’ILVA capro espiatorio? Certo è che nessun perito di tribunale si sentirebbe di rovinarsi l’esistenza chiamando in causa una fonte di inquinamento di origine militare. E poi col segreto militare ci sarebbe poco da fare persino se la magistratura fosse al di sopra di ogni sospetto.
Oltre la vicenda del sito di Taranto, c’è la questione della siderurgia in genere. Può esistere una siderurgia senza le sovvenzioni statali, una siderurgia di “mercato”, oppure rientra nel novero delle fiabe liberiste?
In nome del mercato si delega la produzione della gran parte dell’acciaio alla Cina, dove però i colossi dell’acciaio sono tutti statali e vanno verso una crescente cartellizzazione, sempre all’ombra della mano pubblica.
Non sarebbe molto meno oneroso per la spesa pubblica italiana una siderurgia nazionalizzata piuttosto che foraggiare il rapinatore privato di turno?
In molti settori industriali tenere in piedi la finzione del privato ha un costo esorbitante per il bilancio dello Stato che deve tappare i buchi; ma questi “sprechi” di denaro pubblico possono essere catalogati sia come costi dell’assistenzialismo per ricchi, sia come costi della lotta di classe contro il lavoro.
La fiaba liberista ci narra di governanti spendaccioni che acquistano con la spesa allegra il consenso delle masse. La realtà è l’esatto opposto: lo Stato infatti spende e paga il pedaggio alle multinazionali di turno per poter mantenere i lavoratori dei centri siderurgici sotto la spada di Damocle della perdita del posto di lavoro. La produzione siderurgica comporta infatti la presenza sul territorio di concentrazioni operaie e, per i governi, il problema è di evitare che queste concentrazioni operaie diventino, come in passato, roccaforti e punti di aggregazione dell’opposizione sociale.
Un’altra passeggiata tra le nuvole riguarda le cosiddette “bonifiche ambientali”. Persino nell’ipotesi più ottimistica, cioè che l’inquinamento di Taranto sia esclusivamente di fonte industriale e non militare, ogni bonifica costituisce un’avventura di cui non si possono quantificare costi e tempi. E ciò senza tener conto dei rischi ulteriori che comporta l’andare a smuovere strutture che hanno sedimentato scorie tossiche in stratificazioni storiche. A sentire certi discorsi sembra che il disinquinamento sia come confessarsi e farsi la comunione per ritornare puri come prima. In realtà ogni bonifica è un azzardo e le tecnologie in grado di renderlo meno azzardato non sono del tutto certe e affidabili, anche se, ovviamente, il business ambientale tende a far credere il contrario.
La storia infinita della mancata bonifica del sito di Bagnoli è stata risolta semplicisticamente dalla magistratura nei consueti schemi del caso di corruzione. Ci si propina la solita fiaba moralistica secondo cui sarebbe stato solo l’inquinamento delle anime ad impedire il disinquinamento dell’ambiente.

 

Contenziosi in terra straniera, di Antonio de Martini

Trump era stato avvertito che rompere unilateralmente l’accordo JCPOA avrebbe avuto conseguenze sul piano militare.

Ieri l’Iran e Israele si sono scambiati una ventina di missili per parte avendo cura di non mirare a zone abitate.
Gli obbiettivi di entrambi sono in territorio siriano beninteso.

Gli iraniani hanno portato la guerra al confine di Israele colpendo la provincia di Quneitra ( alture di Golan), dopo che tutti gli sforzi occidentali miravano a perpetuare la guerra alla frontiera turca.

Il gioco è chiaro: se Trump colpirà l’Iran, questo colpirà Israele, il quale a sua volta colpirà la Siria.

L’Europa – rappresentata da Francia,Germania e Inghilterra, assente l’Italia, hanno preso per la prima volta ufficialmente, le distanze dalla politica USA.

Presto dovremo anche noi decidere se correre il rischio di perdere il cliente americano che ci compra le mozzarelle e l’olio di oliva, oppure il cliente iraniano che compra da noi tecnologia.

Unica ragione di ottimismo è la presenza in questi giorni a Mosca – per la celebrazione della vittoria su Hitler- di Netanyahu che sta trattando con Putin.

Il mezzo milione di russi ortodossi,spacciatisi per ebrei che lasciarono l’URSS e adesso costituisce ormai una colonia russa in Israele ( e ha creato un partito) assume valenza determinante nel mosaico del Levante.

Ha offerto un argomento negoziale comune alla Russia e a Israele e costituisce motivo per Netanyahu per non trascurare la mediazione di Putin e per Putin di voler salvaguardare anche Israele.

La Russia, celebrando più che la vittoria i suoi 20 milioni di morti che hanno salvato l’Europa dal nazismo, dice all’Occidente che non teme di perdere altri venti milioni di soldati.

Ricevendo l’ospite israeliano a Mosca durante questa crisi, Putin mostra che la via del compromesso di pace passa dal Cremlino mentre Trump non è riuscito a far chiudere la bocca nemmeno a una puttana.

In questo momento di grandi scelte, un governo Di Maio Salvini , con Mattarella al Quirinale, mi fa venire la pelle d’oca.

Diplomazie parallele, di Giuseppe Germinario

Un articolo del Boston Globe del 4 maggio scorso  narra di un incontro tra John Kerry, l’ex segretario di stato americano in carica durante l’amministrazione Obama e il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif avvenuto circa due settimane prima nella sede dell’ONU. https://www.bostonglobe.com/news/nation/2018/05/04/kerry-quietly-seeking-salvage-iran-deal-helped-craft/2fTkGON7xvaNbO0YbHECUL/story.html

(qui invece la traduzione automatica del testo) https://translate.google.com/translate?depth=1&hl=it&rurl=translate.google.com&sl=auto&tl=it&u=https://www.bostonglobe.com/news/nation/2018/05/04/kerry-quietly-seeking-salvage-iran-deal-helped-craft/2fTkGON7xvaNbO0YbHECUL/story.html  

L’autore in realtà sostiene che l’incontro rappresenta solo l’ultimo atto conosciuto di una intensa attività intrapresa discretamente dall’ex-diplomatico in questi mesi mettendo in piedi uno staff di decine di personaggi più o meno influenti, denominato “diplomacy work” e tessendo una fitta trama di iniziative e relazioni che arriva a coinvolgere anche i più alti esponenti politici europei, tra di essi Mogherini, Merkel e Macron nonchè a influenzare l’azione politica dei detrattori dell’accordo con l’Iran. Tra queste ultime, assieme alla diffusione di centinaia di articoli e servizi, la pubblicazione di un appello di ventisei ex alti ufficiali israeliani favorevoli al mantenimento dell’accordo.

Una iniziativa certamente importante per il merito. Su questo le analisi politiche non difettano di informazioni e di punti di vista diversi pur con la solita deprimente eccezione nostrana.

Molto più significativa e dirompente è l’iniziativa in se stessa.

Nelle relazioni internazionali i vari centri decisionali dispongono sempre di canali paralleli e dei più disparati livelli di azione, più o meno ortodossi, attraverso i quali mettere in atto le proprie strategie. Accade anche che in caso di conflitto o di disaccordo tra centri decisionali interni ad un paese la tenzone non si risolva con un regolamento diretto e l’accettazione del verdetto ma attraverso l’azione che coinvolge l’intero sistema di relazioni internazionali. Con il rispetto, solitamente, di una regola aurea: la assoluta discrezione. L’iniziativa di J. Kerry infrange ancora una volta, negli ultimi tempi e soprattutto nel campo fondamentale della politica estera, questo tabù. Lo stesso per il quale venne infangato e detronizzato, a pochi giorni dal suo incarico, un anno fa il suo omologo Flynn in una condizione decisamente più dubitevole e pretestuosa. E infatti lo ha immediatamente rimarcato Devin Nunes, presidente del comitato di vigilanza sui servizi segreti del Congresso Americano https://www.alternet.org/devin-nunes-calls-john-kerry-be-arrested-fbi-send-g-men

Una situazione inconsueta di aperto osteggiamento di una azione politica, tipica di una condizione di guerra civile o di colpo di stato strisciante piuttosto che di ordinario confronto politico

Rappresenta l’ulteriore indizio dell’incomponibilità e della virulenza dello scontro in atto tra centri decisionali negli Stati Uniti. Un conflitto che non lascia spazi a mediazioni durature e che si risolverà con l’annichilimento sempre più probabile di uno dei contendenti in scena. La stessa radicalizzazione e contraddittorietà del confronto geopolitico oltre che la causa ormai può essere considerata anche la conseguenza di questo conflitto interno in corso. Con una importante novità. Due anni fa poteva apparire un conflitto estemporaneo tra un establishment tetragono e una élite estemporanea e avulsa; oggi questa élite, a costo di pesanti compromessi che hanno snaturato gran parte dei propositi originari, è riuscita a mettere radici negli apparati di potere e decisionali e a consolidare un proprio sistema di relazioni internazionali sia conclamato che più discreto entro il quale trovano spazi e mediazioni alcuni centri decisionali di potenze minori come la Francia, la Turchia e la Corea.

In questo quadro possono trovare posto eventi apparentemente incomprensibili e contraddittori come la sospensione e l’eventuale taglio dei finanziamenti americani agli “Elmetti Bianchi” in Siria, una formazione assistenziale collaterale ai gruppi ribelli sostenuti e finanziati dal campo occidentale. https://www.cbsnews.com/news/u-s-freezes-funding-for-syrias-white-helmets/

Potrebbe essere un segnale lanciato ai russi di un loro riconoscimento come attori principali di una trattativa sulla Siria ancora tutta da definire ma con un ruolo dell’Iran da ridimensionare drasticamente; potrebbe essere altresì un avvertimento alla Gran Bretagna di May, principale finanziatrice e sostenitrice di quella organizzazione, ad astenersi da iniziative autonome di pressione e provocazione, come la messa in scena dell’attacco chimico a Goutha del 7 aprile; un invito a concordare le mosse con l’attore geopolitico principale, per meglio dire con la fazione attualmente al governo se non proprio al potere.

L’una ipotesi non esclude necessariamente l’altra. Si vedrà nelle prossime puntate. Con un consiglio però: leggete attentamente gli articoli postati nei link. Raffigurano la rappresentazione plastica della complessità della trama e delle dinamiche che stanno sconvolgendo le formazioni sociali. https://www.scribd.com/document/378289155/U-S-Special-Counsel-Mueller-Vs-Paul-Manafort-Judge-TS-Ellis-III-Presiding-May-4-2017

 

L’ARABIA SAUDITA PERDE LA FIDUCIA DEGLI USA PER UNA PROPOSTA DEMENZIALE CHE NE MOSTRA L’ISOLAMENTO E L’INADEGUATEZZA MENTALE, di Antonio de Martini

L’ARABIA SAUDITA PERDE LA FIDUCIA DEGLI USA PER UNA PROPOSTA DEMENZIALE CHE NE MOSTRA L’ISOLAMENTO E L’INADEGUATEZZA MENTALE.

Adel al Jubeir, il primo e unico ministro saudita a non essere membro della famiglia reale, ha presentato una proposta ” per combattere l’ISIS” – presa in considerazione dal consigliere per la sicurezza di Trump, Bolton- che ha suscitato scetticismo tra tutti gli esperti di questioni arabe.

L’idea, dato che gli USA sono riluttanti a rimanere in Siria col rischio di confrontarsi direttamente con Hezbollah o i miliziani iraniani, ha proposto di sostituire i soldati USA con una ” forza araba” non meglio definita.

Al momento di sostanziare la proposta con dati di fatto, gli americani si sono trovati di fronte a ERIK PRINCE, lo stesso avventuriero che creò l’organizzazione mercenaria Blackwater e che due anni fa si vide respingere dal Pentagono la proposta di privatizzare la guerra in Afganistan subappaltandola a lui.

Scartata la soluzione PRINCE, sono iniziati incontri a livelli di capi dei servizi segreti con le controparti egiziane e sudanesi per ottenere ” volontari” arabi.

Questa soluzione si è scontrata con il fermo atteggiamento turco a non volere truppe egiziane alla propria frontiera e col colore dei sudanesi che in Siria apparirebbero come mosche nel latte.

I volontari reclutati in Francia e UK ( partiti da Manchester) e i tunisini, sono stati bruciati nei sette anni di guerra.

La coalizione di 22 Stati islamici reclutata un paio di anni fa tra gli staterelli africani, ha chiarito che è disponibile a ricevere aiuti e addestramento, ma non a combattere e meno che mai in Siria.

Tra gli emirati del golfo, la spaccatura provocata dai sauditi col Katar non è ancora sanata e rende inagibile il CDG ( Consiglio di difesa del Golfo) creato a suo tempo dagli inglesi per attività del genere. E comunque sarebbero tre gatti.

Gli Iracheni vengono dati per ufficialmente impegnati in casa, ma in realtà, l’aver affidato a sciiti il governo del paese si è rivelato il più clamoroso autogol della storia americana. Sono inutilizzabili.

La Giordania, i cui regnanti furono spossessati dai Saud , godono in silenzio delle difficoltà della casata nemica con cui condividono il grande fratello anglosassone, ricco e stupido.

Insomma la proposta saudita ha messo in luce alcuni fatti fondamentali:

a) non ci sono siriani disposti a combattere contro il loro governo legittimo. Infatti, non vengono nemmeno presi in considerazione dalla proposta.

b) i sauditi hanno parlato a nome degli ” arabi” senza averli consultati.

c) l’Egitto ha una posizione più vicina a Assad che ai sauditi e ha già rifiutato di intervenire in Yemen.

d) parlano di combattere l’ISIS , ma l’avversario da affrontare sono gli iraniani e l’Hezbollah.

e)gli yemeniti sono tutti impegnati contro i sauditi che non riescono a difendere nemmeno le proprie frontiere e annaspano già in casa.

f) i curdi, vantati dalla propaganda israeliana come combattenti valorosi e impegnati, non esistono che in fotografia e a presidio di qualche crocicchio.

g) il Marocco ha appena finito di criticare il comportamento e le politiche arabe dell’alleato americano.

h) agli algerini che hanno subìto per primi l’aggressione saudita negli anni novanta ( centomila morti) non è il caso di rivolgere la parola.

Gli USA non vogliono rimanere in Siria e Macron rappresenta l’ex potenza coloniale che nel 1925 massacrò i siriani e cannoneggiò Damasco.
Gli inglesi incoraggiano sottobanco Erdogan perché rivogliono il petrolio di Mossul.
Però i turchi non sono arabi, come non lo sono i pakistani, dati più volte in arrivo, ma non stupidi.

Credo che gli USA rimpiangano amaramente i tempi ( dal 48 ai sessanta inoltrati) in cui collaboravano con l’Italia, prevedevano ogni cambiamento e gestivano l’area senza sangue e dispendio di mezzi, come invece accade ora che il loro consigliere è Israele ( che difende i propri interessi) e un clan di cammellieri arricchiti e fanatici.

Come vedete, il successo politico di Putin nel Vicino Oriente, è dato dalla altrui insipienza

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