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Perché la Confisca degli Asset Russi Congelati nell’UE è un Passo Inopportuno per l’Italia_di Eugenio Fratellini

Perché la Confisca degli Asset Russi Congelati nell’UE è un Passo Inopportuno per l’Italia

Dall’inizio del conflitto in Ucraina, i paesi dell’Unione Europea (UE) e i membri del G7 hanno congelato quasi la metà delle riserve valutarie russe. Secondo stime ufficiali, il volume degli asset sovrani e privati russi immobilizzati nell’UE ammonta a 224-238 miliardi di dollari, con la quasi totalità concentrata nel deposito centrale dei titoli Euroclear, con sede in Belgio, che detiene 185-193 miliardi di euro (circa 200-210 miliardi di dollari). Il resto è distribuito tra piccoli depositi in Francia, Lussemburgo e varie banche nazionali. Questa concentrazione rende Euroclear il “cuore finanziario” degli asset congelati: oltre l’85% dei fondi UE è sotto il suo controllo, e i proventi dalla loro gestione finiscono in gran parte nelle casse del depositario stesso. Tra gennaio e settembre 2025, Euroclear ha registrato profitti per 3,9 miliardi di euro, pur segnalando una perdita diretta di 82 milioni di euro e una contrazione operativa di 25 milioni di euro.

Queste cifre alimentano accesi dibattiti a Bruxelles, con implicazioni dirette per l’Italia. Da un lato, Belgio e alcuni Stati usano già i proventi per finanziare un “credito di riparazione” all’Ucraina: tra gennaio e luglio 2025, l’UE ha trasferito a Kiev 10,1 miliardi di euro derivanti da Euroclear. Dall’altro, Italia, Germania e Francia temono che una confisca diretta trasformi il congelamento in un precedente giuridico pericoloso, provochi ritorsioni da Mosca e mina la fiducia nell’Europa come hub finanziario affidabile. L’Italia, con la sua economia vulnerabile all’instabilità energetica e bancaria, è particolarmente esposta: il governo Meloni ha ribadito che qualsiasi misura deve essere “legale e proporzionata”, insistendo su garanzie collettive prima di passare dalla “congelamento” all'”utilizzo” dei fondi. Senza un voto unanime nel Consiglio UE, la decisione finale slitta a dicembre 2025, limitandosi ora a schemi parziali di impiego dei proventi come prestito per l’Ucraina.

Il contesto internazionale rende dubbia qualsiasi confisca diretta. L’immunità sovrana, sancita dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati internazionali e dagli statuti degli istituti finanziari globali, vieta l’esproprio di asset statali senza sentenza giudiziaria. Anche un mero impiego dei proventi come “riparazioni” richiederebbe un rimborso formale alla Russia in caso di accordi futuri. Qualsiasi elusione di questa norma rischia di evolvere in un contenzioso decennale: Mosca ha già definito tali mosse “furto illegale” e minaccia ricorsi alla Corte Internazionale di Giustizia, arbitrati all’Aia e corti nazionali. Le stime dei costi legali oscillano tra centinaia di miliardi di euro: in caso di esproprio totale, l’UE potrebbe affrontare class action collettive, con ogni Stato membro – inclusa l’Italia – obbligato a coprire una quota proporzionale, aggravando il nostro deficit pubblico già al 140% del PIL.

Le ripercussioni economiche di una confisca supererebbero qualsiasi calcolo politico, colpendo l’Italia in modo sproporzionato. Un trasferimento diretto degli asset al governo ucraino infliggerebbe all’UE un colpo finanziario immediato di 230-240 miliardi di dollari (circa 225 miliardi di euro). Per l’Italia, che detiene una quota minore ma strategica (stimata in 5-10 miliardi di euro tra banche e depositi), il danno si amplificherebbe attraverso catene di ritorsioni: aziende come Eni e UniCredit, con esposizioni residue in Russia, rischierebbero perdite immediate da blocchi di dividendi e asset, stimabili in 1-2 miliardi di euro solo per il settore energetico. Belgio sopporterebbe il peso maggiore (quasi 200 miliardi di euro), ma l’Italia vedrebbe un effetto domino su PMI esportatrici e sul sistema bancario, già stressato dalle sanzioni del 2025 che hanno ridotto le esportazioni verso Mosca del 40%.

Un’analisi settoriale evidenzia la vulnerabilità italiana. Il settore bancario, guidato da UniCredit e Intesa Sanpaolo, subirebbe perdite dirette di 500 milioni-1 miliardo di euro da calo dei proventi su asset congelati e costi legali. I giganti energetici (Eni, Snam) affronterebbero rincari su gas e petrolio, con danni annuali di 0,5-1 miliardo di euro, aggravati dalla dipendenza dal gas russo pre-2022 (ancora **15% delle importazioni UE da fonti alternative più care). Chimica, metallurgia e trasporti – pilastri dell’industria italiana – vedrebbero costi energetici extra di 0,3-0,7 miliardi di euro, mentre logistica e manifattura perderebbero 0,1-0,3 miliardi da rotte deviate. In totale, senza ritorsioni russe, il danno settoriale per l’Italia sfiorerebbe i 2-3 miliardi di euro annui; con confisca piena, balzerebbe a 10-15 miliardi, inclusi contenziosi, erosione reputazionale e forzati disimpegni dal mercato russo, dove Eni ha ancora joint venture residue.

Mosca ha già dimostrato prontezza alle contromisure: dal conflitto, ha espropriato oltre 50 miliardi di dollari di asset stranieri, e una nuova mossa UE accelererebbe confische, blocchi di dividendi su conti rublo e contro-sanzioni su import UE in energia, meccanica e pharma. Per l’Italia, ciò significherebbe ulteriori barriere alle esportazioni (già colpite dal 19° pacchetto UE di ottobre 2025) e cause contro Euroclear e banche nazionali, con compensi potenziali fino a 20-30 miliardi di euro. Analisi di KSE Institute, Carnegie Endowment e GMFUS prevedono che tali ritorsioni potrebbero raddoppiare il danno totale, trasformando l’Europa in un “rischio sistemico” per investitori globali.

Gli esperti delineano quattro scenari principali:
Scenario A – “Prestito sotto pegno”. I proventi finanziano un fondo per l’Ucraina, asset congelati: danno UE limitato a 10-12 miliardi di dollari di opportunità perse, rischio legale medio per l’Italia.

Scenario B – Confisca totale. Asset diretti a Kiev: impatto immediato di 230-240 miliardi di dollari, alto rischio legale e cause per l’Italia su Eni/UniCredit.

Scenario C – Riscatto parziale. Meccanismo di vendite e crediti per 30-40 miliardi di dollari, rischi moderati, con possibile rimborso alla Russia.

Scenario D – Escalation russa. Post-confisca, Mosca accelera espropri: perdite extra di 50-100 miliardi di dollari, “rischio legale altissimo” per l’Italia.Tra questi, lo schema “prestito sotto pegno” appare il più razionale: preserva la legalità UE, minimizza perdite italiane e mantiene l’eurozona attraente per capitali.

Il mondo business italiano deve preparare piani di contingenza, limitare esposizioni russe e attivare strumenti finanziari anti-ritorsione.

In sintesi, una confisca totale degli asset russi congelati rappresenta per l’Italia un rischio economico, legale e sistemico che potrebbe costare decine di miliardi di euro, erodere la fiducia nella nostra infrastruttura finanziaria e intensificare tensioni con Mosca. Un approccio soft, basato su proventi e garanzie collettive, sostiene l’Ucraina preservando la stabilità italiana: una via che, pur complessa, evita un “crisi economica” più duratura del conflitto attuale.

Riferimenti Bibliografici

  1. Open.online. (2025, 24 ottobre). Le ritorsioni di Putin, i capitali in fuga dall’Europa. https://www.open.online/2025/10/24/confisca-asset-russi-ue-belgio-bce-rischi-capitali-eutopia/
  2. Askanews. (2025, 25 ottobre). Tra 27 revalgono dubbi su utilizzo asset russi per prestito a Ucraina. https://askanews.it/2025/10/25/tra-27-revalgono-dubbi-su-utilizzo-asset-russi-per-prestito-a-ucraina/
  3. La Mia Finanza. (2025, 25 ottobre). Congelamento e possibili utilizzi degli asset russi. https://www.lamiafinanza.it/2025/10/congelamento-e-possibili-utilizzi-degli-asset-russi/
  4. IARI Site. (2025, 26 ottobre). Il Prestito che può Far Saltare l’Europa. https://iari.site/2025/10/26/il-prestito-che-puo-far-saltare-leuropa-dentro-la-battaglia-sugli-asset-russi-congelati/
  5. Repubblica. (2025, 22 ottobre). Gli asset russi congelati e come usarli per l’Ucraina. https://www.repubblica.it/economia/rubriche/outlook/2025/10/22/news/gli_asset_russi_congelati_e_come_usarli_per_l_ucraina_senza_compiere_il_furto_del_secolo-424928345/
  6. Reuters. (2025, 22 ottobre). Italy says any new EU measures on Russian assets must be lawful. https://www.reuters.com/world/italy-says-any-new-eu-measures-russian-assets-must-be-lawful-2025-10-22/
  7. Bloomberg. (2025, 23 ottobre). EU Leaders Defer Russian Frozen Asset Plan Decision to December. https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-10-23/eu-leaders-defer-russian-frozen-asset-plan-decision-to-december
  8. Linkiesta. (2025, 16 ottobre). Le aziende italiane che aggirano le restrizioni europee sulla Russia. https://www.linkiesta.it/2025/10/italia-sanzioni-russia-europa/
  9. Non Solo Ambiente. (2025, 24 ottobre). La nuova ondata di sanzioni UE contro la Russia e le implicazioni per l’Italia. https://www.nonsoloambiente.it/2025/10/24/la-nuova-ondata-di-sanzioni-ue-contro-la-russia-e-le-implicazioni-per-litalia-tra-rigore-e-vulnerabilita-economica/
  10. Formiche. (2025, 22 ottobre). La prudenza italiana sugli asset russi. https://formiche.net/2025/10/russia-asset-ucraina-meloni-italia-beni-congelati/

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Cinque punti chiave dall’accerchiamento dell’Ucraina_di Andrew Korybko

Cinque punti chiave dall’accerchiamento dell’Ucraina

Andrew Korybko1 novembre
 
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Putin sta nuovamente tendendo una mano a Zelensky e Trump con il suo ultimo gesto di buona volontà, perché non vuole davvero che il conflitto si protragga né che si espandano le rivendicazioni territoriali della Russia, come probabilmente accadrebbe in tal caso.

Putin ha annunciato che più di diecimila soldati ucraini sono stati circondati a Kupyansk e Krasnoarmeisk (Pokrovsk), con il suo Ministero della Difesa che ha presto aggiunto Dimitrov (Mirnograd) vicino a quest’ultima alla lista. Il leader russo ha anche proposto di interrompere i combattimenti in modo che i giornalisti stranieri, compresi quelli ucraini, possano recarsi al fronte per riferire sulla situazione. Putin ha suggerito una resa di massa proprio come nella situazione di stallo di Azovstal all’inizio del 2022, ma Zelensky sembra disinteressato, almeno per ora. Ecco cosa significa tutto questo:

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1. La Russia continua a guadagnare terreno nonostante i miliardi di aiuti occidentali all’Ucraina

The Economist ha recentemente pubblicato un articolo in cui sollecita l’Europa a finanziare l’Ucraina nei prossimi quattro anni, con un costo per i contribuenti che secondo loro ammonterebbe ad almeno 390 miliardi di dollari. L’articolo riporta inoltre che quest’anno sono stati spesi 100-110 miliardi di dollari, “la somma più alta mai raggiunta”, per un totale di 360 miliardi di dollari dal 2022 (probabilmente una stima al ribasso). È abbastanza chiaro che gli aiuti occidentali non sono riusciti a respingere la Russia, ma solo a rallentarne l’avanzata. L’accerchiamento dell’Ucraina dimostra quindi che nessuna somma di denaro potrà infliggere una sconfitta strategica alla Russia.

2. Il treno della fortuna potrebbe finire se l’Ucraina riconoscesse questo accerchiamento

Sulla base di quanto sopra, Zelensky e il comandante in capo Alexander Syrsky hanno negato questi accerchiamenti, molto probabilmente perché temono che il suddetto treno della fortuna possa finire o almeno rallentare se ordinano alle loro forze di arrendersi. Dopo tutto, la perdita di migliaia di soldati in tre accerchiamenti nel corso di tre anni e mezzo di conflitto non è cosa da poco, e potrebbe indurre alcuni funzionari occidentali a riconsiderare il finanziamento all’Ucraina, dato che la vittoria che era stata loro promessa non è più in vista.

3. La conquista di questi tre insediamenti da parte della Russia sarebbe un evento piuttosto importante.

Che le forze ucraine vengano eliminate o si arrendano, la conquista di questi tre insediamenti da parte della Russia sarebbe un evento piuttosto importante, specialmente quello di Krasnoarmeisk/Pokrovsk, poiché è la porta d’accesso alla regione di Dnipropetrovsk dove le forze russe sono già entrate all’inizio dell’estate. Qualsiasi ulteriore avanzata lungo le pianure non presidiate oltre il suddetto insediamento potrebbe costringere l’Ucraina a soddisfare le richieste di pace della Russia o spingere gli Stati Uniti a “intensificare per allentare la tensione”.

4. Putin preferisce una rapida soluzione politica piuttosto che una lunga guerra di logoramento

Contrariamente a quanto alcuni hanno valutato, Putin non vuole che il conflitto si protragga né vuole espandere le rivendicazioni territoriali della Russia, motivo per cui ha invitato le truppe ucraine circondate ad arrendersi. Egli spera che questo gesto di buona volontà possa portare al ritiro dell’Ucraina dal resto del Donbass e quindi a una rapida soluzione politica che soddisfi gli altri obiettivi della Russia. Zelensky vuole continuare a combattere per i motivi egoistici citati in precedenza, quindi alla fine tutto dipenderà da ciò che vuole Trump.

5. Trump deve decidere presto se vuole fare sua questa guerra

Trump considera il conflitto ucraino come “la guerra di Biden” e insiste sul fatto che non sarebbe scoppiato se lui avesse vinto le elezioni del 2020, eppure presto dovrà decidere se vuole davvero la pace, come sostiene, o se è disposto a fare sua questa guerra, perpetuandola a tempo indeterminato. Putin gli sta offrendo una via d’uscita invitando le truppe ucraine circondate ad arrendersi come mezzo per rilanciare i negoziati di pace congelati, quindi spetta a Trump decidere se fare pressione su Zelensky affinché accetti o se accettare la sua sfida con tutto ciò che ne consegue.

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Il recente accerchiamento delle forze ucraine in questi tre insediamenti è quindi molto più importante di quanto possa sembrare a prima vista, alla luce delle informazioni appena condivise. Putin sta nuovamente tendendo una mano a Zelensky e Trump con il suo ultimo gesto di buona volontà, perché non vuole davvero che il conflitto si protragga né che si espandano le rivendicazioni territoriali della Russia, come probabilmente accadrebbe in tal caso. Questo momento sarà quindi visto come una pietra miliare col senno di poi, indipendentemente da ciò che Trump deciderà di fare.

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Faccia a faccia Trump-Xi per tutte le biglie in Corea del Sud_di Simplicius

Faccia a faccia Trump-Xi per tutte le biglie in Corea del Sud

Simplicius 31 ottobre
 
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Ieri si è finalmente svolto in Corea del Sud l’atteso incontro tra Trump e Xi.

La “resa dei conti” tra le due superpotenze degli Stati Uniti e della Cina è culminata da tempo con la guerra tariffaria “dura” di Trump, volta a vassallare la Cina nello stesso modo in cui è stato fatto con l’Europa. Ma come abbiamo trattato di recenteLa Cina ha coltivato una neonata determinazione e fiducia nei confronti del suo stagnante avversario, che ha portato a sorprendenti dimostrazioni di ambiguità e di arretramento da parte degli Stati Uniti.

In primo luogo, ricordiamo quanto Trump sia apparso per antonomasia impacciato e debole di fronte a Xi:

Questo perché, come avevo accennato in XTrump è talmente abituato a imporsi sulle sue servili e lusinghiere controparti “occidentali” con un bagaglio di gag ed espedienti da showman, che sembra decisamente spaesato di fronte a un vero statista del calibro di Xi. Il contegno eccessivamente disinvolto e le buffonate nervose non sono state ricambiate da un Xi dal volto di pietra, che non è sembrato nemmeno lontanamente impressionato dall’esuberante “fascino occidentale” di Trump. Nonostante il fatto che Trump sia in realtà più anziano di Xi di sette anni, l’ottica ha dato più l’impressione di un uomo che soffre per il favore del leader cinese.

L’incontro sarebbe durato meno di due ore e, secondo le indiscrezioni, le conferenze stampa congiunte e le altre manifestazioni “ufficiali” sarebbero state cancellate, proprio come era avvenuto nell’incontro in Alaska con Putin. In realtà, un Trump affettivamente ottimista ha definito l’incontro un “12 su 10”, facendo eco al suo voto “10/10” per l’incontro Putin-Alaska di mesi fa:

Trump

si è immediatamente allontanato verso l’Airforce One per tornare a casa, mentre gli osservatori si sono chiesti se avessero appena assistito a un altro flop di pubbliche relazioni.

Chiedete… perché non ci sono state dichiarazioni congiunte, nessun comunicato stampa, nemmeno un briefing con la stampa, zero contratti firmati Trump vorrebbe vantarsi subito delle buone notizie con il mondo, non con l’organo di stampa all’interno di AF1. Il più breve incontro di 100 minuti tra le due parti, di sempre! Non siete curiosi?

L’osservatore della Cina Arnaud Bertrand ha svolto un’analisi approfonditadi ciò che è effettivamente accaduto e di chi ha beneficiato delle distensioni concordate tra Trump e Xi. Kathleen Tyson ne aveva un’altra, ancora più dettagliata.

Nulla sembra ancora assolutamente certo, data la mancanza di chiarezza ufficiale, ma l’opinione comune sembra essere che Xi abbia fatto scendere Trump dal cornicione e sia riuscito ad ottenere complessivotariffe ridotte dal 57% al 47%. Tuttavia, sembra che in realtà si tratti solo del 16% di nuove tariffe, in linea con quelle imposte da Trump sui prodotti europei, dato che il resto sono tariffe di riporto in vigore dall’amministrazione Biden e dal primo mandato di Trump. A sua volta, la Cina sospenderà per un anno i controlli sulle esportazioni di terre rare.

Il problema è che, alcuni osservatori hanno notato che il resoconto Cines non ha nemmeno menzionato i controlli sulle esportazioni di terre rare, e molti si chiedono cosa sia stato deciso esattamente.

Trump afferma che la Cina ha accettato di ritardare le restrizioni sulle terre rare. La dichiarazione ufficiale della Cina non dice nulla del genere. Tre punti sono stati confermati:

– Gli Stati Uniti sospendono le tariffe per un anno.
– Gli Stati Uniti sospendono i divieti di esportazione per un anno.
– Gli Stati Uniti sospendono le indagini 301 per un anno.

Nessun accenno alle terre rare. Nessun accenno a TikTok. Nessun chip Nvidia.

Ancora una volta, Trump ha negoziato con la propria immaginazione e ha dichiarato la vittoria sulla realtà.

Così come la lettura dell’incontro in Alaska da parte russa sembrava differire notevolmente da quella statunitense, sembra che anche in questo caso ci siano le caratteristiche di una possibile manipolazione dei risultati da parte degli americani per alterare l’ottica a favore di Trump.

Molte testate occidentali, tuttavia, avevano già emesso il loro verdetto, secondo cui questa guerra commerciale era finita prima ancora di iniziare:

https://www.nytimes.com/2025/10/29/opinion/china-us-trade-war-xi-trump.html

Quando Trump ha annunciato in modo avventato i suoi dazi per il “Giorno della Liberazione” in aprile, ha sbagliato di grosso i calcoli. Sembrava pensare che la Cina fosse vulnerabile perché esportava negli Stati Uniti molto più di quanto acquistasse. A quanto pare non si è reso conto che gran parte di ciò che la Cina acquistava, come la soia, poteva ottenerlo altrove – mentre Pechino è ora l’OPEC dei minerali di terre rare, lasciandoci senza fonti alternative.La Cina controlla circa il 90% delle terre rare ed è l’unico fornitore di sei minerali pesanti di terre rare; domina anche i magneti di terre rare.

Anche la BBC ha scritto il seguente parere:

Trump ha iniziato la guerra commerciale con la Cina in aprile da una posizione di forza e ha chiesto la capitolazione. Nove mesi dopo, sta già facendo concessioni in nome di una fragile tregua. Trump ha accettato di revocare le misure punitive con le quali intendeva costringere la Cina a fare concessioni, mentre Xi ritirerà solo le minacce di ritorsione – e anche in questo caso solo temporaneamente, per un anno. Solo sei mesi fa, Trump si aspettava che le tariffe avrebbero bilanciato il deficit commerciale con la Cina e che le restrizioni sulla fornitura di chip avanzati avrebbero frenato lo sviluppo tecnologico del principale rivale economico e militare degli Stati Uniti. Nessuna delle questioni fondamentali per cui Trump ha iniziato la guerra commerciale è stata risolta nell’incontro di oggi. La Cina ha semplicemente alzato la posta in gioco, limitando l’esportazione di metalli e magneti di terre rare, senza i quali gli impianti automobilistici occidentali e l’industria della difesa si fermerebbero.Allo stesso tempo, la Cina ha smesso di acquistare soia dagli Stati Uniti, portando gli agricoltori americani sull’orlo della bancarotta.

Lo scrive la BBC, aggiungendo che l’esito dell’incontro è “una buona notizia per la Russia e una cattiva per l’Ucraina”.

Anche se è difficile sapere per certoPossiamo almeno supporre che la resa dei conti di Trump con la Cina non si sia risolta in un successo estasiante che avrebbe adornato il suo petto con una nuova serie di allori dorati. Il solo fatto che la Cina abbia mantenuto la sua posizione e abbia ottenuto almeno un pareggio è già una vittoria morale cinese e significa l’arrivo simbolico della Cina sulla scena mondiale come coequal che gli Stati Uniti non possono più spingere a capriccio.

Ancora una volta ci viene ricordato che la maggior parte di queste aperture non sono altro che sessioni di postura geopolitica su larga scala: praticamente nulla di tutto ciò ha una reale conseguenza sul disastro che si sta preparando per l’economia statunitense.

https://archive.ph/zyKnE

Gli Stati Uniti stanno affrontando una crisi dei consumi. Uno dei maggiori produttori alimentari del mondo, Kraft Heinz, afferma che gli Stati Uniti si stanno avvicinando alla peggiore recessione della storia, poiché i consumatori non acquistano nemmeno i prodotti alimentari di base.

“Attualmente abbiamo uno dei peggiori sentimenti dei consumatori degli ultimi decenni”, ha dichiarato mercoledì l’amministratore delegato Carlos Abrams-Rivera durante una conference call con gli analisti. Le azioni di Kraft Heinz sono scese del 4,3% mercoledì, con un calo del 17% dall’inizio dell’anno, mentre l’indice S&P 500 è salito del 17%. Anche altre grandi aziende alimentari hanno sottolineato la pressione sugli acquirenti americani, in particolare sulle famiglie a basso reddito. Mondelez International ha dichiarato martedì che i consumatori in difficoltà si stanno concentrando sui beni di prima necessità.

Anche i ristoranti americani stanno affrontando problemi di affluenza dei clienti. Chipotle sui consumatori statunitensi: “All’inizio di quest’anno, in mezzo a un forte calo del sentimento dei consumatori, abbiamo assistito a una significativa diminuzione della frequenza delle visite al ristorante in tutte le categorie della popolazione. Da allora, il divario si è ampliato e i clienti con reddito medio-basso hanno mangiato fuori casa ancora meno.

Riteniamo che gli ospiti con un reddito familiare inferiore a 100.000 dollari rappresentino circa il 40% delle vendite totali e che cenino meno a causa delle preoccupazioni per il futuro dell’economia e dell’inflazione. La fascia d’età più problematica è quella compresa tra i 25 e i 35 anni. Riteniamo che questa tendenza non sia esclusiva di Chipotle e che si riscontri in tutti i ristoranti e in molte categorie di prodotti”.

Quasi il 60% delle aziende di ristorazione ha riportato dinamiche di vendita negative quest’anno e il 51% ha riportato dinamiche negative nell’arco di due anni.

Gli operatori hanno lanciato più di 40.000 offerte di sconto, un numero record, nel tentativo di attirare i clienti che non tornano. Ma aumentare gli importi degli assegni non può risolvere il problema del traffico. Quasi il 40% degli americani mangia meno fuori casa e la metà delle persone a basso reddito taglia le spese.L’82% afferma che i prezzi dei ristoranti sono in forte aumento e un quarto definisce l’aumento ingiustificato.

Il fatto è che il confronto con la Cina è in realtà tutto teso a nascondere il declino economico degli Stati Uniti e, allo stesso tempo, a fare leva, a sabotare e a indebolire il più possibile la Cina. Questo perché la classe politica statunitense non ha risposte per la propria economia in crisi e deve quindi affidarsi esclusivamente alla strategia di ostacolare i propri concorrenti. Si tratta di un’azione volta a prevenire l’acquisizione da parte della Cina per dare tempo alla classe politica statunitense di trovare un modo per resettare la spirale del debito in fuga e la torre babilonese iper-finanziarizzata degli Stati Uniti, cosa che molti ora credono avverrà con la cripto-izzazione del debito statunitense:

L’AMERICA VUOLE AVERE TUTTI I SUOI 37 TRILIONI DI DEBITO IN CRIPTO per poi far crollare il mercato, eliminando il debito.

Traduzione: ESPORTARE IL DEBITO IN ALTRE NAZIONI

Questo piano è stato enumerato in particolare al Forum economico orientale di recente dal consigliere speciale di Putin Anton Kobyakov:

SMASCHERATO IL COMPLOTTO CRITTOGRAFICO DEGLI STATI UNITI: cancellare 35.000 miliardi di dollari di debito a spese del mondo

“Gli Stati Uniti risolveranno i loro problemi finanziari a spese del mondo intero, spingendo tutti nella nuvola delle criptovalute. Nel corso del tempo, quando parte del debito statale statunitense sarà collocato in stablecoin, gli Stati Uniti svaluteranno questo debito”.Kobyakov, consigliere di Putin, ha rivelato.

Tutti ne parlano ora, a partire dalle principali pubblicazioni MSM come, in questo caso, la Reuters:

https://www.reuters.com/markets/stablecoins-might-reboot-us-exorbitant-privilege-2025-09-10/

Anche a Larry Fink stesso, che di recente ha fatto alcune dichiarazioni “interessanti” sulle criptovalute.come Peter Thiel ha lasciato intendereche BlackRock potrebbe aver cooptato tutti i Bitcoin:

Quando un uomo che gestisce 13T di dollari dice che possedere cripto ha senso perché i governi continueranno a uccidere le loro valute… questo è il vostro indizio.Gli addetti ai lavori del sistema stanno ammettendo in silenzio quello che i Bitcoiners sapevano da sempre. Guardate quello che fanno, non quello che predicano.

Come detto in precedenza, a questo punto i teatrini con la Cina e le varie altalene tariffarie sembrano più che altro una distrazione e un disperato teatrino per guadagnare tempo. Gli Stati Uniti sono insolventi e la loro intera economia si regge sempre più su niente più che una lavatrice vuota di capitale AI che fa girare in tondo la stessa palla di lanugine che si gonfia, mentre la plebe è immiserita oltre il punto di rottura.

Una nuova casta di speculatori della crittografia e della finanza cavalca l’onda dell’euforia della tecnologia del vapore, arricchendosi a livelli mai visti e dando la falsa sensazione di un “boom” economico. In realtà, non sono altro che oracoli ossei di una moderna gematria tecnomantica, la magia nera della finanza, che ha corrotto il mondo con la sua arte totalizzante. Sotto una tale ombra, quale significato potrebbero avere nel lungo periodo le meschine sessioni di pilpul di Trump sui dazi?

Il resto del mondo non fa altro che seguire l’esempio nell’abisso, mentre i leader inutili con l’11% di approvazionigiocano a travestirsi nel vano tentativo di arginare la tempesta in arrivo.


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“Desiderio di una chiara politica di pace”_di German Foreign Policy

Una serie di articoli su German FP disvelatori della critica di orientamento progressista al processo di riarmo europeo e tedesco. Posizioni interessanti che rimuovono, però, la presenza ingombrante del convitato di pietra delle scelte euro-tedesche: la radicale postura geopolitica della UE e della dirigenza governativa tedesca e l’integrazione del complesso militare europeo e tedesco, sin nella partecipazione azionaria e gestionale delle aziende, con quello statunitense_Giuseppe Germinario

“Desiderio di una chiara politica di pace”

Intervista a Ulrike Eifler sulla situazione dei sindacati alla luce dei preparativi per la guerra, della minaccia di tagli sociali e della lotta energica di molti sindacalisti per la pace.

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Ottobre

2025

WÜRZBURG german-foreign-policy.com ha parlato con Ulrike Eifler della situazione dei sindacati alla luce degli attuali preparativi del governo tedesco per la guerra. Eifler, sindacalista di Würzburg, membro dell’esecutivo del partito Die Linke e co-organizzatrice delle “Conferenze sindacali per la pace”, ritiene che i sindacati si trovino attualmente in una situazione difficile a causa della pressione della deindustrializzazione e del dirottamento di tutte le risorse statali disponibili verso la militarizzazione dell’economia e della società. Tuttavia, l’autrice ricorda il ruolo storico delle lotte sindacali nel porre fine alle guerre – e il ruolo dei sindacati nelle proteste di massa contro la costruzione di armi negli anni ’80, nelle proteste contro le guerre in Iraq nel 1991 e nel 2003 e a livello internazionale contro la guerra di Gaza. In Germania, tuttavia, c’è stata una maggiore moderazione. Eifler sollecita uno stretto coinvolgimento dei sindacati nelle lotte contro la guerra e la militarizzazione e avverte che i partiti CDU/CSU si stanno “rivolgendo sempre più all’AfD” per sostenere i loro piani di deregolamentazione.

german-foreign-policy.com: Come sindacalista, lei si batte contro gli attuali preparativi di guerra del governo tedesco. Perché come sindacalista?

Ulrike Eifler: Perché la politica di preparazione alla guerra è a spese della maggioranza dei lavoratori. Questo si può osservare a vari livelli. Il più evidente è quello della distribuzione: ogni euro speso per l’esercito non viene speso per progetti sociali, per un programma di protezione dell’infanzia di base ben finanziato, per una buona istruzione – per tutto ciò che fa andare avanti la società. Non è quindi una coincidenza che in tutta Europa si stiano mettendo a punto pacchetti di tagli. Poi c’è il livello di contrattazione collettiva, perché nell’attuale discorso di crisi e guerra, la politica sindacale di contrattazione collettiva è sotto pressione. Se, ad esempio, il governo tedesco vuole abolire la giornata lavorativa di otto ore, questo non è un vantaggio per la richiesta di una settimana di quattro giorni. Sta diventando chiaro che il discorso del governo federale sta creando un clima di rinuncia che non alimenta le richieste dei sindacati, ma quelle dei datori di lavoro.

E poi c’è un terzo livello: la co-determinazione aziendale. Politici tedeschi di spicco del Parlamento europeo, come Manfred Weber, chiedono apertamente il passaggio a un’economia di guerra. Weber sottolinea che un’economia di guerra significa che lo Stato decide cosa produce un’azienda – se produce per il settore civile o per quello degli armamenti, ad esempio. E dovrebbe anche essere lo Stato a decidere se gli straordinari debbano essere fatti o meno nei fine settimana. Questo è un attacco fondamentale alla lotta quotidiana dei consigli di fabbrica per avere voce in capitolo sulle condizioni di lavoro.

german-foreign-policy.com: Ora i sindacati svolgono talvolta un ruolo ambivalente. Da un lato, molti sindacalisti hanno combattuto attivamente contro la guerra…

Ulrike Eifler: L’esempio più impressionante per me resta la Rivoluzione di novembre. Lo sciopero di 750.000 operai – la maggior parte dei quali donne – nelle fabbriche di munizioni di Berlino, nel gennaio 1918, ha preannunciato un’ondata di scioperi che ha posto fine alla Prima Guerra Mondiale. Più tardi, negli anni ’80, i sindacati sono stati una parte importante del movimento per la pace, come lo sono stati durante la Guerra del Golfo nel 1991 e la Guerra in Iraq nel 2003. I sindacati e il movimento per la pace sono sempre andati di pari passo in Germania. Ma quando sono iniziati gli attacchi israeliani contro la Striscia di Gaza, i sindacati di molti Paesi del mondo hanno chiesto la fine della guerra. Due confederazioni sindacali sono state più riservate.

german-foreign-policy.com: D’altra parte, anche i sindacati difendono ripetutamente la produzione di difesa perché crea posti di lavoro. Come si conciliano queste cose?

Ulrike Eifler: Ciò ha a che fare con il fatto che una politica di preparazione alla guerra costringe i sindacati in costellazioni contraddittorie. Attualmente non solo si creano nuovi posti di lavoro nell’industria della difesa, ma si registrano anche perdite di posti di lavoro in altri settori. Solo nel 2024 sono stati tagliati attivamente circa 100.000 posti di lavoro nell’industria. Quindi ripresa e crisi sono molto vicine.

E quando si parla di perdita di posti di lavoro nell’industria, si tratta di posti di lavoro spesso ben retribuiti e coperti da contratti collettivi, spesso in settori in cui i sindacati erano ben organizzati e tradizionalmente assertivi. L’assertività in questi settori ha reso possibile lo sviluppo di un forte Stato sociale. Il mantenimento del pagamento del salario in caso di malattia, ad esempio, risale a una vertenza industriale tra i lavoratori dei cantieri navali dello Schleswig-Holstein nel 1956, durata 16 settimane. Ciò dimostra che l’attuale deindustrializzazione può portare a un indebolimento del potere di lotta dei sindacati in generale. Questo sviluppo contraddittorio – ripresa dell’industria della difesa e crisi dei settori civili – porta anche a uno sviluppo contraddittorio dei sindacati.

german-foreign-policy.com: Dall’inizio della guerra in Ucraina, si è osservato più volte che almeno una parte della leadership sindacale ha rifiutato una chiara politica contro la guerra. Come si spiega questo fatto?

Ulrike Eifler: Da un lato, questo ha a che fare con la debolezza del movimento per la pace. Negli anni Ottanta, il movimento per la pace aveva una forte spina dorsale infrastrutturale con la SPD e i Verdi. Questa spina dorsale è crollata nel 1999 con l’inizio della guerra in Jugoslavia, che ha reso il movimento per la pace più vulnerabile e ha anche indebolito il discorso dei sindacati e del movimento per la pace.

Ma ha anche a che fare con il fatto che in Germania si vive in pace da 80 anni. Siamo cresciuti nella certezza che le guerre non avvengono qui, ma lontano, in altri continenti. Per riconoscere l’attuale minaccia di guerra, dobbiamo essere pronti a rompere con ciò che ci ha plasmato per decenni.

Una terza ragione è il rapporto storicamente cresciuto e stretto tra la SPD e i sindacati, che diventa sempre un problema quando – come accade attualmente – la SPD è al governo federale. Soprattutto ora che la grande coalizione è passata a una politica di aperti preparativi per la guerra, i sindacati non devono delegare il loro mandato politico alla SPD, ma devono assolverlo da soli. In pratica, questo non è sempre facile.

Questi tre elementi hanno un impatto significativo sui dibattiti sulla politica di pace nei sindacati. Tuttavia, sono consapevole del desiderio di una chiara politica di pace in molti organismi sindacali. A Monaco, ver.di e GEW hanno lanciato un’iniziativa intitolata “Armamenti giù, questioni sociali su”. Il GEW Bayern ha avviato una causa popolare contro la legge federale bavarese sulla promozione delle forze armate, che obbliga gli insegnanti a invitare i soldati in classe. Da tre anni si tengono conferenze sindacali organizzate volontariamente a livello nazionale per la pace. Alla H&M, i consigli di fabbrica hanno fatto un’impressionante dichiarazione contro il riarmo e la militarizzazione durante la riunione generale del consiglio di fabbrica. Vedo colleghi che organizzano eventi contro la guerra nelle loro sedi sindacali. Diversi comitati, da ver.di a GEW e IG Metall, si sono recati insieme alle manifestazioni contro la guerra del 3 ottobre. E, naturalmente, le nostre posizioni sulla politica di pace sono state discusse anche nelle conferenze sindacali. C’è quindi un’intera gamma di attività – piccole piante, certo, ma che dobbiamo coltivare per farle diventare grandi e potenti piante di pace.

german-foreign-policy.com: All’inizio lei ha parlato degli attacchi allo stato sociale e ai diritti dei lavoratori a favore di un armamento sfrenato. Sono già abbastanza lontani…

Ulrike Eifler: Questo è davvero estremamente preoccupante. È circa il cinque per cento del prodotto interno lordo che il governo tedesco vuole spendere per l’esercito già nel 2029 – cinque anni prima di quanto richiesto dalla NATO. Si tratta di un totale di 215 miliardi di euro e quindi della metà del bilancio federale. Non è necessario essere esperti di matematica per capire che questa politica di spesa porterà inevitabilmente a tagli sociali. Se si ascoltano attentamente i rappresentanti del governo federale, diventa chiaro che non si tratta di riforme sociali minime, ma della distruzione più profonda della sicurezza sociale e delle conquiste sindacali. Friedrich Merz parla di un “cambiamento epocale nella politica sociale”; i consulenti del governo chiedono di “porre finalmente fine alla legalizzazione di interi settori della vita”. Non è quindi un caso che si parli di abbandono della giornata lavorativa di otto ore, di limitazioni dell’indennità di malattia, di cancellazione dei giorni festivi e di pensionamento a 70 o 72 anni. Di recente le associazioni dei datori di lavoro hanno persino proposto che i lavoratori con assicurazione sanitaria obbligatoria paghino in anticipo le visite mediche.

La mia impressione, tuttavia, è che il governo tedesco non metterà sul tavolo un grande pacchetto di riforme in un colpo solo, come ha fatto, ad esempio, con l’Agenda 2010. Attualmente sono al lavoro delle commissioni per la riforma dei sistemi di assistenza, sanità e assicurazione pensionistica. Se queste commissioni presentano le loro proposte di riforma in tempi diversi e i relativi progetti di legge attraversano l’iter parlamentare in tempi diversi, si tratta della nota tattica di affettare un salame. I sindacati, le chiese e i movimenti sociali dovrebbero essere preparati a questo e avviare subito un discorso comune sulla difesa dello Stato sociale.

german-foreign-policy.com: L’ex primo ministro dell’Assia, Roland Koch, ha recentemente dichiarato che se la situazione economica non migliorerà presto, “ci saranno tagli così severi nei sistemi sociali da far temere sconvolgimenti democratici”. Cosa significa esattamente?

Ulrike Eifler: A mio avviso, questo indica che i conservatori stanno preparando una coalizione con l’AfD. Attualmente si stanno valutando due serie di misure per rivitalizzare l’economia. La prima è la deregolamentazione e la riduzione dei costi, mentre la seconda è la militarizzazione e il riarmo. Quest’ultimo è un tentativo di ripristinare la forza economica rafforzando la Germania come potenza militare di primo piano. Qualche tempo fa, il ministro delle Finanze Lars Klingbeil ha chiesto alla Germania di riacquistare la sua vecchia forza di leadership dopo 80 anni di restrizioni. Quando parla di 80 anni di restrizioni, non parla di restrizioni politiche o economiche, che non sono mai esistite per la Germania, il primo esportatore al mondo, ma di restrizioni militari. In altre parole, l’attuale deindustrializzazione sta diventando il motore della militarizzazione.

È ormai evidente che la CDU/CSU non sarà in grado di portare avanti i due pacchetti di misure – deregolamentazione e militarizzazione – al ritmo che vorrebbe nelle condizioni di una grande coalizione. Il motivo: l’SPD ha ripetutamente espresso critiche in pubblico; il Ministro del Lavoro dell’SPD ha pubblicamente accusato il Cancelliere federale di “stronzate”. I Giovani Socialisti invocano una “dura guerra di classe” in risposta ai tagli sociali e la Sinistra SPD sta scrivendo un manifesto politico per la pace. E più le associazioni imprenditoriali fanno pressione sul governo per portare avanti la deregolamentazione e la militarizzazione, più la CDU/CSU deve cercare maggioranze parlamentari che riflettano le maggiori sovrapposizioni neoliberali. Naturalmente, questo processo non è privo di contraddizioni: L’ala sociale dell’Unione, in particolare, non è disponibile a questa opzione. Ma l’attuale strategia della CDU/CSU consiste nel prendere pubblicamente le distanze dall’AfD, avvicinandosi al contempo sul piano dei contenuti. L’attuale dibattito sul paesaggio urbano razzista deve essere visto in questo contesto: Da un lato, è una distrazione dai problemi sociali reali, ma è anche un’indicazione del fatto che i conservatori si stanno orientando sempre più verso l’AfD.

Il rinascimento dell’ultradestra in Occidente

Nel Parlamento europeo, ci sono segnali di un’ulteriore intensificazione della cooperazione con l’estrema destra, mentre Merz sta portando il dibattito in Germania verso destra – e l’AfD sta assumendo una posizione transatlantica consolidata nei confronti di Trump.

28

Ottobre

2025

BERLINO/BRUXELLES (Rapporto proprio) – Al Parlamento europeo si sta delineando un’ulteriore intensificazione della cooperazione tra il conservatore PPE e i gruppi politici di estrema destra. Ciò è stato innescato dal fallimento, la scorsa settimana, del previsto indebolimento della direttiva sulla catena di approvvigionamento da parte del PPE, presumibilmente a causa dei membri del gruppo socialista. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha dichiarato che la direttiva è “inaccettabile” e che “non può rimanere così”. La Presidente del Parlamento Roberta Metsola (PPE) ha quindi prospettato la possibilità di un nuovo voto con una maggioranza alternativa. Si tratta di una maggioranza del PPE con i gruppi di ultradestra dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR) e dei Patrioti per l’Europa (PfE). La mossa arriva mentre all’interno della CDU in Germania si fanno sempre più forti le richieste di cooperare con l’AfD in un modo o nell’altro, e il Cancelliere federale Friedrich Merz sta portando il dibattito pubblico a destra con attacchi verbali ai migranti che starebbero disturbando il “paesaggio urbano”. Allo stesso tempo, il gruppo parlamentare dell’AfD è disposto a scendere a compromessi ed è favorevole alla cooperazione transatlantica – con l’amministrazione Trump.

“Inaccettabile”

Il punto di partenza dell’attuale dibattito sull’ulteriore formazione di maggioranze di estrema destra nel Parlamento europeo è stato il fatto che mercoledì della scorsa settimana il Parlamento ha respinto un significativo indebolimento della Direttiva sulla catena di approvvigionamento. La direttiva dovrebbe ora applicarsi solo alle aziende con almeno 5.000 dipendenti e un fatturato annuo di almeno 1,5 miliardi di euro. Ciò significa che solo il 10% delle aziende originariamente interessate dalla direttiva dovrà conformarsi ad essa.[1] La leadership parlamentare voleva far passare l’indebolimento facendo affidamento sui voti dei conservatori, dei liberali e dei socialdemocratici, ma alla fine ha fallito perché alcuni eurodeputati si sono rifiutati di sostenere la proposta nel voto segreto. I politici conservatori, in particolare, hanno reagito con critiche feroci. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, ad esempio, ha accusato il Parlamento di aver commesso un “errore fatale”, definendo il risultato del voto “inaccettabile” e aggiungendo: “Non può rimanere così”[2]. Il processo può essere preso come prova dell’effettiva importanza del Parlamento europeo e delle sue decisioni prese democraticamente: Su richiesta di Merz, tra gli altri, il voto sarà ripetuto a novembre.

La “maggioranza venezuelana”

La Presidente del Parlamento Roberta Metsola del Partito Popolare Europeo (PPE), conservatore, aveva già sottolineato al Vertice UE di giovedì scorso che una maggioranza sicura a favore dell’indebolimento della Direttiva sulle catene di approvvigionamento potrebbe essere raggiunta solo con una diversa costellazione di partiti. Si tratta di una cooperazione del PPE con l’ultradestra dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR) e forse anche con i Patrioti per l’Europa (PfE) intorno al Rassemblement National (RN) francese. Questa costellazione di partiti ha già aiutato diversi disegni di legge parlamentari a raggiungere la maggioranza, tra cui quando il Parlamento europeo ha presunto di dichiarare vincitore il perdente delle elezioni parlamentari in Venezuela nel luglio 2024, nel settembre 2024. Da allora, una maggioranza composta da PPE, ECR e PfE è stata soprannominata dagli addetti ai lavori “maggioranza Venezuela”.[3] Come ha spiegato Metsola, al vertice dell’UE ha ricevuto un chiaro “messaggio” secondo cui avrebbe dovuto cercare una maggioranza per l’indebolimento della direttiva sulla catena di approvvigionamento ovunque “la si possa trovare”.[4] Metsola ha affermato di avere una “responsabilità istituzionale” nel suo ufficio per garantire maggioranze praticabili, e ora lo farà.

Risoluzioni con voti AfD

L’ulteriore apertura del Parlamento europeo a maggioranze che includono l’estrema destra è accompagnata da un dibattito in rapida crescita su tale apertura nel Bundestag. Nella CDU, ad esempio, è ancora in vigore una risoluzione di incompatibilità del 2018, secondo la quale il partito rifiuta “coalizioni e forme simili di cooperazione” con l’AfD. Di recente, tuttavia, sono sempre più numerose le voci che chiedono di abbandonare questa prassi. L’ex segretario generale della CDU Peter Tauber, ad esempio, ha chiesto di poter “approvare risoluzioni con cui l’AfD è d’accordo”; “la clava nazista non dovrebbe essere brandita a ogni risoluzione che nasce con i voti dell’AfD”[5] L’ex capo della Commissione per i valori fondamentali della CDU Andreas Rödder si è espresso a favore di una “disponibilità condizionata al dialogo”, a condizione che l’AfD si attenga a “linee rosse” e “prenda chiaramente le distanze da posizioni e figure dell’estremismo di destra”. [6] Diversi politici di spicco della CDU nella Germania orientale – come il presidente del gruppo parlamentare statale della CDU in Sassonia, Christian Hartmann – consigliano di formare le proprie posizioni “al di là di tutti i dibattiti sul firewall”.[7] Anche a livello federale, “alcuni cristiano-democratici già non pensano molto al firewall”, riferisce un insider.[8]

Paesaggio urbano e mercato del lavoro

In questa situazione, il Cancelliere federale Friedrich Merz sta spingendo per aprire non solo il suo partito ma anche il dibattito pubblico in Germania alle posizioni classicamente razziste dell’AfD. Il 14 ottobre, a proposito dei migranti, ha affermato che c’è “ancora questo problema nel paesaggio urbano”, motivo per cui ora si stanno pianificando le deportazioni “su larga scala”[9] Il 20 ottobre, quando gli è stato chiesto cosa intendesse nello specifico, ha spiegato: “Chiedete alle vostre figlie cosa avrei potuto intendere”[10] Il 22 ottobre, in seguito alle proteste degli ambienti economici, il cancelliere ha qualificato la sua dichiarazione. Il 22 ottobre, in seguito alle proteste degli ambienti economici, il Cancelliere ha qualificato la sua denuncia dicendo che stava escludendo gli immigrati di cui la Germania aveva bisogno; le persone con un passato da immigrati, che erano “una parte indispensabile del nostro mercato del lavoro”, non potevano “più essere dispensate, indipendentemente dalla loro provenienza o dal colore della loro pelle”. [11] Merz aveva precedentemente dichiarato in un’intervista pubblicata il 19 ottobre che, sebbene al momento rifiuti qualsiasi cooperazione con l’AfD, non si dovrebbero evitare le questioni “solo perché l’AfD potrebbe essere d’accordo”. “La CDU non deve mai cadere in questa dipendenza”, ha dichiarato Merz, riferendosi alle maggioranze del Bundestag che sarebbero possibili con l’approvazione dell’AfD. 12]

Compatibile con Brandmauer

Se la CDU apre se stessa e il dibattito pubblico alle posizioni dell’AfD, quest’ultima segnala di essere in grado di adattarsi o di governare su questioni chiave. Secondo un rapporto, il gruppo parlamentare dell’AfD ha preparato delle mozioni che intende introdurre in Parlamento e in cui chiede un “nuovo inizio nelle relazioni tedesco-americane” – sulla base delle posizioni politiche dell’amministrazione Trump. In un parziale allontanamento dalla posizione filo-russa precedentemente percepita dall’AfD, la mozione afferma che le relazioni transatlantiche sono “una pietra miliare della sicurezza e del benessere della Germania”; non c’è “attualmente alcuna seria alternativa” all'”incorporazione nella NATO”.[13] Il gruppo parlamentare sta così rimuovendo un ostacolo fondamentale alla cooperazione con i partiti della CDU/CSU: L’attuale presidente del gruppo parlamentare della CDU al Bundestag, Jens Spahn, aveva ridefinito il “firewall” nel maggio 2024 e aveva espresso che i “potenziali partner” del PPE e quindi anche della CDU di estrema destra avrebbero dovuto essere “pro-europei, pro-NATO, pro-stato di diritto e pro-Ucraina”. [La vice capogruppo dell’AfD al Bundestag, Beatrix von Storch, giustifica la svolta transatlantica del suo gruppo facendo riferimento alla politica interna repressiva dell’amministrazione Trump; riguardo alla brutale repressione di migranti, persone di sinistra e altri critici, sostenendo allo stesso tempo gli attivisti dell’estrema destra statunitense, afferma con favore: “Il presidente Trump sta lavorando a una rinascita dell’Occidente”.

[1] Leila van Rinsum: Ricatto fallito. taz.de 22 ottobre 2025.

[2] Merz critica aspramente il Parlamento europeo. handelsblatt.com 23.10.2025.

[3] Vedi Il firewall si sta rompendo e L’integrazione dell’estrema destra.

[4] Max Griera, Marianne Gros: I centristi europei potrebbero dover lavorare con l’estrema destra per ottenere risultati, avverte il capo del Parlamento europeo. politico.eu 23.10.2025.

[5] Ex politici dell’Unione consigliano di aprirsi all’AfD – e di incontrare l’opposizione. stern.de 15.10.2025.

[6] Singoli politici della CDU/CSU chiedono di abbandonare il firewall. tagesschau.de 15 ottobre 2025.

[7] Il dibattito sui firewall nell’Unione continua a ribollire. tagesschau.de 17.10.2025.

[8] Eckart Lohse: L’AfD come principale avversario della CDU, “probabilmente”. Frankfurter Allgemeine Zeitung 21 ottobre 2025.

[9] Merz a favore di un nuovo “paesaggio urbano”. Frankfurter Allgemeine Zeitung 16 ottobre 2025.

[10] Merz sulla controversa dichiarazione sul “paesaggio urbano”: “Non ho nulla da ritirare”. stern.de 20.10.2025.

[11] I migranti sono una “componente indispensabile”. tagesschau.de 22 ottobre 2025.

[12] Jochen Buchsteiner, Eckart Lohse: “Come prima – non succederà più”. Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung 19 ottobre 2025.

[13] Friederike Haupt: Osare di più Trump. Frankfurter Allgemeine Zeitung 09.10.2025.

[14] Si veda L’Europa sulla strada della destra (III).

Conseguenze dell’incremento militare

Gli economisti criticano l’attenzione della Germania e dell’UE per l’industria degli armamenti come economicamente svantaggiosa, sottolineando che, a lungo termine, può contribuire al declino del Paese.

22

Ottobre

2025

BERLINO/PARIGI (cronaca propria) – L’attenzione di un governo per l’industria delle armi comporta gravi svantaggi economici e può contribuire al declino del Paese. Lo conferma l’economista francese Claude Serfati in un’intervista a german-foreign-policy.com. Serfati, che lavora presso l’Institut de recherches economiques et sociales (IRES) di Parigi, sottolinea che è facile capire che le spese militari generano meno crescita e meno posti di lavoro rispetto agli investimenti in infrastrutture civili o nell’assistenza sanitaria. Mentre questi ultimi porterebbero benefici alla produzione di prodotti complementari o al rafforzamento della forza lavoro, le armi non hanno alcun potenziale produttivo. Serfati sottolinea che la Francia sta perdendo terreno dal punto di vista economico, nonostante – o a causa – della sua tradizionale attenzione agli armamenti e alla tecnologia militare. L’idea che Parigi possa “a lungo termine” compensare il suo ritardo economico rispetto alla Germania e rimanere una “grande potenza” grazie alle sue forze armate si è dimostrata una falsità. Berlino sta attualmente perseguendo un piano simile nel tentativo di superare la sua crisi economica.

In crisi

La crisi economica della Germania persiste. L’industria automobilistica non riesce a uscire dalla sua situazione desolante. Attualmente, il conflitto che si sta sviluppando sul caso senza precedenti dell’acquisizione da parte del governo dei Paesi Bassi del controllo del produttore cinese di chip Nexperia, minaccia di ridurre seriamente la fornitura di semiconduttori all’industria, aggravando ulteriormente la crisi esistente.[1] Anche l’industria chimica sta lottando con gravi problemi, che attualmente sono ulteriormente aggravati dall’accordo tariffario raggiunto tra l’UE e gli Stati Uniti. Grazie a questo accordo, i prodotti chimici statunitensi possono ora entrare nell’UE in esenzione dai dazi doganali, dove sono in concorrenza con i prodotti chimici tedeschi, che sono sotto pressione a causa dei costi più elevati del gas naturale e dell’energia in Germania.[2] Il governo tedesco spera di raggiungere almeno una crescita dell’1,3% l’anno prossimo, grazie soprattutto ai miliardi di spese per le infrastrutture, che dovrebbero dare un piccolo impulso all’economia. Tuttavia, gli esperti non contano che questo abbia effetti a lungo termine, dato che questi investimenti saranno destinati alla manutenzione piuttosto che all’espansione con nuovi elementi. L’unico settore attualmente in crescita è quello della difesa, in cui Berlino sta investendo miliardi.[3]

“Rischi con rendimenti inferiori

Gli economisti hanno ripetutamente avvertito che la spesa militare è significativamente meno efficace per la crescita, rispetto alla spesa in altri settori. A giugno, ad esempio, uno studio condotto presso l’Università di Mannheim ha concluso che il cosiddetto moltiplicatore fiscale per gli investimenti nelle forze armate è pari a 0,5, il che significa che per ogni euro investito nelle forze armate si generano 50 centesimi.[4] Gli autori concludono che si potrebbero generare rendimenti significativamente più elevati con investimenti governativi non solo in nuove infrastrutture, ma anche nella cura dei bambini o nell’istruzione. Uno degli autori ha osservato che: “dal punto di vista economico, la militarizzazione pianificata dell’economia tedesca è una scommessa rischiosa che genera bassi ritorni macroeconomici”. La scorsa settimana, una valutazione di vari studi sui rendimenti degli investimenti nella difesa ha concluso che i moltiplicatori fiscali di altri settori di investimento sono significativamente più favorevoli di quelli dell’industria degli armamenti. Gli investimenti nel settore militare si collocano “tra lo 0,4 e l’1,5”, mentre gli investimenti in nuove infrastrutture “si collocano tra l’1,8 e il 2,5″[5].

Economicamente inutile

L’economista francese Claude Serfati, dell’Institut de recherches economiques et sociales (IRES) di Parigi, è giunto alla stessa conclusione. Serfati dimostra non solo che la crescita derivante dalle spese militari è inferiore a quella derivante dagli investimenti civili[6], ma anche che la spesa pubblica per le forze armate genera molti meno investimenti privati rispetto alla spesa pubblica per l’ecologia, la salute o il benessere sociale. Inoltre, un confronto tra le statistiche di Germania, Italia e Spagna mostra che gli investimenti nell’ambiente, nell’istruzione e nella sanità creano molti più posti di lavoro rispetto agli investimenti nel settore militare. In un’intervista rilasciata a german-foreign-policy.com, Serfati sottolinea il fatto che è già evidente che “il bilancio della difesa non contribuisce alla ricchezza”. “Un carro armato, un missile, un aereo da combattimento non vengono reintegrati nella riproduzione macroeconomica, come, ad esempio, un pezzo di equipaggiamento o una macchina, utilizzati per produrre prodotti”[7] In termini puramente economici, anche gli stipendi sono più utili delle armi, perché “saranno utilizzati per il consumo o per la riproduzione del lavoro”.

Un’accusa di propaganda

Serfati sottolinea che il contributo degli armamenti al progresso tecnologico è spesso sopravvalutato. Ad esempio, lo sviluppo di Internet era stato finanziato dal Pentagono per migliorare la comunicazione all’interno dell’esercito statunitense. Tuttavia, ben presto gli istituti di ricerca e le università civili sono intervenuti per svilupparlo ulteriormente e hanno “preso l’iniziativa”. L’affermazione che “la tecnologia militare gioca un ruolo decisivo” ignora completamente il modo in cui “l’innovazione ha continuato a progredire”, è “un’affermazione di propaganda”[8].

False speranze

Serfati ha dichiarato a german-foreign-policy.com che in generale l’attenzione agli armamenti e alla tecnologia militare non porta benefici ai Paesi, ma anzi, a lungo andare, è addirittura molto dannosa. Ad esempio, la Francia aveva posto una forte enfasi sugli armamenti e sulla tecnologia militare, già all’epoca di Charles de Gaulle.[9] Parigi ha a lungo sperato di poter utilizzare “il suo vantaggio relativo nella difesa”, in quanto potenza più forte in Europa insieme alla Gran Bretagna, “per compensare la sua debolezza industriale rispetto alla Germania”. Tuttavia, non ci riuscì. Questo dimostra che “è impossibile rimanere una grande potenza in una prospettiva a lungo termine, basandosi esclusivamente sulla propria forza militare”. Attualmente la Germania sta cercando di fare proprio questo: compensare la sua debolezza industriale attraverso una massiccia militarizzazione e, contemporaneamente, scalare il rango di grande potenza.

Leggete qui la nostra intervista a Claude Serfati.

[1] Si veda anche La battaglia per Nexperia.

[2] Vedi anche Una potenza economica in declino.

[3] Si veda anche Dove porta questa follia.

[4] Armamenti senza ritorno sugli investimenti: perché l’effetto economico non si concretizza. uni-mannheim.de 30.06.2025.

[5] Stephan Lorz: La spesa per la difesa come stimolo tecnologico per l’economia. boersen-zeitung.de 14.10.2025.

[Claude Serfati: Union européenne  Des dividendes de la guerre… mais pour qui ? Cronistoria internazionale dell’IRES. No. 190. Giugno 2025.

[7], [8], [9] Si veda anche “Wealth grabs”.

“Un salasso per la ricchezza

Intervista con Claude Serfati

22

Ottobre

2025

PARIS – german-foreign-policy.com ha parlato con Claude Serfati del riarmo nell’Unione Europea, del “keynesianismo militare” e delle sue conseguenze. Per Serfati, la spesa militare non è produttiva “nel senso di creare ricchezza” per un Paese, ma è piuttosto “un salasso”. L’idea che le tecnologie militari stimolino quelle civili è solo “circostanziale”. La speranza che la Francia “potesse utilizzare il suo vantaggio comparativo nella difesa per compensare la sua debolezza industriale nei confronti della Germania” è stata delusa. Oggi, “la radicalizzazione dello Stato bonapartista e l’indebolimento del capitalismo francese” sono “fonte di radicalizzazione verso l’estrema destra”. Serfati è economista, ricercatore associato presso l’Institut de recherches économiques et sociales (IRES) di Parigi e membro del consiglio scientifico di ATTAC-France. È autore di numerosi libri, tra cui Le militaire. Une histoire française (Parigi 2017), L’État radicalisé. La France à l’ère de la mondialisation armée (Parigi 2022) e Un monde en guerres (Parigi 2024).

german-foreign-policy.com : I sostenitori del “keynesianismo militare” affermano che i Paesi europei trarranno beneficio da un bilancio militare molto elevato perché la spesa militare stimolerà la crescita. È vero?

Claude Serfati : Gli studi econometrici sul ruolo delle spese militari sulla crescita economica sono piuttosto contraddittori. Più di un centinaio di studi sono stati condotti da macroeconomisti e non sono d’accordo. Anche le sintesi di questi studi macroeconomici sull’impatto della spesa militare sulla crescita non sono concordi! Molti matematici ammettono che le correlazioni che fanno sono spesso rudimentali. In realtà, anche gli economisti non matematici possono spiegare perché le conclusioni non possono essere uniformi  Perché è ovvio che l’economia non funziona come una macchina, come un bancomat in cui si mettono i soldi da una parte e poi i soldi escono dall’altra. È ovvio che viviamo in un sistema sociale; anche l’economia è un sistema sociale, ovviamente. Quindi la molteplicità dei fattori che influenzano l’input, la spesa militare, e l’output, il risultato, è estremamente elevata.

A mio avviso, le spese militari non contribuiscono alla crescita della ricchezza. Sono spese essenziali per mantenere il dominio di un regime sociale – per mettere ordine all’interno o per conquistare o difendere all’esterno. Allo stesso tempo, non sono produttive nel senso di creare ricchezza. Penso che i macroeconomisti che si limitano a correlare le spese militari al PIL stiano facendo un lavoro di analisi inadeguato: la correlazione è troppo debole perché ciò che conta è il contenuto delle spese militari. È molto semplice: un carro armato, un missile o un aereo da combattimento non entrano nel processo di riproduzione macroeconomica allo stesso modo, ad esempio, di un bene capitale, di una macchina che verrà utilizzata per produrre altri beni, o di un salario che viene utilizzato per consumare o per consentire ai dipendenti di riprodurre ciò che Marx chiamava forza lavoro. Quindi, per me, le spese militari sono un salasso e non un contributo alla creazione di ricchezza.

Ancora una volta: sono necessarie per tutti i sistemi sociali e ancor più per il sistema capitalista, che oggi definisco imperialista, ma sono spese improduttive. I lavori di economia critica ambientale hanno dimostrato che l’inquinamento può aumentare il PIL, ma riduce e distrugge la ricchezza. Credo che questa idea renda più accessibile il fatto che le spese militari sono una perdita di ricchezza.

german-foreign-policy.com : Ma si dice che la spesa militare sostenga l’innovazione. Sappiamo che, ad esempio, il Pentagono ha finanziato lo sviluppo di Internet e della Silicon Valley, almeno inizialmente.

Claude Serfati : Certo : la spesa militare per l’innovazione è importante. Nel regime del capitale, la tecnologia ha due funzioni. Ha una funzione politica, come l’ha sempre avuta nelle società precedenti al capitalismo : consente la supremazia militare. Le società hanno sempre cercato di sviluppare le armi più sofisticate per sconfiggere i loro vicini. Questo è ovviamente ancora vero per il sistema capitalista. La tecnologia è quindi un’arma di potere. Questa è la prima dimensione del ruolo della tecnologia. In questo senso, la tecnologia è necessaria per il potere. Ma è anche un’arma di competitività: permette alle aziende e ai Paesi di essere più produttivi e quindi più competitivi dei loro concorrenti.

Queste due dimensioni della tecnologia sono allo stesso tempo autonome e separate, e allo stesso tempo – questa è stata una delle grandi caratteristiche del capitalismo a partire dalla creazione del sistema militare-industriale sulla scia della Seconda Guerra Mondiale – queste due dimensioni della tecnologia si sono fuse e hanno dato al sistema militare-industriale la sua fisionomia, principalmente negli Stati Uniti: questo sistema militare-industriale è in un certo senso l’incarnazione di una congiunzione tra la tecnologia come arma di potere e la tecnologia come arma di competizione economica. Ho sempre cercato di contestualizzare la storia delle relazioni civili-militari nella tecnologia. La Seconda guerra mondiale ha segnato una svolta qualitativa nel rapporto tra tecnologia militare e civile. Un’altra caratteristica importante del sistema militare-industriale è che costituisce un’enclave all’interno del capitalismo, perché si trova all’intersezione tra economia e politica. È questo che gli conferisce tutto il suo potere, ne facilita l’opacità e così via.

Durante il primo periodo del sistema militare-industriale americano, fino agli anni ’70, gli Stati Uniti non avevano una politica industriale al di fuori del Pentagono. Gli stanziamenti militari, che rappresentavano la maggior parte dei finanziamenti statali, venivano utilizzati per alimentare le tecnologie militari. Ma questa era una configurazione storica temporanea. A partire dagli anni Settanta, gli americani si sono resi conto che la loro attenzione per la tecnologia militare aveva permesso a Germania, Giappone, Italia e altri Paesi di diventare industrialmente competitivi. L’idea che la tecnologia militare stimoli la tecnologia civile è quindi circostanziale. Ad esempio, l’ascesa dell’IA è stata essenzialmente guidata dal settore civile e ora viene ripresa da quello militare, creando una convergenza militare-civile molto pericolosa per l’umanità.

Se guardiamo all’esempio di Internet: a metà degli anni Sessanta, negli Stati Uniti eravamo alla fine dell’era trionfale del dopoguerra, ma non eravamo ancora nel pieno della forte concorrenza del Giappone, della Germania e, ancora più tardi, della Cina. Il Pentagono, per ragioni particolari, decise di lanciare un piccolo programma totalmente chiuso, sicuro e, soprattutto, non aperto al mondo esterno, per consentire al personale di comunicare tra loro. Ma in breve tempo i tentativi di creare una rete chiusa ed ermetica esplosero. Alla fine degli anni Sessanta furono coinvolte università americane, college britannici e università di altri Paesi, e a poco a poco, per ovvie ragioni, le reti civili presero il posto di quelle militari. In meno di vent’anni – all’inizio degli anni ’80 – la National Science Foundation (NSF), ad esempio, si mise alla testa del finanziamento delle operazioni che hanno dato a Internet la sua fisionomia attuale.

Quindi dire che Internet non esisterebbe senza i militari è molto riduttivo, persino povero. È vero: all’inizio i militari hanno messo i soldi. Ma molto presto il settore civile ha preso l’iniziativa. Questa frase sul ruolo decisivo della tecnologia militare, che ignora le complesse interazioni con il settore civile, è una frase di propaganda. Ignora il modo in cui l’innovazione progredisce.

german-foreign-policy.com : Parliamo della Francia. La Francia ha iniziato a riarmarsi, o meglio: a militarizzarsi pesantemente. Dove porterà questo sviluppo?

Claude Serfati : Nel 2022 ho scritto un libro intitolato “L’État radicalisé – La France à l’ère de la mondialisation armée”. Volevo, se vogliamo, rovesciare la formula che è stata molto usata, quella del “radicalismo musulmano”. Lo Stato radicalizzato si verifica nel quadro di quelle che io chiamo istituzioni bonapartiste in Francia. Ho dedicato il primo capitolo del mio libro a spiegare perché la Francia è un regime bonapartista. Nel secondo capitolo ho mostrato il ruolo essenziale dell’istituzione militare in Francia; il bonapartismo è ovviamente un regime militarizzato. Credo che in questo quadro abbiamo assistito a una graduale radicalizzazione dello Stato francese, a un inasprimento della repressione sia interna che militare esterna. Penso agli anni 2000-2010, quando la Francia di Sarkozy e poi di Hollande ha scatenato decine di guerre – in Libia, ad esempio, nella Repubblica Centrafricana e in Mali.

Dove ci porta questa lunga traiettoria, che risale all’epoca di de Gaulle ma che si è accelerata e radicalizzata dalla fine degli anni Duemila? Sta portando a un indurimento del regime all’interno e ad avventure militari all’estero. Ma il problema è che non si può essere una potenza militare come la Francia aspira a essere nel mondo, o almeno in Europa, se non si ha alle spalle una potenza industriale. Tuttavia, la priorità data al programma tecnologico militare da de Gaulle e dai suoi successori ha gradualmente svuotato l’industria civile francese della sua sostanza. La siderurgia, la metallurgia, l’ingegneria meccanica, l’informatica: si può dire che quasi tutti i settori industriali – a differenza della Germania, anche se non sottovaluto affatto i problemi dell’industria tedesca – sono stati devastati. Questo irrigidimento, questa radicalizzazione dell’esercito, la priorità data all’esercito rispetto all’industria, ha portato a un declino dell’industria e quindi a un deficit di bilancio sempre maggiore.

Inevitabilmente, questo ha portato anche a un declino della posizione internazionale della Francia. Abbiamo visto il crollo in Mali. Abbiamo anche visto l’assenza di qualsiasi possibilità di azione da parte di Emmanuel Macron durante la guerra genocida in Israele. La politica araba della Francia era nota, persino famosa, fin dai tempi di de Gaulle; oggi è diventata inesistente. Ma c’è anche un indebolimento della Francia in Europa. Si tratta di una questione molto importante, perché dai tempi di de Gaulle l’Europa è stata vista come l’orizzonte politico ed economico della Francia. L’industria francese è poco presente in Cina e in Asia, e negli Stati Uniti è meno presente di Germania, Irlanda e Italia, ma è presente in Europa. Si sperava che la Francia potesse sfruttare il suo vantaggio comparativo nella difesa – dove era la più forte in Europa, ad eccezione del Regno Unito – per compensare la sua debolezza industriale di fronte alla Germania. Non ha funzionato, perché non si può essere una grande potenza a lungo termine solo con la forza militare.

Sono quindi molto preoccupato per quanto sta accadendo in Francia – tanto più che è chiaro che questo graduale e continuo indebolimento della Francia sulla scena internazionale, ma anche su quella europea, è una fonte di rafforzamento nazionalista e persino xenofobo. Sembra esserci una soluzione autoritaria ai problemi. È questo che mi preoccupa di più: la radicalizzazione dello Stato bonapartista e l’indebolimento del capitalismo francese sono fonte di radicalizzazione verso l’estrema destra.

Conseguenze dell’armamento

Gli economisti criticano l’attenzione della Germania e dell’UE per l’industria della difesa come economicamente dannosa e sottolineano che può contribuire al declino di un Paese nel lungo periodo.

22

Ottobre

2025

BERLINO/PARIGI (Rapporto proprio) – L’attenzione del governo per l’industria della difesa comporta gravi svantaggi economici e può contribuire al declino di un Paese nel lungo periodo. Lo conferma l’economista francese Claude Serfati in un’intervista a german-foreign-policy.com. Come afferma Serfati, che lavora presso l’Institut de recherches économiques et sociales (IRES) di Parigi, è facile capire che la spesa per la difesa genera meno crescita e meno posti di lavoro rispetto agli investimenti in infrastrutture civili o nella sanità, ad esempio: Mentre questi ultimi porterebbero benefici alla produzione di altri beni o rafforzerebbero la forza lavoro umana, le armi non avrebbero alcun potenziale produttivo. Serfati sottolinea che la Francia è rimasta a lungo indietro dal punto di vista economico nonostante – o a causa – della sua tradizionale attenzione agli armamenti e alla tecnologia militare: l’idea che Parigi potesse “a lungo termine” compensare il suo svantaggio economico rispetto alla Germania grazie alle sue forze armate e rimanere una “grande potenza” si è rivelata un errore. Un piano simile sta attualmente guidando i tentativi di Berlino di uscire dalla crisi economica.

Nella crisi

La crisi dell’economia tedesca continua. L’industria automobilistica non riesce a sfuggire alla sua situazione desolante; attualmente, il conflitto intorno al produttore cinese di chip Nexperia, di cui il governo olandese ha recentemente assunto il controllo con una procedura senza precedenti, minaccia di limitare fortemente l’approvvigionamento di semiconduttori dell’industria e quindi di aggravare ulteriormente la crisi.[1] Anche l’industria chimica sta lottando con gravi problemi, attualmente aggravati dall’accordo doganale dell’UE con gli Stati Uniti: Poiché i prodotti chimici statunitensi entrano nell’UE in esenzione dai dazi doganali in seguito all’accordo, sono ora in concorrenza con i prodotti chimici tedeschi, che sono sotto pressione a causa dell’aumento dei prezzi del gas naturale e dell’energia in questo Paese.[2] Il governo tedesco spera in una crescita di almeno l’1,3% l’anno prossimo; questa speranza si basa principalmente sui miliardi di spesa per le infrastrutture, che dovrebbero dare un piccolo impulso all’economia. Tuttavia, gli esperti non si aspettano effetti a lungo termine, poiché le infrastrutture verranno solo riparate e non ampliate con nuovi elementi. La crescita si registra attualmente solo nell’industria della difesa, che Berlino sta promuovendo in modo specifico con miliardi di euro[3].

“Rischio con basso rendimento”

Gli economisti avvertono ripetutamente che la spesa per la difesa è molto meno adatta a promuovere la crescita rispetto alla spesa in altri settori. A giugno, ad esempio, uno studio condotto presso l’Università di Mannheim è giunto alla conclusione che il cosiddetto moltiplicatore fiscale per la spesa per le forze armate è pari a 0,5; ciò significa che ogni euro investito innesca solo un’attività economica aggiuntiva del valore di 50 centesimi.[4] Secondo gli autori, si potrebbero ottenere rendimenti significativamente più elevati con investimenti statali non solo in nuove infrastrutture, ma anche nell’assistenza all’infanzia o nell’istruzione; uno di loro afferma: “Da un punto di vista economico, la militarizzazione pianificata dell’economia tedesca è una scommessa ad alto rischio con un basso ritorno economico complessivo”. La scorsa settimana, una valutazione di vari studi sul ritorno degli investimenti nella difesa è giunta alla conclusione che i moltiplicatori fiscali in altri settori di investimento sono significativamente più vantaggiosi di quelli dell’industria della difesa. Nel caso degli investimenti nella difesa, essi si collocano in un “range tra 0,4 e 1,5”, si legge, mentre per gli investimenti in nuove infrastrutture raggiungono valori “tra 1,8 e 2,5”.

Economicamente non utile

L’economista francese Claude Serfati, che lavora presso l’Institut de recherches économiques et sociales (IRES) di Parigi, giunge a conclusioni identiche. Serfati dimostra che non solo la crescita derivante dalla spesa per la difesa è inferiore a quella derivante dagli investimenti civili,[6] ma dimostra anche che la spesa governativa per gli armamenti si traduce in investimenti privati molto più bassi rispetto, ad esempio, alla spesa governativa per l’ambiente, la salute o le questioni sociali. Inoltre, un confronto tra le statistiche di Germania, Italia e Spagna mostra che la spesa per l’ambiente, l’istruzione e la salute crea molti più posti di lavoro rispetto alla spesa per gli armamenti. In un’intervista a german-foreign-policy.com, Serfati sottolinea che è comunque ovvio che “le spese militari non contribuiscono alla crescita della ricchezza”: “Un carro armato, un missile, un aereo da combattimento non rientrano nel processo di riproduzione macroeconomica come, ad esempio, un pezzo di equipaggiamento o una macchina utilizzata per produrre altri beni”[7] Anche i salari sono economicamente più utili degli armamenti perché “vengono utilizzati per il consumo o per riprodurre la forza lavoro”.

Un’affermazione propagandistica

Serfati non solo sottolinea che il contributo degli armamenti al progresso tecnologico è spesso sopravvalutato. Ad esempio, lo sviluppo di Internet è stato finanziato dal Pentagono per migliorare la comunicazione interna all’esercito statunitense. Tuttavia, gli istituti di ricerca e le università civili sono stati presto coinvolti nel suo ulteriore sviluppo e hanno “preso l’iniziativa”. L’affermazione che esiste un “ruolo decisivo della tecnologia militare” ignora completamente il modo in cui “l’innovazione sta progredendo”; è “un’affermazione propagandistica”[8].

Speranza ingannevole

In generale, inoltre, l’attenzione agli armamenti e alle tecnologie militari non è vantaggiosa per gli Stati, ma anzi li danneggia a lungo termine, ha dichiarato Serfati a german-foreign-policy.com. Ad esempio, la Francia aveva già puntato molto sugli armamenti e sullo sviluppo della tecnologia militare all’epoca di Charles de Gaulle.[9] Parigi aveva a lungo sperato di poter utilizzare “il suo vantaggio relativo nella difesa”, in cui era la potenza più forte in Europa insieme alla Gran Bretagna, “per compensare la sua debolezza industriale rispetto alla Germania”. Tuttavia, ciò non ha avuto successo. È diventato chiaro che “non si può essere una grande potenza a lungo termine solo grazie all’esercito”. È proprio questo tentativo – compensare la propria debolezza industriale attraverso una massiccia militarizzazione e diventare allo stesso tempo una grande potenza – che la Germania sta compiendo.

Leggete la nostra intervista a Claude Serfati.

[1] Si veda La battaglia per Nexperia.

[2] Vedi Potere economico in declino.

[3] Vedi Dove porta questa follia.

[4] Armamenti senza ritorno sugli investimenti: perché l’effetto economico non si concretizza. uni-mannheim.de 30.06.2025.

[5] Stephan Lorz: La spesa per la difesa come stimolo tecnologico per l’economia. boersen-zeitung.de 14.10.2025.

[Claude Serfati: Union européenne  Des dividendes de la guerre… mais pour qui ? Cronistoria internazionale dell’IRES. No. 190. Giugno 2025.

[7], [8], [9] S. dazu “Afferra la ricchezza”.

Rivali spaziali transatlantici

Airbus, Leonardo e Thales stanno unendo le loro attività spaziali per formare una joint venture europea al fine di competere con la società Starlink di Elon Musk. Questo porta a nuove tensioni con gli Stati Uniti.

31

Ottobre

2025

BERLINO/PARIGI/ROMA (cronaca propria) – Le società spaziali europee Airbus, Leonardo e Thales hanno annunciato la fusione delle loro attività spaziali. La nuova joint venture, denominata “Project Bromo”, avrà sede a Tolosa (Francia) e impiegherà circa 25.000 persone in tutta Europa. La divisione delle quote tra le tre società è già stata finalizzata, ma il progetto deve ancora superare una serie di ostacoli, tra cui la revisione della concorrenza da parte della Commissione europea. Le aziende europee sono in forte concorrenza con l’azienda statunitense Starlink, che ha penetrato con successo il mercato spaziale europeo. Airbus, Thales e Leonardo, invece, hanno registrato perdite lo scorso anno. L’UE ha recentemente presentato una bozza di legge spaziale dell’UE che intende armonizzare il mercato spaziale dell’UE e imporre costi di conformità alle aziende straniere. Ciò sta causando nuove tensioni con gli Stati Uniti. La notizia della fusione prevista giunge in un momento in cui l’UE si sta impegnando per sfuggire alla forte dipendenza dagli Stati Uniti nel settore spaziale costruendo le proprie capacità.

“Progetto Bromo

I gruppi spaziali europei Airbus (Germania/Francia), Leonardo (Italia) e Thales (Francia) hanno presentato giovedì scorso un accordo preliminare per fondere le loro attività spaziali in una nuova joint venture. La nuova società allargata, che si occuperà di costruzione di satelliti, sistemi e servizi spaziali, sarà in concorrenza con i gruppi cinesi e statunitensi, in particolare con Starlink, la controllata di SpaceX di Elon Musk.[1] Denominata “Project Bromo”, avrà sede a Tolosa (Francia), impiegherà circa 25.000 lavoratori in tutta Europa e genererà un fatturato annuo di circa 6,5 miliardi di euro.[2] In termini di proprietà, Airbus deterrà il 35% e gli altri due il 32,5% ciascuno. La nuova società si ispirerà a MBDA, campione europeo dei missili, fondata nel 2001 da Airbus, dalla britannica BAE Systems e dall’italiana Leonardo[3], con le società britanniche BAE Systems e Airbus che detengono ciascuna il 37,5% di MBDA e Leonardo il 20%.

La strada da percorrere è ancora lunga

Tuttavia, le trattative, in corso da oltre un anno, sono ancora in fase preliminare; il progetto deve ancora superare alcuni ostacoli insidiosi. In primo luogo, i governi di Francia, Germania e Italia devono approvare l’alleanza,[4] e l’attuale situazione politica instabile in Francia potrebbe complicare ulteriormente il processo. Inoltre, la fusione delle attività di tre grandi concorrenti europei pone notevoli sfide pratiche.[5] Tuttavia, l’ostacolo più grande è il superamento dell’esame delle leggi sulla concorrenza da parte della Commissione europea; negli ultimi dieci anni, i precedenti tentativi di fusione delle attività satellitari di diversi gruppi sono falliti a causa di problemi antitrust. [6] Una fusione potrebbe anche portare l’Agenzia spaziale europea (ESA) ad avere opzioni limitate per l’assegnazione di contratti satellitari, come teme Rolf Densing, direttore delle operazioni dell’ESA. 7] Tuttavia, l’ascesa della rete Starlink di Elon Musk potrebbe convincere la Commissione ad approvare una fusione, poiché i gruppi europei rischiano altrimenti di fallire.

In concorrenza con Starlink

Le tre aziende europee sono già state duramente colpite dal forte calo della domanda dei tradizionali satelliti geostazionari per telecomunicazioni, che si trovano a 36.000 chilometri sopra la Terra.[8] Il lancio della rete a banda larga ad alta velocità Starlink nell’orbita terrestre bassa minaccia anche il mercato della connettività Internet dei concorrenti europei. Dal 2023, Airbus ha riconosciuto più di due miliardi di euro di costi derivanti da contratti spaziali non redditizi e ha persino annunciato la perdita di 2.000 posti di lavoro lo scorso anno. Thales Alenia Space (TAS), una joint venture controllata al 67% da Thales e al 33% da Leonardo, ha annunciato quasi 1.300 tagli di posti di lavoro negli ultimi due anni. Starlink, invece, si è affermata con successo in Europa, soprattutto perché è già attiva in Paesi come l’Ucraina [9], dove mantiene la connessione internet del Paese dislocando circa 50.000 terminali. All’inizio dell’anno, Starlink era sul punto di firmare con l’Italia un contratto da 1,5 miliardi di euro per sistemi di comunicazione criptati – il più grande progetto di questo tipo in Europa[10] – ma il progetto è stato cancellato in seguito a proteste.

Tensioni transatlantiche

Da tempo l’UE riconosce sempre più lo spazio come area strategica e nel giugno di quest’anno ha persino proposto una nuova legge spaziale dell’UE come parte della sua nuova strategia spaziale. Il progetto di legge mira a creare un mercato unico dell’UE per lo spazio armonizzando le frammentate normative nazionali[11], ma è stato criticato dagli Stati Uniti in quanto anticoncorrenziale, per ovvie ragioni. Il progetto prevede che le imprese spaziali statunitensi che desiderano operare nell’UE debbano conformarsi agli standard tecnici, di sicurezza informatica e ambientali dell’UE, con un costo aggiuntivo compreso tra 100.000 e 1,5 milioni di euro. [In un’analisi commissionata dal governo statunitense, l’International Center for Law and Economics, un centro di ricerca scientifica economica, ha classificato i requisiti di conformità come “barriera non tariffaria” (NTB) secondo i principi dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC).[13] Naturalmente, la legge è attualmente solo una proposta e non dovrebbe entrare in vigore prima del 1° gennaio 2030.

Sulla strada per diventare il numero uno

Secondo Juliana Süß, esperta del Gruppo di lavoro sulla politica di sicurezza dell’Istituto tedesco per gli affari internazionali e di sicurezza (SWP), con sede a Berlino, l’UE è attualmente “estremamente dipendente dagli Stati Uniti” nel settore spaziale[14], la cui dipendenza dalle capacità spaziali statunitensi spazia dalla “ricognizione, comunicazione e navigazione” al “rilevamento precoce dei missili” e all’uso del sistema di navigazione GPS statunitense per i missili da crociera tedeschi Taurus. Di conseguenza, all’inizio di questo mese l’UE ha presentato una nuova “Roadmap for Defence Readiness 2030”, in cui si attribuisce particolare importanza allo sviluppo di uno scudo europeo di difesa aerea e di uno scudo spaziale, tra le altre cose.[15] I lavori per la realizzazione dei due scudi dovrebbero iniziare nel secondo trimestre del prossimo anno, con la Germania che intende assumere un ruolo di primo piano. Secondo il Ministro della Difesa Boris Pistorius, il governo tedesco mira a costruire una vasta “architettura di sicurezza spaziale” e prevede di stanziare 35 miliardi di euro per l’espansione delle capacità spaziali militari entro il 2030[16] come parte dell’intenzione dichiarata dal Cancelliere Friedrich Merz di rendere la Bundeswehr la forza armata convenzionale più forte d’Europa. Resta da vedere come si inserisca in questo contesto la prevista fusione delle attività spaziali di Airbus, Leonardo e Thales.

[1] La risposta europea a Starlink? Airbus, Thales e Leonardo si accordano per una fusione satellitare. euronews.com 21.10.2025.

[2] Airbus, Leonardo e Thales firmano un memorandum d’intesa per creare un attore europeo leader nel settore spaziale. airbus.com 23.10.2025.

[3] Peggy Hollinger, Sylvia Pfeifer: I gruppi spaziali sono vicini a un accordo sulla creazione di un campione europeo. ft.com 21.10.2025.

[4] Peggy Hollinger, Sylvia Pfeifer: Airbus e Thales esplorano un legame spaziale. ft.com 15.07.2024.

[5] Peggy Hollinger, Sylvia Pfeifer: Airbus, Leonardo e Thales stringono un accordo spaziale per rivaleggiare con SpaceX di Musk. ft.com 23.10.2025.

[6] Giulia Segreti, Tim Hepher: European aerospace groups reach framework deal on satellite merger, sources said. reuters.com 20.10.2025.

[Francesca Micheletti: I giganti europei si accordano su un campione spaziale da 6 miliardi di euro per competere con Elon Musk. politico.eu 23.10.2025.

[8] Peggy Hollinger, Sylvia Pfeifer, Barbara Moens: European plans to create space champion face challenging timeline. ft.com 12.06.2025.

[9] La risposta europea a Starlink? Airbus, Thales e Leonardo si accordano per una fusione satellitare. euronews.com 21.10.2025.

[10] Aaron Kirchfeld, Siddharth Philip, Pamela Barbaglia, Daniele Lepido: Airbus Hires Goldman for European Space Tie-Up to Rival Musk. bloomberg.com 04.02.2025.

[Beatrice Gorawantschy, Meike Lenzner, Lavinia Klarhoefer: Una nuova corsa allo spazio – l’UE può tenere il passo? kas.de 14.10.2025.

[12] Kevin M. O’Connell, Clayton Swope: Op-ed: The EU Space Act Will Stifle Innovation And Hurt US Space Companies. payloadspace.com 22.08.2025.

[13] Alden Abbott: U.S.A. e UE si scontrano sulla promozione del commercio e dell’innovazione spaziale. forbes.com 27.08.2025.

[14] Stephan Löwenstein: Nessuna difesa senza spazio. Frankfurter Allgemeine Zeitung 08 ottobre 2025.

[15] Si veda Dalla guerra dei droni alla guerra spaziale.

[16] Discorso: Ministro federale della Difesa Pistorius al 3° Congresso spaziale della BDI. bmvg.de 25.09.2025.

Il lato corto del bastone

Il ministro degli Esteri tedesco annulla il suo viaggio in Cina, programmato da tempo, perché, dopo gli attacchi di ogni tipo a Pechino, non gli sono stati concessi gli incontri desiderati. L’UE sta affrontando la carenza di terre rare e chip prodotti in Cina.

27

Ottobre

2025

BERLINO/BEIJING (Own report) – La cancellazione da parte della Germania del viaggio in Cina del ministro degli Esteri Johann Wadephul, programmato da tempo, affievolisce le speranze di un possibile arresto della spirale di sanzioni tra l’UE e la Repubblica Popolare Cinese. L’UE ha recentemente imposto sanzioni alle imprese cinesi in diverse occasioni e minaccia ulteriori sanzioni. La Germania ha iniziato a espandere qualitativamente la sua cooperazione con Taiwan – fino a includere offerte di forniture di armi, normalmente riservate ai soli Paesi sovrani. Pechino ha reagito agli attacchi dell’UE con severe restrizioni sulle esportazioni di terre rare e ha concesso al Ministro degli Esteri Wadephul solo un incontro con il suo omologo cinese, Wang Yi. Wadephul, che avrebbe voluto avere diversi altri colloqui durante la sua visita, ha ora rinviato il suo viaggio a tempo indeterminato. Questo rimanda anche la soluzione dei conflitti tra Bruxelles e Pechino. Ciò avviene in un momento in cui gli Stati Uniti sperano di raggiungere una sorta di tregua nella loro guerra commerciale con la Cina questa settimana. Inoltre, in questa escalation della disputa, l’UE – con la sua industria attualmente minacciata da un’acuta carenza di terre rare e semiconduttori – rischia di trovarsi in una posizione di svantaggio.

Attacchi verbali

Nelle ultime settimane, il Ministro degli Esteri Wadephul ha intensificato notevolmente i suoi attacchi verbali contro la Repubblica Popolare Cinese – ogni volta in presenza di un pubblico giapponese che, a causa delle tensioni tra Pechino e Tokyo, ha aggiunto peso alle sue dichiarazioni. Ad agosto, ad esempio, a seguito di un colloquio con il suo omologo giapponese, ha implicitamente accusato la Repubblica Popolare Cinese di complicità nella guerra in Ucraina, affermando che senza il sostegno della Cina alla macchina bellica russa “la guerra di aggressione contro l’Ucraina non sarebbe stata possibile”[1] e sostenendo che Pechino “minaccia ripetutamente, più o meno apertamente, di cambiare unilateralmente lo status quo e di ridisegnare i confini a proprio vantaggio”. Questo non è vero. Non è la Cina, ma il governo separatista di Taiwan a minacciare di cambiare lo status dell’isola. La Repubblica Popolare ha un’interpretazione giuridica dei confini nel Mar Cinese Meridionale diversa da quella di Berlino, che si riflette nella dichiarazione di Wadephul.[2] Due settimane fa, Wadephul ha ripetuto queste accuse al Centro nippo-tedesco di Berlino, arrivando a sostenere che l’appello della Cina per la conservazione del “mondo istituzionale multilaterale” fosse solo una “narrazione”.[3] In realtà, le istituzioni internazionali sono attualmente deliberatamente minate dal più importante alleato non europeo di Berlino: gli Stati Uniti.

Inno nazionale di Taiwan

Oltre agli attacchi verbali, la Germania ha iniziato ad espandere non solo quantitativamente ma anche qualitativamente la sua cooperazione con Taiwan, sconvolgendo di fatto lo status quo dell’isola. Recentemente, ad esempio, Karsten Tietz, il nuovo direttore generale dell’Istituto tedesco di Taipei, ha affermato in una conversazione con il ministro degli Esteri di Taiwan Lin Chia-lung che la Germania e Taiwan si trovano “di fronte a Paesi vicini sempre più aggressivi”, il che ha aperto “ampie opportunità di cooperazione” tra di loro.[4] A settembre è già apparso chiaro che ciò includeva la cooperazione anche nel settore dell’industria della difesa. Ad esempio, l’Ufficio commerciale tedesco di Taipei e la società franco-tedesca Airbus Corporation sono stati rappresentati per la prima volta all’Aerospace and Defense Technology Exhibition di Taipei. Mentre il German Trade Office Taipei ha dichiarato che sono state presentate innovazioni nel campo della “sicurezza”, Airbus ha confermato esplicitamente che stava promuovendo qualcosa di più dei soliti prodotti “commerciali”.[5] Di norma, le attrezzature militari sono fornite agli Stati sovrani; Taiwan, tuttavia, non rientra in questa categoria. Eppure, il viceministro degli Esteri taiwanese Wu Chih-chung ha recentemente riferito che al ricevimento per la festa nazionale tedesca del 3 ottobre “si è sentito per la prima volta l’inno nazionale taiwanese”[6].

Nuove sanzioni

Considerando che, con queste misure, la Germania segnala la sua intenzione di trattare sempre più Taiwan come una nazione sovrana, sconvolgendo così lo status quo, l’UE, da parte sua, procede con nuove rappresaglie economiche contro la Repubblica Popolare Cinese. Mentre i dazi del 50% sulle importazioni di acciaio, imposti da Bruxelles all’inizio di ottobre, hanno avuto lo stesso impatto su tutti i Paesi – compresa, ma non solo, la Cina – giovedì scorso l’UE ha imposto ulteriori sanzioni alle aziende della Repubblica Popolare Cinese come parte del suo 19esimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Queste aziende stanno esercitando il loro diritto di non permettere a una potenza straniera, l’UE, di dettare i loro partner commerciali e di mantenere i loro legami commerciali con la Russia. Giovedì scorso, i capi di Stato e di governo dell’UE hanno anche approvato una dichiarazione che fa implicitamente riferimento alla controversia sulla fornitura di terre rare da parte della Cina all’UE. Pechino, che ha subito ogni sorta di embargo da parte di Stati Uniti e Unione Europea, ad esempio sui semiconduttori statunitensi e sulle macchine per la produzione di chip dell’UE, ha ora reagito con controlli sulle esportazioni di terre rare. Gli Stati dell’UE, che non sono ancora disposti ad attenuare il conflitto, chiedono ora alla Commissione, nella dichiarazione sopra citata, di preparare eventuali nuove misure economiche coercitive contro la Cina.[7]

“Sulla difensiva

La Germania e l’UE stanno intensificando i loro attacchi politici ed economici nel bel mezzo di un periodo di debolezza. Le imprese europee, in molti casi, non hanno praticamente alternative alle forniture di terre rare dalla Cina. Attualmente si trovano in una situazione simile a quella delle imprese cinesi, quando la loro industria dei chip non aveva alternative ai prodotti provenienti dagli Stati Uniti e dall’UE. Le proposte di Pechino di allentare reciprocamente le restrizioni sono finora cadute nel vuoto in Europa. Inoltre, il conflitto sull’impianto di chip Nexperia, di proprietà cinese, con sede nei Paesi Bassi, si sta inasprendo. Sotto la pressione degli Stati Uniti, l’Aia ha compiuto un passo senza precedenti, licenziando l’amministratore delegato cinese e ponendo Nexperia sotto il controllo dei Paesi Bassi (come riporta german-foreign-policy.com).[8] Pechino si è vendicata vietando l’esportazione di semiconduttori Nexperia. Questo minaccia gravi carenze di semiconduttori in Germania e nel resto dell’UE, che, tra l’altro, potrebbero danneggiare seriamente la produzione automobilistica e meccanica. L’UE, che ovviamente ha il coltello dalla parte del manico, sta minacciando sanzioni “con qualsiasi mezzo”. Alla fine della settimana scorsa il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha riconosciuto che l’UE “si trova attualmente sulla difensiva, e dobbiamo uscire da questa posizione”[9].

Prima dell’escalation

Pechino, non volendo tollerare gli attacchi di Berlino e le minacce di sanzioni di Bruxelles, ha apparentemente accorciato la visita del ministro degli Esteri tedesco prevista per l’inizio di questa settimana, approvando solo l’incontro di Wadephul con il suo omologo Wang Yi. È stato annunciato che non è stato possibile organizzare altri appuntamenti richiesti da Wadephul. Per risparmiare al ministro ulteriori imbarazzi, il ministero degli Esteri tedesco ha cancellato del tutto il viaggio.[10] Tuttavia, questo rimanda anche la possibilità di risolvere la disputa sulle terre rare, i semiconduttori e le sanzioni, a svantaggio dell’industria europea, già minacciata da un’acuta carenza di prodotti primari. Tutto ciò avviene in un momento in cui gli Stati Uniti hanno portato avanti con forza i negoziati con la Cina negli ultimi giorni, sperando di raggiungere un accordo su una sorta di tregua nella guerra commerciale entro giovedì.[11] Se questo dovesse andare a buon fine, l’UE si ritroverebbe probabilmente invischiata da sola in una spirale di sanzioni con Pechino, in cui, data la situazione attuale, si troverebbe molto probabilmente ad avere la peggio.

[1] Critiche aspre dalla Cina alla dichiarazione di Wadephul. tagesschau.de 18/08/2025.

[2] Pechino può fare riferimento al Trattato di Tianjin del 1885 per le dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale, in cui la Francia, che all’epoca non aveva alcun interesse nelle isole a est della sua colonia del Vietnam, dichiarò che dovevano essere “assegnate alla Cina”.

[3] Discorso del Ministro degli Esteri Johann Wadephul in occasione del 40° anniversario del Centro nippo-tedesco di Berlino, “Germania e Giappone – partner privilegiati per la libertà, la sicurezza e la prosperità” 14.10.2025

 [4] Ministro degli Esteri: Taiwan accoglie con favore una più stretta cooperazione con la Germania. rti.org.tw 14.10.2025.

[5] Ben Blanchard: L’Europa emerge dall’ombra alla più grande fiera della difesa di Taiwan. uk.finance.yahoo.com 22.09.2025.

[6] “Non siamo mai stati così forti”. Frankfurter Allgemeine Zeitung 07.10.2025.

[7] Consiglio europeo (23 ottobre 2025) – Conclusioni. Bruxelles, 23.10.2025.

[8] Si veda anche La battaglia per Nexperia.

[9] Jakob Hanke Vela, Leonard Frick: i capi di governo minacciano la Cina di sanzioni per il blocco delle esportazioni. handelsblatt.com 23.10.2025.

[Laura Pitel, Anne-Sylvaine Chassany: Il ministro degli Esteri tedesco annulla il viaggio in Cina tra le crescenti tensioni. ft.com 24.10.2025.

[Hannah Miao, Chun Han Wong: U.S., China Sound Confident Note After Trade Talks. wsj.com 26.10.2025.

Andate avanti voi_di WS

Il  “fronte”  in Ucraina   sta cedendo , non rapidamente ma  sempre più velocemente.
Anche il  “fronte interno”   sta  cedendo in Ucraina; l’ intensità e  la continuità  degli  attacchi russi alle infrastrutture ucraine  ha raggiunto  livelli mai visti prima e l’ inverno  si preannuncia molto  duro  e con  cattive  prospettive per il futuro.

In pratica  stiamo   per  arrivare  al punto  critico delle   “decisioni  fatali”  che “l’ occidente”  in  generale    e  la NATO-€uropa  in particolare  dovranno prendere. 

Continuare la guerra  o ammettere la sconfitta  strategica  con  tutte le  inevitabili conseguenze?

E   se   verrà scelto   di  “continuare”,  cioè   di  “rilanciare”,  come  farlo?

Provocare  direttamente la Russia  , in  Transnistria     come nel Baltico o  a Kaliningrad,  o più semplicemente  “ entrare” in  Ucraina   attestandosi  in modo  strategico per   puntallarvi il cadente  NATO-regime ?

Ma in entrambi i casi  quale poi  sarà la reazione russa? Su  questo  i NATOnanetti  non si esprimono  in pubblico   al di là  della  solita  retorica bellicistica  e la solita   granitica convinzione di poter  “ uniti sconfiggere la Russia”;  ma  è evidente  che ognuno  sotto sotto  ne  valuta  le possibili  conseguenze  e possibilità per  se  stesso.

Ad  esempio è  evidente  che  la Germania  stia  cogliendo  la possibilità  di un gigantesco  riarmo    e  di  rilanciare la propria industria convertendola in militare;  tutto questo  avrà  certamente   gravi  conseguenze  per gli altri “soci  del club”

E infatti già  è evidente  il solito “gioco inglese”  nel  nascondersi  dietro a questo  riarmo  offrendo  alla Germania  il suo  “scudo atomico”,  una      garanzia  che  già inquieta  la  solita  sventata Polonia  e la  solita  Francia megalomane;  tanto megalomane  da mandare  presto , pare , la sua legione  straniera  a “tenere”  Slaviansk.

 Ma proprio  perché   questo “occidente”  sembra  voler  fare “all in “  convinto   che  comunque la   Russia  non  reggerà   “il bluff” e che questa sacra alleanza, in un atto  di  disperato  avvertimento,   dichiara  tutti i propri  assi nella speranza   di non doverli  poi calare per  forza.

Effettivamente   se la  Russia, al contrario  del “l’ occidente”, non è in “disperazione  strategica”,  ha  comunque davanti a sé  un  grave “dilemma  strategico”:   quando   e come  calare i propri “  assi”  per  far  capire  ad una massa   di decerebrati   che  la  Russia   NON può perdere?

Uno  di questi “assi, l’ oreskin, è stato  già calato una volta     con  scarso effetto  deterrente.  Eppure  è un “asso” importante e ho già spiegato una volta il perché . L’ oreskin  può    convertire  “in avanti”   tutta l’ energia   cinetica       accumulata   dal gigantesco razzo  nella  sua  fase  di spinta   e quindi  “bucare”   qualunque cosa    come  fa una lancia termica    nell’ acciaio,    di  fatto  penetrando  per molte decine  di  metri  qualunque  bunker   sino a provocarne il collasso   per l’ intensità della  scossa  sismica indotta.  Di fatto  così i russi hanno dimostrato  di potere  distruggere  “convenzionalmente”   qualunque   centro di comando in tutta l’ €uropa      sigillandoci  dentro  tutti gli  “alti papaveri”.

Risultato ? Nessuno  se ne è preoccupato ,  tanta è la  convinzione  che la Russia NON vuole la guerra e  che  tratterà  qualunque  accordo  per evitarla

Gli  altri due “  assi”  invece   sono  solo stati  dichiarati  e come  tali      tutti  li hanno presi  come  una  “boutade”  dimenticando  che , al  contrario degli americani   che    dichiarano  sempre  quello  che non hanno ,  i russi   tendono sempre  a negare  anche  quello  che  effettivamente hanno in mano.

E   questi sarebbero  due “assi” veramente impressionanti.

Vediamo il primo ,  il buresnivik   ,  forse  quello dei  due  più impressionante  per le difficoltà tecniche   che  sarebbero  state  superate    e per le implicazioni     che esso avrebbe  nelle    future   avventure  spaziali. In sostanza   i  russi  avrebbero costruito un minireattore nucleare in grado  di  accendersi e spengersi come  un normale motore a combustione  e la cui  energia    viene  convertita tutta in energia  termica  e  questa  ultima  poi  convertita  in energia  cinetica   per produrre ,  come in un motore a reazione,   la spinta necessaria  al volo; il tutto   posto in un missile di medie  dimensioni  poco  più grande  di un normale  missile  da  crociera  , ma in grado     di volare indefinitamente   portando   carichi ben superiori    fino  ad una    singola  testata  da un megatone.

Questo missile può fare  quindi molto più di un Oreskin; ad  esempio  può  , senza  essere  nemmeno visto,     arrivare  su Washington  e   distruggere  l’ intero sistema di comando americano   anche  se  fosse posto  nei megasuperbunker  che  Trump  sta  costruendo  sotto la Casa Bianca.

Questo missile  può anche  fare la stessa  cosa    a qualunque  megasuperbunker   che  la cabala globalista  sta  costruendo  nei più recessi  anfratti  australi.

Il  terzo  è solo l’ evoluzione   della     idea  di Sakarov      di 70 anni  fa,  e si basa  sulla  semplice  constatazione   che mentre la Russia  è una “potenza  di terra”    i suoi nemici   sono  tutti “ potenze  di mare”  che potrebbero  essere   spazzati via     da   “supermine  atomiche”   poste  ad opportuna distanza  dalle  coste nemiche    ed in grado  di sollevare      uno tzunami di  centinaia di metri  di acqua  radioattiva.

E  la super bomba di  Sakarov   fu  effettivamente realizzata  ma non si  sa se le coste  americane siano  state mai  effettivamente minate .

 Quello  che invece  ci dicono ora i russi  è  che con il  loro Poiseidon    possono portare     in modo  non  rilevabile      queste   supermine  da  100MT   in poco  tempo  sino ad espoldere  per  ritorsione    nei siti previsti; ad esempio, lanciandola   dal  Mar di Barents   per “consegnarla”     in 12 ore       all’ Inghilterra  onde concellarla per sempre  dalla  storia umana.

Serviranno  questi  continui  avvertimenti  ?  No,  perché    questi   giocatori   d’ azzardo   si beano    nella   loro  convinzione  suprema   che  la Russia ,  visto  che lo ha  già fatto una volta, alla  fine   cederà  alla loro pressione  senza  reagire .

E  allora  che  deve  fare la Russia?  Ora non gli  resta  altro  che  dare  un  grosso   schiaffo   ad un €uroimbecille   e vedere  “l’effetto che  fa “.   

E    di €uroimbecilli  ce n’è in   abbondanza;  sarà  fatto certamente e nel modo più opportuno  , ma solo quando  questo  diverrà assolutamente  necessario.

  E  quel “quando”  sta  diventando  sempre più  vicino.

Quindi   io  consiglierei  a Giorgia   quando     dovrà   pronunciarsi     nei  relativi  NATO -meetings  il  classico “ andate  avanti  voi…”.

La Russia apre le porte dello spazio

Di ilsimplicissimus 
il 30 ottobre 2025
Si dice che le guerre siano un forte stimolino al progresso tecnologico o quanto meno portino ad accelerare ricerche e soluzioni in tempi più molto più brevi del normale. Forse non è sempre così, ma nel caso della guerra ucraina è qualcosa di visibile, sebbene quasi solo da una parte, quella della Russia, il cui potenziale era finora rimasto inespresso: uno straordinario avanzamento nel campo dei droni e dei missili ipersonici, oggi molto più manovrabili di prima, nuove armi come l’Oresnik che  con esplosivi convenzionali ha la stessa potenza distruttiva di una piccola atomica. E adesso il Burevestnik. un missile a propulsione nucleare che può volare per molti giorni e colpire dovunque. Naturalmente la propaganda Nato, incapace di vere novità in campo bellico, minimizza, e tuttavia la quasi totale maggioranza delle persone, anche di quelle che si informano al di furi del mainstream, non ha colto la rivoluzione che si nasconde dietro questa nuova arma russa: il motore nucleare è la chiave dello spazio.Per quanto ragazzi brufolosi e ignari si esaltino per  Space X e per le favole raccontate da Musk – che peraltro ha mandato in aria i suoi primi razzi servendosi di motori dell’era sovietica rimasti in magazzino – non sarà con motori a razzo chimici che si andrà su Marte e  figuriamoci su altri pianeti e planetoidi del sistema solare. Essi servono per principalmente per trasportare carichi utili in orbite prossime alla Terra, non più di 35 mila chilometri o al massimo sulla Luna, a spingere una qualche  minuscola navicella automatica. ma per la cosiddetta esplorazione dello spazio ci vuole ben altro. E questo altro lo ha mostrato la Russia. Il reattore del missile Burevestnik ha infatti una potenza paragonabile a quella di   di un sottomarino nucleare, ma è mille volte più piccolo e soprattutto non ha bisogno di giorni o settimane per entrare in funzione, ma si attiva in brevissimo tempo, anche secondi, e può rimanere in funzione per un lungo periodo di tempo. Meno di un anno fa il direttore generale di Roscomos, l’agenzia russa dello spazio, Yuri Borisov, aveva abbozzato l’immagine di “rimorchiatori nucleari” per l’esplorazione dello spazio profondo e aveva annunciato che tali mezzi spaziali erano in fase di progettazione. Tuttavia, come al solito gli occidentali, non gli hanno dato retta, pensando che sognasse, mentre erano loro a dormire di fronte alla realtà: di fatto la nave spaziale a propulsione nucleare Zeus è già in fase di progettazione e di costruzione per quanto riguarda alcuni moduli. Insomma l’uso bellico di questi sistemi è solo un capitolo secondario di una tecnologia di base per i viaggi spaziali che gli americani avevano invano sperimentato anni fa senza tuttavia riuscire ad miniaturizzare i motori nucleari, cosa che invece i russi sono riusciti a fare. E la stessa cosa si potrebbe dire dei missili ipersonici. La guerra ucraina e il gioco a scacchi della geopolitica sta nascondendo il fatto che siamo di fronte a una svolta storica che riscrive innanzitutto il futuro dell’esplorazione spaziale  non più legata a piccole navicelle con celle  anguste per risparmiare al massimo carburante e rifornimenti.  Naturalmente dovranno essere approntate piattaforme spaziali da dove far partire le navi verso i pianeti del sistema solare che oggi sono realmente alla nostra portata e non soltanto parole sui romanzi di fantascienza. Ma è quasi impossibile delineare le possibili ricadute in tutti i campi di un motore nucleare, piccolo, leggero ed accensione rapida: esse sono potenzialmente infinite e non mancheranno di certo gli utilizzi terrestri e civili di questa nuova tecnologia. Il fatto che qualcosa di così cruciale non sia nato in Occidente la dice lunga sul cambiamento degli assetti planetari e sul declino occidentale. È vero che la Russia è stata per almeno due decenni in testa alla corsa spaziale, prima di essere sconfitta da Hollywood (intelligenti pauca) ma questo è avvenuto grazie a tecnologie che erano state sviluppate nella Germania nazista e dal fatto che Mosca si era accaparrata i migliori scienziati in questo campo, mentre agli americani era rimasta la serie “b”. Però adesso gli incredibili sviluppi avvengono al di fuori e anzi con il contrasto attivo degli occidentali. In questo quadro appare davvero patetico l’invio in Ucraina di 2000 soldati della Legione straniera, un corpo militare fondato per le guerre coloniali e che in questo senso esprime da una parte la permanenza fuori tempo delle pulsioni occidentali, e dall’altra una sempre più marcata arretratezza.

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Almeno non parlano_di Aurélien

Almeno non parlano.

Alcuni problemi non hanno soluzione.

Aurélien29 ottobre
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Non seguo molto la copertura mediatica tradizionale della guerra in Ucraina – lascio questo compito a chi ha lo stomaco più forte – ma è impossibile ignorare i due messaggi contrastanti e confusi che trasmettono sulle possibilità di porre fine a quella guerra in modo più o meno pacifico. Da un lato, “parlare con Putin” dovrebbe essere un crimine capitale, e qualsiasi mossa che suggerisca che l’Occidente lo faccia è una forma di tradimento. Dall’altro, armi miracolose più nuove e migliori devono essere inviate in Ucraina per “costringere Putin al tavolo dei negoziati”.

Non cercherò di conciliare questi messaggi, perché non credo sia possibile, e comunque sarebbe uno spreco di energie. Piuttosto, li tratterò entrambi – e altri argomenti di cui parlerò – come esempi della fondamentale incoerenza, del narcisismo e della superficialità di pensiero e di espressione che caratterizzano l’attuale Casta Professionale e Manageriale (PMC), inclusi i leader politici e coloro che li consigliano e scrivono su di loro. Affrontiamo prima questo aspetto, poi torneremo all’Ucraina e ad altri luoghi.

In generale, le classi dominanti nella storia hanno avuto una propria ideologia. Spesso si trattava di un’ideologia di autoconservazione e autogiustificazione, basata sulla convinzione di essere idonei o legittimati a governare, e talvolta supportata dalla dottrina religiosa. Quindi la legittimità di Re Abdullah II di Giordania, come quella dei suoi quaranta antenati, si basa sull’essere un discendente diretto del Profeta Maometto e, naturalmente, l’Islam ha fornito l’ideologia. In tempi più recenti, con il progressivo passaggio di moda dei Governanti Naturali, l’ideologia propriamente intesa ha sostituito la sanzione divina o consuetudinaria, non solo come segno di legittimità, ma come fonte comune di valori, punto di riferimento e guida di comportamento per la classe dominante nel suo complesso. Esempi evidenti includono la tradizione rivoluzionaria/repubblicana in Francia, i regimi conservatori/religiosi/militari di Franco o Pinochet, l’ideologia socialista di molti stati, il comunismo dopo il 1917 e la Cina odierna. Naturalmente, tali ideologie non sono mai del tutto dominanti e raramente vengono messe in discussione. Non escludono dispute tra fazioni e persino conflitti aperti, e molte di esse finiscono per crollare e morire. Ma almeno forniscono un insieme di dottrine ragionevolmente coerenti e un contesto per le argomentazioni politiche.

In Occidente nel suo complesso, non abbiamo avuto un contesto coerente di questo tipo dopo la Riforma, ma almeno fino a poco tempo fa era possibile identificare modelli di pensiero condivisi e comprendere perché un partito di sinistra si comportasse generalmente in modo diverso da un partito di destra una volta al potere. Non è più così, ma non c’è stata nemmeno una sua sostituzione generalizzata con un’ideologia organizzata di liberalismo sociale ed economico estremo, sebbene ne faccia parte. Piuttosto, l’attuale classe dirigente occidentale, come il Partito in 1984, non ha un’ideologia in senso tradizionale. È interessata al potere e alla ricchezza, e ha fazioni ossessionate da vari obiettivi e cause sociali, ma è incapace di pensare in modo coerente e non ne vede realmente la necessità. La classe dirigente odierna si considera meno come Governante che come Dirigente, con tanto di ingialliti libri di testo per l’MBA. I leader di partito possono parlare pubblicamente dei “nostri valori” nel tentativo di giustificare le proprie azioni, ma queste dichiarazioni raramente vanno oltre le banalità e raramente riflettono le tradizioni e le ideologie di un particolare partito o movimento. In effetti, la maggior parte dei partiti della Sinistra Nozionale, ad esempio, si vergogna delle proprie convinzioni e azioni passate e cerca di prenderne le distanze il più possibile.

Ciò che ha sostituito la vera ideologia come base per decisioni e politiche è una sorta di insieme collettivo e spesso arbitrario di regole e consuetudini, come quelle che si trovano nel cortile di una scuola. Queste regole e consuetudini non devono essere necessariamente coerenti, ma la loro applicazione è comunque spietata e la pena per la deviazione è l’espulsione: un altro paragone, più moderno, potrebbe essere un gruppo sui social media. Infatti, poiché il PMC si è allontanato così tanto dalla vita e dalle preoccupazioni della gente comune, tutto ciò che conta sono gli applausi e i “Mi piace” all’interno della comunità stessa. La politica è diventata estetica: il risultato effettivo non conta, purché sia ​​bello e attraente per i membri del PMC. Le minacce di guerra, ad esempio, ti fanno apparire forte e migliorano il tuo status all’interno del gruppo. Non sono pensate per essere prese sul serio. Un simile quadro mentale non produce, e non può produrre, alcuna coerenza, ma poiché è essenzialmente un quadro creato internamente, che non dipende affatto dal mondo esterno, questo non ha importanza. Il risultato (come nell’esempio iniziale) non è nemmeno il bipensiero orwelliano: è solo un ammasso di idee senza coerenza, perché la coerenza è uno sforzo troppo grande e, in ogni caso, a chi importa?

Questo deprimente stato di cose ha origine da due processi. Uno è la natura sempre più omogenea dell’attuale classe dirigente: il PMC. Questo è praticamente senza precedenti nei sistemi politici multipartitici, o persino nelle oligarchie. Nell’Europa del diciannovesimo secolo, ad esempio, non solo la politica era divisa in fazioni di classe in competizione tra loro, che potevano entrare in conflitto effettivo, ma la religione organizzata era ancora un attore, e c’erano aspre controversie sulla politica commerciale, sul valore o meno delle colonie, sulla legislazione sociale, sull’istruzione, sul suffragio elettorale e su quasi tutto il resto. Questi conflitti derivavano direttamente dai diversi background dei principali attori: proprietari terrieri aristocratici, leader sindacali, società missionarie politicamente potenti, leader ecclesiastici reazionari, rivoluzionari, commercianti della classe media, ricchi banchieri… che formavano e rompevano alleanze di convenienza a seconda dell’argomento. L’espansione del suffragio portò alla nascita di nuovi partiti politici e parlamentari con background molto diversi. E i mass media dell’epoca – essenzialmente la carta stampata – erano di ogni forma e dimensione, e molti di coloro che vi scrivevano erano brillanti diplomati che avevano imparato ciò che sapevano con l’esperienza e il duro lavoro. Persino i corrispondenti esteri avevano spesso vissuto nella loro regione per molti anni. Quella che oggi chiamiamo la classe dei commentatori multiuso esisteva a malapena. Gli esperti tendevano ad essere veri esperti: la Royal Africa Society di Londra, ad esempio, nacque dall’opera di Mary Kingsley, una scrittrice ed esploratrice che viaggiò molto in Africa prima della sua prematura scomparsa e scrisse diversi libri polemici a sostegno delle cause africane.

A sua volta, questa omogeneità galoppante era essa stessa il prodotto di modelli educativi in ​​evoluzione. È comune descrivere l’espansione dell’istruzione universitaria a partire dagli anni ’80 come un aumento delle opportunità, ma in realtà era spesso il contrario. Accompagnò, e in alcuni casi portò direttamente a, una riduzione della formazione professionale e tecnica, e la feticizzazione di tre anni di istruzione elitaria surrogata invece di imparare effettivamente a fare qualcosa. Portò a una dequalificazione della società nel suo complesso e, a tempo debito, all’avvento di una classe dirigente generalista, qualificata ma non realmente istruita. Ma i numeri erano importanti, e abbastanza rapidamente questi cambiamenti educativi produssero un restringimento significativo nelle origini della classe politica e del PMC stesso. Coloro che avevano frequentato università minori non aspiravano ad altro che a scimmiottare coloro che avevano frequentato università più grandi. Socializzavano, si sposavano tra loro e lavoravano insieme e per gli altri, condividendo gli stessi valori e obiettivi vagamente articolati, felicemente ignari per la maggior parte di come funzionasse realmente il mondo. Le loro prospettive di carriera, la loro vita sociale e persino le potenziali relazioni sentimentali dipendevano di conseguenza dall’obbedienza a codici complessi e non scritti stabiliti dai loro immediati predecessori.

Si sviluppò così una classe dirigente, con i suoi parassiti e lacchè associati, probabilmente unica nella storia per la sua fragilità e la mancanza di una vera ragione d’essere, se non il potere. Era troppo frammentata per aver sviluppato un’ideologia guida e assorbì, anziché studiare, una serie di comandamenti ideologici spesso non correlati, ai quali era necessario obbedire formalmente se si voleva andare avanti nella vita. Ma a differenza delle rigide ideologie religiose e politiche del passato, ben poco della pseudo-ideologia del PMC è mai stato sintetizzato e insegnato. Anzi, poiché in realtà non è altro che una sorta di vago liberalismo economico e sociale con interruzioni dovute a interessi particolari, non può proprio esserlo. (Dopotutto, il liberalismo stesso era piuttosto incoerente anche nei periodi migliori.)

Il risultato è che oggi le decisioni vengono prese e influenzate da persone che vivono di vaghe idee, non contaminate dall’esperienza concreta. E i tradizionali “poteri di bilanciamento” che nella teoria liberale dovrebbero controbilanciare chi detiene il potere si rivelano essere sempre le stesse persone. (Gli standard del giornalismo sono precipitati con la crescita delle scuole di giornalismo professionalizzanti. Sarebbe interessante sapere qual è il collegamento, dato che chiaramente esiste). Quindi, se potessimo inviare un drone a spiare una cena di una società privata in un quartiere alla moda di una grande città occidentale, vedremmo politici, giornalisti, avvocati, operatori di ONG, pensatori di carri armati, giornalisti, consulenti, banchieri ed esperti, tutti mescolati insieme, tutti a ripetersi le stesse cose. Una visione infernale, per certi versi.

Ciò che rende la situazione ancora peggiore è che non si tratta solo di una classe dirigente economica: la ricchezza, di per sé, non è sufficiente per entrare. È una sorta di nomenklatura , come quella praticata nella vecchia Unione Sovietica e oggi in Cina. Il punto chiave è che questa nuova classe oltrepassa e oscura la tradizionale separazione dei poteri e delle funzioni della politica democratica. Così, politici, funzionari pubblici, giudici, giornalisti, dirigenti di ONG, persino alti funzionari di polizia e dell’intelligence, costituiscono ora non più centri indipendenti di potere e influenza, ma un enorme diagramma di Venn di presupposti e convinzioni ampiamente sovrapposti, legati da legami sociali e commerciali. A sua volta, ciò deriva in parte dall’abbattimento delle tradizionali barriere tra servizio pubblico e accumulazione privata, e in parte dalla crescita delle famiglie delle grandi società private, dove il pranzo di Natale può mettere uno accanto all’altro un giudice, un ministro, un giornalista, un avvocato per i diritti civili, un ricco banchiere e un consulente internazionale, tutti legati da parentela o matrimonio. E il banchiere potrebbe essere stato un ministro, il consulente potrebbe essere stato un funzionario pubblico, il giudice potrebbe avere ambizioni politiche. (Se leggete l’apprezzabile sito Naked Capitalism , avrete familiarità con i ritratti piuttosto terrificanti del potere e dell’influenza incestuosi in Gran Bretagna forniti dal Colonnello Smithers, dotato di conoscenze sovrannaturali.) Ecco perché è ingenuo parlare di media o think tank “istruiti” a dire questo o quello, ad esempio sull’Ucraina. È così che la pensano queste persone: fanno tutti parte della stessa nomenklatura.

Per molti versi non è una sorpresa. La depoliticizzazione della politica, di cui ho parlato più volte, fa sì che i sistemi politici occidentali assomiglino sempre di più a quelli di alcune parti dell’Africa occidentale, dove la politica si limita semplicemente all’accesso a opportunità predatorie di potere e arricchimento, utilizzando i blocchi di potere etnici come munizioni. Un nuovo Presidente sostituirà non solo giudici e capi delle forze di sicurezza, ma anche il Direttore della TV e della radio nazionali e il capo della Banca Nazionale. Ironicamente, l’Occidente è per molti aspetti più avanti rispetto a questi paesi africani: il PMC ha preso il controllo tanto del discorso d’élite del paese quanto della sua ricchezza. E noi pretendiamo di impartire loro delle lezioni, come ho spiegato di seguito.

Una delle principali differenze tra le PMC occidentali di oggi e le élite del passato è che, mentre in passato la classe dirigente cercava soprattutto di mantenere il proprio dominio e resistere al cambiamento, la classe dirigente odierna crede in un cambiamento incessante. Ora, una delle ragioni di ciò sono gli interessi professionali e finanziari delle PMC: se non è in bancarotta, non si guadagna nulla riparandola, né discutendone in tribunale, né scrivendo commenti feroci al riguardo. Ma gran parte di ciò è da ricercare anche nell’influenza della versione insipida del liberalismo sociale ed economico che occupa lo spazio nella mentalità delle PMC dove normalmente ci si aspetterebbe di trovare un’ideologia. Questa non è altro che un’ossessione per una libertà personale sempre maggiore per coloro che hanno il potere e il denaro per esercitarla, e una coercizione sempre maggiore per coloro che si oppongono a questa ideologia. (Il paradosso per cui il liberalismo richiede un imponente apparato coercitivo per imporre la sua ideologia di libertà è stato ampiamente notato nelle ultime generazioni.)

Questa ideologia è spesso considerata, e ancor più spesso descritta, come “Progresso”, soprattutto nella sua dimensione sociale, ma ho coniato il termine piuttosto sgradevole di “Recentismo” per descrivere ciò che penso stia realmente accadendo. In sostanza, il PMC è costituito da molte fazioni che coesistono in modo scomodo, il cui interesse collettivo è salvaguardato dall’accettazione, da parte di ciascuna, degli obiettivi e delle priorità delle altre, anche a rischio del tipo di incoerenza descritto sopra. Pertanto, quando una parte del PMC riesce a imporre un “cambiamento”, altre parti, con maggiore o minore entusiasmo, si schierano inconsapevolmente a suo favore. Un esempio potrebbe essere il matrimonio omosessuale: appena preso in considerazione vent’anni fa, è stato adottato come attuale pietra di paragone del PMC per essere “moderno” e quindi virtuoso. Gran parte del PMC è, nella migliore delle ipotesi, indifferente all’idea, ma in quanto qualcosa di recente e quindi definito “moderno”, deve essere sostenuto. Al contrario, qualsiasi cosa non codificata come “moderna”, soprattutto se codificata come “tradizionale”, è automaticamente sospetta e negativa. In linea di principio, la cultura che non rispecchia l’attuale ideologia, la religione, il patriottismo e le strutture sociali obsolete sono tutte negative, o quantomeno discutibili. Certo, stabilire se un’idea o una pratica sia recente non è un’euristica molto valida per decidere se sia accettabile, ma se questa è l’unica euristica che hai (ed è l’unica che il liberalismo abbia mai avuto), è quella che ti ritrovi con. D’altra parte, andiamo a quella rappresentazione del Flauto Magico , siamo interessati al Buddismo Zen, tifiamo per la nostra nazionale di calcio e facciamo un ritiro spirituale in un paese dove le cose sono meno stressanti. Ci contraddiciamo? Benissimo, allora ci contraddiciamo. Conteniamo moltitudini e abbiamo il controllo.

Il Recentismo Irrazionale è ovviamente uno sviluppo del classico pensiero liberale teleologico, basato sull’idea che tutto ciò che è nuovo è necessariamente migliore di ciò che è vecchio. (Ciò richiede il tipo di riscrittura della storia moderna di cui ho parlato altrove.) Nella sua forma più organizzata, questa idea è chiamata – o almeno era chiamata – Teoria della Modernizzazione, e una sua versione volgarizzata è alla base dell’approccio incoerente del PMC al mondo esterno, inclusa la crisi in Ucraina, così come ad aspetti della politica interna.

La Teoria della Modernizzazione ebbe origine negli anni ’50 e ’60, al culmine della pace e della prosperità del dopoguerra, e fu di fatto la teoria sociologica dominante dell’epoca. Concepita sia a livello micro, familiare e lavorativo, sia a livello macro, sociale e governativo, e ispirandosi alle intuizioni di figure come Marx, Durkheim e Weber, vide le società evolversi costantemente verso una situazione “moderna” di democrazia liberale, libertà personale e prosperità economica. Sebbene battuta dall’esperienza, la teoria resistette, per essere poi ripopolarizzata, seppur in forma caricaturale, da Francis Fukuyama, l’ uomo della Fine della Storia . E se l’accettazione accademica della teoria è ormai svanita , almeno nella sua forma più grezza, essa continua a esercitare una forte influenza sul pensiero degli ambienti del PMC e a fondare gran parte dell’attuale politica occidentale.

Era una teoria soddisfacente perché era teleologica, in contrapposizione alle teorie statiche di altre epoche, e perché implicitamente l’Occidente era il punto di riferimento, l’avanguardia del futuro. Tutto ciò che le altre società dovevano fare era copiare le innovazioni politiche e sociali dell’Occidente. Quelle che non lo fecero, combatterono contro il corso della storia e agirono persino contro gli interessi del loro popolo e del loro Paese. Così, negli anni ’60, ogni importante governo occidentale istituì un Ministero dello Sviluppo e inviò personale a sviluppare gli altri. Si credeva che lo sviluppo fosse inevitabile e necessariamente nella direzione già intrapresa dall’Occidente, ma poteva ancora ricevere una mano. Non c’era motivo, ad esempio, per cui l’Africa non potesse compiere il balzo da una società prevalentemente agricola a una industrializzata di tipo occidentale in un paio di generazioni, e i documenti dell’epoca dipingevano un quadro abbagliante dell’Africa del 2020, difficilmente distinguibile dall’Europa. Le nazioni africane furono incoraggiate a dedicarsi alla produzione di colture commerciali per l’esportazione, per generare fondi per una rapida industrializzazione. Allo stesso tempo, ci si aspettava che altri rapidi sviluppi e l’urbanizzazione avrebbero portato all’ascesa di una classe media di stampo occidentale e di una democrazia parlamentare liberale. Va aggiunto che la prima generazione di leader indipendentisti africani era totalmente devota alla Teoria della Modernizzazione e si proponeva di creare stati e società secondo i modelli occidentali (e talvolta sovietici) a tutta velocità.

Il fatto che questo non abbia funzionato è dovuto solo in parte alla deregolamentazione dei prezzi delle materie prime negli anni ’80, che ha causato danni così gravi alle economie africane. La realtà è che la Teoria della Modernizzazione era un concetto irrimediabilmente imperfetto e ha ripetutamente fallito nella sua applicazione. Eppure, come molte idee fallite, ha vissuto un’esistenza fantasma per alcuni decenni, e il suo cadavere ha ricevuto un breve elettroshock dopo la fine della Guerra Fredda. Nel mondo accademico, naturalmente, le cattive idee non muoiono mai del tutto: vengono solo riconfezionate come nuove, spesso, addirittura, con l’aggiunta del prefisso “neo”. C’era troppo capitale intellettuale e politico investito nella Teoria della Modernizzazione perché si potesse lasciarla svanire silenziosamente, e in ogni caso, l’Occidente, in tutte le sue manifestazioni, non era disposto ad accettare che esistessero altre strade per creare società “moderne”. Inoltre, da buoni liberali, i pensatori occidentali apprezzavano soprattutto le idee e le convinzioni corrette: una società è “moderna” se ha abbracciato il matrimonio omosessuale, anche se la sua gente muore di fame per strada. Il successo della Cina nel liberare il suo popolo dalla povertà, ad esempio, non avrebbe mai dovuto realizzarsi secondo la Teoria della Modernizzazione, o almeno non nel modo in cui è avvenuto. Da qui il digrignare dei denti che si sente dalla lobby dello sviluppo.

Da qui anche la continua esistenza e il potere dei Ministeri dello Sviluppo. Imperterriti da decenni di fallimenti, continuano a stipulare contratti per quelli che oggi sono principalmente progetti volti a diffondere idee sociali e politiche liberali “moderne”, come si può vedere dai loro siti web. Ho già scritto ampiamente altrove sulle questioni relative agli aiuti e allo sviluppo, e non lo ripeterò qui. Voglio solo sottolineare quanto non solo le agenzie umanitarie, ma anche le lobby occidentalizzate che vi accedono, adottino una forma banalizzata di Teoria della Modernizzazione come presupposto di base. Questo orientamento deriva dall’alto, poiché i governi beneficiari, tra un discorso di massa e l’altro sul neoimperialismo, si sforzano di imitare i governi occidentali in ogni modo. (L’Unione Africana, ad esempio, è essenzialmente solo una pallida copia carbone dell’UE, priva delle risorse o della capacità di svolgere un lavoro simile.)

Per molti versi questa continuità non sorprende, perché la Teoria della Modernizzazione fu solo la penultima incarnazione di un impulso messianico occidentale di lunga data volto a migliorare altre società. Si può sostenere che questo ebbe inizio con i missionari spagnoli e portoghesi in America Latina, ma ricevette il suo vero impulso dall’ascesa del Liberalismo, con le sue idee normative e progressiste, nel XIX secolo. Una volta che l’idea che le cose potessero cambiare e migliorare iniziò ad essere accettata, l’ovvio corollario fu il dovere di diffondere questi potenziali benefici più ampiamente ai meno fortunati. A differenza degli Imperi tradizionali come quello Ottomano, che erano per natura statici e anzi reprimevano violentemente i tentativi di cambiamento, gli Imperi europei di breve durata in Africa e Medio Oriente furono potenti agenti di cambiamento, sia deliberatamente che incidentalmente. Deliberatamente, perché gli inglesi e i francesi abolirono la schiavitù e la poligamia, istituirono codici legali scritti e sistemi giudiziari formali e introdussero l’istruzione e l’alfabetizzazione. Tra l’altro, perché le idee politiche e sociali occidentali iniziarono a diffondersi per osmosi, attraverso le traduzioni di libri occidentali, la diffusione di film occidentali e gli effetti dell’istruzione ricevuta in Europa o da europei. Soprattutto in Medio Oriente, ciò produsse profondi cambiamenti sociali, ad esempio nello status sociale delle donne, nonché negli sviluppi politici (il Partito Comunista Iracheno fu fondato già nel 1934). Al momento del fiorire della Teoria della Modernizzazione, le nazioni arabe indipendenti erano in gran parte governate da tecnocrati laici e progressisti, la religione era una forza in declino, si stavano formando partiti politici moderni e la Siria, ad esempio, sarebbe presto diventata simile alla Francia. L’Africa rimase un po’ indietro, ma era impegnata nell’industrializzazione e nello sviluppo di strutture statali moderne. Naturalmente, questi stessi sviluppi contenevano i semi della loro stessa distruzione, ma all’epoca non se ne rese conto e le sue conseguenze non vengono ancora prese in considerazione.

La convinzione che ci fosse un’unica, ineluttabile via per il progresso, e che l’Occidente l’avesse tracciata e fosse già molto avanzato, si scontrò con tre enormi ostacoli, che hanno ancora oggi profonde implicazioni. Il primo è che trascurò completamente la politica nel suo significato più fondamentale, quello di base. Si credeva che l’urbanizzazione avrebbe automaticamente prodotto una classe media professionale che a sua volta avrebbe richiesto uno Stato moderno ed efficiente e avrebbe formato partiti politici moderni in stile occidentale, liberi da affiliazioni religiose o etniche. Sebbene ciò potesse accadere, e accadde in una certa misura in paesi come la Siria e il Libano, ben presto si rivelò non automatico, né tantomeno probabile. La teoria trascurò generazioni, e a volte secoli, di conflitti sociali ed economici in Occidente per sostituire le economie estrattive con quelle produttive e il potere dell’aristocrazia con quello della classe media. In troppi paesi, la politica divenne – e spesso rimane – solo una lotta per assicurarsi un flusso di reddito, come accadde nell’Europa del XVIII secolo. E i paesi che sono diventati aggressivamente moderni – mi vengono in mente Singapore e Corea del Sud – lo hanno fatto a modo loro e con le proprie risorse, ignorando completamente la Teoria della Modernizzazione. Più di recente, il successo della Cina è stato fonte di ispirazione per tutti quei paesi che cercano una via non ideologica verso una società migliore, piuttosto che una semplice “modernizzazione” nel banale senso occidentale.

In secondo luogo, e come ci si poteva aspettare, il risultato dell’influenza occidentale fu la creazione di un’élite neocoloniale occidentalizzata che la pensava “come noi”, che parlava inglese o francese e ci diceva quello che volevamo sentirci dire in cambio del nostro denaro. Questo sarebbe stato gestibile se il pensiero occidentale non fosse stato così teleologico e normativo. Ma poiché avevamo ragione, ne conseguiva che chiunque fosse d’accordo con noi aveva anche ragione e guardava al futuro, e che i loro oppositori avevano oggettivamente torto e potevano essere ignorati o addirittura osteggiati dall’Occidente. In molte parti del mondo, si riconobbe presto che la via per il potere era dire le cose giuste ai governi e ai finanziatori occidentali. A sua volta, l’Occidente vi avrebbe riconosciuto come la voce del futuro e il paladino delle (presunte) aspirazioni del popolo a società “moderne” e occidentali. Poiché il processo di modernizzazione era considerato inevitabile oltre che auspicabile, intere categorie sociali, sistemi sociali e di governo tradizionali, codici giuridici tradizionali, religione, strutture sociali tradizionali e molto altro potevano essere semplicemente ignorati, poiché erano chiaramente reliquie del passato. Ciò ha prodotto in molti paesi un’élite occidentalizzata essenzialmente dipendente dai finanziamenti e dal sostegno esteri per la propria sopravvivenza. Eppure, quell’élite, spesso ricca e privilegiata, ha spesso goduto di scarso sostegno nella società nel suo complesso, ed è stata spesso attivamente risentita. Così, con monotona regolarità, l’Occidente è stato “sorpreso” da qualche risultato elettorale del tutto inaspettato, e “reazionari” ed “estremisti” hanno vinto le elezioni, nonostante le rassicurazioni fornite dai leader “filo-occidentali” di lingua inglese, sempre invitati presso le ambasciate. (Naturalmente, se ha vinto la parte sbagliata, ci deve essere una cospirazione da qualche parte.)

In terzo luogo, e soprattutto, l’idea che tutti vogliano essere “moderni” come li intendiamo noi si rivela una semplificazione enorme. Non è solo che alcune società affrontano i temi della modernizzazione e dello sviluppo in modo diverso dall’Occidente – ho già menzionato un paio di casi – ma anche che altre non vogliono affatto essere “moderne” nel senso che intendiamo noi. Quest’ultimo punto è qualcosa di completamente impossibile da immaginare per l’ideologia frammentata e superficiale del PMC, ma è comunque fondamentale. La prima volta che l’Occidente è stato schiaffeggiato in faccia con il pesce fresco della realtà su questo argomento è stata la Rivoluzione iraniana e l’insediamento della Repubblica Islamica nel 1979. Per caso, di recente ho consultato alcuni studi su questo episodio, ed è giusto dire che pochi argomenti sono stati studiati quanto l’incapacità dell’Occidente di anticipare il regime di Khomeini, eppure pochi episodi hanno avuto così poca influenza sulla comprensione e sul comportamento occidentali. L’Islam politico – le cui origini, ironicamente, possono essere ricondotte all’opposizione all’influenza liberalizzante e modernizzatrice di Gran Bretagna e Francia nell’Egitto degli anni ’20 – era praticamente sconosciuto all’epoca. Ora lo si capisce, almeno se si contano gli scaffali pieni di libri e studi, ma tale comprensione è limitata a esperti e specialisti regionali e non sembra influenzare affatto il pensiero ufficiale. Ciò non sorprende, perché in breve, l’Islam politico afferma che non c’è bisogno di “modernizzazione”, e anzi è peccaminoso, perché tutto ciò di cui si potrebbe aver bisogno per governare una società è nel Corano e negli Hadith. Non c’è progresso, non c’è teleologia, se non nelle fantasie apocalittiche di alcuni militanti, e la diabolica influenza occidentale deve essere contrastata con tutti i mezzi, compresa la violenza. E di violenza ce n’è stata molta.

Ciò crea enormi problemi all’ideologia del PMC. Da un lato, si tratta di un attacco esplicito a ogni minima componente della loro diffusa visione del mondo, ma dall’altro molti dei suoi esponenti e praticanti provengono da paesi che un tempo erano, seppur per breve tempo, possedimenti occidentali, e si dipingono, o possono essere ritratti, come in qualche modo coinvolti in una lotta “anti-occidentale”. Il PMC affronta questa contraddizione, come tutte le altre, fingendo che non esista. Gli atti violenti degli islamisti vengono elegantemente confezionati come “tragedie”, e il vero problema non sono i morti, ma il loro potenziale “sfruttamento” da parte “dell’estrema destra”. Nel frattempo, è fico per alcuni sfilare vestiti da combattenti di Hamas, e pensare che chiunque lanci missili contro navi americane debba avere qualcosa da raccomandare, no? E quindi il risultato ironico è che i nemici che l’Occidente identifica e cerca di rovesciare sono in realtà regimi laici, come quelli in Iraq, Siria e Libia, dove non può esserci alcun sospetto di prendere di mira l’Islam.

Il punto non è se queste opinioni siano giuste o sbagliate, ma piuttosto l’effetto paralizzante che hanno sulla politica occidentale e l’effetto disastroso che hanno sui paesi a cui vengono applicate. L’ingenuità tragicomica delle aspettative degli Stati Uniti per un Iraq “democratico” del dopoguerra, che stava rapidamente diventando simile agli Stati Uniti stessi, si è trasformata in pura tragedia con una successiva guerra civile disgustosamente violenta persino per gli standard statunitensi. Spesso, anche gli stranieri erano coinvolti. In un’occasione, sono arrivato in Afghanistan subito dopo il massacro di un team di una ONG che lavorava a progetti per le donne che erano state uccise in un’imboscata, insieme alla loro scorta di ex Gurkha fornita da una compagnia militare privata (sibilo! buuu!). Non ho mai scoperto cosa le attiviste delle ONG si fossero proposte di fare per le donne afghane che le rendesse meritevoli di morte, ma in realtà avrebbe potuto essere quasi qualsiasi cosa.

La mentalità del PMC, incapace di immaginare che esistano gruppi che vogliono davvero ucciderli per quello che sono, si rifugia nella negazione, spesso con forti connotazioni culturali e razziste. Nel 1998, l’ambasciatrice statunitense a Nairobi si rese impopolare presso il Dipartimento di Stato per aver chiesto maggiore sicurezza da sospetti attacchi di Al-Qaeda. Non fu fatto nulla, i suoi timori furono liquidati come esagerati e un attacco al di là delle capacità di AQ. Circa 220 persone morirono nell’enorme esplosione di un camion bomba, quasi tutti kenioti, passanti o lavoratori negli edifici adiacenti. E naturalmente il PMC si rifiutò categoricamente di raccogliere segnalazioni di attacchi pianificati in Europa dallo Stato Islamico, e anche dopo il massacro cercò di insabbiare gli incidenti insieme alle vittime. Dopotutto, ciò che conta sono i “Mi piace” e ciò che appare bello. Non furono per lo più i nostri figli a morire, e la cosa importante è dimostrarci a vicenda quanto siamo virtuosi e tolleranti. Particolarmente triste è stata la risposta del genitore di una vittima delle stragi di Parigi del 2015, autore di un libro intitolato ” Non avrai il mio odio” . Molto lodevole, e una pura espressione della superiorità morale occidentale. Ma gli aggressori non vogliono il tuo odio, ti vogliono solo morto.

Il quadro normativo della pseudo-ideologia del PMC è così soffocante che si rifiuta di comprendere o riconoscere che per le società e i gruppi di tutto il mondo quell’ideologia è un nemico, da combattere con armi e bombe. Dovremmo parlare, dicono, per scoprire cosa vogliono queste persone. È facile: vogliono ucciderci. Basta chiedere ai loro stessi Paesi, che sono stati le principali vittime. Per quanto la deradicalizzazione possa funzionare in certi contesti, queste organizzazioni, in aumento di numero e ferocia, non sono negoziabili, e certamente non possono essere convinte del nostro modo di pensare “moderno”. Anzi, per amara ironia, le interviste a molti giovani europei partiti per combattere in Siria dimostrano che è stata proprio la società “moderna” in cui vivevano a spingerli alla disperazione mortale e al desiderio di trovare una causa per cui combattere, e forse morire. Tali organizzazioni possono solo essere distrutte, per quanto simili idee facciano sputare dal cielo il loro Chai Tea Latte con indignazione.

Come sempre, il PMC vuole rifugiarsi nelle famose Cause Fondamentali di cui ho parlato altrove . Non molto tempo fa stavo discutendo della crisi nel Sahel e uno studente aveva fatto una presentazione che si concludeva con il giudizio convenzionale secondo cui le “cause fondanti” dovevano essere affrontate. Queste cause includono vaste aree a bassa densità di popolazione, divisioni etniche, povertà e insicurezza diffuse, governi deboli e corrotti e forze di sicurezza inefficaci, per citare solo le prime che mi vengono in mente. OK, ho detto, ti darò qualsiasi somma di denaro ragionevole. Quando puoi risolvere i problemi di fondo? Entro la fine dell’anno? Entro l’anno prossimo? Entro cinque anni? Certo, i problemi sono insolubili, come ammetterebbe qualsiasi persona razionale, e il riferimento a essi è solo il modo del PMC di non fare nulla e continuare a compiere gesti performativi per dimostrare la propria virtuosità. Nel frattempo, la gente muore.

Il PMC non riesce ad accettare l’idea che esistano problemi senza soluzione e che, nella migliore delle ipotesi, possano solo essere gestiti. La sua etica è quella della legge e dei negoziati finanziari, dove una soluzione è per definizione possibile. Certo, ci sono “estremisti”, “nazionalisti” e “violatori dei diritti umani” che devono essere rimossi dal potere per primi, ma una volta che Saddam, Milosevic, Gheddafi, Assad e ora, naturalmente, Putin saranno stati eliminati, tutto andrà bene e ogni cosa andrà bene. La Teoria della Modernizzazione trionferà e tutti questi stati saranno sulla buona strada per assomigliare a noi. E quando uno stato volta ostentatamente le spalle alla Teoria della Modernizzazione e decide di fare di testa sua, e quel che è peggio ci riesce, allora l’odio del PMC non conosce limiti. Così come l’Ucraina, che per il PMC è una guerra santa tra chi vuole essere come noi (pensiamo) e chi non lo vuole.

Quindi la Russia è il comodo ricettacolo di una grande quantità di rabbia cieca rivolta contro le nazioni di tutto il mondo che non vogliono essere come noi. Poiché i russi sono bianchi e pochi sono musulmani, sono bersagli accettabili, e il PMC può concedersi un’orgia di odio, intolleranza e pregiudizio in un modo che sarebbe difficile da fare contro la maggior parte degli altri bersagli. Ma il vero bersaglio di tutto questo odio non sono i russi, che sembrano non farci caso. Non sono nemmeno le popolazioni dei paesi occidentali, per la maggior parte. No, le grida di guerra, le dichiarazioni di sostegno intransigente all’Ucraina per sempre, le affermazioni di un conflitto imminente con la Russia, sono essenzialmente rivolte l’una contro l’altra, per ottenere “Mi piace” ed evitare di essere espulsi dal gruppo per non essere sufficientemente radicali. Il fatto che gran parte di questa comunicazione avvenga in realtà sui social media è quasi troppo caricaturale per essere vero.

E poi, una volta che “Putin se ne sarà andato”, il servizio sarà ripristinato alla normalità e i negoziati potranno iniziare. Le PMC saranno di nuovo contente. Ma, per quanto ne so, i russi non ne vogliono sapere. Non sono interessati ai negoziati in questa fase, e dal loro punto di vista hanno ragione a non esserlo. Questo non è un problema di soluzione negoziata, ma di soluzione che può essere risolta solo con una vittoria militare. Quando ciò accadrà, il vertice aziendale delle PMC esploderà.

Lukashenko & Lavrov alla Conferenza internazionale di Minsk sulla sicurezza eurasiatica_a cura di Karl Sanchez

Lukashenko e Lavrov alla Conferenza internazionale di Minsk sulla sicurezza eurasiatica

Una lettura essenziale ma piuttosto lungaKarl Sanchez LEGGI NELL’APP 

È la fine di ottobre ed è tempo per un’altra Conferenza internazionale di Minsk sulla sicurezza eurasiatica, la terza. La sala era gremita di partecipanti, dato che l’importanza dell’argomento continua a crescere. Come ha sottolineato il presidente Lukashenko nel suo discorso, l’UE e la NATO hanno cercato di impedire alle persone interessate di partecipare, il che solleva la domanda: perché? Non c’è abbastanza spazio in Eurasia per più di una conferenza annuale sulla sicurezza (quella di Monaco)? The Gym ha raramente riportato i discorsi del presidente Lukashenko, il che rende difficile per i lettori conoscere e comprendere il suo modo di parlare unico. Gli editori delle trascrizioni hanno aiutato nella maggior parte dei casi, anche se rimangono alcune difficoltà. Entrambi i discorsi sono stati pronunciati oggi e la conferenza si concluderà domani. Molti altri interverranno. Quest’anno sono rappresentate 48 nazioni, il che è un miglioramento, ma è necessario che partecipino in più. Lukashenko ne parla e Lavrov fa eco ad alcuni dei suoi punti chiave. Quindi, per primo viene il discorso del presidente Lukashenko:

Lukashenko & Lavrov alla Conferenza internazionale di Minsk sulla sicurezza eurasiatica

Una lettura essenziale ma piuttosto lunga

Karl Sanchez

28 ottobre 2025

È la fine di ottobre ed è tempo di un’altra Conferenza internazionale di Minsk sulla sicurezza eurasiatica, la terza. La sala era piena di persone venute per partecipare, dato che l’importanza del tema continua a crescere. Come ha osservato il Presidente Lukashenko nel suo discorso, l’UE/NATO ha cercato di impedire la partecipazione di persone interessate, il che fa sorgere la domanda: non c’è abbastanza spazio in Eurasia per più di una conferenza annuale (a Monaco) sulla sicurezza? La Palestra ha raramente riportato i discorsi del Presidente Lukashenko, il che rende difficile per i lettori imparare e comprendere il suo modo di parlare unico. I redattori delle trascrizioni hanno aiutato nella maggior parte dei casi, anche se rimangono alcune difficoltà. Entrambi i discorsi sono stati pronunciati oggi e la Conferenza termina domani. Molti altri interverranno. Quest’anno sono rappresentate 48 nazioni, il che rappresenta un miglioramento, ma è necessaria una maggiore partecipazione. Lukashenko ne parla e Lavrov riprende alcuni dei suoi punti chiave. Quindi, per prima cosa Il discorso del Presidente Lukashenko:

Cari partecipanti alla conferenza!

Vi ringrazio per avermi invitato a parlare alla nostra conferenza. Innanzitutto, vorrei darvi il benvenuto nella capitale bielorussa per la terza conferenza internazionale sulla sicurezza eurasiatica. La conferenza era attesa non solo da noi partecipanti, ma anche, ovviamente, dai nostri avversari, che oggi osservano da vicino Minsk. Non tutti dovevano arrivare a Minsk oggi. Questo è l’obiettivo perseguito da alcuni dei nostri vicini quando hanno messo in atto questa folle truffa con la chiusura delle frontiere. E hanno trovato una ragione assurda. I palloncini. Anche per un Paese piccolo come la Lituania, questo è poco.

Ebbene, i “più grandi” stanno già pretendendo le nostre scuse. Ho ricevuto informazioni simili in mattinata. Sapete, se siete colpevoli, dovete sempre chiedere scusa. E se siamo convinti di essere colpevoli, ci convinceremo di questo (stanno cercando di convincerci ora), siamo pronti a discuterne pubblicamente, ci scuseremo. Questo è certo. Ma se alcuni palloncini con sigarette o altro volano lì, credo che la questione debba essere risolta lì. Non sono volati chissà dove. Qualcuno li ha accettati o li sta portando lì. Qualcuno è interessato a questo. È necessario trovare e stroncare queste cose sul nascere. Beh, questo è solo un dispetto, perché sono sicuro che avete seguito questo problema.

Dichiaro responsabilmente che non si tratta di un contrabbando straordinario. Ma questo la dice lunga sul potenziale politico della nostra conferenza, se stanno cercando di bloccarla.

Il cosiddetto mondo civilizzato è giunto alla sua fine. Questo è certo. Le azioni non solo dei nostri vicini, ma anche dell’Europa e di altre forze nel loro complesso (non dobbiamo lusingarci degli Stati Uniti d’America) sono lo stesso elemento di guerra ibrida della recente chiusura del confine da parte di Varsavia. Ebbene, a cosa ha portato? La Repubblica Popolare Cinese, insieme alla Russia, ha trovato dei rimedi, come si suol dire. Il movimento di merci lungo la Via del Mare del Nord è aumentato e, di conseguenza, ci sono state enormi perdite – non solo in Bielorussia (abbiamo guadagnato qualcosa dal transito), ma anche in Polonia. Ha guadagnato il 65-70% da questo transito di merci cinesi (parlo solo di quelle cinesi). Il resto – il movimento di merci in Kazakistan, Russia e attraverso la Bielorussia – 30-35% – ha rappresentato i nostri Paesi. Chi ci ha rimesso? È chiaro chi.Ora stanno cercando di trovare una via d’uscita da questa situazione. Improbabile. Sapete cos’è la Cina e conoscete i suoi approcci in questo senso.

Questo è il XXI secolo: cieli chiusi, filo spinato, rifiuto totale del dissenso. E questo è solo l’inizio. Hanno paura che qui si possa ascoltare un punto di vista alternativo.Hanno paura di tutti noi, di voi, della vostra analisi, della vostra conoscenza della situazione, della vostra capacità di trasmetterla alla gente, della vostra voce. E lei, nonostante tutto, le sono grato per questo, è venuto a Minsk. Siamo sempre felici di vederla a Minsk.

Ogni anno la conferenza diventa sempre più richiesta e ha già preso posto nel calendario degli eventi internazionali. Oggi partecipano rappresentanti di 48 Paesi, mentre l’anno scorso erano 38. Perché?

In primo luogo. In quale altro luogo si possono discutere apertamente e onestamente le questioni fondamentali di sicurezza del nostro continente comune? A Monaco? È possibile. Ma vogliono vedere e ascoltare solo coloro che sono passati attraverso il “setaccio ideologico”, di cui ci rimproverano.

Se avessero voluto, l’anno prossimo, probabilmente, in base a quanto abbiamo visto all’ultima conferenza, gli americani non sarebbero stati ammessi.Improvvisamente torneranno a dire la verità sul “giardino europeo”: sui valori perduti, sulla dipendenza, sull’ipocrisia, sulla censura e sui doppi standard.

In secondo luogo. Nel campo della sicurezza, purtroppo, ci sono ancora un gran numero di problemi che devono essere discussi, esoprattutto, per trovare soluzioni.

Di recente siamo riusciti a trovare soluzioni (spero a lungo termine) a diversi conflitti di vecchia data: L’Azerbaigian e l’Armenia hanno firmato un accordo di pace e la guerra di due anni a Gaza è cessata. Ma questo è solo l’inizio. Speriamo che sia un buon inizio.

Nel resto delle zone calde non c’è alcun barlume di speranza. All’ultima conferenza ho fatto l’esempio che nel mondo ci sono circa 50 conflitti armati di varia intensità. Il numero massimo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale! Ebbene, non sorprende che Trump abbia presumibilmente impedito sei o sette conflitti e guerre. Arriva il 50! Non tanto (fermato da Donald Trump – ndr).

L’amarezza, il numero di vittime, di rifugiati e di perdite economiche sono in aumento. Una sfida a parte è rappresentata dalle presunte rivoluzioni spontanee della Generazione Z (ricordate Bangladesh, Nepal, Madagascar?).

E la ragione principale della mancanza di progressi nella de-escalation globale è il costante disinteresse per il principio della sicurezza indivisibile.

Di conseguenza, le relazioni internazionali oggi devono essere caratterizzate non in termini di fiducia e cooperazione, ma in termini di chilometri di nuove barriere e megatoni di armi letali. Dietro questa pericolosa matematica – il destino non di singole persone, ma di tutta l’umanità!

Ignorare la semplice verità che la sicurezza di uno Stato non può essere costruita a spese di un altro è un errore tragico, se non fatale. I drammatici eventi in Ucraina e in Medio Oriente ne sono la diretta conferma.

I politici occidentali sono ancora convinti di poter costringere tutti a seguire i loro interessi. E chi non si piega viene isolato. Ma non vogliono capire e accettare la realtà di oggi.

La loro politica di sanzioni illegali e di nuove linee di demarcazione – che si tratti di barriere ideologiche, della chiusura del confine, del cielo – è stata un’ottima idea.è una strada diretta verso l’autoisolamento dal mondo che cerchiamo. Un mondo che ha fatto un passo avanti, in cui emerge la comprensione della necessità di una convivenza senza conflitti, della tolleranza e del rispetto delle differenze. In una parola, un mondo in cui la Maggioranza Globale ha capito di essere un partecipante a tutti gli effetti e a pieno titolo. Sono certo che questo processo continuerà.

Ma i Paesi dello spazio eurasiatico hanno tutto per contribuire al reciproco sviluppo. Si tratta di un mercato enorme, di risorse ricche, di alta tecnologia e di un potenziale umano inestimabile! Dobbiamo cercare soluzioni ai momenti problematici. In modo aperto, con attenzione ai risultati, ma tenendo conto dei nostri interessi.

Siamo onesti, visto che siamo qui. Qui diciamo: la maggioranza globale, il continente eurasiatico – possiamo fare molto, possiamo fare molto, possiamo fare molto. Questo è vero. Ma il problema più grande è che non solo non stiamo facendo nulla in questa direzione, ma ci stiamo muovendo molto debolmente in questa direzione. Siamo tutti consapevoli che non possiamo camminare sempre con le ginocchia piegate e piegarci a un solo Paese o a una sola persona. Lo capiamo molto bene.

Imponendo sanzioni oggi… Ok, sanzioni. Quante di queste sanzioni sono già state imposte di recente. Ma siamo già arrivati al punto di rubare, che è quello a cui siamo sempre stati spinti. Prendete l’oro e le riserve di valuta estera della Russia, della Bielorussia, forse di qualcun altro. Ma loro (i Paesi occidentali – ndr) sono sempre stati favorevoli a che noi conservassimo le nostre riserve d’oro e di valuta estera dove? Se abbiamo riserve d’oro e di valuta estera in casa, non sono riserve d’oro e di valuta estera. È necessario portarle da qualche parte in banche di prima classe, in Stati affidabili. Prendete. E allora? Hanno già raggiunto il punto in cui hanno iniziato a prendere questi soldi come propri senza un briciolo di coscienza e a indirizzarli dove meglio credono.

C’è ancora un piccolo gioco in corso: ah, il Belgio vuole qualcosa o non vuole qualcosa, gli Stati Uniti d’America… “E se prendessimo queste riserve (leggi: russe) – il diritto internazionale crollerebbe”. Dio sia con voi, è crollato da tempo. È solo un gioco in corso. Stanno cercando di stupire noi (siamo impossibilitati, siamo persone illuminate) e le persone nel mondo. La questione è stata risolta da tempo. Banditismo e furto.

Lo dico perché dobbiamo reagire in qualche modo. Ne ho parlato, credo, in occasione di una grande conferenza SCO in Cina e in altri Paesi. Dobbiamo reagire a questa situazione. Se gli americani non vogliono che usiamo il loro dollaro (e vivono bene con esso), allora dobbiamo muoverci per creare una moneta alternativa.

Se vediamo che oggi stanno combattendo tutti insieme (qualcuno ci gioca anche e così via), ma il loro obiettivo è chiaro (chi ha studiato la storia lo capisce), che prima o poi arriveranno comunque alla politica che hanno sempre perseguito.

Temo che anche la posizione degli americani nei confronti della Russia sul conflitto ucraino sia un gioco di prestigio. I dati più recenti lo dimostrano sempre di più. Non mi piacerebbe. Vorrei che questa guerra finisse come è giusto che sia. E qui non ci può essere alcun gioco.Perché, come dice lo stesso Trump, molte persone stanno morendo. Ma queste sono chiacchiere.

Siamo tutti consapevoli che oggi queste sanzioni possono essere applicate ad altri Paesi. Se l’India non ascolterà e continuerà a comprare petrolio nel posto sbagliato – potranno imporre sanzioni contro di essa. Più di un miliardo e mezzo di persone! Tutti capiscono che domani potranno fare pressione con mezzi militari (si pensi al Venezuela).Tutti capiscono che possiamo arrivare a questo. Bene, uniamoci, creiamo una sorta di alternativa, partendo dai calcoli e finendo con una certa dimostrazione delle nostre capacità. E sono.

Esistono queste opportunità, ma non le sfruttiamo. Stiamo tutti aspettando che si occupino di noi uno per uno. Quindi, facendo un cenno all’Occidente, dobbiamo concludere che non siamo sempre bravi in questo senso e non facciamo ciò che va fatto oggi. E se non lo facciamo oggi, domani sarà troppo tardi. Forse è già troppo tardi.

Cari partecipanti alla conferenza!

Vorremmo essere ottimisti sul futuro della sicurezza europea e, più in generale, eurasiatica. Ma i processi e i fenomeni reali che osserviamo non forniscono ancora una base seria per questo. Piuttosto.

Abbiamo ripetutamente avvertito che lo spazio comune di fiducia non può essere condiviso impunemente. Ora tutti devono raccogliere i frutti di una politica così miope. I ponti interstatali creati per decenni stanno crollando. I mercati che alimentavano intere regioni stanno scomparendo. I legami interpersonali che sembravano più forti dei disaccordi dei politici si stanno spezzando.

Quando gli Stati perdono le affidabili basi contrattuali della sicurezza e le misure di rafforzamento della fiducia non funzionano, aumenta il ruolo degli strumenti, compresa la deterrenza nucleare. Dopo tutto, è impossibile garantire la propria sicurezza se le garanzie giuridiche e politiche vengono calpestate, se i Paesi vicini cercano di accrescere il proprio potenziale militare in modo che sia molte volte superiore al proprio. E non esitano nella retorica aggressiva.

La domanda è: perché?Ho una sola risposta: purtroppo, in modo che la società si abitui sempre di più all’idea della guerra.

Recentemente, a noi e alla Russia è stato rimproverato che, qui, “domani, domani, domani…”. Beh, se non tagliamo la Polonia, e forse gli Stati baltici, o forse tutti insieme… Beh, almeno sfonderemo il Corridoio di Suwalki, come si dice spesso. Lo sento dire da quando lavoro come Presidente. Lavoro a lungo e sento tutto questo. Sono tutte sciocchezze. Vorremmo affrontare i problemi, in tutta franchezza, che abbiamo. Non puntiamo da nessuna parte, non abbiamo bisogno dell’Europa, di Parigi e di Londra. Anche la Lituania e la Polonia, anche Vilnius e Varsavia. Non abbiamo bisogno di loro. Non abbiamo bisogno di questa escalation.

Allora perché i polacchi spendono fino al 5% del PIL in armi? E anche la Lituania (vediamo quali processi interni si stanno svolgendo in quel paese) – aumentano il già magro budget, strappandolo per gli armamenti. A che scopo? La prima domanda.

La seconda domanda è: perché tutta questa retorica? Probabilmente si stanno preparando a questo. Pertanto, ve lo dico con franchezza e onestà. L’ho detto al Presidente della Russia e ad altri leader di Stati amici.

Ci prepariamo ogni giorno alla guerra per evitare che si verifichi.Allo stesso tempo, se la Polonia e gli Stati baltici vogliono cooperare con noi in modo umano… Non perché sono arrivati tre palloni aerostatici o droni (come si è scoperto, ucraini), di cui abbiamo avvertito i polacchi. Non potevamo distruggerli tutti, c’era poco tempo ed è sempre difficile. Li abbiamo informati. Hanno colpito le loro case con i loro missili. All’inizio hanno dato la colpa a noi e alla Russia, poi (grazie agli americani) hanno detto che no, a quanto pare questo non è un missile russo. Abbiamo scoperto che non era russo.

Questo è il modo in cui l’escalation va avanti. E sorge sempre la domanda: perché lo stai facendo, perché stai aumentando? Ho risposto a questa domanda.

Il trattato sulle garanzie di sicurezza firmato l’anno scorso nell’ambito dello Stato dell’Unione prevede l’uso di qualsiasi tipo di arma, comprese le armi nucleari. Per protezione! Vorrei sottolineare ancora una volta che questo passo è di natura puramente difensiva ed è stato compiuto nel rigoroso rispetto del diritto internazionale e delle disposizioni del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari.

Un’altra questione che eccita alcuni politici rabbiosi è il dispiegamento del sistema missilistico a medio raggio Oreshnik in Bielorussia. Nessuna aggressività! No!

Per dimostrarlo. Ricordiamo la storia. 1987: l’URSS e gli Stati Uniti, dopo lunghi negoziati, firmano il Trattato sull’eliminazione dei missili a raggio intermedio e a raggio ridotto. Questo documento divenne l’elemento più importante del sistema di prevenzione della distruzione reciproca dei blocchi contrapposti dell’epoca. Tuttavia, nel 2019, gli Stati Uniti si ritirarono da esso. È stato fatto un tragico passo indietro.

Sei anni fa, intervenendo in questa sala ad una conferenza internazionale, ho proposto la stesura di una dichiarazione politica multilaterale sul non dispiegamento di missili a raggio intermedio e a corto raggio in Europa, rendendola aperta all’adesione di tutti gli Stati interessati. Purtroppo, non hanno voluto ascoltare la proposta della Bielorussia.. Ed è chiaro il perché. Anche perché, forse, “beh, cos’è la Bielorussia…”. Non è la Cina, non è l’India, non ha le risorse giuste, probabilmente non ha il valore giusto. Pensiamo ancora in queste categorie.

Alcuni Paesi europei hanno già annunciato la loro intenzione di schierare sistemi missilistici a medio raggio. Perché rimproverarci? E questo è uno dei tipi di armi più pericolosi! Tempo di volo: minuti. In caso di errore o di provocazione, non ci sarà tempo per capirlo.

Quindi, il dispiegamento di queste armi in Bielorussia non è altro che una risposta all’escalation della situazione nella regione e alle minacce moderne. Per favore: lasciamo perdere, e il discorso su “Hazel” finirà. Ma loro non vogliono.Non minacciamo nessuno, ci limitiamo a garantire, come ho detto, la nostra sicurezza. Inoltre, siamo sempre aperti al dialogo costruttivo e a passi reciproci per ridurre le tensioni. Se i nostri partner occidentali sono pronti a questo, sono convinto che né noi né la Russia resteremo indebitati”..

Ma finora sembra che l’Europa non abbia bisogno di pace. I politici hanno dimenticato gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Credevano che l’accumulo di potenziale militare li avrebbe protetti. No, no e ancora no! Questa è una strada che non porta da nessuna parte, un altro passo sulla scala dell’escalation.

Nonostante tutti i nostri appelli, non c’è dialogo con i Paesi europei sulla sicurezza, sul controllo degli armamenti e sulle misure di rafforzamento della fiducia. L’esempio del Trattato sui cieli aperti è eloquente. Ci propongono affermazioni inverosimili sul mancato rispetto del documento, ma allo stesso tempo rifiutano completamente qualsiasi collaborazione.

Ok, hanno abbandonato l’etica protestante per il bene delle persone LGBT, ma dov’è la famosa razionalità occidentale?Davvero non capiscono che il controllo degli armamenti e le misure di costruzione della fiducia sono incomparabilmente più redditizie e meno costose della corsa agli armamenti? La scelta storica è semplice: distensione o escalation. Pertanto, scegliamo immediatamente la distensione. Prima lo facciamo, meglio sarà per noi e per le generazioni future.

Inoltre, l’Occidente, nella logica familiare dei due pesi e due misure, sta cercando di accusare artificialmente la Bielorussia di usare la migrazione come arma. Dichiaro chiaramente e inequivocabilmente: non siamo e non ci impegneremo nell’uso dei processi migratori in nessuna forma.

E chiamiamo le cose con il loro nome.La migrazione è innanzitutto una conseguenza delle crisi, una conseguenza delle economie distrutte, dei legami sociali spezzati e delle istituzioni statali distrutte in Africa, in Medio Oriente e in molti altri Paesi a causa della politica irresponsabile dello stesso Occidente collettivo.

Quando si destabilizzano e si bombardano altri Paesi, si sottraggono loro risorse e si mette a repentaglio il loro futuro, cosa ci si aspetta? Che le persone vengano lasciate sulle rovine delle loro case? No, andranno in un luogo dove, come sperano, c’è almeno una relativa sicurezza per loro e per i loro figli. E dite a questi sfortunati che non hanno il diritto di farlo.

Voglio fare una domanda: ditemi almeno un motivo per cui la Bielorussia dovrebbe proteggere l’Unione Europea, l’Europa dai migranti. Ebbene, perché?

In primo luogo, di fronte alla pressione globale delle sanzioni, non abbiamo né risorse aggiuntive né obblighi morali per risolvere i problemi di coloro che hanno imposto queste sanzioni. Ascoltate, ci stanno strangolando con le sanzioni e ci dicono: “Proteggeteci!”.

Ma siamo stati onesti. Non appena hanno imposto sanzioni e interrotto le relazioni con noi sulle questioni migratorie, ho detto loro onestamente e francamente: “Basta, ragazzi, non prenderemo nessuno qui e non lo proteggeremo”. No, non aiuteremo nessuno: le persone troveranno da sole la strada per arrivare dove sono state chiamate.

In secondo luogo, l’intera infrastruttura, tutti i progetti di cooperazione transfrontaliera sono stati limitati unilateralmente dai nostri vicini occidentali.

In terzo luogo, in Occidente, essi (i migranti – ndr) sono stati invitati lì.Ricordate la dichiarazione della seconda o terza economia del mondo? Angela Merkel (ex cancelliere della Germania. – NdR): “Venite, non c’è nessuno che lavora!”.

Ebbene, se vengono da voi (i migranti vengono anche da noi), create per loro condizioni di parità con la vostra gente. Bisogna vedere le persone in loro. È questo che facciamo.Coloro che vengono da noi – non importa se si sono trasferiti dalla nostra Russia (non sono nemmeno migranti), dal Kazakistan (anch’esso nostro popolo), dall’Armenia, da altri paesi, o dall’Afghanistan, dall’Uzbekistan e da altri paesi ancora – sono stati accolti da un gruppo di persone che si sono trasferite da noi.creiamo tutte le condizioni per loro, come in BielorussiaIstruzione gratuita a spese del bilancio: i vostri figli studiano insieme ai nostri nella stessa scuola e gratuitamente. A spese del bilancio, l’assistenza sanitaria in Bielorussia. E voi siete uguali.Avete mai sentito dire che gli immigrati hanno commesso alcuni crimini nel nostro Paese? Apprezzano l’atteggiamento che si sta sviluppando in Bielorussia nei loro confronti.

Chi impedisce all’Europa ricca (come si diceva, giardino o cosa) di farlo? Basta che lo faccia. E poi lavoreranno sulla vostra “Volkswagen” o “Mercedes”, assembleranno e costruiranno auto, e non ci saranno problemi. Ma li hanno invitati e hanno voluto farne degli schiavi. Beh, abbiamo capito!

Come possiamo prendere sul serio le richieste dell’Unione Europea nei nostri confronti (come dicono loro, “risolvere il problema dei migranti”) quando Bruxelles e la Polonia e gli Stati baltici hanno stracciato in modo provocatorio tutti gli accordi precedentemente raggiunti e si rifiutano di mantenere una semplice comunicazione anche sulle questioni attuali?

Ebbene, in qualche modo noi e i polacchi non solo eravamo d’accordo, ma anche, probabilmente, l’umore in Polonia – i polacchi non sono cattivi – ha costretto le autorità a prestare attenzione alla migrazione e a cercare di capirla. Ascoltate, sono stati creati gruppi di banditi fino alla Germania, che succhiano questi migranti (e ne sono felici) dalla Bielorussia e li mandano lì, in Germania.Questo è il problema! I tedeschi sono in silenzio. È chiaro perché tacciono. Ma quando incontrano i funzionari tedeschi, quando iniziamo a parlare di migrazione e Polonia, chiudono gli occhi. Sanno cosa sta succedendo.

La logica è semplice: se distruggete i ponti, non pretendete che costruiamo passaggi. Non vi proteggeremo con un cappio al collo. Le sanzioni sono un cappio al collo del popolo bielorusso e voi chiedete che vi proteggiamo. Questo non accadrà!

(Applausi).

Cari partecipanti alla conferenza!

Sono convinto che la sicurezza non possa essere costruita su minacce e ultimatum. È solo un vicolo cieco. Senza fiducia, cooperazione e giustizia, qualsiasi sistema di sicurezza rimarrà una struttura estremamente fragile..

Perché questo tema è così importante per la Bielorussia? La risposta è ovvia. Non siamo semplici osservatori, ma partecipanti diretti ai processi geopolitici nel centro dell’Europa.

E non siamo ingenui. Sappiamo che i tentativi di creare una schiacciante superiorità militare ai nostri confini (di cui ho parlato), di minare la nostra economia e di provocare costantemente sconvolgimenti sociali sono modi per subordinare Minsk alla volontà di qualcun altro.Risponderemo nel miglior modo possibile. Abbiamo le nostre capacità. Abbiamo il sostegno della Russia fraterna. Abbiamo il sostegno dei Paesi della Maggioranza Globale.

Ma non cerchiamo il confronto per principio.I ripetuti appelli della Bielorussia al ripristino del dialogo sono un tentativo di riportare il buon senso nelle relazioni internazionali, in cui si cerca di sostituirlo con la forza.

Solo il rifiuto del confronto può salvare l’Eurasia. Il valore del nostro continente risiede nella sua interconnessione. Pertanto, non può essere impunemente e senza fine diviso in campi di guerra.

Sono certo che l’idea di uno sviluppo congiunto pacifico sia la vera linea guida strategica, l’obiettivo a cui dobbiamo tendere. È su questi principi che sono state costruite strutture potenti come la SCO, i BRICS, l’EAEU e la CSI.

Ho già parlato delle iniziative unificanti di Russia e Cina, della nuova visione sobria degli americani (Dio conceda che sia così, e non una rappresentazione). Ciò non significa che io stia cercando di escludere artificialmente l’Europa da questo processo. È impossibile!

Nell’emergente ordine mondiale multipolare, l’Unione europea deve occupare un posto cruciale.Un’Unione europea forte. Ne siamo convinti e lo abbiamo chiesto più volte. Questo è uno dei pilastri, delle fondamenta del nostro sistema, il sistema planetario su cui poggia il mondo.

Ma se l’Unione europea sarà in grado di occupare questo posto è ancora un dubbio. Oggi l’Unione europea è chiaramente in crisi. Le ragioni sono chiare. All’inizio, ci sono voluti decenni per costruire un sistema di regolamentazione interna di tutto e di tutti. Costruito. Le imprese hanno cominciato a scappare.

Poi hanno abbandonato la normale interazione con i vicini dell’Est, soprattutto con la Russia. Sul confine sono state erette delle recinzioni. Presto saranno completamente estratti. E quanta energia c’è oggi, per esempio, nell’Unione Europea? Ci sono ancora fondi per rimanere all’avanguardia nell’innovazione?

Temo però che Bruxelles e alcune capitali abbiano scelto di non risolvere il problema nel merito, ma di coprire una futura guerra. Si aspettano davvero che il passaggio dell’economia a un assetto di guerra garantisca la crescita?

Per un paio d’anni, un po’ di fluttuazione allo stesso livello, forse, fornirà. Il grasso è stato accumulato fin dall’epoca coloniale. Ma poi si dovranno affrontare le conseguenze catastrofiche.

Cosa avete capito? L’euroscetticismo è in crescita. Scintille nella politica interna. Le contraddizioni tra i singoli Stati dell’UE si intensificano. Vengono piantate bombe sul futuro dell’intera Grande Europa, e forse dell’Eurasia nel suo complesso.

Lo dico apertamente e direttamente: se sono strategicamente rivolti alla normale convivenza e non cercate di rifarci, e noi non saremo voi.

Abbiamo la nostra mentalità, la nostra cultura, la nostra fase storica nello sviluppo della società. Non accettiamo l’aggressione ideologica, come qualsiasi altra. E voi avete creato condizioni esterne tese per noi. Stanno anche conducendo attività sovversive. Hanno comprato una o due dozzine di fuggitivi russi e russe con le loro budella e ne dipingono l’immagine di autorità quasi legittime in Bielorussia e Russia. E poi gridano: “Dittatura! Putin, Lukashenka sono co-aggressori”. Sopravvivere.

Ora sembra che l’Europa non sia ancora pronta per una conversazione realistica con Minsk. Non vedono le posizioni negoziali che hanno diversi altri Paesi, come le risorse naturali. Ma noi abbiamo buon senso, resistenza e anche la risorsa di una posizione strategica e la capacità di essere un ponte, come è sempre stato, tra l’Occidente e l’Oriente.Voglio partire dalla convinzione che almeno la coesistenza pacifica sia nell’interesse degli europei.Se non è così, se non lo volete, allora trasferiremo la discussione sul piano di argomenti completamente diversi.

Non ci consideriamo colpevoli del deterioramento delle relazioni con l’Occidente e i suoi singoli Paesi. Ma tendiamo la mano.Questa non è la mano di colui che chiede. È la mano di un partner dignitoso che si offre di lavorare insieme con sincerità per la pace per i nostri figli e nipoti.

Cari partecipanti alla conferenza!

Quest’anno ricorre l’80° anniversario delle Nazioni Unite. “Helsinki”, Atto finale, 50. Il tema della riforma delle principali istituzioni internazionali è stato discusso per decenni e i problemi non sono stati risolti.

L’impegno della Bielorussia per la pace non è una vuota retorica, ma una necessità oggettiva. E non solo noi, ma l’intero continente eurasiatico è impegnato in questo senso.. Tranne che per l’Occidente.

Cosa offriamo?

Primo. Per quanto riguarda gli alimenti e i medicinali, è necessario vietare l’imposizione di qualsiasi sanzione, anche secondaria. Perché questo è associato a perdite enormi, alla morte di persone.

Il risultato del brandire questa clava è sotto gli occhi di tutti: la crisi economica, l’aggravarsi delle contraddizioni sociali, la provocazione di conflitti interni e internazionali.

Secondo. Protezione delle infrastrutture critiche internazionali: gasdotti e oleodotti, cavi Internet, centrali nucleari.

Il divieto di azioni contro questi oggetti dovrebbe essere inequivocabile. E tutti i Paesi del mondo sono interessati a questo, anche quelli che oggi interpretano l’insidia del gasdotto come un’impresa. In qualsiasi situazione, è necessario scambiare dati, garantirne l’integrità fisica e il funzionamento ininterrotto.

Terzo. Superare la crisi migratoria. Deve essere affrontata risolvendo ciò che l’Occidente ha fatto nei Paesi d’origine.

Per quanto riguarda le conseguenze. Siamo pronti a lavorare nel formato che da tempo garantisce il controllo della situazione per entrambe le parti.

È necessario accordarsi, ad esempio, nel quadro di un accordo globale. L’approccio “tutto per tutti” del Presidente Trump [che sembra essere solo un ulteriore teatro] può essere discusso con gli Stati Uniti e l’Europa come qualsiasi altro Paese.

È evidente la necessità di un sistema unificato per il controllo dei migranti, il rafforzamento della lotta ai gruppi criminali di trafficanti di esseri umani e l’accelerazione delle procedure di espulsione dei trasgressori.

Quarto. L’intelligenza artificiale. Un problema crescente. Una corsa incontrollabile in questo settore la trasforma da risorsa utile in arma. Nel futuro – distruzione di massa.

Abbiamo proposto ai Paesi vicini di creare una cintura di buon vicinato digitale. È tempo di unire tutta l’Eurasia con questa cintura e di tenere conto dei principi di sovranità e neutralità digitale nella nostra futura Carta del multipolarismo e della diversità del secolo attuale.

Cari amici!

Abbiamo bisogno di dialogo. Non si può guardare l’altro attraverso il mirino di una mitragliatrice. In nessun caso. Bisogna sempre parlare. Quando non si parla, la guerra è più vicina. Abbiamo bisogno di questo dialogo.

Dobbiamo fermare la corsa agli armamenti. Tutti diciamo: “No, no, non ci faremo coinvolgere”. Sì, da tempo siamo coinvolti in questa corsa agli armamenti. E, visto come va il mondo oggi, gli Stati spenderanno i loro ultimi soldi per garantire la loro sicurezza. E se non possono combattere con un potenziale aggressore, come la Bielorussia, (cercheranno – ndr) di infliggere un danno inaccettabile a questo nemico.

Ancora una volta, cari amici, vi ringrazio per essere arrivati nella capitale della Bielorussia nonostante tutto.

Sono certo che oggi ascolteremo molte idee sensate di cui abbiamo tanto bisogno.

Ma ancora più necessaria per noi è l’azione in relazione alle idee che esprimete da tempo. È semplicemente impossibile permettere che la verbosità e la trasformazione delle nostre conversazioni in nulla. Dopo di che, ci devono essere le azioni.Oggi è un periodo in cui dobbiamo concentrarci su questo aspetto.

Vi ringrazio ancora una volta, cari amici, per avermi invitato. Auguro a tutti voi un lavoro produttivo. [Sottolineatura mia]

E ora perIl discorso di Lavrov:

Co-presidenti,

Signore e signori,

Gli amici

È un piacere ricevere ancora una volta l’invito a parlare da questo palco. La conferenza, che si tiene per il terzo anno consecutivo (12) su iniziativa del Presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko, è diventata la principale piattaforma internazionale per discutere le principali questioni di sicurezza dello spazio eurasiatico, come ha appena affermato il mio amico e collega, il Ministro degli Affari Esteri e del Commercio dell’Ungheria Peter Szijjártó.

Il fatto che l’Eurasia sia oggi il centro geopolitico dell’emergente mondo multipolare credo sia evidente a tutti. I processi che si stanno svolgendo qui hanno un impatto decisivo sulle prospettive delle relazioni internazionali. Mi riferisco, in primo luogo, al rafforzamento di diversi centri di civiltà indipendenti sul continente eurasiatico che rappresentano la maggioranza mondiale. Come il Presidente Vladimir Putin ha ripetutamente sottolineato nei suoi discorsi, sono loro a dare il tono agli affari mondiali di oggi. Sono loro a dare il tono e ad accelerare la liberazione del mondo dai rudimenti del passato, soprattutto nel campo della sicurezza e dello sviluppo economico.

Vediamo che la stragrande maggioranza dei Paesi della NATO e dell’UE si rifiuta di riconoscere il fatto oggettivo della fine della dominazione occidentale e l’inizio di una nuova era storica.Questa è la loro differenza fondamentale rispetto alla Russia, i nostri partner nella Servizio centrale di intelligenceCina, India, Iran, Corea del Nord e tutti quegli Stati eurasiatici che sono convinti che la chiave della stabilità e del benessere del nostro continente è la rigorosa osservanza dei principi di uguaglianza sovrana e di indivisibilità della sicurezza per tutti, e non solo per pochi eletti che si considerano al di sopra della legge e della morale.

Non è colpa della Russia e dei nostri alleati se negli ultimi anni gli accordi internazionali nel campo del controllo degli armamenti sono stati minati e poi “insabbiati”. L’espansione della NATO non si ferma neanche per un minuto, nonostante le assicurazioni date ai leader sovietici di non spostarsi “di un centimetro” verso est. Ciò avviene in contrasto con gli impegni politici assunti in seno all’OSCE al più alto livello di non rafforzare la propria sicurezza a spese altrui e di non cercare il dominio regionale e, ovviamente, globale.

Il conflitto pianificato e provocato in Ucraina ha portato al crollo definitivo del modello di sicurezza euro-atlantico basato su NATO, OSCE e Unione Europea, che negli ultimi otto anni si è trasformato in una “componente” euro-atlantica di questo “pacchetto”. Ora alcuni in Europa suggeriscono che è necessario pensare a un nuovo sistema di sicurezza europeo, ma aggiungono subito che non dovrebbe prevedere la partecipazione di Russia e Bielorussia.

Basti pensare all’iniziativa del presidente francese Emmanuel Macron su una “comunità politica europea”, alla quale hanno deliberatamente e pubblicamente rifiutato di invitare la Russia e la Bielorussia, creando così qualcosa di simile alla parte europea dell’OSCE senza due Paesi le cui politiche sono rifiutate dall’Occidente. Il Presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko ne ha parlato oggi in modo dettagliato e convincente.

Non nascondono neppure i preparativi in corso ad ovest dello Stato dell’UnioneI preparativi per una nuova grande guerra europea. A questo obiettivo uniscono la costruzione di coalizioni.

Nel luglio di quest’anno, Francia e Gran Bretagna hanno concordato un coordinamento tra le loro forze nucleari e hanno creato una sorta di “Intesa” per lo sviluppo di sistemi missilistici. I tedeschi avevano firmato un accordo di cooperazione militare con i britannici e ora, l’altro giorno, da Londra si è cominciato a parlare di dare a questa cooperazione militare anglo-tedesca una dimensione nucleare. La militarizzazione dei Paesi europei sta prendendo piede: aumentano i finanziamenti al complesso militare-industriale, si organizzano esercitazioni su larga scala, si migliora la logistica per il trasferimento delle truppe sul “fronte orientale” utilizzando le infrastrutture dei Paesi che non fanno parte dell’Alleanza Nord Atlantica.

Non possiamo non essere preoccupati per i piani di intensificazione delle attività della NATO nell’Artico, che noi (sono convinto che la maggior parte dei Paesi sensibili) vorremmo vedere come un territorio di pace e cooperazione. Questo è quanto era stato concordato nel quadro del Consiglio Artico, ma da allora l’Occidente ha cercato di isolare la Russia anche da questa struttura.

In Ucraina, sono i membri europei della NATO a prolungare il conflitto armato, rifornendo il regime di Kiev di armi e fornendogli sostegno finanziario e politico. La leadership della maggior parte dei Paesi europei sta facendo del suo meglio per convincere l’amministrazione statunitense ad abbandonare l’idea di una soluzione in Ucraina, eliminando le cause profonde del conflitto al tavolo dei negoziati.Ci auguriamo che il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump continui a cercare sinceramente una soluzione alla crisi ucraina e che rimanga impegnato a rispettare i principi sviluppati al vertice di Anchorage ed elaborati sulla base delle proposte americane.

In Europa, la Russia è accusata indiscriminatamente di pianificare un'”invasione” della NATO e dell’Unione Europea. I leader europei hanno inventato loro stessi questa assurdità e la ripetono, ingannando deliberatamente i loro stessi cittadini. Fomentando l’isteria anti-russa sul principio che “la guerra cancellerà tutto” (come diciamo noi), cercano di scaricare su Mosca la responsabilità degli errori commessi, tra cui un numero enorme di errori e fallimenti in direzione dell’Ucraina.

Vorrei chiedere: Gli europei si sentono più sicuri quando le loro élite scoprono l'”ascia di guerra”? Credo che la risposta sia ovvia. Abbiamo ripetuto più volte che non avevamo e non abbiamo intenzione di attaccare nessun Paese tra gli attuali membri della NATO e dell’Unione Europea. Siamo pronti a consolidare questa posizione nelle future garanzie di sicurezza per questa parte dell’Eurasia, che i leader dell’UE stanno evitando su una base veramente collettiva, dichiarando con orgoglio che dopo la crisi ucraina, ci dovrebbero essere garanzie di sicurezza non con la partecipazione della Russia, ma contro la Russia. Ecco un modello di pensiero.

È inoltre preoccupante che la NATO stia estendendo artificialmente la sua area di responsabilità ben oltre l’area euro-atlantica. A tal fine, è stata avanzata la tesi dell’indivisibilità della sua sicurezza e della “regione indo-pacifica”. Quando ci si chiede come questo sia in relazione con il Trattato di Washington della NATO, ci viene detto che l’organizzazione è ancora un’alleanza puramente difensiva ed esiste per respingere le minacce ai territori degli Stati membri. Ma, dicono, queste minacce provengono ormai da ogni dove, persino dalle acque del Mar Cinese Meridionale e dello Stretto di Taiwan. L’Alleanza Nord Atlantica sta cercando di ritagliarsi un posto nel Pacifico, minando le fondamenta stesse dell’architettura di sicurezza regionale, che per decenni è stata costruita attorno al ruolo centrale dell’ASEAN. Il tutto con l’ovvio obiettivo di contenere la Cina, isolare la Russia e affrontare la Repubblica Democratica Popolare di Corea.

La NATO non “distoglie” la sua attenzione da altre regioni dell’Eurasia – il Medio Oriente, il Caucaso meridionale, l’Asia centrale e meridionale. Inoltre, queste subregioni vengono “lavorate” individualmente, e non nel contesto di interessi continentali e pan-eurasiatici. Ovunque si cerca di prendere piede e di influenzare questi processi, e questa influenza è nella maggior parte dei casi estremamente negativa a causa della politica aggressiva dell’alleanza.Sorge una domanda ragionevole:Se questa è la tendenza generale, vogliamo che tutto il nostro vasto e bellissimo continente sia trasformato in un “feudo” della NATO? Non possiamo essere d’accordo.

Nelle nuove condizioni, in cui tutti i Paesi, le loro economie e la stabilità complessiva sono interdipendenti, non è necessario il pensiero di blocco dell’epoca della Guerra Fredda, ma una filosofia fondamentalmente diversa dell’interazione interstatale.. La vita stessa ci spinge a impegnarci in una nuova sistemazione del nostro spazio geografico nello spirito del multipolarismo e del multilateralismo.

La Russia ha mosso i primi passi. Già nel 2015, in occasione del vertice Russia-ASEAN, Vladimir Putin ha proposto la formazione di un’associazione per la cooperazione tra Russia e ASEAN. Il Grande Partenariato Eurasiaticoche prevede la creazione di un contorno continentale di cooperazione paritaria e reciprocamente vantaggiosa attraverso l’espansione dei legami commerciali ed economici e l’armonizzazione dei processi di integrazione, compresi quelli che si stanno svolgendo nell’ambito dell’Unione Europea. Servizio centrale di intelligence, il Funzionamento a ciclo singolo, il Unione economica eurasiaticalo Stato dell’UnioneAssociazione delle Nazioni del Sud-Est Asiaticoe il Buongiornoe altre strutture. Poco più di un anno fa, il Presidente della Russia Vladimir Putin ha presentato una iniziativa[di costruire l’architettura della sicurezza eurasiatica sulla base del principio della sua indivisibilità.

La vediamo come un’alternativa costruttiva alle istituzioni “fallimentari” che hanno servito il modello euro-atlantico, in cui i “colleghi” dell’altra sponda dell’Oceano Atlantico hanno giocato un ruolo eccessivamente significativo. Non indicheremo e non indicheremo chi deve collaborare con chi, ma poniamo la questione in modo diverso: perché non pensare di creare un’architettura continentale aperta a tutti i Paesi e le associazioni situati in Eurasia.

Esistono molte associazioni subregionali, di integrazione, politico-militari, proprio come in Africa e in America Latina, dove, oltre alle organizzazioni subregionali, esistono forum pan-continentali, come ad esempio l’Unione Africanae il Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi. In Eurasia non esiste un’associazione “ombrello” che fornisca una piattaforma per uno scambio di opinioni franco e paritario. Ritengo molto importante che l’iniziativa del Presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko si muova in questa direzione. Mi sembra un’iniziativa molto promettente. Sono certo che avrà un buon futuro.

Una vera sicurezza collettiva non può limitarsi a servire gli interessi di un gruppo ristretto di “prescelti”. Ne abbiamo già parlato. La sicurezza sarà universale o non ci sarà affatto.Ognuno sarà per sé.

La Russia sostiene che a ogni Stato dovrebbe essere riconosciuto un uguale diritto di scegliere i modi per garantire la propria sicurezza, dalla neutralità politico-militare alla partecipazione ad alleanze. Ma questo diritto di scelta non può essere esercitato separatamente da un’altra regola, non meno importante, di cui ha parlato oggi anche il Presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko: nessuno può rafforzare la propria sicurezza a spese di altri. Nessun singolo Paese, gruppo di Paesi o organizzazione dovrebbe rivendicare un dominio regionale. Purtroppo, questo è esattamente ciò che sta facendo la NATO..

Promuovendo i postulati fondamentali della sicurezza eurasiatica nelle sedi multilaterali, la Russia cerca di metterli in pratica attraverso la conclusione di accordi bilaterali. Tra gli esempi più recenti vi sono i nostri trattati sulle garanzie di sicurezza con la Bielorussia, una partnership strategica completa con la Repubblica Popolare Democratica di Coreae il Repubblica Islamica dell’Iran. Un’altra area importante è la promozione dell’interazione tra le varie associazioni del nostro continente comune.

In questo lavoro, per quanto riguarda i fattori di sicurezza, si attribuisce particolare importanza alla CSTOlo SCOche hanno accumulato una vasta esperienza nel garantire la stabilità politico-militare e nel combattere nuove sfide e minacce. Il Servizio centrale di intelligenceha un buon potenziale, che rafforza i legami con la CSTO e la SCO, e recentemente, su suggerimento del Presidente del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev, è stato deciso di creare un nuovo formato unificante – CIS Di più.

Appoggiamo anche un’altra iniziativa del Kazakistan, quella di trasformare la Conferenza sulle misure di interazione e di rafforzamento della fiducia in Asiain un’organizzazione a tutti gli effetti, vale a dire un’organizzazione pan-eurasiatica.

Il tema della sicurezza in Eurasia occupa uno dei posti centrali nel nostro dialogo con la Cina. Innanzitutto, contiamo sul fatto che la visione russa della futura architettura di sicurezza in Eurasia si combina armoniosamente con l’Iniziativa globale del Presidente della Repubblica Popolare Cinese nel campo della sicurezza, che sancisce come principio permanente la necessità di individuare ed eliminare le cause profonde di qualsiasi conflitto. È importante che questo principio venga applicato nella pratica, anche in Ucraina e nei territori palestinesi..

Per quanto riguarda i problemi specifici del continente eurasiatico, prestiamo particolare attenzione ai compiti di prevenire scenari militari nella penisola coreana, di contribuire a stabilizzare la situazione in Afghanistan e lungo il perimetro dei suoi confini, di risolvere equamente il problema palestinese e di normalizzare le relazioni tra l’Iran e il mondo arabo, che è l’obiettivo della Russia. iniziativaper stabilire un sistema di sicurezza collettiva nel Golfo Persico.

Sosteniamo fermamente il mantenimento del ruolo centrale dell’ASEAN nell’unire gli sforzi dei Paesi del Sud-Est asiatico e dei loro partner di varie regioni sui principi di uguaglianza e apertura. Le strutture incentrate sull’ASEAN hanno accumulato una solida esperienza nel lavoro collettivo per contrastare sfide e minacce comuni. L’approfondimento del partenariato in questi formati contribuirà, a nostro avviso, alla formazione di uno spazio inseparabile di sicurezza uguale e indivisibile. Consideriamo l’approfondimento della cooperazione tra l’ASEAN, lo SCOe il Servizio centrale di intelligenceun’area promettente.

L’iniziativa bielorussa per lo sviluppo la Carta eurasiatica per la diversità e il multipolarismo nel XXI secoloè chiamato a svolgere un ruolo di consolidamento. Ne ho parlato. Il Presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko ha ribadito nei dettagli le sue iniziative e la necessità di procedere verso l’attuazione pratica dei principi che sono ampiamente condivisi da molti Paesi. Noi sosteniamo questa idea promettente. Siamo attivamente coinvolti nella sua promozione.

Siamo pronti a discussioni sostanziali per prendere in considerazione tutte le iniziative e le proposte costruttive per rafforzare ulteriormente l’eurasiatismo, sfruttando nel modo più efficace i vantaggi comparativi del nostro continente (che sono enormi) a beneficio di tutti gli Stati che vi si trovano. Questo vale anche per gli europei. Sono i nostri vicini e vivono anch’essi in Eurasia. Sono lieto di accogliere la partecipazione dei rappresentanti dei Paesi europei, dell’Unione Europea, della NATO e di altri soggetti alla conferenza di oggi.

Un’altra cosa è che le attuali “élite” dell’UE e dell’Alleanza Nord Atlantica hanno intrapreso un percorso per isolare chiunque voglia perseguire una politica indipendente basata sugli interessi nazionali e sul buon senso. Di conseguenza, le prospettive di un dialogo significativo con la maggior parte di loro non sono visibili. La burocrazia di Bruxelles deve abbandonare le sue arroganti pretese di eccezionalismo e il suo atteggiamento ostile nei confronti di molti altri Stati eurasiatici, tra cui Russia e Bielorussia. Non escludiamo che in futuro si debba pensare a un nuovo modello di relazioni in Europa nel campo della sicurezza, ma come parte dell’architettura pan-eurasiatica.

In conclusione, vorrei sottolineare che consideriamo la formazione di una sicurezza eurasiatica uguale e indivisibile come un processo storico oggettivo che contribuisce allo sviluppo sovrano dei Paesi partecipanti. Concordare garanzie di sicurezza generalmente accettabilianche contro le minacce esterne provenienti dall’esterno del continente eurasiatico.Il nostro spazio comune sarà libero da conflitti e favorevole a una cooperazione reciprocamente vantaggiosa e produttiva.

Accolgo con favore il fatto che il Forum di Minsk si sia già affermato come evento annuale. Auguro a tutti noi di lavorare con successo. [sottolineatura mia]

C’è un ulteriore contesto che deve essere aggiunto a quanto sopra, e cioè l’informazione che circola secondo cui a Trump è stato detto dai suoi padroni di interrompere il suo tentativo di porre fine alla guerra dell’Impero USA fuorilegge contro l’Ucraina e la Russia. Questo è stato detto durante la chiacchierata Crooke/Napolitano di ieri-A partire dal minuto 11:00 fino al minuto 18:00. Ciò mi dice che queste élite impazzite stanno raddoppiando ancora una volta, costringendo Trump a ricostruire la sua persona in Asia. Il fatto che a Trump sia stato detto di fare marcia indietro è una vittoria per i pazzi dell’UE. Sembra che l’eccezionalismo debba essere ucciso con la spada. Ecco perché l’ammonimento di Lukashenko, secondo cui l’Eurasia deve essere una sola, è più importante che mai. E c’è un altro punto di riferimento che Lavrov ha fatto: Discorso di Putin al Ministero degli Esteri il 14 giugno 2024in cui non si è limitato a definire la vittoria della Russia e i termini del negoziato, ma ha chiarito chi è il nemico e il pericolo che tutti corrono. Ecco due dei paragrafi più importanti che riguardano la Conferenza di Minsk:

In definitiva, l’egoismo e l’arroganza degli Stati occidentali hanno portato all’attuale stato di cose estremamente pericoloso. Ci siamo avvicinati in modo inaccettabile al punto di non ritorno. Le richieste di infliggere una sconfitta strategica alla Russia, che possiede il più grande arsenale di armi nucleari, dimostrano l’estremo avventurismo dei politici occidentali. O non comprendono la portata della minaccia che stanno rappresentando, o sono semplicemente ossessionati dalla convinzione della propria impunità e del proprio eccezionalismo. Entrambe le cose possono trasformarsi in una tragedia.

È chiaro che stiamo assistendo al collasso del sistema di sicurezza euro-atlantico. Oggi semplicemente non esiste. In realtà è necessario crearlo di nuovo. Tutto ciò richiede che noi, insieme ai nostri partner, a tutti i Paesi interessati, e sono molti, elaboriamo le nostre opzioni per garantire la sicurezza in Eurasia e poi le proponiamo per un’ampia discussione internazionale.

Il discorso di Putin è importante oggi come 16 mesi fa, perché in realtà poco è cambiato a livello geopolitico. Certo, Trump si è alienato l’India, ma la situazione dell’Asia occidentale è ancora estremamente precaria e il CCG non ha dato segni di maggiore solidarietà eurasiatica. Anche le rivoluzioni colorate di cui parla Lukashenko dimostrano la capacità di disturbo del fuorilegge, e non dobbiamo dimenticare quanto accaduto in Bangladesh, poi il conflitto tra Cambogia e Laos seguito dall’esplosione tra Pakistan e Afghanistan. L’Arco di Instabilità continuerà a essere utilizzato il più possibile per destabilizzare la costruzione di coalizioni multipolari. Dobbiamo anche osservare gli sforzi delle Filippine per rovinare l’ASEAN.

La Conferenza di Minsk di quest’anno dovrebbe avere un esito positivo, visti i crescenti livelli di serietà e preoccupazione. Secondo l’IMO, è necessaria una migliore programmazione degli eventi, dal momento che i vertici dell’ASEAN e dell’APEC sono tutti incastrati con Minsk.

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Osservazioni del ministro degli Esteri Sergey Lavrov alla sessione plenaria di alto livello della terza Conferenza internazionale di Minsk sulla sicurezza eurasiatica, Minsk, 28 ottobre 2025

1792-28-10-2025

Co-presidenti,

Amici.

Sono stato felice di essere invitato ancora una volta a parlare su questo podio. Il Presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko tiene questa conferenza per il terzo anno (12). Si è affermata come una piattaforma internazionale di primo piano per la discussione di argomenti chiave legati alla sicurezza dello spazio eurasiatico, proprio come ha appena detto il mio amico e collega, il Ministro degli Affari Esteri e del Commercio dell’Ungheria, Péter Szijjártó, nel suo intervento.

Penso che sia ormai evidente a tutti che l’Eurasia è oggi al centro geopolitico di un nascente ordine mondiale multipolare. È qui che si stanno svolgendo i processi che daranno forma al futuro delle relazioni internazionali. Mi riferisco soprattutto all’emergere di diversi centri civili indipendenti che rappresentano la Maggioranza Globale nel continente eurasiatico. Il Presidente della Russia Vladimir Putin ha detto più volte che nel mondo di oggi sono loro a dare il tono agli affari internazionali. Così facendo, anticipano il giorno in cui il mondo si libererà dalle catene delle epoche passate, soprattutto in termini di sicurezza e sviluppo economico.

Ci rendiamo conto che la stragrande maggioranza dei Paesi della NATO e dell’UE si rifiuta di riconoscere una verità oggettiva: l’era del dominio occidentale è giunta al termine e siamo entrati in una nuova era storica. Questo è ciò che distingue la Russia, i nostri partner all’interno della CSI, la Cina, l’India, l’Iran e la Repubblica Democratica Popolare di Corea, nonché tutti quei Paesi eurasiatici che sono convinti della necessità di garantire il rispetto incrollabile dei principi di uguaglianza sovrana e di sicurezza indivisibile per tutti, non solo per gli eletti che credono di essere al di sopra della legge e di non essere vincolati da alcun imperativo morale – questo è ciò che offre una base per garantire stabilità e benessere al nostro continente.

La Russia e i nostri alleati non possono essere incolpati di aver minato e poi annullato, cioè insabbiato, gli accordi internazionali sul controllo degli armamenti negli ultimi anni. La NATO non ha fermato il suo sforzo di espansione, nemmeno per un momento, nonostante le assicurazioni fornite a suo tempo ai leader sovietici di non spostarsi a est nemmeno di un centimetro. Lo sta facendo nonostante l’impegno assunto al più alto livello politico nell’ambito dell’OSCE di astenersi dal rafforzare la propria sicurezza a spese di altri e di non cercare un dominio regionale, per non parlare di quello globale.

Hanno pianificato e provocato il conflitto in Ucraina, che ha inferto il colpo di grazia al modello di sicurezza euro-atlantico, che si basava sulla NATO, l’OSCE e l’Unione Europea. Negli ultimi otto anni, l’UE si è trasformata in una componente euro-atlantica di questo scenario. Oggi, dall’Europa arrivano voci sulla costruzione di un nuovo sistema di sicurezza europeo, ma dopo aver ventilato questa idea, aggiungono immediatamente che non c’è posto per la Russia e la Bielorussia in questo quadro.

Prendete l’iniziativa del Presidente francese Emmanuel Macron di creare la cosiddetta Comunità politica europea, rifiutando però intenzionalmente e pubblicamente di invitare Russia e Bielorussia a farne parte. Questo equivale a creare qualcosa di simile a un capitolo europeo dell’OSCE, escludendo però due Paesi le cui politiche sono considerate discutibili dall’Occidente. Il Presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko ha elaborato questo argomento in modo convincente durante le sue osservazioni di oggi.

Per lo stesso motivo, non fanno mistero dei preparativi per una nuova grande guerra europea. Questo sforzo si sta svolgendo a ovest dello Stato dell’Unione. A questo scopo, stanno creando coalizioni.

Nel luglio 2025, Francia e Gran Bretagna hanno concordato di coordinare le loro forze nucleari creando un quadro simile all’Entente Cordiale per la progettazione di sistemi missilistici. I tedeschi hanno firmato un accordo con il Regno Unito, che in sostanza equivale a stabilire una cooperazione militare, e negli ultimi giorni abbiamo sentito richieste da Londra per aggiungere una dimensione nucleare a questa cooperazione militare tra Regno Unito e Germania. La militarizzazione dell’Europa sta guadagnando terreno con maggiori finanziamenti ai produttori di difesa, esercitazioni su larga scala e sforzi per perfezionare la logistica per spostare le truppe sul cosiddetto fronte orientale utilizzando le infrastrutture dei Paesi che non fanno parte dell’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico.

I piani per intensificare l’attività della NATO nell’Artico, che noi (e sono convinto che la maggior parte delle nazioni ragionevoli) vorremmo vedere come un territorio di pace e cooperazione, sono motivo di grande preoccupazione. La pace e la cooperazione nell’Artico sono gli obiettivi iniziali del Consiglio Artico, ma da allora l’Occidente ha cercato di isolare la Russia da questo forum.

Sono i membri europei della NATO a prolungare il conflitto armato in Ucraina, rifornendo di armi il regime di Kiev e fornendogli sostegno finanziario e politico. La maggior parte dei leader europei sta cercando di persuadere l’amministrazione statunitense contro l’idea di raggiungere una soluzione in Ucraina eliminando le cause del conflitto al tavolo dei negoziati. Ci auguriamo che il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump rimanga sincero nella sua aspirazione a risolvere la crisi ucraina e che perseveri nell’aderire ai principi sviluppati al vertice di Anchorage – i principi fondati sulle proposte dell’America. 

L’Europa ha accusato senza fondamento la Russia di pianificare un’invasione dei Paesi della NATO e dell’UE. I leader europei hanno inventato questa assurdità e la ripetono ingannando consapevolmente le loro stesse nazioni. Gonfiando l’isteria antirussa sul principio “la guerra giustifica tutto”, come si dice in Russia, stanno cercando di incolpare Mosca dei propri errori, compresi i numerosi errori e fallimenti riguardo all’Ucraina.

La mia domanda è: gli europei si sentono più sicuri quando le loro élite tolgono le coperture alle armi? Credo che la risposta sia ovvia. Abbiamo dichiarato ripetutamente che non abbiamo mai avuto e non abbiamo intenzione di attaccare alcun membro della NATO o dell’Unione Europea. Siamo disposti a formalizzare questa affermazione nelle future garanzie di sicurezza per questa parte dell’Eurasia, che i leader dell’UE stanno evitando su una base veramente collettiva, sostenendo con orgoglio che, dopo la crisi ucraina, devono esserci garanzie di sicurezza contro la Russia piuttosto che con la Russia. Questa è la loro mentalità.

Siamo anche preoccupati che la NATO stia espandendo artificialmente la sua area di responsabilità ben oltre la regione euro-atlantica. A tal fine, l’Alleanza ha avanzato il concetto di “indivisibilità” della sua sicurezza e di quella della regione indo-pacifica. Quando chiediamo loro come questi passi siano in relazione con il Trattato del Nord Atlantico, sentiamo dire che l’organizzazione rimane un’alleanza puramente difensiva e opera per respingere le minacce ai suoi membri – ma, a quanto pare, le minacce arrivano da tutte le direzioni, anche dal Mar Cinese Meridionale e dallo Stretto di Taiwan. L’Alleanza Nord Atlantica sta cercando di rivendicare il proprio posto nell’Oceano Pacifico, minando al contempo le fondamenta dell’architettura di sicurezza regionale che per decenni è cresciuta attorno al ruolo centrale dell’ASEAN. Lo scopo evidente è quello di contenere la Cina, isolare la Russia e contrastare la RPDC.

La NATO non trascura altre regioni eurasiatiche, tra cui il Medio Oriente, il Caucaso meridionale e l’Asia centrale e meridionale. Queste sottoregioni sono trattate su base individuale piuttosto che nel contesto di interessi pan-continentali o pan-eurasiatici. La NATO sta cercando di garantire la propria posizione ovunque e di esercitare la propria influenza su questi processi, influenza che nella maggior parte dei casi è estremamente negativa a causa della politica aggressiva dell’Alleanza. Sorge una domanda ragionevole: se questa è la tendenza generale, vogliamo che il nostro immenso e bellissimo continente diventi patrimonio della NATO? Non possiamo essere d’accordo.

Nel nuovo ambiente, in cui tutti i Paesi, le loro economie e la stabilità generale sono interdipendenti, è necessaria una filosofia di collaborazione interstatale fondamentalmente diversa, piuttosto che il pensiero di blocco dell’era della Guerra Fredda. La vita stessa ci spinge a impegnarci in un nuovo sforzo per organizzare il nostro spazio geografico nello spirito del multipolarismo e del multilateralismo.

La Russia ha fatto i primi passi. Già nel 2015, Vladimir Putin, intervenendo al vertice Russia-ASEAN, aveva suggerito di istituire un Grande Partenariato Eurasiatico che prevedeva la creazione di un contorno continentale di cooperazione equa e reciprocamente vantaggiosa attraverso l’espansione dei legami commerciali ed economici e l’allineamento dei processi di integrazione, compresi quelli che si svolgono nell’ambito della CSI, della SCO, dell’EAEU, dello Stato dell’Unione, dell’ASEAN, del Consiglio di Cooperazione del Golfo e di altre organizzazioni. Poco più di un anno fa, il Presidente russo Vladimir Putin ha presentato un’iniziativa per creare un’architettura di sicurezza eurasiatica basata sul principio della sua indivisibilità.

Lo vediamo come un’alternativa costruttiva alle istituzioni “fallimentari” che hanno servito il modello euro-atlantico, dove i “colleghi” dell’altra costa dell’Oceano Atlantico hanno giocato un ruolo eccessivamente significativo.  Non abbiamo intenzione di istruire nessuno su chi dovrebbe cooperare con chi; stiamo ponendo una domanda diversa, cioè: Perché non pensare di creare un’architettura continentale aperta a tutti i Paesi e le associazioni con sede in Eurasia?

L’Eurasia ha molti gruppi subregionali, di integrazione e politico-militari, così come l’Africa e l’America Latina, dove, oltre alle organizzazioni subregionali, esistono forum continentali come l’Unione Africana e la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi.   In Eurasia, non esiste un’organizzazione ombrello che fornisca una piattaforma per un franco ed equo scambio di opinioni.   Ritengo sia molto importante che l’iniziativa avanzata dal Presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko segua proprio questo percorso. Sembra essere un’iniziativa molto promettente. Sono sicuro che avrà un grande futuro.

La vera sicurezza collettiva non può essere ridotta a servire gli interessi di un gruppo ristretto di “pochi eletti”. Lo abbiamo già detto. La sicurezza o sarà universale o non ci sarà affatto. Ognuno per sé.

La Russia è favorevole a una situazione in cui a ogni Stato sia riconosciuto un uguale diritto di scegliere i modi per garantire la propria sicurezza, dalla neutralità politico-militare alla partecipazione ad alleanze. Ma questo diritto di scelta non può essere attuato separatamente da un’altra regola non meno importante, citata anche dal Presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko. Mi riferisco alla premessa che nessuno può rafforzare la propria sicurezza a spese di altri. Nessun Paese, gruppo di Paesi o organizzazione dovrebbe aspirare al dominio regionale. Purtroppo, la NATO sta facendo proprio questo.

Promuovendo i postulati fondamentali della sicurezza eurasiatica nelle sedi multilaterali, la Russia cerca di metterli in pratica firmando accordi bilaterali. Tra gli esempi più recenti vi sono i nostri accordi sulle garanzie di sicurezza con la Bielorussia e sul partenariato strategico globale con la Repubblica Democratica Popolare di Corea e la Repubblica Islamica dell’Iran. L’incoraggiamento dell’interazione tra le varie associazioni del nostro continente comune è un’altra area cruciale;

Per quanto riguarda i fattori di sicurezza, attribuiamo particolare importanza alla CSTO e alla SCO, che hanno accumulato molta esperienza nel garantire la stabilità politico-militare e nel combattere nuove sfide e minacce. Anche la CSI ha un grande potenziale e sta rafforzando i suoi legami con la CSTO e la SCO. Recentemente è stata approvata la decisione di creare un nuovo formato unificante, CIS Plus, sulla base di una proposta del Presidente del Kazakistan Kasym-Jomart Tokayev;

Sosteniamo un’altra iniziativa kazaka per trasformare la Conferenza sull’interazione e le misure di rafforzamento della fiducia in Asia in un’organizzazione a pieno titolo di portata eurasiatica.

La sicurezza eurasiatica è uno dei temi centrali del nostro dialogo con la Cina. È molto importante che la visione russa dell’architettura di sicurezza dell’Eurasia per il futuro sia in sintonia con l’Iniziativa di sicurezza globale proposta dal Presidente della Repubblica popolare cinese. Essa prevede di affrontare le cause profonde di tutti i conflitti come principio perenne. È essenziale che questo principio si concretizzi, anche in Ucraina e nei territori palestinesi.

Per quanto riguarda le sfide specifiche del continente eurasiatico, abbiamo prestato particolare attenzione alla prevenzione dell’uso della forza nella penisola coreana, alla promozione della stabilità in Afghanistan e lungo i suoi confini, al raggiungimento di una soluzione equa per la questione palestinese, nonché al ripristino delle relazioni tra l’Iran e i Paesi arabi, come previsto dall’iniziativa russa di creare un sistema di sicurezza collettiva nella regione del Golfo Persico.

Riaffermiamo il nostro fermo impegno a preservare la centralità dell’ASEAN per consentire ai Paesi del Sud-Est asiatico e ai loro partner di varie regioni di lavorare insieme sulla base dei principi di uguaglianza e inclusione. Le strutture centrate sull’ASEAN hanno accumulato una grande esperienza nel promuovere sforzi collettivi per contrastare sfide e minacce comuni. Riteniamo che il rafforzamento del nostro partenariato all’interno di questi quadri porterà a uno spazio senza soluzione di continuità di sicurezza uguale e indivisibile. A nostro avviso, il rafforzamento della cooperazione tra ASEAN, SCO e CSI è un’altra opzione promettente.

Presentata dalla Bielorussia, l’iniziativa di redigere una Carta eurasiatica per la diversità e il multipolarismo nel XXI secolo è destinata a svolgere un ruolo di consolidamento, come è stato detto. Il Presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko ha approfondito l’argomento e ha ribadito il suo impegno a favore di queste iniziative, insieme alla necessità di compiere passi concreti verso la realizzazione di principi ampiamente condivisi da molti Paesi. La Russia sostiene questa idea dal grande potenziale e la sta promuovendo in modo proattivo.

Siamo pronti ad impegnarci in discussioni sostanziali riguardo a qualsiasi iniziativa e proposta costruttiva per promuovere ulteriormente un senso di appartenenza eurasiatica, facendo il più possibile per utilizzare gli immensi vantaggi comparativi del nostro continente a beneficio di tutti i suoi Paesi. Questo include anche gli europei. Sono i nostri vicini e vivono in Eurasia. Siamo lieti di salutare i rappresentanti dei Paesi europei che partecipano alla conferenza odierna, tra cui l’Unione Europea, la NATO e altri.

Intanto, le attuali élite dell’UE e della NATO hanno cercato di isolare chiunque cercasse di seguire una politica indipendente, dando priorità agli interessi nazionali e al buon senso. Questo ha reso la prospettiva di impegnarsi in un dialogo significativo con la maggior parte di loro una proposta inverosimile. I burocrati di Bruxelles devono rinunciare alle loro alte pretese di uno status eccezionale e alle loro politiche ostili nei confronti di molti altri Paesi eurasiatici, tra cui Russia e Bielorussia. Non possiamo escludere la necessità di sviluppare un nuovo quadro di sicurezza per l’Europa, ma questa volta sarà parte di un’architettura pan-eurasiatica.

In conclusione, vorrei sottolineare che la Russia considera l’emergere di un sistema che garantisca una sicurezza uguale e indivisibile per l’Eurasia come un processo storico oggettivo e un mezzo per facilitare lo sviluppo sovrano dei Paesi partecipanti. Concordando garanzie di sicurezza universalmente accettabili, anche per quanto riguarda le minacce esterne al continente eurasiatico, possiamo costruire uno spazio condiviso libero da conflitti e che offra un ambiente favorevole per una cooperazione efficace e reciprocamente vantaggiosa.

Mi congratulo con il forum di Minsk per essere diventato un evento annuale e auguro a tutti noi un grande successo nei nostri sforzi.

SITREP 27/10/25: Pokrovsk raggiunge il suo arco finale mentre il bulldozer russo avanza inarrestabile_di Simplicius

SITREP 27/10/25: Pokrovsk raggiunge il suo arco finale mentre il bulldozer russo avanza inarrestabile

Simplicius28 ottobre
 
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Sulla scia delle istituzioni occidentali che finalmente stanno prendendo coscienza di realtà note da tempo alla maggior parte di noi, questo nuovo articolo dell’Economist affronta con coraggio l’umiliazione di dover ammettere alcune dure verità sulle armi occidentali:

https://www.economist.com/europe/2025/10/23/western-drones-are-underwhelming-on-the-ukrainian-battlefield

L’articolo verte sulla grande delusione che i droni occidentali hanno portato con sé sul campo di battaglia ucraino. Leggi qui sotto come l’Occidente sia stato ingannato dal cosiddetto “successo” ottenuto dai propri droni in “guerre” totalmente inadeguate come quelle in Iraq e Afghanistan:

I droni AMERICAN SWITCHBLADE erano un tempo all’avanguardia. Veloci, intelligenti e precisi, erano strumenti essenziali per le forze speciali in Iraq e Afghanistan. Ma quando nel 2022 un lotto di Switchblade-300 raggiunse l’Ucraina, le grandi speranze furono rapidamente infrante. I droni erano troppo costosi. Hanno faticato a contrastare la guerra elettronica russa. Quando colpivano i loro obiettivi, causavano danni minimi. “Quando li abbiamo testati, hanno avuto dei malfunzionamenti in condizioni di interferenza”, afferma Valery Borovyk, uno sviluppatore di droni militari. “Quando uno ha colpito il finestrino posteriore di un minibus, i finestrini anteriori non si sono nemmeno frantumati”.

È davvero una storia tragicomica.

Da allora varie aziende occidentali hanno cercato di mettere in mostra i propri droni su quello che è diventato il miglior banco di prova al mondo. Ma hanno fallito miseramente.

L’articolo accenna solo di sfuggita a un aspetto piuttosto interessante e importante, su cui ho insistito molte volte in passato. Uno dei motivi per cui le aziende occidentali e gli “innovatori” in generale potrebbero rifiutarsi di impegnarsi pienamente nella creazione di armi miracolose per l’Ucraina è la precarietà del “business case a lungo termine”. Ciò significa che, quando le aziende analizzano i numeri, sanno che un determinato ROI deve essere realistico per l’enorme investimento necessario per sviluppare un particolare tipo di arma, come un drone, e produrla in serie. Ma dove sta il ROI quando, segretamente, dietro le quinte, la maggior parte di queste aziende probabilmente vede chiaramente che l’Ucraina crollerà nel medio termine e che la necessità delle loro armi prodotte in serie diminuirà improvvisamente, portando forse a miliardi di perdite? Questa è stata una delle principali preoccupazioni che hanno ostacolato la creazione di linee di produzione molto più grandi per varie artiglierie e altri sistemi per l’Ucraina in tutta Europa e persino negli Stati Uniti.

Forse per invidia, l’autore dell’Economist definisce subdolamente le innovazioni superiori della Russia come tecnologia “spam”, ma ammette che è proprio questa a vincere la guerra:

Le armi all’avanguardia dovrebbero sempre essere incluse nell’arsenale. Ma la guerra in Ucraina ha aperto un vaso di Pandora di tecnologia “spam” a basso costo, che minaccia di sopraffare qualsiasi esercito che non sia preparato ad affrontarla. “Nessuno al mondo capisce quali minacce ci saranno domani, né un solo analista, né un solo generale”, afferma Borovyk: “Il mio consiglio alle aziende del settore della difesa è che se oggi non sono profondamente coinvolte nella guerra in Ucraina, domani saranno sulla strada della bancarotta”.

Quanto sopra conduce naturalmente a un nuovo articolo del WSJ che è un’estensione dell’idea che le innovazioni nel campo dei droni hanno perpetuato la guerra, che potrebbe durare ancora per anni:

https://www.wsj.com/world/europe/as-putin-digs-in-a-longand-differentwar-with-ukraine-looms-a5680bda

Il presidente Vladimir Putin rimane convinto che alla fine la Russia logorerà il suo piccolo vicino, causando il collasso dell’economia e della società ucraina. Una vittoria sfuggente gli consentirebbe di sostenere che, dopotutto, la guerra devastante che ha scatenato quasi quattro anni fa è valsa la pena.

L’articolo continua a sostenere la linea ufficiale dell’azienda secondo cui i progressi russi sarebbero minimi e l’Ucraina starebbe ora esercitando una forte pressione sull’economia russa attraverso gli scioperi delle raffinerie di petrolio, cosa che nessuno ha ancora dimostrato in modo definitivo o empirico.

Ma l’articolo solleva alcuni punti interessanti. Ad esempio, questa affermazione di Ben Hodges ha un fondo di verità: le grandi dimensioni della Russia, un tempo un netto vantaggio, ora rappresentano una sorta di dilemma strategico o svantaggio in questo particolare conflitto dell’era moderna.

“Ai tempi degli zar o di Stalin, la grande forza della Russia era che era così grande da poter sempre assorbire gli eserciti invasori”, ha affermato il tenente generale in pensione Ben Hodges, ex comandante dell’esercito americano in Europa. “Ora che l’Ucraina ha la capacità di penetrare in profondità nel territorio russo e colpire varie parti delle sue infrastrutture, quella vastità è diventata una vulnerabilità”.

Ma ci sono molte sfumature in questo. Ad esempio, il fatto principale che viene ignorato è che, per raggiungere una profondità così grande nel territorio russo, i droni ucraini sono costretti a sacrificare la dimensione delle testate a favore della capacità dei serbatoi di carburante.

I droni che raggiungono zone molto profonde degli Urali, come quello che ha colpito una raffineria di Orenburg all’inizio del mese, finiscono per causare danni molto limitati a causa delle dimensioni ridotte della loro testata. Il loro scopo principale sembra essere quello di ottenere un “effetto psicologico” e di attirare l’attenzione dei media con nuovi “record” di 1500 km, 2000 km e oltre nel cuore della Russia. Inoltre, poiché solo un paio di tipi di droni ucraini sono in grado di raggiungere tale distanza, come il Lyuti, questi attacchi a lungo raggio sono estremamente limitati rispetto ai colpi sulle raffinerie molto più vicine al confine ucraino; cioè, invece di una dozzina o anche diverse dozzine di droni di vario tipo, solo due o tre finiscono per raggiungere queste strutture lontane.

L’articolo del WSJ menziona questo:

I droni, tuttavia, possono trasportare solo un carico utile limitato, motivo per cui l’Ucraina sta sviluppando anche il proprio programma missilistico.

Purtroppo, questo cosiddetto “programma missilistico” non esiste realmente. Il deputato ucraino Roman Kostenko ha recentemente spiegato che il programma missilistico “Flamingo” non dispone di fondi, non ha avviato alcuna produzione effettiva e il missile stesso non è mai stato testato a più del 50% della sua presunta gittata.

Per quanto riguarda la narrativa dell’imminente “collasso” della Russia a causa dei danni subiti dalle raffinerie, come sembra prevedere l’articolo, lo stesso Budanov ha recentemente spiegato che la Russia non è affatto vicina al collasso e può combattere all’infinito:

L’inviato russo Kirill Dmitriev ha anche spiegato quale sarà il risultato reale degli attacchi alle raffinerie e delle sanzioni energetiche contro la Russia: in breve, prezzi del petrolio più elevati che porteranno la Russia semplicemente a vendere meno petrolio a prezzi più alti, guadagnando più o meno lo stesso.

Persino Phillips O’Brien, analista ferocemente favorevole all’UA, ha concluso che le nuove “sanzioni” di Trump contro la Russia sono per lo più di facciata. Secondo lui, questo gioco di prestigio ha portato in realtà alla sanzione delle aziende statunitensi che acquistano petrolio russo.

Ieri sono state sanzionate le aziende e i cittadini statunitensi che intrattengono rapporti commerciali con due grandi compagnie petrolifere russe, Rosneft e Lukoil (che insieme gestiscono circa la metà del flusso di petrolio russo). Ecco l’annuncio del Tesoro degli Stati UnitiSembra davvero impressionante, finché non si leggono le clausole scritte in piccolo. Ciò che si nota è che queste sanzioni non vengono applicate automaticamente a individui o aziende stranieri: le parole utilizzate sono “possono comportare” e “corrono il rischio di” essere sanzionati (vedi grassetto sotto).

Il fatto che la Russia stia distruggendo molto di più del settore energetico ucraino e delle infrastrutture in generale viene menzionato solo di sfuggita nell’articolo del WSJ, che conclude che la Russia ci ha già “provato” nel 2022 senza mai ottenere un “successo strategico”. Giusto.

Ma anche gli autori sono costretti ad ammettere che la prospettiva di un collasso di qualsiasi tipo non è esattamente realistica, tanto più che la Russia potrebbe essenzialmente iniziare a “sentire qualche difficoltà economica”, il che non significa nulla nel lungo periodo:

Nonostante le precedenti previsioni di un crollo causato dalle sanzioni e dalle spese belliche, l’economia russa è rimasta relativamente resiliente, ma questa situazione non potrà durare per sempre, ha aggiunto Alexandra Prokopenko, ricercatrice presso il Carnegie Russia Eurasia Center di Berlino e consulente della Banca centrale russa fino al 2022. “Non è che finiranno i soldi. Ma non saranno più in grado di finanziare la situazione con i metodi tradizionali, attraverso le tasse e tagli chirurgici alla spesa. Non saranno più in grado di mantenere l’illusione che non stia succedendo nulla di significativo”.

Il fatto è che ultimamente in Russia sta succedendo qualcosa di “strano”. Si è parlato della possibilità che diverse regioni abbassino finalmente i loro elevati bonus di arruolamento e riducano la produzione militare per gestire il “surriscaldamento” dell’economia:

L’ex marine russo e blogger Ivan Otrakovsky scrive:

“È iniziata la riduzione della produzione nelle fabbriche appartenenti al complesso militare-industriale russo. Questo settore è stato il principale motore dell’economia russa dall’inizio della cosiddetta “operazione militare speciale”, grazie ai trilioni di rubli stanziati attraverso gli ordini statali. Per la prima volta da allora, l’industria della difesa sta affrontando una fase di stagnazione o contrazione, come confermato dai dati Rosstat. Questo è il risultato della “politica di raffreddamento” di un’economia surriscaldata, attuata dalla Banca Centrale con il pieno sostegno del governo russo”.

Perché in molte regioni vengono ridotti i bonus alla firma? I sostenitori dell’UA ipotizzano naturalmente che “la Russia stia finendo i soldi”. In realtà, il motivo è probabilmente che la Russia sta raggiungendo comodamente le sue quote, al punto che non sono più necessari bonus così elevati.

Si vocifera addirittura che il reclutamento mensile in Russia sia così elevato che tra le 5.000 e le 10.000 persone vengono respinte a causa della mancanza di capacità di addestramento nei campi di addestramento; se fosse vero, ciò significherebbe che la Russia può permettersi di addestrare adeguatamente solo le 35-40.000 persone che già recluta comodamente ogni mese. In precedenza avevo ipotizzato che, con l’avvicinarsi della conclusione dell’SMO e l’evidenza sempre più chiara del collasso dell’Ucraina, il reclutamento russo sarebbe solo accelerato, dato che il patriottismo e il morale sarebbero saliti alle stelle e altre migliaia di persone al mese si sarebbero arruolate nella speranza di conquistare la gloria e marciare su Kiev nei momenti finali.

L’ironia delle considerazioni conclusive dell’articolo del WSJ è che proprio quei “pericoli” che gli autori prevedono per la Russia di Putin sono quelli che stanno colpendo in modo molto più grave i principali Stati europei, in particolare Germania e Francia:

Le possibili soluzioni saranno aumentare la stampa di denaro, stimolando l’inflazione, attuare drastici tagli al welfaree sostituire l’attuale sistema di reclutamento di soldati volontari per combattere in Ucraina con la mobilitazione forzata, ha affermato Prokopenko. Tutte queste misure potrebbero diventare fattori scatenanti di disordini.

Se queste cose non hanno scatenato disordini in Europa, dove il malcontento civile è infinitamente più alto che in Russia, cosa fa pensare a questi provocatori che possano scatenare qualcosa in Russia?

Beh, almeno riconoscono l’altra estremità dello spettro dei potenziali risultati:

Aggiornamenti sul campo di battaglia:

Il fronte più attivo, con i maggiori avanzamenti giornalieri, continua ad essere la catena di insediamenti lungo il fiume Yanchur, a est di Gulyaipole. Qui le forze russe hanno nuovamente conquistato diversi insediamenti rimasti. La mappa di Suriyak qui sotto è un po’ conservativa rispetto ad altre che riportano già la conquista completa di Yegorovka a nord e Pryvolne verso il centro:

Presumibilmente, saranno contrassegnati entro un giorno o due e rimarranno solo un paio di insediamenti in questa catena da raggruppare.

Nella regione di Zaporizhzhia, le truppe d’assalto della 60ª brigata hanno liberato Privolnoye, sulla riva occidentale del fiume Yanchur.

Probabilmente, le forze russe continueranno oltre Yegorovka verso Danilovka per tagliare l’importante via di rifornimento tra Gulyaipole e Pokrovske, il che eserciterà una nuova pressione su Gulyaipole in preparazione dell’imminente accerchiamento di quella città chiave:

La notizia principale continua naturalmente a essere Pokrovsk, dove le forze russe hanno finalmente conquistato il nodo chiave di Rodynske, tagliando di fatto tutte le principali vie di rifornimento all’intero agglomerato:

Se tutto è tagliato fuori, come mai gli ucraini non sono ancora completamente intrappolati nel calderone? Beh, rimangono delle strade secondarie che si possono vedere dalla linea gialla qui sotto, oltre alla possibilità di attraversare semplicemente i campi ormai fangosi per uscire:

Il punto chiave indicato dalla X rossa sopra è dove l’ultima vera strada può portare i soldati verso ovest, anche se possono ancora provare a scappare nei vicoli della città stessa, anche se è molto meno efficace e sotto il controllo del fuoco dei droni, qualcosa del genere:

Ma il punto è che questo aumenta notevolmente il rischio di distruzione delle unità in fuga. Più riesci a incanalare e convogliare le unità nemiche in corridoi di fuga sempre più stretti, più sarai in grado di distruggerle mentre si accumulano e si “concentrano” in quegli ultimi corridoi. Avere molte opzioni diverse per le vie di rifornimento ti consente di distribuire la tua logistica in modo che ci siano solo poche unità in arrivo o in partenza su una determinata strada in un dato momento. Canalizzare l’intera guarnigione rimanente in una o due strade più piccole, dissestate e fangose si traduce in un disastro.

Ci sono diverse interpretazioni della situazione attuale: alcuni sostengono che Pokrovsk sia stata completamente circondata e che tutte le forze armate ucraine siano intrappolate, mentre altri affermano che ci vorranno almeno un’altra settimana o due prima che la città cada.

Gli ucraini hanno lanciato un importante contrattacco con brigate delle forze speciali appena arrivate nella direzione di Dobropillya, al fine di alleviare la pressione dall’accerchiamento di Pokrovsk. Ciò ha portato alla perdita di alcuni territori, tra cui Nove Shakhove, da parte dei russi, secondo quanto riportato da Suriyak:

Alla fine, almeno finora, ha raggiunto ben poco del suo obiettivo. Le forze russe continuano ad attaccare sia il sud-est che il nord di Mirnograd, e una nuova testa di ponte si è spinta fino al centro di Pokrovsk, con circa il 70% della città conquistato.

I russi hanno anche lanciato un altro grande assalto meccanizzato su Shakhove, a est del saliente di Dobropillya:

Il nemico sta pubblicando filmati dei massicci assalti meccanizzati in corso sul villaggio di Shakhovo, alla base del fianco destro del saliente di Dobropolye.

Colonne di diversi capannoni con veicoli per lo sminamento e veicoli da combattimento della fanteria BMP-3 con fanteria si sono spostate per sfondare Shakhovo da sud-est. A giudicare dal video, questa volta, a differenza dell’assalto precedente, la maggior parte dei veicoli è riuscita a raggiungere la periferia dell’insediamento, anche se diverse unità di equipaggiamento sono andate perdute lungo il percorso a causa dei ripetuti attacchi dei droni FPV.

Il famoso corrispondente di guerra russo Alexander Kharchenko fornisce un aggiornamento illuminante sulla situazione:

Sull’accerchiamento di Pokrovsk

Per capire cosa sta succedendo nei pressi di Pokrovsk/Krasnoarmeysk, bisogna prima dimenticare tutte le immagini della Grande Guerra Patriottica. Quei principi e quella logica non valgono più in questa guerra.

La battaglia per Pokrovsk ricorda il simbolo dello Yin-Yang. Sia noi che il nemico stiamo cercando di strangolare l’avversario con abbracci di droni. L’eccessiva concentrazione di “uccelli” porta all’isolamento della zona di combattimento. Per dirla in modo ancora più semplice, la città è assediata sia da noi che dal nemico.

I nostri combattenti sono a Pokrovsk, ma non si vedono colonne corazzate che irrompono nell’area urbana. Piccoli gruppi si infiltrano nella città e la ripuliscono con molta attenzione.

Ripeto ancora una volta, oggi non esistono accerchiamenti come quello della battaglia di Stalingrado. Gli scettici non troveranno filmati di soldati d’assalto che si incontrano a nord di Pokrovsk.

Sì, ci sono punti sulla mappa dove l’esercito ucraino è ancora presente. Ma se si parla con i prigionieri, tutto diventa chiaro. La difesa di Pokrovsk è stata da tempo suddivisa in piccole enclavi. I soldati sono rimasti bloccati per due mesi senza rifornimenti né possibilità di evacuazione. Leggete i propagandisti ucraini. Nell’ultima settimana hanno continuato a lamentarsi dell’impossibilità di entrare in città. Tutte le strade sono bloccate dalle forze in attesa. Solo pochi riescono a passare a piedi.

Gli assediati ricevono rifornimenti? Sì, certo. Cibo e acqua vengono lanciati dai “Mavik” e dai Baba Yaga. Una razione tipica per due persone è composta da due confezioni di noodles e due scatolette di spratti per due giorni. Quanto resisteranno gli assediati? Tutto dipenderà da come organizzeremo la distruzione dei droni di rifornimento nemici. La sconfitta dei “Baba Yaga” è già in fase di produzione di massa, ma ancora troppi di essi sorvolano Pokrovsk anche durante il giorno.

Se non ci sono più rifornimenti logistici a Pokrovsk, allora si tratta di un accerchiamento. Sì, non vedrete una compagnia di soldati respingere l’avanzata dei carri armati nemici. Ma spesso bastano anche solo due persone su un elicottero. In ogni caso, la battaglia per Pokrovsk sta volgendo al termine e presto vedremo le bandiere russe sventolare sulla città.

Alexander Kharchenko

A proposito, la cosa divertente di Pokrovsk è che l’AFU ha annunciato ufficialmente che solo un totale di 200 soldati russi si trovano all’interno della città stessa, il che aveva lo scopo di minimizzare il controllo della Russia su di essa. Allo stesso tempo, però, i blogger filo-ucraini pubblicano statistiche esagerate sulle perdite giornaliere, che ammonterebbero a forse 100-200 morti o più. Come è possibile, se in tutta la città ci sono solo 200 russi?

In realtà, ciò dimostra che le forze russe hanno continuato a perfezionare la nuova metodologia di avanzamento tattico che riduce al minimo le truppe d’assalto necessarie per conquistare una determinata città, riducendo notevolmente le vittime nel processo.

La verità è che sembra che non ci siano nemmeno così tante AFU rimaste nell’intero agglomerato di Pokrovsk-Mirnograd, e che la maggior parte dell’area sia probabilmente solo una gigantesca zona grigia pattugliata da droni, con solo poche centinaia di soldati su ciascun lato che si eliminano a vicenda settore per settore. Questo è il motivo per cui, nonostante l’accerchiamento apparentemente massiccio, probabilmente non ci sarà una cattura o una distruzione importante di unità nemiche sulla scala dell’Azovstal di Mariupol, o qualcosa del genere.

Detto questo, ecco un rapporto russo sulle presunte quantità di unità AFU all’interno del calderone di Pokrovsk:

Secondo l’NGS, unità di sette brigate AFU sono “bloccate” a Pokrovsk: 25 ovdbr, 79 odshbr, 68 oebr, 35 obrmp, 38 obrmp, 153 ombr, 155 ombr e 425 reggimento d’assalto separato – per un totale di 31 battaglioni. Si stima che 5.500 soldati delle Forze Armate dell’Ucraina siano circondati nella zona di Pokrovsk-Mirnograd. A proposito, secondo la Guardia Nazionale dell’Ucraina, 5.000 persone sono circondate a Kupyansk. Ci sono dubbi su questa cifra. Nel rapporto della NGS, invece della parola “accerchiamento” (envelopment), si sente sempre più spesso “isolamento”: questo è quando è quasi impossibile evacuare i feriti e le normali forniture da un ambiente condizionato. Portare acqua, sigarette e antidolorifici con i droni è il minimo indispensabile per sopravvivere. Continuando con l’argomento, invece del concetto di “linea di contatto”, ha senso introdurre il concetto di “linea di contatto”, poiché non esiste un LBS ideale al fronte. Ovunque si trovi il nostro fuciliere d’assalto, c’è controllo, anche se è l’unico per chilometro di fronte. Per tutti coloro che conoscono la situazione, l’esito vicino a Pokrovsk è ovvio e la guarnigione VSU è in agonia.

Andiamo avanti.

Le forze russe hanno avanzato ulteriormente verso Konstantinovka, dove la battaglia per il controllo della città infuria ormai senza tregua, probabilmente proprio come descritto da Kharchenko:

Anche il fronte di Krasny Lyman continua a crollare, con i russi che stringono il giogo sulla città:

In realtà, quella sopra è ancora una volta la mappa conservativa, con alcune segnalazioni secondo cui le forze russe avrebbero già fatto irruzione nella città di Lyman dalla parte più orientale:

Un articolo su Krasny Lyman pubblicato da un canale televisivo russo:

Red Liman. Successi delle forze armate russe. Disastro per le forze armate ucraine. 24.10

I compagni riferiscono che il gruppo corazzato delle forze armate ucraine, composto da 600 unità di equipaggiamento in tre brigate meccanizzate, è stato praticamente circondato nei pressi di Red Liman.

Secondo le informazioni dei servizi segreti, tra i potenziali trofei delle forze armate russe figurano i carri armati “Leopard”, “Abrams” e “Bradley”.

Secondo i combattenti, dopo aver conquistato il villaggio di Stavki, le nostre truppe si sono avvicinate a Liman da due direzioni.

Qui hanno sede la 53ª, la 60ª e la 63ª brigata meccanizzata e la 119ª brigata di difesa territoriale dell’Ucraina.

La città stessa è il più importante snodo ferroviario della Repubblica Popolare di Donetsk, attraverso il quale passano i principali flussi di rifornimento delle forze armate ucraine con attrezzature, personale e munizioni.

Dispone anche di un impianto di conglomerato bituminoso che può essere utilizzato per la realizzazione di fortificazioni.

Attualmente, i militanti ucraini stanno cercando di ripristinare con urgenza i ponti sul fiume Donets.

In precedenza, erano stati distrutti dagli UAV russi per interrompere i rifornimenti nemici.

L’importanza di ripristinare le strade è legata anche alla recente operazione di distruzione delle infrastrutture ferroviarie ucraine.

Si osserva che, dopo aver conquistato Liman, le truppe russe avanzeranno direttamente verso Sloviansk, Kramatorsk e Druzhkivka, la linea di difesa chiave delle forze armate ucraine nel nord della regione di Donetsk.

Kupyansk è un po’ più incerta, con i mappatori che indicano che le forze russe hanno conquistato gran parte della zona sud della città, o almeno l’hanno trasformata in una zona grigia:

Tuttavia, le forze russe sono riuscite anche a entrare a Kurylovka da est, circondando lentamente Kupyansk dalla direzione della riva orientale del fiume Oskol:

Infine, concludiamo con questo post indicativo della nota figura ucraina Maria Berlinska, che lancia l’allarme sul crescente collasso delle AFU:


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Vivere pericolosamente

Guerra russo-ucraina: autunno 2025

Big Serge27 ottobre
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La guerra russo-ucraina sembra essere stata progettata in laboratorio per frustrare le persone con ripetizioni e paralisi analitica. I titoli sembrano circolare in un loop coreografato, fino ai nomi dei luoghi. Kaja Kallas della Commissione Europea ha recentemente annunciato, senza un briciolo di ironia, che il nuovo pacchetto di sanzioni europeo – il 19° – è il più duro finora. I sostenitori dell’Ucraina insistono sul fatto che i missili Tomahawk siano il sistema d’arma che cambierà finalmente le carte in tavola e spezzerà la guerra in modo decisivo a favore di Kiev, ribadendo le stesse grandiose affermazioni fatte sui GLMRS, sui Leopard, sugli Abrams, sugli F-16, sugli Storm Shadow, sugli ATACM e praticamente su ogni altro equipaggiamento militare negli inventari della NATO. Sul terreno, la Russia sta attaccando gli insediamenti di Pokrovsk e Pokrovs’ke; ha recentemente conquistato Toretsk e Tors’ke e ora sta attaccando Torets’ke. Più le cose cambiano, più restano le stesse.

Anche i quadri analitici applicati alla guerra sono cambiati relativamente poco, sepolti e offuscati dal nebuloso concetto di logoramento. Da parte ucraina, si insiste costantemente sul fatto che la Russia stia subendo perdite esorbitanti e sia sotto pressione per gli attacchi in profondità ucraini, mentre le sconfitte ucraine sono attribuite in gran parte all’incapacità degli Stati Uniti di ampliare la propria generosità e di fornire all’Ucraina tutto ciò di cui ha bisogno. Molte linee di pensiero filo-russe rispecchiano questo e suppongono che l’AFU sia sull’orlo della disintegrazione, mentre il Cremlino è accusato di non essere riuscito a “togliersi i guanti”, in particolare per quanto riguarda la rete energetica ucraina, i ponti sul Dnepr e le dighe.

Il risultato è un tipo di guerra molto strano. Si tratta di una guerra terrestre ad altissima intensità. Entrambi gli eserciti rimangono sul campo, mantenendo centinaia di chilometri di fronte ininterrotto dopo anni di sanguinosi combattimenti. Entrambi gli eserciti (a seconda della persona a cui lo si chiede) subiscono perdite insostenibili che dovrebbero portare al collasso a breve, eppure Mosca, Kiev e Washington sono tutti (di nuovo, a seconda della persona a cui lo si chiede) colpevoli di non aver preso la guerra abbastanza sul serio. Tutto ciò è esasperantemente ripetitivo, e si potrebbe essere perdonati per aver distratto completamente l’attenzione. Persino il tango diplomatico tra Trump, Zelensky e Putin, dopo aver regalato qualche momento di intrattenimento, non è riuscito a spostare l’ago della bilancia in una direzione discernibile.

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Pochi sosterrebbero che la traiettoria della guerra sia cambiata in modo palesemente drammatico nel 2025, ed è importante evitare il linguaggio logoro e stereotipato su “punti di svolta”, “collasso” o altre sciocchezze simili. Tuttavia, il 2025 ha visto diversi cambiamenti nella guerra, che non saranno certo ostentati o drammatici, ma sono comunque molto importanti. Il 2025 è stato il primo anno di guerra in cui l’Ucraina non ha lanciato offensive terrestri o operazioni proattive proprie. Questo fatto non è solo un indizio dello stato di degrado delle forze terrestri ucraine, ma anche una testimonianza del modo in cui le forze russe hanno trasformato quest’anno il “logoramento” da una parola d’ordine in un metodo di pressione persistente su una varietà di fronti.

In mancanza di iniziativa sul campo, e di fronte a un lento ma inesorabile arretramento delle proprie difese nel Donbass, la teoria della vittoria ucraina è cambiata in modo inconfessato ma drammatico. Dopo anni di insistenze sul raggiungimento della massima integrità territoriale – un risultato che richiederebbe la sconfitta totale e decisiva delle forze terrestri russe – l’Ucraina ha riformulato il suo percorso verso la vittoria principalmente come un processo di inflizione di costi strategici alla Russia, che aumenteranno fino a quando il Cremlino non accetterà un cessate il fuoco. Di conseguenza, il dibattito sull’armamento dell’Ucraina si è spostato da una discussione su mezzi corazzati e artiglieria – equipaggiamento utile per riconquistare territori perduti – a una discussione su armi da attacco in profondità come i Tomahawk, che possono essere utilizzati per colpire le raffinerie di petrolio e le infrastrutture energetiche russe. In breve, anziché agire per impedire alla Russia di raggiungere obiettivi operativi immediati nel Donbass, l’Ucraina e i suoi sponsor stanno ora cercando modi per far pagare alla Russia un prezzo tale che la vittoria sul campo non valga più la pena. Non è chiaro se abbiano pensato a quale prezzo l’Ucraina pagherà in questo scambio. Forse non gliene importa.

Informazioni sui Tomahawk

Nonostante i tentativi dell’Ucraina di rilanciare la produzione nazionale, è inevitabile che le capacità ucraine saranno in gran parte determinate dalla generosità degli sponsor occidentali. Questo aspetto della guerra ha preso una svolta improvvisa all’inizio di ottobre, quando hanno iniziato a circolare nuove notizie secondo cui i missili Tomahawk avrebbero potuto essere sul tavolo per l’Ucraina. I Tomahawk sono sempre stati nella lista dei desideri dell’Ucraina (dato che la lista dei desideri ucraina in quanto tale comprende essenzialmente tutto l’equipaggiamento militare degli inventari combinati della NATO), ma questa è stata la prima notizia che potrebbe essere presa seriamente in considerazione.

Come spesso accade, la discussione si è allontanata da un fondamento realistico, con alcuni che suggerivano che il Tomahawk avrebbe rappresentato un “punto di svolta” per l’Ucraina (dove l’abbiamo già sentito?) e la sfera filo-russa che lo liquidava come una distrazione irrilevante. C’è la tendenza a concentrarsi sulla qualità dei sistemi d’arma americani, presentandoli come meraviglie tecnologiche ineguagliabili o cianfrusaglie sopravvalutate e costose, ma questo generalmente non è produttivo e in gran parte irrilevante ai fini della questione in esame. Il Tomahawk, in generale, è esattamente come pubblicizzato e fornisce una capacità di attacco comprovata e affidabile a profondità strategiche superiori a 1.600 chilometri. Per ruolo, gittata e carico utile è essenzialmente un analogo dei missili russi Kalibr (prego gli appassionati di notare l’espressione “essenzialmente un analogo” piuttosto che mettermi alla prova con i carboni ardenti sui diversi sistemi di guida e altre minuzie tecniche). Un sistema del genere sarà sempre prezioso e ovviamente migliorerebbe le capacità di attacco in profondità dell’Ucraina.

Il “problema” dei Tomahawk non riguarda il missile in sé, ma la sua disponibilità e la capacità tecnica dell’Ucraina di lanciarli. Il Tomahawk è convenzionalmente un missile lanciato da nave (non esiste una variante aviolanciabile) con alcune nuove opzioni per il lancio da terra. L’Ucraina, ovviamente, avrebbe bisogno di sistemi di lancio da terra, e il problema è che questi sistemi sono essenzialmente nuovi di zecca e disponibili in quantità molto limitate: cosa ancora più importante, le forze armate americane stanno cercando di sviluppare queste capacità nel corso del decennio. Fornire all’Ucraina Tomahawk lanciabili da terra in quantità significative richiederebbe quindi essenzialmente all’Esercito e ai Marines statunitensi di abbandonare i propri piani di potenziamento delle forze armate.

Esistono due opzioni di base per il lancio a terra dei Tomahawk. Una di queste è il lanciatore MRC (Mid-Range Capability) dell’esercito americano, soprannominato Typhon . Si tratta di un enorme lanciatore con rimorchio a quattro tubi di lancio, consegnato per la prima volta nel 2023. Ha un ingombro enorme – così grande, a quanto pare, che l’esercito ne sta già chiedendo uno più piccolo – e ha lo scopo di fornire all’esercito una componente di fuoco organico nel divario tra i missili Precision Strike Missile a corto raggio e i sistemi ipersonici (che ancora non esistono). Il fatto cruciale è questo: l’esercito intende schierare un totale di cinque batterie Typhon entro il 2028, di cui due sono state consegnate finora. Ogni batteria è composta a sua volta da quattro lanciatori, il che implica che otto dei venti lanciatori previsti sono stati consegnati. Ancora più importante, entrambe le batterie attualmente operative sono già dispiegate, una nelle Filippine e una in Giappone . Questi sistemi vengono utilizzati attivamente in esercitazioni e sperimentazioni , tra cui un’esercitazione quest’estate in Australia .

Il sistema Typhon conferisce al Tomahawk la capacità di lancio da terra, ma comporta un ingombro enorme

La situazione con il sistema di lancio del Corpo dei Marines è piuttosto simile, sebbene le piattaforme di lancio stesse non potrebbero essere più diverse. A differenza del pesante trattore con rimorchio Typhon, i Marines stanno schierando un sistema LMSL significativamente più agile e compatto , con il compromesso di un singolo tubo di lancio rispetto ai quattro del Typhon. Ciò che conta non sono tanto le differenze tecniche, quanto il fatto che i Marines, come l’Esercito, hanno ricevuto le prime consegne solo nel 2023 e sono attualmente in fase di ampliamento della forza. Nel caso dei Marines, l’obiettivo è avere un battaglione Tomahawk pronto entro il 2030. In effetti, il contratto di produzione è entrato in vigore solo nel 2025.

Cosa significa tutto ciò? Significa che, sebbene il Tomahawk sia di per sé un ottimo missile, i sistemi di lancio a terra sono così nuovi e disponibili in quantità così limitate che dotare l’Ucraina di Tomahawk richiederebbe all’Esercito statunitense o ai Marines di modificare materialmente la propria struttura di forze armate nel breve termine (in pratica entro il 2030). Si tratta essenzialmente dell’opposto di gran parte dell’equipaggiamento finora fornito all’Ucraina: lungi dall’essere inventari di sistemi più vecchi che possono essere contrassegnati come surplus o destinati alla sostituzione, il lancio a terra del Tomahawk è una capacità completamente nuova che per la prima volta è in fase di dispiegamento e allestimento.

Questa è, ovviamente, una complicazione a più livelli che si aggiunge alle quantità di Tomahawk in sé e per sé. La questione della disponibilità di Tomahawk è sia sopravvalutata che sottovalutata, a seconda del contesto. Gli Stati Uniti hanno circa 4.000 Tomahawk nei loro inventari (anche se metà di questi si trova attualmente nelle loro celle sulle navi americane), quindi non è del tutto corretto affermare ( come alcuni hanno fatto ) che l’America stia esaurendo queste armi critiche. Il problema è che i tassi di produzione sono relativamente anemici (generalmente tra 55 e 90 all’anno) e non riescono a coprire le spese derivanti anche da campagne di attacco relativamente brevi, come i ripetuti attacchi in Yemen . In generale, quindi, il problema non è tanto che gli Stati Uniti corrano il rischio immediato di esaurire i Tomahawk, quanto che i programmi di approvvigionamento sono così lenti che anche spese relativamente modeste possono annullare consegne per diversi anni.

Potrebbe essere utile, quindi, confrontare i Tomahawk con i missili ATACM già forniti all’Ucraina. A differenza dei Tomahawk, l’ATACM è un sistema già pronto per la sostituzione , con il Precision Strike Missile nelle prime fasi del suo lancio. Gli ATACM erano anche compatibili con i sistemi di lancio già in possesso dell’Ucraina. Rispetto ai Tomahawk, quindi, gli ATACM sono molto più sacrificabili strategicamente, prodotti in numero maggiore e più facili da schierare. Nonostante tutti questi punti a loro favore, gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina solo 40 ATACM . Anche se l’esercito potesse essere costretto a consegnare uno o due dei suoi nuovissimi lanciatori Typhon, è difficile immaginare che più di qualche decina di Tomahawk potrebbero essere riservati all’Ucraina: un inventario simbolico troppo piccolo per condurre una campagna di attacco prolungata nel cuore della Russia.

Pace, sponsorizzato da Raytheon

Dato che i Tomahawk per l’Ucraina si misurerebbero in decine, piuttosto che in centinaia, vale la pena chiedersi se questo potrebbe effettivamente cambiare qualcosa per l’AFU al fronte. La risposta è chiaramente no a lungo termine, ma sarebbe poco saggio scartare la possibilità che anche una tranche limitata di Tomahawk (diciamo da 40 a 50 missili) possa contribuire ad alleviare la pressione sulle forze ucraine al fronte, a condizione che vengano utilizzati in modo appropriato. Un aumento a breve termine delle capacità d’attacco ucraine, se schierato contro le retrovie russe, potrebbe costringere a un’ulteriore dispersione e razionamento delle risorse russe e bloccare temporaneamente l’emergente offensiva multiasse russa. Ciò potrebbe rinviare la perdita di posizioni chiave fino all’inizio del 2026. Ciò presuppone, tuttavia, che gli ucraini si accontenterebbero di usare i Tomahawk contro obiettivi operativi. In realtà, l’Ucraina non sembra mai resistere al lancio di missili contro obiettivi che hanno scarsa rilevanza sul fronte, come il ponte di Kerch. In effetti, la mancata sinergia tra attacchi in profondità e operazioni a terra è una delle ragioni principali per cui gli ATACM hanno ottenuto così pochi risultati.

D’altro canto, è una lamentela comune, da parte russa, che Mosca abbia fatto troppo poco per “dissuadere” gli Stati Uniti dal potenziare la campagna di attacco dell’Ucraina, sia fornendo direttamente munizioni che sistemi di pianificazione, ISR e guida. Questo, tuttavia, non coglie il punto. La Russia non ha fatto nulla di rilevante per dissuadere gli Stati Uniti perché sia ​​Mosca che Washington comprendono appieno che non c’è sostanzialmente alcuna propensione (da nessuna delle due parti) a uno scontro diretto. In (ragionevole) assenza di volontà di contrattaccare gli obiettivi NATO, non c’è davvero nulla che la Russia possa fare per dissuadere, se non mantenere le proprie capacità di ritorsione. Il problema non è che la Russia non abbia esercitato attivamente la dissuasione, ma che non c’è nulla che potrebbe fare anche se lo volesse.

Lo schema di base è ben consolidato. Gli Stati Uniti hanno fatto il possibile per sostenere le capacità di attacco ucraine, ma le hanno mantenute a un livello tale per cui il danno inflitto dall’Ucraina è ben al di sotto di livelli decisivi. Finché sarà così, la Russia ha chiaramente dimostrato che si limiterà a subire i colpi e a reagire contro l’*Ucraina*. Pertanto, quando gli Stati Uniti aiutano l’Ucraina a colpire gli impianti petroliferi russi , è l’Ucraina a subire la rappresaglia, ed è l’Ucraina a vedere la sua produzione di gas naturale annientata con l’avvicinarsi dell’inverno . In un certo senso, nessuna delle due parti sta realmente cercando di scoraggiare l’altra. Gli Stati Uniti hanno aumentato il costo di questa guerra per la Russia, ma non abbastanza da creare una reale pressione su Mosca affinché ponga fine al conflitto; in risposta, la Russia punisce l’Ucraina, cosa che agli Stati Uniti non interessa davvero. Il risultato è una sorta di immagine geostrategica di Dorian Gray, in cui gli Stati Uniti infliggono indirettamente danni catartici alla Russia, ma l’Ucraina accumula tutto il danno spirituale.

Nel caso dei Tomahawk, il calcolo rischio-rendimento semplicemente non è corretto. I Tomahawk sono una risorsa strategicamente inestimabile che gli Stati Uniti non possono permettersi di distribuire come caramelle. Anche se i sistemi di lancio potessero essere forniti (cosa altamente dubbia), i missili non potrebbero essere resi disponibili in quantità sufficienti a fare la differenza. La gittata dei missili, tuttavia, aumenta significativamente la probabilità di errori di calcolo o di un’escalation incontrollata. Che l’Ucraina lanci missili americani contro infrastrutture energetiche a Belgorod o Rostov è una cosa; lanciarli contro il Cremlino è tutt’altra cosa.

C’è, tuttavia, un altro aspetto che sembra ricevere poca attenzione. Il rischio maggiore nell’invio dei Tomahawk non è che gli ucraini facciano saltare in aria il Cremlino e scatenino la Terza Guerra Mondiale. Il rischio maggiore è che i Tomahawk vengano utilizzati e che la Russia, dopo aver subito gli attacchi, passi oltre. I Tomahawk sono probabilmente uno degli ultimi – se non *l’* ultimo – gradino nella scala dell’escalation per gli Stati Uniti. Abbiamo rapidamente esaminato la catena di sistemi che possono essere forniti all’AFU, e poco rimane, tranne alcuni sistemi d’attacco come il Tomahawk o il JASSM. L’Ucraina ha generalmente ricevuto tutto ciò che ha richiesto. Nel caso dei Tomahawk, tuttavia, gli Stati Uniti corrono il rischio più grave di tutti: cosa succederebbe se i russi semplicemente abbattessero alcuni missili e subissero il resto degli attacchi? È irrilevante se i Tomahawk danneggiassero le centrali elettriche o le raffinerie di petrolio russe. Se i Tomahawk verranno consegnati e consumati senza urtare seriamente i nervi russi, l’ultima carta dell’escalation sarà stata giocata. Se la Russia percepirà che l’America ha raggiunto i limiti della sua capacità di aumentare i costi della guerra per la Russia, indebolirà l’intera premessa dei negoziati. In parole povere, i Tomahawk sono più preziosi come risorsa da usare come minaccia.

Leggendo tra le righe delle recenti dichiarazioni pubbliche del Presidente Trump, sembra probabile che abbia ponderato razionalmente queste considerazioni. Pubblicamente, ha usato la minaccia dei Tomahawk per cercare di costringere la Russia a proseguire i negoziati, e ha ricevuto un impegno per un altro incontro con Putin per il disturbo (ne parleremo più avanti). Ora, per il momento, ha accantonato il piano dei Tomahawk, commentando che “ne abbiamo bisogno” e applicando il consueto stile linguistico trumpiano alla questione ampiamente accettata degli inventari che ho delineato qui. I Tomahawk sono semplicemente più preziosi per gli Stati Uniti come strumento per minacciare un’escalation, piuttosto che come una vera e propria risorsa cinetica nelle mani dell’Ucraina, e finché Trump non avrà armi da fuoco, potrà sollevare nuovamente la questione in seguito.

In definitiva, forse, questa discussione non riguarda affatto i Tomahawk. Questi missili, piuttosto, sono semplicemente un totem che dimostra due importanti punti di contatto. In primo luogo, le risorse americane non sono infinite e, man mano che gli Stati Uniti attingono sempre più al loro bagaglio per aiutare l’Ucraina, iniziano ad accaparrarsi risorse strategicamente critiche che l’esercito statunitense semplicemente non può permettersi di sprecare. In secondo luogo, dobbiamo ricordare che la politica americana in Ucraina è un gioco di titolazione, con Washington che sonda i limiti della volontà russa di “subire gli attacchi” senza permettere che la violenza di rappresaglia si riversi dall’Ucraina.

La grande banana: lo schema operativo della Russia

A questo punto, sta diventando sempre più difficile dire qualcosa di significativo sull’effettiva progressione operativa sul campo. Le ragioni sono diverse. Innanzitutto, la guerra dura ormai da così tanto tempo e procede costantemente a un ritmo apparentemente così lento che alla maggior parte delle persone semplicemente non importa più se la Russia detenga o meno Yampil, o se abbia superato la linea ferroviaria a Pokrovsk. C’è una forte stanchezza (o forse è meglio dire noia) per lo stato di un’interminabile sequenza di insediamenti apparentemente piccoli, complessi industriali e piantagioni forestali, e di conseguenza la maggior parte delle persone ha sostanzialmente abbandonato. Non ultimo tra questi deve essere sicuramente il presidente Trump, che a quanto pare ha abbandonato la mappa del fronte di Zelensky e si è lamentato di essere stanco di vedersi mostrare sempre le stesse mappe.

D’altra parte, abbiamo i veri ossessivi che continuano a seguire diligentemente e regolarmente le linee del fronte e si aggiornano volontariamente ogni giorno. Ci ritroviamo con un sistema biforcuto in cui alcuni sono ancora molto coinvolti nei micromovimenti sul campo di battaglia, ma la maggior parte semplicemente non se ne cura, e non possiamo certo biasimare quest’ultima. Credo che sarebbe quindi proficuo riflettere sul più ampio schema operativo russo, su ciò che ha realizzato e su ciò che intende realizzare nel prossimo anno. Questo è probabilmente più interessante e meno ripetitivo che concentrarsi sull’esatto posizionamento all’interno di Pokrovsk o Kupyansk.

Ci sono due punti più importanti che ritengo valga la pena sottolineare prima di entrare nei dettagli.

Innanzitutto, gran parte delle analisi sul campo di battaglia che emergono (in particolare dagli analisti occidentali) si pronunciano con fermezza su cosa costituisca l’impegno “primario” e “secondario” della Russia, ma queste sono essenzialmente interpolate e spesso errate. Ad esempio, è diventata un’idea piuttosto diffusa che l’obiettivo “primario” dell’impegno russo in questo momento sia la cattura di Pokrovsk, ma questa opinione non sembra effettivamente supportata dalle azioni russe. Non c’è alcun vantaggio particolare da ottenere per la Russia spingendo per catturare Pokrovsk il prima possibile: la città è già in una morsa di accerchiamento parziale. Certo, Pokrovsk *era* un importante snodo logistico per le forze ucraine, ma non può più svolgere quel ruolo ed è stata sterilizzata come snodo di transito mesi fa, una volta diventata una città di prima linea. Il rovescio della medaglia è che altri assi di avanzata russi, in particolare nel sud di Donetsk e nell’ansa del fiume Donec, vengono liquidati come sforzi “secondari”. Si tratta di un errore grave e cercherò di dimostrare che si tratta di progressi cruciali grazie ai quali la Russia sta plasmando il campo di battaglia a proprio vantaggio per le operazioni successive.

In secondo luogo, è opportuno comprendere e apprezzare che l’Ucraina ha perso sostanzialmente ogni iniziativa sul campo di battaglia. Nel 2024, l’AFU è riuscita a assemblare una riserva meccanizzata e a lanciare la propria operazione a Kursk. Questa operazione alla fine fallì e causò gravi perdite all’Ucraina, ma ciò non è correlato al fatto che l’Ucraina fosse ancora in grado di accumulare forze e perseguire operazioni offensive di propria iniziativa. Nel 2025, tuttavia, l’Ucraina si è trovata in uno stato di reattività permanente. Questo è stato il primo anno di guerra in cui l’Ucraina non ha lanciato operazioni proattive o controffensive proprie, e le speranze ucraine si sono invece concentrate sulla campagna di attacco strategico contro gli impianti petroliferi russi.

In senso più ampio, l’effetto dell’attrito si può osservare anno dopo anno con la riduzione della portata delle operazioni proattive dell’Ucraina. Nel 2022, l’Ucraina è stata in grado di lanciare un paio di offensive ampiamente distanziate che hanno prodotto modesti successi: un’offensiva da Kharkov ha fatto retrocedere il fronte oltre il fiume Oskil (sebbene non sia riuscita a far crollare la spalla di Lugansk); nel frattempo, una serie di battaglie fuori Kherson non sono riuscite a sfondare le linee russe, ma hanno contribuito a convincere i russi ad abbandonare la loro testa di ponte sul Dnepr. Il punto, ovviamente, non è quello di analizzare nuovamente queste offensive, ma di sottolineare che ce n’erano due, che erano di portata significativa e che hanno portato a importanti guadagni territoriali per l’Ucraina. Nel 2023, al contrario, l’Ucraina ha lanciato un’unica offensiva a livello di teatro nel sud, che è fallita. Nel 2024, abbiamo assistito all’operazione Kursk: più piccola e meno equipaggiata dell’offensiva di Zaoprizhia del 2023, e mirata a un teatro periferico. Quest’anno, non ci sono state operazioni proattive ucraine. C’è uno schema molto chiaro in gioco, con la potenza offensiva dell’Ucraina che si è progressivamente ridotta prima di scomparire del tutto nel 2025. Questo è stato un anno di iniziativa russa sostanzialmente ininterrotta.

Mettere l’Ucraina definitivamente in difficoltà è un risultato significativo per la Russia, ed è dovuto ad alcuni fattori convergenti. Ovviamente, l’attrito delle forze ucraine è un fattore determinante. Abbiamo esaminato dettagliatamente la fallimentare mobilitazione ucraina, la cannibalizzazione delle sue forze e la generale mancanza di riserve in diverse occasioni, e non c’è bisogno di ripercorrere la stessa strada qui. Basti dire che la capacità dell’Ucraina di amministrare le forze per le operazioni offensive sembra essere gravemente compromessa. La Russia ha aggravato questo problema premendo costantemente su una varietà di assi diversi. Al momento, ci sono non meno di sette assi di attacco russi, che esercitano pressione su una serie di città lungo tutta la linea. Ciò crea una serie di emergenze difensive, mantiene il tasso di esaurimento delle forze ucraine e le blocca sulla linea. Infine, un punto che approfondiremo a breve, le avanzate russe hanno iniziato a smantellare la connettività logistica dell’Ucraina, il che mette a dura prova l’approvvigionamento e impedisce la concentrazione e l’accumulo di forze.

Ucraina orientale: situazione approssimativa e assi dell’avanzata russa

Ora, per quanto riguarda lo sviluppo del fronte e la premessa dello schema offensivo russo, il punto principale che voglio sottolineare è essenzialmente il seguente: anziché concentrarsi su Pokrovsk, le avanzate russe attraverso il Donetsk meridionale e l’ansa interna del fiume Donec dovrebbero essere considerate operazioni vitali che hanno gravemente compromesso la coerenza sia del fronte ucraino che della sua logistica. Ciò ha il triplice effetto di impedire agli ucraini di lanciare offensive proprie, accelerare il logoramento delle forze ucraine e modellare il fronte per la prossima operazione di conquista dell’agglomerato di Slovyansk-Kramatorsk.

Per iniziare, consideriamo i progressi compiuti dalla Russia nel sud di Donetsk, sia in termini territoriali sia per le implicazioni sulla connettività logistica ucraina. Per dimostrarlo, ho estratto le mappe da DeepState (di nuovo, un’impresa cartografica ucraina) per agosto 2023 (quando l’Ucraina stava tentando il suo contrattacco da Orikhiv) e per il 20 ottobre, la settimana in cui scrivo. Ho annotato sia la lunghezza del fronte meridionale (ovviamente un’approssimazione lineare, poiché il fronte reale presenta molte curve e rigonfiamenti) sia evidenziato le principali autostrade che l’Ucraina utilizza per gestire la spina dorsale della sua logistica.

Il fronte meridionale: 2023 vs 2025

Ora, una cosa degna di nota è che i russi sono attualmente posizionati per estendere ulteriormente questo fronte. Le linee difensive ucraine sono principalmente orientate lungo un asse nord-sud. Una volta liberata Kurakhove, le forze russe sono penetrate nelle giunture di queste linee difensive, ovvero stanno avanzando lateralmente lungo il fronte delle difese preparate, piuttosto che cercare di sfondarle frontalmente. Questo è uno dei motivi per cui la loro avanzata è stata relativamente costante e ininterrotta. Ora, avvicinandosi al “gomito” delle linee, dove ruotano verso sud, e dopo aver attraversato il fiume Yanchur, i russi stanno entrando in uno spazio considerevole privo di difese preparate significative. Utilizzando la mappa Military Summary (le fortificazioni ucraine sono mappate con punti gialli), il vuoto nella difesa è abbastanza evidente mentre i russi si fanno strada nel gomito della linea.

A parte l’ovvio sviluppo degno di nota – ovvero che le forze russe hanno, a questo punto, percorso circa metà del fronte meridionale e sono pronte ad avanzare per altre 16-18 chilometri – vogliamo sottolineare due aspetti emblematici dell’andamento della guerra in Ucraina, ma che curiosamente ricevono poca attenzione. In primo luogo, la compressione del fronte sta privando gli ucraini dello spazio di manovra che avrebbe permesso loro di schierare e assemblare le forze per la controffensiva del 2023. Due anni fa, c’era un’ampia zona cuscinetto laterale attorno all’area di schieramento ucraina a Orikhiv, e le forze ucraine avevano accesso a diverse autostrade dove potevano disperdere le forze nelle loro colonne in marcia e gestire la logistica.

Oggi, quella zona cuscinetto non c’è più, così come il facile accesso a diverse autostrade secondarie. L’avanzata russa, iniziata con lo sfondamento a Ugledar e Kurakhove l’anno scorso e che ha ormai raggiunto circa 80 chilometri di fronte, ha sostanzialmente sterilizzato la capacità dell’Ucraina di attaccare a sud, perché non ha né lo spazio né le strade per accumulare forze in sicurezza qui. Ha anche distrutto l’interconnessione logistica ucraina: anziché disporre di diverse autostrade per trasportare truppe e materiali verso est, l’Ucraina ora deve supportare diversi fronti logistici scollegati con autostrade individuali. Più precisamente, non esiste più un singolo “fronte” di Donetsk di cui parlare, ma piuttosto una serie di fronti logistici: uno a sud, intorno a Orikhiv, un altro a Pokrovsk e il più grande nella Bananone di Slovyansk. Questi fronti sono privi di connettività laterale tra loro per gli ucraini a causa dei cunei che i russi hanno forzato sul fronte, in particolare a sud, incanalando logistica e rinforzi lungo corridoi separati.

Il problema più grande, tuttavia, risiede più a nord, sugli assi di Pokrovsk e Donec’k, e nel modo in cui questi interagiscono tra loro. Chi si concentra, escludendo tutto il resto, su quando e come la Russia conquisterà Pokrovsk, non riesce a vedere il quadro generale, e in effetti non cerca nemmeno di comprenderlo.

L’obiettivo operativo russo definitivo (almeno in questa fase della guerra) è la cintura di città che si estende ad arco da Slovjansk a Kostyantinivka, che chiamo affettuosamente “la Banana di Slovjansk” per la sua forma curva. Un’occhiata superficiale alla mappa ci mostra perché proprio le operazioni che vengono liquidate come sforzi secondari siano in realtà assi cruciali dell’impegno russo, che stanno plasmando il campo di battaglia per l’attacco alla Banana.

Ci sono due fatti molto importanti riguardo al Banana, dal punto di vista della geografia operativa. Il primo è che, sebbene la massa complessiva dell’agglomerato sia di gran lunga più grande di qualsiasi area urbana contesa fino a questo momento, il Banana è relativamente difficile da difendere perché sorge sul fondovalle di un fiume: il Kazennyi Torets attraversa tutte le città del Banana prima di sfociare nel Donec. Le forze russe che si avvicinano alla città da sud-ovest, da est e da nord avanzeranno tutte lungo le alture che dominano le città sul fondovalle.

Il secondo fatto importante riguardo al Banana è che, nonostante le sue dimensioni, è supportato da sole due autostrade che arrivano rispettivamente da sud-ovest e nord-ovest, incanalandosi nel Banana come un cuneo. Prendendo come esempio l’autostrada/MSR settentrionale (la E40), vediamo che le operazioni russe all’interno dell’ansa del Donec non sono certo sforzi secondari: sono operazioni di modellamento vitali legate all’integrità del Banana. L’autostrada E40 segue l’ansa del Donec molto da vicino (generalmente rimane entro cinque miglia dal fiume). Se i russi mantengono la loro avanzata a nord del Donec e raggiungono il fiume a Bogorodychne o Svyatogirsk, non solo sottoporranno la E40 a persistenti attacchi dei droni, ma piegheranno anche la linea difensiva dietro il Banana, per non parlare dell’enorme pressione sul saliente di Siversk.

Anche sul fronte di Pokrovsk, i progressi della Russia vengono mal interpretati. Dopo lo sfondamento di fine estate, le forze russe hanno consolidato la zona a nord di Pokrovsk (nonostante settimane di contrattacchi ucraini) e si stanno costantemente dirigendo verso Rais’ke e Sergiivka. Non si tratta affatto di Pokrovsk: raggiungere Rais’ke porterebbe le forze russe direttamente nelle retrovie di Kostyantinivka, sulle linee di rifornimento verso la parte inferiore del fiume Banana.

Non sto affatto suggerendo che le forze russe siano sull’orlo di una grande ondata offensiva che le porterà all’istante nel cuore della Banana. Tuttavia, esiste una metodologia operativa russa piuttosto consolidata in questa guerra, che prevede di farsi strada metodicamente nelle rotte logistiche e nelle giunture dell’Ucraina, segmentando il fronte e strangolandone i punti di forza, costringendoli a rifornire le roccaforti di prima linea con logistica in fila indiana e strade sterrate. Lo hanno fatto a Bakhmut e ad Avdiivka, lo stanno facendo a Pokrovsk e stanno riorganizzando il fronte per tentare di farlo su larga scala nella Banana.

Assalto alla banana: in arrivo nel 2026

Il punto generale che stiamo cercando di sottolineare qui è che liquidare le avanzate russe nella foresta di Serebrjanka, la sporgenza emergente a nord di Pokrovsk e il loro spostamento nell’Ansa del Donec come “sforzi secondari” è errato. Allargando la prospettiva, si scopre che si tratta di operazioni concentriche, che delineano il fronte per un assalto al Banana nel 2026: avanzando verso la strada E40 da nord, ripiegando lo scudo difensivo attorno a Siversk e penetrando nel ventre del Banana attraverso Rais’ke.

Forse è un po’ troppo per bere un bicchiere d’acqua, ma ci sono alcuni punti fondamentali che vengono completamente trascurati quando la visuale del fronte è concentrata sui combattimenti all’interno di Pokrovsk e Kupyansk:

  1. L’avanzata russa da Kurakhove sul fronte meridionale non è un asse secondario. Hanno ripiegato metà del fronte meridionale, condensando le forze ucraine in uno spazio compatto che sterilizza la loro capacità di attaccare a sud.
  2. L’ampia pressione russa su una mezza dozzina di assi ha mantenuto un tasso di impiego costante delle forze ucraine e ha impedito l’accumulo di forze per operazioni proattive. Il 2025 è stato il primo anno di guerra in cui l’Ucraina non ha lanciato alcuna operazione offensiva di propria iniziativa.
  3. Gli avanzamenti nella curva del Donets e nello spazio interstiziale tra Pokrovsk e Kostyantinivka non sono operazioni sussidiarie o secondarie: sono operazioni di modellamento critiche che si muovono concentricamente verso Banana.

A dire il vero, il generale clima di ottimismo nell’infosfera ucraina, durato per gran parte dell’estate, mi è sembrato stranamente strano. La linea del fronte non ha portato nessuna vera buona notizia per l’Ucraina in nessun momento di quest’anno. Al di là del più ampio aspetto strategico, ovvero che l’Ucraina ha perso l’iniziativa e non sembra in grado di recuperarla, la Russia sta catturando due importanti centri urbani (le truppe russe sono nei centri di Pokrovsk e Kupyansk), ha iniziato l’assalto ad almeno altri due (Lyman e Kostyantinivka), ha ritirato metà del fronte meridionale e ripulito gran parte della curva interna Donec’-Oskil. La Banana è pronta per il 2026.

La teoria dei costi della vittoria dell’Ucraina

Una cosa che è diventata evidente nell’ultimo anno è che Kiev ha abbandonato le precedenti idee di vittoria assoluta sul campo di battaglia e ha adottato un nuovo quadro strategico basato sull’imposizione di costi inaccettabili alla Russia, in modo che Mosca accetti di congelare il conflitto.

Questa è una distinzione sottile e taciuta, ma estremamente importante. È facile non coglierla, perché sia ​​la leadership ucraina che i sostenitori occidentali dell’Ucraina continuano a parlare di “vittoria” ucraina e della possibilità che l’Ucraina “vinca” la guerra. Ciò che è fondamentale capire è che la “vittoria” di cui parlano ora è categoricamente diversa dalla vittoria del 2022 e del 2023. Nei primi anni di guerra, si poteva almeno parlare di un’Ucraina che prendeva l’iniziativa di avanzare sul terreno e riconquistare territorio. Ci sono stati esempi concreti di offensive ucraine nel 2022, e la battaglia di Zaporizhia, sebbene infruttuosa, ha dimostrato che era quantomeno possibile per l’Ucraina tentare una vera e propria offensiva meccanizzata.

Pertanto, nei primi anni di guerra, quando i leader di Kiev, Bruxelles, Londra e Washington parlavano di vittoria ucraina, intendevano essenzialmente la sconfitta delle forze di terra russe e la riconquista di gran parte (o di tutto) il Donbass. L’operazione Kursk del 2024 iniziò a fare la differenza: l’Ucraina aveva ancora alcune risorse per organizzare operazioni proattive, ma queste non erano più mirate al denso fronte orientale, bensì a fronti sussidiari relativamente deboli, con l’obiettivo di sopraffare i russi.

Oggi, con l’esercito ucraino bloccato in uno stato di reattività permanente e con una difesa in lento declino, non ha più senso parlare di vittoria ucraina nel senso più diretto, ovvero di vittoria sul campo di battaglia, indipendentemente da quanto tenacemente o coraggiosamente i soldati ucraini continuino a combattere in circostanze sostanzialmente intollerabili. Al contrario, la “vittoria” ucraina è stata trasfigurata nel senso che la Russia si fa carico di costi così esorbitanti da accettare una sorta di cessate il fuoco senza precondizioni.

Si presume implicitamente che i costi da imporre alla Russia siano un mix di perdite sul campo di battaglia e danni agli asset strategici inflitti dagli attacchi aerei ucraini, e per quanto riguarda questi ultimi, l’Ucraina sembra riporre le sue speranze in una campagna di attacchi strategici contro il petrolio russo. I tentativi dell’Ucraina di bloccare la produzione e la raffinazione del petrolio russo si sono intrecciati con sanzioni sempre più aggressive da parte degli Stati Uniti contro le esportazioni russe di combustibili fossili, sebbene valga la pena notare che la limitata risposta dei prezzi a queste sanzioni indica che i mercati si aspettano che il petrolio russo continui a fluire .

L’ipotesi di Trump secondo cui i Tomahawk potrebbero essere sul tavolo per l’Ucraina deve essere considerata un elemento costitutivo di questa nuova strategia e teoria della vittoria. E questo, in definitiva, è molto importante da comprendere. I Tomahawk non vengono sbandierati perché qualcuno (a Kiev o a Washington) crede che 50 missili da crociera consentiranno all’Ucraina di sconfiggere l’esercito russo e riconquistare il Donbass. I Tomahawk sono stati menzionati perché l’alleanza ucraina minaccia di paralizzare l’industria russa dei combustibili fossili (attraverso una combinazione di sanzioni e attacchi cinetici agli impianti di produzione) a meno che Putin non accetti un cessate il fuoco.

Ecco perché è sbagliato sorprendersi che Trump abbia bruscamente annullato il suo incontro con Putin e abbia invece annunciato ulteriori sanzioni . Non c’è nulla di brusco o irregolare in questo. Le minacce al petrolio russo sono ora, senza esagerare, la principale leva che il blocco ucraino ha contro la Russia. Non avrebbe dovuto sorprendere che il Cremlino, che ha ribadito gli stessi obiettivi fondamentali di guerra fin dal primo giorno, non fosse entusiasta di venire a Budapest per congelare il conflitto, e non dovrebbe sorprenderci che Trump preferisca invece tirare più forte sulla leva del petrolio. Le due potenze stanno giocando giochi completamente diversi: la Russia sta procedendo lentamente nei negoziati mentre avanza sul terreno, e gli Stati Uniti stanno giocando un gioco del dolore progettato per aumentare i costi per la Russia.

Abbiamo fondamentalmente raggiunto un punto morto nei negoziati. Per Mosca, i negoziati con gli Stati Uniti sono essenzialmente un modo per prendere in giro Washington. Mosca ritiene di stare vincendo sul campo, quindi un punto morto diplomatico è consono agli interessi russi. Quando i leader occidentali si lamentano del fatto che la Russia non sembra interessata a porre fine alla guerra, hanno ragione, ma non colgono il punto. La Russia non è interessata a porre fine alla guerra in questo momento perché farlo non servirebbe i suoi interessi. La Banana è nel mirino, e un cessate il fuoco ora sarebbe un compromesso clamoroso quando la vittoria sul campo è in vista.

Il senso di urgenza che Washington prova nel porre fine alla guerra – principalmente tirando furiosamente la leva del petrolio fino a far piangere il Cremlino – deriva dal fatto che questa è ormai l’unica vittoria che l’Ucraina può sperare di ottenere. La guerra di terra è stata liquidata come una perdita totale, e non resta che lanciare missili e droni contro le raffinerie russe, sanzionare aziende e banche russe e molestare le petroliere ombra finché i costi non diventeranno intollerabili. Più a lungo le forze di terra ucraine riusciranno a resistere, meglio sarà, ma si tratta semplicemente di limitare gli svantaggi. Il fatto che la Russia possa reagire in modo sproporzionato contro l’Ucraina non ha praticamente alcun peso in questa logica.

Il punto chiave, tuttavia, è che il concetto di vittoria ucraina è stato completamente trasformato. Ora non si discute più su come l’Ucraina possa vincere sul campo. Per il blocco ucraino, la guerra non è più una sfida contro l’esercito russo, ma una sfida più astratta contro la volontà della Russia di sostenere costi strategici. Invece di impedire la conquista russa del Donbass, l’Occidente sta testando quanto Putin sia disposto a pagare per ottenerla. Se la storia insegna qualcosa, un gioco basato sulla resistenza strategica e sulla volontà di combattere della Russia è davvero un pessimo gioco da giocare.

LA CAPANNA DELLO ZIO TOMAHAWKS_con Gianfranco Campa, Cesare Semovigo, Giuseppe Germinario

Una conversazione che vede poche buone nuove e molte notizie preoccupanti. Lo scontro politico all’interno del mondo Anglosassone è senza quartiere . Trump ha barattato mano libera nella politica interna lasciando ai rep-neocon ( ancora ) campo libero ?

Cosa ne pensate ? Rispondete nei commenti .

Un imperiale Gianfranco Campa intervistato da Semovigo e Germinario .

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