25 APRILE (festeggiatelo. Voi.), di Daniele Lanza

C’è da dire, per la verità, che la Resistenza fu solo in parte un movimento di liberazione dai nazisti tedeschi e antifascista. Fu in gran parte un movimento rivoluzionario, quanto meno aspirante tale, vista la prevalente composizione delle formazioni partigiane. Esiste inoltre una appropriazione strumentale della ricorrenza ed una più genuina. La critica alla strumentalità non deve spingere a rimuovere anche quella genuina. Giuseppe Germinario
25 APRILE (festeggiatelo. Voi.) [parte 1].
Nel corso degli anni ho scritto fiumi di inchiostro (virtuale) in merito alla ricorrenza in questione: perchè me ne tengo a distanza, perchè mi trova estraneo. Le ragioni sono più di una e chi mi segue con attenzioni da molti anni lo sa.
Quest’anno il problema si complica ancora di più nella misura in cui l’evento va a sovrapporsi al contesto attuale, prendendo posizione sulla guerra in Ucraina (naturale che così sia, dal momento che è ricorrenza ufficiale delle istituzioni….quelle stesse istituzioni di uno stato che è parte integrante del conflitto in corso e che quindi non può far confliggere le sue narrative storiche con le sue scelte nel presente: il 25 APRILE è dalla parte di KIEV, quindi, per non farla lunga. Inevitabile in fondo che anche questa data prendesse una posizione in materia.
Il tutto mi amareggia, ma non per me stesso, quanto per chi si troverà in una posizione più difficile della mia: io non ho MAI celebrato il 25 aprile (per le mie ragioni) nemmeno prima e la situazione presente non va ad incidere su questo…….ma anzi rafforza la mia precedente posizione (perfetta compatibilità). Più complicato invece sarà per quanti si ritrovano profondamente nel 25 aprile ma non nel conflitto in Ucraina e questo determinerà conflitti di coscienza in alcuni.
Riporto in basso riflessioni di svariati anni orsono*
———————————-
*Una mesta carovana di auto blu a finestrini coperti – un monarca disgraziato col suo seguito altrettanto disgraziato – leva le tende dalla residenza di governo verso la mezzanotte dell’8 settembre e nel giro di 48 ore si ritrova ad iniziare una nuova vita a Brindisi dalla parte della giustizia e della democrazia, lasciandosi alle spalle quella vecchia di vita, compromessa da scorie ventennali di fascismo, coronate da un disastro bellico storico.
L’illuminazione interiore dei Savoia è talmente dirompente e celere da farli librare verso il mezzogiorno come una rondine, dimenticandosi lungo la strada 1 milione di effettivi del regio esercito, lasciati a se stessi senza direttive (questi la via per la purificazione la troveranno da soli, nei campi di lavoro del reich).
Il biennio successivo è il nulla, il caos, l’apocalisse istituzionale. Italia ANNO ZERO.
Di tutto questo molto già sappiamo. Troppo.
La riflessione che mi interessa oggi, per parlare più chiaro, non riguarda la guerra combattuta con mitra e granate, ma quella sul piano semantico protrattasi per generazioni dopo il 1945 : dopo aver combattuto e sudato per un paio di anni…..COME descrivere quanto successo ? Con quali aggettivi ? Come spiegare sui manuali ? In definitiva, che NOME dare a quella stringa cronologica
nel processo di catalogazione storiografica (…)
Eccovi serviti :
1) “Guerra di liberazione” – 1945-1985 (è la definizione classica, tutta partigiana, in voga per buona parte della prima repubblica. Nessuna concessione allo sconfitto nazifascista, tutto è limpido. Bene e male, bianco e nero. NON vi è guerra civile in quanto tra le due parti una NON era italiana nel senso etico del termine, quanto piuttosto una marmaglia collaborazionista de facto italofona, ma attorcigliata ai vessilli del reich (il cui status militare non sarà riconosciuto dalla repubblica che verrà). Quindi in questa visione non sussiste conflitto civile, ma solo una liberazione dalla svastica e dai suoi scellerati collaborazionisti nostrani che hanno rinunciato alla loro identità italiana con la propria scelta. Vi è una “rimozione del male” dalla psiche della società, condensata in questo ragionamento : “noi siamo puri, la nostra società è sana, coloro che hanno combattuto in camicia nera lo hanno fatto perché NON erano parte della società democratica, quindi NON italiani. Hanno fatto la loro scelta).
Interpretazione psicanalitica radicale.
2) “Guerra civile” – 1985-2015 [ad oggi cioè] (è la definizione attuale, frutto della società posteriore alla guerra fredda e ai conflitti ideologici : in un generale contesto di superamento della storia, si accetta che entrambe le parti erano fatte da italiani sebbene le ragioni del loro agire fossero profondamente diverse. Abolita la visione in bianco e nero (e con logica evoluta che accetta la parte oscura di se stessi), si inserisce anche la scelta repubblichina nella storia dell’identità italiana, abolendo le precedenti rimozioni psicologiche. Si invoca pertanto concordia civile a tutti i costi : la delicata mentalità liberal/rosee non ammette memorie divise e insanguinate, quindi si stabilisce di promuovere la cosiddetta “memoria condivisa”, espressione diffusa a massimo volume da 20 anni. Risultato del politically correct : i repubblichini (e i loro discendenti morali) si ritrovano, senza nemmeno averlo chiesto (!), sullo stesso piano o quasi dei loro avversari partigiani (quanto a riconoscimento militare almeno). Ironia dei paradossi : i simpatici fasci si ritrovano magicamente (quasi) riabilitati, “coccolati” da una filosofia politica a loro assai estranea, ovvero la dolce clemenza liberal/rosee ( che se io fossi fascista – segnatevelo – sputerei per terra).
———–
Orbene, abbiamo condensato sopra, in 10 righe ciascuna, due distinte definizioni da manuale di cosa accadde tra il 1943 e il 1945. I comunisti duri e puri sostennero e tuttora sostengono, in fondo, la PRIMA. Il popolo bianco e verde dei sit in, dei diritti, del “volemose bene” etc. (+ i neofascisti che mi deludono) sposeranno la SECONDA (oggi dominante).
Ed ora è il mio di turno, cari (il vero intervento inizia da qui), la mia critica è radicale, di ordine macro, toccherà i limiti della convenienza per una certa sensibilità purtroppo.
Le due versioni sopra per antitetiche che siano hanno un punto in comune, una base fondamentale : parlano degli italiani, del valore del loro agire. Di cosa abbiano fatto gli italiani, di come si siano mossi durante e dopo la guerra che ha plasmato lo stato in cui viviamo. Gli italiani col loro sacrificio han fatto il paese.
Pare che entrambe (entrambi i contendenti, partigiani garibaldini da un lato e Guardia repubblicana dall’altro) nelle loro epiche narrative contrapposte, sorvolino su un dettaglio il cui ordine di grandezza oblitera ambedue, riducendoli a maggiolini.
Il conflitto del 43-45 sul suolo italiano è stato il riflesso di una grande guerra GERMANICO-ANGLOAMERICANA : la due vere forze in campo erano la Wehrmacht da un lato e la US-ARMY dall’altro (gli italiani non contavano una virgola se non come supporto).
Abbiamo una guerra tedesco-americana svoltasi sul suolo italiano, la quale necessariamente ha coinvolto gli italiani……….ma che non coincide necessariamente, ad una “guerra italiana” , quanto piuttosto “una guerra accaduta sul territorio italiano”, che non è la medesima cosa volendo esser drammaticamente pignoli. L’equivoco semantico è dietro l’angolo).
Le titaniche macchine militari di cui disponevano Berlino e Washington han fatto, come di norma, che adattarsi al terreno, il che implica avvicinare alla propria causa la maggior parte possibile della popolazione autoctona, ossia si tenterà di arruolare e coscrivere in svariate forme la popolazione indigena che si ha a disposizione.
Logico che sia il mio punto, non significa facile da intendere.
Provo a farlo capire con un’analogia che non ha a che vedere direttamente col caso in questione (non va presa alla lettera assolutamente), ma che può dare un’idea di cosa voglio dire :
Nel nordamerica del secolo XVIII° (guerra dei 7 anni) sia britannici che francesi arruolarono contingenti di truppe indiane che poi fecero scontrare tra loro : risultato, indiani che uccidono altri indiani. Potrebbe definirsi “guerra civile” tra indiani ? No, lo sarebbe soltanto se supponessimo un’inesistente prospettiva nazionalistica pan-indiana che implica una coscienza comune da parte loro, ma scartata questa ipotesi, altro non rimane che il fatto puro : si trattava di carne da cannone sotto le rispettive bandiere (Giglio di Francia e Union Jack).
Per chi si senta offeso o preso in giro dall’infelice analogia, premetto che mi rendo conto della sua improponibilità : le truppe uroniche di Montcalm e i mohicani britannici NON costituivano un’unità politica nazionale, nonostante la comunanza linguistica, tantomeno la loro sparsa struttura tribale settecentesca si può paragonare alla società italiana della prima metà del XX° secolo, questo è chiarissimo.
Tuttavia………..un punto c’è in questo sgangherato/eccentrico accostamento. Quello della SOVRANITA’ del proprio agire, a scanso di quanto possa essere poi attribuito retroattivamente.
25 APRILE (Festeggiatelo. Voi)
[parte 2].
La finisco coi giri di parole e vado al punto, cui secondo mio stile, mi appropinquo strisciando (mi scusino per la lentezza) : sono imbarazzato di non poter condividere, dalla mia prospettiva, alcuna epica nazionale legata agli eventi del 43-45 e RESPINGO entrambe le definizioni con cui ho introdotto la questione.
A) RESPINGO la versione classica (“Guerra di liberazione”) : siamo stati “liberati”, ma da CHI ? Per quali scopi ? Non certo dai partigiani che da 4 gatti che erano, si demoltiplicano magicamente fino alle centinaia di migliaia giusto nelle settimane immediatamente antecedenti la sicura vittoria (tanto quanto un partito comunista allo stato virtuale da circa 20 anni che a partire dalla fine del 44 si ritroverebbe con quasi 500’000 tesserati di punto in bianco (…). All’estero si sorride (di scherno) quando si raccontano questi aneddoti rivelatori dell’animo italiano (senza nulla togliere a coloro che in tali idee credettero per davvero sin dal principio,sperimentando carceri fasciste, confini e quanto d’altro…ma è un’altra storia).
CHI ha sgomberato la penisola dai crucchi sono stati 200’000 yankee in possesso di armamenti ed equipaggiamenti che non ci si poteva nemmeno sognare, forti di linee rifornimenti letteralmente illimitate : liberavano un territorio in vista di una sua inclusione nel proprio ordine geopolitico atlantico in qualità di grande e irrinunciabile satellite mediterraneo . Stalin aveva pacificamente consentito mesi prima a YALTA (laddove, come sempre, si ufficializzarono sul piano diplomatico le linee di confine GIA’ tracciate dagli eserciti sul campo. Funziona così dai primordi, signori e signore : la diplomazia serve a prevenire le armi, certo, ma una volta queste messe in moto, altro non può fare che certificarne l’effetto…e ufficializzare ciò che già è avvenuto, come farebbe un bravo notaio). NON sono stati gli italiani a liberare l’Italia, ma gli stormi di bombardieri a stelle e strisce a far sloggiare l’Oberkommando Wehrmacht. VICEVERSA, se anche , ucronicamente, avessero prevalso le camicie nere….il merito non sarebbe stato loro, quanto delle migliaia di panther germanici in prima linea.
Gli ITALIANI di per sè (destra o sinistra che fossero) non hanno vinto ne liberato NULLA.
B) RESPINGO la versione buonista (“Guerra civile”) attualmente dominante, per le seguenti ragioni
Signori e signore, mi costerna dover fare da saccente dizionario eppure la trappola semantica lo richiede per forza : l’espressione “guerra civile” sta ad indicare un conflitto INTERNO ad uno stato sovrano, nel corso del quale due fazioni armate, LIBERE ed indipendenti (pur occasionalmente appoggiate da qualche potenza straniera) si scontrano sinchè non ne emerge un vincitore. Ripeto, un aiuto da mano straniera è possibile ed anzi frequente, ma non altera la natura di base del confronto in corso che vede due fazioni della medesima cittadinanza misurarsi con le armi, da una posizione di SOVRANITA’ indiscussa (questa parola ha un significato totale in questo discorso).
L’Italia dopo l’8 settembre del 1943 non ha più alcuna sovranità, nemmeno l’ombra : la sovranità la detengono forze straniere (Wehrmacht e US-ARMY) dislocate capillarmente sul territorio con mezzi enormi. Codeste forze straniere per i PROPRI interessi (gli uni far sopravvivere il proprio reich creando uno sbarramento sull’Appennino, gli altri guadagnarsi un super satellite nel cuore del Mediterraneo) combattono senza esclusione di colpi, avvalendosi della popolazione autoctona, estremamente utile per la conoscenza del territorio nonché potenzialmente coscrivibile come truppe di supporto…..e CHE supporto ! Da un lato Brigate nere, X° MAS, Guardia nazionale repubblicana a strafare per coprire le retrovie germaniche formicolanti di partigiani. Dall’altra parte….reparti superstiti del regio esercito a supporto del corpo di invasione angloamericano + profusione di divisioni partigiane tra le montagne dell’alta Italia a supportare l’avanzata alleata formicolando pertinacemente in mezzo alle retrovie germaniche (vedi sopra !).
Tutti a SUPPORTARE ! Un immenso sforzo collettivo di SUPPORTO. Oltre agli ori, gli argenti e i bronzi dovrebbero conferire in questo caso, anche il platino alla funzione di “supporto”.
Tanto partigiani quanto repubblichini si sono distinti nel supportare i rispettivi sovrani del campo, fossero crucchi o yankee.
Mi rammarica ricordare che il verbo “supportare” ha implicazioni non indifferenti. Colui che supporta, rende una grande servigio al proprio condottiero, il che però non fa di lui a sua volta un “condottiero” (!) : piuttosto ne fa un ottimo SCUDIERO. “Supportare” si associa maggiormente alla funzione di aiutante di campo, tipo portare gli speroni al signore….sellargli il cavallo…..cose del genere.
Per tagliar corto con metafore aulico-comiche, affermo che entrambe le parti in gioco difettavano di quella sovranità che è requisito essenziale per poter definire un conflitto “guerra civile”. Gli italiani, pur chiamati in massa all’azione militare, su un piano freddamente politico NON costituivano soggetto dotato di potere decisionale che travalicasse i propri superiori (occupanti germanici o americani). Gli ITALIANI, tanto quelli dalla parte giusta quanto quelli non……si ritrovavano in uno status di subalternità nei confronti delle forze straniere cui facevano capo : quando c’è una guerra civile in cui le fazioni nazionali contrapposte sono entrambe a loro volta ETERODIRETTE da potenze extra-nazionali , allora il conflitto in questione perde la sua definizione di “guerra civile” in senso proprio, in quanto tale guerra non è che un urto tra fazioni locali, a sua volta riflesso di una collisione di ordine superiore tra le due potenze globali (Terzo reich e USA, in questo caso) .
In una freddissima (gelida) logica geopolitica gli italiani che militarono da una parte o dall’altra, a prescindere dalle ragioni, giuste o sbagliate che potessero essere (non lo discuto), si ritrovarono accomunate da uno status di subalternità, ridotte a tramite, o strumento traverso il quale il burattinaio (Berlino o Washington) poteva manifestarsi meglio sul territorio.
Gli ITALIANI, quale che fosse il loro colore o inquadramento, o sincere intenzioni, NON contavano più una mazza nell’arena dei grandi giochi (se mai qualcosa avessero contato) : si industriavano semplicemente a supportare i rispettivi dominatori nella speranza che costoro nel dopoguerra concedessero loro uno status più vivibile.
Concludo : la storiografia italiana successiva al conflitto non poteva naturalmente ridurre quel tragico biennio scrivendo : “Nazisti e angloamericani si sono presi a cannonate per tutta la penisola, con mezzo milione di militari ciascuno (mezzi impressionanti gli yankee e determinazione folle i germanici) per quasi due anni : i cittadini italiani, non sapendo che fare han deciso, ognuno in coscienza propria, di servire in armi l’occupante che gradiva di più (e questo sorvolando l’immensa fascia GRIGIA di chi non si schierò proprio aspettando la conclusione degli eventi….)”
ECCO : i nostri manuali scolastici, per amore di patria e pietà legittima per i caduti, NON potevano fornire spiegazioni simili. NON rendeva senso al troppo sangue versato ; NON si poteva dire che gli italiani fossero come gli “Ewoks” della saga di guerre stellari (simpatici e pacifici esserini coinvolti in un conflitto galattico molto più grande di loro).
Insomma, ciò che era assolutamente indispensabile era dilatare il significato il senso dell’agire italiano tra il 43 e il 45, portandolo al titolo di “guerra” , come se si fosse trattato di una libera pugna tra fazioni e non il riflesso di forze più grandi in gioco cui si era asserviti. Varieranno, come ho tentato di argomentare, le definizioni contenenti il sostantivo “guerra” (di liberazione prima, e civile poi), ma senza mai toccare il perno essenziale concernente la natura del cittadino italiano in tale conflitto. Il messaggio da dare era : [ GLI ITALIANI CONTANO ! SONO ARTEFICI DEL PROPRIO DESTINO !], da incorniciare.
—————————————————————
Le 300 righe con cui vi ho angustiato si riducono a questo : gli ITALIANI hanno combattuto, sì. Hanno combattuto valorosamente, in nome di ideali in cui sinceramente credevano. Hanno sopportato il peggio, dato che tutto si svolgeva a casa loro.
Il problema è che la guerra che si combatteva, benché in casa loro, non era LORO….era di superpotenze che passavano da quelle parti.
Gli italiani non hanno fatto una “loro” guerra, bensì hanno partecipato a una guerra altrui (ma disgraziatamente ambientata proprio in Italia…….fattore quest’ultimo che ha facilitato oltremodo, alla maggiore confusione, cioè a convincere l’italiano che stava combattendo per la propria sovranità e libertà, cosa che entrambe le macchine propagandistiche nazi e Usa diffondevano a sirene spiegate.)
————–
(fine riflessione)
Possiamo tornare a noi quindi. Ecco perchè il 25 aprile è inevitabilmente filo Kiev, disgraziatamente (si cercherà di declinarlo in quel senso): perchè chi l’ha prodotto realmente, ovvero chi ha favorito il sistema partitico costituzionale che ne segue sono le forze ATLANTICHE. Semplice.
Quest’ultime 75 anni più tardi sono di nuovo in guerra….e lo stato italiano dato che ne è una diramazione deve seguirle.
Sono lieto di non essermi mai affezionato ad una mitologia costituzionale patriottica italiana, vedendo questa deriva (ma vedete, lettori miei, io tale deriva la vedevo tanti anni fa, molto prima che fosse……dato che alla “liberazione” italiana non ho mai creduto fino in fondo).
Perchè LIBERTA’ non è semplicemente essere “liberi”. Libertà è essere senza una direzione dall’alto (anche se quest’ultima fosse giusta). Libertà…..è anche sbagliare.

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

VIVA LA MORIA 2.0, di Teodoro Klitsche de la Grange

VIVA LA MORIA 2.0

Quando, quasi tre anni orsono, si iniziò a parlare del PNRR scrissi un articolo, dal titolo uguale, nel quale ricordavo quanto scriveva Manzoni «che nella Milano appestata i monatti – addetti al trasporto dei malati al lazzaretto e dei cadaveri al cimitero – brindavano allegramente ripetendo “Viva la moria!”, dato che l’epidemia garantiva agli stessi un lavoro continuo e remunerativo, e la connessa possibilità di rubare e di estorcere denaro a malati e parenti». E che quel gran parlare di novità, di ricostruzione, di generosità europea poteva diventare l’ouverture di una prossima grande abbuffata. Già Conte, allora Presidente del Consiglio diceva che le spese relative dovevano essere decise e distribuite. Che un tale programma fosse il miele per attrarre un nugolo di tax-consommers era chiaro; come lo era che gli stessi si sarebbero fatti in quattro per «come dicono in Spagna buscar un lugar en el presupuesto, ossia a trovare una nicchia nel bilancio ed essendo questo all’uopo abbondantemente fornito, hanno una ricerca facile». Cattiva prospettiva per il contribuente italiano, cui sarebbe comunque toccata la parte di Brighella “che fa le spese”.

Ad alleviare i dubbi del suddetto Brighella fu anche detto che l’inquinamento (la riduzione del quale era il principale obiettivo del PNRR) aveva aiutato la diffusione del virus. Tesi poco ripetuta, forse perché spericolata.

Da notizie di stampa emerge che tra le spese finanziate dal PNRR ci sarebbero piste ciclabili, campi di padel, strutture per l’assistenza anche ai migranti, ecc. ecc. Tutte cose magari (si spera), non tanto incidenti sulla spesa complessiva, ma le quali più che ad una (necessaria, anzi indispensabile) ripresa economica, sembrano rivolte a finanziare opere ed interventi del tutto marginali, e poco o nulla suscettibili di aumentare reddito, produttività, competitività degli italiani e dell’Italia. Cioè di tutte le belle parole con cui hanno condito anche le finalità del PNRR.

Per cui non appare errato procedere alla revisione enunciata dal governo. Sperando che, essendo fatta da un governo diverso, non ripeta le “gesta” dei precedenti.

Teodoro Klitsche de la Grange

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

PD E LEGITTIMITÁ IN SALITA, di Teodoro Klitsche de la Grange

PD E LEGITTIMITÁ IN SALITA

C’è un “nocciolo duro” che collega il processo di decadenza della classe dirigente della “Seconda repubblica” e in particolare il PD, confermato dalle ultimi elezioni regionali, tutte perse dall’opposizione e l’ultima rovinosamente  (Fedriga ha riportato più del doppio dei voti del candidato PD-M5S ed altri): è la perdita di legittimità delle élite in disfacimento.

L’ironia della Storia ha fatto sì che, con le ultime elezioni politiche il primo partito e la Presidente del Consiglio della “Repubblica nata dalla resistenza” siano gli eredi di coloro che la resistenza l’avevano combattuta e dall’ “arco costituzionale” erano esclusi. Così che attualmente, contrariamente alle litanie ripetute da decenni, la volontà popolare ha rifiutato l’armamentario propagandato – fino a qualche anno fa confortato dal consenso – dal 1945. In un certo senso ha disconosciuto la paternità.

Questo, indipendentemente dal fatto che la “tavola dei valori” che  ispira la nostra costituzione, da non identificare con quella propagandata per decenni dalla sinistra (e non solo) che ne costituisce una versione parziale e ad “usum delphini”, non abbia ancora una sua legittimità, nel senso di una diffusa condivisione.

Gli è che, come scriveva Thomas Hobbes, l’essenza del rapporto politico e quindi del comando-obbedienza, è che chi pretende il comando deve dare protezione (effettiva). Con la conseguenza che se quella protezione non viene data cessa anche l’obbligo di obbedire. Questo è asserito dal filosofo di Malmesbury proprio nell’ultima pagina del Leviathan: di aver scritto il trattato “senza altro scopo che di porre davanti agli occhi degli uomini la mutua relazione tra protezione ed obbedienza; alle quali la condizione della natura umana e le leggi divine – tanto naturali che positive – richiedono un’osservanza inviolabile”.

E nelle pagine precedenti del Leviathan ci dà un saggio di ciò che non da protezione e quindi non serve a pretendere obbedienza. “Casistica” che ha più che qualche carattere di somiglianza con quanto praticato (anche) dalle élite decadenti, e ancor più con i cattivi risultati della loro azione di governo. Ad esempio quando Hobbes paragona la Chiesa cattolica al regno delle fate (e gli ecclesiastici alle fate) anche perché “Quale specie di moneta abbia corso nel regno delle fate non è detto nella storia; ma gli ecclesiastici  invece accettano nelle loro riscossioni la moneta, che noi coniamo, benché, quando debbano fare qualche pagamento, li facciano consistere in canonizzazioni, indulgenze e messe” e così i chierici non lavorano, ma come le fate, vivono approfittando del lavoro degli altri, banchettando con la crema del latte munto dai fedeli (o – per il potere temporale – dai sudditi).

C’è più di un’analogia con i trasferimenti di ricchezza, da tax-payers a tax-consommers operati dai governi delle élite, o ancor più con la predazione diretta (e indiretta) connessa; senza trascurare che ad ogni salasso si accompagna una enunciazione di buone intenzioni, e ancor più lo “scambio” di beni con chiacchiere.

Oppure quando Hobbes mette in guardia dall’insistere nel giustificare l’esercizio del potere col richiamo al titolo giuridico (successione, conquista, consuetudine), invece che all’effettività e risultati ottenuti. O, in senso contrario, col giustificare il proprio potere condannando le malefatte del regime precedente (invece dei risultati propri).

Il potere pubblico, assai più che ai tempi di Hobbes, ha giustificato dallo scorcio del XIX secolo il proprio intervento e così la pubblicizzazione di attività private (soprattutto nell’economia) con gli effetti in termini di sicurezza del futuro. Ma i risultati italiani nell’ultimo trentennio, quando l’influenza del PD (e predecessori) è stata determinante, sono i peggiori dell’area UE (ed euro). Onde i risultati di un’azione di governo esteso all’economia sono pessimi, e pertanto non c’è legittimità “di scambio” (protezione/obbedienza) che possa confortarla. Non resta che rivolgersi ad una legittimità fondata sulle intenzioni conformi a certi valori. Ciò ha un doppio limite: che quei valori debbano essere condivisi dalla maggioranza e, di conseguenza – e a lato – debbano essere ragionevoli.

Tuttavia condivisione ce n’è poca (v. risultati elettorali) e ragionevolezza (nel senso di obiettivi effettivamente alla portata di un’azione di governo) non di più.

Non si capisce infatti come insistere nel primario obiettivo di tutela dei c.d. “diritti umani” di esigue minoranze posponendo loro i “diritti sociali” conseguiti nel XX secolo sia produttivo di consenso, soprattutto maggioritario. Significa scambiare (con gioia?) parte dello stipendio e della pensione per promuovere le unioni tra omosessuali, l’utero in affitto, ecc. ecc. Che ci guadagna la stragrande maggioranza?

Quanto alla ragionevolezza va tenuto conto che il marxismo ha provato il carattere totalmente immaginario del proprio  esito ultimo: la società comunista, cioè il paese dei balocchi. Ma il vizio non è stato perso.

Alla natura umana e all’ordine politico sono connaturali due caratteri: la paura della morte e la preoccupazione per il futuro.

Ambedue strumenti di governo (e di accettazione – consenso) del potere politico. Quanto al primo c’è stato il tentativo di sfruttare come instrumentum regni il Covid, e poi la guerra russo-ucraina. Quest’ultima, contraddittoriamente (per la sinistra) quale lesione alla libertà e sovranità di popolo.

Ma quale beneficio ne abbia tratto il PD (e soci) non si vede.

Quanto all’ansia per il futuro: ossia (anche) della sicurezza economica (propria e di tutti): ma non si capisce quanta tranquillità agli italiani impoveriti possa venire (sia dai risultati che) dalle intenzioni dichiarate di un partito preoccupato di tutt’altro (LGTB et similia).

Hobbes scriveva che concepire il futuro presuppone l’esperienza del passato “Un concetto del futuro è solo una supposizione circa il medesimo derivante dal ricordo di ciò che è passato; e noi, in tanto concepiamo che qualcosa avverrà di qui in avanti, in quanto sappiamo che c’è qualcosa al presente che ha il potere di produrla. E che qualche cosa abbia al presente il potere di produrre in avvenire un’altra cosa, non possiamo concepirlo, se non grazie al ricordo che esso abbia prodotto la stessa cosa già altra volta”. Ricordo che non è dei migliori.

Teodoro Klitsche de la Grange

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Un’americana di sinistra eletta in Italia, di Carlo Lancellotti

https://www.ncregister.com/commentaries/an-american-leftist-gets-elected-in-italy

 

Un’americana di sinistra eletta in Italia

COMMENTO: Cosa dice l’ascesa di Elly Schlein sul nostro attuale momento politico.

di Carlo Lancellotti[1]

La stampa americana mainstream non presta generalmente molta attenzione alla politica italiana, se non, forse, per ridicolizzare le buffonate dell’ex premier Silvio Berlusconi o per temere il ritorno del “fascismo”. Per questo, qualche settimana fa, ero curioso di vedere come avrebbero trattato l’elezione di Elly Schlein alla guida del Partito Democratico, la principale formazione politica italiana di sinistra. Dopo tutto, Schlein è la prima americana a guidare un importante partito politico italiano e ad essere un possibile futuro primo ministro.

 

Anche questo non è bastato ad attirare l’interesse dei media statunitensi, ma mi è sembrato significativo.

 

Quando descrivo la Schlein come “americana”, non mi riferisco solo al fatto che è cittadina statunitense e che suo padre è di New York (è un politologo che ha sposato un’italiana e ha cresciuto la sua famiglia in Svizzera). Intendo anche dire che la sua politica è americana: Ha imparato a fare politica come attivista nelle campagne presidenziali di Obama e le sue idee corrispondono perfettamente agli standard della sinistra sociale americana di oggi.

 

Le cause “sacre”, quelle che non possono essere messe in discussione e che segnano la divisione definitiva tra amici e nemici, sono quelle che riguardano i “diritti” individuali. Poi ci sono il riscaldamento globale e altre questioni ambientali e la condizione degli immigrati. Infine, vuole istituire un salario minimo e regolamentare la “gig economy” italiana.

 

Tuttavia, anche gli assi economici della sua piattaforma non sembrano pensati per proteggere la “vecchia” classe operaia, il tradizionale bacino di utenza della sinistra. Piuttosto, sono stati pensati per soddisfare le esigenze di quella che definirei la “classe professionale aspirante”, ovvero le persone più giovani, tipicamente urbane e ben istruite come lei, che non riescono a trovare un numero sufficiente di posti di lavoro a tempo pieno nel settore dei servizi.

 

Anche il personaggio di Schlein sarà familiare ai lettori americani. È una donna relativamente giovane (37 anni), una stereotipata “millennial”. Appartiene alla classe media professionale benestante (entrambi i genitori sono professori universitari), ha frequentato buone scuole, ha vissuto in più Paesi (possiede tre passaporti), è aconfessionale e bisessuale (attualmente vive con un’altra donna). Schlein si descrive come una progressista-femminista-ambientalista “intersezionale”. Sembra vivere in un mondo di assoluta chiarezza morale, in cui è dalla parte degli angeli e lotta per la “giustizia sociale e ambientale”.

In breve, appartiene a un “tipo” che si trova in tutto il mondo occidentale, ma che ha raggiunto la sua “perfezione platonica” negli Stati Uniti. Si potrebbe quindi dire che la sua ascesa conclude l'”americanizzazione” della sinistra italiana, un processo che probabilmente è iniziato negli anni Settanta, quando il Partito Comunista Italiano ha rinunciato alla rivoluzione marxista e ha accettato di far parte dell'”Occidente” – intendendo la nuova politica laica e neocapitalista che si era sviluppata in Nord America e in Europa durante la Guerra Fredda.

 

L’elezione di Schlein ha spinto molti editorialisti italiani a citare il defunto pensatore cattolico Augusto Del Noce, il quale aveva notoriamente previsto che la sinistra post-comunista sarebbe diventata un “partito radicale di massa”, cioè un partito liberale di stampo americano investito nei diritti individuali e nella politica culturale. Del Noce, ovviamente, non poteva prevedere che un giorno il leader stesso della “nuova” sinistra italiana sarebbe stato di origine americana, ma certamente lo avrebbe trovato simbolico.

 

Se dovessi scegliere una parola per descrivere Schlein e la cultura che rappresenta (che è, essenzialmente, la cultura “liberale” dominante dell’Occidente), sceglierei borghese. Decenni fa, quando il mondo di oggi stava prendendo forma, pensatori come Jacques Ellul e lo stesso Del Noce usavano questa parola per indicare una visione dell’umanità incentrata su un’idea individualistica e mondana di felicità. Il borghese è l’uomo (o la donna) che acquista e utilizza sistematicamente beni materiali, ma anche esperienze e relazioni, per raggiungere il “benessere”. Per lui/lei l'”altro” deve essere in definitiva uno strumento, perché la sua identità è per così dire autosufficiente. Può “aver amato molti uomini e donne” (come ha detto Elly Schlein di se stessa in un’intervista), ma in definitiva c’è una distanza tra le persone che non può essere colmata perché ognuno è un “cercatore di felicità” atomico.

 

Questa visione del mondo dovrebbe essere contrapposta a quella cristiana, in cui gli esseri umani portano un’immagine della Trinità e, quindi, la felicità è intrinsecamente relazionale: Siamo letteralmente costituiti dalle nostre relazioni con altre persone (ad esempio, i nostri genitori) e raggiungiamo la nostra realizzazione finale nella relazione con Dio. Questa è l’idea di beatitudine, che è in un certo senso l’opposto dell’idea borghese di felicità. Come dice Del Noce nel suo libro L’età della secolarizzazione, “se l’uomo non partecipa affatto a qualche forma di ragione o di valore assoluto, se non si trova unito agli altri uomini da un legame ideale, allora non può vedere nella natura o negli altri uomini altro che ostacoli o strumenti per la propria realizzazione”. Basta ricordare l’antica idea che l’amore umano è infinito e non può essere saziato da alcun bene finito”.

Del Noce aggiunge:

 

“Ora, l’idea di benessere […] non è altro che la trasposizione della beatitudine agostiniana dalla dimensione verticale al piano orizzontale. L’ascesa a Dio è sostituita dall’idea della conquista del mondo, del diritto del singolo soggetto a [possedere] il mondo. Questo diritto non ha limiti perché, essendo stato chiamato nel mondo senza la sua volontà, il soggetto sente di avere diritto a una soddisfazione infinita nel mondo stesso, quasi come una compensazione per questa chiamata. Ma, naturalmente, un singolo uomo non può realizzare interamente questa conquista. Può fare degli altri i suoi strumenti, ma facendosi a sua volta strumento; e questa strumentalizzazione reciproca, questa collaborazione senza fini ideali, è ciò che oggi si chiama “socialità”. […] L’uomo del benessere sperimenta un surrogato di libertà, non più nella liberazione dai bisogni e dagli interessi inferiori e percepibili, ma nella reciprocità del processo erotico”.

 

La differenza tra le due visioni può essere facilmente individuata in ambito politico.

 

Schlein, ad esempio, è favorevole al monopolio pubblico dell’istruzione, perché è chiaro che lo Stato dovrebbe “proteggere” i bambini (in quanto individui borghesi in erba non ancora pienamente in grado di scegliere la propria religione, il proprio sesso e così via) dall’invasione della propria famiglia. L’esempio più emblematico, naturalmente, è l’aborto, su cui Schlein ha posizioni estreme e “americane”. La mente borghese non può letteralmente elaborare una situazione in cui due vite umane sono così radicalmente intrecciate che una dipende interamente dall’altra. Subisce quindi una sorta di “cortocircuito” e per affermare il diritto alla felicità di un individuo è costretta a negare il diritto stesso all’esistenza dell’altro.

 

Schlein è, a mio avviso, un esempio perfetto di un fenomeno cruciale della politica contemporanea: Negli ultimi decenni, lo spirito borghese ha trovato la sua casa politica a sinistra più che a destra. Ha persino cooptato il tradizionale linguaggio marxista della liberazione rivoluzionaria, salvo usarlo prevalentemente per combattere “guerre culturali” e difendere gli interessi di gruppi non economici (definiti da razza, sessualità, identità di genere, ecc.). Anche se in Italia persone come la signora Schlein hanno spesso nonni comunisti e hanno ereditato da loro molte idee marxiste, non sono marxisti in senso classico. La loro utopia è strettamente individualista e borghese.

 

In conclusione, resta da vedere se Schlein sarà in grado di risollevare le sorti elettorali della sinistra e di formare un governo qualche anno dopo. Analogamente a quanto accade negli Stati Uniti, i cattolici italiani hanno risposto alla sua elezione dividendosi lungo linee ideologiche, esprimendo opposizione o cercando di trovare un terreno comune, scegliendo le “questioni” che sostengono la loro preferenza.

 

A prescindere da chi abbia ragione (personalmente penso che sarebbe un pessimo primo ministro), vorrei che tutti fossero più consapevoli della visione del mondo che rappresenta, perché tale consapevolezza è il presupposto per un’opposizione intelligente e per qualsiasi tipo di dialogo.

[1] Carlo Lancellotti è professore di matematica presso il College of Staten Island e membro del programma di fisica del CUNY Graduate Center. Oltre alla sua attività di studioso di fisica, ha tradotto in inglese e pubblicato tre volumi di opere del defunto filosofo italiano Augusto Del Noce. Lancellotti ha scritto anche saggi su Del Noce e su altri argomenti, apparsi su Communio, Public Discourse e Church Life Journal. V. anche http://delnoceinenglish.org .

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

L’atomica italiana, di inimicizie

L’atomica italiana

E’ il 1968: USA, URSS, Regno Unito e molti altri paesi firmano il Trattato di Non Proliferazione Nucleare. Un negoziato durato anni, iniziato nel ’63 dopo la firma del Trattato per la Messa al Bando Parziale dei Test Nucleari. Una delle tappe più significative di quel processo di “razionalizzazione imperiale” in cui si imbarcarono le due superpotenze una volta che l’URSS riuscì faticosamente a raggiungere la parità nucleare e la dottrina della “Massive Retaliation” americana cessò definitivamente di essere credibile, un processo noto comunemente come “detente” o distensione che vide Washington e Mosca fissare i propri confini – oltre i quali non sarebbe stato saggio avventurarsi – ma anche dietro i quali sarebbe stato necessario un ferreo controllo. Una stabilizzazione del sistema internazionale in preparazione ad una nuova era di confronto, che inizierà alla fine degli anni ’70.

Ciò che pochi oggi sanno – e che Leopoldo Nuti, considerato il massimo esperto italiano sulla vicenda, ci racconta nel suo “La Sfida Nucleare” – è che l’Italia, a dispetto della sua moderna immagine di potenza multilateralista e promotrice di qualsiasi iniziativa internazionale, quel trattato non lo voleva firmare. E non lo firmò fino a 6 mesi dopo, con ben 12 dodici riserve, per poi non ratificarlo in parlamento – e quindi non aderirvi – fino al 1975. Accompagnata dalla Germania.

UN PAESE SCONFITTO PUO’ AVERE L’ATOMICA?

Quella di Italia e Germania è una storia camminata mano nella mano. Si unificano insieme, anche combattendo su fronti diversi contro Francia e Austria, entrambe vedono nella prima guerra mondiale il completamento del loro Risorgimento (questa volta dai lati opposti della barricata) entrambe successivamente vivono il fascismo e la seconda guerra mondiale, perdendola, e subendone le conseguenze.

Entrambe dopo la guerra si rimettono in piedi piuttosto velocemente nella cornice dell’Europa Occidentale a guida americana (per quanto riguarda la Germania Ovest) delle prime iniziative di integrazione europea – anch’esse collegate all’integrazione atlantica – della ricostruzione post-bellica ma anche (soprattutto l’Italia) delle opportunità offerte dall’avere (giocoforza) “le mani nette” sul fronte coloniale, opportunità che istituzioni come l’ENI di Enrico Mattei, in sinergia con la politica, sfrutteranno pienamente.
Con gli anni ’60 diventano attori economici di tutto rispetto nell’arena dei paesi industrializzati, ma questo rinnovato slancio non si traduce in un rinnovato status strategico. Dunque, la ricchezza di questi due paesi rimane di fatto in balia dei detentori dell’hard power, dietro e oltre cortina. Quand’anche si parla di riarmo in funzione antisovietica – peraltro non sempre visto di buon grado a casa, per ragioni questa volta del tutto interne – l’ambito di discussione è se subordinarlo ad una struttura a guida americana, ad una a guida francese (CED) o se evitarlo del tutto. La NATO rimarrà – fino ad oggi – ancora un’organizzazione dedita a tenere i “tedeschi sotto” (certamente i più temibili della coppia).

E dove può manifestarsi nel modo più chiaro questo “fattore sconfitta”, se non nelle questioni riguardanti il sacro graal della potenza militare e della sovranità nazionale, l’arma atomica?
Il nostro paese proverà in ogni modo – scoprendo i limiti imposti dall’esterno alla sua azione, talvolta lambendoli pericolosamente – ad avvicinarsi all’arma atomica.

Un missile a medio raggio "Alfa", sviluppato interamente in Italia dalla fine degli anni '60 alla metà degli anni '70.
Un missile a medio raggio “Alfa”, sviluppato interamente in Italia dalla fine degli anni ’60 alla metà degli anni ’70.

Le ragioni sono principalmente due, e sono entrambe condivise con la Germania. Una riguarda la possibilità di un’invasione del Patto di Varsavia: l’Italia è un paese di frontiera nella guerra fredda, e non può essere sicura – soprattutto dopo la fine della Massive Retaliation – che gli Stati Uniti rischieranno una guerra (convenzionale o nucleare) con l’URSS per difenderla, ma non può neanche sperare di difendersi da sola con le sue esigue forze convenzionali. Washington ha da sempre un problema di credibilità strutturale, causato dall’estrema sicurezza di cui gode il suo territorio, difeso da due grandi oceani e ricco di risorse in grado di consentire l’autarchia. In sostanza, sconta il vantaggio di potersi ritirare dai suoi impegni senza subire conseguenze irreversibili.
La seconda invece, derivante dalla prima, una questione di bilanciamento all’interno dell’alleanza: se sono solo le armi – convenzionali e nucleari – statunitensi a poter garantire la sicurezza dell’Italia, il paese rimane di fatto in uno status di protettorato permanente, incapace di adottare una politica estera indipendente, se necessario in rottura con Washington. Non è assolutamente un caso che durante la crisi del sistema valutario di Bretton Woods alla fine degli anni ’60 l’unico paese a pretendere le sue spedizioni di oro dalla Fed – nonostante le forti pressioni americane per convertire i propri dollari in titoli, come tutte le altre banche centrali – sia la Francia. Non è un caso che nel ’73 – in occasione della crisi transatlantica scatenata dalla Guerra del Kippur – sia la Francia l’unico paese a voler andare fino in fondo, rigettando la costituzione dell’IEA e spingendo sul dialogo euro-arabo nonostante la minaccia americana di ritirare le truppe dal continente: Parigi, forte del proprio deterrente nucleare, è l’unica capitale pronta a dire “fate pure”.

Perciò tentiamo di avvicinarci all’arma nucleare da 4 diverse angolazioni, tutte quelle possibili: tramite il rapporto bilaterale con gli USA, tramite la NATO, tramite l’integrazione europea… e infine tramite l’estremamente controversa “opzione nazionale“.

SLBM classe M51 della Forza Oceanica Strategica francese, considerato da molti esperti il migliore missile intercontinentale balistico al mondo
SLBM classe M51 della Forza Oceanica Strategica francese, considerato da molti esperti il migliore missile intercontinentale balistico al mondo

L’OPZIONE BILATERALE: TATTICHE E MISSILI JUPITER

Consigli di lettura di Inimicizie

Nel 1959, accettammo di buon grado lo schieramento di missili nucleari a medio raggio americani Jupiter in due siti a Gioia del Colle, in Puglia. Con una gittata di oltre 3000km, il momento in cui l’Italia si sia più avvicinata a possedere un’arma atomica strategica in tutta la sua storia.

Sì, perché i missili Jupiter erano quasi più italiani di quanto non fossero americani: spiega Nuti – citando il generale Graziani – che le testate nucleari (che secondo il sistema della doppia chiave, sarebbero dovute essere custodite dagli USA, mentre all’Italia spettava il controllo del vettore) fossero permanentemente montate sui missili in posizione da combattimento, pronti ad essere lanciati in soli 15 minuti.
Inoltre, la loro collocazione in una base interamente gestita dall’aeronautica italiana ne avrebbe concretamente reso possibile l’uso anche contro il parere americano, in caso di estrema emergenza. Lo spiega Holifield, segretario del comitato congressuale americano responsabile delle armi atomiche, dopo un’ispezione in un’altra base Jupiter in Europa nel 1960, causando uno scandalo politico: “La cosa più simile a quello che dovrebbe essere il loro possesso da parte degli Stati Uniti, è il fatto che là fuori ci sono 7 uomini e un carrello collegato elettricamente con quel coso. Sei di loro sono di un’altra nazionalità, e il settimo, che ha la chiave, è americano. Tutto quello che devono fare per prendersi la chiave è dargli una botta in testa con uno sfollagente“. Una scelta deliberata secondo Nuti, orientata verso la condivisione nucleare con gli alleati NATO, aggirando la legge statunitense.

L’amministrazione Heisenhower – agendo nella cornice della supremazia nucleare sull’URSS – puntava molto sulla condivisione nucleare con gli alleati, nel suo “minimalismo strategico”: un contenimento dell’Unione Sovietica improntato quasi esclusivamente sull’arma nucleare; anche condivisa con gli alleati – per rendere più credibile la deterrenza – risultava preferibile rispetto ai costi esorbitanti che avrebbe implicato una difesa convenzionale dei nuovi territori dove l’impero americano aveva estesa la sua influenza. Sarà però un’impostazione strategica destinata a finire con l’amministrazione Kennedy, resa impraticabile dall’ascesa dell’URSS come potenza nucleare a pieno titolo.

Il programma Jupiter dunque durerà poco, e nel 1963 i missili nucleari “italiani” – operativi da fine 1960 – saranno sacrificati sull’altare della crisi dei missili di Cuba – insieme a quelli turchi – per essere sostituiti da missili Polaris nel Mediterraneo – ad esclusivo controllo statunitense – causando sia malumori che velati sospiri di sollievo a Roma. Contemporaneamente, Washington a Nassau decide di fornire i Polaris esclusivamente al Regno Unito, una mossa male accolta sia in Francia che nel resto d’Europa, che contribuì all’uscita di Parigi dalla NATO e all’indurimento del veto nei confronti dell’integrazione europea di Londra. Sintomatica di una nuova era nucleare, in cui l’arma atomica – soprattutto strategica – non sarebbe più stata condivisa con facilità.

Restano le armi nucleari tattiche, una componente più fumosa della deterrenza nucleare, meno documentata e poco coinvolta nella contesa politica. Tattiche che sono ancora presenti nelle basi italiane.
All’inizio degli anni ’60, in Italia sono presenti (con vari gradi di controllo statunitense, da quello operativo fino a quello della sola custodia formale delle testate) due battaglioni di lanciarazzi nucleari Honest John – gittata massima 50km – due battaglioni di lanciarazzi nucleari Corporal, mine nucleari da utilizzare nel Gorizia Gap, 24 obici M-115 dotati di proiettili nucleari, e persino un centinaio di missili anti-aerei nucleari Nike-Hercules, pensati per colpire concentrazioni di bombardieri ma spendibili anche in funzione terra-terra con un raggio massimo di circa 170km. Tutte armi utilizzabili in un teatro di operazioni locale, alcune forse – come i Jupiter – senza approvazione statunitense.

Sistema d'arma Nike Hercules installato in Italia. Oggi non esistono più missili da contraerea nucleari, essendo venute a mancare le concentrazioni di bombardieri dell'epoca della seconda guerra mondiale, con l'avvento dell'era dei missili.
Sistema d’arma Nike Hercules installato in Italia. Oggi non esistono più missili da contraerea nucleari, essendo venute a mancare le concentrazioni di bombardieri dell’epoca della seconda guerra mondiale, con l’avvento dell’era dei missili.

LA FORZA MULTINAZIONALE

Unisciti alla Newsletter di Inimicizie

Con la fine del programma Jupiter e lo spostamento della deterrenza nucleare americana in mare – con i Polaris – l’Italia comunque non si arrenderà ad essere esclusa da ogni tipo di controllo sulle armi atomiche strategiche necessarie alla sua difesa.

La nuova idea è quella di creare una forza nucleare NATO – a carattere però multinazionale e non sovranazionale, dato importante, con unità controllate dai singoli paesi membri – armata di missili Polaris, basata nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico. A Roma questa iniziativa è presa estremamente sul serio, con la riconversione dell’Incrociatore (ereditato dalla Regia Marina) Giuseppe Garibaldi in una delle prima navi lanciamissili al mondo, la prima che avrebbe ospitato delle testate nucleari. Il progetto era quello di creare altre unità simili, e di imbarcarvi missili Polaris armati con testate nucleari, con equipaggi interamente italiani – solo una minima presenza formale americana – nell’ambito di una forza nucleare a comando NATO.

E’ una prospettiva che Washington intrattiene – o fa finta di intrattenere – ma superata dai tempi: l’era della condivisione nucleare è giunta al capolinea con la crisi dei missili di Cuba e il primo ban sui test nucleari, inizia l’era della razionalizzazione delle due sfere d’influenza. Questo significa un più ferreo controllo da parte di Washington (e Parigi, Londra) sul proprio arsenale nucleare: il sogno della “forza nucleare NATO” svanirà, sostituito dall’annacquato Nuclear Planning Group, dotato del solo compito di studiare i possibili bersagli di armi nucleari strategiche saldamente in mano a Washington. E’ qui che l’Italia inizia a guardare ad alternative più radicali.

L'Incrociatore Giuseppe Garibaldi lancia un Polaris UGM-27 durante i suoi test
L’Incrociatore Giuseppe Garibaldi lancia un Polaris UGM-27 durante i suoi test

LA FIRMA DEL TRATTATO DI NON PROLIFERAZIONE E L’OPZIONE EUROPEA

Sostieni Inimcizie

Morte le opzioni di condivisione bilaterale – o multilaterale – dell’arsenale atomico americano, salvo le sempre presenti armi nucleari tattiche, Italia e Germania si avviano ai negoziati che porteranno al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) con atteggiamento estremamente guardingo.

Due nazioni ormai cardinali nel sistema economico delle nazioni industrializzate, vedono (giustamente) il TNP come l’istituzionalizzazione del loro status di potenze sconfitte, la ratifica permanente della loro condizione di minorità rispetto non solo a USA e URSS, ma anche (argomento forse ancora più sentito) rispetto a Francia e Regno Unito. L’Ambasciatore Roberto Ducci riassumerà le perplessità italiane con una formula succinta ed elegante, definendo il TNP “Il trattato col quale si pretende che coloro che hanno fatto voto di castità si evirino“.

Convinte però di non poter fare molto altre (sicuramente consce delle possibili conseguenze di una vera e propria opposizione) Roma e Berlino tentano di apportare modifiche al trattato, in mancanza delle quali la firma – secondo l’ambasciatore a Berlino, Luciolli – sarebbe stata “Una capitolazione totale“: una durata non illimitata (25 anni, diventerà illimitata nel 1995) maggiori obblighi di disarmo per i paesi nucleari (ignorata) minori restrizioni per l’uso civile (parzialmente accolta) e infine l’importante (accolta, col tempo) sostituzione dell’agenzia europea EURATOM all’IAEA per i paesi membri. Con quest’ultima modifica al trattato, è evidente che Italia e Germania vogliano tenere la porta aperta all’opzione nucleare strategica che sembra più realistica: un’atomica tinteggiata – come scrive Caracciolo in “La pace è finita“, rimarcando l’attualità di questo proposito – “con qualche mano di vernice gialla e blu“. L’integrazione europea è sempre stato il veicolo delle ambizioni italiane e tedesche di tornare potenza – un’ambizione, va detto, non condivisa da quasi nessun altro paese membro – ma la prospettiva è senz’altro lontana e incerta. Lo è oggi, lo era a maggior ragione negli anni ’60.

Roma e Berlino infatti non si rassegneranno, e fino al ’75 non ratificheranno il TNP. A casa nostra, si accarezzerà anche l’ipotesi più controversa e inconfessabile: quella nazionale.

Già nel 1967 – prima della firma del TNP – a porte chiuse i toni si fanno accesi, scrive Nuti:

Quando il 20 febbraio si riunì il Consiglio Supremo di Difesa per discutere sul problema della non-proliferazione e di un’eventuale scelta nucleare nazionale, Fanfani [allora Ministro degli Esteri N.d.R.] constatò una radicata e diffusa ostilità nei confronti del trattato da parte di quasi tutti i principali esponenti del governo, in particolare per quanto riguardava la ‘discriminazione illimitata proposta dal TNP tra non-nucleari e nucleari’. Saragat [PDR N.d.R.] in particolare, sembrò anche in quell’occasione assumere una posizione dai connotati fortemente nazionalistici, quasi favorevole a un’opzione nucleare nazionale, ma anche gli altri partecipanti alla riunione non nascosero le loro riserve.

E in effetti, il Capo di Stato Maggiore – Generale Aldo Rossi – aveva dato il via libera nel 1964 allo studio in gran segreto di un deterrente nucleare italiano.

VERSO LA RATIFICA: LO SPORCO DIBATTITO

Il dibattito si farà molto più acceso – e sporco – in Italia nei 6 e rotti anni che separeranno la firma dalla ratifica.

Un lungo periodo di attesa giunge al termine quando finalmente – nel 1973 – viene completata la tanto voluta intesa tra EURATOM e IAEA: adesso ogni “scusa” cade, ed è il momento di decidere o meno per la ratifica. I paesi del Benelux – che fino a questo punto avevano agito di concerto con Italia e Germania, essendo in una situazione simile dal punto di vista della deterrenza nucleare – ratificheranno immediatamente, lasciando fuori solo Roma e Berlino.

La contesa non investe – perlomeno inizialmente – l’opinione pubblica, ma si consuma nel nostro paese tramite una serie di dichiarazioni, riunioni coperte dal segreto di stato, articoli scritti sotto pseudonimo, campagne di disinformazione.

Con il primo test nucleare dell’India – paese non firmatario del TNP – la fronda dello stato profondo italiano contraria alla ratifica del trattato prende coraggio, denotando un evidente fallimento del regime di non proliferazione: apre le danze Roberto Gaja – Segretario Generale del Ministero degli Esteri – scrivendo un articolo sotto pseudonimo, in cui esorterà Roma a non ratificare il trattato a meno che all’Italia (come ad altri paesi) non venisse riconosciuto il ruolo di “paese soglia” che effettivamente ricopriva, sotto il regime del trattato. Sì, perché l’Italia, ai (bei) tempi era il terzo produttore di energia nucleare civile della NATO (dopo USA e Regno Unito, più della Francia) e aveva la capacità di produrre materiale fissile adatto a far partire un programma nucleare militare nel giro di pochi mesi, grazie all’impianto EUREX I di Saluggia, che dagli anni ’80 sarebbe stato coadiuvato dall’impianto EUREX II in grado di produrre abbastanza materiale fissile da sostenere un programma nucleare in piena regola. Come evidenziavano Aldo Moro e altri membri di spicco della Democrazia Cristiana, l’Italia non partecipava alla “contesa nucleare” solo perché non voleva, non perché non poteva. Molti in Italia (tra gli addetti ai lavori) ritenevano che questa capacità dovesse essere mantenuta, per esercitarla nel caso di mutate condizioni internazionali.
Addirittura – a TNP già firmato – l’Italia svilupperà un suo missile a medio raggio indigeno al 100%, l’Alfa – con gittata di 1600km – abbandonandolo, dopo 3 test avvenuti con successo, solo dopo la ratifica.

Proseguirà il pezzo grosso del CNEN (Centro Nazionale per l’Energia Nucleare) Achille Albonetti su La Discussione – organo stampa della DC – evidenziando il fatto che l’Italia si stesse mettendo in condizione di minorità nel suo teatro geopolitico prioritario – il Mediterraneo – ratificando il TNP senza che lo facessero anche Albania, Algeria, Francia, Egitto, Libia, Spagna, Turchia e Israele (che nel ’74 aveva già l’arma nucleare, anche se forse Albonetti non lo sapeva).

La rivista su cui "Roberto Guidi" esprime sotto pseudonimo le sue perplessità sul Trattato di Non Proliferazione
La rivista su cui “Roberto Guidi” esprime sotto pseudonimo le sue perplessità sul Trattato di Non Proliferazione

Poi la vicenda diventerà ulteriormente fumosa, coinvolgendo questa volta anche i media mainstream.

La rivista Politica e Strategia, edita dall’Istituto per gli Studi Strategici e della Difesa (ISSED) del Generale dell’Aeronautica Dullio Fanali – che appena 2 anni dopo diventerà una delle principali persone d’interesse nello scandalo Lockheed – pubblicherà nel settembre 1974 un’edizione speciale tutta dedita alla proliferazione nucleare italiana, contenente articoli che spazieranno da posizioni di pacata critica al TNP ad ardite ipotesi di deterrente nucleare nazionale.

Immediatamente, partirà una vera e propria macchina del fango mediatica contro il milieu contrario alla ratifica del trattato – da parte di testate di area comunista e socialista – ricca di riferimenti all’eversione nera che da pochi anni aveva iniziato a scuotere il paese: il quotidiano di area comunista Paese Sera titolerà “Tattica e nera. L’H sognata dai golpisti“, il settimanale di area socialista L’Europeo scriverà “I Mau-Mau delle ambasciate” – alludendo al movimento di guerrigliero/terroristico in Kenya – Il Manifesto invece “La ‘diplomazia nera‘ preme per l’atomica italiana“. In particolare il dito venne puntato contro Albonetti, considerato il “capofila” di una cordata di diplomatici, politici, industriali e militari favorevoli all’atomica italiana e collegati (secondo questa campagna) con trame eversive. Il direttore del CAMEN (Centro Applicazioni Militari Energia Nucleare), l’Ammiraglio Avogadro di Valdengo, rassegna le sue dimissioni: tra le speculazioni che circolano, l’opzione che sia venuta alla luce la pianificazione segreta di un test nucleare dimostrativo come quello indiano, utilizzando uranio arricchito ottenuto dalla Francia un decennio prima per un progetto di nave a propulsione nucleare, o processato all’impianto EUREX di Saluggia.

Esponenti della sinistra presentarono interrogazioni parlamentari al governo. Infine, una petizione per la ratifica immediata del TNP da parte di 142 scienziati guidati dal “ragazzo di Via Panisperna” Ugo Amaldi, contribuì a scandalizzare l’opinione pubblica.

Cosa succede dietro le quinte? E’ impossibile dirlo, un altro grande mistero italiano. Che esistesse in quegli anni un milieu eversivo legato sia a settori delle istituzioni sia ai movimenti neofascisti è un dato di fatto. Ma estremamente chiari sono anche i suoi rapporti – o meglio dire la sua simbiosi, ormai diventata innegabile, da Borghese a Fiore, passando per Edgardo Sogno – con Londra e Washington, due capitali estremamente contrarie ad ogni ipotesi nucleare nazionale. D’altro canto, un’altra potenza fermamente contraria – ancor più di Londra e Washington – all’atomica italiana era l’Unione Sovietica, con cui il PCI (ed i media intorno ad esso gravitanti) mantenevano ancora stretti rapporti, nonostante la conversione all’atlantismo in fieri sotto la direzione di Berlinguer, che con Mosca romperà al punto da diventare (forse) vittima di un attentato dei servizi segreti bulgari.

E comunque, il milieu contrario alla ratifica del TNP era davvero sovrapponibile a quello dell’eversione nera/golpista/angloamericana? Su questo punto è facile oggi rispondere di no. Alcuni suoi esponenti – come Fanali – saranno lambiti dalle inchieste sull’area golpista, altri – ambasciatori come Gaja, Ducci, Quaroni, burocrati come Albonetti – ne rimarranno del tutto estranei.

La campagna di pressione da parte della sinistra fu promossa da Mosca? Londra e Washington furono coinvolte, in una convergenza d’interessi con l’URSS nel belpaese – volta a mantenere intatto l’assetto di Yalta/Helsinki – che avrà occasione di manifestarsi anche altre volte durante la distensione? Domande a cui invece non è possibile dare risposta. Forse si trattò solo della reazione isterica di un paese spaventato, sia dagli eventi degli anni precedenti, sia dalle armi in generale, sia dall’idea stessa di ritornare potenza. Anche questo è possibile.

Fattostà che al governo e alla coalizione parlamentare non rimane altra scelta: dietro la pressione dell’opinione pubblica “benpensante” ma anche dei governi alleati (come Nuti scriverà di aver appreso in una discussione riservata con un diplomatico britannico) l’Italia ratifica il TNP nel maggio 1975. Insieme alla Germania.

1953, primo test del sistema d'artiglieria nucleare M65. Sistemi d'arma simili erano presenti in Italia durante tutta la guerra fredda
1953, primo test del sistema d’artiglieria nucleare M65. Sistemi d’arma simili erano presenti in Italia durante tutta la guerra fredda

GLI EUROMISSILI E IL TRAMONTO DELL’OPZIONE NAZIONALE

Consigli di lettura di Inimicizie

Armi nucleari strategiche verranno schierate nuovamente in Italia – i cosiddetti “euromissiliPershing e Cruise – nel 1983, nel contesto di un confronto bipolare ripartito a pieno regime dopo la razionalizzazione, tra guerre per procura in Afghanistan e Angola, superamento senza precedenti dei “confini di Yalta” con il supporto a Solidarnosc in Polonia, guerra commerciale, fine della stabilità strategica nucleare e incidenti estremamente pericolosi.
Questa volta però con delle differenze: non solo i missili americani sono meno ben accetti in Europa rispetto agli anni ’60 – un’Europa che si è imbarcata nelle sue “Ostpolitik” e arriva vicina ad una guerra commerciale con gli USA per partecipare alla costruzione del gasdotto Yamal – ma sono anche privi del lasco sistema a “doppia chiave” che rendeva i Jupiter degli anni ’60 un sistema d’arma quasi più italiano che americano, racconta Nuti:

Gli americani […] non si mossero dalle loro posizioni iniziali, dal momento che ritenevano impossibile installare fisicamente sui missili una doppia chiave, e non desiderabile la partecipazione italiana alla catena di comando” […] “L’ex ministro della Difesa Lagorio conferma l’esistenza di questo negoziato e racconta di essersi adoperato a più riprese durante il suo mandato perché i missili fossero gestiti congiuntamente secondo il meccanismo della doppia chiave, sul modello proprio di quanto era accaduto con i missili Jupiter […] La disponibilità americana a negoziare sarebbe continuata fin quando il presidente Raegan non manifestò in proposito la sua netta ostilità in una lettera al Presidente del Consiglio Fanfani […] aggiunge nelle sue memorie che il Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Santini, gli avrebbe suggerito di risolvere il problema, nel caso in cui non si fosse riusciti a trovare una soluzione concordata e si fosse davvero verificato un disaccordo con gli americani circa l’impiego dei missili, bloccandoli nei loro rifugi con il ricorso alla forza

In sostanza, se prima ci si chiedeva se gli americani sarebbero riusciti a fermare un lancio di missili Jupiter da parte di un’Italia “uscita dal seminato” ora ci si chiedeva se l’Italia sarebbe riuscita a fermare un lancio di missili Cruise – controllati interamente dal 487th Tactical Missile Wing americano di stanza a Comiso, in Sicilia – nel caso in cui gli americani avessero deciso di procedere contro il parere di Roma. Un completo ribaltamento dei rapporti di forza – per quanto concerneva la catena di comando – che di fatto sobbarcava sull’Italia tutti i costi dell’ospitare armi nucleari sul suo territorio (essere un bersaglio per le armi nucleari sovietiche o di altri avversari degli Stati Uniti) senza però conferirgliene i benefici (disporre in qualche misura di un proprio deterrente nucleare strategico). Sintomatico dei nuovi rapporti di forza – più sbilanciati verso Washington – che si instaureranno tra Italia e Stati Uniti con la fine della guerra fredda, e con il (conseguente) cambio di regime che avverrà sull’onda di tangentopoli, dello sgretolamento del PCI e dell’MSI.

Gli “euromissili”, comunque, verranno rimossi già nel 1987.

Anni '80, un aviere della 485th Tactical Missile Wing mantiene la sua posizione durante un test di lancio del sistema d'arma GBM-109G (Cruise), Europa
Anni ’80, un aviere della 485th Tactical Missile Wing mantiene la sua posizione durante un test di lancio del sistema d’arma GBM-109G (Cruise), Europa

Per quanto riguarda le altre “opzioni nucleari” nella disponibilità di Roma – anche dopo la ratifica del TNP – l’Italia rimarrà di fatto un “paese soglia” – dotato di un’avanzata industria nucleare civile e di strutture convertibili in breve tempo ad uso militare – per altri 15 anni, fino a quando il referendum dell’87 – promosso da radicali, socialisti e ambientalisti sull’onda del disastro di Chernobyl, sostenuto poi anche da DC e PCI – non renderà di fatto impossibile la costruzione di nuove centrali (e addirittura impedirà ad ENEL di partecipare in progetti di nucleare all’estero, come a voler spargere sale sulle rovine del programma nucleare italiano) e il governo nel 1990 deciderà di chiudere tutti e 4 gli impianti già esistenti.
Tramontata ogni ipotesi di atomica nazionale, ad oggi rimangono aperte come strade soltanto la futuribile – quanto incerta – opzione europea, e l’eventuale utilizzo di armi nucleari tattiche americane a corto raggio, ad ora presenti nella sola variante di bombe gravitazionali B-61 sganciabili da jet Tornado o F-35A di stanza a Ghedi ed Aviano.

L’Italia è certamente più lontana dall’atomica oggi rispetto agli anni ’60, ’70, ’80. Questo dato, unito a quello di forze convenzionali tenute al minimo (e forse al di sotto, se si esclude la marina) livello di guardia, dice già tutto sulle reali possibilità di autonomia strategica del paese, al netto dei (per quanto auspicabili) sogni europei.

https://inimicizie.com/2023/04/05/bomba-atomica-italiana-nucleare/?utm_source=Inimicizie&utm_campaign=4e1de98060-EMAIL_CAMPAIGN_2023_04_06_01_50&utm_medium=email&utm_term=0_-4e1de98060-[LIST_EMAIL_ID]&fbclid=IwAR2YPaUIEsNvXPp8eZWtEC9cZ5Ex9JNOOSEXx0fRzByAqGeGUhL8jHp9ni4

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Lo Stato delle Cose della Geopolitica Italiana nei conflitti Mazzini/Garibaldi. Conferenza del prof. Massimo Morigi

Lo Stato delle Cose della Geopolitica Italiana nei conflitti Mazzini/Garibaldi. Conferenza del prof. Massimo Morigi

 

Il 10 marzo 2023 presso l’ Aula Magna dell’ Universitas Domus  Mathae Ravennae (segnaliamo per inciso che la Domus Mathae Ravennae, anche denominata Casa Matha o Schola Piscatorum Domus Matha perché nacque per tutelare i pescatori ed il loro ambiente,  è la più antica confraternita del mondo occidentale da allora  ininterrottamente in vita, risalendo il suo primo statuto al 1260, questo l’Occidente cui ci piace appartenere e non quello fumettistico se non pornografico che ci viene propalato ad ogni piè sospinto dai mass media), il nostro collaboratore prof. Massimo Morigi ha tenuto una conferenza dal titolo invero molto insolito “Lo Stato delle Cose delle Geopolitica Italiana nei conflitti Mazzini/Garibaldi”.  Titolo singolare perché a nostra memoria è la prima volta dove espressamente si affrontano tematiche risorgimentali ricorrendo alla tipica strumentazione concettuale della geopolitica e del realismo politico e dove, per scendere nel ragionamento sviluppato da Massimo Morigi, le deludenti prove date nel suo complesso dai maggiori esponenti della geopolitica italiana e dei c.d. esperti italici in tema di relazioni internazionali sulle ultime vicende ucraine, oltre naturalmente ad essere spesso il frutto di incompetenza se non di crassa malafede, vanno soprattutto inquadrate in una tara storica che iniziando dal Risorgimento vede una sorgente nazione bisognosa per ottenere l’unificazione di appoggiarsi alle grandi potenze francese ed inglese ma che proprio per questa sua ancillarità rispetto ai suoi sponsor è quasi impossibilità di sviluppare un suo autonomo pensiero strategico. E ritornando al titolo della conferenza, Morigi ha sviluppato la sua conferenza affermando che nella risaputa rivalità fra Mazzini e Garibaldi non c’era solo l’intransigenza di Mazzini a favore della Repubblica contrapposta ad una maggiore duttilità ed arrendevolezza di Garibaldi verso la monarchia sabauda (e fra l’altro Morigi facendo l’esempio della Repubblica  Romana del 1849 ha anche voluto smontare il mito di un Mazzini utopista mentre Garibaldi, più pratico, avrebbe voluto attaccare con ancora maggiore decisione le truppe di Oudinot venute per soffocare nel sangue la Repubblica Romana: in realtà il vero realista fu Mazzini che sperò fino all’ultimo in una vittoria della sinistra nelle elezioni francesi che avrebbe dato respiro alla Repubblica sorta sulle rive del Tevere,  che poi questa vittoria non ebbe luogo è tutta un’altra storia e Garibaldi, non avrebbe comunque mai avuto alcuna possibilità di vittoria  nel caso, come poi realmente accadde, che la Francia si fosse messa definitivamente di traverso), non c’era solo, dicevamo, la maggiore intransigenza  repubblicana di Mazzini contro il filosabaudismo di Garibaldi ma c’era anche il fatto che Giuseppe Mazzini voleva sviluppare, come in effetti tentò, una linea di pensiero geopolitico nazionale che nulla dovesse a livello teorico come a livello concreto  agli agenti strategici delle grandi potenze nemiche dell’Austria mentre per Garibaldi sviluppare questo tipo di pensiero era l’ultima delle sue preoccupazioni. E ciò ben si vide in occasione della guerra di Crimea  ove Garibaldi si dimostrò entusiasta della partecipazione del Piemonte a fianco degli anglo-francesi mentre Mazzini che non aveva certo grandi simpatie per la Russia zarista era tuttavia ben consapevole che si trattava nient’altro di un impresa per sostenere gli interessi imperialistici anglo-francesi e non una guerra per la libertà dei popoli come voleva illudersi Garibaldi. ( Un notazione sul “contesto” della conferenza: il  relatore parlando dell’ottocentesca guerra di Crimea ha voluto molto chiaramente far intendere quale sia la sua parte nell’odierna guerra russo-ucraina e il non averlo fatto apertis verbis è dovuto unicamente al fatto del luogo istituzionale dove ha avuto luogo la conferenza, la Casa Matha di Ravenna appunto, oltre al collegato non irrilevante fatto che erano presenti le massime autorità politico-istituzionali della città degli esarchi; diciamo che spingersi oltre il “limite” raggiunto da Morigi avrebbe provocato il rigetto del suo ragionamento, che invece per la puntualità dei riferimenti storici e l’ “abilità” dialettica del relatore ha ottenuto un vasto e non contrastato consenso, insieme, ovviamente, aver cominciato a seminare qualche sano dubbio anche presso i maggiormente schierati a favore dell’attuale follia sull’attuale demente schieramento dell’Italia nella vicenda ucraina. Ci rendiamo conto che visto il contesto, al momento, non si poteva fare di più. Per le prossime volte suggeriamo però una ancora maggiore chiarezza del relatore, certamente possibile visto il consenso e credibilità che ha ottenuto in questa occasione). Inoltre Morigi ha anche sottolineato che per Mazzini questa linea di Geopolitica nazionale e non servile presso nessuno doveva cominciare in primo luogo da una radicale riforma della pedagogia nazionale, che doveva vedere la costruzione non certo di un uomo nuovo (come fu nella caricatura nazionalistica dei migliori empiti patriottici del Risorgimento operata dal fascismo) ma certamente di un uomo rinnovato, rinnovato nella consapevolezza dei suoi diritti ma, in primo luogo, dei suoi doveri verso la comunità nazionale. E qui si ritorna così agli odierni mass media ed autoeletti esperti di geopolitica, che se possono prosperare e diffondere una cattiva geopolitica, lo possono fare perché la pedagogia nazionale della Repubblica che ripudia la guerra e nata dalla Resistenza è sempre stata non a caso di un infimo livello perché, per farla breve e ad li là di ogni retorica, frutto della sconfitta militare nel secondo conflitto mondiale la quale ha comportato la pressoché totale evirazione dei centri nazionali di elaborazione politico-strategica (un certo Enrico Mattei cercò di mettere una pezza a questo “Stato delle Cose” e la faccenda non finì benissimo…).  Ma è ora tempo  di dare direttamente la parola a Morigi e quindi ben volentieri rinviamo alla sua conferenza all’URL di YouTube https://www.youtube.com/watch?v=KwA00IOPCsM&t=3277s

Buon ascolto

Pino Germinario

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euro (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

 

 

“NON SIAMO NATI IERI…” GUAI AL DI LÀ DEL CONFINE ed altro_La Redazione

     

“NON SIAMO NATI IERI…” GUAI AL DI LÀ DEL CONFINE

Il reato di cui è accusato l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e che oggi potrebbe costargli l’arresto, è “fabbricato” ad arte per impedirgli di ricandidarsi alla Casa Bianca.” Lo ha detto il presidente del Messico, Andres Manuel Lopez Obrador (AMLO), definendo, quella che si starebbe costruendo intorno a Trump, una manovra “completamente antidemocratica“. “In questo momento l’ex presidente Trump ha dichiarato che potrebbero arrestarlo. Se così fosse, visto che nessuno è nato ieri, sarebbe per far sì che il suo nome non compaia sulla scheda elettorale”, ha detto AMLO durante la tradizionale conferenza stampa quotidiana. “Lo dico perché anch’io ho sofferto per la fabbricazione di un crimine, quando non volevano che mi candidassi. E questo è completamente antidemocratico, perché non permette al popolo di decidere chi lo governa

AMLO prosegue affermando che l’Amministrazione Biden non ha il diritto di parlare di violenza in Messico poiché avrebbe autorizzato il “sabotaggio” del gasdotto Nord Stream, come sostiene il giornalista Seymour Hersh.

Il presidente AMLO risponde al rapporto statunitense sui diritti umani che attacca il Messico: “Non è vero, stanno mentendo. È pura politica… Non vogliono abbandonare la Dottrina Monroe, né il cosiddetto Destino Manifesto. Non vogliono cambiare, e si credono il governo del mondo. Sono dei bugiardi. Non prendetela male. È come se iniziassimo a valutarli in termini di diritti umani. Perché non liberate Julian Assange? Se parlate di giornalismo e libertà di stampa, perché avete Assange in carcere? Come mai un giornalista pluripremiato ci dice che il governo statunitense ha sabotato il gasdotto tra Russia ed Europa?”.

Le dichiarazioni di AMLO sono arrivate poco prima di incontrare l’inviato di Biden, per il cambiamento climatico, John Kerry; questo rende l’impatto delle sue dichiarazioni ancora più significativo e forte.  AMLO da credibilità a una narrazione che sostiene che lo stesso Biden abbia autorizzato un’azione segreta per bombardare il gasdotto Nord Stream.

Altre volte, in passato, Lopez Obrador si è schierato dalla parte di Trump, Nel gennaio del 2021, Lopez Obrador aveva denunciato, ad esempio, la decisione di Twitter di bloccare il profilo di Trump, per i riferimenti alle proteste in corso al Campidoglio. “Una cosa che non mi è piaciuta è la censura. Non mi piace che qualcuno venga censurato e privato del suo diritto di trasmettere messaggi, su Twitter o su Facebook, non sono d’accordo”, ha sottolineato il presidente Messicano “Dobbiamo tutti garantire la libertà“.

Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2020 AMLO fu uno degli ultimi leader stranieri a fare visita all’allora presidente americano tessendo le lodi al presidente Trump, ringraziandolo per il rispetto e l’amicizia riconosciuta al Messico e ad AMLO. AMLO fu anche uno degli ultimi leader mondiali (insieme a Putin) a congratularsi con Biden per le sue elezioni da presidente.

 

 

 

NEL CORTILE DI CASA

Dopo l’Argentina, anche il Messico, il 12 marzo scorso, ha ufficializzato, assieme all’Egitto e ad altri stati, la richiesta di adesione al BRICS. Trattandosi della parte del “cortile di casa” adiacente ai propri confini, pur nello smarrimento e nel caos in cui si trova la leadership statunitense, ci sarà da aspettarsi una sua qualche energica reazione. Il canale più diretto e immediato di intervento potrebbero essere i cosidetti “cartelli della droga” messicani, vere e proprie formazioni paramilitari in gran parte provenienti dalle forze speciali dell’esercito messicano.

Non è detto, però, che questa volta si realizzi facilmente.

È vero che i legami con l’entroterra statunitense sono più che solidi; è altrettanto vero che i laboratori di droghe sintetiche di questi cartelli si forniscono in gran parte dei principi attivi di produzione cinese. Una sorta di nemesi della “guerra dell’oppio” di fine ‘800 che presuppone la tessitura di legami altrettanto forti di questi cartelli con ambienti cinesi.

In guerra non si va certo a sottilizzare sull’integrità morale degli “amici”.

https://eurasiamedianetwork.com/mexico-plans-to-join-brics-amid-growing-tensions-with-us/

 

NEL VICINATO DI CASA NOSTRA

Come ben sanno i nostri lettori, uno dei motivi di contrasto e di logoramento dei rapporti tra l’Algeria e la Francia è stato il mancato rispetto, da parte transalpina, degli impegni di investimento nel settore industriale e manifatturiero in territorio algerino. Uno dei fattori che ha aperto ulteriormente la strada alla Russia e alla Cina. Come un “miles gloriosus” da par suo, il Governo Meloni ha rilanciato con toni roboanti una riedizione della antica politica di Enrico Mattei, che tanto lustro e prestigio ha dato all’Italia in quelle lande.

Ora cominciano a delinearsi i contorni reali di questa politica, in paradossale sodalizio con la Francia.

Macron ha appena annunciato il programma di costruzione di uno stabilimento automobilistico in Algeria. Finalmente una prima parziale soddisfazione tra tante promesse inevase.

Cosa dovrebbe produrre questo stabilimento? Ebbene sì, la FIAT 500.

Questo impegno sarebbe parte del pacchetto di accordi bilaterali di collaborazione tra Italia e Algeria, o parte di un triangolo discreto nel quale l’Italia, in cambio di forniture alquanto dubbie di gas e petrolio, funge da paravento, con i propri marchi e con il proprio residuo prestigio nell’area mediterranea, a mere operazioni di recupero per conto terzi. Del resto aziende come Fiat, ma sempre più anche ENI e Leonardo, gravitano sempre più in orbita statunitense e in subordine dei satelliti europei più importanti.

CERCASI BADOGLIO 2.0. TORNA, PIETRO: TUTTO È PERDONATO.

28 settembre 1937, Stadio di Berlino.

Benito Mussolini [in tedesco]: “Il Fascismo ha la sua etica, alla quale intende rimanere fedele, ed è anche la mia personale morale: parlare chiaro e aperto e, quando si è amici, marciare insieme sino in fondo.”

21 marzo 2023, Senato della Repubblica italiana.

Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio: “Continueremo a sostenere l’Ucraina senza badare all’impatto che queste scelte possano avere nel breve periodo sul consenso verso la sottoscritta, il governo, o le forze di maggioranza. Continueremo perché è giusto farlo sul piano dei valori e dell’interesse nazionale”.

 

 

 

destra, sinistra e il nuovo già vecchio_ Con Roberto Buffagni e Vincenzo Costa

Governo di centrodestra con Giorgia Meloni, congresso costituente del PD con a capo Elly Schlein. Grandi novità che tendono a riprendere e riproporre vecchi schemi interpretativi del tutto inadeguati ad affrontare il nuovo contesto politico-sociale e geopolitico. Una contrapposizione artificiosa, probabilmente artefatta, che con sussulti e forzature non fa che riproporre temi e rivendicazioni in una cornice già fallita. Non è una fase costituente; è il compimento di un processo gia delineato quaranta anni fa. Il risultato è una classe dirigente inadeguata e un ceto politico autoreferenziale. Un guscio che si sta trasformando in una pesante cappa soffocante il paese. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euri (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

https://rumble.com/v2dgt20-destra-sinistra-e-il-nuovo-gi-vecchio-con-roberto-buffagni-e-vincenzo-costa.html

Cause ed effetti, di Andrea Zhok

Come ampiamente previsto il tema della pressione migratoria si sta ripresentando con forza. Naturalmente in questa rinnovata salienza gioca un ruolo anche l’opportunità di mettere le promesse del governo Meloni alla prova dei fatti, ma questo rientra nel legittimo gioco politico delle opposizioni (e dell’esteso apparato mediatico che ne rispecchia le posizioni).
Tuttavia il punto di fondo è che ogni crisi degli equilibri internazionali si ripercuote più severamente sugli anelli più deboli, e il doppio colpo Covid + Guerra Russo-Ucraina rappresenta la più pesante crisi dalla Seconda Guerra Mondiale. Ora arriva semplicemente il conto relativo.
In Italia gli anni esplosivi dell’immigrazione sono stati quelli tra il 2011 e il 2017, e seguono la combinazione tra effetti mondiali della crisi subprime (dal 2008) e avvio delle cosiddette “primavere arabe” (dal 2010).
Il tema migratorio è il primo tema che ha esplicitato l’inadeguatezza dell’Unione Europea al ruolo di cui era stata accreditata.
Si tratta infatti di uno dei pochi temi in cui l’appello ad un’azione europea coordinata sembrerebbe la strada maestra per una soluzione, ed è parimenti un tema in cui si è manifestato nel modo più chiaro il carattere meramente predatorio e opportunista dell’UE, che si è presentata non come una potenza geopolitica, ma come un club dello scaricabarile (“beggar-thy-neighbour” policies).
In ogni singolo momento della gestione migratoria (come per ogni altro tema di rilevanza economica) abbiamo assistito ad un penoso balletto di singoli paesi o alleanze ad hoc, per sfruttare a proprio favore alcune condizioni contingenti, e lasciare gli altri “partner europei” con il cerino in mano. (Il sistema degli accordi di Dublino è esemplare a questo proposito, in quanto mirava a utilizzare i paesi di primo sbarco come “barriera naturale” per quelli interni, impedendo che si spostassero dai paesi d’arrivo a quelli più ambiti del Nord Europa.)
Il fallimento europeo peraltro è tutto tranne che inaspettato. I rapporti europei rispetto all’Africa seguono precisamente il medesimo indirizzo che informa i rapporti interni e in generale tutti i rapporti internazionali nella visione dei trattati europei: si tratta di un modello neoliberale di sfruttamento, massimizzazione del profitto e acquisizione di vantaggi competitivi a breve e medio termine. Non c’è qui nessuna visione politica, salvo la responsività alle lobby economiche interne, che in un’ottica neoliberale sono i più legittimi rappresentanti dell’interesse pubblico.
Così, i rapporti con l’Africa sono sempre stati improntati ad una politica di aiuti ad hoc, che permettevano di tenere le elité africane a catena corta, e ad una politica di trattati di scambio ineguale, che permettevano a questo o quel paese europeo di ritagliarsi un accesso favorevole ad una qualche area di risorse naturali.
E’ però importante capire qual è stata la natura specifica del fallimento europeo nella politica verso l’Africa (e più in generale verso i paesi in via di sviluppo).
Ciò che l’UE ha mancato di fare è stato di subentrare al sistema degli equilibri della Guerra Fredda, cercando di costruire nuovi rapporti di alleanza di lungo periodo.
Alla faccia degli storici della domenica che ti spiegano come “le migrazioni ci sono sempre state e sempre ci saranno”, bisogna osservare come l’epoca delle migrazioni di massa in Europa dall’area del mediterraneo inizia con la caduta dell’URSS e quindi con il trionfo nella Guerra Fredda dell’Occidente a guida americana.
Per l’Italia la data simbolica dell’inizio del “problema migratorio” è il 1991, con il grande sbarco degli albanesi nel porto di Bari.
Questo non è un caso. La Guerra Fredda, forma rudimentale di multipolarismo, cercava di contendersi i paesi in via di sviluppo, e lo faceva in vari modi, talora in forma cruenta (Corea, Vietnam), più spesso in forma di collaborazione. Questa situazione, per quanto precaria, coltivava l’interesse per una conservazione degli equilibri regionali. Nessuna “primavera araba” sarebbe potuta venire alla luce in quel contesto, perché tutti sapevano che eventuali sommovimenti interni ad un paese sarebbero stati nient’altro che mosse di uno dei due blocchi per finalità proprie. Questo equilbrio, cinico e ostile fin che si vuole, stimolava comunque l’interesse di entrambi i blocchi alla conservazione tendenziale degli equilibri nelle aree in via di sviluppo.
Con il venir meno di questo fattore equilibrante, cioè con il venir meno dell’URSS, il mondo in via di sviluppo (e anche buona parte di quello sviluppato) divenne libero terreno di caccia dei paesi in cima alla catena alimentare capitalistica (USA in testa).
A questo punto l’equilibrio regionale era molto meno importante per i decisori politici delle occasioni di profitto create dagli squilibri.
Ecco, questa prospettiva ci consente di vedere da che punto di vista potrebbe arrivare, nel medio periodo, una soluzione alla colossale questione dei processi migratori (per l’Europa).
A fronte della pelosa impotenza dell’UE, i cui colonnelli sono tutti indaffarati ad accaparrarsi piccoli vantaggi per questa o quella multinazionale di riferimento, subentrerà (sta già subentrando) una forma di competizione geopolitica simile alla Guerra Fredda.
Russia e Cina stanno già operando in questo modo verso molti paesi in via di sviluppo, soprattutto in area africana. Naturalmente non lo fanno per “umanitarismo” (diffidate sempre quando uno stato afferma di muoversi per “ragioni umanitarie”). Lo fanno perché hanno una visione strategica di lungo periodo, in cui associazioni stabili con stati che siano davvero “in via di sviluppo” – e non semplicemente “condannati ad una sfrutttabile arretratezza” – è nel loro interesse.
Russia e Cina si muovono oggi come attori sovrani su uno scenario geopolitico di lungo periodo, e questo è sufficiente a rovesciare il tavolo alla cultura da “robber barons” del neoliberalismo occidentale e a instaurare un nuovo equilibrio (per quanto intrinsecamente precario).
Dunque alla fine, se qualcosa ci salverà dall’essere travolti da una migrazione incontrollata, questo sarà probabilmente proprio l’insediarsi di un nuovo equilibrio multipolare, la cui alba abbiamo davanti agli occhi.

Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure 

PayPal.Me/italiaeilmondo

Su PayPal è possibile disporre eventualmente un pagamento a cadenza periodica, anche di minima entità, a partire da 2 (due) euri (ho scoperto che pay pal prende una commissione di 0,38 centesimi)

Lo Stato delle Cose dell’Ultima Religione Politica Italiana: il Mazzinianesimo (integrale), di Massimo Morigi

 

 

Monica Vitti, nella parte di Giuliana in una scena del film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni, girato nel 1964 a Ravenna

 

 

“L’ Italia e il Mondo” pubblica ora in un’unica soluzione il saggio di Massimo Morigi Lo Stato delle Cose dell’Ultima Religione Politica Italiana: il Mazzinianesimo.  Con due “piccole” differenze rispetto alla pubblicazione in quattro puntate. La prima che   al saggio introduttivo alla biografia su Arnaldo Guerrini e alla biografia stessa sul martire repubblicano ed antifascista sono state aggiunte le scansioni PDF degli originali delle tre “veline di Guerrini” che erano pur presenti da p. 83 a p. 89 del saggio ma che vi erano riportati solo nella loro trascrizione ma non nella loro autentica immagine. È un po’ un’emersione fantasmatica dalla notte dei tempi, tanto più, come preciseremo ora, che l’archivio dai quali questi importanti documenti erano stati recuperati e riconsegnati alla storia degli uomini ora probabilmente non esiste più. La seconda differenza è che il saggio che nella sua interezza “L’Italia e il Mondo” propone ai suoi lettori contiene anche una commemorazione dell’avvocato Vincenzo Cicognani di Lugo, che non solo fu amico e collaboratore di Arnaldo Guerrini (ed anche fra i fondatori del Partito d’Azione) ma che di quell’archivio che serbava i tre importantissimi documenti redatti da Arnaldo Guerrini era stato il creatore ed il custode e che, probabilmente a causa, mettiamola così, di una notevole insensibilità storica da parte di chi avrebbe dovuto custodirlo, oggi non esiste più. Leggerete anche che per Morigi l’occasione per commemorare Vincenzo Cicognani è stata l’ultima ricorrenza del IX Febbraio, col quale quest’anno i residuali mazziniani italiani hanno celebrato il 174° anniversario della fondazione della Repubblica Romana del 1849. Siamo sempre in tema di spettrali “emergenze”  ma, come ben si vede anche in questi giorni, anche (se non soprattutto) di queste fantasmatiche apparizioni politico-religiose, così nel bene come nel male, è indissolubilmente impastata e generata la geopolitica…

Giuseppe Germinario

https://ia801605.us.archive.org/31/items/repubblicanesimo-repubblicanesimo-geopolitico-neomarxismo-monica-vitti/Repubblicanesimo%2C%20Repubblicanesimo%20Geopolitico%2C%20Neomarxismo%2C%20Monica%20Vitti.pdf

1 2 3 4 5 6 37