gli eventi algerini: il visibile e l’invisibile, di Bernard Lugan

Come sottolineato nei post precedenti l’Algeria è uno snodo cruciale delle dinamiche politiche africane e mediterranee dove si incrociano gli interessi della Francia, occupante sino ai primi anni ’60, dell’Italia sostenitrice della guerra di liberazione e soprattutto di Stati Uniti,Cina e Russia. L’Algeria dispone di notevoli risorse energetiche, delle quali è praticamente schiava la sua economia; gode ancora di un notevole prestigio tra gli stati africani. Negli anni ’90 i militari sono riusciti con grande difficoltà a domare una sanguinosa rivolta civile organizzata dai settori più integralisti_Giuseppe Germinario
Bernard Lugan_ analista geopolitico, africanista, direttore del periodico “Afrique Réelle”
La lettura degli eventi algerini deve avvenire a due livelli, il visibile e l’invisibile.
apparenze
Dopo settimane di manifestazioni, il Ramadan non ha svuotato la strada; il movimento di protesta è sostenuto.
Di fronte a questa realtà, la strategia del “Sistema” [1] attualmente incarnata dal generale Ahmed Gaid Salah non è riuscita. E’ stata progettata per guadagnare tempo e dividere i manifestanti attraverso la manipolazione della giustizia spettacolo messa in scena grazie ad un’ondata di arresti di “corrotti”. Ma gli algerini non si sono fatti ingannare perché sanno che è tutto il “sistema” ad essere compromesso. A partire dal Generale Gaid Salah, il cui affarismo familiale ad Annaba è stato denunciato dall’avversaria Louisa Hanoune … per questo gettata in prigione …
Tra la strada e il “Sistema” le posizioni sono inconciliabili:
-I manifestanti continuano a chiedere un periodo di “transizione” gestito da persone indipendenti
-Il Generale Gaid Salah vuole, attraverso le elezioni presidenziali in programma il 4 luglio 2019, eleggere un candidato da lui stesso designato. Tuttavia, queste elezioni sembrano essere impossibili da organizzare; dopo la presidenza ad interim di 90 giorni in virtù della Costituzione, il generale si troverà quindi ad affrontare un vuoto istituzionale.
… e dietro le apparenze
La lettura di El Djeich, il giornale dell’esercito permette di andare oltre le apparenze. Per diverse settimane, v’è infatti denunciato l’esistenza di una “cospirazione”, che conferma che la guerra è aperta all’interno della casta militare.
Ma dal 1962, l’esercito era riuscito sempre a regolare i conti a porte chiuse, nascondendosi dietro un potere civile di facciata delegato al FLN. Inoltre, fino ad ora, nonostante le loro contrapposizioni, i vari clan militari in nessun momento avevano trasgredito il tabù estremo di non mettere mai a repentaglio la sostenibilità del “Sistema”. L’incarcerazione di alcuni generali tra i quali cui Mediene “Toufik” e Tartag dimostra che i clan e gli odi personali hanno preso il sopravvento rispetto alla considerazione della sopravvivenza comune.
La crisi all’interno dell’istituzione militare è profonda e la proliferazione di slogan diretti contro la sua persona dimostra che il generale Gaid Salah è ora da solo contro la popolazione.
Sempre più numerosi, pertanto, sono quelli che si chiedono se l’impopolarità del loro leader non finirà per causare un divorzio tra l’esercito e il popolo. Il rischio sarebbe quello di vedere a questo punto l’ondata di protesta coinvolgere l’esercito nel “Sistema”.
Secondo voci ormai insistenti, molti dei suoi pari avrebbero indicato il Generale Gaid Salah come responsabile dell’attuale impasse politica. L’unico ostacolo alla sua estromissione sarebbe il mancato accordo sul nome del successore. Dato il clima attuale, la difficoltà è in realtà quella di trovare un generale estraneo e al di sopra degli intrighi del Serraglio e quindi in grado di recuperare il consenso interno all’esercito, conseguente alla ridefinizione della collocazione di ogni clan.
Lontano dal trambusto della strada, ma con gli occhi continuamente rivolti ad essa, i giannizzeri si affannano per trovare chi può salvare il “Sistema”. Il prossimo futuro ci dirà se sono stati in grado di trovare l’ “uccello esotico”. Ma ne hanno ancora la possibilità?
Bernard Lugan

Algeria: dietro le enormi manifestazioni di rigetto della candidatura di Abdelaziz Bouteflika a un quinto mandato, il salto verso l’ignoto è assicurato …, di Bernard Lugan

Qui sotto la traduzione di un bollettino informativo di Bernard Lugan riservato agli abbonati. La situazione in Algeria ormai si sta incancrenendo a dispetto o forse a causa delle enormi riserve di idrocarburi alcune delle quali in via di esaurimento altre immobilizzate dalla situazione di paralisi politica e sociale. La maledizione delle economie monoculturali sta per colpire una nazione dal passato glorioso,in prima linea nei movimenti anticolonialisti, ma incapace di completare il processo di emancipazione. L’Italia dipende in buona parte dalle forniture di petrolio e soprattutto di gas del paese. La gestione delle condotte è in condominio con l’azienda di stato algerina SONATRAC, la quale detiene le partecipazioni azionarie maggioritarie sia dei pozzi che dei dotti_Giuseppe Germinario

L’offerta di un quinto mandato al presidente Abdelaziz Bouteflika, morto-vivente silenziato e paralizzato nelle uscite, legato ad una sedia a rotelle, caduto nel patetico, è molto mal vista in Algeria.

La portata delle manifestazioni di rigetto di questa candidatura e con essa di tutti i profittatori del regime, FLN in testa è tale che, senza svolta, il tempo di sopravvivenza del clan Bouteflika sembra contato. Tanto più che le forze di sicurezza appaiono vinte dal dubbio e che l’esercito non è più monolitico.

In ogni caso, si tratta di  un’Algeria in rovina e divisa che erediteranno coloro che hanno il compito molto difficile di cercare di evitare l’affondamento di un Paese fratturato tra arabismo e berberismo con sullo sfondo gli islamisti in agguato. Come faranno a raddrizzare un paese colpito al cuore dall’esaurimento delle sue riserve di petrolio quando il 60% delle entrate di bilancio e il 95% delle entrate in valuta estera dipendono dagli idrocarburi? Secondo l’Ufficio nazionale di statistica del 12 gennaio 2019, nel corso del 3 ° trimestre 2018, il settore degli idrocarburi nel suo complesso è sceso del 7,8%, petrolio greggio e produzione di gas naturale è diminuito del 3% e la raffinazione del petrolio greggio del 12%.

Il calo di produzione e del corso dei prezzi degli idrocarburi comporta una caduta delle rimesse e la necessità che lo stato attinga alle sue riserve in valuta estera per finanziare le importazioni. L’Algeria non produce nulla o in quantità insufficiente, deve infatti comprare tutto sui mercati esterni, sia per l’alimentazione, che semplicemente l’abbigliamento, gli equipaggiamenti e la cura della popolazione.

Le riserve valutarie dell’Algeria che erano di 170 miliardi di euro nel 2014, prima del crollo del prezzo del petrolio, sono poco più di 62 miliardi nei primi mesi del 2019, secondo le proiezioni, si raggiungeranno 34 miliardi entro il 2021.

In queste condizioni, come può  comprare la pace sociale con la crescita della popolazione che cancella ogni possibilità di sviluppo? Come affrontare un Algeria sul punto di deflagrare con un tasso di disoccupazione giovanile pari ad almeno il 40%, un enorme miseria sociale, un settore industriale inesistente, un’agricoltura in rovina, il sistema bancario d’altri tempi e una amministrazione apoplettica?

Come riavviare l’Algeria saccheggiata dai satrapi della nomenklatura incistata intorno al clan Bouteflika e che tra il 2000 e il 2015, quindi prima del crollo dei prezzi, ha “sperperato”  600 miliardi di $ provenienti dalla vendita di idrocarburi, in ” deflussi “di diverse centinaia di miliardi di dollari più oltre 100 miliardi di dollari spesi” a discrezione dei governi “(El Watan 31 Gennaio 2016), eufemismo delicata che maschera l’opacità della loro destinazione …?

Nessuno vorrà rivendicare una tale eredità, nessuno vuole associare il suo nome con decenni di implementazione delle risorse pubbliche a servizio di un clan familiare; la rottura è quindi annunciata. A beneficio di chi? Il futuro ormai prossimo lo dirà.

Bernard Lugan

North Stream2: il conflitto si sposta dentro la UE, di Piergiorgio Rosso

North Stream2: il conflitto si sposta dentro la UE 1a parte – di Piergiorgio Rosso

A che punto è la costruzione del nuovo gasdotto Russia-Germania nel Baltico (North Stream-2 o NS2)? Ottenute quasi tutte le autorizzazioni di transito e ambientali – mancano quelle di Svezia e Danimarca – sembrerebbe dover avere la strada in discesa e poter mantenere l’obiettivo di primo avviamento fissato al 2019. Difficile del resto pensare diversamente considerato che il percorso del NS2 segue quello del NS1 che opera da diversi anni a pieno regime.

Anche i pareri espressi alla fine del 2017 dall’ufficio legale del Consiglio d’Europa sono risultati promettenti, nella misura in cui hanno chiarito che la direttiva UE denominata Terzo Pacchetto Energia (TEP) non si applica ai gasdotti che connettono uno Stato membro ad uno Stato terzo. L’NS2 sarebbe dunque in particolare esentato sia dall’obbligo della separazione fra proprietà dell’infrastruttura e proprietà del gas naturale trasmesso, che dall’obbligo di garantire l’accesso alla infrastruttura a terzi con tariffe eque e concorrenziali. Obbligo, quest’ultimo che cozzerebbe con lo stato di monopolista che Gazprom detiene all’esportazione del gas naturale russo.

Dunque nulla osta?

Proprio per niente: il Consiglio dell’UE è stato recentemente chiamato a discutere una proposta di emendamento alla Direttiva TEP avanzata dalla Commissione, proprio per includervi i gasdotti extra-UE. Emendamento già approvato dal Parlamento UE con osservazioni aggiuntive. Una vera e propria legge ad gasductum con la conseguenza però di applicarsi a tutti i gasdotti internazionali con implicazioni serie di compatibilità con le leggi internazionali che regolano la materia e per i rapporti istituzionali fra Stati membri e UE.

Nel caso di gasdotti sottomarini, il transito nelle Zone Economiche Esclusive (EEZ) degli Stati – distinte dalle acque territoriali – è regolato da una Convenzione delle Nazioni Unite (UNCLOS) che garantisce i diritto di transito a certe condizioni di sicurezza ed ambientali.

L’ufficio legale del Consiglio d’Europa ha dichiarato in data 1.3.2018 che tale estensione di applicabilità della Direttiva TEP contrasterebbe il diritto internazionale negli art. 56 e 58 dell’UNCLOS. Ora è la politica che deve decidere.

Che gli Stati membri dell’UE abbiano un crescente fabbisogno di gas naturale è certo, una volta deciso di uscire gradualmente dal nucleare e dal carbone per la produzione di elettricità. Che questo gas naturale debba essere importato, è altrettanto ovvio dato che la produzione interna, già insufficiente, cala costantemente. Che esso venga per circa il 40% dalla Federazione Russa, beh questo non sta bene né agli Stati russofobi del Centro ed Est Europeo né agli Stati Uniti che vorrebbero eliminare o ridimensionare questa leva di influenza politica e strategica in mano al loro principale competitore geopolitico.

Anche, se possibile, esportando il loro GNL, ma questo è secondario.

Ciò che è veramente essenziale per gli USA è che il gas naturale russo destinato all’Europa continui a passare prevalentemente attraverso l’Ucraina e la Polonia come ora – nonostante le frequenti interruzioni già subite nella storia recente – e non certo per sostenere quelle economie con la tariffa di transito pagata da Gazprom, ma perché questi due Paesi si prestano volentieri a cedere agli USA il potere di interdizione che la loro posizione geografica consente. Oggi loro sono in mezzo al “gasdotto” che collega Russia ed Europa occidentale; con il NS2 – ed il Turkish Stream, che però ora è bloccato sulle rive del Mar Nero in Turchia – finirebbero invece in coda all’infrastruttura, ricevendo gas naturale dalla Germania.

Lo scontro fra Commissione e Consiglio d’Europa è dunque decisivo per questa partita, ma non solo. Qualora dovesse prevalere la Commissione, il NS2 forse si farebbe anche – ne dubitiamo – ma a condizioni capestro inerenti la regolazione dei flussi e le garanzie di transiti complementari attraverso i gasdotti esistenti in Polonia ed in Ucraina.

Ciò che rimarrebbe come implicazione preoccupante sarebbe il fatto che con la modifica alla Direttiva TEP, la separazione proprietaria e l’accesso a terzi dovrebbe essere garantito a tutti i gasdotti offshore che collegano Paesi membri con terzi: che fine farebbero gli italiani Greenstream (Libia), Transmed(Algeria) e TAP (Azerbajan)? Sarà Gentiloni a discutere in Consiglio d’Europa la questione? Potrà l’Italia mantenere il diritto di “determinare le condizioni di utilizzo delle sue risorseenergetiche” e di “scegliere fra diverse fonti energetiche” (art. 194/Trattato UE)?

Con la modifica proposta e la conseguente necessità di ridiscutere i termini dei contratti internazionali relativi ai gasdotti di trasmissione, la Commissione UE sarebbe in grado di influenzare e bloccare tali possibilità, riservandosi un diritto di veto a suo favore, dovesse uno Stato membro contrattare delle esenzioni con la controparte terza.

Gli Stati membri della UE, ma in particolare l’Italia, dovrebbero interrogarsi se davvero conviene loro concedere tali poteri alla Commissione, – che facilmente si traslerebbero agli elettrodotti – mettere a rischio la loro sicurezza energetica e le future opportunità di connessioni con Stati terzi, per il solo scopo di bloccare una singola infrastruttura.

Forse la Commissione vuole approfittare delle tensioni fra Russia e NATO per estendere i suoi poteri nei confronti dei Paesi membri?

North Stream2: il conflitto si sposta dentro la UE (2a parte) – di Piergiorgio Rosso

Nel testo precedente informavamo dell’intenzione della Commissione Europea di cambiare il diritto applicabile ai gasdotti transnazionali per permettere alla Commissione stessa di determinare le condizioni contrattuali applicabili al commercio di gas naturale trasportato in quegli stessi gasdotti. Con lo scopo di controllare direttamente quantità e prezzi del gas naturale trasportato da Gazprom attraverso il North Stream2 (NS2) a favore di Polonia e Ucraina. Col rischio – per ora per fortuna del tutto ipotetico e teorico – di estensione di tale intervento della Commissione sul regime contrattuale vigente nei gasdotti transnazionali di interesse nazionale italiano (dalla Libia, Tunisia, Russia e – nel prossimo futuro – Azerbaijan).

Il nuovo governo dovrà affrontare la questione non sappiamo precisamente quando, ma sicuramente in tempi brevi perché la vicenda NS2 ha subito in questi giorni una significativa accelerazione.

Il 7 giugno u.s. la Svezia ha rilasciato a Gazprom le autorizzazioni al passaggio ed alla gestione del gasdotto nella sua Zona Economica Esclusiva (ZEE) per un tratto di circa 510 km. Ora manca all’appello solo la Danimarca che potrebbe aderire alle preoccupazioni esternate dagli USA sul rischio che il gasdotto russo potrebbe essere dotato di stazioni di ascolto sottomarino mettendo a rischio la sicurezza delle navi NATO. Ridicolo … (i tubi del NS1 già ci sono in fondo al mare Baltico …) ma tant’è. Gazprom ha fatto sapere che nel caso la Danimarca non concedesse l’autorizzazione è allo studio un cambiamento di percorso in acque internazionali.

Siamo stati recentemente in Germania a Greifswald dove l’attuale NS1 opera da anni e dove dovrebbe “atterrare” anche l’NS2 per constatare lo stato dei lavori. La movimentazione degli spezzoni di tubi da preparare, saldare e depositare in mare è continua ed il deposito dei pezzi occupa un’intera valletta vicino al porto di Sassnitz (vedi foto).

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Siamo pertanto portati a credere che la costruzione del NS2 non si fermerà facilmente, troppo avanzata la preparazione dei materiali e la fase autorizzativa è ormai quasi alla fine. Sia Gazprom che il portavoce del Cremlino Dimitry Peskov infatti hanno confermato che i lavori di deposizione del gasdotto nel mare della ZEE svedese cominceranno entro fine anno.

In questo contesto il Presidente ucraino Petro Poroschenko ha giocato la sua ultima carta, annunciando di essere al lavoro per creare un – non meglio definito – consorzio di imprese europee disponibili a gestire i gasdotti ucraini evitando così la costruzione del NS2. L’iniziativa avrebbe – ca va sans dire – l’appoggio degli USA. Poroschenko starebbe “attivamente negoziando con la Germania” su questa proposta.

E’ evidente che le pressioni su A. Merkel affinché fermi il gasdotto NS2 stanno raggiungendo l’acme, contando sulle difficoltà che l’attuale coalizione di governo tedesco ha su vari fronti: immigrazione, riforma dell’eurozona, dazi commerciali, insolite ispezioni in Deutsche Bank.

Si rinforza a nostro parere l’ipotesi secondo cui la via d’uscitache i tedeschi stanno esaminando prevede la costruzione del NS2 ma con una diversa regolazione dei gasdotti transnazionali, affidata ad organismi dell’UE.

Con conseguenze per ora inimmaginabili per i nostri interessi nazionali.

i link originari sono:

http://www.conflittiestrategie.it/north-stream2-il-conflitto-si-sposta-dentro-la-ue-di-piergiorgio-rosso

http://www.conflittiestrategie.it/north-stream2-il-conflitto-si-sposta-dentro-la-ue-2-di-piergiorgio-rosso

GLI STATI UNITI PRIMO PRODUTTORE DI PETROLIO, IDROCARBURI E GAS _ a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto la traduzione di un importante rapporto di fonte governativa americana riguardante l’attività di estrazione e produzione di materie prime energetiche nel paese. Con grande enfasi annuncia gli incrementi dei livelli di produzione di vari tipi e qualità di prodotti; talmente significativi e costanti da trasformare gli Stati Uniti da importatore a paese esportatore sino a raggiungere e consolidare addirittura il primato produttivo mondiale di un gran numero di queste fonti strategiche sino al 2050.

Un primato, quindi, apparentemente poco duraturo e reso apparentemente fragile dal vincolo dei costi elevati di estrazione, resi compatibili solo da un regime di prezzi di vendita relativamente sostenuti. Si potrebbe definire, quindi, un primato effimero in un ambito in continuo mutamento e dalle straordinarie novità. Basti osservare le recenti scoperte di giacimenti nel Mediterraneo Orientale.

La valenza strategica di questa nuova ed inaspettata condizione è in realtà molto più pregnante per vari motivi:

  • avviene in una fase di incipiente affermazione del multipolarismo durante la quale la produzione e il controllo delle rotte energetiche sono ambiti fondamentali del confronto geopolitico e della manipolazione delle alleanze
  • copre un periodo significativo della transizione, più o meno lunga secondo le diverse stime, verso la produzione predominante di fonti energetiche rinnovabili durante il quale sia il petrolio che, in misura sempre crescente, il gas continueranno ad avere una importanza centrale
  • ad un peso crescente degli Stati Uniti corrisponde un peso decrescente ed in via di esaurimento di paesi sinora strategici nella produzione come l’Arabia Saudita
  • il livello relativamente sostenuto dei prezzi è una condizione necessaria alla produzione energetica negli Stati Uniti; è però di vitale importanza alla sopravvivenza di quei numerosi paesi che fondano la propria esistenza e stabilità sulla monocoltura dell’estrazione di materie prime energetiche. Una cointeressenza che accentua le capacità manovriere del gigante americano
  • l’acquisita indipendenza in gran parte dei prodotti estrattivi gasiferi e di idrocarburi consentirà agli Stati Uniti politiche ancora più spregiudicate e meno vincolanti  in aree geopolitiche cruciali come il Medio Oriente, il Nord-Africa, l’area caraibica, l’Africa Equatoriale, la zona artica
  • in una eventuale affermazione di una fase di suddivisione policentrica delle diverse aree geopolitiche, l’offerta di materie prime energetiche e di loro derivati costituisce un fattore importante per la formazione di una propria area di controllo e influenza sufficientemente delimitata e coesa. L’attuale duro confronto con la Russia rappresenta solo un prodromo illuminante di quello che ci aspetterà nel futuro, ivi comprese le offerte di forniture alternative a quelle russe. 

Buona lettura_ Giuseppe Germinario-La Redazione

 

GLI STATI UNITI RIMANGONO IL PRIMO PRODUTTORE MONDIALE DI IDROCARBURI, PETROLIO E GAS NATURALE

 

Gli Stati Uniti consolidano, raggiungendo un livello record nel 2017, il loro primato come ​​primo produttore mondiale di idrocarburi, di petrolio e gas naturale. Gli Stati Uniti sono il ​​primo produttore mondiale di gas naturale ormai dal 2009, quando l’estrazione negli Stati Uniti ha superato quella della Russia e il primo produttore mondiale di idrocarburi e di petrolio dal 2013, quando la produzione americana ha superato quella dell’Arabia Saudita. Dal 2008, la produzione di petrolio e gas naturale negli USA è aumentata di quasi il 60%.

 

Confrontando gli Stati Uniti e la Russia, la produzione totale di idrocarburi di petrolio e gas naturale, misurata in termini di contenuto energetico, è praticamente equamente divisa tra petrolio e gas naturale, mentre la produzione dell’Arabia Saudita si concentra pesantemente nel petrolio. La produzione totale di petrolio è composta da diversi tipi di combustibili liquidi, tra i quali petrolio greggio e condensato per leasing, olio a tenuta stagna, olio extra-pesante e bitume. Inoltre, vari processi producono liquidi per impianti di gas naturale (NGPL), biocarburanti e altri combustibili liquidi, alcuni derivati del processo di raffinazione.

 

La produzione di petrolio negli Stati Uniti è aumentata di 745.000 barili al giorno (b / g) nel 2017, trainata da un aumento del 21% dei prezzi del petrolio, pari a circa $ 65 al barile. Negli Stati Uniti, il condensato di petrolio greggio e leasing ha rappresentato il 60% della produzione totale di idrocarburi di petrolio nel 2017 e i liquidi delle centrali a gas naturale hanno rappresentato il 24%. L’Arabia Saudita e la Russia hanno volumi molto più piccoli di liquidi per impianti di gas naturale, così come la produzione da raffineria e biocarburanti, che insieme rappresentano la parte rimanente della produzione di petrolio degli Stati Uniti.

 

La produzione di gas naturale secco negli Stati Uniti è cresciuta lentamente sino all’inizio del 2017 a causa di condizioni economiche in origine sfavorevoli. La produzione è aumentata negli ultimi nove mesi dell’anno, portando a una differenza di 5,7 miliardi di metri cubi al giorno (Bcf / d) tra il primo trimestre e il quarto trimestre del 2017. Dal 2016 al 2017, la produzione di gas naturale secco domestico è aumentata di 1 % e le esportazioni di gas naturale liquefatto negli Stati Uniti sono quadruplicate. La domanda di gas naturale dei consumatori è stata composita, a causa del clima invernale più mite rispetto al 2016 e dei prezzi del gas naturale più elevati fattori i quali hanno contribuito a una riduzione del 7% del consumo di gas naturale per la produzione di energia.

 

La produzione di gas naturale russo e saudita è aumentata significativamente nel 2017, con una crescita rispettivamente dell’8% e del 6% su base annua. Al contrario, la produzione di liquidi totali russi e sauditi è diminuita nel 2017 rispetto al 2016. Arabia Saudita e Russia hanno abbassato la produzione di petrolio come parte di un accordo dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC) e di alcuni produttori non OPEC (compresa la Russia) teso a ridurre la produzione totale di greggio nel tentativo di ridurre gli stock petroliferi globali.

 

La produzione petrolifera dell’Arabia Saudita è fondamentale per l’economia saudita, ma è particolarmente importante anche come fonte di energia domestica perché nel 2017 il paese ha consumato quasi 0,5 milioni di barili al giorno per la produzione di elettricità. Il continuo sviluppo di Wasit, Hasbah, e i giacimenti di gas naturale dell’Arabia dovrebbero ridurre la dipendenza a lungo termine del paese dalla produzione di energia dal petrolio greggio.

 

Nel caso di STEO ( Short Term Term Outlook) di Maggio, la produzione americana di petrolio e altri combustibili liquidi dovrebbe aumentare, raggiungendo 17,6 milioni di barili al giorno nel 2018 e 19,1 milioni di barili al giorno nel 2019, rispetto ai 15,6 milioni di barili al giorno nel 2017 .

 

Lo STEO di Maggio prevede che la produzione di combustibili liquidi russi raggiunga una media di 11,2 milioni di barili al giorno nel 2018 e nel 2019, lo stesso del livello di produzione del 2017. Lo STEO fornisce una previsione di produzione per i membri dell’OPEC nel suo insieme piuttosto che per i singoli paesi. La produzione totale di liquidi per l’OPEC, che nel 2017 era di 39,3 milioni di barili al giorno, è prevista in 39,2 milioni di barili al giorno nel 2018 e 39,5 milioni di barili al giorno nel 2019. Questa previsione tiene conto degli accordi recenti tra i paesi membri dell’OPEC, degli impegni di alcuni produttori non OPEC, come la Russia, a ridurre la produzione. Tuttavia, la non conformità dovrebbe aumentare verso la fine del 2018.

 

GLI STATI UNITI CRESCONO COME ESPORTATORE ENERGETICO E PER LA PRIMA VOLTA NEL XXI SECOLO DIVENTERANNO NUOVAMENTE POTENZA ESPORTATRICE.

 

 

All’inizio del XX secolo gli Stati Uniti divennero un importante fornitore di petrolio per il mondo. La seconda guerra mondiale ha indotto un programma di combustibili liquidi sintetici, ma non è andato oltre la ricerca. Verso la metà del secolo il paese passò dall’essere un grande esportatore a un importatore netto.

 

L’U.S. Energy Information Administration (EIA) ha pubblicato oggi il suo Annual Energy Outlook 2018 (AEO2018), che include il suo caso di riferimento e una serie di casi di sensibilità. Il caso di riferimento AEO2018 mostra un continuo sviluppo dello shale statunitense e delle risorse petrolifere e gassose associate a una modesta crescita del consumo di energia, portando alla transizione degli Stati Uniti da importatore netto di energia ad esportatore netto di energia nella maggior parte dei casi esaminati in AEO2018. “Il sistema energetico degli Stati Uniti continua a subire un’incredibile trasformazione”, ha affermato l’amministratore EIA Linda Capuano. “Questo è più ovvio se si considera che l’AEO mostra che gli Stati Uniti stanno diventando un esportatore netto di energia durante il periodo di proiezione nel caso di riferimento e nella maggior parte dei casi di sensibilità – un insieme di aspettative molto diverse da quelle che immaginavamo persino cinque o dieci anni fa. ”

 

Gli Stati Uniti sono stati importatori netti di energia dal 1953, ma AEO2018 prevede che gli Stati Uniti diventeranno un esportatore netto di energia entro il 2022 nel caso di riferimento. Nei casi di sensibilità AEO2018 che incorporano ipotesi a sostegno di una maggiore crescita della produzione di petrolio e gas naturale o che hanno prezzi del petrolio più elevati, si prevede che questa transizione si verifichi prima. Nel caso dell’Alta industria petrolifera e del gas e della tecnologia, la geologia favorevole e gli sviluppi tecnologici consentono la produzione di petrolio e gas naturale a prezzi inferiori, sostenendo le esportazioni crescenti nel tempo. Nel caso del prezzo elevato del petrolio, prima del 2040, le condizioni economiche sono favorevoli per i produttori di petrolio, supportano quindi livelli più elevati di esportazioni, ma un minore consumo interno. Dopo il 2040, le esportazioni diminuiscono a causa della mancanza di miglioramenti sostanziali nella tecnologia e nei trasferimenti di produzione verso regioni meno produttive.

 

L’AEO2018 presenta proiezioni aggiornate per i mercati energetici statunitensi fino al 2050 sulla base di sette casi (riferimento, bassa e alta crescita economica, prezzo del petrolio basso e alto, risorse petrolifere e del gas basse e alte e tecnologia). Il caso di riferimento AEO2018, che incorpora solo leggi e politiche esistenti, non intende essere una previsione più probabile del futuro. I casi alternativi incorporano diverse ipotesi chiave, che riflettono le incertezze del mercato, della tecnologia, delle risorse e della politica che possono influenzare i futuri mercati energetici.

 

L’aumento dell’efficienza energetica aumenta la crescita della domanda di energia durante la proiezione. Il consumo di energia cresce in media dello 0,4% / anno nel caso di riferimento dal 2017 al 2050. La crescita annua del PIL reale dovrebbe attestarsi al 2,0% a tutto il 2050 nella causa di riferimento.

 

Quasi tutta la nuova capacità di produzione di energia elettrica è alimentata dal gas naturale e dalle fonti rinnovabili dopo il 2022 nel caso di riferimento. Questo è il risultato dei prezzi del gas naturale che rimangono sotto i $ 5 / milioni di unità termiche britanniche fino alla fine del periodo di proiezione e il continuo declino nel costo delle energie rinnovabili, in particolare il solare fotovoltaico.

 

La produzione di liquidi negli Stati Uniti e di gas naturale continua a crescere nel 2042 e nel 2050, rispettivamente. Nel caso di riferimento, si prevede che la produzione di risorse di gas di scisto aumenterà fino alla fine del periodo di proiezione. La produzione di liquidi negli Stati Uniti inizia a declinare verso la fine del periodo di proiezione poiché vengono sviluppate aree meno produttive.

 

AEO2018 è una versione completa di AEO e incorpora aggiornamenti sulle modifiche legislative e normative e include un ampio set di casi di sensibilità e scenari con tabelle browser e fogli di calcolo per tutti i casi. Nei prossimi mesi verranno pubblicati una serie di articoli in merito. Iscriviti per ricevere una notifica via email del rilascio dei prossimi articoli Issues in Focus su: https://www.eia.gov/tools/emailupdates/#forecast.

 

 

NONOSTANTE L’USCITA DAL TRATTATO CLIMATICO DI PARIGI GLI STATI UNITI SONO LA SECONDA POTENZA PRODUTTRICE DI ENERGIE RINNOVABILI

 

L’esplorazione, lo sviluppo e la domanda di energia rinnovabile hanno sempre avuto una spiccata tendenza al rialzo. Fattori quali l’impatto ambientale, l’esaurimento delle scorte di combustibili fossili e i prezzi volatili del petrolio hanno avuto un impatto significativo sulla volontà di aumentare la produzione di energia rinnovabile. Tra il 2010 e il 2014, il consumo di energia rinnovabile dei principali paesi è effettivamente raddoppiato da 168 milioni di tonnellate a 316 milioni di tonnellate di petrolio equivalente.

 

Gli Stati Uniti sono diventati anche il secondo paese produttore di energie alternative dopo la Cina anche se la Cina manca delle risorse naturali che possiede l’America. Fatto sta che la Cina apre la strada con 1.425.180 GWh (Gigawatt ore) di energia rinnovabile prodotta. Anche se la Cina è un paese inquinante a causa del sue pesanti emissioni, in realtà è al primo posto nel mondo per la produzione di energia rinnovabile. L’espansione del consumo di energia rinnovabile è dovuta alla posizione unica della Cina come innovatore tecnologico. Ciò ha comportato una riduzione dei costi di installazione di celle solari e centrali eoliche. Gli Stati Uniti si piazzano secondi con 598.949 GWh. Negli ultimi anni, la generazione di energia non fossile o elettricità nucleare negli Stati Uniti è aumentata costantemente. Questa spinta all’energia pulita negli Stati Uniti è dovuta all’ American Recovery and Reinvestment Act del 2009.

 

Sotto trovate la tabella dei paesi produttori di energie rinnovabili:

 

Rango Paese Energia rinnovabile totale (GWh)

1 China 1.425.180

2 Stati Uniti 598.949

3 Brasile 430.410

4 Canada 422.539

5 India 213.020

6 Germania 195.900

7 Russia 168.616

8 Giappone 154.586

9 Norvegia 140.638

10 Italia 122.556

11 Spagna 110.550

12 Svezia 96.967

13 Francia 95.110

14 Venezuela 81.188

15 Regno Unito 75.721

16 Turchia 64.637

17 Paraguay 59.630

18 Vietnam 52.994

19 Austria 50.881

20 Colombia 47.661

 

ALLA LUCE DEI DATI SOPRA ILLUSTRATI QUALI SARANNO LE CONSEGUENZE A LIVELLO GEOPOLITICO MONDIALE A SEGUITO DELLA CRESCENTE POTENZA PRODUTTIVA ENERGETICA E DI RISORSE NATURALI DEGLI STATI UNITI? COME CAMBIERANNO GLI SCENARI E I GIOCHI GEOPOLITICI SU SCALA MONDIALE?

 

PRIMATO ENERGETICO E GEOPOLITICA, di Gianfranco Campa

 

 

 

https://www.worldatlas.com/articles/top-15-countries-using-renewable-energy.html

 

https://www.eia.gov/todayinenergy/detail.php?id=36292#.WweYlZFj_jA.facebook

 

https://www.eia.gov/pressroom/releases/press453.php

 

 

 

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