Hilaire Belloc, Le due culture, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Hilaire Belloc, Le due culture, Oaks Editrice, Sesto S. Giovanni 2023, pp. 232, € 20,00.

Nella sua visione critica della modernità, un autore prolifico come Belloc non poteva non scrivere un saggio come questo, volto a demolire le principali critiche alla religione cattolica. Scrive l’autore che il cattolicesimo è stato oggetto di critiche assai diverse, a seconda delle epoche, neppure del tutto esauritesi, anche a distanza di secoli, che chiama sopravvivenze e di attacchi in fieri che denomina sopravvenienza. Oltre alle quali ogni periodo storico ha avuto un “oppositore principale”.

Così tra le sopravvivenze nel XX secolo Belloc ricorda il cristianesimo “biblico” ossia essenzialmente fondato su un’interpretazione delle Scritture spesso molto letterale ma altrettanto spesso poco razionale. E così lo scientismo notando che finiva per contraddire, con le sue esagerazioni, le proprie basi (Popper avrebbe scritto che certe tesi scientiste peccano di essenzialismo).

Attualmente, scrive Belloc, l’opposizione  principale è costituita dalla triade nazionalismo, anticlericalismo, mentalità moderna. Quest’ultima appare come la più pericolosa “nulla potrà liberarcene all’infuori del dissolvimento. È come un enorme mucchio di fango che si può distruggere soltanto per mezzo di un lento lavaggio. Sarà certo l’ultimo dei tre a resistere in forma di sopravvivenza”. Esso “tende invece a rendere intellegibile la Religione. Nei confronti della Religione agisce intorpidendo le facoltà analitiche. Rende ottusa la facoltà di valutare e blocca l’entrata della Fede. Da qui la sua potenza” e continua “Sezionandola, scopriamo che la ‘mentalità moderna’ contiene tre ingredienti principali combinati in maniera da presentare la forza di un unico principio. Essi sono l’orgoglio, l’ignoranza e la pigrizia intellettuale; il principio che li unifica è la cieca accettazione di una autorità che non si fonda sulla ragione”.

Quanto alla sopravvenienza, Belloc vede la crescita del Neo-paganesimo. Il quale differisce dal (vecchio) paganesimo in ciò “tutto il Paganesimo sfocia nella disperazione, questo nostro moderno la accetta come base. Ecco dunque la speciale caratteristica che abbiamo cercato di discernere in questa sopravvenienza. Da qui la sua mancanza di raziocinio che è la disperazione intellettuale, l’orrido in architettura, in pittura e in letteratura, il che significa la disperazione estetica, e la dissoluzione morale che vuol dire la disperazione etica”. Come sostiene Martino Cervo nell’introduzione “le istituzioni, le leggi, l’educazione, i cardini della politica estera e interna dei Paesi occidentali appaiono strutturalmente contrari o di ostacolo all’antropologia cattolica”. Per cui lo Stato laico moderno è permeato da una serie di contraddizioni fondate su una antropologia contrapposta a quella cattolica. Una nota: il libro è assai interessante e per molti versi, “profetico” della situazione della società attuale. Tuttavia la contrapposizione antropologica tra Stato liberaldemocratico e concezione cattolica esiste in misura marginale. Perché sia una mentalità religiosa che una laica si basano sulla natura problematica dell’uomo, capace di scegliere tra bene e male, e perciò necessitante d’istituzioni che tengano conto del fatto che né i governanti sono angeli, né lo sono i governati, come scritto nel Federalista (fra i tanti). Perciò più che al liberalismo ed al costituzionalismo “classici”, la critica serrata di Belloc pare indirizzata alle “vie traverse” autoproclamatesi “liberali” e cresciute, specie negli ultimi quarant’anni le quali con il pensiero liberale e costituzionale classico hanno non molto a che vedere.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Il disadattamento delle élites occidentali. Intervista a Massimo Morigi

Il sito italiaeilmondo.com ha iniziato a rivolgere quattro domande a Aurelien[1], e continua a proporle, identiche, a diversi amici, analisti, studiosi italiani e stranieri.

Oggi risponde il nostro collaboratore Massimo Morigi

Qui il collegamento con la raccolta di tutti gli articoli sino ad ora pubblicati_Giuseppe Germinario, Roberto Buffagni

DA MASSIMO MORIGI RISPONDENDO ALLE DOMANDE GIÀ POSTE AD Aurélien E POI AGLI ALTRI AMICI DE “l’ITALIA E IL MONDO”

  1. Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

La domanda n.1 deve essere necessariamente diversamente formulata, e la corretta formulazione è «Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori anglo-americani nella guerra in Ucraina?», in quanto nella vicenda specifica (come in tutte quelle che riguardano le decisioni veramente strategiche del c.d. occidente) di decisori europei – escludendo ovviamente dal novero degli c.d. europei quei paesi dell’est e del nord-Europa di nuova aggiunta all’UE o di prossima unione alla stessa che per ragioni storiche hanno il dente avvelenato contro la Russia e che vedono nella NATO come il suo logico antemurale – non s’è vista traccia. Sotto questo punto di vista, penoso l’atteggiamento che ha assunto la Francia. Se per quanto riguarda l’Italia e la Germania il servilismo verso la NATO è del tutto scontato vista il progressivo dileguarsi in seguito alla caduta del muro di Berlino di una qualsivoglia politica estera autonoma da parte di questi due paesi (torneremo sull’Italia), per quanto riguarda la Francia si è trattato di barattare la schiena curva ai diktat angloamericani in cambio di una sorta di mano libera (ma libera si fa per dire, perché il margine di azione della Francia lasciato dagli angloamericani è assai stretto e condizionato) in Africa. All’Esagono, auguri e figli maschi!, come si suol dire.

2) Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

Alla domanda due si è già risposto in parte con la risposta n.1, nel senso che se la guerra di Ucraina è stata un errore di una classe dirigente, di un eventuale errore della classe dirigente statunitense (e in subordine di quella britannica) si deve parlare, tenendo ovviamente presente che quando si parla di classi dirigenti non le si deve mai intendere come blocchi monolitici che prendono questa o quella decisione. Il termine classe dirigente è una drastica semplificazione creata per dare un senso apparentemente logico e con una teleologia ispirata alla logica aristotelica a decisioni che in realtà sono il frutto di fortissimi scontri fra gruppi ferocemente contrapposti. A questo proposito è di tutta evidenza che per comprendere appieno queste dinamiche e per una riscrittura delle categorie della politica ci sarebbe anche la necessità di adottare paradigmi logico-filosofici diversi, uno dei quali è il paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico, ma non è questa la sede specifica per discuterne, mentre su un piano più strettamente storico, è ovvio che si risponde di sì, cioè che siamo di fronte per il c.d. occidente al fallimento della cultura liberal-illuministica che se, sul piano delle élite porta a non capire le reali dinamiche storico-sociali di un mondo che va verso sempre un maggiore multipolarismo, sul piano del popolo tende a creare delle masse culturalmente abbruttite ed economicamente disperate sulle quali si possono svolgere le più cupe e criminali operazioni, una delle quali, mi preme particolarmente sottolineare questo punto, è favorire in tutti i modi possibili ed immaginabili la denatalità delle popolazioni. È di tutta evidenza che con l’attuale denatalità dell’occidente e con la conseguente composizione per età di queste popolazioni dove i vecchi sormontano i giovani, non sono assolutamente concepibili né rivoluzioni più o meno violente né rivoluzioni più o meno culturali. Con i vecchi non si può fare nessun tipo di rivoluzione, in essi prevale la paura di vivere male gli ultimi anni della loro vita e tutto il resto può ben andare al diavolo, il massimo che ci si può aspettare da costoro è qualche – giustissima, per carità! – protesta per innalzare le misere pensioni.

3)La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

Discende logicamente dalle prime due risposte che la crisi di questo occidente è assolutamente irreversibile, sarebbe necessario, per farla breve, più cultura, politica e non, e più popolo e per essere assolutamente chiari, le ondate migratorie che assaltano il c.d. occidente sono assolutamente inadeguate sia per creare più cultura che per creare più popolo per il semplice fatto che questa sostituzione culturale (non etnica, i poveretti di destra che usano quest’ultima terminologia non fanno altro che dimostrare la loro inadeguatezza nel definire il fenomeno, anche se unita all’intuizione del pericolo, ma una intuizione che non trova le parole per esprimersi vale meno di niente ed è anzi dannosa) non sprigiona alcuna contraddizione all’interno della società ma solo maggiori richieste securitarie da parte degli autoctoni, per giunta per lo più pensionati o in via di, e il giochetto del divide et impera (fra chi vuole più sicurezza, la destra, e chi vuole più libertà, la sinistra, stanca erede della tradizione illuministico-liberale, entrambe gabbate nei loro rispettivi elettorati perché il problema vero è il sempre maggior restringimento degli spazi di libertà diffusa e condivisa, perché vera libertà, come ha più volte sottolineato la dottrina del Repubblicanesimo Geopolitico, altro non è che un concreto potere cellularmente diffuso in tutti gli strati della società) è fatto.

4) Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

Certo, sì, sono ricollegate alle loro tradizioni premoderne ma, sinceramente, la mobilitazione – o l’addormentamento – delle masse richiede sempre qualche slogan, il fatto veramente importante è che questi slogan di stampo premoderno permettono di contrapporsi con successo alla narrazione illuministico-liberale che fa il gioco del c.d.blocco occidentale, cioè degli Stati uniti e del suo reggicoda Gran Bretagna, seguiti dalla attuale compagnia cantante dove l’Italia è l’ultima ruota del triste e sgangherato carro. Importante sottolineare che di narrazioni premoderne si tratta e di narrazioni illuministico-liberali si tratta, cioè che in entrambi i casi si tratta di retoriche di mobilitazione e/o smobilitazione delle masse, con una differenza però. Le retoriche atavistiche tendono comunque a far emergere un mondo multipolare e a far prevalere le mobilitazioni popolari, la qual cosa se contiene dei pericoli di totalitarismo favorisce l’irrobustimento e la fiducia in sé dei vari popoli verso il quali sono indirizzate queste retoriche, mentre le retoriche liberal-illuministiche vanno non solo interamente nella direzione di un disegno imperialistico, ça va sans dire, ma soprattutto alla disintegrazione culturale ed anche demografica del popolo. Se proprio vogliamo tenerci per buono il termine ‘democrazia’ (vi prego non ridete per il mio uso di questa parola che più sputtanata non potrebbe essere), si può dire che il c.d. occidente va verso una democrazia senza popolo, inteso questo ‘senza’ nel senso sia dal punto di vista culturale, cioè un popolo sempre più abbruttito, ma anche un popolo sempre più in decrescita demografica. E così questo nuovo tipo di dominio totalitario è servito. Un’ultima parola per quanto riguarda l’Italia, non per niente il nostro blog si chiama “L’Italia e il Mondo”. L’Italia è il paese dove quanto detto finora riguardo la crisi dell’occidente è più evidente che in tutti gli altri paesi investiti da questa degenerazione cultural-demografica (e per essere veramente realisti riguardo il suo ruolo nello scenario del c.d. occidente, esso è direttamente condizionato dalla sua dipendenza culturale ed economica dalla sfera angloamericana; detto brutalmente: nel suo attuale stato delle cose l’Italia altro non è che un paese costretto a comportarsi come un vile soldato di ventura che arruolatosi per la paga e/o per sfuggire ai suoi debiti, deve rispondere signorsì ogni qual volta viene chiamato a combattere. Situazione plasticamente rappresentata nella sua scriteriata ma anche ineluttabile partecipazione alla guerra di Ucraina e tutto il resto sono racconti di fate).

Condivido però con Machiavelli, tramite il sempre ottimo Teodoro Klitsche de la Grange «che per rigenerare una repubblica occorre “ritornare” al principio.» E su questo sarò breve. Questo principio non è certo la costituzione del ’48 dove, dettaglio più comico non si potrebbe immaginare alla luce dell’attuale situazione, l’Italia ripudia la guerra (se mi si passa la battuta, ripudiare la guerra ha lo stesso valore etico ed operativo di ripudiare il mal di denti, ma ad una nazione che ha perso la guerra ed è ridotto allo stato di colonia degli Stati uniti questo ed altro bisogna perdonare!), ma il nostro Risorgimento e non tanto il Risorgimento oleografico (Cavour voleva l’unità d’Italia?, manco per idea, egli voleva solo allargare il regno del Piemonte fino all’Italia centrale e oleografia che fra l’altro tralascia il piccolo dettaglio che l’unità d’Italia, oltre alla Francia che palesemente aiutò l’espansionismo del Piemonte, ebbe dietro le quinte la Gran Bretagna per sostituirsi al dominio nella penisola italica dell’impero austroungarico e per far fuori il Regno delle due Sicilie che non voleva uniformarsi alla sua politica imperialista nel Mediterraneo e contro la Russia: il Regno delle due Sicilie aveva proclamato la sua neutralità nella guerra di Crimea, una neutralità de facto favorevole alla Russia, uno sgarro che la Gran Bretagna non gli poteva certo perdonare, corsi e ricorsi…, si veda in proposito “Eugenio di Rienzo, Il Regno delle due Sicilie e le Potenze Europee, Rubettino, 2012” ed anche la mia conferenza tenuta il 10 marzo 2023 alla Casa Matha di Ravenna, “Lo Stato delle Cose della Geopolitica Italiana nei Conflitti Mazzini/Garibaldi”, all’URL https://www.youtube.com/watch?v=KwA00IOPCsM , dove affermo con la massima chiarezza che la spedizione dei Mille senza l’appoggio della flotta britannica non sarebbe stata possibile e i garibaldini sarebbero finiti in pasto ai pesci) ma proprio quel Risorgimento sconfitto dalla storia perché in totale antitesi col progetto imperialistico sabaudo che non poteva accettare la nascita e la costruzione di un vero ed autentico popolo italiano come avrebbe voluto Giuseppe Mazzini (il sud, in poche parole, una volta conquistato dalla dinastia sabauda tramite la spedizione dei Mille, svolse egregiamente il ruolo di un territorio da sfruttare con tecniche di prelievo delle risorse economiche ed umane tipiche delle metropoli del Vecchio continente verso le colonie extraeuropee). E quindi, oltre ad un ritorno a Mazzini, bisogna tornare a pensare a Gramsci e al suo moderno principe centro unificatore e di irradiazione di pedagogia e politica popolar-proletaria, il cui compito, con profonde similitudini con l’azione mazziniana di educazione nazionale sotto l’insegna di Dio e Popolo, sarebbe stato quello di costruire un popolo rivoluzionario. Quindi il realismo politico di Machiavelli e poi Mazzini e poi Gramsci che seppur del Risorgimento critico senza sconti e del secondo non certo un grande estimatore ma che entrambi avevano ben capito che senza un popolo, e non una massa anomica e dispersa sul modello liberal-illuminista, nessuna azione politica realmente progressiva e di autentica libertà ed anche rivoluzionaria è possibile. Penso che da costoro sia assolutamente necessario ripartire e, per quanto ci riguarda come “L’ Italia e il Mondo”, indirizzare i nostri sforzi. 

Massimo Morigi, settembre 2023

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IL DISADATTAMENTO DELLE ÉLITES OCCIDENTALI. INTERVISTA A Flavio Piero Cuniberto

Il 23 agosto abbiamo posto ad Aurelien quattro domande[1]. Le abbiamo riproposte, identiche, ad alcuni amici, analisti, studiosi italiani e stranieri.

Nella voce “dossier” sulla barra orizzontale abbiamo creato una apposita raccolta delle interviste.

Oggi risponde Flavio Piero Cuniberto, che insegna Estetica all’Università di Perugia[2]. Lo ringraziamo sentitamente per la sua gentilezza e generosità.

 Buona lettura. Roberto Buffagni, Giuseppe Germinario

 

 

INTERVISTA A FLAVIO PIERO CUNIBERTO

 

1)  Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

 

Nel valutare la situazione «sul campo» preferisco lasciare la risposta ad analisti più professionali (analisti di cose militari, anzitutto). Da un punto di vista più generale mi richiamerei a quella che è la mia visione complessiva del conflitto: una sorta di «teorema», che i fatti concreti non hanno finora confutato, e hanno piuttosto rafforzato. E’ l’idea che, nel «teatro» ucraino, e malgrado le dichiarazioni incendiarie, la NATO non abbia finora premuto sull’acceleratore e non intenda farlo: sia allo scopo di evitare uno scontro diretto e una possibile escalation nucleare, sia perché il timone strategico – ecco il teorema – resta comunque ben fermo sull’obiettivo numero uno della crisi ucraina: spezzare una volta per tutte le linee di comunicazione (politico-diplomatiche, commerciali, energetiche) tra lo «spazio» russo e lo «spazio» europeo, e per parlare più concretamente, tra lo «spazio» russo e lo «spazio» tedesco o mitteleuropeo. Vedere nell’indebolimento delle economie europee, a cominciare da quella tedesca e da quella italiana in seconda battuta, un semplice «effetto collaterale» delle sanzioni, del sabotaggio di Nordstream ecc., è probabilmente un grosso errore di interpretazione. La poderosa macchina industriale tedesca – proiettata ostinatamente verso l’export, cioè verso un accumulo di ricchezza reale, non fondata sulla speculazione finanziaria – era da molti anni un vero incubo per la strategia globale di Washington, sempre più convinta – nell’era-Merkel – di avere nella Germania un alleato sì, ma poco affidabile e sempre pronto a spiccare il volo verso una politica di potenza «in proprio». A trasformarsi da potenza geoeconomica in una vera potenza geopolitica. La partnership con Mosca avrebbe spianato la strada in questa direzione. Bisognava dunque (per Washington e Londra) «stroncare» il canale Mosca-Berlino. L’enfasi con cui gli organi di informazione – ad ogni livello – hanno indicato nella sconfitta militare di Mosca e nella liquidazione del regime «putiniano» (o addirittura nella disintegrazione territoriale della Confederazione Russa) l’obiettivo essenziale del sostegno all’Ucraina, è servita a mantenere in sordina, lontano dai riflettori (fino a un certo punto) quello che è l’obiettivo reale – e non, come dicevo, un semplice effetto collaterale – della strategia americana: reale ma non dichiarabile, perché non si può chiamare alle armi i principali alleati dichiarando in conferenza stampa che lo scopo della mobilitazione è di tagliare gli attributi agli alleati. Va da sé che un ostinato «lavoro ai fianchi» del potenziale militare russo è comunque un esercizio utilissimo, forse anche a distogliere l’attenzione del Cremlino da altri possibili «teatri» di guerra.

Se le cose stanno così – e sono convinto che stiano così – il fatto che la situazione militare in Ucraina sia stagnante e volga al peggio per la NATO non impedisce di ritenere che l’obiettivo N,1 della strategia sia stato raggiunto. E’ difficile pensare infatti che i rapporti russo-tedeschi, a questo punto, non siano compromessi anche a medio-lungo termine. Che poi il raggiungimento di questo obiettivo – tramite una sfiancante guerra di posizione in Ucraina – abbia comportato enormi perdite umane, un autentico protratto massacro, è cosa che agli strateghi di Washington non potrebbe importare di meno. Quella che vedo, insomma, è una miscela di finte dichiarazioni (come nel volley, per distrarre l’attenzione) e di infinito cinismo. Ad maiorem gloriam dell’impero USA in difficoltà.

 

 

 

 

 

2)  Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

 

Se è valido il «teorema» di cui sopra, non credo che si possa parlare di veri e propri «errori», almeno da parte della strategia americana. Diverso è il caso dell’Europa occidentale non anglofona, il cui passivo allineamento alla strategia USA sembra, in effetti, un clamoroso errore. Ma chi sono i decisori in Europa (in Germania e in Italia, anzitutto) ?  A decidere è una classe politica che è ormai la longa manus di Washington. Parlerei di un esteso, anzi mostruoso, «collaborazionismo», dove gli infiniti fiancheggiatori europei della strategia americana mirano a un tornaconto personale o «di classe», e non «di sistema». Se anche la Germania, fino a ieri in ascesa, è un paese in declino, si tratta di un suicidio assistito che manifesta una irreversibile crisi di identità.

 

 

 

3) La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

 

È la crisi di identità a cui accennavo. Sono abbastanza informato sul caso tedesco, e qui vedo davvero gli estremi di uno psicodramma, dove l’intero paese, finalmente riunificato, sembra rinunciare a un’identità forte, anche sul piano culturale, come se avesse ormai alzato bandiera bianca di fronte agli irresistibili modelli (soprattutto culturali) d’Oltreoceano.  Non mancano, in Germania, alcune voci più lucide, sia nel comparto «sovranista» dell’AfD che nel comparto post-comunista della Linke (mi riferisco per esempio agli interventi di recenti di Oskar Lafontaine, peraltro anziano e fuori dai giochi). E tuttavia l’occupazione dei «gangli» vitali da parte degli apparati atlantisti (e qui penso anche all’occupazione delle coscienze, alla subordinazione anche inconsapevole della mentalità collettiva ai paradigmi egemonici d’Oltreatlantico) ha raggiunto un livello tale da lasciare poco spazio a un cambio di rotta. Ben difficilmente le voci di cui parlavo – e anche gli ambienti del dissenso, comprese le organizzazioni imprenditoriali, raggiungeranno la massa critica necessaria per rovesciare l’attuale ordine delle cose. Il deep state tedesco è, paurosamente infiltrato e probabilmente eterodiretto. Un eventuale rovesciamento potrebbe verificarsi, credo, solo nel caso di una implosione totale del sistema egemonico americano: in questo senso la crisi sarebbe «reversibile», ma solo per effetto di uno scenario globale drasticamente mutato, cioè per meriti esterni.

Quanto all’America, si sta giocando l’egemonia, e dunque staremo a vedere. Insomma: non parlerei di una «crisi dell’Occidente» tout court, ma distinguerei il ruolo americano da quello europeo-continentale, dove la crisi assume, a mio parere, una fisionomia più lampante.

 

 

4)  Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente ‘reazionario’, può attecchire in una moderna società industriale?

 

Di questo ritorno alle radici tradizionali, in Russia e in Cina, si parla da tempo, ma credo che sia molto difficile valutarne l’effettiva entità. René Guénon sosteneva che l’Estremo Oriente si sarebbe modernizzato solo allo scopo di battere l’Occidente sul suo terreno: ossia nella forma e non nella sostanza, che sarebbe rimasta tradizionale. Per quanto suggestivo, il parere di Guènon non è però infallibile. La spaventosa determinazione con cui la Cina, in particolare, mira al primato tecnologico –  a cominciare dal settore dell’AI, e «sfornando» anno dopo anno milioni di nuovi ingegneri – non sembra compensata da un adeguato «recupero» tradizionale, se non forse come fenomeno «di nicchia», o coltivato negli ambienti molto chiusi delle società segrete (di cui mi sembrerebbe ingenuo postulare la scomparsa). Potrebbe essere un movimento decisivo anche se elitario, o proprio perché elitario: ci si augura che sia così, che una superiore millenarias saggezza governi, anche nascostamente, la transizione dall’arroganza unipolare a un sistema multipolare. Ma non me la sento di trasformare l’auspicio in una previsione.

Quanto alla Russia, le cose non stanno molto diversamente. Il ritorno alla Russia cristiana dopo l’89 non ha coinvolto le masse. Lo stesso Dugin, alfiere del neo-tradizionalismo russo, ha su questo punto una posizione molto ambigua, favorevole a una specie di «Internazionale delle tradizioni» in cui l’elemento cristiano-ortodosso è posto sullo stesso piano delle tradizioni non-cristiane (e per quanto possa sembrare paradossale, l’idea stessa di una «internazionale neotradizionale» è, in fondo, un’idea massonica, cioè squisitamente occidentale). E d’altronde non è affatto chiaro quale sia il peso reale di Dugin «alla corte dello Zar».

 

 

[1] https://italiaeilmondo.com/2023/08/23/il-disadattamento-delle-elites-occidentali-intervista-ad-aurelien-_-a-cura-di-roberto-buffagni/

[2] Flavio Cuniberto (1956) insegna Estetica all’Università di Perugia. Ha studiato a Torino, Monaco, Berlino e Freiburg i.B. I suoi interessi spaziano dalla filosofia e dalla letteratura tedesca moderna e contemporanea (Friedrich & Schlegel e l’assoluto letterario, Rosenberg Sellier 1990; La foresta incantata. Patologia della Germania moderna, Quodlibet 2010; Germanie. Taccuini di Viaggio, Morlacchi 2011) alla tradizione platonica e neoplatonica nei suoi intrecci con l’ebraismo e l’islam (Jakob Boehme, Brescia 2000; Il Cedro e la Palma. Note di metafisica, Medusa 2008), alla questione della modernità e del suo rapporto col paradigma premoderno (Il Vortice Estetico. Elementi di Estetica generale, Morlacchi 2015). È tra i promotori del progetto Laby, Laboratorio per la Biologia delle immagini. Con Neri Pozza ha pubblicato Madonna povertà (2016), Paesaggi del Regno (2017).

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IL DISADATTAMENTO DELLE ÉLITES OCCIDENTALI. INTERVISTA A TEODORO KLITSCHE de la GRANGE

IL DISADATTAMENTO DELLE ÉLITES OCCIDENTALI. INTERVISTA A TEODORO KLITSCHE de la GRANGE

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Qui il collegamento con la raccolta di tutti gli articoli sino ad ora pubblicati_Giuseppe Germinario, Roberto Buffagni

DOMANDE

1) Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

2) Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

3) La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

4) Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

RISPOSTE

Premesso che, come i lettori di “Italia e il mondo” sanno, la “nebbia della guerra” nel conflitto russo-ucraino è particolarmente fitta – anche se rozza – e pertanto ha, quanto meno, l’effetto di disorientare i giudizi; tenuto conto di tale – fondamentale limite – provo a rispondere:

Al primo quesito: sembra che sia stato di sottovalutare il nemico. Ma non è certo, dato che lo “scopo” politico potrebbe anche (per gli USA) essere di impelagare la Russia in una guerra lunga. Obiettivo, per ora, conseguito.

Quanto al secondo quesito (e in parte al primo), l’errore più evidente (dell’epoca contemporanea) è valutare fatti politici, come per eccellenza è la guerra, con “categorie” e criteri economici. Se è vero che contiene (una parte) di vero il detto “c’est l’argent qui fait la guerre” è vero (per l’altra, prevalente, parte) che se fossero PIL, cambi, spread, ecc. ecc,. e così la sproporzione economica a determinare la vittoria in guerra, non si capirebbe l’esito –  opposto – di tanti conflitti. Già oltre quarant’anni fa Luttwak ironizzava sui rapporti redatti dal pentagono sulla guerra in Vietnam, dove l’impegno militare era commisurato dal numero di proiettili e missili sparati, dal peso delle bombe, ecc. ecc.: con criteri e parametri assai simili a quelli di manager che misurano la produttività in base alla quantità di “pezzi” che escono dalla fabbrica. E dalle vendite dei medesimi.

Circostanze importanti, ma non decisive in politica e in campo militare. Qui essenziale è fiaccare la volontà di combattere del nemico, seguendo la prima definizione della guerra nel “Von Kriege”. Il che spiega come popoli del Terzo mondo, poverissimi, abbiano sconfitto gli eserciti delle grandi potenze, colmi di ogni ben di Dio. Napoleone, che di queste cose s’intendeva, sosteneva che il morale sta al materiale come 3 sta ad 1. Sarebbe bene che se ne ricordassero.

E ovviamente questo non è il solo ambito – ma è il principale – che distorce i giudizi delle élites.

Ma è sicuro che tale errore coinvolge sia le élite che la cultura in cui sono vissute e prosperate (loro): che è quello della “fine della Storia” durato poco più di un decennio, ma che dopo ha continuato a far danni. Secondo la quale i quattro cavalieri dell’Apocalisse erano andati in pensione. Ma negli ultimi anni almeno due: peste e guerra hanno ripreso servizio, anche in Europa, infrangendo i sogni delle anime belle (quanto ingenue o ipocrite).

Il terzo quesito: la crisi è una conseguenza della fuga dalla realtà; della credenza di poter cambiare il reale in conformità ai propri sogni e favole mentre, come scriveva Machiavelli, così si trova “più presto la ruina” propria.

Sul quarto: non mi intendo di Russia e Cina da poter azzardare giudizi. Posso all’uopo ricordare anche qui quello di Machiavelli: che per rigenerare una repubblica occorre “ritornare” al principio

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Il disadattamento delle élites occidentali. Intervista a Pierluigi Fagan

Abbiamo posto giorni fa ad Aurelien quattro domande alle quali l’analista ci ha rapidamente e compiutamente risposto. Abbiamo pubblicato il 23 agosto qui la sua replica.

Su suggerimento di alcuni lettori abbiamo esteso ad altri autori ed analisti l’invito a rispondere alle medesime. Proseguiamo con la pubblicazione del punto di vista di Pierluigi Fagan. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 PIERLUIGI FAGAN

1) Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

  • Nella categoria “occidentali” distinguerei americani (anglosfera a traino) ed europei. Non credo di possa dire che questi secondi hanno deciso alcunché, forse si è persa memoria dei primi giorni di conflitto. Gli europei non davano proprio l’idea sapessero cosa stava succedendo e cosa sarebbero stati costretti a fare pur poi rivendicandola come propria volontà. La natura stessa delle decisioni che hanno fatto finta esser frutto della loro volontà, dice di quanto in effetti non lo fosse affatto vedi vari suicidi energetici. Quanto agli americani, il decisore ha tenuto conto certo di aspetti militari, tanto quanto politici ed economici; tuttavia, l’ordinatore dell’impianto di decisione è stato geopolitico, ovvero strategico. Sul fatto che si sia rivelato fallace ho però un diverso giudizio da quello contenuto implicitamente nella domanda. Gli americani avevano almeno quattro obiettivi come ho scritto dai primi giorni del conflitto: 1) coinvolgere la Russia in una lunga e defatigante guerra sul modello appreso con la Guerra fredda vs URSS. Il motivo ed obiettivo era vario, si poteva sperare (da parte loro) una implosione nel medio-lungo termine o quantomeno depotenziare l’unico vero competitor militare che hanno per via dell’ultima arma, l’arsenale nucleare. Si pensi all’intervento russo verso la fine del conflitto siriano. Ciò in vista di futuri, possibili, conflitti tra cui quello diretto e decisivo nelle regioni artiche dove, tra l’altro, i russi hanno un vantaggio forte, ad oggi. È più probabile che il vero obiettivo di questo primo punto fosse il secondo aspetto qui declinato ovvero sgonfiare un po’ o un po’ tanto il principale competitor militare impegnandolo un una lunga e costosa guerra, in quanto il primo confligge con la semplice numerica delle possibili truppe russe ed ucraine impiegabili nel medio-lungo periodo; 2) lo metto per secondo punto ma secondo me, in termini strategici era il primo ovvero la veloce annessione egemonica dell’intera UE. È il più importante perché se l’ottica è stata geopolitica, il gioco geopolitico dei prossimi trenta anni è Occidente (o G7 allargato) vs Resto del mondo. Se ti devi preparare a quel gioco, è congruo sia creare massa al tuo comando, sia evitare che gli europei vagheggiassero un ruolo speculativo nel nuovo assetto multipolare come già stavano facendo. Questo obiettivo è stato pienamente raggiunto, in poco tempo, senza se e senza ma, contro ogni evidente interesse obiettivo di Germania, Francia, Italia. Inoltre, hanno ben mosso le pedine euro-orientali e scandinave accerchiando ogni velleità euro-occidentale, il che peserà anche nei destini futuri della stessa UE e dell’euro. Questo punto è quello che mi fa dubitare più di ogni altro sul giudizio di fallimento che date nella domanda; 3) il terzo punto era iniziare, vertendo sullo sdegno per l’invasione russa, il gioco di ripartire il mondo tra stati per bene e stati canaglia o come dicono loro tra “democrazie” ed “autocrazie”. Questa ultima è una partizione debole sul piano strategico, lì dove certi consiglieri hanno esagerato nel credere il mondo dei valori e delle idee così importante fuori della propaganda occidentale e pure con ampie contraddizioni come sappiamo relativamente a vari rapporti scabrosi che gli stessi americani hanno in giro per il mondo. Ha avuto o potrebbe avere una funzione ideologica per il pubblico interno occidentale, proprio per i prossimi conflitti, tra cui quello con la Cina che sappiamo essere il principale e decisivo. Tuttavia, sembra anche ci abbiano davvero creduto visto che il concetto era già stato lanciato in campagna elettorale da Biden ed hanno comunque portato al voto l’ONU su due risoluzioni cercando di imporre inutilmente il format “o con noi o contro di noi”, una ri-bipolarizzazione per giocare al gioco che conoscono meglio; 4) infine, molti ragionano di geopolitica dimenticandosi che è strutturalmente collegata alla politica interna. Gli Stati Uniti sono stati in una qualche guerra per quasi tutta la loro storia, oltreché per eredità antropologica barbarica (T. Veblen), perché il loro ordinamento ha fisiologico bisogno di farla. Il sistema militar-industrial/commerciale-tecnologico-congressuale, sa che la guerra è la fonte principale sia di sfide tecniche le cui soluzioni hanno poi vaste ricadute, sia di fondi. Fondi che l’americano medio è renitente a concedere. Biden promise alle elezioni il ritiro dall’Afghanistan (per altro promesso anche da Trump a cui poi hanno spiegato come vanno le cose nel mondo reale) anche perché l’americano medio, ignaro di questa vocazione necessaria ad una qualche guerra, non vede di buon’occhio tali impegni. Impegni, nonostante la grande spesa storica, che crescono nel tempo come l’apparente ritardo nelle armi ipersoniche e gli aggiornamenti del complesso atomico. La violazione del principio sacro alla sovranità da parte di Putin, è stato uno splendido motivo (coltivato) per ridare all’America il suo conflitto ed esuberare nel finanziamento all’industria che poi sviluppa il ciclo. Sapendo che il punto regge e non regge nella mentalità media americana, Biden darà l’impressione di volerlo sospendere, tempo di fare le elezioni. Quindi il 2) e 4) sono stati perseguiti, il 3) è agli inizi e vedremo come continueranno a giocarselo anche se ormai il tema si è trasferito in Oriente, sul 1) vedremo come finisce, quando e se finirà.

2) Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

 

  • Non vedo quindi errori strategici, forse qualcuno d’inciampo tattico, dal punto di vista americano. Il terzo punto prima espresso, in particolare, mostra una decisa mancanza di realismo in termini di conoscenza del mondo e sue profonde dinamiche. Errori del genere, solitamente, provengono dall’area ideologica che veste il conflitto di valori e temi morali, cose che notoriamente non hanno nulla a che fare con la geopolitica e la strategia. Ma è tipico della scuola liberale di “relazioni internazionali” che in US è più rilevante del realismo in genere e dell’approccio geopolitico. Vedremo come e se finirà o continuerà, un trattato di pace lo vedo impossibile, la guerra congelata sarà collegata alle elezioni americane. Se vincerà Biden, poi riprenderà. Se fosse davvero fino all’ultimo ucraino, potrebbe durare qualche anno sempre che i russi accettino questo tipo di gioco. Mi permetto di aggiungere un altro aspetto. Gli americani non hanno poi così tante strategie possibili, la loro contrazione è fisiologica ed irrimediabile, la loro capacità di adattarsi positivamente a questo destino, che ben gestito sarebbe poi tutt’altro che funesto dato che hanno parecchi fondamentali positivi, sembra molto scarsa. Non se ne vede traccia in nessun aspetto della cultura americana, anche quella “alta”. Dovrebbero al contempo cambiare modo di vivere e di pensare nei grandi numeri e data l’indisponibilità delle loro élite tanto repubblicane che democratiche, non mi pare possibile. È ormai un sistema che s’è solidificato negli ultimi settanta anni, molto complesso cambiarlo stante che nessuno ne mostra la volontà, neanche teorica. Quanto agli europei, non mi sembrano in grado neanche di porsi davanti l’argomento, élite ed opinioni pubbliche con gli intellettuali in mezzo. La crescente anzianità media congiura a retrocedere il tema futuro ad argomento con poco pathos.

3) La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

  • Be’ il tema è un po’ troppo vasto per una risposta ad una domanda in questo formato. La crisi è ontologica, teoricamente affrontabile ma in pratica pare di no. I perché li rimandiamo perché dovremmo dettagliare “crisi” di cosa, da quando, in quale prospettiva ed anche per chi, gli Stati Uniti sono una cosa, lo stato-nazionale di taglia europea un’altra. L’Ue poi, non ne parliamo proprio. Propriamente è un argomento di categoria “storica” quindi assai complesso, irriducibile a poche battute.

4) Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

  • Mah, Russia e Cina amalgamano modernità e tradizione, siamo noi ad aver schematicamente assunto modelli semplificati basati solo sulla storia europea dando di modernità un certo concetto e di tradizione anche. Segnalo però che la Cina non ha mai, di fatto, abbandonato il confucianesimo, ci sono passi del libretto rosso di Mao che sono copia-incolla da Confucio propriamente detto (che attenzione, non è -sic et simpliciter- il “confucianesimo”), semmai ne ha sottomesso provvisoriamente parte del complesso ideologico al maoismo. È stato quindi molto semplice togliere alcuni eccessi di Mao per far risplendere l’antico impianto, direi che non credo sia proprio possibile avere una immagine di mondo in Cina che non risenta profondamente del confucianesimo. La cultura cinese è intrisa di vari tipi confuciani tanto quanto la nostra di platonici, magari a loro insaputa. Il problema è conoscere il confucianesimo che al suo interno è tanto plurale quanto lo è la tradizione di pensiero europea (o quasi). La categoria “reazionario” è europea ed applicare etichette europee a culture non europee non è sempre possibile. Per la Russia il discorso è differente ma poi neanche così tanto, tuttavia trattare problemi “storico-culturali” di questo tipo e di altri mondi, qui, non è possibile. La revisione delle posture e delle ideologie europee per adattarsi ai nuovi tempi comporta ben altre complessità che non essere un po’ meno “moderni” ed un po’ più “tradizionali”.

La perdita della funzione esecutiva in Occidente, di Yves Smith

La perdita della funzione esecutiva in Occidente

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È una forzatura usare dati aneddotici per costruire una teoria… tranne quando le prove sono schiaccianti, come in questo caso, della diffusa erosione delle capacità esecutive. Non è controverso sottolineare che il calibro di ciò che passa per leadership in Occidente è ormai scadente, e c’è una carenza di promettenti nuovi arrivati ​​per sfidare la vecchia guardia. Quando Jamie Dimon è bravo come si arriva, sai che è brutto.

Il funzionamento di molte importanti istituzioni pubbliche e private è notevolmente peggiorato negli ultimi decenni. Probabilmente, la maggior parte di questi pesci è marcita dalla testa. E se è così, perché la funzione esecutiva, che in termini molto semplici sta valutando le situazioni, decidendo se e come agire, e portandole a termine, è decaduta così rapidamente che le scarse prestazioni di alto livello sono ampiamente visibili?

Questo è un fenomeno così vasto che spero che i lettori intervengano con esempi tratti dalle loro vite lavorative e personali. Per aiutare a stimolare la discussione, esporrò anche alcune possibili cause. Ma una patologia multisintomo che ha infestato organizzazioni già complesse può senza dubbio essere attribuita a molti driver. 1 E i driver possono differire a causa di condizioni preesistenti (strutture e norme sociali, focus istituzionale).

Alcuni dei tanti tanti esempi:

L’incapacità di chiunque nel governo federale con potere di presentarsi sulla scena dell’attentato al treno nella Palestina orientale . I funzionari federali dovrebbero apparire preoccupati, vedere in prima persona quali sono i bisogni più urgenti, promettere di aiutare e farlo.

Questo si distingue perché ci è voluto pochissimo sforzo per fingere che gli importasse, ma il Team Biden non poteva essere disturbato. È un lampante esempio di abbandono da parte del governo e dell’élite del marciume nel corpo pubblico: abuso di oppioidi, violenza armata (i suicidi sono ancora in cima agli omicidi), calo dell’aspettativa di vita. Quelli al vertice continuano come se questi problemi non fossero un loro problema, quando sono esposti a ripetuti danni causati dal Covid quanto gli ordini inferiori. 3

Il notevole declino del servizio civile britannico. I lettori ci dicono che è quasi del tutto svuotato, con (almeno fino a qualche anno fa) qualche vecchissimo scoreggia come Custodi della Conoscenza, e giovani non di grande caratura e non performanti a livelli storici. Questo decadimento è diventato evidente durante la Brexit, quando il Regno Unito ha spesso prodotto dichiarazioni di posizione sconclusionate e grandiose, in netto contrasto con le controparti europee scarne e accuratamente redatte. 2

Infrastrutture in decomposizione . La Volcker Alliance ha stimato che l’importo totale della manutenzione differita negli Stati Uniti fosse di oltre 1 trilione di dollari nel 2019 . Costruire strade e riparare ponti mette denaro nelle tasche locali e, grossolanamente, può comprare voti alle società nella catena di riparazione. È anche un vantaggio per gli affari, poiché strade più grandi e migliori significano un movimento più efficiente di merci e lavoratori. Nient’altro che il neoliberista hard core Larry Summers ha pompato proprio per questo tipo di spesa, dicendo che si ripagava da sola, che ogni dollaro di recupero delle infrastrutture poteva generare fino a 3 dollari di crescita aggiuntiva del PIL.

Promozione e allevamento di cattivi modelli di business . Solo di recente la stampa economica ha scoperto che la superstar aziendale Jack Welch era l’unico responsabile della distruzione di una società americana un tempo grande, la General Electric. 4 GE ha utilizzato il suo ramo finanziario per gestire i profitti a un livello che sapeva di frode. Gli analisti avrebbero dovuto sospettare, e non lo erano, della capacità simile a Madoff di GE di soddisfare i suoi numeri.

Intendiamoci, non è che Welch sia stato lodato. I media hanno una brutta tendenza a esagerare e poi attaccare. È che Welch è diventato l’archetipo di un nuovo cattivo prodotto americano, l’amministratore delegato come celebrità, e le sue nuove pratiche sono state adottate con tanto controllo quanto le diete di Hollywood, come licenziare il 10% del personale ogni anno.

E non era solo Welch, ma era un caso estremamente resistente. Considera gli S&L go-go. Enron. AI.G. Super. E per aggiungere la beffa al danno, molte società con performance solide come Toys’R’Us sono state stroncate dall’eccessivo indebitamento del private equity e dal sottoinvestimento.

Autocensura tra gli influentiUn contatto conservatore sostiene che gli Stati Uniti e l’Europa hanno leader inimmaginabilmente scadenti perché è quello che vogliono i ricchi e i potenti. Ma per quanto riguarda la Brexit? La comunità imprenditoriale non è riuscita a difendere i propri interessi, in particolare per quanto riguarda la necessità di una preparazione molto maggiore per un confine fisico. Mi è stato ripetutamente detto che erano stati costretti a tacere sulle imminenti interruzioni e sui costi per paura di rappresaglie del governo. Quindi chi è il responsabile, esattamente? Allo stesso modo, durante l’incessante gassma delle sanzioni dell’UE, i produttori tedeschi erano a bocca aperta su quanto l’energia più costosa avrebbe portato a tagli permanenti della produzione e persino alla chiusura degli impianti. Sicuramente ci sarebbe stato un modo accettabile per affrontare l’argomento, come il costo per le comunità che perderebbero il lavoro e come tale onere potrebbe essere condiviso.

Programmi inadeguati per il cambiamento climatico . Sì, è comprensibile, anche se disastroso, che l’azione per combattere il cambiamento climatico sia stata tristemente inadeguata. Troppe persone dovranno rinunciare alle comode abitudini e molte ciotole di riso saranno rotte. Ma la prova del funzionamento esecutivo danneggiato è la mancanza di piani arcobaleni e unicorni a piena noia, non a energia verde.

Il mondo sa che il cambiamento climatico si sta abbattendo su di noi almeno dai rapporti IPCC del 2007. Allora dov’è il mostruoso documento accademico/ONG che delinea una visione sistematica di come deve cambiare l’approvvigionamento per la società, in tutto il mondo? Potrebbero essere necessari a un team molto grande, diciamo 30 mesi, per produrre un rapporto con due scenari ben sviluppati. Sottolineare che l’esercito è una parte importante del problema sarebbe un motivo da solo per ingigantire questo tipo di documento. Un approccio sistematico, anche se i critici potessero bucarlo, eleverebbe il livello del pensiero e fisserebbe un livello più alto per altri piani.

Questi problemi sono così vasti e profondi che è molto improbabile che si prestino a spiegazioni riduzioniste. Ma lasciatemi suggerire alcuni possibili colpevoli:

L’erosione delle comunità locali e con esse la responsabilità. Quando ero bambino, negli Stati Uniti c’erano molte aziende con sede in città di medie dimensioni come Dayton, Ohio. Ciò, oltre al fatto che le città più piccole allora avevano regolarmente un giornale mattutino e serale, significava che c’era un gruppo di notabili locali che si preoccupavano della loro immagine e statura ed erano (rispetto a adesso) soggetti a essere imbarazzati nella loro città se colti in fallo. condotta di servizio. Al contrario, era anche relativamente economico guadagnare capitale culturale, ad esempio donando a un’importante organizzazione di beneficenza locale o sponsorizzando programmi di studio-lavoro presso l’università locale.

Certo, dati i costi di approvazione regolamentare, i farmaci non sono prodotti locali. Ma pensi che i Sackler avrebbero potuto farla franca creando quasi da soli la crisi degli oppioidi se fossero stati in prossimità delle comunità che stavano distruggendo? Erano usciti direttamente dalla sceneggiatura del Terzo Uomo:

Il relativo problema della complessità . Mentre le industrie americane ed europee si sono prima consolidate, spostando l’azione aziendale verso un numero minore e più grande di città e poi l’outsourcing e l’offshoring hanno preso piede, i dirigenti stanno gestendo operazioni molto più tentacolari, complesse ed esposte al rischio.

Gli esseri umani hanno una cattiva tendenza a voler fare affidamento su semplici regole decisionali e sul falso conforto delle metriche (vedi qui per una discussione di lunga durata… nel 2006!). Da un post di quest’anno :

Poiché le aziende e gli ambienti competitivi sono diventati più difficili da affrontare, molti capi aziendali sono ricaduti su semplici linee guida come “Massimizza il valore per gli azionisti”. Ma il principio di obliquità rileva che in sistemi altamente complessi non possiamo avere una comprensione sufficiente del loro comportamento per tracciare un semplice corso. Una breve introduzione di questa idea, dall’ex editorialista del Financial Times John Kay, che ha sottolineato che quando le aziende cercano di “massimizzare il valore per gli azionisti”, non ci riescono :

Gli approcci obliqui sono più efficaci su terreni difficili o dove i risultati dipendono dalle interazioni con altre persone. L’obliquità è l’idea che gli obiettivi spesso si raggiungono meglio se perseguiti indirettamente.

L’obliquità è caratteristica dei sistemi che sono complessi, imperfettamente compresi e cambiano la loro natura mentre ci impegniamo con loro…

L’obliquità dà origine al paradosso della ricerca del profitto: le aziende più redditizie non sono le più orientate al profitto. ICI e Boeing illustrano come una maggiore attenzione ai rendimenti per gli azionisti sia stata controproducente nei suoi termini ristretti. I confronti delle stesse aziende nel tempo si rispecchiano nei contrasti tra diverse aziende degli stessi settori. Nel loro libro del 2002, Built to Last: Successful Habits of Visionary Companies, Jim Collins e Jerry Porras hanno confrontato aziende eccezionali con aziende adeguate ma meno straordinarie con operazioni simili… in ogni caso: l’azienda che ha posto maggiore enfasi sul profitto nella sua dichiarazione di obiettivi era il meno redditizio nei suoi bilanci.

Ritorno al tribalismo e al clientelismo . Nelle società complesse, i partecipanti affrontano obblighi concorrenti e spesso contrastanti. Amo la saggezza del grande teorico sociale Jamie Lannister:

Tanti giuramenti… ti fanno giurare e giurare. Difendi il re. Obbedisci al re. Mantieni i suoi segreti. Fai i suoi ordini. La tua vita per la sua. Ma obbedisci a tuo padre. Ama tua sorella. Proteggi gli innocenti. Difendi i deboli. Rispetta gli dei. Rispetta le leggi. È troppo. Non importa quello che fai, stai abbandonando un voto o l’altro.

Quindi cosa succede quando quasi nessuno, anche in cima alla catena alimentare, aveva un trespolo sicuro? Pensa al destino di un dirigente che il CEO vede come una minaccia perché il suddetto dirigente sta mettendo in discussione alcuni tagli normativi? Gli alti ufficiali che vengono improvvisamente espulsi in genere hanno difficoltà ad atterrare bene. Addio non solo vacanze sulla neve e casa estiva, ma potenzialmente la cooperativa dell’Upper East Side e le lezioni alla Dalton.

Questa maggiore necessità percepita di concentrarsi sull’autoconservazione della carriera combacia con la tendenza negli Stati Uniti per l’istruzione superiore a diventare un esercizio di credenziali, non di apprendimento. 5 Il motivo per cui le ragazze ottengono risultati migliori in matematica in Iran e in altre parti del Medio Oriente rispetto ai ragazzi è, per la maggior parte, il livello di istruzione che non aiuta con le prospettive di carriera. Dipendono quasi interamente dalla connessione familiare/tribale. Per le ragazze, tuttavia, andare bene a scuola dà loro un vantaggio in un mercato del lavoro generalmente ostile alle donne.

Poiché il ruolo dell'”educazione d’élite come preservazione della classe” è diventato ovvio, 6 i suoi effetti corrosivi vengono persi. Significa che le prestazioni al college non contano poi così tanto. Ciò è coerente con l’abbattimento segnalato anche di programmi universitari apparentemente di alto livello.

Se gli studenti imparano a pattinare al college, non è difficile pensare che porteranno queste abitudini nella vita. Da qui l’eccessivo affidamento sulla disinvoltura e l’elusione delle controversie.

Mi fermo qui. Potrei facilmente scrivere un post quattro volte più lungo e graffiare a malapena la superficie. Quindi forse è meglio lasciare questo pezzo come un espediente di forzatura e cercare input e commenti dal nostro commentatore saggio.

_____

1 Sebbene molti siti Web medici contengano sezioni sulla compromissione delle funzioni esecutive, Medical News Today sottolinea :

Le abilità della funzione esecutiva aiutano le persone a completare le attività e interagire con gli altri. Includono una serie di abilità, come:

  • pianificazione e organizzazione
  • concentrare e gestire la concentrazione mentale
  • analizzare ed elaborare le informazioni
  • gestione delle emozioni e del comportamento
  • ricordare i dettagli
  • gestire il tempo
  • multitasking
  • risolvere problemi

Un disturbo della funzione esecutiva compromette alcune di queste abilità, che possono influire sulla capacità di una persona di gestire e organizzarsi per raggiungere gli obiettivi.

Tuttavia, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, 5a edizione ( DSM-5 ) non riconosce il disturbo della funzione esecutiva come una specifica condizione di salute mentale. Invece, i problemi della funzione esecutiva sono sintomatici di altri disturbi neurologici, di salute mentale e comportamentali.

2 Alcuni potrebbero denigrare l’importanza di preparare solidi documenti di posizione: “Oh, l’UE è un disastro. Che importa se possono produrre bei documenti? Questo punto di vista rivela un grave malinteso su come funzionano le organizzazioni grandi e, in particolare, altamente politiche. Il processo di stesura delle dichiarazioni è un mezzo per (si spera) raggiungere un consenso. Una stesura migliore e più attenta generalmente significa che i partecipanti hanno riflettuto a lungo su ogni parola. Inoltre, essere in grado di produrre risultati di livello professionale è uno standard minimo per poter fornire il lavoro del personale completato. Ciò non significa che l’UE possa svolgere bene compiti di ordine superiore, ma almeno conserva alcune competenze di base che il Foreign Office del Regno Unito, in passato una delle sue operazioni più prestigiose, ha perso.

3 Le élite che pensano che Covid li lascerà andare facilmente è un’altra forma di autoillusione (prima di discutere, ricordi tutte le foto di presunti aiutanti sporchi che indossano maschere alle feste, servono ospiti senza maschera?) Forse perché la magrezza è un indicatore di status, credono che non essere grassi o diabetici significhi che Covid sarà gentile con loro. Ma i sopravvissuti al cancro sono ad alto rischio. E IM Doc e altri hanno osservato che il super fit è stato spesso duramente colpito da Covid. Il fanatismo del fitness ha un forte seguito tra i benestanti.

4 Un’amica ha iniziato la sua carriera lavorativa in una posizione di impiegato presso GE e si è fatta strada nella gestione delle operazioni. Ha imparato così tanto che in seguito è stata in grado di voltarsi e gestire un produttore di nicchia di successo che ora ha clienti come Mercedes e NASA. Molto prima che l’aureola di Welch fosse rimossa, stava raccontando capitolo, libro e versi di come Welch aveva ereditato un’azienda superbamente funzionante da Reg Jones e aveva rapidamente iniziato a farla crollare.

5 Per favore, non provare a dire che le educazioni della Ivy League sono inutili. Ho imparato molto ad Harvard, incluso l’equivalente della coordinazione occhio-mano nella scrittura (come fare in modo che una frase dica quello che intendevo dire, e non più o meno), sintetizzando grandi quantità di informazioni e scrivendo lunghi documenti (come nell’essere in grado di strutturare un argomento complesso con prove a sostegno).

6 Quando ero bambino, le ammissioni ereditarie non erano poi così importanti per Harvard o Yale. Ogni scuola avrebbe potuto accettare il quadruplo dei candidati da artisti del calibro di Andover, Exeter, Groton e St. Paul’s rispetto a quelli che hanno fatto, e molti dei respinti provenivano da famiglie ereditarie. Allo stesso modo, solo uno studente che ho incontrato da una vecchia famiglia non è riuscito nell’area dei risultati intellettuali / accademici. Gli altri, a parte qualche volta ostentare i loro modi particolarmente simpatici e ammettere di essere esperti sciatori e/o velisti, per il resto erano praticamente alla pari con gli altri studenti.

https://www.nakedcapitalism.com/2023/06/the-loss-of-executive-function-in-the-west.html

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UNA CIVILTA’ IN CRISI (2/2)_di Pierluigi Fagan

UNA CIVILTA’ IN CRISI (2/2). Le società animali e quelle umane più di altre, andrebbero intese come veicoli adattivi. Gli individui creano e si adattano alla società che aiuta ad adattarsi al mondo. Una civiltà è un meta-sistema, meno definito di quanto sia una società propriamente detta ma col vantaggio della massa. L’unità metodologica qui è la società, la società si adatta e partecipa della civiltà la quale aiuta ad adattarsi al mondo.
Lo stato di crisi precedentemente illustrato (precedente post, link sottostante) percorre tutti i livelli che vanno dalla civiltà alle società componenti, singole nazioni o gruppi di esse più omogenei, da queste alla loro composizione interna per strati, ceti, classi, funzioni, fino ai singoli individui. In una crisi adattiva, ognuno di questi soggetti, singoli o collettivi, si trova nella difficile situazione di esser, al contempo, “contro e con” qualcun altro.
Si può guadare con simpatia l’odierna emersione di nuove potenze interne altre sfere di civiltà, se non altro perché questo può muovere la struttura della nostra civiltà, aprire a possibili cambiamenti. Ma tali cambiamenti dovrebbero vederci pronti a farci carico della ridefinizione della nostra civiltà, non certo aspirare ingenuamente ad esser cambiati da altre civiltà. Ogni civiltà è aliena all’altra. Le civiltà possono e dovrebbero dialogare e scambiarsi idee, tratti e caratteri, ma rimangono soggetti con fini, scopi e modi integralmente diversi e di fondo, reciprocamente competitivi.
Così, la crisi della nostra civiltà ci riguarda integralmente tutti sebbene ognuno di noi abbia porzioni di distinguo e dissenso con la sua forma attuale. Ci riguarda come società che dovrebbe perseguire il proprio interesse nazionale ma “contro e con” altre società similari, il che vale anche per la dialettica tra ceti, classi e funzioni interne alla singola società, fino al livello individuale e nelle aspettative tra interessi teorici e pratici, financo dentro noi stessi.
Lo stato di crisi ontologica della civiltà occidentale e di ogni sua componente interna è certo la crisi dei suoi modi, strutture e dei suoi usuali processi di organizzazione, ma è anche la crisi del proprio mentale. Per gli umani, il mentale, è stata la principale e per altro molto potente arma adattativa. L’umano mostra una peculiarità cerebro-mentale che frappone tra intenzione ed azione uno spazio, in quello spazio c’è la simulazione degli effetti di ogni possibile azione, il pensiero. Il pensiero è una azione off line, una ipotesi di azione non ancora agita in attesa di diventare atto, soggetta a strategia, simulazione e valutazione. Tramite questa novità biologico-funzionale, abbiamo perso ogni tratto adattivo animale non più necessario (pelo, artigli, canini e potenti mascelle, agilità e muscoli etc), diventando al contempo uno degli animali più morfologicamente fragili a livello individuale quanto operativamente il più potente a livello collettivo o comunque sicuramente il più adattivo.
A questa dotazione mentale generale diamo il nome di “immagine di mondo”, ne sono dotate le civiltà, le società a gruppi o singolarmente prese, gli strati (ceti, classi e funzioni interne), gli individui. Oltre che nella scomoda situazione dell’esser al contempo “contro e con”, noi oggi ci troviamo con un mentale disallineato ai tempi. Il nostro mentale distilla i cinque secoli del moderno, anche se alcune strutture di pensiero che hanno funzione profonda, architettonica e fondazionale, risalgono a secoli e millenni addietro (greco-romani, cristianesimo). A seconda di quanta epocalità vogliamo riconoscere al passaggio storico nel quale siamo capitati, verificheremo anche la più o meno profonda inadeguatezza di ampie parti del nostro mentale. Siamo in una epoca nuova con una mentalità vecchia.
Quello che preoccupa più di ogni altra cosa di questa fase storica è proprio la mancanza di coraggio mentale. In Occidente, i complessi ideologici vanno irrigidendosi in tristi scolastiche, non si nota alcuna primavera del pensiero, in nessun campo che non sia attuativo-strumentale (tecnica). L’assenza di creatività del nostro pensiero è pari all’impressione di inoltrata anzianità delle nostre società alla fine di più di un ciclo storico.
La mentalità occidentale ha due problemi principali. Il primo è di forma. Una civiltà e viepiù la sua crisi adattiva, è un problema eminentemente complesso ovvero dotato di molte parti, molte interrelazioni tra queste parti, processi non lineari ovvero non-meccanici, un sistema posto in un contesto turbolento. Che si usino discipline scientifiche o storico-sociali o pensiero riflessivo, nel moderno abbiamo sviluppato singoli tagli, singoli sguardi, singole metodologie disciplinari. Ancorché proficuo spezzettare oggetti o fenomeni per ridurne la dimensione alle nostre limitate facoltà mentali, tutto ciò non torna mai alla visione completa, non arriva mai al “com-prendere”, al prendere assieme. L’intero in rapporto al suo contesto ci sfugge sistematicamente e con esso la facoltà di poterlo maneggiare.
Il secondo problema è dato dal fatto che ognuna di queste discipline è ingombra di teorie, per lo più locali, ma non solo. Il paesaggio teorico è una intricata foresta di legami e rimandi tessuti nel tempo storico proprio, periodi storici in cui la nostra civiltà si trovava in un punto ben diverso della sua curva adattiva ed altrettanto il contesto-mondo. In molte discipline cruciali per la comprensione allargata vige un paradigma meccanico-atemporale che governa l’indagine ed il pensiero su cose che però sono storico-biologiche. Sono quattro secoli che la nostra foga di fare ha portato a tipo ideale macchine idrauliche, fontane, orologi, il modello sistemico del primo moderno. Poi è stata la volta della macchina a vapore, oggi il computer. Ma niente del nostro essere umani, bio-sociali e mentali, ha a che fare con queste infondate analogie, è proprio la logica di comprensione che è disallineata. Infine, questo paesaggio teorico ha una sua propria consistenza interna che, nel tempo, si è allontanata dalla natura del proprio oggetto producendo una ingombrante selva di problemi fittizi e mal posti, stratificati in quadri polemici alimentati dalla competizione ideologica ed accademica, sempre più alla deriva di realtà.
Quello che manca per muoversi dentro lo stato di crisi in cerca dell’uscita non è un altro modello di società col suo immancabile lungo elenco di “vorrei che così fosse” qualora ci venisse concesso il ruolo di “legislatore del mondo”, ma un metodo per pensarla, discuterla e condividerla, tentarla, farla evolvere assieme ad altri.
In effetti il problema millenario del potere sociale è semplice. Di volta in volta, ristretti gruppi segnati da qualche specialità sociale (anagrafica, di genere, militare, religiosa, etnica, politica, oggi economica o forse più finanziaria), pur competendo tra loro per la quota di potere effettivo, sono stati strettamente solidali nella difesa del principio strutturale per cui Pochi dominano i Molti prendendosi la gran parte dei vantaggi adattivi del vivere in forma associata. Quando si è vissuto fasi di relativa abbondanza i Pochi hanno condiviso qualche briciola, quando si sono vissute fasi restrittive i Pochi hanno semplicemente scaricato tutta la contrazione sui Molti. Ai Molti questo principio pratico primo del potere sfugge, discutono di questa o quella miglior forma di società ed immagine di mondo come fosse loro permesso di decidere di questo o di quella versione quando il problema è proprio come rispondere alla domanda fondamentale “chi decide?”. Non “cosa” decidere, questo dovrebbe venire dopo, prima si deve porre il soggetto, il “chi?” ed il modo, il “come?”.
Quella che ci sembra essere una imprescindibile transizione adattativa, ha il duplice carattere del mentale e del reale, ma per costruire il secondo va trovato e condiviso il modo politico nel primo.
Quanto al mentale, la nuova era storica ci chiede di conoscere gli interi, il “penoso elenco di severe problematiche” cui abbiamo accennato (1/2), richiede conoscenze geo-storiche, culturali, ambientali, economiche, sociali, politiche, intrecciate tra loro, a valle di una nuova definizione di umano che non sarà più l’animale che fa, ma l’animale che pensa prima di fare. C’è da sviluppare un nuovo corso della conoscenza parallelo a quello sin qui svolto, un corso integrato, sistemico-olistico, che possa dare anche nuove condizioni di possibilità al pensiero per superare i pantani forestali di intrecci teorici non più utili poiché limitati e non più corrispondenti alla realtà. Un certo ritorno “ritorno alla realtà” s’impone date le caratteristiche del passaggio storico.
Quanto al reale sociale, è evidente che le società della civiltà occidentale, quantomeno quelle che non ne sono state il centro propulsore ovvero quelle anglosassoni, non possono più esser ordinate dal fatto economico. S’impone un ordinamento politico strutturato da una teoria forte della democrazia. Le civiltà, sino ad oggi, sono stati oggetti che abbiamo considerato dopo che si erano formate e sviluppate, nessuno le ha progettate ex-post. Se, come pare necessario, ci troviamo nella necessità di modificare le nostre forme di vita associata nel profondo e nel loro intreccio multidimensionale, non possiamo non presupporre una partecipazione ampia e costante di una ben vasta massa critica di associati, è la società intera che deve auto-trasformarsi.
Il processo di adattamento ad un mondo così inedito, mutato e mutante nel profondo, oltretutto con tempi accelerati, a livello di società-civiltà, sembra ci porti a dover diluire il potere sociale a quante più sue componenti di modo che il sistema di cui facciamo parte mostri agilità e prontezza coordinata al cambiamento deciso dalla massa critica. Il cambiamento dei fondamenti impone il ritorno ai fondamentali del nostro pensiero politico, all’eterna battaglia tra il potere dei Pochi e quello dei Molti. Nel mondo dei viventi, i sistemi complessi più adattivi sono autorganizzati. La forma politica del principio di autorganizzazione è la democrazia reale. Ci manca una teoria forte della democrazia.
Questo, a mio avviso, il più urgente compito per un pensiero che abbia a traguardo l’azione trasformativa ed adattativa.

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Washington, Roma, Gerusalemme: il miraggio di un fronte comune?_ di Yrieix Denis

Quel che bolle in pentola_Giuseppe Germinario

Il 4 febbraio si è tenuto a Roma un Congresso che ha riunito vari intellettuali e politici europei e americani. Sovranisti, conservatori, “illiberali” o anche identitari, i relatori a loro volta hanno esposto i loro impegni intellettuali e condiviso la loro esperienza di potere. Ma quale credito intellettuale possiamo dare a un “asse Washington-Roma-Gerusalemme”, come difeso da uno degli organizzatori, Francesco Giubilei (Nazione Futura)?


Via del Corso attraversa la città di Roma da nord a sud per un chilometro e mezzo, in linea retta da Piazza del Popolo a Piazza di Venezia. È tradizionalmente sul “Corso”, come dicono i romani, che si svolgevano le principali feste carnevalesche. Goethe, che visse nel famoso viale nel febbraio 1788, ne racconta i gioiosi eccessi nel suo Secondo soggiorno a Roma. Per lo scrittore, il carnevale romano era del resto molto più che “una festa data [al] popolo”: era una festa “che il popolo [dava] a se stesso”.

Vedi Conservatorismo nazionale: una conferenza a Roma

Ma in questo mese di febbraio 2020 il carnevale, ristabilito nel 2010, non è ancora iniziato ed è tutto un altro spettacolo quello che si svolge al numero 126 del famoso viale. Questo martedì 4 febbraio il Grand Hotel Plaza di Roma ha ospitato un grande evento intellettuale, sotto lo sguardo curioso dei passanti. Un congresso, sponsorizzato principalmente da due think tank americani (la Fondazione Edmund Burke e l’Herzl Institute), si è tenuto lì come parte di una serie di conferenze intitolate “National Conservatism”, e ha riunito quasi 250 persone.

Ospiti di diversa provenienza

Doveva riunire intellettuali, politici e giornalisti tutto il giorno nella sala da ballo del palazzo. Il tema di questa seconda sessione, la cui prima si è tenuta la scorsa estate a Washington, potrebbe sorprendere: “Dio, onore e patria: il presidente Ronald Reagan, papa Giovanni Paolo II e la libertà delle nazioni”.

La Piazza Romana, inizialmente residenza di una numerosa famiglia piemontese, fu trasformata in albergo nel 1860. Da allora ha ospitato numerose personalità. Papa Pio IX vi soggiornò nel 1866 quando ricevette Carlotta del Belgio, imperatrice del Messico. Ma anche, un secolo dopo, De Gaulle e Churchill. È qui che hanno soggiornato anche molti dei firmatari del Trattato europeo del 1957. Ironia della sorte, lo staff dell’hotel questa volta si aspetta di accogliere, tre giorni dopo lo storico evento Brexit, i sostenitori di un’Europa completamente diversa: l’ex ministro degli Interni e Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, oltre al premier ungherese Viktor Orbàn.

Erano attesi anche intellettuali conservatori come il britannico Douglas Murray e il polacco Ryszard Legutko; politici come il deputato del Partito conservatore britannico Daniel Kawczynski, Thierry Baudet, del Forum voor Democratie o l’ex deputato della Marina militare Marion Maréchal, nonché i francesi Édouard Husson e Alexandre Pesey. Attesi anche Mattias Karlsson dei Democratici svedesi e Georgia Meloni dei Fratelli d’Italia.

schiavitù imperiale

L’organizzatore principale di questa serie di conferenze è un filosofo e teologo israeliano, classe 1964: Yoram Hazony. Presidente dell’Herzl Institute, è uno dei cardini della Fondazione Burke. Lo accompagnano la moglie ei due figli, che partecipano all’accoglienza degli ospiti. Il dottore in scienze politiche, passato da Princeton, si è distinto nel 2018 con l’uscita del suo libro La virtù del nazionalismo [1], la cui traduzione è appena uscita in Italia. Con questo saggio, colui che fu anche assistente di Benjamin Netanyahu, cerca di dimostrare che ci sono due regimi politici in competizione che attraversano la storia e conducono una guerra spietata: l’impero e la nazione. L’Unione Europea apparterrebbe, nonostante la sua apparente novità, alla prima categoria.

Mentre l’impero (persiano, romano, spagnolo…), che è, secondo Yoram Hazony, universalista e progressivamente razionalista, appiana i particolarismi ed estende costantemente i suoi confini, il particolarismo della nazione sarebbe il miglior garante della cultura, di pace e libertà. Per il teorico, l’imperialismo (che oggi assume sia le nuove vesti del diritto che della cooperazione internazionale come i tratti bellicosi del passato), alla fine ci lascerebbe solo una triste alternativa: la sottomissione alla “servitù eterna. O alla “guerra”. Per difendersi da questi due mali bisognerebbe dunque evitare ogni compromesso e non rinunciare ad alcuna libertà civile a favore di alcun organismo sovranazionale.

Rispetto agli imperi cinese, egiziano e greco, la nazione era “qualcosa di nuovo nella storia”, disse Ernest Renan (1823-1892), che identificò l’essenza della nazione nel fatto che gli individui che la mantennero in forma hanno entrambi molto di punti in comune, ma anche che tutti hanno “dimenticato un sacco di cose”. “Qualsiasi cittadino francese” avrebbe così, secondo lo studioso bretone, “dimenticato Saint-Barthélemy e le stragi del Sud nel XIII secolo [2] “. Oggi, però, secondo i relatori, le nazioni sarebbero minacciate dall’oblio di ciò che costituisce il cuore della loro cultura e dal risentimento per le ferite del passato.

I nuovi vestiti dell’utopia progressista

A sostenerlo, in ogni caso, il primo relatore della giornata, il giornalista e saggista americano classe 1967 Rod Dreher. L’autore della scommessa benedettina, dall’aspetto giovane nonostante la barba bianca e i capelli sale e pepe, ha messo in guardia il pubblico contro questa “dittatura rosa” che sovverte il nome di “giustizia sociale” per dedicare un culto “fanatico”. , sessuale…), erette come “vittime sacre”.

Rod Dreher è caporedattore di The American Conservative, dove scrive una rubrica quotidiana . Il suo intervento è disponibile in francese integralmente ed esclusivamente, su Conflits .

Dietro l’abito compassionevole, “i mezzi dello Stato e del capitalismo” si ibriderebbero infatti per dare vita a “una società di sorveglianza”, che tanto più facilmente si insedierebbe quanto più in Occidente si accentua l’atomizzazione sociale in proporzione al discredito soffrono le nostre istituzioni e il successo di nuove ideologie. Contro questa “dittatura rosa” (concetto ripreso dal saggista James Poulos), che difende certe libertà e ne aliena altre, i conservatori devono coltivare la loro memoria e trasmettere il loro patrimonio, rafforzare i loro legami di solidarietà (famiglie, istituzioni, circoli, partiti ecc. .), e soprattutto per ravvivare la loro fede, perché “contro il male che viene”, “l’umanesimo non basterà”.

Vedere James Poulos, “Benvenuti nello stato di polizia rosa: cambio di regime in America”, The Federalist , 17 luglio 2014

L’autore, che “sta preparando un nuovo saggio sull’argomento”, racconta, a sostegno della sua tesi, le testimonianze raccolte dai dissidenti dei paesi dell’Est sulla loro lotta al comunismo e che avevano per la maggior parte di loro una fede forte e fervente, come un Vaclav Havel o un Karol Wojtyla, appunto. Per molti dei sopravvissuti a quest’epoca passata, il totalitarismo sta tornando con un volto nuovo, e non solo in Cina, ma anche in Occidente, “dove potrebbe trionfare se i cittadini non stanno attenti”.

“ Le libertà di opinione, espressione e religione ci sembrano eterne e intangibili. Ma non subiscono aggressioni quotidiane? La correttezza politica non sta sovvertendo le istituzioni liberali che stanno perdendo la loro presunta neutralità a favore di una nuova ideologia? », si sono chiesti recentemente molti intellettuali conservatori americani, vicini a Rod Dreher, e tra questi il ​​giornalista cattolico Sohrab Ahmari e il filosofo Patrick Deneen.

Vedi i dibattiti seguiti alla pubblicazione del manifesto “Against the Dead Consensus” di First Thing , 21 marzo 2019

Cacce alle streghe

Fu anche uno degli ultimi moniti dell’intellettuale britannico Roger Scruton, la cui memoria fu salutata calorosamente all’inizio del Congresso e di cui Rod Dreher rese un pesante tributo. Quando era venuto a Parigi per il convegno “Democrazia e libertà”, organizzato lo scorso maggio dall’Accademia di scienze morali e politiche e dall’Istituto Thomas More, lo spiritoso filosofo aveva denunciato la violenza e la slealtà degli araldi del politicamente corretto, ai quali doveva la perdita della sua reputazione e della sua posizione nel movimento conservatore.

Istituto Thomas More: Vedi “Democrazia e libertà: i popoli moderni mettono alla prova le loro contraddizioni”

Era stato infatti sgridato per affermazioni ritenute oltraggiose (“Chi non crede che ci sia un impero di Soros in Ungheria non ha osservato i fatti”) e islamofobi (“Gli ungheresi furono spaventati da questa improvvisa e popolosa invasione. di tribù musulmane “;”L’islamofobia è una costruzione della propaganda dei Fratelli Musulmani per soffocare ogni dibattito”), tenuta durante un’intervista al magazine di sinistra The New Statesman.

È stato il suo stesso intervistatore, l’editore associato George Eaton, a denunciarlo nell’intervista prima di tagliare lo champagne e celebrare pubblicamente la caduta del “razzista e omofobo Roger Scruton” (sic). Prima di morire nel gennaio 2020, l’intellettuale ha tenuto a ricordare sulla rivista Spectator che la caduta del comunismo è stata prima di tutto la vittoria della sovranità popolare e non quella della “libertà di movimento”, come “affermava. la propaganda dell’Unione europea Unione”.

Le tentazioni totalitarie delle società democratiche

Un parere chiaramente condiviso da un oratore al Congresso, ex ministro polacco e storico membro del sindacato Solidarnosc, Ryszard Legutko. Durante una tavola rotonda con l’americano John Fonte dell’Hudson Institute e il saggista francese Édouard Husson, ha presentato gli insegnamenti della sua esperienza di dissidente e membro del governo polacco. Come ha spiegato in un libro con accenti tocquevillian, The Demon of Democracy [3] , il filosofo ed ex ministro dell’Istruzione polacco ritiene che la democrazia attuale assomigli all’ideologia comunista più di quanto pensiamo. .

Édouard Husson: Autore in particolare, per le edizioni Gallimard (novembre 2019) di Parigi-Berlino: la sopravvivenza dell’Europa .

Condividendo le stesse radici intellettuali (sia in termini di filosofia della storia che di religione), queste due ideologie perseguono gli stessi obiettivi: liberare gli uomini dagli obblighi del passato, emancipare i cittadini dalla tradizione e dal costume. Inoltre, la democrazia condivide una caratteristica distintiva con i regimi comunisti: non ammette altri criteri di giudizio se non quelli del sistema politico e quindi rifiuta di sottoporre i propri pregiudizi all’esame di criteri morali o religiosi.

È alla luce di questa storia di resistenza al comunismo che si può comprendere il persistente malinteso che oppone i difensori di un’Unione europea positivista e tecnocratica al patriottismo e all'”illiberalismo” dei paesi dell’Is. Come ha ricordato di recente il saggista Max-Erwann Gastineau, “non siamo i discendenti dello stesso trauma”. In effeti :

“ In Oriente, è la memoria del comunismo che continua a lavorare sulla memoria collettiva e a forgiare una cultura della resistenza che valorizzi le radici nazionali. In Occidente, si crede che siano i limiti della legge a proteggere l’Europa dal ritorno dell’autoritarismo nazionalista di ieri. 

Vedere The New East Trial , Cerf, 2019  ; e l’intervista che Conflits gli ha dedicato di recente.

L’Ungheria di Viktor Orbàn

L’intervento più atteso, nell’imprevista assenza di Matteo Salvini, il cui gruppo politico al Parlamento europeo (il PPE), temeva di vederlo intervenire in una manifestazione che riuniva ospiti di correnti ritenute troppo disparate per non essere compromettenti, è stato quello di Viktor Orban. Il premier ungherese, che nel maggio scorso aveva dichiarato a Bernard-Henri Lévy di “non aver niente a che fare con Marine Le Pen”, non ha avuto paura da parte sua di parlare sullo stesso palco della nipote di quest’ultima, l’ex vice Anche Marion Maréchal, attualmente direttrice dell’ISSEP di Lione, è stata invitata a intervenire durante un notevole discorso di cui la stampa francese ha già fatto eco.

Il capo del governo ungherese ha voluto ricordare al suo pubblico che la politica richiedeva di saper conquistare e mantenere il potere e che il dilettantismo non era d’obbligo. Ci vuole anche, secondo lui, coraggio per difendere le sue idee e metterle in pratica una volta eletto. Questo mettere in pratica le idee su cui è stato eletto un governo è essenziale per consentire una rielezione. Una lezione che sembrò conquistare tutti i partecipanti, sedotti da un Capo di Stato che, a soli 24 anni, aveva osato sfidare il regime comunista e che parve loro incarnare una risposta coerente e solida sia sul piano culturale, sociale, che economico. Il presidente del Consiglio ha quindi voluto ricordare il vigoroso tasso di crescita del Paese (4,8% nel 2018), e di aver mantenuto all’“80%” la sua promessa di creare un milione di posti di lavoro.

Viktor Orbàn ei suoi sostenitori ritengono che il suo Paese, occupato a più riprese “dagli ottomani, dagli slavi e dai comunisti”, debba la sua sopravvivenza solo alla determinazione degli stessi ungheresi. Tuttavia, secondo lui, il liberalismo ei suoi promotori a Bruxelles si stanno rivelando una nuova forza distruttiva per questo Paese di 10 milioni di abitanti. Primo, perché il liberalismo distrugge i vincoli di solidarietà e di affetto che fondavano le nazioni, e perché le sue istituzioni, lungi dall’essere neutrali, sono sostenute da uomini che hanno una propria ideologia.

Aveva così dichiarato, nel febbraio 2019, alla piattaforma delle Nazioni Unite:

“ Da nessuna parte nel grande libro dell’umanità è scritto che gli ungheresi devono esistere. Questa legge è scritta solo nei nostri cuori – e nessuno tranne gli ungheresi se ne preoccupa . ”

Citato da Christopher Caldwell, “L’Ungheria e il futuro dell’Europa” , Claremont Review , primavera 2019

Nonostante il successo che sembrò incontrare il pubblico – che lo ricompensò con pesanti applausi, il presidente del Consiglio ungherese non si atteggiò a leader dei movimenti conservatori e sovranisti, ma anzi insistette nel ricordare il ruolo trainante dell’Italia e di Matteo Salvini in particolare.

Una convergenza dottrinale impossibile?

L’impressione generale di questa convenzione, come ha notato Douglas Murray nel suo intervento, ha suggerito una serie di malintesi. Ad esempio, è possibile trovare, al di là dei comuni avversari, una dottrina comune tra sovranisti, atlantisti, conservatori, identitari, intellettuali cristiani, agnostici ed ebrei?

Questo fronte comune è davvero paragonabile a quello che si oppose al comunismo, e che già suggeriva molte differenze, se non altro tra le visioni molto diverse difese a loro tempo da Giovanni Paolo II e Ronald Reagan? C’è stato infatti un altro grande assente dal dibattito, a parte Matteo Salvini: è stata la stessa Chiesa cattolica, una delle figure più emblematiche della quale è stata convocata nella sua casa a Roma, anche se non era presente nessun ecclesiastico a rappresentarla. La religione, tuttavia, vi occupava un posto importante. Forse si dovrebbe capire, come ha suggerito Max-Erwann Gastineau nel suo lavoro sull’Europa orientale, che i relatori avevano fatto propria questa massima di Alexis de Tocqueville:

“Non dipende dalle leggi per far rivivere credenze sbiadite; ma dipende dalle leggi interessare gli uomini ai destini del loro paese”.

D’altronde è certo che i temi sollevati in questa giornata alimenteranno un dibattito che non potrà che essere fertile, se non altro per chiarire le differenze tra generazioni e correnti molto disparate.

https://www.revueconflits.com/nationalisme-conservatisme-souverainisme-eglise-viktor-orban/