Geopolitica americana, fondamenti e continuità, di Olivier Zajec

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A volte si pensa che la geopolitica sia di origine tedesca, segnata da uno spirito realista bismarckiano. Si dice anche che questo metodo di approccio, che analizza le politiche estere degli Stati mettendole in relazione con il condizionamento della loro collocazione geografica, sarebbe fondamentalmente troppo “cinico” e deterministico per corrispondere realmente alla cultura universalista e idealista americana. Queste sono senza dubbio interpretazioni errate.

A ben guardare, sembra che sia l’America, più della Germania, a meritare il titolo di terra eletta per la geopolitica. Per capirlo, è interessante prendere in considerazione due elementi. La prima riguarda gli scambi geopolitici teorici tra Germania e America che erano molto più profondi e soprattutto più antichi di quanto si dica generalmente, e durante i quali l’imitatore non era quello che pensiamo. Il secondo elemento si riferisce alla strategia internazionale di Washington, caratterizzata da un preteso “pragmatismo” che si potrebbe essere tentati di assimilare ad un opportunismo assoluto, ma che, in realtà, segue le linee di forza semplificate di una costruzione geopoliticacoerente. A lungo termine, è quindi possibile giungere alla conclusione della notevole e implacabile coerenza che gli orientamenti americani in politica estera hanno dimostrato per due secoli.

La Germania nella scuola degli Stati Uniti

Ci sono generalmente due canali di “educazione geopolitica” nella storia intellettuale degli Stati Uniti. Il primo è la diffusione del lavoro di geografo Friedrich Ratzel da Ellen Semple, alla fine del XIX °  secolo. Il secondo è giocato nel 1940: si tratta di reception sensazionalista e il rifiuto del lavoro di Karl Haushofer, che più di ogni altro, personificato per gli americani della geopolitica tedeschi nel XX °  secolo.

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Da quali fonti, tuttavia, aveva attinto lo stesso Haushofer? Un background germanico, ovviamente: aveva letto Ernst Kapp [1] , ed è innegabile che la sua ripresa delle opere di Ratzel e soprattutto di Kjellen gli fornisca le basi della sua geopolitica . Tuttavia, va sempre ricordato che su questo sfondo si innestò anche nel Dottore Generale una presunta appropriazione di schemi anglosassoni. Fu il britannico Mackinder, teorico dell’Heartland e dell’opposizione terra-mare, a ispirare in gran parte la geopolitica tedesca del periodo tra le due guerre, con riluttanza. Non è l’unico: il libro del suo discepolo scozzese James Fairgrieve, Geography and World Power (1917), che si oppone “ il parallelogramma del Vecchio Mondo e delle Americhe, posto nel grande oceano  “, pur distinguendo una”  zona di schiacciamento  “dove le potenze costiere si scontrano con il cuore della Terra, è stato abbastanza rapidamente tradotto in tedesco dalla moglie di Karl Haushofer, Martha , con una prefazione dello stesso Haushofer.

 

Ciò che si dice meno è che i geopolitici tedeschi hanno letto anche autori americani. Durante il suo interrogatorio a Norimberga nel giugno 1946, Haushofer si lamentò con Edmund Walsh, dell’Università di Georgetown, che lo interrogò sugli obiettivi della sua Geopolitik  : ”  Perché il tuo governo non può mandarmi uomini esperti?” domanda, come Isaiah Bowman  o Owen Lattimore  ? […] Questi uomini avrebbero capito cosa volevo dire e cosa volevo costruire attraverso la mia geopolitica . “Arciere? Leader dei geografi politici del Nuovo Mondo, consigliere di Wilson poi di Roosevelt, autore di The New World nel 1921, era considerato da Haushofer il suo alter egoAmericano, allo stesso modo in cui Mackinder era il doppio inglese del generale tedesco. Nel 1936, Otto Maull, collaboratore di Haushofer, presentò il lavoro collettivo Macht und Erde come ” l’analisi pratica del potere globale […] culminante in una visione geopolitica del pianeta […] ” costruita come ” il contrappeso tedesco al Il nuovo mondo di Isaiah Bowman  ”. Nel suo primo studio geopolitico sul fenomeno dei confini ( Grenzen in ihrer geographischen und politischen Bedeutung , 1927), Haushofer prende come riferimento i suoi compatrioti Ratzel, Albrecht Penck, Robert Sieger e Berthold Volz, l’inglese Thomas Holdich (che ama citare la formula si scatena ” l’incommensurabile costo dell’ignoranza geografica  ”), ma anche gli americani Homer Lea, Brooks Adams e Nathaniel Peffer [2] .

 

Gli Stati Uniti, una “geopolitica applicata”

Tra il pensiero geopolitico americano e quello tedesco, il “modello” non è necessariamente quello che pensiamo. Un secolo prima che la stampa americana si concentrasse un po ‘istericamente su Geopolitik tra il 1940 e il 1942, furono i teorici della politica estera del giovane impero tedesco a studiare con invidia il potenziale di potere derivante dallo spazio disponibile e dalla posizione della giovane repubblica degli Stati Uniti. L’equilibrio del potere, la profondità strategica, il bilanciamento offshore e la consapevolezza geopolitica dell’unità del consiglio di potere mondiale sono argomenti che sono stati attivamente pensati dagli uomini più importanti della storia americana.

Esaminando le scelte di politica estera dei “padri fondatori” Jefferson o Hamilton, possiamo effettivamente verificare in quale modo pragmatico i primi statisti americani non esitarono, dopo la guerra d’indipendenza, a considerare la possibilità di controbilanciare l’influenza dell’alleato – o meglio del salvatore – francese con un’alleanza utilitaristica con il colonizzatore inglese estromesso. È inoltre riferendosi a questo pensiero “geopolitico” originale, anche se il termine è ovviamente anacronistico, che lo scienziato politico Nicholas Spykman proporrà negli anni Quaranta, come lui stesso affermerà, “[…] Un ritorno alla saggezza dei nostri fondatori, l’accettazione della realtà del nostro posizionamento geografico e della natura della società internazionale […], il principio che la conservazione di un equilibrio di potere in Europa e in Asia è il prerequisito per la nostra sicurezza a lungo termine  ”. In conclusione “  […] Chiedo un ritorno a Jefferson, un ritorno a Monroe. 

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Dal 1823 l’affermazione della dottrina Monroe esercitò un vero fascino sugli autori tedeschi, che la interpretarono come la prima formulazione di una teoria esclusivista dei grandi spazi aperti. È inoltre sorprendente notare che tre dei più importanti fondatori della geografia politica e poi della geopolitica tedesca trassero parte della loro ispirazione dallo studio del potenziale del potere spaziale degli Stati Uniti.

È il caso di Friedrich List (1789-1846), emigrato negli Stati Uniti nel 1825, giornalista a New York, specialista in economia politica, scrivendo sia in inglese che in tedesco, amico del Segretario di Stato americano Henry Clay, ammiratore delle dottrine protezionistiche di Alexander Hamilton e ispiratore, al suo ritorno in Europa, dello Zollverein tedesco. Friedrich Ratzel, nel frattempo, si recò negli Stati Uniti nel 1873 come corrispondente per la stampa della Kölnische Zeitung  ; vi documenterà per pubblicare Städte-und Kulturbilder aus Nordamerika (1876), e in particolare Die Vereinigten Staaten von Nordamerika (1878-80). La sua geografia Politische(1897) rivela anche l’influenza del darwinismo sociale di Herbert Spencer. Haushofer, ispirato dalle realtà americane, divora gli autori del Nuovo Mondo. E ‘anche possibile citare il caso più antico di Adam Heinrich Dietrich von Bülow (1757-1807), che viaggia negli Stati Uniti alla fine del XVIII °  secolo, e pubblicato nel 1799 Geist di Neuren Kriegssystems , implementazione logica geopolitica spazi del Nuovo Mondo nel quadro diviso dell’Europa dei principi.

 

Secondo Robert Strausz-Hupe, la politica estera degli Stati Uniti nella prima metà del XIX °  secolo può quindi essere considerato un ”  applicata geografia politica  ” e ha influenzato i tedeschi, anche più profondamente di quanto avessero previsto 1870 prima di realizzare la propria unità, e che volevano recuperare il tempo perduto confrontando i modelli di sviluppo di altre potenze per applicare le migliori lezioni.

Del destino manifesto …

Se si cerca di stabilire una catena causale tra i vari pensieri “geopolitici” nazionali che sono apparsi durante gli anni 1900-1940 (un processo all’interno del quale il caso tedesco è generalmente descritto come centrale), in ultima analisi sembra possibile porre la presupposto che le teorie tedesche, ispirate alla dottrina di Monroe, è stato già costruito dall’inizio del XIX °  secolo, secondo i dati della politica estera degli stati Uniti.

Dal XIX °  secolo, un Ratzel o elenco, colpito dalla energia e dinamismo che gli americani sparavano loro provvidenziale profondità territoriale, vi trovò un argomento per essere fatto – specchio – sostenitori di espansione territoriale Wilhelmine assunto , nello spazio della vicina Mitteleuropa , oa livello coloniale. Nella diplomazia imperiale e in uscita della presidenza di Theodore Roosevelt (1901-1909), il Secondo Reich stava già vedendo la manifestazione della vitalità di un potere giovane e ambizioso, da cui avrebbe tratto ispirazione in una certa misura. Il mito del confine si è in qualche modo trovato trasposto dal Nuovo al Vecchio Continente, dove è stato in grado di riattivare vecchi schemi geodinamici (primo fra tutti il Drang nach OstenGermanica introdotto XIII °  secolo [3] ).

Aggiungiamo che la scuola tedesca di geopolitica sembra essere caratterizzata meno dalla nozione di “determinismo” geografico che da quella di vocazione , che è più spirituale. Un termine che risuona altrettanto potente nella storia americana. Se guardiamo ancora alla politica estera dei Padri Fondatori degli Stati Uniti, notiamo così una primissima formalizzazione della geoidentità, spinta meno dall’idea di necessità che da quella di destino., che i loro successori perseguiranno con costanza, le cui tappe più suggestive saranno l’acquisto della Louisiana (1803), quella della Florida (1819), le conquiste a spese del potere messicano (annessione del Texas nel 1845, cessione ” forzato “della California, Nevada, Arizona, Utah nel 1848) o l’acquisto dell’Alaska dai russi (1897), il culmine di questa incessantezza geospaziale, quasi-capetingia politica “proto-imperiale” degli anni 1870-1890, culminata con la “splendida piccola guerra” del 1898 che consentì a Washington di strappare molti territori a una Spagna morente, e di creare i laghi dei Caraibi e del Pacifico.

 

Ad accompagnare questa determinata espansione geopolitica del potere americano anche al di fuori della sua isola culla protetta da due oceani, le opere dell’ammiraglio Alfred T.Mahan e Frederick J. Turner, famosissime, o quelle di Homer Lea o Brooks Adams , che lo sono meno, simboleggiano l’importanza di questa ricerca di una profondità geostrategica destinata a proteggere la nuova Gerusalemme. Nel 1885, il trionfalismo geoculturale di Josiah Strong nel capitolo XIII del suo Our Country (”  The Anglo-Saxon and the World Future  “) è un esempio in materia, così come la profezia formulata già nel 1903 nell’affascinante conclusione di The New Empire, di Brooks Adams, storico teorico dell’espansionismo americano discendente da due dei primi presidenti degli Stati Uniti [4]  : “ […] Gli Stati Uniti supereranno ogni impero individualmente, se non tutti gli imperi messi insieme. Il mondo intero renderà omaggio. Il commercio fluisce verso est e ovest, e l’ordine che esisteva dall’alba dei tempi sarà invertito [5] 

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… al “Nuovo Ordine Mondiale”

Quando si esamina la questione dell’evoluzione geopolitica degli Stati Uniti, si deve anche tornare al termine strutturante di “destino manifesto”, utilizzato per la prima volta nel 1846 dal giornalista John O’Sullivan in un articolo del Morning News, sul dominio “naturale” degli Stati Uniti sull’intero continente americano. O’Sullivan, convinto sostenitore di un’espansione territoriale del suo Paese, evoca in questo momento “il nostro manifesto destino di occupare e possedere tutto il continente che la Provvidenza ci ha dato “. Inizialmente, questa nozione proto-geopolitica corrispondeva quindi, come possiamo vedere, a un decreto della Provvidenza che destinava il popolo americano a dominare il Nuovo Mondo, e non, almeno apparentemente, il resto del mondo .

Sono state le guerre del 1898, poi del 1917-1918 e del 1941-1945 che avrebbero ampliato il significato originariamente circoscritto di questo destino manifesto: a poco a poco emerge l’idea che anche l’America è destinata ad “educare” il mondo, L’America Latina naturalmente, ma anche e presto senescente l’Eurasia. Il presidente Wilson e il suo consigliere Isaiah Bowman a Versailles nel 1919, poi Henry Luce e il suo concetto di “secolo americano” nel 1945, offrono esempi di una teorizzazione di questa estensione moralizzante e benevolmente orgogliosa della missione americana. Non è un caso se, nel wilsonianesimo del 1919, al di là di un’ambizione diplomatica e commerciale americana estesa alle dimensioni del globo, un Haushofer già scorgeva, per qualche motivo, il dispiegamento di una geo-moralecoercitivo e utilitaristico, assumendo la forma di un universalismo sul punto di traboccare dal proprio emisfero prendendo il posto del potere britannico in declino.

 

Dopo il 1945, questo programma di fusione geopolitica e geomorale non sarà più nascosto, come dimostra questa sentenza del 1957, firmata dal profugo Robert Strausz-Hupé, che ispirerà parte della corrente neoconservatrice: ”  La missione del popolo americano è seppellire il Stati-nazione, guidano i loro popoli in lutto verso unioni più grandi e intimidiscono con il suo potere i tentativi di sabotare il nuovo ordine mondiale, che non hanno nulla da offrire all’umanità se non un’ideologia marcia e forza bruta… Per i prossimi cinquant’anni o giù di lì il futuro appartiene all’America. L’impero americano e l’umanità non saranno opposti, ma semplicemente due nomi per lo stesso ordine universale sotto il segno della pace e della felicità. Novus orbis terranum . Nuovo ordine mondiale[6] . “

Un paese intriso di geopolitica

Si potrebbe obiettare che questo ideale non era geopolitico in senso proprio, e che era più semplicemente e classicamente il risultato della diplomazia istituzionalista e liberale pazientemente perseguita e promossa. Peter Taylor osserva così che “  dal 1945 al 1975 non fu pubblicato alcun testo in lingua inglese con le parole“ geopolitica ”o“ geopolitica ”nel titolo  ”.

In effetti, si è spesso detto che il metodo di approccio geopolitico, appesantito dalle sue origini “tedesche”, era scomparso negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale. È tuttavia necessario qualificarsi molto fortemente: non solo la geografia politica esisteva negli Stati Uniti prima degli anni Quaranta, come abbiamo visto, ma, contrariamente a quanto sembra suggerire l’osservazione di Taylor, non ha mai cessato di esistere negli Stati Uniti. questo paese dopo il 1945. L’influenza delle teorie di Mahan, Adams, Strong, Homer Lea, Mackinder, Bowman o Spykman non è scomparsa nell’inconscio geostrategico americano tra il 1945 e il 1975. lavoro degli scienziati politici Harold e Margaret Sprout, ad esempio ipotesi di relazione uomo-ambiente nel contesto della politica internazionale, pubblicato nel 1956, si riferiscono a una forma di geopolitica. Nel 1957, Edgar S. Furniss, Jr, un importante scienziato politico e studente di Spykman, pubblicò la politica militare americana: aspetti strategici della geografia politica mondiale . Nel 1968, lo storico John Spanier ha osservato delle due “formule” di Heartland e Rimland  che altre espressioni ”  non avrebbero potuto riassumere la storia del mondo del secondo dopoguerra in modo più efficace  “. Nel 1970, è William TR Fox – scienziato politico che ha inventato il termine “superpotenza” – che forse meglio esprimerà il vero status della geopolitica negli Stati Uniti durante questo periodo: “La nostra abitudine di pensare in termini geopolitici è così assimilata ai modelli di pensiero del tipico studioso contemporaneo di relazioni internazionali che la stessa parola “geopolitica” sembra aver perso la sua visibilità, e se ne parla in termini geopolitici. pensando piuttosto erroneamente che la geopolitica sia morta con Mackinder e Haushofer . “

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Gli Stati Uniti non hanno quindi aspettato fino al 1942 per possedere un pensiero strategico spazializzato. Il 1919 e il 1945 non sono rotture, né momenti di scelta, alla soglia dei quali l’America avrebbe esitato tra l’isolamento idealista corrispondente alla sua natura profonda e il tuffo contro la natura in preda alla geopolitica globale, nel nome delle responsabilità conferitele dal suo nuovo potere. In realtà, non esisteva una “End of Innocence [7]  ” americana: il 1919, poi il 1945, dovrebbe piuttosto essere visto come semplici passaggi logici sulla via di un’ascesa al potere che avrà seguito un master plan geopolitico con le sue radici nelle origini stesse della Repubblica del Nuovo Mondo.

Preoccupazione costante: profondità strategica

Questa straordinaria continuità spiega perché la politica estera americana avrebbe potuto essere l’unica matrice di modelli diplomatici così diversi come quelli che hanno successivamente dominato il periodo tra le due guerre (wilsonianesimo), la guerra fredda (il realismo della “sicurezza nazionale”), e l’era del dopo Guerra Fredda (diplomazia dei diritti umani, nozione di “comunità internazionale”). Tutti questi modelli, idealistici o realistici, sono contraddittori solo in apparenza. Possono fondersi e succedersi armoniosamente perché sono tutti articolati in uno schema geopolitico che rimane stabile. Dalla frontiera del selvaggio West nel XIX °  secolo per fronti geopolitici del continente eurasiatico al XX ° e XXI ° secoli, dal suo emisfero nativo al suo emisfero di proiezione , attraverso le vicissitudini della storia, la logica strategica di questo modello di espansione e influenza è rimasta fondamentalmente la stessa per gli Stati Uniti, a grandi linee: consiste nel contenere i forti nell’Heartland (ieri URSS, poi Russia, ora Cina); dividere e sponsorizzare i deboli del Rimland (Europa, mondo arabo, cordone insulare dell’Asia orientale); infine, per integrarsi sia culturalmente che economicamente attraverso un paziente lavoro di influenza e sensibilizzazione.

 

Questa fusione di discorsi morali in un’unica tela di potere spiega la profonda unità della politica estera americana, nonostante le differenze accessorie che possono separare Democratici e Repubblicani. Persino i leader e diplomatici americani più idealisti, da Wilson a Carter e Hillary Clinton oggi, non hanno mai smesso di modellare la loro visione del mondo su uno schema geopolitico comune di preservare la profondità strategica del santuario dell’isola americana, di modo per mantenere per sé una piena libertà di azione limitando commercialmente e politicamente l’autonomia del resto del mondo, con l’obiettivo di non far emergere alcun sistema di organizzazione politica, culturale e ideologica che possa competere con il modello di civiltà americano.

Resta da vedere se un magistero morale ben intaccato dal fallimento iracheno-afgano, dalla crisi del modello finanziario deregolamentato e dalle iniziative di concorrenti multipolari sempre più intraprendenti, non ostacolerà l’applicazione di questo schema geopolitico americano finora ha beneficiato con successo di un trittico vincente che combina un santuario oceanico liberalmente conferito dalla Provvidenza, una dominazione talassocratica pazientemente acquisita e gelosamente conservata e un contenimento eurasiatico tenacemente perseguito.

 


  1. Ernst Kapp, Vergleichende allgemeine Erdkunde in wissenschaftlicher Darstellung der Erdverhältnisse und des Menschenlebens , Braunschweig, G. Westermann, 1868 [1845]. Le prime due parti di questo libro pionieristico sono intitolate ”  Politische Geographie “.
  2. Cfr . Olivier Zajec, Nicholas John Spykman, l’invenzione della geopolitica americana , Parigi, Pups, 2016.
  3. Affonda le sue radici nella Bolla d’Oro di Rimini del marzo 1226 promulgata da Federico II di Hohenstaufen, che conferma i possedimenti dell’Ordine Teutonico in Prussia.
  4. In questo caso John Adams (1735-1826), secondo presidente dopo Washington e John Quincy Adams (1767-1848), sesto presidente.
  5. Henry Brooks Adams, The New Empire , New York, The MacMillan Company, 1903, p. 209.
  6. Manifesto pubblicato nel primo numero della rivista Orbis , fondata da Robert Strausz-Hupé nel 1957.
  7. Denise Arthaud, La fine dell’innocenza . Gli Stati Uniti da Wilson a Reagan , Parigi, Armand Colin, 1985.

UNIONE EUROPEA E STATO DI DIRITTO II, di Teodoro Klitsche de la Grange

UNIONE EUROPEA E STATO DI DIRITTO II

1. Lo stesso giorno in cui in rete appariva il mio articolo sullo stesso tema http://italiaeilmondo.com/2020/09/30/lunione-europea-e-lo-stato-di-diritto-di-teodoro-klitsche-de-la-grange/ e con uguale titolo, la Commissione Europea pubblicava la “relazione sullo Stato di diritto 2020”, che conferma da un lato e chiarisce dall’altro, alcune e opinioni (anche) da me evidenziate.

In primo luogo: tra i tanti caratteri dello Stato di diritto, che ricordavo nell’articolo precedente, la Commissione, per formulare i propri giudizi sulla “conformità” al Rechtstaat dei 27 Stati dell’Unione ne prende in esame quattro: il sistema giudiziario nazionale, il contrasto alla corruzione, il pluralismo e la libertà dei mezzi di comunicazione, ed altre questioni – di carattere istituzionale – di bilanciamento di poteri. Un’attenzione a parte poi è dedicata alla pandemia e alle situazioni e normative emergenziali indotte (v. ad esempio i DPCM del Governo italiano). La presidente Von der Leyen ha detto che “lo Stato di diritto e i nostri valori condivisi sono alla base delle nostre società. Fanno parte della nostra identità comune di europei. Lo Stato di diritto difende i cittadini dalla legge del più forte. Pur avendo standard molto elevati in materia di Stato di diritto nell’U.E., abbiamo anche diversi problemi da affrontare” (sul che si può concordare).

La vice Presidente Jourovà ha aggiunto “La nuova relazione esamina per la prima volta tutti gli Stati membri allo stesso modo per individuare le tendenze in materia di Stato di diritto e contribuire a prevenire l’insorgere di gravi problemi”.

Il rapporto, dopo una premessa generale, si articola su 27 capitoli, relativi a ciascuno degli Stati membri. La valutazione si basa (anche) sulle decisioni delle Corti europee e sulle raccomandazioni del Consiglio d’Europa.

La prima conferma di quanto emergeva da precedenti documenti dell’Unione è che i quattro pilastri di valutazione della Commissione sono pochi. Il concetto di “Stato di diritto” comprende altri pilastri, anche se, a leggere i documenti, in qualche misura la stessa relazione, in alcuni passi, deborda dal limite dei quattro esaminati. Come, tra i quattro considerati, ve ne sono un paio non proprio tipici del Rechtstaat.

Così vi sono pilastri, in particolare quello sulla lotta alla corruzione che non costituiscono un “fundamentum distincionis” dello Stato di diritto, non solo perché non lo si trova negli scritti di quei pensatori che hanno formulato la/e concezione/i dello “Stato di diritto”, ma perché molti Stati, tranquillamente non riconducibili allo Stato di diritto, perseguono la corruzione, talvolta in misura più energica degli Stati di diritto. Lo Stato di diritto non trasforma i governanti in angeli, come quello non di diritto in demoni; tale giudizio lo si ricava – nella premessa – già dal Federalista.

2. Un capitolo della relazione è dedicato all’Italia.

Sul primo pilastro (cioè sul sistema giudiziario) la Commissione scrive “È in vigore un solido quadro legislativo a salvaguardia dell’indipendenza della magistratura, sia per i giudici che per i pubblici ministeri. Il potere giudiziario è pienamente separato dagli altri poteri costituzionali”; tuttavia i cittadini non la pensano come la Commissione “Il livello di indipendenza della magistratura percepito in Italia è basso. È considerato buono o molto buono soltanto dal 31% dei cittadini e dal 36% delle imprese, percentuali diminuite tra il 2019 e il 2020. Le ragioni principali per cui i cittadini e le imprese avvertono una mancanza di indipendenza sono le interferenze o le pressioni esercitate dal Governo, dai politici e dai rappresentanti di interessi economici o di altri interessi….”. E perché c’è questo divario tra il lusinghiero giudizio della Commissione e quello – assai meno confortante – degli italiani? Qua la Commissione trascura l’aspetto principale: non è che i cittadini sono preoccupati solo delle “interferenze e pressioni” di Governo e prestiti, ma sono parimenti – e forse di più – preoccupati per i processi, per lo più risoltisi in bolle di sapone – contro leaders e politici del centrodestra (e non solo), asseritamente dovuti alla contiguità di certi settori – maggioritari – della magistratura al centrosinistra. Oltretutto tali processi sono stati caratterizzati da una scarsa rilevanza pubblica delle questioni (come le notti di Arcore a casa Berlusconi), fino al “sequestro di persona” a carico del Ministro degli Interni consistito nel fermo in porto (per quattro giorni) di una nave di migranti. In tal caso, peraltro, pare che i sondaggi diano una significativa maggioranza di consensi popolari all’azione del Ministro imputato.

Inoltre, questa “percezione di bassa indipendenza” è stata rafforzata dallo scandalo delle intercettazioni sul cellulare di Palamara, comprovanti sia la contiguità tra magistrati e politici del centrosinistra, sia la “lottizzazione” degli incarichi dirigenziali in Procure e Tribunali.

Sul perché avviene ciò, malgrado le rilevanti garanzie d’indipendenza della magistratura, tra le più tutelate della U.E., dipende anche dal fatto che, se il potere politico non ha il potere di perseguire i magistrati, ha tuttavia quello di premiarli. A parte gli incarichi amministrativi (numerosi) e in qualche caso, anche giudiziari, spesso magistrati in servizio sono presentati alle elezioni nazionali ed amministrative. Se non eletti (raro) o non rieletti (più facile) ritornano a fare i giudici.

Questa permeabilità tra poteri e carriere non pare conforme ai principi dello Stato di diritto. Montesquieu già sosteneva che la distinzione dei poteri esige d’essere non solo oggettiva, ma anche soggettiva. E conseguentemente negava che le repubbliche italiane, dove spesso i poteri erano distinti, ma erano composti e designati dallo stesso “corpo” di magistrati, la libertà fosse garantita; anzi lo era, a suo giudizio, meno che nelle monarchie assolute1. Anche se l’elettorato passivo è un diritto, per evitare ingressi ed uscite dai poteri a “porte girevoli”, occorrerebbe un regime d’incompatibilità più restrittivo di quello vigente.

Ciò che è omesso, tuttavia, in tema di giustizia, è più interessante di quello che la Commissione prende in esame. Se ricorda, come problema, la lentezza della giustizia italiana, omette di ricordare che anche in forza di disposizioni emanate nell’ultimo trentennio, in Italia eseguire una sentenza contro la PA è sempre più difficile, al punto da richiedere spesso 4-5 anni; una durata superiore a quella – media – del processo di cognizione definito con la decisione giudiziaria da eseguire.

Il tutto è stato oggetto dell’attenzione ripetuta della Corte EDU, con arresti non considerati dalla Commissione.

Non si valuta, poi, quel che risulta dalle stesse contestazioni fatte (qualche anno orsono) dalla Commissione U.E. all’Italia sulla disciplina della legge sulla responsabilità dei magistrati (e di riflesso, dello Stato). Nella sentenza2 della Corte di Giustizia UE del 24/11/2011; si accoglieva il ricorso della Commissione condannando l’Italia3 per la relativa legislazione. Questo perché (citiamo da un’altra sentenza della Corte di giustizia) “Considerazioni (…) connesse alla necessità di garantire ai singoli una protezione giurisdizionale effettiva dei diritti che il diritto comunitario conferisce loro, ostano (…) a che la responsabilità dello Stato non possa sorgere per il solo motivo che una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado risulti dall’interpretazione delle norme di diritto effettuata da tale organo giurisdizionale”: qui era valutata dal giudice europeo l’idoneità della normativa nazionale a garantire i diritti fondamentali dei cittadini. Invece è evidente che tale preoccupazione nella relazione della Commissione passa in secondo piano rispetto alla tutela (peraltro neppure esaustiva) delle garanzie istituzionali del potere giudiziario (a quelli – strumentalmente – connessa).

Concludendo su tale pilastro: la valutazione è parziale e peraltro non tiene conto della giurisprudenza delle Corti europee (non la contraddice, ma la dimentica). Più in generale omette di considerare che, perché uno Stato (anche non di diritto), ma a maggior ragione se tale, esista e garantisca una protezione effettiva, è necessario che il diritto sia applicato efficacemente. Il che in Italia, relativamente all’amministrazione pubblica soprattutto, avviene spesso male e sempre in ritardo. Nel paragrafo dedicato nella relazione UE all’efficienza del sistema giuridico manca così l’esame dei dati più sconfortanti.

3. La parte sulla lotta alla corruzione si apre con dati sulla percezione della stessa dai quali si evince che i cittadini italiani ritengono, con percentuali assai superiori alla media UE, che la corruzione sia molto diffusa. Prosegue poi con l’esame delle iniziative anti-corruzione, valutate positivamente. Il dato, comunque, andrebbe “associato” con quello dell’efficienza della giustizia, che incide sull’efficacia di queste misure.

Resta poi da capire quanto l’attenzione dedicati alla “grande” corruzione (con relative autorità, procure, uffici di polizia specializzati) possa incidere sulla “corruzione quotidiana” delle licenze, concezioni, permessi, autorizzazioni: che poi è quella che probabilmente influenza di più la percezione che, della corruzione, hanno gli italiani. Per questo, sarebbe utile più che un’autorità apposita, un miglioramento della tutela giudiziaria, in particolare amministrativa, l’aggravio delle pene (o l’istituzione) per comportamenti elusivi della P.A.; nonché una normativa generale d’applicazione dell’art. 28 della Costituzione sulla responsabilità dei funzionari.

Resta comunque da capire come la lotta anti-corruzione sia un pilastro dello Stato di diritto (un proprium) e non pilastro di ogni Stato. Inoltre realisticamente occorre tener conto della considerazione di Max Weber – relativa alla corruzione politica, che chi fa politica, vive in genere (anche) di politica.

4. Il pilastro del pluralismo dei media offre un quadro sostanzialmente positivo; a giudizio della Commissione; tuttavia “l’indipendenza politica dei media italiani continua a destare preoccupazione, anche a causa delle “relazioni indirette” tra gli interessi degli editori e il Governo (nazionale e non locale). Sul che si può concordare.

5. Il quarto pilastro su cui si è appuntata l’attenzione della Commissione sono le “questioni istituzionali relative al bilanciamento dei poteri”. Sostanzialmente la Commissione approva l’ordinamento italiano. Tuttavia registra le preoccupazioni di organizzazioni internazionali in relazione alla campagna denigratoria contro le ONG attive nel settore della migrazione e dell’asilo. Anche in tal caso non è chiara la relazione tra denigrazione delle ONG e Stato di diritto.

6. In conclusione la concezione dello Stato di diritto della Commissione U.E. è una delle tante letture che se ne possono avere.

Quel che più colpisce nella relazione è l’assenza dell’esame dei caratteri non meno influenti di quelli valutati. Nell’articolo precedente ne avevo individuati sei, dei quali, al massimo tre rientrano – almeno parzialmente – nei quattro pilastri della Commissione. Ancor più, degli aspetti assai importanti, non sono per nulla presi in esame, malgrado riconducibili ai pilastri. Per l’Italia, ad esempio, la posizione di parità processuale nei processi contro soggetti pubblici, e ancor più l’eguaglianza di trattamento nell’esecuzione dei provvedimenti giudiziari, così ridotta negli ultimi trent’anni, è stata completamente obliterata.

Il tutto è contrario al principio di “parità delle armi” più volte statuito dalla Corte EDU, perché non solo incide sull’esecuzione delle decisioni (cioè sull’effettività e completezza della tutela giudiziaria), ma anche sulla parità processuale più spesso in fatto che in diritto4.

Al contrario poi di quanto si possa leggere sui media (per lo più) si avverte comunque che, anche se omissiva, la relazione delinea come l’insieme degli Stati dell’U.E. sia sostanzialmente di diritto, pur con qualche menda.

Anche gli Stati come l’Ungheria e la Polonia. Se infatti la UE non ha impostato la relazione su punti qualificanti, anche più di quelli presi in esame, lo si deve probabilmente attribuire al fatto che violazioni gravi, ad esempio alla garanzia dei diritti fondamentali, al principio di legalità, al pluralismo non ve ne sono – o almeno ve ne sono di non gravi.

Il che se da una parte potrebbe essere rassicurante (al netto della necessaria diplomazia e delle emergenze della lotta politica) dall’altro, per le violazioni comunque in essere, difficilmente si troverà un difensore a Bruxelles.

Teodoro Klitsche de la Grange

1 v. Esprit de lois, Lib. XI, cap. 6.

2 v. sentenza punto 6 “In data 10 febbraio 2009 la Commissione inviava una lettera alla Repubblica italiana in cui dichiarava che, escludendo qualsiasi responsabilità dello Stato italiano per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto dell’Unione imputabile a un organo giurisdizionale nazione di ultimo grado… e limitando tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave, ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge n. 117/88, la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi fa essa incombenti”

3 Peraltro molto simile è il dictum della sentenza 13 giugno 2006, causa C. 173/03.

4 Per esempio con l’esclusione di prove in giudizio, che in fatto limitano la parte privata assai più di quella pubblica, come nel processo tributario.

L’UNIONE EUROPEA E LO STATO DI DIRITTO, di Teodoro Klitsche de la Grange

L’UNIONE EUROPEA E LO STATO DI DIRITTO

1. Dopo essere stato messo (politicamente) in naftalina, lo “Stato di diritto”, grazie, soprattutto, all’Unione Europea, è tornato alla ribalta, non solo nelle procedure d’infrazione attivate (v. Polonia ed Ungheria); ma è celebrato quale “valore fondante” dell’Europa nei discorsi dei politici (e così via). Date le mie convinzioni politiche, di tale revival non posso che essere lieto; ma, tenuto conto a) del concetto e b) della normativa europea, occorre segnalarne l’ampia possibilità di un uso improprio e strumentale.

Cominciamo col dire che dello “stato di diritto” (per non dire di concetti prossimi) i giuristi – e non solo – hanno dato tanti significati, quasi pari al numero di quelli che se ne sono occupati.

Il termine comincia ad essere usato nella dottrina (e nella politica) tedesca dalla prima metà dell’800, per connotare il nuovo tipo di organizzazione statale e di rapporti tra società civile e poteri politici. Il Rechtstaat era contrapposto al Machtstaat (e al Polizeistaat) in quanto (al minimo) limitato dal diritto (e dai diritti).

I caratteri fondamentali di tale nozione erano: la libertà degli individui, titolari di diritti insopprimibili, anche dallo Stato; la certezza (calcolabilità) del diritto; il vincolo dell’attività amministrativa alla legge; il controllo di quella da parte di uffici giurisdizionali indipendenti.

Accanto a ciò si configurava – anche se concettualmente separata – la partecipazione dei cittadini alla gestione statale e in particoilare alla legislazione. Già un coerente liberale come Constant faceva dell’esercizio solerte dei diritti di partecipazione alla formazione della volontà pubblica – la “libertà degli antichi” – il complemento e la garanzia dei diritti di libertà dell’oppressione (anche) dello Stato1. Nello stesso tempo il collegamento tra prevalenza della legge sull’atto amministrativo e partecipazione della rappresentanza nazionale (cioè dei cittadini-elettori) alla formazione della legge, faceva sì che questa fosse “trattata con indulgenza” nel senso che, a differenza degli atti del potere giudiziario ed amministrativo (sentenze e provvedimenti) non fosse assoggettata ad alcun controllo né esterno, ma neppure interno.

Non mancavano comunque concetti, in parte coestensivi, con quello di Stato di diritto. V. E. Orlando, dopo aver distinti tra forme dispotiche, semilibere e libere di governo2, a seconda dei diritti di partecipazione alla cosa pubblica riconosciuti (e non riconosciuti) ai governati, includeva tra i fondamenti della forma di “governo rappresentativo”, la distinzione dei poteri “il governo rappresentativo si fonda principalmente sulla giuridica distinzione dei poteri e sull’appropriazione ad essi di organi determinati” e la tutela giuridica “il governo rappresentativo attua scrupolosamente e pienamente la tutela giuridica fra i consociati (obietto del Diritto amministrativo)”.

Accanto ai quali il giurista siciliano aggiungeva due caratteri: “Il governo rappresentativo moderno si propone di curare ed attuare l’armonia esterna e costante fra i due elementi essenziali, cioè la coscienza popolare e la tradizione, non solo nel fatto, come in ogni forma di governo, ma altresì nel diritto positivo, per mezzo di istituti determinati”; ed anche la “pubblicità è finalizzata al controllo da parte dell’opinione pubblica”. La quale, secondo Schmitt era conseguenza del carattere democratico della Repubblica di Weimar3.

Carré de Malberg, proprio come derivante dell’illimitatezza della legge, negava che, per la Francia, potesse parlarsi di Stato di diritto, ma piuttosto di État legal4. Tra le differenze dell’État legal rispetto all’État de droit, il giurista francese sottolineava l’impossibilità di ricorrere avversi gli atti legislativi violativi di diritti, che nell’Ésprit dello Stato di diritto avrebbero dovuto essere garantiti dalla Costituzione anche nei confronti del potere legislativo5.

Anche M. Hauriou pensava che il controllo giurisdizionale in un paese di diritto amministrativo come la Francia si sarebbe fatta strada, e che Le règime administratif avrebbe evitato che degradasse in un governo di giudici6.-

2. L’introduzione del controllo giudiziario di costituzionalità e delle costituzioni rigide del ‘900 ha attuato l’auspicio/previsione dei giuristi francesi testé citati, ampliando l’ambito dello Stato di diritto. Peraltro, a prescindere dalla tutela giudiziaria, anche sul piano sostanziale con l’includere tra i diritti fondamentali non solo libertà e proprietà, ma anche quelli a carattere sociale. Il Rechstaat diveniva così anche un Sozialstaat.

Con ciò il nuovo stato di diritto assumeva una connotazione (anche) di contenimento (se non di contrapposizione) del capitalismo.

Peraltro i diritti “sociali” aventi un carattere (prevalente) d’obbligo e richiedenti un’apposita organizzazione – pubblica o, almeno, regolata e controllata pubblicamente – determinavano l’espansione della presenza dello Stato; e data la “contraddittorietà” tra i diritti garantiti, la composizione del tutto richiedeva tecniche interpretative che ne conciliassero le antinomie (come il “bilanciamento”) e valorizzassero i principi costituzionali. Dallo Stato di diritto si passava così allo “Stato costituzionale di diritto”. Come scrive un acuto giurista argentino, Luis Bandieri, analizzando la dottrina costituzionalista italiana più recente, riconducibile a quella concezione, si è passati così da un positivismo di norme (kelseniano) a un positivismo di valori.

Inoltre, a seguito delle dichiarazioni internazionali sui diritti dell’uomo (v. La dichiarazione ONU dei diritti dell’uomo del 1948; Convenzione europea dei diritti dell’uomo – tra le più importanti) alcuni dei fondamenti dello Stato di diritto sono stati internazionalizzati (dandone luogo ad una “globalizzazione”). Lo Stato di diritto inotre è stato esplicitamente richiamato nel TUE (art. 2 e 21), tra i principi e i valori fondamentali dell’Unione; si legge all’art. 2 “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini” e all’art. 21 “L’azione dell’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, Stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e di solidarietà e rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale” (I comma); al comma II “L’unione definisce e attua politiche comuni e azioni e opera per assicurare un elevato livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al fine di….b) consolidare e sostenere la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti dell’uomo e i principi del diritto internazionale”. Con ciò lo Stato di diritto si trova in sovrabbondante compagnia (talvolta anche ridondante).

3. Da tale necessariamente breve – e limitata – esposizione consegue che a denotare il concetto di Stato di diritto (e delimitarne così l’estensione) e ricondurre al di esso schema ideale un ordinameno statale concreto sono:

a) la garanzia dei diritti fondamentali, sia quelli “borghesi” che quelli “sociali” (almeno in parte)

b) la distinzione dei poteri. Si noti che la distinzione è attuata dalle costituzioni in modi e forme assai diverse

c) in particolare, tra le garanzie, vi sono quelle giurisdizionali, che Salandra già distingueva in dirette e indirette

d) in tale contesto rientrano anche le institutionnellegarantien, come quelle sull’indipendenza del potere giudiziario e del giudice

e) le garanzie giudiziarie (v. punto c) sono complete. Ossia nel XXI secolo, anche sugli atti legislativi, col controllo di costituzionalità; esse, per quanto possibile, devono svolgersi in condizioni di parità7.

f) l’osservanza di condizioni eque nella formazione di organi di governo e dell’opinione pubblica.

Anche si potrebbe osservare che non rientrano in un concetto “stretto” dello Stato di diritto, ma piuttosto in quello di democrazia, appare corretta l’impostazione condivisa, tra gli altri, da Constant e Orlando (ma anche da Gneist) che la corretta partecipazione dei cittadini alla funzione pubblica è carattere determinante dello Stato di diritto.

Tralasciamo altri aspetti, di minimo rilievo.

4. È noto che lo Stato di diritto è stato declinato in tanti modi quante sono le costituzioni che ne hanno adottato il modello o, almeno, alcuni caratteri fondamentali; ne deriva che a seconda dell’importanza che si da all’uno o all’altro profilo si rischia di escludere che un ordinamento costituzionale concreto sia uno Stato di diritto. Ad esempio nella procedura U.E. d’infrazione alla Polonia è stata contestata le limitazioni all’indipendenza dei giudici polacchi dopo le innovazioni degli ultimi anni8. Nella risoluzione del Parlamento europeo del 17/09/2020 si stigmatizzano varie violazioni allo Stato di diritto per lo più per l’invadenza del potere governativo sul giudiziario, che compromette l’indipendenza di quest’ultimo, soprattutto per la nomina (politica) di quasi tutto il CSM polacco. Tuttavia negli USA tutti i giudici della Corte Suprema, e molti di quelle “inferiori” sono di nomina (o elezione) politica, ma pare assai difficile sostenere che gli USA non sono uno Stato di diritto, ma anche che quel modo di nominare comprometta gravemente lo Stato di diritto (come scritto – per le meno influenti innovazioni polacche – nell’epigrafe della risoluzione del Parlamento europeo per la procedura d’infrazione alla Polonia).

Oltretutto, come cennato, alcuni di quei fondamenti del Rechtstaat non sono complementari o sovrapponibili senza problemi, ma potenzialmente confliggenti, in specie quando riguardano la democrazia e l’uguaglianza, le quali, oltretutto, oltre a essere parzialmente coincidenti con il concetto di Stato di diritto, sono anche esse indicate tra i “valori fondanti” dell’UE (v. art. 2 T. U.E.).

La contrapposizione tra Stati di diritto, o meglio Stati di democrazia liberali e Stati di non democrazia liberale, come i defunti Stati del socialismo reale era – per altri ordinamenti – facile, perché le differenze erano plurime.

L’assenza, in quest’ultimi, di distinzione di poteri, la garanzia di solo alcuni dei diritti fondamentali (in genere a rimetterci erano la libertà e, in larga misura, la proprietà); la dipendenza della magistratura dal potere politico, la selezione ed elezione della rappresentanza parlamentare; il ruolo di questa, e quello dirigente del Partito comunista; l’imperfetto – o totalmente carente, pluralismo politico; la mancanza di istituzioni giudiziarie di garanzia contro gli atti del potere politico-amministrativo (giustizia amministrativa e costituzionale) rendevano di inconfutabile evidenza che si trattava di forme di stato e di governo radicalmente diverse. Giudizio corroborato dalle dichiarazioni e preamboli a alle di essi costituzioni che – di solito – contrapponevano esplicitamente il loro ordinamento a quello liberal-democatico.

Il che non ricorre affatto nella procedura d’infrazione a carico di Polonia ed, ancor più, Ungheria. Qua la stessa UE scrive non di Stati non di diritto, ma di gravi violazioni dello Stato di diritto (a intenderla in un senso, sono ordinamenti in complesso accettabili ma con dei vulnera). Diversamente da quel che si legge sulla stampa antipopulista in s.p.e. ed eurolirica dalla quale si potrebbe credere che i suddetti Stati siano sintesi politiche per nulla liberali e anche non del tutto democratiche. Mentre invece, tenuto conto dell’elasticità del concetto di Stato di diritto, occorre dare un giudizio complessivo e avere la prudenza consigliata da Machiavelli che, in politica, occorre prendere “il men tristo per buono”. In effetti se pure – ad esempio – alcune innovazioni al rapporto governo/giurisdizione incidono negativamente sull’indipendenza dei giudici polacchi, e possono essere considerate violazioni gravi, oltre, come quelle elencate nei punti 54-63 della citata risoluzione del Parlamento UE sulla libertà e l’educazione sessuale, sull’intolleranza verso minoranze (soprattutto LGBT) non appaiono gravemente compromettenti lo Stato di diritto.

Piuttosto provano che l’Unione Europea, sotto l’involucro “Stato di diritto” cela una propria concezione della società e dei rapporti sociali e politici che dello Stato di diritto può essere considerata una specie (in parte); in altra estranea. D’altronde ciò emerge esplicitamente dalla risoluzione del 17 settembre 2020 sulla Polonia, laddove il Parlamento (v. punto 66) “invita il Consiglio e la Commissione ad astenersi da un’interpretazione restrittiva dello Stato di diritto…”, cioè da quella (meglio da quelle) interpretazione che non soddisfano la maggioranza parlamentare che l’ha votata.

Teodoro Klitsche de la Grange

1 v. B. Constant, La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, Liberilibri, Macerata 2020, pp. 26 ss.

2 v. Principi di diritto costituzionale, Barbera, 1904, pp. 63 ss.

3 v. Verfassungslehre, trad. it., di A. Caracciolo, Milano 1984, pp. 319 ss. Infatti Schmitt afferma “Il popolo appare solo nella pubblicità: esso produce anzi la pubblicità. Popolo e pubblicità coesistono; nessun popolo senza pubblicità e nessuna pubblicità senza popolo”.

4 Scrive infatti “Tandis que la législation est libre, l’administration est constitutionnellement liée ; elle ne peut s’exercer que sous l’empire des lois, qui la dominent et la limitent juridiquement ; elle est donc tenue d’obeir aux lois et de s’y conformer. C’est là une consequénce de la supériorité, en particulier de la superiorité statutaire, de la loi” Contribution à la théorie général de l’État, Tome 1, Paris 1924, p. 486 e ss; nel diritto francese la subordinazione dell’amministrazione alla legge arriva a un punto che non può esercitarsi che secundum legem (la legge è non solo il limite, ma anche la condizione di esercizio del potere amministrativo). Lo Stato di diritto è quello che “assure aux administrés, comme sanction de ces règles, un pouvoir juridique d’agir devant une autorité juridictionnelle à l’effet d’obtenir l’annullation, la réformation ou en tout cas la non-application des actes administratifs qui les auraient enfreintes” (oltre s’intende alla regolamentazione legislativa dell’amministrazione). Ma “Toute autre est le système établi par la mConstitution française en ce qui concerne la subordination de la puissance administrative à la législation » per cui compete alla repubblica francese essere denominata État legal, ossia « un État dans lequel tout acte de puissance administrative présuppose une loi à laquelle il se rattache et dont il soit destiné à assurer l’exécution”.

5 Op. cit., p. 492.

6 v. Précis de droit constitutionnel, Paris 1929, pp. 266 ss. e pp. 279 ss.

7 Com’è noto non è sempre del tutto possibile. V. sul punto rimando al mio scritto Temi e dike nel tramonto della Repubblica in Rivoluzione liberale 17/07/2018.

8 v. La risoluzione del Parlamento europeo del 17/09/2020 sulla proposta di decisione del Consiglio sulla constatazione dell’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dello Stato di diritto da parte della Repubblica di Polonia (COM(“2017)0835-2017/0360R(NLE)); in particolare i punti da 16 a 37, sul potere giudiziario.

Oceano e spazio, la terza dimensione della geopolitica, di Pierre Royer

Oceano e spazio, la terza dimensione della geopolitica

Per millenni, la geopolitica ha fatto parte delle due dimensioni che determinano la superficie terrestre. Le battaglie navali avvenivano nelle immediate vicinanze delle coste, assimilate così al prolungarsi dei conflitti il ​​cui esito si svolgeva spesso sulla terraferma. A partire dal XVII ° secolo, la navigazione oceano permette un’azione in profondità e rivela una certa sorpresa strategica da iniziative ai teatri lontani, almeno difesi. Ma queste azioni sono raramente provano decisivo e non è stato fino al XX ° secolo per il controllo di 3 edimensione diventa capitale. Gli spazi pionieri per eccellenza, l’oceano e lo spazio sono soprattutto aree di controllo, il che giustifica l’interesse delle grandi potenze.

  1. Limiti tecnici e umani

Il primo limite che gli uomini incontrano nel conquistare questi spazi è ovviamente tecnico, di fronte alla sfida dell’immensità. Ampiezza relativa degli spazi oceanici, con navi la cui velocità e capacità di trasportare cibo è limitata. Nel 1492, Colombo navigò per trentasei giorni senza toccare terra per andare dalle Canarie alle Bahamas, Magellan quasi cento giorni nel 1521 per attraversare il Pacifico. Ancora oggi, ci vuole più di un mese di navigazione (non-stop) per collegare l’Europa e l’Asia orientale o attraversare il Pacifico. Immensità assoluta, e persino infinità dello spazio esterno: anche la Luna, la stella a noi più vicina, si trova a una distanza equivalente a nove o dieci volte la circonferenza della Terra – le missioni Apollo impiegavano settanta ore per raggiungerla e un aereo di linea impiegava dai sedici ai diciotto giorni – e Marte, il nostro “vicino”, il unico pianeta che sembra ragionevolmente alla portata dell’uomo, è circa 200 volte più lontano! Un viaggio con equipaggio su Marte riprodurrebbe le condizioni delle esplorazioni marittime dei tempi moderni, aggravando il vincolo dell’esiguità, e quindi la pressione psicologica, che pone qualsiasi esperienza di questo tipo sul filo del rasoio, come marinai dell’era atomica.

 

Questi limiti spiegano perché la progressiva esplorazione di questi spazi può ancora essere considerata imperfetta: meno di vent’anni fa abbiamo un record del primo calamaro gigante vivente e abbiamo esplorato appena il 5% delle profondità oceaniche, come non sappiamo. 96% dell’universo (se questa stima ha senso per una nozione “infinita”) perché, nell’abisso come nello spazio, l’intervento umano diretto è difficile e molto puntuale, addirittura impossibile, sia per ragioni simili (mancanza di ossigeno) o opposte (assenza di gravità in un caso, pressione estrema nell’altro). Per scoprire questi spazi, senza nemmeno parlare di farli propri, è quindi necessario padroneggiare tecnologie complesse: cantieristica navale, cartografia, navigazione astronomica di ieri, costruzioni aerospaziali, automazione e digitalizzazione, la rete satellitare oggi. Si tratta di tecnologie d’élite, non solo perché richiedono un’incredibile quantità di competenze, intellettuali oltre che manuali, per implementarle, ma perché richiedono anche notevoli mezzi finanziari e molto tempo: l’ANS[1] Suffren , consegnato alla Marina francese nel 2020, è il risultato del programma Barracuda lanciato nel 2006, l’ultima unità del quale (la Duquesne ) dovrebbe entrare in servizio nel 2029 e rimanere nella flotta fino al 2060 circa.

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Queste tecnologie sono tanto meno accessibili a tutti in quanto sono generalmente oggetto di sorveglianza, di una politica di segretezza per mantenere un vantaggio essenziale da una prospettiva di potere o semplicemente commerciale. Carte nautiche, i trattati di navigazione sono stati tenuti segreti e nel XVI ° secolo, che gli algoritmi di oggi. Fu solo con l’esplorazione dell’Atlantico di Halley nel 1698-1699 che la conoscenza divenne un fattore di prestigio e da quel momento in poi fu mostrata (almeno in Europa) piuttosto che nascosta. Le imprese tecnologiche o le esplorazioni avventurose verranno ora pubblicizzate, anche se i dettagli delle tecniche per realizzarle rimangono sotto sorveglianza.

L’inaugurazione della SNA Suffren.

Dal mare allo spazio

La logica ultima di questa copertura mediatica era la conquista dello spazio, oggetto di una rivalità tra le due superpotenze del dopoguerra. Nel mondo bipolarizzato della Guerra Fredda, il progresso tecnologico è stato sia una vetrina del suo know-how, e quindi del suo avanzamento sull’altro modello, sia un sostituto di un conflitto diretto che non poteva aver luogo a causa di deterrenza nucleare. La corsa allo spazio aveva inoltre a che fare con il progresso dell’arma atomica, perché la tecnologia del razzo (motorizzazione, potenza, guida, controllo automatizzato) era la stessa, su scala più ampia, di quella usata per il missili intercontinentali, vettori invulnerabili della bomba.

È quindi comprensibile che gli americani fossero preoccupati per l’avanzata presa dai sovietici nelle prime fasi di questa corsa: primo satellite artificiale (Sputnik, 1957), prima essere vivente poi primo uomo nello spazio ( Gagarin, 1961). Il candidato democratico nel 1960, John F. Kennedy, ha utilizzato il tema del “gap missilistico” durante la sua campagna per screditare il suo avversario Richard Nixon, vicepresidente uscente. Sotto Johnson (1963-1968), la tendenza sarà invertita e Nixon, ora presidente, avrà la soddisfazione di assistere al primo sbarco sulla luna per il suo primo anno in carica (1969). E lo spazio testimonierà anche il cambiamento nelle relazioni tra i due grandi quando la logica del confronto succederà a quella della distensione: nel luglio 1975, nel mezzo della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa a Helsinki (CSCE), il lo stivaggio di una cabina Apollo e di una navicella Soyuz ha dimostrato la capacità dei due grandi di cooperare in uno spazio da cui partono una serie di accordi internazionali, conclusi da un decennio,

  1. Spazi di controllo

Ciò è comunque vero per il dispiegamento permanente di sistemi d’arma o per uso militare (trattato del 1967, trattato ABM [2] del 1972). Eppure le prime mete della ” dimensione 3 E ” erano bene, e rimangono, militari: è l’osservazione e la conoscenza delle forze e dei movimenti del nemico. Aeroplani o dirigibili furono incorporati negli eserciti per questo scopo, prima di sviluppare capacità decisive di attacco al suolo alla fine della prima guerra mondiale; Dal 1916 e dalla battaglia di Verdun, la prima battaglia per la superiorità aerea, la padronanza dello spazio aereo “sovrastante” è una condizione sine qua non vittoria, a terra come in mare, come i satelliti, sono diventati la principale fonte di questo bene essenziale per i leader: l’informazione, nel suo doppio aspetto di raccolta (osservazione) e trasmissione (comunicazioni).

Uno spazio essenziale per la capacità di azione

In modo che il 3 °dimensione è la chiave per la libertà di intraprendere azioni su larga scala in geopolitica: è grazie alla sua maestria che un potere può avere informazioni sufficientemente precise, statiche e dinamiche (satelliti di osservazione e geolocalizzazione) , per decidere e condurre un’azione su qualsiasi scala. Dall’azione furtiva (squadre di commando) o addirittura invisibile, nel cyberspazio, come la contaminazione da parte di Stuxnet che probabilmente ha preso di mira il programma nucleare iraniano, all’azione senza risposta basata su missili tele o homing e / o droni lanciati da aerei o forze navali operanti in aree internazionali, inclusa la semplice esibizione di forza dissuasiva che costituisce il dispiegamento di una significativa forza aerea navale in prossimità di aree critiche.

La libertà di attuare tali mezzi e la loro efficacia sono tanto più sottolineate dalle difficoltà che le truppe di terra incontrano oggi, in particolare nei conflitti asimmetrici: per ottenere risultati, devono dispiegare in massa, che richiede logistiche disabilitanti e aumenta il rischio di tensioni con le popolazioni locali, senza una reale garanzia di efficacia contro un nemico che sfrutta anche le possibilità offerte dalla 3a dimensione in termini di comunicazione criptata, capacità tracciamento, ecc.

 

La questione dell’autonomia, quindi la sovranità è quindi molto direttamente correlata ai mezzi per agire in questa 3 e dimensione strategica, se non altro per avere un’indipendenza nell’informazione – ecco cosa che ha spinto Russia, Cina, ma anche Giappone o Unione Europea, a sviluppare ad esempio un proprio sistema di geolocalizzazione. L’affermazione del potere oggi passa attraverso le tecnologie balistiche – lo vediamo con la Corea del Nord – e attraverso programmi spaziali autonomi o in collaborazione limitata – come l’Agenzia spaziale europea, creata nel 1975, o la cooperazione israeliana. -indiano dagli anni 2000.

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Ma non dobbiamo dimenticare l’aspetto marittimo di questa terza dimensione, vale a dire la profondità. Il 99% delle comunicazioni istantanee di cui godono i nostri computer e telefoni passa attraverso cavi che si trovano sul fondo dell’oceano e la rete in continua espansione ora include più di 300 cavi che si avvicinano a un milione di miglia. E i sottomarini, in particolare a propulsione atomica che beneficiano di una totale autonomia [3], sono anche gli strumenti ideali per la raccolta di informazioni, siano esse tattiche (illuminazione di una forza navale) o strategiche e, naturalmente, per gli attacchi: con missili, sia da crociera che balistici , testata nucleare o meno, il 95% delle aree abitate del globo sono vulnerabili a un attacco innescato dal mare, in particolare le più grandi metropoli, la maggior parte delle quali si trova entro 200 km dalla costa. Viceversa, a causa della loro furtività e della loro mobilità, i sottomarini atomici sono piattaforme quasi impercettibili, e quindi quasi invulnerabili, salvo un incidente o un incredibile colpo di fortuna da parte del “cacciatore”. Questo è ciò che rende gli SSBN (sottomarini missilistici nucleari) i vettori essenziali della deterrenza nucleare,

  1. La tentazione della territorializzazione

Grazie alle profondità, il mare ha mantenuto il ruolo di spazio di sorpresa che ha sempre avuto, dalle incursioni vichinghe agli sbarchi alleati della seconda guerra mondiale e persino in Corea. Oggi, il rilevamento aereo, e ancor di più via satellite, impedisce a una flotta di superficie di nascondersi, ma i sottomarini mantengono questa capacità. Anche se la precisione dei satelliti è raffinata, il che consente loro di contribuire, ad esempio, a comprendere gli effetti del riscaldamento globale sugli oceani (temperatura, livello, correnti, ecc.), Non rilevano ancora i sottomarini oltre poche decine di metri di profondità.

Logicamente, la capacità di osservazione ha portato a un maggiore desiderio di controllo e regolazione. Questo è il XVII ° secolo, che l’idea di proprietà, o per lo meno il controllo legale delle aree marittime prendendo forma, con la prima estensione della sovranità di uno Stato per le acque costiere (1604) e con il dibattito avviato dal gli olandesi sulla libertà dei mari, difesi dal giurista Grotius (1583-1645) nel suo Mare liberum (1609). Questo lavoro, bandito in Inghilterra, ha suscitato una risposta da John Selden (1584-1654) attraverso il suo Mare clausum, completato già nel 1618, ma pubblicato una ventina di anni dopo. I principi ei metodi poi conservati per definire e tracciare le Camere del Re, la prima forma di acque territoriali, sono abbastanza vicini a quelli approvati quasi quattro secoli dopo a Montego Bay per la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, in particolare nozioni di linee di base o passaggi innocui.

 

Questo perché il diritto marittimo è soprattutto consuetudinario. La progressiva estensione delle acque sotto la giurisdizione nazionale avviene casualmente da casi pratici, ma accompagna anche le capacità di sorveglianza degli Stati: il limite di 3 miglia nautiche (circa 5 km) delle acque territoriali è stato per lungo tempo la norma perché corrispondeva al capacità pratiche di azione di uno Stato, e sono gli Stati Uniti che la estenderanno fino a 12 miglia nautiche per combattere contro le “barche del peccato”, queste navi casinò ancorate al limite di 3 miglia nautiche, quindi in vista della costa, al tempo del divieto di alcol (1917-1933) – questo diventerà il nuovo standard del mare territoriale alla conferenza di Ginevra nel 1958. La creazione della Zona Economica Esclusiva (ZEE) da parte di la convenzione del 1982, portando fino a 200 miglia (370 km) i diritti e le responsabilità dei residenti nella regolazione di determinate attività, corrispondeva a un compromesso tra gli Stati “poveri”, desiderosi di un’estensione del loro mare territoriale fino a questo limite, e le competenze navi marittime che desiderano mantenere la massima libertà di navigazione e di azione possibile. Si noti che lo spazio aereo riproduce fedelmente lo stato delle terre o dei mari sottostanti: lo spazio aereo nazionale si estende quindi anche al di sopra del mare territoriale.

ZEE e piattaforma continentale

La ZEE può anche essere estesa dalla piattaforma continentale fino a un massimo di 350 miglia (650 km) se questa estensione è giustificata da argomenti geologici e convalidata da una commissione specializzata delle Nazioni Unite. Questo è ciò che consente alla Francia, che ha la seconda ZEE più grande al mondo dietro gli Stati Uniti, di avere il primo dominio sub-marittimo dalla convalida delle estensioni nel 2015, con 11,6 milioni di km², in in attesa di ulteriori decisioni. Le aree che non rientrano nella ZEE o nelle piattaforme continentali (circa il 60% degli oceani) costituiscono l’alto mare, dove prevale il principio di libertà. Tuttavia, ciò non significa che sia una zona illegale, perché sono state concluse convenzioni specifiche per la regolamentazione della pesca, regionale (tonno, merluzzo) o globale (caccia alle balene,

Fino ad oggi, oltre alle risorse ittiche, sono principalmente le riserve di idrocarburi ad essere sfruttate, a profondità sempre maggiori – dell’ordine di 3.000 m di colonna d’acqua, a cui si aggiunge la profondità di foratura. La maggior parte delle nuove riserve scoperte, a parte il gas di scisto e il petrolio, sono ora in mare e lo sfruttamento offshore fornisce circa un terzo della produzione mondiale, grazie a giacimenti che si trovano in ZEE generalmente riconosciute, anche se la scoperta di tali ricchezze a volte riattiva controversie dormienti finché non c’erano quasi poste in gioco, ad esempio i giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale.

Sfruttare le risorse del mare

Lo sfruttamento delle risorse minerarie in mare, solitamente situate a profondità molto elevate, è solo all’inizio: la società australiana Nautilus Minerals ha lanciato nel 2019 il progetto Solwara 1 al largo della Nuova Guinea per la produzione di rame e oro – ma l’enorme dimensione dei depositi suggerisce che la corsa arriverà presto. Un rapporto congiunto CNRS e Ifremer pubblicato nel 2014 ha stimato che la zona di Clarion-Clipperton (15% dell’Oceano Pacifico), grazie al suo “campo” di noduli polimetallici, conteneva 6.000 volte più tallio, 3 volte più cobalto e più manganese e nichel di tutte le risorse individuate al di fuori degli oceani. Anche le risorse genetiche marine (codici del DNA degli organismi marini) sono oggetto di molte fantasie – e semplificazioni,

Piattaforma di perforazione petrolifera offshore.

Il problema però non è cambiato: si tratta ancora di garantire la più ampia libertà di accesso possibile a queste risorse, ma bisogna scegliere tra una libertà incantatoria, l’apertura all’accesso al saccheggio, secondo una concezione simile a quella di pirati di tutti i tempi, e non solo in mare, e libertà reale, che presuppone regole eque e autorità per farle rispettare. L’ONU ha anche avviato nel 2018 negoziati per completare la Convenzione sull’alto mare del 1982. Il senso della storia cresce in effetti con l’aumento della presenza dell’uomo nel 3 ° dimensione, che sia una presenza legale o una presenza fisica, con il proliferare di installazioni sostenibili in alto mare: piattaforme petrolifere, parchi eolici … Il problema sorgerà senza dubbio presto nello spazio esterno, che è indistinguibile non per il momento di un’estensione infinita dello spazio aereo.

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Realisticamente, con un interesse strategico ed economico del 3 e rafforzato per dimensioni e capacità di intervento umano aumentato, il gioco del potere è sicuro di dispiegarlo, a volte a discapito della legge. L’appropriazione da parte della Cina di isolotti o scogliere nel Mar Cinese Meridionale per aumentare il suo mare territoriale e la sua ZEE, a dispetto delle rivendicazioni concorrenti e di un parere della Corte internazionale di giustizia dell’agosto 2016, annuncia conflitti a venire. E la possibilità di attraccare satelliti già in orbita apre anche la strada a una “guerra spaziale” che non ucciderà le persone, ma giocherà comunque un ruolo decisivo nella difesa della sua sovranità.

Cronologia: padronanza del mare e dello spazio in 21 date

  • 1405-1433: le 7 spedizioni di Zheng He
  • 1519-1522: prima circumnavigazione (Magellano – Elcano)
  • 1604: istituzione delle Camere dal re Giacomo I ° d’Inghilterra
  • 1843: prima nave in acciaio azionata da un’elica ( Gran Bretagna )
  • 1851: primo cavo sottomarino (Calais-Douvres)
  • 1869: apertura del Canale di Suez
  • 1905: primi voli controllati dei fratelli Wright
  • 1911: primo esempio di bombardamento aereo (Tripolitania)
  • 1914: siluramento di 3 incrociatori britannici da parte del sottomarino U9
  • 1929: definizione universale di miglio nautico
  • 1939: primo volo di un aereo a turbogetto autonomo
  • 1954: lancio del Nautilus , il primo sottomarino atomico della storia
  • 1957: lancio del primo satellite artificiale, Sputnik I.
  • 1960: il Bathyscaphe Trieste raggiunge il fondo della Fossa delle Marianne (- 11.000 m)
  • 1967: trattato sull’uso pacifico dello spazio cosmico
  • 1969: sbarco sulla luna della missione Apollo XI (21 luglio)
  • 1970: risoluzione 2749 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite
  • 1975: Apollo – Missione Soyuz
  • 1982: Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay)
  • 2010: rilevamento del worm Stuxnet, il primo caso identificato di attacco informatico
  • 2020: primo ormeggio dei satelliti in orbita geostazionaria

[1] SNA: sottomarino da attacco nucleare. Sottomarino a propulsione atomica dedicato ad attaccare forze navali o obiettivi terrestri con armi non nucleari (missili, siluri).

[2] Missili antibalistici: armi destinate all’intercettazione di missili intercontinentali.

[3] Non hanno infatti bisogno di fare rifornimento e riciclano l’aria e l’acqua, potendo rimanere in immersione totale finché dura la loro scorta di cibo e l’equipaggio resiste al confinamento.

https://www.revueconflits.com/ocean-espace-geopolitique-pierre-royer/

La fine dell’illusione americana, di Nadia Schadlow

Il presidente degli Stati Uniti Trump in Wisconsin, giugno 2020
Tia Dufour / Ufficio stampa della Casa Bianca

Dalla fine della Guerra Fredda, la maggior parte dei politici statunitensi è stata ingannata da una serie di illusioni sull’ordine mondiale. Sulle questioni critiche, hanno visto il mondo come vorrebbero che fosse e non come è realmente. Il presidente Donald Trump, che non è un prodotto della comunità di politica estera americana, non lavora sotto queste illusioni. Trump è stato un disgregatore e le sue politiche, informate dalla sua prospettiva eterodossa, hanno messo in moto una serie di correzioni attese da tempo. Molti di questi aggiustamenti necessari sono stati travisati o fraintesi negli odierni dibattiti al vetriolo e di parte. Ma i cambiamenti che Trump ha avviato contribuiranno a garantire che l’ordine internazionale rimanga favorevole agli interessi e ai valori degli Stati Uniti ea quelli di altre società libere e aperte.

Mentre il primo mandato dell’amministrazione volge al termine, Washington dovrebbe fare il punto sullo sgretolamento dell’ordine post-Guerra Fredda e tracciare un percorso verso un futuro più equo e sicuro. Non importa chi sia il presidente degli Stati Uniti a gennaio, i politici americani dovranno adottare nuove idee sul ruolo del paese nel mondo e un nuovo modo di pensare sui rivali come Cina e Russia, stati che hanno a lungo manipolato le regole dell’ordine internazionale liberale per conto loro. vantaggio.

Una nuova serie di ipotesi dovrebbe sostenere la politica estera degli Stati Uniti. Contrariamente alle previsioni ottimistiche fatte sulla scia del crollo dell’Unione Sovietica, la diffusa liberalizzazione politica e la crescita delle organizzazioni transnazionali non hanno mitigato le rivalità tra i paesi. Allo stesso modo, la globalizzazione e l’interdipendenza economica non sono state merci incontaminate; spesso hanno generato disuguaglianze e vulnerabilità impreviste. E sebbene la proliferazione delle tecnologie digitali abbia aumentato la produttività e portato altri vantaggi, ha anche eroso i vantaggi delle forze armate statunitensi e posto sfide alle società democratiche.

Date queste nuove realtà, Washington non può semplicemente tornare ai comodi presupposti del passato. Il mondo è andato oltre il “momento unipolare” del periodo post-Guerra Fredda e in un’era di interdipendenza e competizione che richiede politiche e strumenti differenti. Per navigare adeguatamente in questa nuova era, Washington deve lasciar andare le vecchie illusioni, superare i miti dell’internazionalismo liberale e riconsiderare le sue opinioni sulla natura dell’ordine mondiale.

TUTTI INSIEME ORA?

Mentre il ventesimo secolo volgeva al termine, il numero crescente di paesi che abbracciavano ideali democratici ispirò orgoglio in Occidente e grandi speranze per il futuro. Si è formato un consenso sul fatto che una convergenza sulla democrazia liberale avrebbe portato a un ordine politico internazionale stabile. Mentre l’Unione Sovietica si inaridiva e la Guerra Fredda finiva, il presidente degli Stati Uniti George HW Bush ha chiesto un “nuovo ordine mondiale”, una “Pax Universalis” fondata su valori liberali, governance democratica e mercati liberi. Diversi anni dopo, la Strategia per la sicurezza nazionale del 1996 del presidente Bill Clinton ha articolato una politica di impegno e allargamento democratico che avrebbe migliorato “le prospettive di stabilità politica, risoluzione pacifica dei conflitti e maggiore dignità e speranza per le persone del mondo”.

Questa presunzione di convergenza liberale ha motivato la decisione di consentire alla Cina di aderire all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) nel 2001. Come disse Clinton all’epoca, tale apertura avrebbe “un profondo impatto sui diritti umani e sulla libertà politica”. Il resto del mondo avrebbe avuto accesso ai mercati cinesi e alle importazioni a basso costo, e la Cina avrebbe avuto la possibilità di portare prosperità a centinaia di milioni, il che, secondo molti a Washington, avrebbe migliorato le prospettive di democratizzazione. È stata una vittoria per tutti.

Ma la Cina non aveva intenzione di convergere con l’Occidente. Il Partito Comunista Cinese non ha mai inteso giocare secondo le regole dell’Occidente; era determinato a controllare i mercati piuttosto che ad aprirli, e lo fece mantenendo il suo tasso di cambio artificialmente basso, fornendo vantaggi sleali alle imprese di proprietà statale ed erigendo barriere normative contro le società non cinesi. I funzionari delle amministrazioni George W. Bush e Obama erano preoccupati per le intenzioni della Cina. Ma fondamentalmente, sono rimasti convinti che gli Stati Uniti dovessero impegnarsi con la Cina per rafforzare il sistema internazionale basato su regole e che la liberalizzazione economica della Cina avrebbe portato alla liberalizzazione politica. Invece, la Cina ha continuato a trarre vantaggio dall’interdipendenza economica per far crescere la sua economia e potenziare le sue forze armate, assicurando così la forza a lungo termine del PCC.

La Cina non ha mai avuto alcuna intenzione di convergere con l’Occidente.

Mentre la Cina e altri attori hanno sovvertito la convergenza liberale all’estero, la globalizzazione economica non è riuscita a soddisfare le aspettative interne. I sostenitori della globalizzazione hanno affermato che in un’economia lubrificata dal libero scambio, i consumatori trarrebbero vantaggio dall’accesso a beni più economici, i posti di lavoro persi nel manifatturiero sarebbero sostituiti da posti di lavoro migliori nel settore dei servizi in crescita, gli investimenti diretti esteri fluirebbero in ogni settore e le aziende ovunque lo farebbero diventare più efficienti e innovativi. Organizzazioni come l’OMC, nel frattempo, aiuterebbero a gestire questo mondo più libero e integrato (per non parlare delle sue 22.000 pagine di regolamenti).

Ma la promessa che la marea crescente della globalizzazione avrebbe sollevato tutte le barche è rimasta insoddisfatta: alcune sono salite a livelli estremi, alcune hanno ristagnato e altre semplicemente sono affondate. Si è scoperto che la convergenza liberale non era vantaggiosa per tutti: c’erano, infatti, vincitori e vinti.

Una reazione populista contro questa realtà ha colto di sorpresa le élite. Questa reazione si è intensificata quando il comportamento scorretto a Wall Street e le politiche monetarie sbagliate della Federal Reserve statunitense hanno contribuito a provocare la crisi finanziaria globale del 2008. I generosi salvataggi che banche e società finanziarie hanno ricevuto sulla sua scia hanno convinto molti americani che le élite politiche e aziendali stessero giocando con il sistema, un tema su cui Trump si è impegnato nella sua campagna del 2016. Anni prima della vittoria di Trump, tuttavia, molti americani comuni avevano già capito che la globalizzazione li stava danneggiando. I lavoratori hanno sperimentato direttamente come il libero scambio potesse svuotare le comunità mentre i posti di lavoro e gli investimenti di capitale sono fuggiti all’estero. Anche il capo economista del Fondo monetario internazionale, Gita Gopinath, ha riconosciutonel 2019 il commercio internazionale era stato molto costoso per i lavoratori manifatturieri negli Stati Uniti. Tra il 2000 e il 2016, il paese ha perso circa cinque milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero .

SLOUCHING VERSO LA BAIA DELLE TARTARUGHE

Una seconda illusione che ha affascinato i politici statunitensi è l’idea che Washington possa dipendere dalle organizzazioni internazionali per aiutarla ad affrontare le grandi sfide e che la “governance globale” emergerebbe con l’aiuto della leadership americana. Poiché i paesi stavano presumibilmente convergendo sulla liberalizzazione politica ed economica, era naturale pensare che sfide transnazionali come la proliferazione nucleare, il terrorismo e il cambiamento climatico avrebbero sostituito la competizione interstatale come principale punto focale per i leader statunitensi. L’opinione comune riteneva che tali minacce potessero essere gestite al meglio dalle istituzioni internazionali.

Questo punto di vista presumeva che, poiché altri paesi stavano progredendo inesorabilmente verso la democrazia liberale, avrebbero condiviso molti degli obiettivi di Washington e avrebbero rispettato le regole di Washington. Questa convinzione tendeva a minimizzare l’importanza della sovranità nazionale e il fatto che i paesi differiscono nel modo in cui organizzano le proprie comunità. Anche tra le democrazie esiste un alto grado di variazione quando si tratta di valori culturali, istituzionali e politici.

Tuttavia, le istituzioni internazionali sono diventate più espansive e ambiziose. Nel 1992, l’ Agenda per la Pace del Segretario Generale delle Nazioni Unite Boutros Boutros-Ghali immaginava un mondo in cui le Nazioni Unite avrebbero mantenuto la pace mondiale, protetto i diritti umani e promosso il progresso sociale attraverso l’espansione delle missioni di mantenimento della pace. Tra il 1989 e il 1994, l’organizzazione ha autorizzato 20 missioni di mantenimento della pace, più del numero totale di missioni che aveva svolto durante i quattro decenni precedenti.

Il perseguimento della missione si è esteso anche alle singole agenzie delle Nazioni Unite. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, creata nel 1948 per prevenire la diffusione di malattie infettive, è stata la pioniera di una serie dei più grandi successi delle Nazioni Unite, tra cui l’eradicazione del vaiolo e la quasi eradicazione della poliomielite. Ma nel corso degli anni, la sua portata è cresciuta notevolmente. Nel 2000, aveva iniziato a emettere avvisi su tutto, dalla sicurezza alimentare all’uso del telefono cellulare alla qualità dell’aria. Dinamica che ha distribuito il personale e le risorse in modo troppo dispersivo, paralizzando la capacità dell’organizzazione di rispondere a crisi autentiche, come la pandemia COVID-19 in corso. Durante lo scoppio iniziale, l’OMS fu relegata ai margini mentre i governi nazionali correvano per assicurarsi le attrezzature mediche.

Funzionari dell’OMS a Ginevra, Svizzera, maggio 2020
Christopher Black / Who / Dispensa / Reuters

Tuttavia, i guai all’ONU andavano ben oltre l’OMS. Nel 2016, Anthony Banbury, un funzionario di carriera delle Nazioni Unite che aveva recentemente servito come assistente segretario generale per il supporto sul campo, ha scritto che la burocrazia dell’organizzazione era diventata così complessa che era incapace di fornire risultati, creando un buco nero in cui scompariva “innumerevoli tasse dollari “, così come una lunga lista di” aspirazioni umane, da non vedere mai più “. Tali opportunità perse hanno portato al cinismo e hanno indebolito l’ordine internazionale liberale dall’interno.

NON PIÙ INVINCIBILE

Sebbene l’internazionalismo liberale incoraggiasse l’interdipendenza e il multilateralismo, si basava anche sulla fiducia nella capacità di Washington di mantenere indefinitamente la superiorità militare incontrastata di cui godette nell’immediato dopoguerra della Guerra Fredda. In realtà, il dominio militare degli Stati Uniti è ora sfidato praticamente in ogni dominio. Gli Stati Uniti non sono più in grado di operare liberamente nelle sfere tradizionali di terra, mare e aria, né in quelle più nuove come lo spazio esterno e il cyberspazio. La diffusione di nuove tecnologie e sistemi d’arma e il perseguimento di strategie asimmetriche da parte degli avversari hanno limitato la capacità delle forze armate statunitensi di trovare e colpire obiettivi, rifornire e salvaguardare le proprie forze all’estero, navigare liberamente nei mari, controllare le linee di comunicazione marittime e proteggere la patria . È probabile che nulla possa invertire queste tendenze.

Dagli anni ’90, gli Stati Uniti sono diventati più dipendenti dallo spazio per la loro sicurezza nazionale, perché così tante funzioni militari e di intelligence dipendono da risorse, come i satelliti, che hanno sede lì. Ma la Cina, la Russia e altri stati ora hanno la capacità di mettere in campo sistemi d’arma antisatellite. Nel frattempo, anche le attività commerciali private nello spazio sono aumentate in modo esponenziale. Dal 2014, la maggior parte dei lanci di satelliti è stata condotta da paesi diversi dagli Stati Uniti, principalmente Cina, India, Giappone e membri dell’UE, erodendo ulteriormente la capacità degli Stati Uniti di manovrare liberamente nello spazio e aumentando la quantità di detriti in orbita attorno alla terra, che minaccia tutte le risorse spaziali.

Il dominio militare degli Stati Uniti è ora sfidato praticamente in ogni ambito.

Nel cyberspazio, sono emerse vulnerabilità hardware e software attraverso le catene di approvvigionamento militari, riducendo potenzialmente l’efficacia di piattaforme importanti. Nel 2018, David Goldfein, il capo dello staff dell’aeronautica americana, ha descritto l’F-35 Joint Strike Fighter come ” un computer che per caso vola ” e quindi, come tutti i computer, è vulnerabile agli attacchi informatici. Nello stesso anno, il Defense Science Board ha avvertito che poiché erano collegati così tanti sistemi d’arma, una vulnerabilità in uno potrebbe influenzare anche gli altri.

Allo stesso tempo, i requisiti burocratici hanno reso più difficile per i militari innovare. Sono passati più di 20 anni da quando è stato concepito il programma Joint Strike Fighter a quando è stato dichiarato operativo il primo squadrone da combattimento di F-35. I militari richiedono livelli di prestazioni irrealisticamente elevati, che le aziende, affamate di contratti, promettono di fornire. L’ex Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Robert Gates si è lamentato della riluttanza delle forze armate ad accontentarsi di una soluzione dell ‘ “80%” che potrebbe effettivamente essere costruita e messa in campo in un lasso di tempo ragionevole. Data la rapidità con cui si sviluppano le tecnologie controbilanciate, questi attriti nell’industria della difesa statunitense pongono seri interrogativi sulla capacità del paese di combattere e vincere guerre, soprattutto contro concorrenti di pari livello.

Nel frattempo, Pechino e Mosca hanno sviluppato i cosiddetti sistemi d’arma anti-accesso / negazione di area, che riducono la capacità di Washington di proiettare potere in Asia orientale e in Europa. La Cina ha sviluppato e modernizzato le sue armi nucleari strategiche e tattiche e ha investito molto in tecnologie per migliorare le sue forze convenzionali. La Russia ha costruito una serie di esotiche “armi apocalittiche” e armi nucleari tattiche a basso rendimento, nonostante gli accordi sul controllo degli armamenti con gli Stati Uniti. Ed entrambi i paesi stanno anche riversando risorse in armi ipersoniche la cui velocità e manovrabilità rendono inefficaci i sistemi di difesa missilistica convenzionali.

Inoltre, rivali minori come Iran e Corea del Nord hanno continuato a sviluppare e perfezionare i loro programmi nucleari. Nonostante le visioni di un mondo in cui nessuno poteva sfidare la forza americana, l’era del dominio militare statunitense si è dimostrata relativamente breve.

TECNOLOGIA UNFRIENDING

La fede mal riposta nei vantaggi delle nuove tecnologie non si è limitata agli affari militari. Quando è iniziata la rivoluzione digitale, i responsabili politici e gli imprenditori erano ottimisti sul fatto che queste tecnologie avrebbero accelerato la diffusione dei valori democratici liberali – che “l’era dell’informazione può diventare l’era della liberazione”, come ha detto il presidente George HW Bush nel 1991. Alcuni anni dopo, Clinton predisse che “la libertà [si sarebbe] diffusa tramite telefono cellulare e modem via cavo”.

Nel corso del tempo, tuttavia, è diventato chiaro che le stesse tecnologie che connettono e danno potere alle persone possono anche mettere in pericolo la libertà e l’apertura e limitare il diritto di essere lasciato solo, tutti elementi di una fiorente democrazia. I paesi autoritari hanno impiegato tecnologie digitali per controllare i propri cittadini, con l’assistenza (a volte inconsapevole) delle aziende occidentali. Il PCC ha sviluppato il sistema di sorveglianza più sofisticato al mondo, ad esempio, utilizzando tecnologie di riconoscimento vocale e facciale e sequenziamento del DNA per creare un sistema di “credito sociale” che monitora 1,4 miliardi di persone in Cina e le ricompensa o le punisce in base alla loro lealtà percepita lo stato-partito.

Queste pratiche non sono limitate ai governi autoritari, in parte perché Huawei, il gigante cinese delle telecomunicazioni, ha esportato strumenti di sorveglianza in 49 paesi, inclusi strumenti che utilizzano l’intelligenza artificiale (AI). Secondo l’ AI Global Surveillance Index del Carnegie Endowment , praticamente tutti i paesi del G-20 hanno implementato la tecnologia di sorveglianza abilitata dall’intelligenza artificiale, compresi i programmi di riconoscimento facciale. Nel frattempo, anche se il PCC ha bandito Twitter nel proprio paese, Pechino e altri governi lo hanno utilizzato e altre piattaforme per condurre campagne di disinformazione all’estero volte a indebolire le democrazie dall’interno.

Occhiali intelligenti con intelligenza artificiale degli agenti di polizia a Luoyang, Cina, aprile 2018
China Stringer Network / China Out / Reuters

MYTHBUSTERS

Trump, nella sua campagna e presidenza, ha offerto alcuni correttivi alle illusioni del passato, spesso senza mezzi termini e talvolta in modo incoerente. Le sue deviazioni dai modi tradizionali di parlare e condurre la politica estera derivano dall’abbraccio della scomoda verità che visioni di globalizzazione benevola e internazionalismo liberale di costruzione della pace non sono riuscite a concretizzarsi, lasciando al loro posto un mondo che è sempre più ostile ai valori americani e interessi.

Trump sottolinea il ruolo degli Stati nell’ordine internazionale, sfidando una tendenza americana dalla fine della Guerra Fredda a trasferire il potere alle organizzazioni internazionali. Ciò non ha significato ridurre unilateralmente il ruolo degli Stati Uniti nel mondo; piuttosto, ha significato segnalare il rispetto per la sovranità degli altri. Si consideri, ad esempio, la strategia dell’amministrazione per una regione indo-pacifica libera e aperta, che consiste nel contrastare le pretese territoriali eccessive e illegali della Cina nel Mar Cinese Meridionale e nel rafforzare la sicurezza marittima di altri paesi della regione, come il Vietnam, fornendo loro con attrezzature. Tali misure sono in contrasto con gli sforzi di Pechino per creare relazioni sottomesse nella regione e stabilire sfere di influenza.

Più in generale, l’amministrazione Trump ha applicato il principio di reciprocità a varie istituzioni e norme internazionali. Ciò ha significato esortare altre potenze ad assumersi maggiori responsabilità per la propria sicurezza e contribuire maggiormente alla forza dell’ordine guidato dall’Occidente. L’attenzione di Trump alla condivisione degli oneri ha ” reso la NATO più forte “, secondo il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg. Tra il 2016 e il 2018, la spesa per la difesa dei membri della NATO diversi dagli Stati Uniti è aumentata di 43 miliardi di dollari e Stoltenberg ha previsto che entro il 2024 tale spesa aumenterà di altri 400 miliardi di dollari.

Trump ha offerto alcuni correttivi alle illusioni del passato.

Nel commercio e nel commercio, la reciprocità ha significato lanciare l’allarme, più forte che in passato, sulla riluttanza della Cina ad aprire il proprio mercato ai prodotti e servizi statunitensi e alle pratiche sleali di Pechino, come i trasferimenti forzati di tecnologia e il furto di proprietà intellettuale. Gli esperti stimano che dal 2013 gli Stati Uniti abbiano subito danni economici per oltre $ 1.2 trilioni a causa degli abusi eclatanti della Cina.

L’uso dei dazi da parte di Trump come tattica commerciale ha sottolineato la sua disponibilità a correre dei rischi. I critici hanno denunciato le tariffe come deviazioni radicali dall’ortodossia. In realtà, l’uso di tariffe di ritorsione per esigere la reciprocità è una tradizione americana che risale alla presidenza di George Washington. Sono anche utilizzati dai paesi di tutto il mondo per applicare le decisioni dell’OMC o contrastare le sovvenzioni ingiuste fornite da altri stati. I dazi di Trump hanno contribuito a produrre un accordo iniziale con la Cina che, a differenza di qualsiasi precedente accordo bilaterale USA-Cina, include impegni significativi da Pechino per limitare il furto di segreti commerciali, ridurre i trasferimenti tecnologici forzati e aprire i mercati cinesi ai servizi finanziari e ai prodotti agricoli statunitensi.

I negoziati in corso con la Cina fanno parte del più ampio sforzo dell’amministrazione Trump per mitigare gli aspetti negativi della globalizzazione, come le vulnerabilità create dalle catene di approvvigionamento “just in time” e la deindustrializzazione del cuore degli Stati Uniti. Nelle parole di Robert Lighthizer, il rappresentante commerciale degli Stati Uniti, in queste pagine, l’obiettivo è sostenere “il tipo di società in cui [gli americani] vogliono vivere” riconoscendo la dignità del lavoro e tenendo sempre presenti i lavoratori americani e la sicurezza nazionale degli Stati Uniti quando si elaborano le politiche economiche. In questo senso, una misura importante è stato il rafforzamento da parte dell’amministrazione del Comitato per gli investimenti esteri negli Stati Uniti, che esamina i principali investimenti in società statunitensi da parte di entità straniere e ha contribuito a impedire alle società cinesi di utilizzare gli investimenti per accedere alle tecnologie chiave sviluppate dalle aziende statunitensi. .

In accordo con l’obiettivo di rafforzare il potere americano, Trump ha mantenuto la promessa della sua campagna di invertire il declino delle forze armate statunitensi e ha aumentato la spesa per la difesa di quasi il 20% dal 2017. I fondi per la modernizzazione nucleare e la difesa missilistica sono tornati dopo anni di abbandono e l’amministrazione Trump ha istituito la Space Force. Il Dipartimento della Difesa ha dato la priorità alla ricerca di tecnologie avanzate, come i missili ipersonici e l’intelligenza artificiale, come parte di un focus generale sulla competizione con altre grandi potenze. Il Pentagono e le organizzazioni di intelligence statunitensi hanno anche avanzato l’importante concetto operativo di “difendere in avanti” nel cyberspazio, che guida gli Stati Uniti a identificare in modo più proattivo le minacce, prevenire gli attacchi e imporre costi al fine di scoraggiare e sconfiggere le campagne cibernetiche dannose.

Le politiche di nessuna amministrazione sono prive di difetti o incongruenze. L’amministrazione Trump ha mostrato una tendenza, condivisa da molti dei suoi predecessori, a fare troppo affidamento su partner regionali che non sono sempre all’altezza del compito. Un esempio è la confusione sulla misura in cui Washington potrebbe ritirare le sue forze dall’Iraq e dalla Siria a seguito della vittoria guidata dagli Stati Uniti sullo Stato Islamico (noto anche come ISIS). Consolidare i guadagni degli Stati Uniti ha richiesto la comprensione delle capacità limitate dei partner di Washington in Siria, le motivazioni contrastanti dei leader in Iraq e Turchia e il pericolo di lasciare il campo aperto al regime di Assad, Iran e Russia. In definitiva, proteggere gli interessi degli Stati Uniti ha richiesto un ruolo americano diretto, anche se modesto.

Anche il presidente e i membri della sua amministrazione sono stati sfacciati al punto da alienare in modo controproducente gli alleati, soprattutto in Europa. E le tariffe non sono sempre state applicate in modo strategico. Sarebbe stato meglio cercare l’unità nella competizione contro la Cina piuttosto che combattere con alleati e partner imponendo loro tariffe su acciaio e alluminio nel 2018.

FARSENE UNA RAGIONE

Indipendentemente da chi viene eletto presidente a novembre, tornare a una serie di ipotesi strategiche progettate per il momento unipolare danneggerebbe gli interessi degli Stati Uniti. La concorrenza è e rimarrà una caratteristica fondamentale dell’ambiente internazionale e l’interdipendenza non lo ovvia. Se un democratico vince la Casa Bianca, probabilmente richiederà di convincersi che la rivalità è una caratteristica inalterabile del sistema internazionale e che sarebbe un grave errore tornare alle premesse di un’epoca passata.

Se Trump vince un secondo mandato, la sua amministrazione deve concentrarsi sulla migliore attuazione dei cambiamenti politici che ha avviato, inviando messaggi più coerenti e costruendo coalizioni più forti sia in patria che all’estero. Chiunque occupi la Casa Bianca a gennaio dovrà capire che le rivalità multidimensionali di oggi non finiranno con le vittorie convenzionali. Più in generale, i responsabili politici e gli strateghi devono superare la loro enfasi sul raggiungimento di particolari stati finali, poiché ciò deriva da una visione meccanicistica e astorica di come funziona la politica. In realtà, come ha sostenuto lo storico Michael Howard, gli atti umani creano nuove serie di circostanze che, a loro volta, richiedono nuovi giudizi e decisioni.

La geopolitica è eterna. Ecco perché la concorrenza persiste, non importa quanto gli idealisti potrebbero desiderare diversamente. Un obiettivo principale della strategia statunitense, quindi, dovrebbe essere quello di prevenire l’accumulo di attività e tendenze che danneggiano gli interessi e i valori degli Stati Uniti, piuttosto che perseguire grandi progetti come cercare di determinare come la Cina o altri paesi dovrebbero governarsi. Per fare questo, gli Stati Uniti devono elaborare politiche che mirino a mantenere gli equilibri di potere regionali e scoraggiare l’aggressione da parte dei poteri revisionisti.

La geopolitica è eterna. La concorrenza persiste, non importa quanto gli idealisti potrebbero desiderare altrimenti.

Molti di destra che sono favorevoli alla moderazione o alla restrizione saranno riluttanti ad abbracciare l’idea di una competizione costante perché tendono a scartare le aspirazioni di altre potenze. Se gli Stati Uniti saranno frenati, dicono le loro argomentazioni, altri seguiranno l’esempio. La storia suggerisce il contrario. Molti a sinistra saranno riluttanti ad accettare l’idea di uno stato finale rotolante perché tendono a credere che l’arco della storia stia progredendo verso una convergenza liberale e vedono la spinta e l’attrazione di un mondo competitivo come eccessivamente aggressiva e probabile che conduca a guerra.

Ma riconoscere la centralità della concorrenza non significa favorire la militarizzazione della politica estera statunitense, né significa una spinta alla guerra. Una più ampia accettazione della natura competitiva della geopolitica richiede effettivamente una base di potere militare, ma accentua anche la necessità di strumenti diplomatici ed economici di governo. Proprio perché gran parte della concorrenza internazionale odierna avviene al di sotto della soglia del conflitto militare, le agenzie civili devono assumere un ruolo guida nel mantenere l’ordine e plasmare un panorama favorevole agli interessi e ai valori degli Stati Uniti. Ma ciò accadrà solo quando la mentalità e la cultura delle agenzie governative statunitensi cambieranno per consentire un più ampio riconoscimento della competizione ora in corso.

In futuro, il successo della politica estera statunitense dipenderà da un approccio chiaro alla cooperazione. Piuttosto che considerare la cooperazione con altri paesi come un fine in sé, i responsabili politici dovrebbero riconoscerla come un mezzo per elaborare una strategia competitiva più forte. Devono anche comprendere che una vera cooperazione richiede reciprocità. Margrethe Vestager, il commissario europeo per la concorrenza, ha forse espresso il meglio di sé quando ha espresso l’essenza di questa politica: “Da dove vengo – sono cresciuto nella parte occidentale della Danimarca – se continui a invitare le persone e loro non ti invitano a tornare , smetti di invitarli. ”

Inoltre, Washington deve accettare che i problemi globali non sono necessariamente risolti al meglio dalle istituzioni globali, che devono rendere conto principalmente alle burocrazie interne piuttosto che ai collegi elettorali esterni. Tali istituzioni possono svolgere un ruolo utile come convocatori e centri per la condivisione delle informazioni, ma mancano della capacità operativa per agire su larga scala; la complessità burocratica impedisce loro di compiere missioni più ampie.

Riconsiderare la governance globale non richiede il rifiuto dei principi liberali o l’abbandono di un ordine basato su di essi. Ma poiché solo una manciata di paesi è impegnata in questi principi, l’obiettivo dovrebbe essere quello di promuovere ciò che lo studioso Paul Miller ha descrittocome un “ordine liberale più piccolo e più profondo” di democrazie industrializzate che difenderebbe i valori liberali e servirebbe scopi strategici ed economici. L’attenzione potrebbe essere sulla creazione di coalizioni guidate dalla missione che potrebbero costruire catene di approvvigionamento ridondanti, finanziare la ricerca nelle tecnologie emergenti, promuovere un commercio equo e reciproco e cooperare su questioni di sicurezza. Tali coalizioni sarebbero aperte a nuovi membri, a condizione che condividano interessi e valori statunitensi e potrebbero portare capacità per affrontare problemi chiave. L’ordine basato sulle regole dell’era della Guerra Fredda è iniziato più o meno allo stesso modo: come un gruppo guidato dagli Stati Uniti di stati che la pensano allo stesso modo che cercano di vincere una competizione strategica e ideologica contro un avversario comune.

Washington ha anche bisogno di rinfrescare il suo pensiero sull’economia politica e migliorare la capacità delle agenzie governative degli Stati Uniti di affrontare l’interazione tra politica ed economia. Gli Stati Uniti non saranno mai in grado di integrare le loro politiche economiche e strategie politiche come fa la Cina, mettendo la sua economia di comando direttamente al servizio degli obiettivi del PCC. Ma Washington dovrebbe investire di più nell’intelligence economica e rendere più facile la condivisione di tali informazioni tra i dipartimenti e le agenzie istituendo un centro nazionale per l’intelligence economica, forse modellato sul National Counterterrorism Center, come sostenuto dallo studioso Anthony Vinci .

Inoltre, il governo degli Stati Uniti deve contrastare i massicci investimenti della Cina nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie emergenti. Il Congresso deve finanziare la ricerca del settore pubblico e privato in AI, calcolo ad alte prestazioni, biologia sintetica e altri settori tecnologici strategicamente importanti. E il Dipartimento di Stato dovrebbe anche mettere l’economia in primo piano e al centro dando ai funzionari economici maggiori responsabilità nelle ambasciate e aprendo più consolati in tutto il mondo, per promuovere meglio gli affari e le relazioni commerciali.

Infine, i politici statunitensi devono accettare che nel mondo contemporaneo la velocità è una componente vitale del potere. La capacità di rispondere rapidamente alle minacce e di cogliere le opportunità accresce l’influenza di un paese. Le risposte lente minano la governance democratica, poiché riducono la fiducia dei cittadini che il loro governo possa soddisfare i bisogni entro un ragionevole lasso di tempo. Questa verità è stata sottolineata dall’attuale pandemia, all’inizio della quale, a causa in gran parte dell’iniziale insabbiamento della Cina, i governi di tutto il mondo hanno agito troppo lentamente. Le agenzie governative statunitensi devono introdurre un nuovo calcolo: il tempo per il risultato. Armato di questa misura, un politico potrebbe avere una speranza di identificare gli ostacoli che devono essere rimossi per portare a termine le cose.

CHE TRUMP SAW

Gli obiettivi dell’ordine internazionale liberale erano lodevoli e, in molti casi, sono stati raggiunti contro scoraggianti probabilità. Il mondo è più sicuro, più prospero e più giusto di una volta. Ma le conseguenze inaspettate della globalizzazione e le promesse non mantenute della governance globale non possono essere trascurate.

In un mondo di concorrenza tra grandi potenze, disuguaglianza economica e capacità tecnologiche abbaglianti, dove ideologie e agenti patogeni si diffondono con ferocia virale, la posta in gioco è troppo alta e le conseguenze troppo disastrose per restare semplicemente con ciò che ha funzionato in passato e sperare il migliore. Trump ha riconosciuto questa realtà prima di molti nella comunità della politica estera statunitense. Anche chi lo segue, sia nel 2021 che nel 2025, dovrà riconoscerlo.

  • NADIA SCHADLOW è Senior Fellow presso l’Hudson Institute e Visiting Fellow presso Hoover Institution. Nel 2018 è stata vice consigliere per la sicurezza nazionale per la strategia negli Stati Uniti.

Trump, Biden_Due discorsi a confronto, di Giuseppe Germinario

Il buio e la luce, il male e il bene. Al netto della retorica e dei convenevoli in stile americano i discorsi di investitura dei due candidati sono esemplari. Hanno poco a che fare con il chiacchiericcio da cicisbei ormai imperante e impotente in Italia. Quello di Biden dal sapore millenaristico, quello di Trump molto più pragmatico ed incisivo, rivelano entrambi l’anima che muove le due opzioni e di fatto i contenuti della loro piattaforma. In quello di Trump non mancano certo alcuni “svarioni” fuori dal tempo; in primo luogo il richiamo dozzinale all’anticomunismo e l’assimilazione al comunismo del bacino democratico, in particolare quello più radicale. Non si sa se sia prevalentemente un calcolo elettorale teso ad acquisire il consenso della componente più conservatrice ed integralista e di quella avversa ad un ruolo più impositivo dello Stato o uno scivolamento verso una versione particolare dello “scontro di civiltà”. La storia e le caratteristiche del personaggio Trump indurrebbero alla prima ipotesi, la dinamica e l’inerzia dello scontro politico, il ritorno di personaggi come Bannon dall’altra, figura per altro, è bene sottolinearlo qui in Italia, esterna alla cerchia del presidente spingerebbero verso la seconda ipotesi. Di certo è una forzatura che mette in ombra il fatto che il messianismo e l’integralismo che pervade l’area del Partito Democratico è costitutiva ormai del liberalismo e del radicalismo progressista. E non è un caso che ad essi si è naturalmente affiancata la componente neocon del Partito Repubblicano. Questo impedisce a Trump di affondare con più decisione il cuneo sulla contraddizione insolubile tra il globalismo e il multipolarismo che informa l’azione politica dei suoi avversari e la loro intenzione dichiarata di tutelare i diritti sociali, l’occupazione, lo sviluppo economico e la coesione sociale. Lo fa sorvolare sul fatto che la componente più navigata di quell’area progressista, impersonata da Sanders, nei fatti è un supporto ed è colpevolmente silente se non allineata alle scelte interventiste di politica estera portate avanti dai Clinton e dagli Obama. Non è un caso che l’unica rappresentante coerente di quell’area, Tulsi Gabbard, sia stata così pesantemente avversata e discriminata dai suoi compagni. Nel discorso di Trump non mancano certo accenni felici ed anche gustosi sui limiti e sul vicolo cieco verso il quale porta la linea politica degli avversari. Sull’ambientalismo, quando stuzzica Biden sulla sua incapacità di garantire “la luce” in California a causa dei black-out legati al prematuro sovrautilizzo delle energie intermittenti; sul multilateralismo ormai improponibile in una fase multipolaristica; sull’antirazzismo e l’antidisciminazionismo che si stanno rivelando in realtà una nuova forma di razzismo e di discriminazione di gruppi sociali e razziali tra di essi ostili. Con una novità dirompente: un partito istituzionale e di governo, quale quello democratico, che si sta rivelando in realtà a-istituzionale e pronto a giustificare e glissare sulle pesanti degenerazioni e strumentalizzazioni interne a quei movimenti. Il vuoto programmatico nascosto dietro la “compassione” che pervade il discorso di Biden ne è la diretta conseguenza. Il segno che Biden è in realtà e ormai una controfigura dal peso soggettivo inconsistente. In questa dinamica Trump ha gioco facile nel presentarsi come difensore dell’ordine e paladino delle istituzioni; nell’evidenziare il pragmatismo della sua geopolitica economica tesa a riequilibrare l’economia americana e ripristinare un minimo di coesione sociale e della geografia interna. Un gioco che potrebbe però farlo scivolare verso posizioni di conservatorismo classico. Conciliare del resto la retorica de “America First” con la delimitazione di una area di influenza più ridotta ma più coesa è una impresa ardua tanto più che nelle dinamiche internazionali gli Stati Uniti detengono sempre meno il pallino esclusivo delle scelte di fondo, anche se per la verità devono ancora emergere con tutta evidenza le debolezze, piuttosto che la forza crescente, dei suoi avversari geopolitici. Soprattutto non è ancora chiara la dimensione e la natura dei compromessi che lo zoccolo duro di sostegno a Trump ha dovuto e dovrà porre in atto in questi anni per sopravvivere e in futuro, se vittorioso, per perseguire le proprie scelte. La debolezza dei centri di potere e decisionali vicini al Presidente, sia pure ormai radicati negli apparati in questi quattro anni, lascia presagire ancora quattro anni di resa dei conti ancora più feroce piuttosto che una accettazione della linea prevalente da parte degli avversari sconfitti. Una polarizzazione viscerale e faziosa, ormai corrispondente sempre più ad una polarizzazione sociale e geografica che rischia di spingere quel paese ancor di più verso un punto di non ritorno più volte da tempo adombrato nei nostri articoli.
Punto di non ritorno verso il quale con perseveranza ci sta portando di riflesso la nostra classe dirigente in perenne attesa del sostegno e di indicazioni di amici che non ci sono, se mai sono esistiti. Buona lettura_Giuseppe Germinario
IL DISCORSO DI JOE BIDEN.
“Buona sera.
Ella Baker, un gigante del movimento dei diritti civili, ci ha lasciato questa perla di saggezza: fornisci luce alla gente e loro troveranno la strada.
Fornire luce alla gente.
Queste sono le parole del nostro tempo.
L’attuale presidente ha ammantato l’America nell’oscurità per troppo tempo. Troppa rabbia. Troppa paura. Troppa divisione.
Qui ed ora, io vi darò la mia parola: se vi fidate di me e mi eleggerete presidente, io mi affiderò a ciò che di meglio c’è in noi, non a ciò che vi è di peggio. Io sarà un alleato della luce, non dell’oscurità.
E’ arrivato il momento per noi, per “We the People”, di unirci.
Non facciamo errori. Uniti possiamo, e di sicuro lo faremo, superare questa stagione di oscurità in America. Scegliere la speranza sulla paura, i fatti sulla finzione, l’equità sul privilegio.
Io sono un fiero esponente democratico e sarò onorato di portare avanti la bandiera del nostro Partito nelle elezioni generali. Quindi, è con grande onore ed umiltà che accetto la nomination a presidente degli Stati Uniti d’America.
Ma visto che io sarò il candidato democratico, devo iniziare a pensare che tipo di presidente potrei essere. Intendo lavorare duramente per coloro che non mi supportano, allo stesso modo di coloro che lo fanno.
Questo è il ruolo di un presidente. Rappresentare tutti, non solo la nostra base elettorale o il nostro partito. Questo non è il momento di essere di parte. E’ il momento di essere americani.
E’ il momento in cui vi è bisogno di speranza, luce ed amore. Speranza per il nostro futuro, luce per andare avanti, ed amore per il prossimo. L’America non è solo una collezione di interessi che si scontrano tra loro o di Stati blu democratici e rosso repubblicani.
Siamo più grandi di tutto questo. Siamo più grandi di tutto questo.
Quasi un secolo fa, Franklin Roosevelt ha forgiato un New Deal in un momento di alta disoccupazione, incertezza e paura.
Colpito da una malattia, devastato da un virus, FDR ha insistito sul fatto che lui si sarebbe ripreso ed avrebbe prevalso, e credeva che anche l’America avrebbe potuto farcela.
E lui ce l’ha fatta.
E così possiamo farcela anche noi.
Questa campagna non riguarda solo ottenere voti.
Riguarda vincere il cuore, e si, anche l’anima dell’America.
Vincere per i più generosi tra di noi, non gli egoisti. Vincere per i lavoratori che mandano avanti questo Paese, non per i pochi privilegiati che sono al comando. Vincere per quelle comunità che hanno conosciuto ingiustizie come il “ginocchio sul collo”. Per tutti quei giovani che hanno conosciuto solo un’America di crescente ineguaglianza e di sempre minori opportunità.
Loro meritano di conoscere l’America a pieno.
Nessuna generazione conoscerà in anticipo quello che la storia le chiede. Tutto quello che sappiamo è che dobbiamo essere pronti quando arriverà il nostro momento.
Ed ora la storia ci ha messo dinanzi al momento più difficile che l’America ha mai dovuto affrontare.
Quattro crisi storiche. Tutte alle stesso tempo. Una tempesta perfetta.
La peggior pandemia da 100 anni a questa parte. La peggiore crisi economica dai tempi della Grande Depressione. La più forte richiesta di giustizia razziale dagli Anni Sessanta. E l’innegabile realtà e le minacce sempre più forti provenienti dal cambiamento climatico.
Quindi la questione per noi è semplice: siamo pronti ad affrontare tutto questo?
Io credo di si.
Dobbiamo esserlo.
Tutte le elezioni sono importanti. Ma sappiamo dentro di noi che questa avrà delle conseguenze enormi.
L’America è ad un momento chiave della sua storia. Un momento di grande pericolo, ma allo stesso tempo di straordinarie possibilità.
Possiamo scegliere la strada di diventare più arrabbiati, perdere la speranza, ed essere sempre più divisi.
Una strada di ombre e sospetti.
O possiamo scegliere una strada differente, e tutti assieme, approfittare di questa chance per curare la nostra nazione, rinascere ed unirci. Una strada fatta di speranza e di luce.
Questa è una elezione che cambierà la nostra vita e determinerà il futuro dell’America per un periodo molto lungo.
Il carattere stesso dell’America è sulla scheda elettorale. La compassione è sulla scheda elettorale. La decenza, la scienza, la democrazia.
E’ tutto sulla scheda elettorale.
E la scelta non potrebbe essere più chiara di questa.
Non vi è bisogno di retorica.
Basta giudicare questo presidente sui fatti.
5 milioni di americani contagiati dal COVID-19.
Più di 170 mila deceduti.
Di gran lunga il dato peggiore tra tutte le nazioni sulla Terra.
Più di 50 milioni di americani hanno fatto richiesta di sussidio di disoccupazione in questo anno.
Più di 10 milioni di persone rischiano di perdere la propria assicurazione sanitaria in questo anno.
Quasi 1 piccola azienda su 6 ha chiuso in questo anno.
Se questo presidente sarà rieletto, sappiamo tutti quello che succederà.
I casi di contagio ed i decessi rimarranno troppo elevati.
Sempre più aziende chiuderanno in via definitiva.
Le famiglie dei lavoratori americani avranno difficoltà ad andare avanti, e nonostante questo, l’1% più ricco continuerà a guadagnare decine di miliardi di dollari grazie a nuovi tagli alle tasse.
E l’assalto contro l’Affordable Care Act [ObamaCare, ndt] continuerà fino alla sua distruzione, togliendo l’assicurazione sanitaria a più di 20 milioni di persone — inclusi più di 15 milioni coperti da Medicaid — e fino a porre fine alle protezioni che io ed il presidente Obama abbiamo approvato per coloro che soffrivano di condizioni mediche pre-esistenti.
E parlando del presidente Obama, un uomo che sono stato onorato di servire per 8 anni come vicepresidente, permettetemi di usare questo momento per affermare qualcosa che non abbiamo detto abbastanza volte.
Grazie, presidente. Sei stato un grande presidente. Un presidente a cui i nostri figli dovrebbero — e lo hanno fatto — guardare come un esempio.
Nessuno può dire queste cose dell’attuale occupante della Casa Bianca.
Quello che sappiamo di questo presidente è che se otterrà altri quattro anni, continuerà la politica già vista negli ultimi quattro anni.
Un presidente che non intende assumersi alcuna responsabilità, rifiuta di guidare questa nazione, attacca gli altri, fa comunella con i dittatori e soffia sulle fiamme dell’odio e della divisione.
Lui si sveglia ogni giorno pensando che l’unica cosa che conta è se stesso, non gli altri. Non tu.
E’ questa l’America che vuoi, che vuole la tua famiglia e che vogliono i tuoi figli?
Io vedo una America differente.
Una generosa e forte.
Una altruista e umile.
Si tratta di una America che possiamo ricostruire assieme.
Come presidente, il primo passo che intraprenderò è quello di mettere sotto controllo il virus che ha rovinato così tante vite.
Perché io ho compreso qualcosa che questo presidente non ha compreso.
Non rimetteremo mai in piedi la nostra economia, non rimanderemo mai i nostri figli in sicurezza a scuola e non riavremo mai indietro le nostre vite, finché non batteremo questo virus.
La nostra tragedia attuale è che non avremmo dovuto arrivare a questo.
Basta guardarci attorno.
La situazione non è così drammatica in Canada, in Europa, in Giappone. O praticamente da qualsiasi altra parte del mondo.
Il presidente continua a dirci che il virus scomparirà nel nulla. Continua a sperare in un miracolo. Beh, io ho una notizia da dargli, non sta arrivando nessun miracolo.
Siamo al primo posto nel mondo per casi confermati di contagio e per decessi.
La nostra economia è a pezzi, con le comunità nere, latino americane, asiatico americane e nativo americane che soffrono più di qualunque altra.
E dopo tutto questo tempo, il presidente ancora non ha un piano per rispondere a questa situazione.
Beh, io si.
Se io sarò eletto presidente, a partire dal primo giorno implementerò la strategia nazionale che ho esposto a partire da marzo.
Farò sviluppare e metterò a disposizione test rapidi per tutti con risultati immediati.
Farò in modo di avere le medicine ed i DPI di cui il nostro Paese ha bisogno, facendoli produrre qui in America, Per non essere più alla mercé della Cina o di qualsiasi altro Paese straniero nel momento in cui c’è bisogno di proteggere i nostri cittadini.
Faremo in modo che le nostre scuole abbiano le risorse di cui hanno bisogno per essere aperte, in maniera sicura ed efficace.
Metteremo da parte la politica e prenderemo ispirazione dai nostri esperti in modo tale che l’opinione pubblica abbia tutte le informazioni di cui ha bisogno e che merita di avere. La verità, onesta e senza veli. Siamo in grado di accettarla.
Ci sarà l’obbligo nazionale di indossare le mascherine non come un imposizione, ma per proteggerci gli uni con gli altri.
E’ un dovere patriottico.
In sintesi, faremo ciò che avrebbe dovuto essere fatto sin dall’inizio.
Il nostro attuale presidente ha fallito nel suo dovere più elementare di fronte a questa nazione.
Non è stato in grado di proteggerci.
Non è stato in grado di proteggere l’America.
E, miei cari americani, questo è imperdonabile.
Come presidente, vi farò questa promessa: proteggerò l’America. La proteggerò da qualsiasi attacco. Visibile, invisibile. Sempre e comunque. Senza eccezioni. In qualsiasi momento.
Guardate, comprendo che sia difficile avere speranza in questo momento.
In questa notte d’estate, lasciatemi prendere un momento per parlare a coloro di voi che hanno perso ciò che hanno di più caro.
Io so bene cosa significa perdere qualcuno che amate. Conosco quel profondo buco nero che si apre nel vostro petto. Quella sensazione di essere risucchiati al suo interno. Io so quanto possa essere cattiva e crudele la vita alle volte.
Ma io ho imparato due grandi insegnamenti.
Prima di tutto, i tuoi cari possono aver lasciato questa Terra ma non lasceranno mai il tuo cuore. Saranno sempre con te.
E secondo, io ho trovato che il modo migliore di superare il dolore e la perdita sia quello di trovare uno scopo.
E come figli di Dio, tutti noi abbiamo uno scopo nelle nostre vite.
Ed abbiamo un grande scopo anche come nazione: quello di aprire le porte dell’opportunità a tutti gli americani. Salvare la nostra democrazia. Tornare ad essere un faro di luce per tutto il mondo.
Quello di rispettare e rendere vere le parole scritte nei documenti sacri che hanno fondato questa nazione, ovvero che tutti gli uomini e le donne sono creati uguali. Ed hanno ottenuto dal proprio Creatore alcuni diritti fondamentali. Tra questi, il diritto alla vita, alla libertà ed alla ricerca della felicità.
Lo sapete, mio padre è stato un uomo onorevole e decente.
La vita lo ha colpito alcune volte in maniera forte, ma lui si è sempre rimesso in piedi.
Ha lavorato in maniera dura ed costruito una grande vita da classe media per la nostra famiglia.
Ricordo che mi ha detto, “Joey, io non speravo che il governo fosse in grado di risolvere i miei problemi, ma almeno che fosse in grado di comprenderli”.
E poi ha continuato: “Joey, un lavoro è più di un salario. E’ dignità, rispetto. E’ il tuo posto all’interno della comunità. E’ la capacità di guardare i tuoi figli negli occhi e dirgli, caro, andrà tutto bene”.
Non ho mai dimenticato queste lezioni.
E questo è il motivo per cui il mio piano economico parla di lavoro, dignità, rispetto e comunità. Assieme possiamo, e lo faremo, ricostruire la nostra economia. E quando lo faremo, non solo la ricostruiremo, ma ne costruiremo una migliore.
Con strade, ponti, autostrade moderne, banda larga e nuovi aeroporti come fondazione di una nuova crescita economica. Con tubi che trasportano acqua pulita a tutte le comunità americane. Con 5 milioni di nuovi posti di lavoro nei settori manifatturieri e tecnologici in modo da creare il futuro qui in America.
Con un sistema sanitario con premi assicurativi e prezzi dei farmaci più bassi costruito a partire dall’Affordable Care Act, che questo presidente sta cercando in tutti i modi di distruggere.
Con un sistema educativo che addestra le nostre persone a trovare i migliori lavori del ventunesimo secolo, dove i costi non vietano ai giovani di andare al college ed il debito degli studenti non distrugge la loro vita una volta laureati.
Dove sarà possibile per i genitori andare al lavoro senza preoccupazione per la salute dei propri figli e per gli anziani restare a casa con dignità.
Con un sistema dell’immigrazione che da potere alla nostra economia e riflette i nostri valori. Con sindacati che assumeranno un ruolo sempre maggiore. Con salari uguali per le donne.
Con salari in aumento con cui sarà possibile crescere una famiglia. Si, faremo di più che suonare le lodi per i nostri essenziali lavoratori. Intendiamo iniziare sul serio a pagarli di più.
Noi possiamo, e lo faremo, rispondere al cambiamento climatico. Non è solo una crisi, è una enorme opportunità. Una opportunità per l’America di guidare il mondo nella battaglia per l’energia pulita e creare milioni di nuovi posti di lavoro ben pagati in questo processo.
E possiamo pagare per tutto questo, ponendo fine alle scappatoie fiscali ed ai 1,3 mila miliardi di regali fiscali che questo presidente ha dato all’1% più ricco ed alle corporation più grandi e ricche, molte delle quali ad oggi non pagano proprio tasse.
Perché non abbiamo bisogno di un sistema fiscale che premia di più coloro che sono ricchi, di coloro che lavorano. Io non intendo punire nessuno. Lungi da me. Ma è passato da tempo il momento in cui i più ricchi e le grandi corporation debbono tornare a pagare il giusto.
Per i nostri anziani, la Social Security [il sistema pensionistico, ndt] è un obbligo sacro, una sacra promessa. L’attuale presidente sta minacciando la sua sopravvivenza.
Sta proponendo di eliminare la tassa che finanzia quasi metà delle spese della Social Security senza però allo stesso tempo trovare altre entrate.
Io non permetterò che questo accada. Se io sarò il vostro presidente, intendo difendere Social Security e Medicare. Avete la mia parola.
Una delle voci più forti che sentiamo oggi nel nostro Paese è quella dei giovani. Loro parlano dell’ineguaglianza e dell’ingiustizia che sono tornati a crescere in America. Ingiustizia economica, razziale, ambientale.
Io sento la loro voce, e se ascoltate bene, potete sentirla anche voi. E che si tratti della minaccia esistenziale posta dal cambiamento climatico, dalla paura giornaliera di essere uccisi dalle armi da fuoco in una scuola, o dell’incapacità di trovare il primo lavoro – deve essere compito del prossimo presidente quello di restaurare per tutti le promesse dell’America.
Io non dovrò farlo da solo. Perché avrò un grande vicepresidente al mio fianco. La senatrice Kamala Harris. Lei è una voce potente per questa nazione. La sua storia è la storia americana. Lei conosce tutti gli ostacoli che questo Paese può mettere davanti a troppe persone. Donne, donne di colore, americani di colore, americani di origine sud-asiatica, migranti, tutti coloro che sono lasciati ai margini.
Ma lei ha superato qualsiasi ostacolo che ha avuto di fronte. Nessuno più di lei è stato duro con le grandi banche o la lobby delle armi. Nessuno più di lei è stato duro nell’attaccare l’estremismo di questa Amministrazione, la sua incapacità di seguire la legge o anche solo di dire la verità.
Sia Kamala che io, raccogliamo la nostra forza dalle nostre famiglie. Per Kamala, si tratta di Doug e delle rispettive famiglie.
Per me, è Jill e la nostra.
Nessun uomo merita un così grande amore nella sua vita. Ma io ne ho conosciuto due. Dopo aver perso la mia prima moglie in un incidente automobilistico, Jill è entrata nella mia vita ed ha unito di nuovo la nostra famiglia.
Lei è una insegnante. Una madre. Una madre militare. E non si ferma mai. Se lei ha deciso di fare qualcosa, la ottiene sempre. Perché è una donna che si da sempre da fare. E’ stata una grande Second Lady e sono sicuro che sarà una grande First Lady per questa nazione, che lei ama così tanto.
Ed io avrò il coraggio di cui ho bisogno grazie alla mia famiglia. Hunter, Ashley, e tutti i nostri nipoti, sorelle e fratelli. Tutti mi hanno dato coraggio e mi hanno tirato su quando ne ho avuto bisogno.
Ed anche se non è più con noi, Beau continua ad ispirarmi ogni giorno.
Beau ha servito la nostra nazione in uniforme da soldato. Era un veterano decorato della guerra in Iraq.
Quindi io prenderò in maniera molto personale la responsabilità di servire come Comandante in Capo.
Sarò un presidente che difenderà i nostri alleati ed amici e renderà chiaro ai nostri avversari che il giorno delle comunelle con i dittatori di tutto il mondo è finito.
Con Biden come presidente, l’America non farà finta di nulla di fronte alle taglie russe sulle teste dei soldati americani. E neppure farà finta di nulla di fronte all’interferenza straniera nel momento dell’esercizio più sacro della nostra democrazia — il voto.
Io sarò sempre dalla parte dei nostri valori, quelli dei diritti umani e della dignità. E lavorerò per raggiungere lo scopo comune di un un mondo più sicuro, pacifico e prospero.
La storia ci ha assegnato un obiettivo ancora più urgente. Saremo in grado di essere la generazione che finalmente cancellerà la vergogna del razzismo dal nostro carattere nazionale?
Io credo che saremo grado.
Io credo che siamo pronti.
Solo una settimana fa, era il terzo anniversario degli eventi di Charlottesville.
Ricordate quei neo nazisti e bianchi suprematisti che camminavano per le strade con le torce illuminate? Con le vene pulsanti? Urlando la stessa bile antisemita che circolava in Europa negli Anni Trenta?
Ricordate gli scontri violenti che sono seguiti tra coloro che predicavano l’odio e coloro che avevano avuto il coraggio di ribellarsi contro di esso?
Ricordate le parole del nostro presidente?
C’erano, cito testualmente, “brave persone da entrambi i lati”.
In quel momento è suonato l’allarme per noi come Paese.
E per me, è arrivato il momento di scendere in campo. In quel momento, ho deciso di correre per la presidenza. Mio padre mi aveva insegnato che essere silenti significava essere complici. Ed io non potevo essere in silenzio o complice di tutto questo.
In quel momento, ho detto che eravamo in una battaglia per l’anima di questa nazione.
E lo siamo ancora.
Una delle conversazioni più importanti che ho avuto nel corso di questa intera campagna elettorale è stata con qualcuno che è troppo giovane per votare.
Mi sono incontrato con Gianna Floyd, una bambina di sei anni, il giorno prima che suo padre George Floyd venisse seppellito.
E’ stata incredibilmente coraggiosa. Non lo dimenticherò mai.
Quando mi sono avvicinato a lei parlare, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto, “papà ha cambiato il mondo”.
Le sue parole mi sono entrate nel cuore.
Forse l’assassinio di George Floyd è stato il punto di rottura di questa nazione.
Forse la morte di John Lewis è stata l’ispirazione.
Qualsiasi cosa accada, l’America ora è pronta, come affermava John, a porre fine “una volta e per tutte al grande fardello dell’odio” ed al razzismo sistemico.
La storia americana ci insegna che è stato nei momenti più difficili che abbiamo fatto i nostri più grandi progressi. Abbiamo trovato la luce. Ed in questo momento oscuro, io credo che siamo pronti di nuovo a fare grandi passi avanti. Che siamo in grado di trovare di nuovo la luce.
Io ho sempre creduto che si possa definire l’America con una sola parola: possibilità.
Che in America, chiunque, e dico davvero chiunque, dovrebbe avere la possibilità di inseguire i propri sogni fino a dove le abilità fornite da Dio siano in grado di portarci.
Non possiamo mai perdere questo carattere. In tempi così difficili come questi, io credo che ci sia una sola strada da seguire. Una America unita. Unita nel cercare una Unione sempre più perfetta. Unita nei nostri sogni per un futuro migliore per noi ed i nostri figli. Unita nella nostra determinazione di rendere migliori gli anni a venire.
Siamo pronti?
Io credo che lo siamo.
Questa è una grande nazione.
E noi siamo un popolo buono e decente.
Questi sono gli Stati Uniti d’America.
E non c’è mai stato nulla che non siamo stati in grado di ottenere quando siamo stati uniti.
Il poeta irlandese Seamus Heaney in passato ha scritto:
“La storia afferma,
Non c’è speranza su questo lato della tomba,
Ma allora, una volta nel corso della vita,
L’onda lunga che si attendeva da tempo
Della Giustizia si è mossa,
E la speranza e la storia si sono uniti in una rima”.
Questo è il nostro momento di fare in modo che la speranza e la storia si uniscano assieme.
Con passione e giusti propositi, iniziamo — tu ed io, assieme, come una unica nazione, guidata da Dio — ad unirci nel nostro amore per l’America e nel nostro amore per il prossimo.
Perché l’amore è più forte dell’odio.
Perché la speranza è più forte della paura.
Perché la luce è più forte dell’oscurità.
Questo è il nostro momento.
Questa è la nostra missione.
Possa la storia affermare in futuro che la fine di questo capitolo oscuro della storia americana è iniziata oggi, mentre l’amore, la speranza e la luce si sono uniti assieme in questa battaglia per l’anima della nostra nazione.
E che questa sia una battaglia che tutti noi, assieme, vinceremo.
Ve lo prometto.
Grazie a tutti.
E che Dio vi protegga.
E che Dio possa proteggere le nostre truppe”.
il discorso di DONALD TRUMP
“Amici, delegati e ospiti illustri: stasera sono davanti a voi onorato dal vostro sostegno; orgoglioso degli straordinari progressi che abbiamo fatto insieme negli ultimi quattro anni e pieno di fiducia per il brillante futuro che costruiremo per l’America nei prossimi quattro anni!
All’inizio di questa sera, i nostri pensieri sono con le meravigliose persone che sono appena uscite dall’ira dell’uragano Laura. Stiamo lavorando a stretto contatto con funzionari statali e locali in Texas, Louisiana, Arkansas e Mississippi, senza risparmiare nulla pur di per salvare vite umane. Nonostante l’uragano abbia colpito duramente, uno dei più forti degli ultimi 150 anni, le vittime e i danni sono stati molto inferiori a quanto si poteva pensare solo 24 ore fa. Ciò è dovuto al grande lavoro della FEMA, delle forze dell’ordine e dei singoli Stati. Andrò lì questo fine settimana. Siamo un’unica famiglia nazionale e ci proteggeremo, ci ameremo e ci prenderemo sempre cura l’uno dell’altro.
Qui stasera ci sono le persone che hanno reso possibile il mio viaggio e hanno riempito la mia vita di tanta gioia.
Per il suo incredibile servizio alla nostra nazione e ai suoi figli, voglio ringraziare la nostra magnifica First Lady. Voglio anche ringraziare la mia fantastica figlia Ivanka per la sua presentazione e tutti i miei figli e nipoti: vi amo più di quanto le parole possano esprimere. So che mio fratello Robert ci sta guardando dall’alto in basso in questo momento dal Cielo. Era un grande fratello ed era molto orgoglioso del lavoro che stiamo facendo. Dedichiamo anche un momento per mostrare il nostro profondo apprezzamento per un uomo che ha sempre combattuto al nostro fianco e ha difeso i nostri valori – un uomo di profonda fede e ferma convinzione: il vicepresidente Mike Pence. Mike è stato raggiunto dalla sua amata moglie, insegnante e madre militare, Karen Pence.
Miei concittadini americani, questa sera, con il cuore pieno di gratitudine e di sconfinato ottimismo, accetto con orgoglio la nomination a Presidente degli Stati Uniti.
Il Partito Repubblicano, il partito di Abraham Lincoln, va avanti unito, determinato e pronto ad accogliere milioni di Democratici, Indipendenti e chiunque creda nella grandezza dell’America e nel cuore retto del popolo americano.
Nel secondo mandato presidenziale, costruiremo di nuovo la più grande economia della storia, tornando rapidamente alla piena occupazione, ai redditi in aumento e alla prosperità record! Difenderemo l’America da tutte le minacce e proteggeremo l’America da tutti i pericoli. Guideremo l’America verso nuove frontiere di ambizione e scoperta e raggiungeremo nuove vette nazionali. Riaccenderemo la fede nei nostri valori, un nuovo orgoglio per la nostra storia e un nuovo spirito di unità che può essere realizzato solo attraverso l’amore per il nostro paese. Poiché comprendiamo che l’America non è una terra avvolta dall’oscurità, ma invece l’America è la torcia che illumina il mondo intero.
Riuniti qui nella nostra bella e maestosa Casa Bianca – conosciuta in tutto il mondo come la Casa del Popolo – non possiamo fare a meno di meravigliarci di fronte al miracolo che è la nostra grande storia americana. Questa è stata la casa di personaggi straordinari come Teddy Roosevelt ed Andrew Jackson, che hanno condotto gli americani verso visioni audaci di un futuro più grande e luminoso. Tra queste mura vivevano generali tenaci come i presidenti Grant ed Eisenhower, che hanno guidato i nostri soldati nella causa della libertà. Da questi terreni, Thomas Jefferson ha inviato Lewis e Clark in un’audace spedizione per attraversare un continente selvaggio e inesplorato. Nelle profondità di una sanguinosa guerra civile, il presidente Abraham Lincoln guardò da queste stesse finestre un monumento a Washington mezzo completato e chiese a Dio, nella sua Provvidenza, di salvare la nostra unione. Due settimane dopo Pearl Harbor, Franklin Delano Roosevelt ha dato il benvenuto a Winston Churchill e, subito dopo, hanno dato il via a quella alleanza che ci ha fatto vincere la Seconda Guerra Mondiale.
Negli ultimi mesi, la nostra nazione, e l’intero pianeta, è stata colpita da un nuovo e potente nemico invisibile. Come quei coraggiosi americani prima di noi, stiamo affrontando questa sfida. Stiamo fornendo terapie salvavita e produrremo un vaccino entro la fine dell’anno, o forse anche prima! Sconfiggeremo il virus, porremo fine alla pandemia e ne usciremo più forti che mai.
Ciò che ha unito le generazioni passate è stata una fiducia incrollabile nel destino dell’America e una fede incrollabile nel popolo americano. Sapevano che il nostro paese è benedetto da Dio e ha uno scopo speciale in questo mondo. È questa convinzione che ha ispirato la formazione della nostra unione, la nostra espansione verso ovest, l’abolizione della schiavitù, il passaggio dei diritti civili, il programma spaziale e il rovesciamento del fascismo, della tirannia e del comunismo.
Questo spirito americano ha prevalso su ogni sfida e ci ha portati al vertice dello sforzo umano.
Eppure, nonostante tutta la nostra grandezza come nazione, tutto ciò che abbiamo ottenuto è ora in pericolo. Questa è l’elezione più importante nella storia del nostro Paese. Mai prima d’ora gli elettori hanno affrontato una scelta più chiara tra due partiti, due visioni, due filosofie o due ordini del giorno.
Queste elezioni decideranno se salvare il sogno americano o se piuttosto permetteremo ad un’agenda socialista di demolire il nostro amato destino. Decideranno se creare rapidamente milioni di posti di lavoro ben retribuiti o se distruggere le nostre industrie e trasferire milioni di questi posti di lavoro all’estero, come è stato stupidamente fatto per molti decenni.
Il vostro voto deciderà se proteggere gli americani rispettosi della legge o se dare libero sfogo a violenti anarchici, agitatori e criminali che minacciano i nostri cittadini.
E queste elezioni decideranno se difenderemo lo stile di vita americano o se permetteremo a un movimento radicale di smantellarlo e distruggerlo completamente.
Alla Convenzione Nazionale Democratica, Joe Biden e il suo partito hanno ripetutamente presentato l’America come una terra di ingiustizie razziali, economiche e sociali. Quindi stasera, vi faccio una domanda molto semplice: come può il Partito Democratico chiedere di guidare il nostro paese quando passa così tanto tempo a demolirlo?
Nella visione del passato della sinistra, non vedono l’America come la nazione più libera, giusta ed eccezionale della terra. Invece, la vedono una nazione malvagia che deve essere punita per i suoi peccati.
I nostri avversari dicono che la redenzione può venire solo se loro hanno il potere. Questo è la solita cosa detta da ogni movimento repressivo nel corso della storia.
Ma in questo Paese non guardiamo ai politici in carriera per la salvezza. In America, non ci rivolgiamo al governo per restaurare le nostre anime, ma riponiamo invece la nostra fede solo in Dio Onnipotente.
Joe Biden non è il salvatore dell’anima dell’America: è il distruttore dell’America. Il lavoro di Biden, se gli verrà data la possibilità, sarà quello di essere il distruttore della grandezza americana.
Per 47 anni, Joe Biden ha preso le donazioni dei colletti blu, gli ha dato abbracci e persino baci e gli ha detto che sentiva il loro dolore – e poi è tornato a Washington e ha votato per traferire i loro lavori in Cina e in molti altri paesi lontani. Joe Biden ha trascorso tutta la sua carriera esternalizzando i sogni dei lavoratori americani, trasferendo all’estero i loro posti di lavoro, aprendo i confini e inviando i loro figli e le loro figlie a combattere in infinite guerre in Paesi stranieri.
Quattro anni fa mi sono candidato alla presidenza perché non potevo più assistere a questo tradimento del nostro Paese. Non potevo stare a guardare mentre politici in carriera lasciavano che altri Paesi si approfittassero di noi sul commercio, sui confini, sulla politica estera e sulla difesa nazionale. I nostri partner della NATO, ad esempio, erano molto indietro nei pagamenti per la difesa. Ma dietro una mia forte sollecitazione hanno deciso di pagare 130 miliardi di dollari in più all’anno. Questa cifra alla fine salirà a $400 miliardi. Il Segretario Generale Stoltenberg, a capo della NATO, è rimasto sbalordito e ha affermato che il presidente Trump ha fatto ciò che nessun altro era in grado di fare.
Dal momento in cui mi sono lasciato la mia vita precedente alle spalle, ed è stata una bella vita, non ho fatto altro che combattere per voi.
Ho fatto ciò che il nostro sistema politico non si sarebbe mai aspettato e non avrebbe mai potuto perdonare, infrangendo l’idea cardinale della politica di Washington. Ho mantenuto le mie promesse.
Insieme, abbiamo posto fine al dominio della precedente classe politica fallimentare e loro vogliono riavere il potere con ogni mezzo necessario. Sono arrabbiati con me perché invece di metterli al primo posto, metto l’America al primo posto.
Alcuni giorni dopo l’insediamento, abbiamo messo sotto shock l’establishment di Washington e ci siamo ritirati dall’accordo commerciale del trans-Pacifico dell’ultima Amministrazione. Ho quindi approvato i gasdotti Keystone XL e Dakota Access, ho posto fine all’ingiusto e costoso accordo sul clima di Parigi e mi sono assicurato, per la prima volta, di raggiungere l’indipendenza energetica americana. Abbiamo approvato tagli da record alle tasse ed alle regolamentazioni, a un ritmo che nessuno aveva mai visto prima. In tre brevi anni abbiamo costruito l’economia più forte nella storia del mondo.
Gli addetti ai lavori di Washington mi hanno chiesto di non oppormi alla Cina – mi hanno implorato di lasciare che la Cina continuasse a rubare i nostri posti di lavoro, a derubarci e a defraudare il nostro paese. Ma ho mantenuto la parola data al popolo americano. Abbiamo intrapreso l’azione più dura, più audace, più forte e più importante contro la Cina nella storia americana.
Dissero che sarebbe stato impossibile porre fine e sostituire il NAFTA, ma ancora una volta si sbagliavano. All’inizio di quest’anno, ho posto fine all’incubo del NAFTA e ho firmato il nuovissimo U.S. Mexico Canada Agreement trasformandolo in legge. Ora le aziende automobilistiche e altri stanno costruendo i loro stabilimenti e fabbriche in America, senza licenziare i loro dipendenti ed abbandonarci.
Forse in nessun settore gli interessi speciali di Washington si sono sforzati di fermarci di più che nella mia politica di immigrazione filoamericana. Ma mi sono rifiutato di fare marcia indietro – e oggi i confini dell’America sono più sicuri di MAI. Abbiamo messo fine alla politica del ‘catch and release’, fermato le frodi in materia di asilo, fermato i trafficanti di esseri umani che depredavano donne e bambini e abbiamo rimpatriato 20.000 membri delle gang e 500.000 criminali stranieri. Abbiamo già costruito 300 miglia del muro al confine e aggiungiamo 10 nuove miglia ogni settimana. Il muro sarà presto completato e sta funzionando oltre le nostre più rosee aspettative.
Questa sera siamo stati raggiunti dai membri del sindacato della Border Patrol, che rappresentano i coraggiosi agenti di frontiera del nostro paese. Grazie a tutti.
Quando ho saputo che la Tennessee Valley Authority ha licenziato centinaia di lavoratori americani e li ha costretti a formare i loro sostituti stranieri meno pagati, ho prontamente rimosso il presidente del consiglio. E ora, quei talentuosi lavoratori americani sono stati riassunti e sono tornati a fornire energia a Georgia, Alabama, Tennessee, Kentucky, Mississippi, North Carolina e Virginia. Hanno riavuto i loro vecchi lavori e alcuni sono qui con noi questa sera. Per favore alzatevi.
Il mese scorso, ho sfidato Big Pharma e ho firmato degli ordini esecutivi che ridurranno enormemente il costo dei farmaci da prescrizione e che daranno ai pazienti in condizioni critiche l’accesso a cure salvavita. Abbiamo anche approvato due programmi per l’assistenza sanitaria ai veterani, chiamati VA Accountability e VA Choice.
Entro la fine del mio primo mandato, avremo approvato le nomine di più di 300 giudici federali, inclusi due nuovi grandi giudici della Corte Suprema. Per portare prosperità alle nostre città interne dimenticate, abbiamo lavorato duramente per approvare la storica riforma della giustizia penale, la riforma carceraria, le zone di opportunità, il finanziamento a lungo termine di college e università storicamente neri e, prima dell’arrivo del China Virus, abbiamo portato alla migliore disoccupazione mai registrati tra gli afroamericani, latino-americani ed asiatico-americani. Ho fatto di più per la comunità afroamericana di qualsiasi presidente da Abraham Lincoln in poi, il nostro primo presidente Repubblicano. Ho fatto di più in tre anni per la comunità nera di quanto non abbia fatto Joe Biden in 47 anni, e quando sarò rieletto, il meglio dovrà ancora venire!
Quando sono entrato in carica, il Medio Oriente era nel caos totale. L’ISIS imperversava, l’influenza dell’Iran era in crescita e non si vedeva la fine della guerra in Afghanistan. Sono uscito dal terribile accordo unilaterale sul nucleare iraniano. A differenza di molti presidenti prima di me, ho mantenuto la mia promessa, ho riconosciuto la vera capitale di Israele e ho trasferito la nostra ambasciata a Gerusalemme. Non solo ne abbiamo parlato come un sito futuro, ma l’abbiamo fatta davvero costruire. Piuttosto che spendere $1 miliardo per un nuovo edificio come previsto, abbiamo preso un edificio esistente già di nostra proprietà in una posizione migliore e lo abbiamo aperto a un costo inferiore a $500.000. Abbiamo anche riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture del Golan e questo mese abbiamo raggiunto il primo accordo di pace in Medio Oriente in 25 anni. Inoltre, abbiamo eliminato il 100% del califfato dell’ISIS e ucciso il suo fondatore e leader Abu Bakr al-Baghdadi. Quindi, in un’operazione separata, abbiamo eliminato anche il terrorista n. 1 al mondo, il generale iraniano Qasem Soleimani.
A differenza delle precedenti Amministrazioni, ho tenuto l’America fuori da nuove guerre e le nostre truppe stanno tornando a casa. Abbiamo speso quasi 2,5 mila miliardi di dollari per ricostruire completamente il nostro esercito, che era molto improverito quando sono entrato in carica. Ciò ha incluso tre aumenti di stipendio per i nostri soldati. Abbiamo anche lanciato la Space Force, il primo nuovo ramo dell’esercito degli Stati Uniti da quando l’Air Force è stata creata quasi 75 anni fa.
Abbiamo trascorso gli ultimi quattro anni a rimediare ai danni inflitti da Joe Biden negli ultimi 47 anni.
Il passato di Biden è un vergognoso ricordo dei tradimenti e degli errori più catastrofici della nostra vita. Ha trascorso tutta la sua carriera dalla parte sbagliata della storia. Biden ha votato per il disastro del NAFTA, il peggior accordo commerciale mai concluso, ha sostenuto l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, uno dei più grandi disastri economici di tutti i tempi. Dopo quelle calamità di Biden, gli Stati Uniti hanno perso un posto di lavoro nel settore manifatturiero su quattro. I lavoratori licenziati in Michigan, Ohio, New Hampshire, Pennsylvania e molti altri Stati non vogliono le vuote parole di empatia di Joe Biden, vogliono riavere il loro posto di lavoro!
In qualità di Vicepresidente, ha sostenuto la Trans-Pacific Partnership, che sarebbe stata una condanna a morte per l’industria automobilistica statunitense, ha appoggiato l’orrendo accordo commerciale con la Corea del Sud, che ha portato via molti posti di lavoro dal nostro Paese. Ha ripetutamente sostenuto l’amnistia di massa per gli immigrati illegali. Ha votato per la guerra in Iraq, si è opposto alla missione per eliminare Osama bin Laden, si opponeva all’uccisione di Soleimani, ha guardato senza fare nulla l’ascesa dell’ISIS e ha sostenuto il rafforzamento della Cina come “uno sviluppo positivo” per l’America e il mondo. Ecco perché la Cina sostiene Joe Biden e vuole disperatamente che vinca.
La Cina diventerebbe proprietaria del nostro Paese se Joe Biden fosse eletto presidente. A differenza di Biden, li riterrò pienamente responsabili della tragedia che hanno causato.
Negli ultimi mesi, la nostra nazione, ed il resto del mondo, sono stati colpiti da una pandemia che accade una sola volta in un secolo e che la Cina ha permesso che si diffondesse in tutto il mondo. Sono grato che questa sera siano presenti molti dei nostri incredibili infermieri e primi soccorritori – per favore alzatevi e accettate i nostri profondi ringraziamenti. Molti americani hanno tristemente perso amici e cari a causa di questa orribile malattia. Come una sola nazione, piangiamo, soffriamo e conserviamo per sempre nei nostri cuori i ricordi di tutte quelle vite così tragicamente prese. In loro onore, ci uniremo. Nella loro memoria, andremo avanti.
Quando il virus cinese ci ha colpito, abbiamo lanciato la più grande mobilitazione nazionale dalla Seconda Guerra Mondiale. Invocando il Defence Production Act, abbiamo prodotto la più grande fornitura mondiale di ventilatori polmonari. A nessun americano che abbia avuto bisogno di un ventilatore ne è stato negato uno. Abbiamo spedito centinaia di milioni di mascherine, guanti e camici ai nostri operatori sanitari in prima linea. Per proteggere gli anziani della nostra nazione, abbiamo spedito forniture, kit di test e personale alle case di cura e alle strutture di assistenza a lungo termine. Il Corpo degli Ingegneri dell’Esercito ha costruito ospedali da campo e la Marina ha schierato le nostre grandi navi ospedaliere.
Abbiamo sviluppato, da zero, il più grande e avanzato sistema di test al mondo. L’America ha effettuato tamponi più di ogni paese d’Europa messo insieme e più di ogni nazione dell’emisfero occidentale messi assieme. Abbiamo condotto 40 milioni di tamponi in più rispetto alla seconda nazione con il maggior numero di tamponi, ovvero l’India.
Abbiamo sviluppato una vasta gamma di trattamenti efficaci, incluso un potente trattamento anticorpale noto come plasma convalescente che salverà migliaia di vite. Grazie ai progressi di cui siamo stati pionieri, il tasso di letalità è stato ridotto dell’80% da aprile ad oggi.
Gli Stati Uniti hanno tassi di letalità tra i più bassi di tutti i principali paesi del mondo. Il tasso di letalità dei casi dell’Unione Europea è quasi tre volte superiore al nostro. Complessivamente, le nazioni europee hanno registrato un aumento del 30% maggiore della mortalità in eccesso rispetto agli Stati Uniti.
Abbiamo promulgato il più grande pacchetto di aiuti finanziari nella storia americana. Grazie al nostro Paycheck Protection Program, abbiamo salvato o sostenuto più di 50 milioni di posti di lavoro americani. Di conseguenza, abbiamo assistito alla più piccola contrazione economica di qualsiasi grande nazione occidentale ed ora ci stiamo riprendendo molto più velocemente. Negli ultimi tre mesi abbiamo creato oltre 9 milioni di posti di lavoro, un nuovo record.
Sfortunatamente, sin dall’inizio, i nostri rivali si sono dimostrati incapaci di fare altro che criticare in maniera assolutamente di parte. Quando ho preso azioni coraggiose per stabilire un divieto di viaggio da e verso la Cina, Joe Biden lo ha definito un atto isterico e xenofobo. Se avessimo ascoltato Joe, centinaia di migliaia di altri americani sarebbero morti.
Invece di seguire la scienza, Joe Biden vuole infliggere un lockdown doloroso all’intero Paese. Il suo lockdown infliggerebbe danni impensabili ai bambini, famiglie, e cittadini di tutto il Paese.
Il costo del lockdown di Biden sarebbe misurato in aumenti delle overdosi da droga, depressioni, dipendenze da alcool, suicidi, attacchi di cuore, devastazione economica e molto altro. Il piano di Joe Biden non è una soluzione per il virus, ma piuttosto una resa.
La mia Amministrazione ha preso un approccio differente. Per salvare più vite possibili, ci stiamo focalizzando sulla scienza, i fatti ed i dati. Stiamo difendendo coloro che sono a maggior rischio – in particolare gli anziani – permettendo allo stesso tempo agli americani a minor rischio di tornare al lavoro ed a scuola in sicurezza.
Ancora più importante, stiamo chiedendo al genio scientifico americano di unirsi per produrre un vaccino in tempo record. Grazie all’Operazione Warp Speed, abbiamo ora già tre vaccini nella fase finale di test, anni prima di quanto mai raggiunto in precedenza. Li stiamo producendo in anticipo in modo tale che centinaia di milioni di dosi siano velocemente disponibili.
Avremo un vaccino sicuro ed efficace già quest’anno, ed assieme sconfiggeremo il virus.
Alla Convention Democratica, avete sentito ben poco parlare della loro agenda politica. Ma questo non perché non ne hanno una. Ma perché la loro agenda è la più estrema mai portata avanti da un candidato di grandi partiti politici. Joe Biden può affermare di essere un ‘alleato della luce’, ma quando si tratta della sua agenda, Biden vuole tenervi completamente all’oscuro.
Ha promesso di aumentare le tasse di 4 mila miliardi di dollari sulle famiglie americane, cosa che farà collassare una volta e per tutte la nostra economia in ripresa e la nostra Borsa tornata a livelli record. Dall’altra parte, come ho fatto nel mio primo mandato, invece io intendo tagliare ancora di più le tasse per le nostre madri ed i padri lavoratori, non aumentarle. Inoltre, intendo fornire crediti fiscali per riportare a casa i posti di lavoro dalla Cina – ed imporre dazi su qualsiasi compagnia che intende trasferire all’estero posti di lavoro americani. Faremo in modo che le nostre compagnie ed i nostri posti di lavoro restino nel nostro Paese, come ho già fatto sinora. L’agenda di Joe Biden è ‘Made in China’. La mia è ‘Made in USA’.
Biden ha promesso di abolire la produzione di petrolio, carbone, gas naturale americano – mettendo a rischio le economie di Pennsylvania, Ohio, Texas, North Dakota, Oklahoma, Colorado, e New Mexico. In questo modo milioni di posti di lavoro saranno persi, ed i prezzi dell’energia aumenteranno. Le stesse politiche hanno condotto solo la settimana scorsa a diversi blackout in California. Come può Joe Biden definirsi un “alleato della luce” quando il suo partito non è neppure in grado di tenere la luce accesa letteralmente parlando?
La campagna di Joe Biden ha anche pubblicato una piattaforma politica di 110 pagine scritta assieme al senatore di estrema sinistra, Crazy Bernie Sanders. Il manifesto Biden-Bernie chiede di sospendere tutte le deportazioni di immigrati irregolari, implementare regole nazionali di ‘catch and release’ e fornire l’assistenza di legali pagati dai soldi dei contribuenti agli immigrati irregolari. Joe Biden ha di recente alzato la sua mano durante un dibattito presidenziale e promesso di fornire assistenza sanitaria pagata dai vostri soldi agli immigrati irregolari. Lui supporta anche le Città Santuario che proteggono gli immigrati criminali. Ha promesso di porre fine al travel ban per i Paesi jihadisti e di aumentare l’ammissione dei rifugiati del 700%. Il piano Biden finirà insomma per abolire i confini americani nel mezzo di una pandemia.
Biden ha anche promesso di opporsi alla scelta tra scuola privata e pubblica e chiudere le Charter Schools, togliendo così ai bambini neri ed ispanici una ulteriore possibilità di salire nella scala sociale.
Nel corso del mio secondo mandato, intendo espandere le charter schools e fornire la libertà di scelta tra scuole pubbliche e private a tutte le famiglie americane. E tratteremo i nostri insegnanti sempre con il rispetto che meritano.
Joe Biden afferma di mostrare empatia nei confronti dei più vulnerabili – ma il Partito che guida supporta le leggi più estreme per l’aborto a fine gravidanza di bambini senza difese fino al momento stesso della nascita. I leader democratici parlano di decenza morale, ma non hanno alcun problema a porre fine al battito di un bambino nel nono mese di gravidanza.
I politici democratici non intendono difendere la vita innocente, ma allo stesso tempo ci vogliono dare lezioni sulla moralità e su come salvare l’anima dell’America? Oggi, assieme dichiariamo con forza che tuti i bambini, nati ed ancora non nati, hanno il diritto alla vita concesso da Dio.
Nel corso della Convention Democratica, le parole ‘Under God’ sono state rimosse dalla Pledge of Allegiance – non una, ma due volte. Il fatto è che proprio Dio è la loro fonte.
Se la sinistra assumerà il potere, demoliranno i sobborghi, confischeranno le vostre armi, e nomineranno giudici che cancelleranno il vostro Secondo Emendamento e le vostre libertà costituzionali.
Biden è un cavallo di Troia per il socialismo. Se Joe Biden non ha avuto il coraggio di opporsi a marxisti come Bernie Sanders ed i suoi seguaci radicali, come potrà difendere i vostri diritti?
L’aspetto più pericoloso della piattaforma di Biden è l’attacco alla sicurezza pubblica. Il manifesto Biden-Bernie chiede l’abolizione delle cauzioni a pagamento, e questo significherebbe rilasciare immediatamente 400 mila criminali nelle vostre strade e nei vostri quartieri.
Alla domanda su se fosse d’accordo a tagliare i finanziamenti alla polizia, Joe Biden ha risposto, “Si assolutamente”. Quando la deputata Ilhan Omar ha definito il Dipartimento di Polizia un tumore “corrotto alla radice”, Biden non ha rinunciato al suo supporto o rigettato il suo endorsement – invece lo mostra ancora oggi fieramente sul suo sito web.
Non facciamoci sbagli, se si darà il potere a Joe Biden, la sinistra radicale potrà togliere i finanziamenti a tutti i Dipartimenti di Polizia americani. Passeranno leggi federali per ridurre le forze dell’ordine. Renderanno tutti gli Stati Uniti come la città di Portland, in Oregon, da loro guidata. Nessuno sarà più sicuro nell’America di Biden.
La mia Amministrazione sarà sempre dalla parte degli uomini e delle donne in divisa. Ogni giorno, ufficiali di polizia rischiano la loro vita per tenerci al sicuro, ed ogni anno, molti di loro perdono la vita, mentre fanno il proprio dovere.
Uno di questi americani incredibili era il detective Miosotis Familia. Lei era parte di un gruppo di eroi americani definito New York Police Department, o il meglio di New York. Tre anni fa, nel corso del fine settimana del 4 luglio, il detective Familia si trovava al lavoro nella sua auto quando è stata attaccata ed uccisa da un mostro che la odiava solo per la divisa che indossava.
Il detective Familia era una madre single – lei di recente aveva chiesto di essere spostata al turno notturno per stare più tempo con i suoi figli. Due anni fa, io sono stato di fronte al Campidoglio americano assieme ai suoi figli ed ho tenuto la mano della loro nonna che soffriva fortemente per questa terribile perdita, e tutti assieme abbiamo onorato la straordinaria vita del detective Familia.
I tre figli del detective Familia sono qui con noi oggi. Genesis, Peter, e Delilah, siamo onorati di avervi qui con noi oggi. VI prometto che porteremo sempre vostra madre nelle nostre memorie.
Dobbiamo ricordare che la stragrande maggioranza di ufficiali di polizia del nostro Paese sono nobili, coraggiosi ed onorevoli. Dobbiamo ridare alle nostre forze dell’ordine, alla nostra polizia, il suo potere. Hanno paura di agire ora. Hanno paura di perdere la loro pensione, i loro posti di lavoro e di non essere in grado di svolgere i propri compiti. E coloro che soffrono di più sono le grandi persone che hanno disperatamente bisogno di essere protette.
Quando un poliziotto sbaglia, il sistema penale deve agire contro i colpevoli in maniera completa e piena, ed è quello che farà. Ma non possiamo mai avere in America – e non lo permetteremo mai – il controllo da parte dei delinquenti. Nel modo più forte possibile, il Partito Repubblicano condanna le rivolte, i saccheggi, gli incendi e le violenze viste in città guidate dai democratici come Kenosha, Minneapolis, Portland, Chicago, e New York.
C’è troppa violenza e pericolo per le strade di molte città guidate dai democratici in America. Questo problema può essere facilmente corretto se solo lo volessimo. Dobbiamo sempre perseguire legge ed ordine. Tutti i crimini federali saranno investigati, perseguiti e puniti fino alla fine rispettando la legge.
Quando gli anarchici hanno iniziato a distruggere le nostre statue e monumenti, io ho firmato un ordine esecutivo, dieci anni di carcere, e tutto si è fermato.
Durante la loro Convention, Joe Biden ed i suoi supporter non hanno detto nulla contro i violenti e criminali che stanno distruggendo le città guidate dai democratici. Di fronte all’anarchia di estrema sinistra e le devastazioni a Minneapolis, Chicago, ed in altre città, la campagna di Joe Biden non le ha condannate – invece ha donato loro dei soldi. Almeno 13 membri dello staff elettorale di Joe Biden hanno donato soldi ad un fondo per concedere la libertà su cauzione a vandali, piromani, saccheggiatori e violenti.
Qui questa notte c’è la famiglia in lutto dell’ex capitano di polizia David Dorn, un 38enne veterano del Dipartimento di Polizia di St. Louis. A giugno, il capitano Dorn è stato colpito ed ucciso mentre tentava di proteggere un negozio dai saccheggiatori e violenti. Siamo onorati di essere qui assieme a sua moglie ed ai membri della sua amata famiglia: Brian e Kielen. A tutti voi prometto: non dimenticheremo mai l’eredità eroica del capitano David Dorn.
Fino a quando sarò presidente, difenderò l’assoluto diritto di ogni cittadino americano di vivere in sicurezza, dignità e pace.
Se il Partito Democratico vuole stare dalla parte degli anarchici, degli agitatori, violenti, saccheggiatori e bruciatori della bandiera americana, è una loro scelta, ma io, come vostro presidente, non sarò parte di tutto questo. Il Partito Repubblicano resterà la voce degli eroi patriottici che vogliono mantenere sicura l’America.
Lo scorso anno più di 1.000 afroamericani sono stati uccisi come risultato del crimine violento in sole 4 città guidate dai democratici. Le 10 principali città più pericolose degli Stati Uniti sono guidate dai democratici e lo sono state da decenni. Migliaia di altri afroamericani sono vittime di reati violenti in queste comunità che Joe Biden ed il resto della sinistra ignorano. Io non lo farò mai.
Se la sinistra radicale prenderà il potere, loro applicheranno queste politiche disastrose a tutte le città, cittadine e sobborghi americani.
Immaginate cosa accadrebbe se i cosiddetti manifestanti pacifici nelle strade fossero al comando a qualsiasi livello del governo americano.
I politici liberal affermano di essere preoccupati della forza delle istituzioni americane. Ma chi, esattamente, le sta attaccando? Chi sta assumendo professori, giudici e pubblici ministeri radicali? Chi sta tentando di abolire le forze dell’ordine al confine e stabilire regole per impedire il dissenso? In tutti i casi, gli attacchi contro le istituzioni americane provengono dall’estrema sinistra.
Ricordate sempre: loro attaccano me perché io combatto per voi.
Dobbiamo reclamare la nostra indipendenza dai mandati repressivi della sinistra. Gli americani sono esausti di dover rispettare l’ultima lista di parole e frasi approvate e decreti sempre più restrittivi delle libertà politiche. Molte cose oggi hanno un nome diverso, e le regole cambiano sempre. L’obiettivo della ‘cancel culture’ è quello di fare in modo che gli americani vivano in terrore di essere licenziati, espulsi, svergognati, umiliati e cacciati dalla società che conosciamo. L’estrema sinistra vuole obbligarvi a dire quello che sapete essere falso e farvi terrorizzare dal dire ciò che è vero.
Ma il 3 novembre, possiamo mandare loro un forte messaggio che non dimenticheranno mai!
Joe Biden è debole. Prende ordini da ipocriti liberal che stanno facendo sprofondare le loro città mentre scappano lontano dalla scena del naufragio. Questi stessi liberal vogliono eliminare la possibilità di scegliere tra scuola pubblica e privata, mentre iscrivono i loro figli nelle migliori scuole private del paese. Vogliono aprire i nostri confini mentre vivono in complessi e comunità recintate. Vogliono distruggere la polizia mentre hanno guardie armate per difendere loro stessi.
Questo novembre, dobbiamo voltare pagina per sempre contro questa classe politica fallimentare. Il fatto è che io sono qui e loro non ci sono – e questo grazie a voi. Insieme, scriveremo il prossimo capitolo della grande storia americana.
Nei prossimi quattro anni, renderemo l’America la superpotenza produttiva del mondo. Espanderemo le zone di opportunità, porteremo a casa le catene di approvvigionamento medico e porremo fine alla nostra dipendenza dalla Cina una volta per tutte.
Continueremo a ridurre le tasse e le regolamentazioni a livelli mai visti prima.
Creeremo 10 milioni di posti di lavoro nei prossimi 10 mesi.
Assumeremo più poliziotti, aumenteremo le sanzioni per chi aggredisce le forze dell’ordine e sposteremo i pubblici ministeri federali in comunità ad alto tasso di criminalità.
Vieteremo le mortali ‘città santuario’ e assicureremo che l’assistenza sanitaria federale sia garantita per i cittadini americani, non per gli immigrati irregolari.
Avremo confini solidi, abbatteremo i terroristi che minacciano il nostro popolo e terremo l’America fuori da infinite e costose guerre straniere.
Nomineremo pubblici ministeri, giudici e giudici che credono nell’applicazione della legge, non nella loro agenda politica.
Garantiremo uguale giustizia per i cittadini di ogni razza, religione, colore e credo religioso.
Sosterremo la libertà religiosa e difenderemo il diritto garantito dal Secondo Emendamento di tenere e portare armi.
Proteggeremo Medicare e la Social Security.
Proteggeremo sempre, e con forza, i pazienti con condizioni preesistenti, e questo è un impegno dell’intero Partito Repubblicano.
Porremo fine alle fatture mediche a sorpresa, richiederemo trasparenza nei prezzi e ridurremo ulteriormente il costo dei farmaci da prescrizione e dei premi dell’assicurazione sanitaria.
Amplieremo notevolmente lo sviluppo energetico, continuando a essere i numeri uno al mondo e manterremo l’America energeticamente indipendente.
Vinceremo la corsa al 5G e costruiremo la migliore difesa informatica e missilistica del mondo.
Ridaremo totalmente vita all’educazione patriottica nelle nostre scuole e proteggeremo sempre la libertà di parola nei campus universitari.
Lanceremo una nuova era dell’ambizione americana nello spazio. L’America farà atterrare la prima donna sulla Luna e gli Stati Uniti saranno la prima nazione a piantare la propria bandiera su Marte.
Questa è l’agenda nazionale che porterà il nostro paese ad essere nuovamente unito.
Quindi stasera lo ripeto a tutti gli americani: questa è l’elezione più importante nella storia del nostro Paese. Non c’è mai stata una tale differenza tra due partiti, o due individui, in ideologia, filosofia o visione politica, di quanta ce ne sia oggi.
I nostri avversari credono che l’America sia una nazione depravata.
Noi vogliamo invece che i nostri figli e le nostre figlie conoscano la verità: l’America è la nazione più grande ed eccezionale nella storia del mondo!
Il nostro Paese non è stato costruito cancellando la cultura, i vocaboli o sulla conformità che schiaccia l’anima. Non siamo una nazione di spiriti timidi. Siamo una nazione di patrioti americani fieri, orgogliosi e indipendenti.
Siamo una nazione di pellegrini, pionieri, avventurieri, esploratori che hanno rifiutato di essere legati, trattenuti o tenuti a freno. Gli americani hanno l’acciaio nelle loro spine dorsali, la grinta nelle loro anime e il fuoco nei loro cuori. Non c’è nessuno come noi sulla Terra.
Voglio che ogni bambino in America sappia che faccia parte dell’avventura più emozionante e incredibile della storia umana. Non importa da dove viene la tua famiglia, non importa il tuo retroterra, in America, chiunque può aver successo. Con il duro lavoro, la devozione e l’impulso, è possibile raggiungere qualsiasi obiettivo ed ogni ambizione.
I nostri antenati hanno navigato attraverso il pericoloso Oceano per costruirsi una nuova vita in un nuovo continente. Hanno sfidato inverni gelidi, attraversato fiumi impetuosi, scalato picchi rocciosi, camminato in foreste pericolose e lavorato dall’alba al tramonto. Questi pionieri non avevano soldi, non avevano fama, ma potevano contare gli uni sugli altri. Amavano le loro famiglie, amavano il loro Paese e amavano il loro Dio!
Quando se ne è presentata l’opportunità, hanno raccolto la Bibbia, impacchettato le loro cose, sono saliti su carri coperti e partiti verso Ovest per la prossima avventura. Allevatori e minatori, cowboy e sceriffi, agricoltori e coloni – hanno proseguito oltre il Mississippi per andare nella Wild Frontier.
Sono nate così delle leggende: Wyatt Earp, Annie Oakley, Davy Crockett e Buffalo Bill.
Gli americani hanno costruito le loro belle fattorie sull’Open Range. Ben presto ebbero chiese e comunità, poi città e, con il tempo, grandi centri industriali e commerciali. Ecco chi erano. Gli americani costruiscono il futuro, non abbattono il passato!
Siamo la nazione che ha vinto una Rivoluzione, ha rovesciato la tirannia e il fascismo ed ha liberato milioni di persone. Abbiamo costruito le ferrovie e le grandi navi, innalzato i grattacieli, rivoluzionato l’industria e avviato una nuova era di scoperte scientifiche. Abbiamo stabilito le tendenze nell’arte e nella musica, nella radio e nel cinema, nello sport e nella letteratura, e abbiamo fatto tutto con stile, sicurezza e talento. Perché questo è ciò che siamo.
Ogni volta che il nostro modo di vivere è stato minacciato, i nostri eroi hanno sempre risposto alla chiamata al dovere.
Da Yorktown a Gettysburg, dalla Normandia a Iwo Jima, i patrioti americani hanno corso sotto i colpi di cannone, proiettili e baionette per salvare la libertà americana.
Ma l’America non si è fermata qui. Abbiamo guardato verso il cielo e continuiamo ad andare avanti. Abbiamo costruito un razzo da sei milioni di libbre e lo abbiamo lanciato a migliaia di miglia nello spazio. Lo abbiamo fatto in modo che due coraggiosi patrioti potessero alzarsi in piedi e fare il saluto alla nostra meravigliosa bandiera americana piantata sulla Luna.
Per l’America, niente è impossibile.
Nei prossimi quattro anni ci dimostreremo degni di questa magnifica eredità. Raggiungeremo incredibili nuove vette. E mostreremo al mondo che, per l’America, nessun sogno è al di là della nostra portata.
Insieme, siamo inarrestabili. Insieme, siamo imbattibili. Perché insieme siamo orgogliosi cittadini degli Stati Uniti d’America. E il 3 novembre renderemo l’America più sicura, renderemo l’America più forte, renderemo l’America più orgogliosa e renderemo l’America più grande che mai! Grazie, Dio ti benedica. Che Dio benedica l’America, buonanotte!”.

 

LOS DOS AMIGOS, di Gianfranco Campa

 

Qui sotto alcune considerazioni di Gianfranco Campa riguardo ad un fatto politico rilevante, ma disconosciuto nel mondo e negli stessi Stati Uniti: la sottoscrizione da parte dei presidenti statunitense e messicano del trattato USMCA (Stati Uniti, Messico, Canada) in sostituzione del decaduto NAFTA.  La grande stampa americana ha ignorato e tutt’al più ironizzato sull’evento. Eppure il trattato prevede delle misure di tutela e regolazione sorprendenti visti i precedenti accordi di natura apertamente liberista che avrebbero dovuto quantomeno incuriosire quella sinistra sedicente legata ai problemi di disuguaglianza e di squilibrio economico. Il Messico, assieme al Brasile, è il paese potenzialmente leader dell’America Latina. Gran parte dei paesi di quell’area hanno tentato la via dell’emancipazione sociale che però, al netto di alcuni successi, è rapidamente ricaduta in una facile politica di tipo assistenziale e in una economia ancora una volta fondata e condannata alla rendita legata allo sfruttamento delle materie prime. Con una novità importante: i beneficiari di questo squilibrio non sono più i soli Stati Uniti, ma anche la Cina. Un dualismo che ha consentito ad alcuni regimi di resistere alle intromissioni pesanti di uno, poggiandosi su altri protagonisti dello scacchiere geopolitico; rendendo meno scontati quindi gli esiti di interventi diretti o sovversioni drammatiche come quelle del golpe cileno degli anni ’70. Si assiste ad un ritorno del nazionalismo, ma di una natura diversa. Il processo di globalizzazione ha pesantemente penalizzato quasi tutti i paesi latino-americani. La concentrazione degli investimenti occidentali, soprattutto americani in Cina e nel Sud-Est asiatico, hanno bruscamente e drammaticamente interrotto i processi di industrializzazione nei paesi del Centro-Sud-America devastandoli e degradandoli pesantemente. http://italiaeilmondo.com/2018/09/20/2564/ Hanno contemporaneamente indebolito notevolmente l’influenza e la presa statunitense su di essi senza che le nuove classi dirigenti latinoamericane riuscissero a creare reali condizioni di indipendenza politica ed economica; paradossalmente hanno disarticolato quel poco di tessuto economico autoctono che si era creato. L’accordo sottoscritto sembra porre su nuove basi questo sistema di relazioni interamericano. E’ però ancora solo una traccia passibile di essere rimessa pesantemente in discussione. Con gli occhi e il punto di vista di uno storico, a bocce ferme, la Presidenza Trump dovrà essere rivisitata da troppi luoghi comuni e da troppi stereotipi interessati_Giuseppe Germinario

 

 

LO DOS AMIGOS, di Gianfranco Campa

 

L’8 luglio, alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump e il presidente Messicano Andres Manuel Lopez-Obrador (AMLO) hanno sottoscritto il nuovo trattato internazionale fra i tre giganti nord americani (CANADA-USA-MESSICO), il cosiddetto USMCA che sostituisce il vecchio NAFTA.

L’incontro fra i due leader ( i due Amigos, per l’Economist) è stato ignorato dalla maggior parte dei mass-media; qualcuno ha voluto ricordare le dichiarazioni ‘razziste” fatte da Trump sui messicani prima delle elezioni del 2016. Non torniamo su  quelle dichiarazioni poiché all’epoca alcune parole dette da Trump furono travisate e estrapolate fuori contesto. Ma in linea di massima cioè di cui i critici accusano il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è di aver denigrato i migranti messicani e di aver minacciato l’alleato degli Stati Uniti con tariffe paralizzanti.

Ma se andiamo al di là della dialettica e propaganda politica, quello che molti non colgono è il filo che accomuna Trump a AMLO. È vero che i due vengono da estrazioni politiche diverse. AMLO è socialista, Trump di destra, entrambi però sono nazionalisti, populisti. AMLO è anti-capitalista, per intenderci anche Trump è un anti-capitalista anche se in versione diversa da AMLO. I due presidenti pur di estrazione politica apparentemente “opposta” non solo condividono la considerazione del nazionalismo, ma anche  l’avversione al cosiddetto crony-capitalism, il capitalismo clientelare.

Tra i due protagonisti ci sono stati scambi amorevoli, qualcuno le ha definite “effusioni pubbliche”. Le critiche ad AMLO continueranno senza sosta; d’ora in poi verrà trattato come un ologramma di Trump stesso, anche perché non solo ha speso parole positive su Trump, urtato quindi la sensibilità di molti, ma ha evitato di incontrare e fare gli omaggi al prossimo presidente Joe Biden. Probabilmente AMLO dovrà pagare un dazio pesante quando e se Bidet diventerà presidente…

Comunque sia, le ragioni del rapporto cordiale fra Trump ed AMLO sono spiegate dallo stesso AMLO nel discorso fatto alla Casa Bianca durante la cerimonia della firma del USMC:

… volevo essere qui anche per ringraziare la gente degli Stati Uniti, il suo governo; grazie presidente Trump per essere sempre più rispettoso con i nostri simili messicani.

 E a lei, presidente Trump, voglio ringraziarla per la comprensione e l’aiuto che ci ha fornito in questioni relative al commercio, al petrolio, nonché al suo supporto personale per l’acquisizione di attrezzature mediche di cui avevamo urgente bisogno per trattare i nostri pazienti con COVID-19.

 Ma ciò che apprezzo principalmente è che non hai mai cercato di imporci nulla violando la nostra sovranità. Invece della Dottrina Monroe, hai seguito, nel nostro caso, i saggi consigli del brillante e prudente presidente George Washington che ha detto, citando: “Le nazioni non dovrebbero approfittare della sfortunata condizione degli altri popoli“.

 Non hai provato a trattarci come una colonia; al contrario, hai onorato la nostra condizione di nazione indipendente. Ecco perché sono qui per esprimere alla gente degli Stati Uniti che il loro Presidente si è comportato con noi con gentilezza e rispetto. Ci hai trattati proprio come quello che siamo: un paese e un popolo dignitoso; un popolo libero, democratico e sovrano.

 Lunga vita all’amicizia delle nostre due nazioni. Lunga vita agli Stati Uniti d’America. Lunga vita al Canada. Lunga vita alla nostra America. Lunga vita al Messico. Viva México.”

 

 

 

https://publicpool.kinja.com/subject-remarks-by-president-trump-and-president-lopez-1844313082

 

Vladimir Putin: Le vere lezioni del 75 ° anniversario della seconda guerra mondiale

Qui sotto un lungo articolo di Vladimir pubblicato sulla rivista americana National Interest https://nationalinterest.org/feature/vladimir-putin-real-lessons-75th-anniversary-world-war-ii-162982? . Importante la sede che ha ospitato il saggio; altrettanto importante il messaggio lanciato. I canali di comunicazione con gli Stati Uniti non sono stati evidentemente tutti recisi; al di là della inevitabile retorica distensivistica traspare la constatazione della fase policentrica ormai irreversibile_Giuseppe Germinario

Vladimir Putin: Le vere lezioni del 75 ° anniversario della seconda guerra mondiale

Il presidente russo offre una valutazione completa dell’eredità della seconda guerra mondiale, sostenendo che “Oggi, i politici europei, e in particolare i leader polacchi, desiderano spazzare il tradimento di Monaco sotto il tappeto. Il tradimento di Monaco ha mostrato all’Unione Sovietica che l’Occidente i paesi si occuperebbero di problemi di sicurezza senza tener conto dei propri interessi “.

Sono trascorsi settantacinque anni dalla fine della Grande Guerra Patriottica . Diverse generazioni sono cresciute negli anni. La mappa politica del pianeta è cambiata. L’ Unione Sovietica che rivendicò una vittoria epica e schiacciante sul nazismo e salvò il mondo intero è sparita. Inoltre, gli eventi di quella guerra sono diventati a lungo un ricordo lontano, anche per i suoi partecipanti. Allora perché la Russia celebra il nono maggio come la più grande festa? Perché la vita si ferma quasi il 22 giugno? E perché si sente un nodo alla gola?

Di solito dicono che la guerra ha lasciato una profonda impronta nella storia di ogni famiglia . Dietro queste parole, ci sono destini di milioni di persone, le loro sofferenze e il dolore della perdita. Dietro queste parole c’è anche l’orgoglio, la verità e la memoria.

Per i miei genitori, la guerra significava le terribili prove dell’assedio di Leningrado, dove morì mio fratello di due anni, Vitya. Era il posto dove mia madre riuscì miracolosamente a sopravvivere. Mio padre, nonostante fosse esente dal servizio attivo, si offrì volontario per difendere la sua città natale. Ha preso la stessa decisione di milioni di cittadini sovietici. Combatté contro la testa di ponte Nevsky Pyatachok e fu gravemente ferito. E più passano gli anni, più sento il bisogno di parlare con i miei genitori e conoscere meglio il periodo di guerra delle loro vite. Tuttavia, non ho più l’opportunità di farlo. Questo è il motivo per cui faccio tesoro nel mio cuore delle conversazioni che ho avuto con mio padre e mia madre su questo argomento, nonché della piccola emozione che hanno mostrato.

Persone della mia età e credo sia importante che i nostri figli, nipoti e pronipoti comprendano il tormento e le difficoltà che i loro antenati hanno dovuto sopportare. Devono capire come i loro antenati sono riusciti a perseverare e vincere. Da dove viene la loro forza di volontà pura e incessante che ha stupito e affascinato il mondo intero? Certo, stavano difendendo la loro casa, i loro figli, i loro cari e le loro famiglie. Tuttavia, ciò che condividevano era l’amore per la loro terra natale, la loro Patria. Quella sensazione profonda e intima si riflette pienamente nell’essenza stessa della nostra nazione ed è diventata uno dei fattori decisivi nella sua eroica, sacrificale lotta contro i nazisti.

Mi chiedo spesso: cosa farebbe la generazione di oggi? Come agirà di fronte a una situazione di crisi? Vedo giovani dottori, infermiere, a volte neolaureati che vanno nella “zona rossa” per salvare vite umane. Vedo i nostri militari che combattono il terrorismo internazionale nel Caucaso settentrionale e hanno combattuto fino alla fine in Siria. Sono così giovani. Molti militari che facevano parte del leggendario, immortale 6 ° Paracadutisti società erano 19-20 anni. Ma tutti dimostrarono che meritavano di ereditare l’impresa dei guerrieri della nostra terra natale che la difesero durante la Grande Guerra Patriottica.

Questo è il motivo per cui sono fiducioso che una delle caratteristiche distintive dei popoli della Russia sia l’adempimento del loro dovere senza dispiacersi per se stessi quando le circostanze lo richiedono. Valori come l’altruismo, il patriottismo, l’amore per la loro casa, la loro famiglia e la Patria rimangono fino ad oggi fondamentali e integrali nella società russa. Questi valori sono, in larga misura, la spina dorsale della sovranità del nostro paese.

Oggi abbiamo nuove tradizioni create dal popolo, come il Reggimento Immortale. Questa è la marcia della memoria che simboleggia la nostra gratitudine, così come la connessione vivente e i legami di sangue tra le generazioni. Milioni di persone escono per le strade portando le fotografie dei loro parenti che hanno difeso la loro Patria e sconfitto i nazisti. Ciò significa che le loro vite, le loro prove e sacrifici, così come la Vittoria che ci hanno lasciato non saranno mai dimenticate.

Abbiamo la responsabilità del nostro passato e del nostro futuro di fare del nostro meglio per impedire che queste orribili tragedie si ripetano. Quindi, sono stato costretto a pubblicare un articolo sulla Seconda Guerra Mondiale e sulla Grande Guerra Patriottica. Ho discusso questa idea in diverse occasioni con leader mondiali e hanno dimostrato il loro sostegno. Al vertice dei leader della CSI tenutosi alla fine dello scorso anno, siamo tutti d’accordo su una cosa: è essenziale trasmettere alle generazioni future il ricordo del fatto che i nazisti furono sconfitti prima di tutto dal popolo sovietico e che i rappresentanti di tutte le repubbliche dell’Unione Sovietica hanno combattuto fianco a fianco in quella battaglia eroica, sia in prima linea che nella parte posteriore. Durante quel summit, ho anche parlato con le mie controparti del difficile periodo prebellico .

Quella conversazione ha suscitato scalpore in Europa e nel mondo. Significa che è davvero giunto il momento di rivisitare le lezioni del passato. Allo stesso tempo, ci furono molte esplosioni emotive, insicurezze mal mascherate e forti accuse che seguirono. Agendo per abitudine, alcuni politici si affrettarono a sostenere che la Russia stava cercando di riscrivere la storia. Tuttavia, non sono riusciti a confutare un singolo fatto o confutare un singolo argomento. È davvero difficile, se non impossibile, discutere con i documenti originali che, a proposito, possono essere trovati non solo negli archivi russi, ma anche negli archivi stranieri.

Pertanto, è necessario esaminare ulteriormente le ragioni che hanno causato la guerra mondiale e riflettere sui suoi complicati eventi, tragedie e vittorie, nonché sulle sue lezioni, sia per il nostro paese che per il mondo intero. E come ho detto, è fondamentale fare affidamento esclusivamente su documenti d’archivio e prove contemporanee evitando qualsiasi speculazione ideologica o politicizzata.

Vorrei ancora una volta ricordare il fatto ovvio. Le cause profonde della seconda guerra mondiale derivano principalmente dalle decisioni prese dopo la prima guerra mondiale . Il trattato di Versailles divenne un simbolo di grave ingiustizia per la Germania. Sostanzialmente implicava che il paese dovesse essere derubato, costretto a pagare enormi riparazioni agli alleati occidentali che hanno prosciugato la sua economia. Il maresciallo francese Ferdinand Foch, che servì come comandante supremo alleato, diede una descrizione profetica di quel trattato: “Questa non è pace. È un armistizio da vent’anni”.

Fu l’umiliazione nazionale che divenne un terreno fertile per sentimenti radicali di vendetta in Germania . I nazisti giocarono abilmente sulle emozioni della gente e costruirono la loro propaganda promettendo di liberare la Germania dall’eredità di Versailles e riportare il paese al suo antico potere, spingendo essenzialmente il popolo tedesco in guerra. Paradossalmente, gli stati occidentali, in particolare il Regno Unito e gli Stati Uniti, hanno contribuito direttamente o indirettamente a questo. Le loro imprese finanziarie e industriali investirono attivamente in fabbriche e impianti tedeschi che fabbricano prodotti militari. Inoltre, molte persone nell’aristocrazia e nell’establishment politico hanno sostenuto movimenti radicali, di estrema destra e nazionalisti che erano in aumento sia in Germania che in Europa .

L ‘”ordine mondiale di Versailles” ha causato numerose controversie implicite e conflitti apparenti. Girarono attorno ai confini dei nuovi stati europei stabiliti casualmente dai vincitori nella prima guerra mondiale. Quella delimitazione dei confini fu quasi immediatamente seguita da dispute territoriali e rivendicazioni reciproche che si trasformarono in “bombe a tempo”.

Uno dei maggiori risultati della prima guerra mondiale fu l’istituzione della Società delle Nazioni. C’erano grandi aspettative per quell’organizzazione internazionale di garantire pace duratura e sicurezza collettiva. Era un’idea progressiva che, se seguita in modo coerente, poteva effettivamente impedire che si ripetessero gli orrori di una guerra globale.

Tuttavia, la Società delle Nazioni dominata dalle potenze vittoriose di Francia e Regno Unito si dimostrò inefficace e fu appena sommersa da discussioni inutili. La Società delle Nazioni e il continente europeo in generale non hanno ascoltato le ripetute chiamate dell’Unione Sovietica a stabilire un sistema equo di sicurezza collettiva e firmare un patto dell’Europa orientale e un patto del Pacifico per prevenire l’aggressione. Queste proposte sono state ignorate.

La Società delle Nazioni non è riuscita a prevenire conflitti in varie parti del mondo, come l’attacco dell’Italia all’Etiopia, la guerra civile in Spagna , l’aggressione giapponese contro la Cina e l’Anschluss d’ Austria . Inoltre, nel caso del tradimento di Monaco che, oltre a Hitler e Mussolini , coinvolse leader britannici e francesi, la Cecoslovacchia fu smantellata con la piena approvazione della Società delle Nazioni. Vorrei sottolineare a questo proposito che, a differenza di molti altri leader europei di quel tempo, Stalin non si disonora incontrandosi con Hitler che era noto tra le nazioni occidentali come un politico abbastanza rispettabile ed era un gradito ospite nelle capitali europee .

Anche la Polonia era impegnata nella spartizione della Cecoslovacchia insieme alla Germania. Decisero insieme in anticipo chi avrebbe ottenuto quali territori cecoslovacchi. Il 20 settembre 1938, l’ambasciatore polacco in Germania Józef Lipski riferì al ministro degli Esteri polacco Józef Beck sulle seguenti assicurazioni fatte da Hitler: “… in caso di conflitto tra Polonia e Cecoslovacchia sui nostri interessi a Teschen, il Reich avrebbe stare dalla Polonia “. Il leader nazista ha persino sollecitato e avvisato che la Polonia ha iniziato ad agire “solo dopo che i tedeschi occupano i Sudeti”.

La Polonia era consapevole che senza il supporto di Hitler, i suoi piani annessionisti erano destinati a fallire. Vorrei citare a questo proposito un resoconto della conversazione tra l’ambasciatore tedesco a Varsavia Hans-Adolf von Moltke e Józef Beck che ebbe luogo il 1 ° ottobre 1938 e si concentrò sulle relazioni polacco-ceche e sulla posizione del Soviet Unione in questa materia. Dice: “Beck ha espresso vera gratitudine per il trattamento leale accordato [agli] interessi polacchi alla conferenza di Monaco, nonché per la sincerità delle relazioni durante il conflitto ceco. L’atteggiamento di Führer e cancelliere è stato pienamente apprezzato dal governo e il pubblico [della Polonia]. ”

La spartizione della Cecoslovacchia fu brutale e cinica. Monaco distrusse persino le garanzie formali e fragili rimaste sul continente. Ha dimostrato che gli accordi reciproci erano privi di valore. Fu il tradimento di Monaco a fungere da “innesco” e rese inevitabile la grande guerra in Europa.

Oggi, i politici europei, e in particolare i leader polacchi, desiderano spazzare il tradimento di Monaco sotto il tappeto. Perché? Il fatto che una volta i loro paesi abbiano infranto i loro impegni e sostenuto il tradimento di Monaco, con alcuni di loro che hanno persino partecipato alla divisione della presa, non è l’unica ragione. Un altro è che è in qualche modo imbarazzante ricordare che durante quei drammatici giorni del 1938, l’Unione Sovietica fu l’unica a difendere la Cecoslovacchia.

L’Unione Sovietica, conformemente ai suoi obblighi internazionali, compresi gli accordi con la Francia e la Cecoslovacchia, ha cercato di impedire che accadesse la tragedia. Nel frattempo, la Polonia, alla ricerca dei suoi interessi, stava facendo del suo meglio per ostacolare l’istituzione di un sistema di sicurezza collettiva in Europa. Il ministro degli affari esteri polacco Józef Beck ne scrisse direttamente nella sua lettera del 19 settembre 1938 al summenzionato ambasciatore Józef Lipski prima dell’incontro con Hitler: “… l’anno scorso, il governo polacco ha respinto quattro volte la proposta di aderire all’Internazionale interferire in difesa della Cecoslovacchia “.

La Gran Bretagna, così come la Francia, che era all’epoca il principale alleato di cechi e slovacchi, scelsero di ritirare le loro garanzie e abbandonare questo paese dell’Europa orientale al suo destino. In tal modo, hanno cercato di dirigere l’attenzione dei nazisti verso est in modo che la Germania e l’Unione Sovietica si scontrassero inevitabilmente e si sanguinassero a vicenda.

Questa è l’essenza della politica occidentale di pacificazione, che è stata perseguita non solo verso il Terzo Reich, ma anche verso altri partecipanti al cosiddetto Patto anticomprano: l’Italia fascista e il Giappone militarista. In Estremo Oriente, questa politica culminò con la conclusione dell’accordo anglo-giapponese nell’estate del 1939, che diede a Tokyo una mano libera in Cina. Le principali potenze europee non erano disposte a riconoscere il pericolo mortale rappresentato dalla Germania e dai suoi alleati per il mondo intero. Speravano che sarebbero rimasti intatti dalla guerra.

Il tradimento di Monaco ha mostrato all’Unione Sovietica che i paesi occidentali avrebbero affrontato le questioni di sicurezza senza tener conto dei suoi interessi. In effetti, potrebbero persino creare un fronte antisovietico, se necessario.

Tuttavia, l’Unione Sovietica fece del suo meglio per sfruttare ogni possibilità di creare una coalizione anti-Hitler. Nonostante – lo dirò di nuovo – il doppio scambio da parte dei paesi occidentali. Ad esempio, i servizi di intelligence riferirono alla leadership sovietica informazioni dettagliate sui contatti dietro le quinte tra Gran Bretagna e Germania nell’estate del 1939. L’importante è che quei contatti fossero abbastanza attivi e praticamente coincidessero con i negoziati tripartiti tra la Francia , La Gran Bretagna e l’URSS, che sono state invece deliberatamente protratte dai partner occidentali. A questo proposito, citerò un documento dagli archivi britannici. Contiene istruzioni per la missione militare britannica arrivata a Mosca nell’agosto del 1939. Afferma direttamente che la delegazione avrebbe dovuto proseguire i negoziati molto lentamente e che il governo del Regno Unito non era pronto ad assumere alcun obbligo esplicitato in dettaglio e limitare la sua libertà di azione in qualsiasi circostanza. Noterò anche che, a differenza delle delegazioni britannica e francese, la delegazione sovietica era guidata dai massimi comandanti dell’Armata Rossa, che aveva l’autorità necessaria per “firmare una convenzione militare sull’organizzazione della difesa militare di Inghilterra, Francia e URSS contro l’aggressione in Europa “.

La Polonia ha giocato il suo ruolo nel fallimento di quei negoziati in quanto non voleva avere alcun obbligo nei confronti della parte sovietica. Anche sotto la pressione dei loro alleati occidentali, la leadership polacca ha respinto l’idea di un’azione congiunta con l’Armata Rossa per combattere contro la Wehrmacht. Fu solo quando venne a sapere dell’arrivo di Ribbentrop a Mosca che J. Beck con riluttanza e non direttamente, attraverso diplomatici francesi, notificò alla parte sovietica: “… in caso di azione comune contro l’aggressione tedesca, cooperazione tra Polonia e Unione Sovietica L’Unione non è fuori discussione, in circostanze tecniche che rimangono da concordare. ” Allo stesso tempo, ha spiegato ai suoi colleghi: “… Ho accettato questa formulazione solo per motivi di tattica, e la nostra posizione centrale nei confronti dell’Unione Sovietica è definitiva e rimane invariata”.

In queste circostanze, l’Unione Sovietica ha firmato il patto di non aggressione con la Germania. È stato praticamente l’ultimo dei paesi europei a farlo. Inoltre, è stato fatto di fronte a una vera minaccia di guerra su due fronti: con la Germania a ovest e con il Giappone a est, dove erano già in corso intensi combattimenti sul fiume Khalkhin Gol.

Stalin e il suo entourage, infatti, meritano molte legittime accuse. Ricordiamo i crimini commessi dal regime contro il suo stesso popolo e l’orrore delle repressioni di massa. In altre parole, ci sono molte cose per cui i leader sovietici possono essere rimproverati, ma la scarsa comprensione della natura delle minacce esterne non è una di queste. Hanno visto come sono stati fatti i tentativi di lasciare sola l’Unione Sovietica per trattare con la Germania e i suoi alleati. Tenendo presente questa vera minaccia, hanno cercato di guadagnare tempo prezioso necessario per rafforzare le difese del Paese.

Oggi sentiamo molte speculazioni e accuse contro la Russia moderna in relazione al Patto di non aggressione firmato allora. Sì, la Russia è lo stato successore legale dell’URSS e il periodo sovietico – con tutti i suoi trionfi e tragedie – è una parte inalienabile della nostra storia millenaria. Tuttavia, ricordiamo che l’Unione Sovietica ha dato una valutazione giuridica e morale del cosiddetto patto Molotov-Ribbentrop. Il Soviet Supremo nella sua risoluzione del 24 dicembre 1989 denunciò ufficialmente i protocolli segreti come “un atto di potere personale” che non rifletteva in alcun modo “la volontà del popolo sovietico che non ha alcuna responsabilità per questa collusione”.

Eppure altri stati hanno preferito dimenticare gli accordi che portano le firme dei nazisti e dei politici occidentali, per non parlare di dare valutazioni legali o politiche di tale cooperazione, inclusa la silenziosa acquiescenza – o persino il diretto abbattimento – di alcuni politici europei nei barbari piani del nazisti. Basterà ricordare la cinica frase pronunciata dall’ambasciatore polacco in Germania J. Lipski durante la sua conversazione con Hitler del 20 settembre 1938: “… per risolvere il problema ebraico, noi [i polacchi] costruiremo in suo onore … uno splendido monumento in Varsavia.”

Inoltre, non sappiamo se esistessero “protocolli” segreti o allegati agli accordi di un certo numero di paesi con i nazisti. L’unica cosa che resta da fare è prendere la parola per questo. In particolare, i materiali relativi ai colloqui anglo-tedeschi segreti non sono ancora stati declassificati. Pertanto, esortiamo tutti gli Stati a intensificare il processo di rendere pubblici i loro archivi e pubblicare documenti precedentemente sconosciuti della guerra e dei periodi prebellici, come ha fatto la Russia negli ultimi anni. In questo contesto, siamo pronti per un’ampia cooperazione e progetti di ricerca congiunti che coinvolgono gli storici.

Ma torniamo agli eventi immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale. Era ingenuo credere che Hitler, una volta fatto con la Cecoslovacchia , non avrebbe fatto nuove rivendicazioni territoriali. Questa volta le affermazioni riguardavano il suo recente complice nella spartizione della Cecoslovacchia – Polonia. Qui, l’eredità di Versailles, in particolare il destino del cosiddetto corridoio di Danzica, è stata ancora una volta utilizzata come pretesto. La colpa della tragedia che la Polonia ha poi subito ricade interamente sulla leadership polacca, che ha impedito la formazione di un’alleanza militare tra Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica e si è basata sull’aiuto dei suoi partner occidentali, gettando la propria gente sotto il rullo compressore della macchina di distruzione di Hitler.

L’offensiva tedesca è stata montata in pieno accordo con la dottrina della guerra lampo. Nonostante la feroce, eroica resistenza dell’esercito polacco, l’8 settembre 1939 – solo una settimana dopo lo scoppio della guerra – le truppe tedesche si stavano avvicinando a Varsavia. Il 17 settembre, i leader militari e politici della Polonia erano fuggiti in Romania, abbandonando il suo popolo, che ha continuato a combattere contro gli invasori.

La speranza della Polonia per l’aiuto dei suoi alleati occidentali era vana. Dopo che fu dichiarata la guerra contro la Germania, le truppe francesi avanzarono solo poche decine di chilometri nel territorio tedesco. Tutto sembrava una semplice dimostrazione di azione vigorosa. Inoltre, il Consiglio di guerra supremo anglo-francese, che tenne il suo primo incontro il 12 settembre 1939 nella città francese di Abbeville, decise di annullare del tutto l’offensiva in vista dei rapidi sviluppi in Polonia. Fu allora che iniziò la famigerata guerra fasulla. Ciò che Gran Bretagna e Francia fecero fu un palese tradimento dei loro obblighi nei confronti della Polonia.

Più tardi, durante le prove di Norimberga, i generali tedeschi spiegarono il loro rapido successo in Oriente. L’ex capo dello staff operativo dell’alto comando delle forze armate tedesche, il generale Alfred Jodl ha ammesso: “… non abbiamo subito la sconfitta già nel 1939 solo perché circa 110 divisioni francesi e britanniche di stanza in Occidente contro 23 divisioni tedesche durante la nostra guerra con la Polonia è rimasto assolutamente inattivo “.

Ho chiesto il recupero dagli archivi dell’intero corpus di materiali relativi ai contatti tra l’Unione Sovietica e la Germania nei drammatici giorni di agosto e settembre 1939. Secondo i documenti, il paragrafo 2 del Protocollo segreto al non-tedesco-sovietico Il patto di aggressione del 23 agosto 1939 affermava che, in caso di riorganizzazione territoriale-politica dei distretti che costituivano lo stato polacco, il confine delle sfere di interesse dei due paesi avrebbe “attraversato i fiumi Narew, Vistola e San” . In altre parole, la sfera di influenza sovietica includeva non solo i territori che ospitavano principalmente la popolazione ucraina e bielorussa, ma anche le terre storicamente polacche nell’interfaccia di Vistola e Bug. Questo fatto è noto a pochi in questi giorni.

Allo stesso modo, pochi sanno che, subito dopo l’attacco alla Polonia, nei primi giorni di settembre 1939 Berlino ha fortemente e ripetutamente invitato Mosca a unirsi all’azione militare. Tuttavia, la leadership sovietica ignorò quelle chiamate e progettò di evitare di impegnarsi negli sviluppi drammatici il più a lungo possibile.

Fu solo quando divenne assolutamente chiaro che la Gran Bretagna e la Francia non avrebbero aiutato il loro alleato e la Wehrmacht poteva occupare rapidamente l’intera Polonia e quindi apparire sugli approcci a Minsk che l’Unione Sovietica decise di inviare, la mattina del 17 A settembre, le unità dell’Armata Rossa entrano nei cosiddetti confini orientali, che oggi fanno parte dei territori di Bielorussia, Ucraina e Lituania.

Ovviamente, non c’erano alternative. Altrimenti, l’URSS si troverebbe ad affrontare seriamente maggiori rischi perché – lo dirò di nuovo – il vecchio confine sovietico-polacco passava solo a poche decine di chilometri da Minsk. Il paese dovrebbe entrare nell’inevitabile guerra con i nazisti da posizioni strategiche molto svantaggiose, mentre milioni di persone di diverse nazionalità, tra cui gli ebrei che vivono vicino a Brest e Grodno, Przemyśl, Lvov e Wilno, sarebbero lasciati morire per mano di i nazisti e i loro complici locali – antisemiti e nazionalisti radicali.

Il fatto che l’Unione Sovietica abbia cercato di evitare di affrontare il conflitto crescente il più a lungo possibile e non fosse disposta a combattere fianco a fianco con la Germania era il motivo per cui il vero contatto tra le truppe sovietiche e tedesche avveniva molto più a est dei confini concordato nel protocollo segreto. Non si trovava sul fiume Vistola, ma più vicino alla cosiddetta Curzon Line, che nel 1919 fu raccomandata dalla Triple Intente come confine orientale della Polonia.

Come è noto, non ha senso usare l’umore congiuntivo quando parliamo degli eventi passati. Dirò solo che, nel settembre del 1939, la leadership sovietica ebbe l’opportunità di spostare i confini occidentali dell’URSS ancora più a ovest, fino a Varsavia, ma decise di non farlo.

I tedeschi hanno suggerito di formalizzare il nuovo status quo. Il 28 settembre 1939 Joachim von Ribbentrop e V. Molotov firmarono a Mosca il Trattato di confine e di amicizia tra la Germania e l’Unione Sovietica , nonché il protocollo segreto sulla modifica del confine di stato, secondo il quale il confine era riconosciuto al limite delimitato dove i due eserciti si trovavano di fatto.

Nell’autunno del 1939, l’Unione Sovietica, perseguendo i suoi obiettivi strategici militari e difensivi, iniziò il processo di incorporazione di Lettonia, Lituania ed Estonia. La loro adesione all’URSS è stata attuata su base contrattuale, con il consenso delle autorità elette. Ciò era in linea con il diritto internazionale e statale di quel tempo. Inoltre, nell’ottobre 1939, la città di Vilna e l’area circostante, che in precedenza aveva fatto parte della Polonia, furono restituite in Lituania. Le repubbliche baltiche all’interno dell’URSS conservarono i loro corpi di governo, la loro lingua e rappresentarono le strutture statali superiori dell’Unione Sovietica.

Durante tutti questi mesi ci fu una lotta diplomatica e politico-militare invisibile in corso e un lavoro di intelligence. Mosca capì che stava affrontando un nemico feroce e crudele e che una guerra segreta contro il nazismo stava già accadendo. E non c’è motivo di prendere dichiarazioni ufficiali e note formali sul protocollo di quel tempo come prova di “amicizia” tra URSS e Germania. L’Unione Sovietica aveva contatti commerciali e tecnici attivi non solo con la Germania, ma anche con altri paesi. Considerando che Hitler tentò ancora e ancora di attirare l’Unione Sovietica nello scontro della Germania con il Regno Unito. Ma il governo sovietico rimase fermo.

L’ultimo tentativo di persuadere l’URSS ad agire insieme fu fatto da Hitler durante la visita di Molotov a Berlino nel novembre 1940. Ma Molotov seguì accuratamente le istruzioni di Stalin e si limitò a una discussione generale sull’idea tedesca dell’Unione Sovietica che si univa al Patto tripartito firmato da Germania, Italia e Giapponenel settembre 1940 e diretto contro il Regno Unito e gli Stati Uniti. Non c’è da stupirsi che già il 17 novembre Molotov abbia dato le seguenti istruzioni al rappresentante plenipotenziario sovietico a Londra Ivan Maisky: “Per vostra informazione … Nessun accordo è stato firmato o era destinato a essere firmato a Berlino. Abbiamo appena scambiato le nostre opinioni a Berlino … e questo è stato tutti … Apparentemente, i tedeschi e i giapponesi sembrano ansiosi di spingerci verso il Golfo e l’India. Abbiamo rifiutato la discussione su questa questione poiché riteniamo inappropriati tali consigli da parte della Germania. ” E il 25 novembre la leadership sovietica lo ha definito del tutto un giorno presentando ufficialmente a Berlino le condizioni inaccettabili per i nazisti, tra cui il ritiro delle truppe tedesche dalla Finlandia, il trattato di mutua assistenza tra Bulgaria e URSS e un certo numero di altre . Pertanto ha deliberatamente escluso qualsiasi possibilità di aderire al Patto. Tale posizione ha sicuramente plasmato l’intenzione del Fuehrer di scatenare una guerra contro l’URSS. E già a dicembre, mettendo da parte gli avvertimenti dei suoi strateghi sul disastroso pericolo di una guerra a due fronti, Hitler approvò il piano Barbarossa. Lo fece con la consapevolezza che l’Unione Sovietica era la forza maggiore che gli si opponeva in Europa e che l’imminente battaglia in Oriente avrebbe deciso l’esito della guerra mondiale. E non aveva dubbi sulla rapidità e il successo della campagna di Mosca.

E qui vorrei evidenziare quanto segue: i paesi occidentali, infatti, concordarono in quel momento con le azioni sovietiche e riconobbero l’intenzione dell’Unione Sovietica di garantire la sua sicurezza nazionale. In effetti, il 1 ° ottobre 1939 Winston Churchill, il Primo Lord dell’Ammiragliato allora, nel suo discorso alla radio disse: “La Russia ha perseguito una fredda politica di interesse personale … Ma che gli eserciti russi dovrebbero stare su questa linea [si intende il nuovo confine occidentale] era chiaramente necessario per la sicurezza della Russia contro la minaccia nazista “. Il 4 ottobre 1939, parlando alla House of Lords, il segretario agli Esteri britannico Halifax disse: “… va ricordato che le azioni del governo sovietico furono di spostare il confine essenzialmente sulla linea raccomandata alla Conferenza di Versailles da Lord Curzon …

Nelle comunicazioni informali con il rappresentante plenipotenziario sovietico Maisky, i diplomatici britannici e i politici di alto livello hanno parlato ancora più apertamente. Il 17 ottobre 1939 il Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri RA Butler gli confidò che i circoli del governo britannico credevano che non ci sarebbe stata alcuna possibilità di riportare l’Ucraina occidentale e la Bielorussia in Polonia. Secondo lui, se fosse stato possibile creare una Polonia etnografica di dimensioni modeste con una garanzia non solo dell’URSS e della Germania, ma anche della Gran Bretagna e della Francia, il governo britannico si sarebbe ritenuto abbastanza soddisfatto. Il 27 ottobre 1939, il consigliere senior di Chamberlain H.Wilson affermò che la Polonia doveva essere ripristinata come stato indipendente sulla base etnografica, ma senza l’Ucraina occidentale e la Bielorussia.

Vale la pena notare che nel corso di queste conversazioni sono state anche esplorate le possibilità di migliorare le relazioni britannico-sovietiche. Questi contatti hanno ampiamente gettato le basi per la futura alleanza e la coalizione anti-Hitler. Churchill si distinse tra altri politici responsabili e lungimiranti e, nonostante la sua famigerata antipatia per l’URSS, era stato a favore della cooperazione con i sovietici anche prima. Nel maggio del 1939, disse alla Camera dei Comuni, “Saremo in pericolo mortale se non riuscissimo a creare una grande alleanza contro l’aggressione. La peggiore follia sarebbe quella di scacciare qualsiasi cooperazione naturale con la Russia sovietica”. E dopo l’inizio delle ostilità in Europa, al suo incontro con Maisky il 6 ottobre 1939, confidò che non c’erano contraddizioni serie tra Regno Unito e URSS e, quindi, non c’era motivo di relazioni tese o insoddisfacenti. Ha anche detto che il governo britannico era ansioso di sviluppare relazioni commerciali e disposto a discutere qualsiasi altra misura che potesse migliorare le relazioni.

La seconda guerra mondiale non è avvenuta dall’oggi al domani, né è iniziata inaspettatamente o all’improvviso. E l’aggressione tedesca contro la Polonia non era dal nulla. Fu il risultato di una serie di tendenze e fattori della politica mondiale di quel tempo. Tutti gli eventi prebellici andarono a posto per formare una catena fatale. Ma, senza dubbio, i principali fattori che hanno predeterminato la più grande tragedia nella storia dell’umanità sono stati l’egoismo di stato, la codardia, la pacificazione dell’aggressore che stava guadagnando forza e la riluttanza delle élite politiche a cercare un compromesso.

Pertanto, è ingiusto affermare che la visita di due giorni a Mosca del ministro degli Esteri nazista Ribbentrop sia stata la ragione principale dell’inizio della seconda guerra mondiale. Tutti i paesi leader sono in una certa misura responsabili del suo scoppio. Ognuno di loro ha commesso errori fatali, credendo con arroganza di poter superare in astuzia gli altri, assicurarsi vantaggi unilaterali per se stesso o stare lontano dall’imminente catastrofe mondiale. E questa miopia, il rifiuto di creare un sistema di sicurezza collettiva è costato milioni di vite e perdite tremende.

Detto questo, non intendo assolutamente assumere il ruolo di giudice, accusare o assolvere chiunque, per non parlare dell’avvio di un nuovo ciclo di confronto internazionale di informazioni nel campo storico che potrebbe mettere i paesi e le persone ai margini. Credo che siano gli accademici con un’ampia rappresentanza di scienziati rispettati provenienti da diversi paesi del mondo a cercare una valutazione equilibrata di ciò che è accaduto. Tutti abbiamo bisogno della verità e dell’obiettività. Da parte mia, ho sempre incoraggiato i miei colleghi a costruire un dialogo calmo, aperto e basato sulla fiducia, per guardare al passato comune in modo autocritico e imparziale. Tale approccio consentirà di non ripetere gli errori commessi allora e di garantire uno sviluppo pacifico e di successo per gli anni a venire.

Tuttavia, molti dei nostri partner non sono ancora pronti per il lavoro congiunto. Al contrario, perseguendo i loro obiettivi, aumentano il numero e la portata degli attacchi informativi contro il nostro paese, cercando di farci fornire scuse e sentirci in colpa, e adottare dichiarazioni completamente ipocrite e motivate politicamente. Pertanto, ad esempio, la risoluzione sull’importanza del ricordo europeo per il futuro dell’Europa, approvata dal Parlamento europeo il 19 settembre 2019, ha accusato direttamente l’URSS insieme alla Germania nazista di scatenare la seconda guerra mondiale. Inutile dire che non si fa menzione di Monaco.

Credo che tali “scartoffie” – poiché non posso chiamare questa risoluzione un documento – che è chiaramente inteso a provocare uno scandalo, sono piene di minacce reali e pericolose. In effetti, è stato adottato da un’istituzione di tutto rispetto. E cosa mostra questo? Purtroppo, questo rivela una politica deliberata volta a distruggere l’ordine mondiale del dopoguerra, la cui creazione è stata una questione di onore e responsabilità per gli Stati, un numero di rappresentanti dei quali hanno votato oggi a favore di questa ingannevole risoluzione. Pertanto, hanno contestato le conclusioni del Tribunale di Norimberga e gli sforzi della comunità internazionale per creare dopo le vittoriose istituzioni internazionali universali del 1945. Consentitemi di ricordare al riguardo che il processo stesso di integrazione europea che porta alla creazione di strutture pertinenti, incluso il Parlamento europeo, è diventato possibile solo grazie agli insegnamenti tratti dal passato e alla sua accurata valutazione giuridica e politica. E coloro che mettono deliberatamente in discussione questo consenso minano le basi dell’intera Europa postbellica.

Oltre a rappresentare una minaccia ai principi fondamentali dell’ordine mondiale, ciò solleva anche alcune questioni morali ed etiche. Dissacrare e insultare la memoria è meschino. La meschinità può essere deliberata, ipocrita e piuttosto intenzionale come nella situazione delle dichiarazioni commemorative del 75 °anniversario della fine della seconda guerra mondiale menzionare tutti i partecipanti alla coalizione anti-Hitler ad eccezione dell’Unione Sovietica. La meschinità può essere codarda come nella situazione in cui i monumenti eretti in onore di coloro che hanno combattuto contro il nazismo vengono demoliti e questi atti vergognosi sono giustificati dai falsi slogan della lotta contro un’ideologia sgradita e una presunta occupazione. La cattiveria può anche essere sanguinosa come nella situazione in cui coloro che escono contro i neonazisti e i successori di Bandera vengono uccisi e bruciati. Ancora una volta, la cattiveria può avere manifestazioni diverse, ma ciò non lo rende meno disgustoso.

Trascurare le lezioni della storia porta inevitabilmente a un duro rimborso. Sosterremo fermamente la verità sulla base di fatti storici documentati. Continueremo ad essere onesti e imparziali sugli eventi della seconda guerra mondiale. Ciò include un progetto su larga scala per istituire la più grande collezione russa di documenti d’archivio, materiale cinematografico e fotografico sulla storia della seconda guerra mondiale e sul periodo prebellico.

Tale lavoro è già in corso. Molti nuovi materiali, recentemente scoperti o declassificati sono stati usati anche nella preparazione di questo articolo. A questo proposito, posso affermare con tutta la responsabilità che non esistono documenti d’archivio che confermerebbero l’ipotesi che l’URSS intendesse iniziare una guerra preventiva contro la Germania. La leadership militare sovietica seguì davvero una dottrina secondo la quale, in caso di aggressione, l’Armata Rossa avrebbe prontamente affrontato il nemico, avrebbe iniziato l’offensiva e avrebbe fatto la guerra sul territorio nemico. Tuttavia, tali piani strategici non implicavano alcuna intenzione di attaccare prima la Germania.

Naturalmente, gli storici hanno a disposizione documenti di pianificazione militare, lettere di istruzione del quartier generale sovietico e tedesco. Infine, conosciamo il vero corso degli eventi. Dal punto di vista di questa conoscenza, molti discutono delle azioni, degli errori e dei giudizi errati della leadership militare e politica del Paese. A questo proposito, dirò una cosa: insieme a un enorme flusso di disinformazione di vario genere, i leader sovietici hanno anche ricevuto informazioni vere sull’imminente aggressione nazista. E nei mesi prebellici, hanno preso provvedimenti per migliorare la prontezza al combattimento del paese, incluso il reclutamento segreto di una parte dei responsabili del servizio militare per l’addestramento militare e la ridistribuzione di unità e riserve dai distretti militari interni ai confini occidentali .

La guerra non è stata una sorpresa, la gente se l’aspettava, preparandosi. Ma l’attacco nazista era davvero senza precedenti in termini di potere distruttivo. Il 22 giugno 1941, l’Unione Sovietica affrontò l’esercito più forte, più mobilitato e competente del mondo con il potenziale industriale, economico e militare di quasi tutta l’Europa che lavorava per esso. Non solo la Wehrmacht, ma anche i satelliti tedeschi, contingenti militari di molti altri stati del continente europeo, hanno preso parte a questa invasione mortale.

Le più gravi sconfitte militari nel 1941 portarono il paese sull’orlo della catastrofe. Il potere di combattimento e il controllo dovevano essere ripristinati con mezzi estremi, mobilitazione a livello nazionale e intensificazione di tutti gli sforzi dello stato e del popolo. Nell’estate del 1941, milioni di cittadini, centinaia di fabbriche e industrie iniziarono ad essere evacuate sotto il fuoco nemico ad est del paese. La produzione di armi e munizioni, che aveva iniziato ad essere fornita al fronte già nel primo inverno militare, fu lanciata nel più breve tempo possibile e, nel 1943, i tassi di produzione militare della Germania e dei suoi alleati furono superati. Entro sei mesi, il popolo sovietico fece qualcosa che sembrava impossibile. Sia in prima linea che in casa. È ancora difficile capire, capire e immaginare quali incredibili sforzi, coraggio,

L’enorme potere della società sovietica, unito dal desiderio di proteggere la loro terra natale, si ribellò contro la potente macchina d’invasione nazista a sangue freddo, armata fino ai denti. Si alzò per vendicarsi del nemico, che aveva spezzato, calpestato la vita pacifica, i piani e le speranze della gente.

Certo, paura, confusione e disperazione stavano prendendo il sopravvento su alcune persone durante questa terribile e sanguinosa guerra. Ci furono tradimento e diserzione. La dura scissione causata dalla rivoluzione e dalla guerra civile, dal nichilismo, dalla beffa della storia nazionale, dalle tradizioni e dalla fede che i bolscevichi tentarono di imporre, specialmente nei primi anni dopo l’ascesa al potere – tutto ciò ebbe il suo impatto. Ma l’atteggiamento generale della maggioranza assoluta dei cittadini sovietici e dei nostri compatrioti che si sono trovati all’estero era diverso: salvare e proteggere la Patria. Fu un impulso reale e irrefrenabile. Le persone cercavano supporto nei veri valori patriottici.

Gli “strateghi” nazisti erano convinti che un enorme stato multinazionale potesse essere facilmente portato al tallone. Pensavano che l’improvviso scoppio della guerra, la sua spietatezza e le insopportabili difficoltà avrebbero inevitabilmente aggravato le relazioni interetniche. E che il paese potrebbe essere diviso in pezzi. Hitler dichiarò chiaramente: “La nostra politica nei confronti dei popoli che vivono nella vastità della Russia dovrebbe essere quella di promuovere qualsiasi forma di disaccordo e divisione”.

Ma fin dai primi giorni, era chiaro che il piano nazista aveva fallito. La fortezza di Brest è stata protetta fino all’ultima goccia di sangue dai suoi difensori di oltre 30 etnie. Durante la guerra, l’impresa del popolo sovietico non conobbe confini nazionali, sia nelle battaglie decisive su larga scala che nella protezione di ogni punto d’appoggio, ogni metro di terra natia.

La regione del Volga e gli Urali, la Siberia e l’Estremo Oriente, le repubbliche dell’Asia centrale e della Transcaucasia divennero la dimora di milioni di sfollati. I loro residenti condividevano tutto ciò che avevano e fornivano tutto il supporto possibile. L’amicizia dei popoli e l’aiuto reciproco sono diventati una vera fortezza indistruttibile per il nemico.

L’Unione Sovietica e l’Armata Rossa, indipendentemente da ciò che qualcuno sta cercando di dimostrare oggi, hanno dato il contributo principale e cruciale alla sconfitta del nazismo. Questi erano eroi che combatterono fino alla fine circondati dal nemico a Bialystok e Mogilev, Uman e Kiev, Vyazma e Kharkov. Hanno lanciato attacchi vicino a Mosca e Stalingrado, Sebastopoli e Odessa, Kursk e Smolensk. Liberarono Varsavia, Belgrado, Vienna e Praga. Hanno preso d’assalto Koenigsberg e Berlino.

Contendiamo verità autentiche, non verniciate o imbiancate sulla guerra. Questa verità umana, nazionale, dura, amara e spietata, ci è stata tramandata da scrittori e poeti che hanno attraversato il fuoco e l’inferno delle prove sul fronte. Per la mia generazione, così come per gli altri, le loro storie oneste e profonde, i romanzi, la penetrante prosa di trincea e le poesie hanno lasciato il segno nella mia anima per sempre. Onorare i veterani che hanno fatto tutto il possibile per la Vittoria e ricordare coloro che sono morti sul campo di battaglia è diventato il nostro dovere morale.

E oggi, il semplice e grande nelle sue linee essenziali del poema di Alexander Tvardovsky “Sono stato ucciso vicino a Rzhev …” dedicato ai partecipanti alla sanguinosa e brutale battaglia della Grande Guerra Patriottica al centro della prima linea sovietico-tedesca sono sorprendenti. Solo nelle battaglie per Rzhev e Rzhevsky Salient dall’ottobre 1941 al marzo 1943, l’Armata Rossa perse 1.154, 698 persone, tra cui feriti e dispersi. Per la prima volta, chiamo queste figure terribili, tragiche e tutt’altro che complete raccolte da fonti d’archivio. Lo faccio per onorare il ricordo dell’impresa di eroi noti e senza nome, che per varie ragioni erano immeritatamente e ingiustamente poco discussi o non menzionati affatto negli anni del dopoguerra.

Lascia che ti citi un altro documento. Questo è un rapporto del febbraio 1954 sulla riparazione dalla Germania della Commissione Alleata per le riparazioni guidata da Ivan Maisky. Il compito della Commissione era definire una formula in base alla quale la Germania sconfitta avrebbe dovuto pagare per i danni subiti dai poteri vincitori. La Commissione ha concluso che “il numero di giorni di soldato trascorsi dalla Germania sul fronte sovietico è almeno 10 volte superiore a quello di tutti gli altri fronti alleati. Il fronte sovietico doveva anche gestire i quattro quinti dei carri armati tedeschi e circa i due terzi di Aereo tedesco “. Nel complesso, l’URSS rappresentava circa il 75% di tutti gli sforzi militari intrapresi dalla coalizione anti-Hitler. Durante il periodo di guerra, l’Armata Rossa “raddrizzò” 626 divisioni degli Stati dell’Asse, di cui 508 tedeschi.

Il 28 aprile 1942, Franklin D. Roosevelt disse nel suo discorso alla nazione americana: “Queste forze russe hanno distrutto e stanno distruggendo più potenza armata dei nostri nemici – truppe, aerei, carri armati e pistole – di tutte le altre Nazioni Unite mettere insieme”. Winston Churchill nel suo messaggio a Joseph Stalin del 27 settembre 1944, scrisse “è l’esercito russo che ha strappato le viscere alla macchina militare tedesca …”.

Tale valutazione ha risuonato in tutto il mondo. Perché queste parole sono la grande verità, di cui nessuno dubitava allora. Quasi 27 milioni di cittadini sovietici persero la vita sui fronti, nelle carceri tedesche, morirono di fame e furono bombardati, morirono nei ghetti e nelle fornaci dei campi di sterminio nazisti. L’URSS ha perso uno su sette dei suoi cittadini, il Regno Unito ha perso uno su 127 e gli Stati Uniti hanno perso uno su 320. Sfortunatamente, questa cifra delle perdite più gravi e gravi dell’Unione Sovietica non è esaustiva. Il lavoro scrupoloso dovrebbe essere continuato per ripristinare i nomi e le sorti di tutti coloro che sono morti: soldati dell’Armata Rossa, partigiani, combattenti sotterranei, prigionieri di guerra e campi di concentramento e civili uccisi dagli squadroni della morte. È nostro dovere E qui, membri del movimento di ricerca, associazioni militari-patriottiche e di volontariato, progetti come il database elettronico “Pamyat Naroda”, che contiene documenti d’archivio, svolgono un ruolo speciale. E, sicuramente, è necessaria una stretta cooperazione internazionale in un compito umanitario così comune.

Gli sforzi di tutti i paesi e tutti i popoli che hanno combattuto contro un nemico comune hanno portato alla vittoria. L’esercito britannico ha protetto la sua patria dall’invasione, ha combattuto i nazisti e i loro satelliti nel Mediterraneo e nel Nord Africa. Le truppe americane e britanniche liberarono l’Italia e aprirono il Secondo Fronte. Gli Stati Uniti hanno commesso potenti e devastanti attacchi contro l’aggressore nell’Oceano Pacifico. Ricordiamo gli enormi sacrifici fatti dal popolo cinese e il loro grande ruolo nella sconfitta dei militaristi giapponesi. Non dimentichiamo i combattenti di Fighting France, che non si innamorarono della vergognosa capitolazione e continuarono a combattere contro i nazisti.

Inoltre saremo sempre grati per l’assistenza fornita dagli Alleati nel fornire all’Armata Rossa munizioni, materie prime, cibo e attrezzature. E quell’aiuto fu significativo – circa il 7 percento della produzione militare totale dell’Unione Sovietica.

Il nucleo della coalizione anti-Hitler iniziò a prendere forma immediatamente dopo l’attacco all’Unione Sovietica, dove gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lo sostenevano incondizionatamente nella lotta contro la Germania di Hitler. Alla conferenza di Teheran del 1943, Stalin, Roosevelt e Churchill formarono un’alleanza di grandi potenze, accettarono di elaborare la diplomazia della coalizione e una strategia comune nella lotta contro una comune minaccia mortale. I leader dei Big Three avevano una chiara comprensione del fatto che l’unificazione delle capacità industriali, di risorse e militari dell’URSS, degli Stati Uniti e del Regno Unito darà una supremazia incontrastata al nemico.

L’Unione Sovietica ha adempiuto pienamente ai suoi obblighi verso i suoi alleati e ha sempre offerto una mano. Pertanto, l’Armata Rossa ha sostenuto lo sbarco delle truppe anglo-americane in Normandia effettuando un’operazione Bagration su larga scala in Bielorussia. Nel gennaio del 1945, avendo sfondato il fiume Oder, pose fine all’ultima potente offensiva della Wehrmacht sul fronte occidentale delle Ardenne. Tre mesi dopo la vittoria sulla Germania, l’URSS, in pieno accordo con gli accordi di Yalta, dichiarò guerra al Giappone e sconfisse l’esercito di Kwantung, che aveva un milione di abitanti.

Nel luglio del 1941, la leadership sovietica dichiarò che lo scopo della guerra contro gli oppressori fascisti non era solo l’eliminazione della minaccia che incombeva sul nostro paese, ma aiutava anche tutti i popoli d’Europa che soffrivano sotto il giogo del fascismo tedesco. Entro la metà del 1944, il nemico fu espulso praticamente da tutto il territorio sovietico. Tuttavia, il nemico doveva essere finito nella sua tana. E così l’Armata Rossa iniziò la sua missione di liberazione in Europa. Ha salvato intere nazioni dalla distruzione e dalla schiavitù e dall’orrore dell’Olocausto. Furono salvati al costo di centinaia di migliaia di vite di soldati sovietici.

È anche importante non dimenticare l’enorme assistenza materiale fornita dall’URSS ai paesi liberati per eliminare la minaccia della fame e ricostruire le loro economie e infrastrutture. Ciò avveniva quando le ceneri si estendevano per migliaia di miglia da Brest a Mosca e al Volga. Ad esempio, nel maggio del 1945, il governo austriaco chiese all’URSS di fornire assistenza con il cibo, poiché “non aveva idea di come nutrire la sua popolazione nelle prossime sette settimane prima del nuovo raccolto”. Il cancelliere di stato del governo provvisorio della Repubblica austriaca Karl Renner descrisse il consenso della leadership sovietica a inviare cibo come un atto salvifico che gli austriaci non avrebbero mai dimenticato.

Gli Alleati istituirono congiuntamente il Tribunale militare internazionale per punire i criminali nazisti politici e di guerra. Le sue decisioni contenevano una chiara qualificazione giuridica dei crimini contro l’umanità, come il genocidio, la pulizia etnica e religiosa, l’antisemitismo e la xenofobia. Direttamente e senza ambiguità, il Tribunale di Norimberga ha anche condannato i complici dei nazisti, collaboratori di vario genere.

Questo vergognoso fenomeno si è manifestato in tutti i paesi europei. Figure come Pétain, Quisling, Vlasov, Bandera, i loro scagnozzi e seguaci – sebbene fossero travestiti da combattenti per l’indipendenza nazionale o la libertà dal comunismo – sono traditori e macellatori. Nella disumanità, hanno spesso superato i loro padroni. Nel loro desiderio di servire, come parte di speciali gruppi punitivi, eseguirono volentieri gli ordini più disumani. Erano responsabili di eventi sanguinosi come le sparatorie di Babi Yar, il massacro di Volhynia, l’incendio di Khatyn, gli atti di distruzione di ebrei in Lituania e Lettonia.

Anche oggi la nostra posizione rimane invariata: non ci possono essere scuse per gli atti criminali dei collaboratori nazisti, per loro non esiste uno statuto di limitazioni. È quindi sorprendente che in alcuni paesi coloro che sono sorrisi dalla cooperazione con i nazisti siano improvvisamente equiparati ai veterani della Seconda Guerra Mondiale. Credo che sia inaccettabile equiparare i liberatori con gli occupanti. E posso solo considerare la glorificazione dei collaboratori nazisti come un tradimento della memoria dei nostri padri e nonni. Un tradimento degli ideali che univano i popoli nella lotta contro il nazismo.

A quel tempo, i leader dell’URSS, degli Stati Uniti e del Regno Unito affrontarono, senza esagerare, un compito storico. Stalin , Roosevelt e Churchill rappresentavano i paesi con diverse ideologie, aspirazioni statali, interessi, culture, ma dimostravano una grande volontà politica, si alzavano al di sopra delle contraddizioni e delle preferenze e mettevano in primo piano i veri interessi della pace. Di conseguenza, sono stati in grado di raggiungere un accordo e raggiungere una soluzione di cui tutta l’umanità ha beneficiato.

I poteri vittoriosi ci hanno lasciato un sistema che è diventato la quintessenza della ricerca intellettuale e politica di diversi secoli. Una serie di conferenze – Teheran, Yalta, San Francisco e Potsdam – hanno gettato le basi di un mondo che per 75 anni non ha avuto una guerra globale, nonostante le contraddizioni più acute.

Il revisionismo storico, le cui manifestazioni osserviamo ora in Occidente, e principalmente riguardo al tema della Seconda Guerra Mondiale e al suo esito, è pericoloso perché distorce grossolanamente e cinicamente la comprensione dei principi di sviluppo pacifico, stabiliti a le conferenze di Yalta e San Francisco nel 1945. Il principale risultato storico di Yalta e di altre decisioni dell’epoca è l’accordo per creare un meccanismo che consenta alle potenze leader di rimanere nel quadro della diplomazia nel risolvere le loro differenze.

Il ventesimo secolo ha portato a conflitti globali su vasta scala e nel 1945 sono entrate in scena anche le armi nucleari in grado di distruggere fisicamente la Terra. In altre parole, la risoluzione delle controversie con la forza è diventata pericolosamente pericolosa. E i vincitori della seconda guerra mondiale lo capirono. Hanno capito ed erano consapevoli della propria responsabilità nei confronti dell’umanità.

Il racconto cautelativo della Società delle Nazioni è stato preso in considerazione nel 1945. La struttura del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stata sviluppata in modo da rendere le garanzie di pace il più concrete ed efficaci possibile. È così che sono nati l’istituzione dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza e il diritto di veto come privilegio e responsabilità.

Qual è il potere di veto nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ? Per dirla senza mezzi termini, è l’unica alternativa ragionevole a uno scontro diretto tra i principali paesi. È una dichiarazione di uno dei cinque poteri secondo cui una decisione è inaccettabile e contraria ai suoi interessi e alle sue idee sul giusto approccio. E altri paesi, anche se non sono d’accordo, danno questa posizione per scontata, abbandonando ogni tentativo di realizzare i loro sforzi unilaterali. Quindi, in un modo o nell’altro, è necessario cercare compromessi.

Un nuovo confronto globale è iniziato quasi immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale ed è stato a volte molto feroce. E il fatto che la guerra fredda non sia cresciuta fino alla terza guerra mondiale è diventata una chiara testimonianza dell’efficacia degli accordi conclusi dai Grandi Tre. Le regole di condotta concordate durante la creazione delle Nazioni Unite hanno permesso di minimizzare ulteriormente i rischi e di tenere sotto controllo lo scontro.

Naturalmente, possiamo vedere che il sistema delle Nazioni Unite attualmente sta vivendo una certa tensione nel suo lavoro e non è così efficace come potrebbe essere. Ma l’ONU svolge ancora la sua funzione principale. I principi del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sono un meccanismo unico per prevenire una grande guerra o un conflitto globale.

Le richieste che sono state fatte abbastanza spesso negli ultimi anni per abolire il potere di veto, per negare opportunità speciali ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza sono in realtà irresponsabili. Dopotutto, se ciò dovesse accadere, le Nazioni Unite diventerebbero in sostanza la Società delle Nazioni – un incontro per discorsi vuoti senza alcun effetto sui processi mondiali. Come è noto è noto. Ecco perché le potenze vittoriose si avvicinarono alla formazione del nuovo sistema dell’ordine mondiale con la massima serietà cercando di evitare la ripetizione degli errori dei loro predecessori.

La creazione del moderno sistema di relazioni internazionali è uno dei maggiori risultati della seconda guerra mondiale. Anche le contraddizioni più insormontabili – geopolitiche, ideologiche, economiche – non ci impediscono di trovare forme di convivenza pacifica e interazione, se c’è il desiderio e la volontà di farlo. Oggi il mondo sta attraversando un periodo piuttosto turbolento. Tutto sta cambiando, dall’equilibrio globale di potere e influenza ai fondamenti sociali, economici e tecnologici di società, nazioni e persino continenti. In epoche passate, cambiamenti di tale portata non sono quasi mai avvenuti senza importanti conflitti militari. Senza una lotta di potere per costruire una nuova gerarchia globale. Grazie alla saggezza e alla lungimiranza delle figure politiche delle Potenze Alleate, è stato possibile creare un sistema che si è frenato da manifestazioni estreme di tale competizione oggettiva, storicamente inerente allo sviluppo del mondo.

È nostro dovere – tutti coloro che si assumono la responsabilità politica e soprattutto i rappresentanti delle potenze vittoriose nella seconda guerra mondiale – garantire che questo sistema sia mantenuto e migliorato. Oggi, come nel 1945, è importante dimostrare volontà politica e discutere insieme del futuro. I nostri colleghi – Xi Jinping, Macron, Trump e Johnson – hanno appoggiato l’iniziativa russa di tenere una riunione dei leader dei cinque Stati con armi nucleari, membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Li ringraziamo per questo e speriamo che un incontro faccia a faccia possa aver luogo il prima possibile.

Qual è la nostra visione dell’agenda per il prossimo vertice? Innanzitutto, a nostro avviso, sarebbe utile discutere i passi per sviluppare principi collettivi negli affari mondiali. Parlare francamente delle questioni relative al mantenimento della pace, al rafforzamento della sicurezza globale e regionale, al controllo strategico degli armamenti, nonché agli sforzi congiunti per contrastare il terrorismo, l’estremismo e altre importanti sfide e minacce.

Un punto speciale all’ordine del giorno della riunione è la situazione dell’economia globale. E soprattutto, superare la crisi economica causata dalla pandemia di coronavirus. I nostri paesi stanno adottando misure senza precedenti per proteggere la salute e la vita delle persone e per sostenere i cittadini che si sono trovati in situazioni di vita difficili. La nostra capacità di lavorare insieme e in concerto, come veri partner, mostrerà quanto sarà grave l’impatto della pandemia e quanto velocemente l’economia globale emergerà dalla recessione. Inoltre, è inaccettabile trasformare l’economia in uno strumento di pressione e confronto. Le questioni più comuni includono la protezione dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici, oltre a garantire la sicurezza dello spazio informativo globale.

L’agenda proposta dalla Russia per il prossimo vertice dei Cinque è estremamente importante e rilevante sia per i nostri paesi che per il mondo intero. E abbiamo idee e iniziative specifiche su tutti gli articoli.

Non vi è dubbio che il vertice di Russia, Cina , Francia , Stati Uniti e Regno Unito possa svolgere un ruolo importante nel trovare risposte comuni alle sfide e alle minacce moderne e dimostrerà un impegno comune per lo spirito di alleanza, per quegli alti ideali e valori umanistici per i quali i nostri padri e nonni stavano combattendo spalla a spalla.

Attingendo a una memoria storica condivisa, possiamo fidarci l’uno dell’altro e dobbiamo farlo. Ciò servirà come solida base per negoziati di successo e azioni concertate per migliorare la stabilità e la sicurezza del pianeta e per il benessere e il benessere di tutti gli Stati. Senza esagerare, è nostro comune dovere e responsabilità verso il mondo intero, verso le generazioni presenti e future.

Vladimir Putin è Presidente della Federazione Russa. 

Quali relazioni internazionali dopo la pandemia di coronavirus?

Questo articolo tratto dal mensile “Foreign Policy” ci dice che negli Stati Uniti il confronto e lo scontro politico su come orientare le scelte internazionali e le dinamiche geopolitiche è tutt’altro che risolto a prescindere anche dalle dinamiche reali e dalla forza della realtà. L’oggetto, però, non è il dilemma tra conflitto e cooperazione, come vuole la retorica, ma su quale sia l’avversario principale e su come va affrontato_Giuseppe Germinario

Come la caduta del muro di Berlino o il crollo di Lehman Brothers, la pandemia di coronavirus è un evento devastante, le cui conseguenze possiamo solo iniziare a immaginare.

Questo è certo: proprio come questa malattia ha rovinato vite, sconvolto mercati e dimostrato la competenza (o la mancanza di essa) dei governi, causerà cambiamenti permanenti nel potere politico ed economico in modi che non saranno apparente solo dopo.

Per aiutarci a comprendere i cambiamenti geopolitici che stanno avvenendo sotto i nostri occhi durante questa crisi, la Politica estera ha intervistato diversi importanti pensatori di tutto il mondo sulle loro previsioni per il futuro dell’ordine mondiale.


Un mondo meno aperto, meno prospero e meno libero

di Stephen M. Walt , professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard.

La pandemia rafforzerà lo stato e il nazionalismo. I governi di tutti i tipi adotteranno misure di emergenza per gestire la crisi e molti saranno riluttanti a rinunciare a questi nuovi poteri al termine della crisi.

Il Covid-19 accelererà anche il trasferimento di potere e influenza da ovest a est. La Corea del Sud e Singapore hanno reagito meglio e la Cina ha reagito bene dopo i suoi primi errori. In confronto, la reazione in Europa e in America è stata lenta e disordinata, che ha ulteriormente offuscato l’aura dell’immagine occidentale.

Ciò che non cambierà è la natura fondamentalmente contrastante della politica mondiale. Le precedenti pestilenze, in particolare l’epidemia di influenza del 1918-1919, non ponevano fine alla rivalità tra le grandi potenze né aprivano una nuova era di cooperazione globale. Neanche il Covid-19 lo farà. Assisteremo a un ulteriore declino dell’iper-globalizzazione, mentre i cittadini si rivolgono ai governi nazionali per proteggerli e gli stati e le imprese cercano di ridurre le vulnerabilità future.

In breve, The Covid-19 creerà un mondo meno aperto, meno prospero e meno libero. Non doveva essere così, ma la combinazione di un virus mortale, una pianificazione inadeguata e una leadership incompetente hanno portato l’umanità su una nuova e inquietante rotta.


La fine della globalizzazione come la conosciamo

di Robin Niblett , direttore e CEO di Chatham House.

La pandemia di coronavirus potrebbe essere l’ultima goccia che sta rompendo gli schemi della globalizzazione economica. Il crescente potere militare ed economico della Cina aveva già scatenato una determinazione bipartisan negli Stati Uniti per separare la Cina dalla proprietà intellettuale di alta tecnologia e di origine americana e cercare di costringere gli alleati a seguire l’esempio.

La crescente pressione pubblica e politica per raggiungere gli obiettivi di riduzione del carbonio aveva già messo in discussione la dipendenza di molte aziende dalle catene di approvvigionamento a lunga distanza. Oggi, il Covid-19 sta costringendo i governi, le imprese e le società a rafforzare la loro capacità di far fronte a lunghi periodi di autoisolamento economico.

In questo contesto, sembra molto improbabile che il mondo ritorni all’idea di una globalizzazione reciprocamente vantaggiosa che ha definito l’inizio del 21 ° secolo. E senza l’incentivo a proteggere i vantaggi condivisi dell’integrazione economica globale, l’architettura della governance economica globale stabilita nel 20 ° secolo si atrofizzerà rapidamente. I leader politici avranno quindi bisogno di un’enorme autodisciplina per sostenere la cooperazione internazionale e non ricorrere alla concorrenza geopolitica aperta.

Dimostrare ai loro cittadini che possono gestire la crisi di Covid-19 consentirà ai leader di guadagnare del capitale politico. Ma coloro che falliranno troveranno difficile resistere alla tentazione di incolpare gli altri per il loro fallimento.


Una globalizzazione più incentrata sulla Cina

di Kishore Mahbubani , eminente ricercatore presso l’Asian Research Institute dell’Università Nazionale di Singapore, autore di Has China Won? La sfida cinese al primato americano .

La pandemia di Covid-19 non cambierà radicalmente la direzione dell’economia globale. Accelererà solo un cambiamento che era già iniziato: l’abbandono di una globalizzazione incentrata sugli Stati Uniti a favore di una globalizzazione più incentrata sulla Cina.

Perché questa tendenza continuerà? La popolazione americana ha perso la fiducia nella globalizzazione e nel commercio internazionale. Gli accordi di libero scambio sono tossici, con o senza il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. D’altra parte, la Cina non ha perso la fiducia.

Perché non ha perso la fiducia? Ci sono ragioni storiche più profonde. I leader cinesi sanno che il secolo di umiliazione cinese, dal 1842 al 1949, fu il risultato della sua stessa compiacenza e di uno sforzo inutile da parte dei suoi leader per tagliarlo fuori dal mondo. Al contrario, gli ultimi decenni di ripresa economica sono stati il ​​risultato dell’impegno globale. Anche il popolo cinese ha vissuto un’esplosione di fiducia culturale. Credono di poter essere competitivi ovunque.

Pertanto, come documento nel mio nuovo libro, la Cina ha vinto? gli Stati Uniti hanno due scelte. Se il loro obiettivo primario è mantenere il loro primato globale, dovranno impegnarsi in una competizione geopolitica a somma zero, politicamente ed economicamente, con la Cina.

Tuttavia, se l’obiettivo degli Stati Uniti è migliorare il benessere del popolo americano – le cui condizioni sociali sono peggiorate – devono cooperare con la Cina. Il consiglio più informato suggerirebbe la cooperazione come la scelta migliore. Tuttavia, dato l’ambiente politico tossico degli Stati Uniti nei confronti della Cina, il consiglio più saggio potrebbe non prevalere.


Le democrazie emergeranno dai loro gusci

di G. John Ikenberry , professore di politica e affari internazionali all’Università di Princeton, autore di After Victory e Liberal Leviathan .

A breve termine, la crisi alimenterà le varie parti del dibattito sulla grande strategia occidentale. Nazionalisti e anti-globalisti, falchi cinesi e persino internazionalisti liberali vedranno tutti nuove prove dell’urgenza delle loro opinioni. Dato il danno economico e il collasso sociale che si sta verificando, è difficile vedere altro che un rafforzamento del movimento verso il nazionalismo, la rivalità tra grandi potenze, il disaccoppiamento strategico, ecc.

Ma proprio come negli anni ’30 e ’40, potrebbe esserci anche una controcorrente più lenta, una sorta di internazionalismo testardo simile a quello che Franklin D. Roosevelt e alcuni altri statisti hanno iniziato a articolare prima e durante la guerra. Il crollo dell’economia globale negli anni ’30 ha dimostrato quanto le società moderne connesse e vulnerabili siano quelle che la FDR chiamava contagio.

Gli Stati Uniti furono meno minacciati da altre grandi potenze che dalle forze profonde – e dal carattere del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde – della modernità. Ciò di cui hanno parlato la FDR e altri internazionalisti è un ordine postbellico che ricostruisca un sistema aperto con nuove forme di protezione e la capacità di gestire l’interdipendenza. Gli Stati Uniti non potevano semplicemente nascondersi all’interno dei propri confini, ma per funzionare in un aperto ordine postbellico, era necessario costruire un’infrastruttura globale per la cooperazione multilaterale.

Gli Stati Uniti e le altre democrazie occidentali potrebbero quindi attraversare questa stessa sequenza di reazioni animate da una sensazione di vulnerabilità a cascata; la risposta potrebbe essere inizialmente più nazionalista, ma a lungo termine, le democrazie emergeranno dai loro gusci per trovare un nuovo tipo di internazionalismo pragmatico e protettivo.


Meno profitti, ma più stabilità

di Shannon K. O’Neil , ricercatore di studi latinoamericani presso il Council on Foreign Relations e autore di Two Nations Indivisible: Messico, Stati Uniti e Road Ahead.

Il Covid-19 mina i fondamenti della produzione globale. Le aziende ora ripenseranno e ridurranno le catene di fornitura multi-fase e multi-nazione che dominano la produzione oggi.

Le catene di approvvigionamento globali erano già sotto tiro, sia economicamente, a causa dell’aumento del costo del lavoro in Cina, della guerra commerciale del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e dei progressi nel robotica, automazione e stampa 3D, solo politicamente, a causa di perdite di lavoro reali e percepite, soprattutto nelle economie mature.

Il Covid-19 ha ora rotto molti di questi collegamenti: chiusure di impianti nelle aree colpite hanno lasciato altri produttori, così come ospedali, farmacie, supermercati e negozi al dettaglio, senza scorte o forniture.

Dall’altro lato della pandemia, sempre più aziende chiederanno di conoscere meglio la fonte delle loro forniture e si scambieranno l’efficienza con la ridondanza. Interverranno anche i governi, costringendo le industrie che considerano strategiche ad avere piani di emergenza e di riserva nazionali. La redditività diminuirà, ma la stabilità dell’offerta dovrebbe migliorare.


La storia di COVID-19 sarà scritta dai vincitori

di John Allen , presidente della Brookings Institution, ritirò il generale a quattro stelle del Corpo dei Marines degli Stati Uniti ed ex comandante della Forza di assistenza alla sicurezza internazionale per la NATO e le forze degli Stati Uniti in Afghanistan.

Come sempre, la storia della crisi di Covid-19 sarà scritta dai “vincitori”. Ogni nazione, e sempre più ogni individuo, sta vivendo la pressione sociale di questa malattia in modi nuovi e potenti. Inevitabilmente, le nazioni che persevereranno – sia per i loro sistemi politici ed economici unici sia dal punto di vista della salute pubblica – reclameranno il successo contro coloro che sperimenteranno un risultato diverso e più devastante.

Per alcuni, questo sembrerà un grande trionfo definitivo per la democrazia, il multilateralismo e l’assistenza sanitaria universale. Per altri, metterà in evidenza gli ovvi “benefici” di un regime autoritario e decisivo.

Ad ogni modo, questa crisi rimodellerà la struttura di potere internazionale in modi che possiamo solo iniziare a immaginare. Il Covid-19 continuerà a deprimere l’attività economica e ad aumentare le tensioni tra i paesi.

A lungo termine, è probabile che la pandemia riduca in modo significativo la capacità produttiva dell’economia globale, soprattutto se le imprese chiudono e le persone lasciano la forza lavoro. Questo rischio di dislocazione è particolarmente importante per i paesi in via di sviluppo e altri paesi che hanno una grande percentuale di lavoratori economicamente vulnerabili. Il sistema internazionale, a sua volta, subirà una forte pressione, il che porterà all’instabilità e conflitti diffusi all’interno e tra i paesi.


Un nuovo drammatico passo nel capitalismo mondiale

di Laurie Garrett , ex ricercatrice mondiale in materia di salute presso il Council on Foreign Relations e il vincitore del premio Pulitzer.

Lo shock fondamentale per il sistema finanziario ed economico globale è il riconoscimento che le catene di approvvigionamento globali e le reti di distribuzione sono profondamente vulnerabili alle perturbazioni. La pandemia di coronavirus non avrà quindi solo effetti economici duraturi, ma porterà anche a cambiamenti più fondamentali.

La globalizzazione ha consentito alle aziende di esternalizzare la produzione in tutto il mondo e consegnare i loro prodotti ai mercati just-in-time, aggirando i costi di magazzino. Gli inventari rimasti sugli scaffali per più di qualche giorno sono stati considerati fallimenti del mercato. Le forniture dovevano essere assicurate e spedite a un livello globale attentamente orchestrato. Il Covid-19 ha dimostrato che i patogeni non solo possono infettare le persone ma anche avvelenare l’intero sistema di flusso teso.

Data l’entità delle perdite subite dai mercati finanziari da febbraio, le aziende probabilmente usciranno da questa pandemia con una certa timidezza rispetto al modello just-in-time e alla dispersione della produzione in tutto il mondo. Ciò potrebbe comportare un nuovo drammatico passo nel capitalismo globale, in cui le catene di approvvigionamento vengono avvicinate a casa e riempite di licenziamenti per proteggersi dalle interruzioni future. Ciò potrebbe ridurre i profitti aziendali a breve termine, ma rendere l’intero sistema più resiliente.


Altri stati in bancarotta

di Richard N. Haass , presidente del Council on Foreign Relations e autore di The World: A Brief Introduction .

Penso che la crisi del coronavirus porterà la maggior parte dei governi, almeno per alcuni anni, a rivolgersi su se stessi, concentrandosi su ciò che sta accadendo all’interno dei loro confini piuttosto che su ciò che sta accadendo. al di fuori. Prevedo un’evoluzione più marcata verso l’autosufficienza selettiva (e, quindi, verso il disaccoppiamento) data la vulnerabilità della catena di approvvigionamento; opposizione ancora più forte all’immigrazione su larga scala; e una volontà o un impegno ridotti per affrontare i problemi regionali o globali (compresi i cambiamenti climatici) vista la necessità percepita di dedicare risorse alla ricostruzione del paese e di far fronte alle conseguenze economiche della crisi.

Mi aspetto che molti paesi troveranno difficile riprendersi dalla crisi, con gli stati deboli e gli stati falliti che diventano una caratteristica ancora più diffusa nel mondo. È probabile che la crisi contribuisca al continuo deterioramento delle relazioni sino-americane e all’indebolimento dell’integrazione europea. Sul lato positivo, dovremmo assistere a un leggero rafforzamento della governance globale della sanità pubblica. Ma nel complesso, una crisi radicata nella globalizzazione indebolirà piuttosto che aumentare la volontà e la capacità del mondo di reagire ad essa.


In ogni paese vediamo il potere dello spirito umano

di Nicholas Burns , professore alla Kennedy School of Government di Harvard ed ex sottosegretario agli affari politici presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

La pandemia di Covid-19 è la più grande crisi globale di questo secolo. La sua profondità e ampiezza sono enormi. La crisi della salute pubblica minaccia ciascuno dei 7,8 miliardi di persone sulla Terra. La crisi economica e finanziaria potrebbe avere un impatto maggiore sulla Grande recessione del 2008-2009. Ogni crisi da sola potrebbe causare uno shock sismico che cambierebbe permanentemente il sistema internazionale e l’equilibrio di potere come lo conosciamo.

Finora, la collaborazione internazionale è stata deplorevolmente insufficiente. Se gli Stati Uniti e la Cina non fossero in grado di mettere da parte la loro guerra di parole per determinare quale di loro è responsabile della crisi, la credibilità dei due paesi potrebbe essere notevolmente ridotta. Se l’Unione europea non può fornire aiuti più mirati ai suoi 500 milioni di cittadini, i governi nazionali potrebbero riguadagnare più potere a Bruxelles in futuro. Negli Stati Uniti, ciò che è maggiormente in gioco è la capacità del governo federale di prendere provvedimenti efficaci per arginare la crisi.

In ogni paese, tuttavia, ci sono molti esempi del potere dello spirito umano: medici, infermieri, leader politici e cittadini comuni che dimostrano capacità di ripresa, efficienza e leadership. Ciò dà speranza che uomini e donne in tutto il mondo possano prevalere di fronte a questa straordinaria sfida.

tratto da https://foreignpolicy.com/2020/03/20/world-order-after-coroanvirus-pandemic/

TUTTO TRANNE LO STATO, di  Fabrizio Tribuzio-Bugatti

Un saggio particolarmente pregnante sulla falsariga proposta da numerosi collaboratori e redattori del sito. Ci dice anche, tra i tanti spunti offerti, che la dinamica della decisione, componente costitutiva dell’agire politico, quando viene in qualche maniera ignorata, distorta, rimossa, celata non fa che trasferirsi in particolari centri strategici piuttosto che in altri con la conseguenza che risulti più facile il passaggio a quelle stesse condizioni di tirannide alle quali il pensiero liberale ha posto in altri tempi argini fondamentali  _Giuseppe Germinario

TUTTO TRANNE LO STATO

traduzione di Roberto Buffagni

Pubblicato 20 aprile 2020 Di Fabrizio Tribuzio-Bugatti

”  È di moda opporsi allo stato “, Ha affermato Jean-Pierre Chevènement nel suo discorso ai prefetti dell’8 luglio 1998, ma la sottomissione ai poteri del Denaro che lui ha sottolineato è solo una delle conseguenze. Il motivo per cui l’opposizione cresce contro lo stato è dovuto in particolare alla riluttanza dei politici stessi. Situazione paradossale quella in cui gli statisti ripudiano lo stato, al punto da rifiutarsi in certe occasioni di pronunciare il suo nome, come un tabù che risveglierebbe cose vecchie ma terrificanti sepolte a lungo nel subconscio nazionale. Questo rifiuto dello Stato porta naturalmente a un modo singolare di esercitare il potere, dal momento che si tratta sia di incarnarlo volontariamente che involontariamente, organizzando la sua impotenza con la sua limitazione. Questa prospettiva è tanto più curiosa in Francia, dove la Quinta Repubblica è venuta al mondo nel mezzo di un’insurrezione algerina, sotto l’egida di un uomo provvidenziale un po’ scettico sulla democrazia. Nata con la missione di porre fine al conflitto permanente tra il governo e il Parlamento che quest’ ultimo finiva sempre per vincere sotto la Terza e la Quarta Repubblica, ma anche il loro legalismo sfrenato, la Quinta Repubblica ha sia razionalizzato le relazioni tra il potere deliberativo e l’esecutivo, sia limitato le aree della legislazione del Parlamento nella sua Costituzione, sotto la supervisione del Consiglio costituzionale, poi pensato come una pistola puntata contro il suddetto Parlamento. Da quel momento, le citazioni che spesso prendiamo a prestito da Girardin o Machiavelli, i quali sostengono rispettivamente che “governare è prevedere” e “governare, è far credere “si sono tuttavia distaccate dalla realtà, poiché oggi” governare non è decidere “; ma cosa resta del governo se quest’ultimo non ha più prerogative decisionali? Certo, c’è sempre una decisione alla radice di tutto nella pratica del potere, anche se si tratta di decidere di non prendere alcuna decisione, che si tratti solo di determinate aree come l’economia, o di accantonare la decisione di tutto su tutti gli argomenti in generale a beneficio di una pura e semplice gestione dei vincoli previsti, come un semplice reparto risorse umane.  Non ci stancheremo mai di citare Serge Latouche su questo argomento: Se non possiamo più fare altro che gestire i vincoli, il governo degli uomini viene sostituito dall’amministrazione delle cose; il cittadino non ha più motivo di esistere. ” [1] Da un punto di vista giuridico, questa tendenza prende forma nello sviluppo dello stato di diritto, formula percepita e talvolta erroneamente considerata come un concetto monolitico, quando invece contiene due concetti distinti l’uno dall’altro, i quali sono anche autonomi a seconda delle circostanze. Tende anche a far dimenticare alle persone che la legge è soprattutto una convenzione, che si evolve o scompare a seconda dei regimi politici, dal momento che il legislatore non è altro che un’emanazione della politica e il potere di promulgare le leggi è spesso condiviso. Carl Schmitt aveva chiaramente identificato questo problema: “Lo “stato di diritto”, per usare l’espressione consacrata, è prima di tutto uno stato legislativo […] che non può semplicemente rinunciare alle leggi, queste leggi che cambiano ogni volta in base alle funzioni che deve realizzare. ” [2] Lo stato di diritto, in quanto finzione liberale, da un canto vede la legge come un mezzi per porre limiti allo Stato; le sue derive liberali-libertarie lo interpretano come” lo Stato in cui abbiamo il diritto di avere diritti ”, non senza motivo, poiché, d’altro canto, la legge non ha più alcuna funzione se non il riconoscimento legale degli interessi. Da un punto di vista normativo, è in definitiva lo Stato del diritto, il che comporta paradossi clamorosi. Il politico, che finisce per ripudiare anzitutto il proprio statuto, si ritrova comunque costretto a legiferare, per mezzo del potere deliberativo o esecutivo, con il secondo che spesso diventa un ramo del primo. La fine della classica opposizione tra il deliberativo e l’esecutivo in fin dei conti non si concluderà con  la forma dittatoriale prevista dalla tradizione repubblicana, nella quale il dittatore può deliberare da sé e per sé,al fine di eseguire le proprie decisioni senza possibilità di ricorso, mentre viene rimossa la questione del giusto e dell’ingiusto. È probabilmente una forma di tirannia, dal momento che il dittatore, nella teoria giuridica, non può né fare nuove leggi, né tanto meno disporre della Repubblica; al contrario mettere in opera una volontà di impotenza ha esattamente l’effetto opposto, cioè una legislazione dedicata all’indebolimento strutturale e politico della Repubblica. La liquidazione dello Stato avviene in due forme principali: il graduale ma inevitabile smantellamento delle sue parti, in particolare economico o amministrativo; il rifiuto di ricorrere ad esso quando le circostanze lo richiedono, in particolare in caso di crisi. L’intera questione è come, al contrario, ciò che può apparire contraddittorio sia logicamente risolto dallo stato di diritto come traduzione di una volontà di impotenza.

LA TECNICA DEL POTERE

Alcuni potrebbero trovare strana l’idea di una tecnica di potere, come se ci fosse una sorta di manuale per il buon leader, ma in realtà questo argomento è sempre stato oggetto di una letteratura abbondante i cui autori più famosi sono senza dubbio Jean Bodin, Machiavelli e Carl Schmitt. La tecnica del potere non è il potere confuso con il tipo di regime politico, come nelle ben note tipologie di Aristotele e Polibio, ma in effetti il ​​modo in cui viene esercitato, abilmente o goffamente, in quanto dominio del principe in particolare. Anche Hippolyte Taine ne offre una buona visione d’insieme nelle sue Origini della Francia contemporanea : “ Ciò che viene chiamato un governo è un concerto di poteri, che, ciascuno in un ufficio separato, lavora collettivamente per un’opera finale e totale. Che il governo faccia questo lavoro, ecco tutto il suo merito; una macchina vale solo per il suo effetto. Ciò che conta non è che sia ben disegnato sulla carta, ma che funzioni bene sul campo. ” [3] La tecnica del potere è tuttavia discussa anche nella storia giuridica, come dimostra il lavoro svolto da Carl Schmitt nel suo libro Dittatura; qui egli ricorda un concetto fondamentale che anche noi tendiamo a trascurare, considerandolo acquisito, e quindi accidentale, sulla summa divisio tra diritto pubblico e privato. Ricorda Schmitt che l’esercizio del potere risponde bene a una certa tecnica, che è arcana. È una conoscenza esoterica, che solo una minoranza conosce e deve essere autorizzata a conoscere, come il fuoco greco dei bizantini nel campo della guerra. È proprio la natura arcana di questa tecnica che consente una lettura seria del Principe di Machiavelli, al di fuori della leggenda nera che gli fu affibbiata. Scritto in lingua volgare, Il Principe è un manuale che mira all’istruzione di un uomo provvidenziale in grado di unificare la penisola italiana, come evidenziato dall’ultimo capitolo; è quindi una strategia difensiva da parte di Machiavelli.  Ha anche parlato a lungo di un preciso equilibrio che il Principe deve cercare tra abilità e ferocia. Perché ”  Possiamo combattere in due modi: o con le leggi o con la forza. Il primo è specifico dell’uomo, il secondo è proprio degli animali; ma come spesso il primo non è sufficiente, uno è obbligato a ricorrere all’altro  ” [4]. Le circostanze determinano le scelte da fare e soprattutto il modo di farle. Ecco perché  “il principe, quindi, dovendo comportarsi come una bestia, cercherà di essere sia volpe che leone: poiché, se è solo un leone, non percepirà le sottigliezze; se è solo una volpe, non si difenderà dai lupi; e deve anche essere una volpe per conoscere le trappole e un leone per spaventare i lupi. Coloro che si limitano a essere leoni sono molto maldestri. ” [5]La sua vera innovazione non si deve alle considerazioni sull’uomo in generale, contrariamente a ciò che una lettura riduttiva ha cercato di imporre come interpretazione del suo pensiero, ma nell’approccio scientifico allo studio del potere: è quindi il politico che interessa Machiavelli, e la sua relazione con il potere, a seconda che sia governante o governato. La sua corrispondenza, inoltre, non consente più alcuna ambiguità su questo lungo argomento spinoso, ma che continua ad essere oggetto di dibattito oggi:

Ora arrivo all’ultima parte del mio compito: quello in cui insegno ai principi crudeltà e metodi di dominio assoluto. Se qualcuno legge il mio libro con imparzialità e indulgenza, sarà facile vedere che la mia intenzione non è quella di dare un esempio al mondo in questo modo di governare o in questi stessi uomini di cui sto parlando, ancor meno l’ insegnare agli uomini un modo per schiacciare gli uomini virtuosi e tutto ciò che è sacro e venerabile su questa terra: leggi, religione, probità, ecc. Se sono stato un po’ troppo preciso nel descrivere questi mostri in tutti i loro aspetti e comportamenti, è con la speranza che l’umanità, conoscendoli, li respingerà, essendo il mio lavoro sia una satira contro di loro che una vera descrizione. ”
—Nicolò Machiavelli, in” Lettera ad un amico ” [6] –

La tecnica del potere è quindi una tecnica nella quale Machiavelli aveva cercato di istruire il Principe che avrebbe unificato l’Italia. Il suo lavoro dipinge un affresco naturalistico, come tutti i suoi scritti in generale, sia che si tratti delle relazioni delle sue missioni diplomatiche o dei suoi Discorsi sulla prima deca di Tito Livio . La storia e le idee sono un supporto grazie al quale Machiavelli impara a identificare la migliore tecnica di potere possibile, di cui l’astuzia fa ovviamente parte. Ciò illustra la natura arcana del potere, ma anche l’obiettivo della politica in Machiavelli: “che un principe si proponga dunque come obiettivo di conquistare e mantenere lo Stato: i mezzi saranno sempre considerati onorevoli e lodati da tutti  ” [7]. La legge è una funzione di questo obiettivo, nel pensiero machiavellico. Il Discorso si basa quindi esclusivamente sul diritto pubblico, le considerazioni privatistiche ​​non soltanto non vi hanno spazio, ma Machiavelli mette in guardia da possibili incursioni del diritto privato nel diritto pubblico. Poiché l’istituzione delle leggi illustra la virtù del costruttore di una città e del Principe, devono solo servire a migliorare l’uomo ” e quando una cosa produce buoni effetti da sola senza la legge, la legge non è necessaria. ” [8]La sua preferenza per la costituzione mista, di cui prende come esempio la Repubblica Romana, conferma l’idea di Machiavelli secondo cui le leggi e le riforme di un regime dovrebbero essere attuate solo in caso di necessità, o anche di estrema necessità. Il concetto di Stato di diritto è inesistente in Machiavelli perché questa associazione non ha posto; il diritto cioè deve derivare dallo stato per servirlo, e non esserne l’eguale, il che rivela un’altra originalità del suo pensiero, cioè la dittatura. Machiavelli riprende la distinzione aristotelica tra deliberare ed eseguire, dimostrando che il dittatore, lungi dall’esserne affrancato, al contrario concentra in sé questi due poteri, poiché può deliberare da sé per eseguire da sé le proprie decisioni, senza alcuno ricorso possibile, ma con una garanzia costituzionale di rilievo: non può né promulgare nuove leggi, secondo Machiavelli, né disporre della Repubblica, secondo Bodin. Questo è senza dubbio ciò che alimenterà in parte la teoria della decisione di Carl Schmitt, quando considera che il padrone dello stato è colui che decide ciò che rientra nell’eccezione; la situazione eccezionale viene tradotta, secondo lui, dalla decisione libera da qualsiasi vincolo legale, in breve dallo Stato a scapito della legge. Dopotutto, questo non può essere paragonato alla pratica del potere da parte di un certo Charles de Gaulle? Se circostanze eccezionali gli permisero di raggiungere due volte la carica di capo dello stato, fu sia per mezzo dell’astuzia – nel 1958 – sia per mezzo della forza; sia durante la seconda guerra mondiale che durante l’insurrezione algerina, durante la quale la posizione gaullista nei confronti dei comitati di salute pubblica fu ambigua. E, come disse il generale in un discorso del 1953, grazie alla paura, un impulso potente, il  che va oltre il semplice pericolo per le istituzioni. La nozione di salus publica appare più chiaramente, in queste situazioni eccezionali.

Il diritto pubblico è quindi una parte integrante del potere e viceversa, poiché entrambi riguardano lo Stato e ancor di più il suo corretto funzionamento e la sua conservazione. Da questo punto di vista, il diritto pubblico è al servizio dello stato e non è il diritto del pubblico. Al contrario, questa deriva ha segnato la sua evoluzione fino ai giorni nostri, caratterizzata dall’egemonia del diritto privato che permeava il diritto pubblico con le sue logiche al punto da deviarlo dalla sua vocazione primaria che è lo Stato. Tuttavia, come pensava Carl Schmitt, ”  applicare  considerazioni che prevalgono nel diritto privato, come æquitas e justitia al diritto pubblico, nel quale a dominare è invece la salus publica, sembra un’ingenuità tagliata fuori dalla realtà. [9] La nascita dello stato di diritto rappresentava la fine della salus publica come unico fine del diritto pubblico, prima di rimuoverlo completamente.

STATO DI DIRITTO O STATO DEL DIRITTO?

Dobbiamo tenere presente che stato e legge sono due concetti distinti, come abbiamo detto, ecco perché pensatori come Machiavelli non si sono soffermati sullo stato di diritto, mentre il blocco concettuale o “lo stato di diritto” generato da questa espressione deriva senza dubbio dalla letteratura dei monarcomachi. Quest’ultima, logica reazione alle guerre di religione, si basa sulla legge come garante dell’ordine pubblico e sull’integrità fisica dei soggetti della corona, ma sebbene vi si possa scorgere l’idea di salus publica, i monarcomachi volevano soprattutto garantire per mezzo della legge la tolleranza dei culti contro l’arbitrio reale, poiché sotto l’Ancien Régime la corona si confondeva con lo Stato, e l’arbitrio con esso. È senza dubbio già un’introduzione privatistica nel diritto pubblico, se si considera che la salus publica in questo caso non riguarda più solo lo Stato, ma fa della legge il garante dell’integrità fisica del popolo, ed è probabilmente per questo che, a differenza di Machiavelli o di Jean Bodin, i monarcomachi non affrontano  la questione della dittatura che, normalmente, è per eccellenza l’istituzione ordinata alla risoluzione delle crisi. La legge comincia ad essere considerata un baluardo difensivo contro lo Stato, e certo un esempio di dittatura come quella di Silla non li seduceva, in quell’epoca travagliata. Ciò che è tipico del liberalismo classico – vale a dire l’emancipazione dall’arbitrario o dal divino – rese tuttavia possibile, attraverso l’associazione di queste distinte nozioni di stato e legge, generare un concetto unico, che al giorno d’oggi sembra quasi assumere l’aspetto del pleonasmo nell’espressione  “stato di diritto”. Assunto come nozione giuridica, nella quale sarebbero integrati in blocco i partiti, alla fine dei conti arriveremmo a ritenere che l’unica funzione dello Stato sarebbe produrre diritto, e reciprocamente che il diritto diverrebbe la finalità logica dello Stato, quando in realtà è la salus publica,  la vera ragione del diritto pubblico.

Tuttavia, se la fine di uno stato è la produzione di norme, ciò ne altera inevitabilmente lo scopo originale, poiché per natura non c’è alcun bisogno di  legiferare sulla conservazione dello stato; le sole misure costituzionali sono necessarie, poiché appartengono al dominio della chiaroveggenza: secondo la citazione di Girardin, “governare è prevedere”, come perfettamente illustrato dal ricorso alla dittatura che si traduce, nella Quinta Repubblica, nell’articolo 16 della Costituzione. Inoltre, lo stato di diritto giunge logicamente a limitare la tecnica del potere, poiché la legge obbliga i leader politici a sottomettervisi. La decisione viene quindi ostacolata in quanto condizionata dal sistema giuridico, di cui il parlamento è parte come legislatore per eccellenza, anche se il potere legislativo è condiviso con l’esecutivo in determinate aree. Che cosa divien allora del diritto pubblico, in un sistema di stato di diritto? Carl Schmitt è stato probabilmente colui che ha risposto meglio: Il significato ultimo, il significato proprio del “principio di legalità”, che è alla base di tutte le attività statali, è che in ultima analisi, non vi è né comando né sottomissione, perché vengono implementate solo norme impersonali. Un simile apparato statale trova la sua giustificazione solo nella legalità generale di qualsiasi esercizio di potere pubblico. ” [10] In buona sostanza, il diritto amministrativo illustra perfettamente la prevaricazione del paradigma privatistico, dal momento che si tratta solo di risolvere le controversie che sorgono tra lo stato e i cittadini, che saranno definiti amministrati, mentre lo Stato è solo una parte tra le parti, e dunque non si differenzia più dal sistema giudiziario. Il giudice amministrativo funge anche da legislatore, poiché è la giurisprudenza che ha un valore normativo in materia. La legalità prevale di nascosto sulla legittimità, rafforzando lo stato di diritto inteso non solo come concetto, ma come realtà effettiva. Il legalismo è solo la logica conseguenza della consacrazione dello stato di diritto e dimostra una volta per tutte la natura eminentemente liberale di questo concetto che rende la legge un mezzo per limitare lo Stato. Il processo è molto semplice: l’unica funzione della legge è il riconoscimento legale degli interessi, su cui il parlamento legifera e di cui la giurisprudenza specifica le modalità, e a volte il contenuto. In uno stato che ha una costituzione, una legislazione, la giurisprudenza dei tribunali non è diversa dalla legge. La parola giurisprudenza deve essere cancellata dalla nostra lingua ” [11] . La produzione normativa, nel campo del diritto, della regolamentazione o persino della giurisprudenza, mira solo a completare l’uno o l’altro secondo detti interessi, per soddisfarli al meglio. Il diritto pubblico deve solo gestire i possibili vincoli quando lo Stato è parte tra le parti, una personalità giuridica tra le altre, e le tergiversazioni della giurisprudenza in merito alla responsabilità non colposa non cambiano gran cosa. Non ha più un reale predominio, vale a dire, è espropriato della sua maestà. Lo stesso liberalismo dello Stato di diritto va ancora oltre, poiché lo stato minimo è il risultato di questa legislazione a tutto campo; l’unica decisione che i leader finiscono per prendere è quella di decidere che non decideranno più.

In primo luogo nelle aree relative all’economia, rendendo lo Stato almeno un attore economico come un altro, un massimo un attore passivo, come dimostrano i fatti da diversi decenni, contraddicendo en passant la tesi sviluppata da Maurice Duverger nel suo saggio La monarchia repubblicana, secondo la quale il rafforzamento dello Stato sarebbe un meccanismo irrinunciabile, perché la modernizzazione degli scambi – in particolare commerciali o finanziari, ma anche della società in generale – lo richiederebbe. Durante la crisi causata dalla pandemia di Covid19 nella primavera del 2020, il Primo Ministro aveva in fin dei conti dichiarato che l’unica responsabilità che lo Stato sarebbe in grado di assumersi in questioni economiche sarebbe una responsabilità ” come azionista  ”, oltre al manifesto rifiuto, da parte dell’inquilino di Matignon, di pronunciare la parola “Stato”,  un rifiuto tanto ostinato da imporre il rispetto. Questa affermazione, dalla bocca di una personalità che appare stranamente, suo malgrado, uno statista , suggerisce che lo stato non ha più le vere prerogative del potere pubblico, che deve sottomettersi ai meccanismi legali che ha prodotto. In realtà, ”  Colui che esercita il potere e il dominio agisce” in applicazione di una legge “o” in nome della legge “.  Non fa altro che affermare uno standard valido nel campo di competenza che è il suo assegnato ” [12] .Ciò è in contrasto con la dichiarazione di Jean-Pierre Chevènement sll’epoca in cui, da ministro dell’Interno, affermò che ”  Difendere le prerogative dello stato repubblicano e difendere la democrazia è una sola cosa: non c’è, oggi, legittimità in aziende internazionali, o anche a Bruxelles, Lussemburgo o Francoforte. Neppure ne esiste una nelle più potente tra le nostre comunità locali, che possa essere paragonata ala legittimità  di un’amministrazione responsabile nei confronti del governo, a sua volta responsabile nei confronti del Parlamento, delegato dal popolo sovrano, crogiolo della volontà generale. ” [13]Opponendo i prefetti alle autorità locali, l’ex ministro ha anche fatto una drastica distinzione tra legittimità e legalità, il che implica in gran parte che dette comunità sono un’emanazione puramente legalistica, poiché la sovranità, fonte di legittimità nel quadro repubblicano, è esercitato dal solo cittadino attraverso i suoi rappresentanti, sebbene questi abbiano il dovere di essere rappresentativi, se la teoria vuole conformarsi alla pratica. Solo, le riforme dei poteri dei prefetti come custodi   repubblicani sono diminuite da questo discorso, e finiscono per rinunciare di fatto al controllo della legalità che dovrebbero comunque esercitare sulle collettività, a favore di semplici notifiche a posteriori Ancora una volta, è lo Stato che si trova limitato dalla legge, dal momento che il diritto pubblico come salus publica è qui sostituito da una visione privatistica in cui il consenso e la composizione amichevole delle controversie sono favoriti dal legislatore. Il cittadino impegnato – un’espressione che sfortunatamente non è più pleonastica come potrebbe esserlo in teoria – si ritrova costretto ad assumere il controllo sulla legalità dell’azione del suo consiglio comunale, almeno sul campo permesso dalla sentenza Casanova [14], che di fatto obbliga il più delle volte a rivolgersi al  tribunale amministrativo competente, a scapito dell’autorità prefettizia che rigetta sistematicamente il suo ruolo di autorità decentrata dello Stato. Poiché i suddetti tribunali sono in gran parte congestionati a causa della loro scarsa capacità di smaltire tutte le cause, il giudice amministrativo è tanto meno propenso a invadere ciò che giustamente considera, il campo di competenza del prefetto.

La liquidazione dello Stato riflette quindi una volontà di impotenza, dal momento che è, in nome di una certa “responsabilità”, agire come manager. Come possiamo immaginare, questo porta davvero all’idea che la politica sarebbe diventata qualcosa di fondamentalmente assurdo e che per ben che vada, il dominio politico rileverebbe di una specie di atavico romanticismo. Ora è il momento della gestione, e un intero curioso vocabolario sta fiorendo sulla sua scia, che consiste banalmente nel trasformare la terminologia politica in quella di un dipartimento delle risorse umane, con la semplice modifica delle parole prima, in modo che facciano rima con “intendance”, salmerie, logistica. Quindi ecco l’alternativa sostituita dall’alternanza, il governo dalla governance, e inoltre sulla sempre più frequente invocazione di responsabilità, per facilitare la comprensione del fatto che ogni discorso che tratti qualcosa di diverso dalla quarta fascia fiscale odora d’un’epoca barbara, certo non così remota: ma è sempre un buon trucco, quando mancano gli argomenti. Queste originalità terminologiche in realtà impongono l’idea che esiste un solo modo di dirigere, che non ha nulla a che fare con ciò che Machiavelli potrebbe insegnarci. Abbiamo quindi visto governi successivi in ​​Francia allo stesso tempo espropriare lo Stato delle sue forze vitali in materia economica – poiché il campo economico è l’esempio più comune in questo settore – mediante privatizzazioni, l’apertura alla concorrenza di determinati servizi pubblici o persino l’integrazione del concetto di redditività in altri,  e la naturalmente legislazione per garantire al settore privato una “concorrenza libera e senza distorsioni” accompagna questa liquidazione, al punto che le aziende assumono un peso preponderante nella vita economica, ma persino diplomatica, a volte a scapito dei governi stessi. Maurice Duverger ha giustamente notato nel suo Nostalgia dell’impotenza che ”  l’impotenza politica provoca la debolezza dei servizi pubblici, l’impossibilità delle riforme, lo svilimento dello Stato, la sclerosi della nazione, l’assenza di civismo dei cittadini. Nelle relazioni diplomatiche e nelle organizzazioni nazionali, indebolisce il paese, scredita i suoi rappresentanti, paralizza o ritarda le decisioni collettive.  [15]Inoltre, tutta la legislazione economica prodotta dallo stato di diritto in realtà non emana più tanto dallo Stato quanto da organismi sovranazionali come l’Unione Europea, di cui lo Stato non è altro che un traduttore normativo nel suo proprio ordinamento interno. In effetti, potremmo sostenere che lo stato, alla fine, rischia persino di essere completamente espropriato della legge, appena essa non ne ha più bisogno. Non è più solo la tecnica del potere che viene evacuata, è il potere stesso che viene svuotato della sua sostanza; e possiamo quindi renderci conto che la vacuità del potere non significa una vacuità del personale politico, o addirittura un’assenza di leadership, ma la capacità di decidere chi è limitato, se non spazzato via, dalla legge. Lo stato è in qualche modo sospeso in nome della legge, poiché è la legge che governa ora. Con una tremenda inversione di tendenza, siamo tornati al legalismo, ma non quello della Terza e della Quarta Repubblica, dove si potrebbe parlare di sovranità del parlamento, ma di quella della legge come norma impersonale – e per impersonale intendiamo legge sradicata dalla Nazione, quando la legge sarebbe espressione proprio della volontà della nazione -, al limite dell’entelechia. Ciò ha causato, tra le altre conseguenze, l’ennesimo sconvolgimento nella gerarchia delle norme, poiché d’ora in poi quando un trattato è incostituzionale, è la Costituzione che si trova modificata, come ciò che è stato fatto sotto la Quarta Repubblica dove la Costituzione è stata modificata quando una legge era incostituzionale. Ciò è ovviamente caratteristico del legalismo, tranne che in materia di convenzioni internazionali, ciò che dovrebbe farci interrogare su un’evoluzione del ruolo dei trattati che non si limita più a stabilire relazioni tra Stati, ma a costituire un vero e proprio modo di governo. Il significato della citazione di Serge Latouche assume quindi un’ampiezza terrificante e ci obbliga ad affrontare il fatto che “La scomparsa del politico come istanza autonoma e il suo assorbimento nell’economico fanno riapparire lo stato della natura secondo Hobbes, la guerra di tutti contro tutti; la competizione e la concorrenza, leggi dell’economia liberale, diventano, ispo facto, la legge della politica. ” [16]

LIBERTÀ (S), RISCRIVONO IL TUO NOME

Sarebbe tuttavia errato pensare che, comunque, lo stato di diritto avrebbe almeno il merito di preservare le libertà fondamentali contro l’arbitrio statale, ma soprattutto di prevenire le possibili derive di tale arbitrio. “  Un sistema di legalità chiuso su se stesso quindi basa qualsiasi pretesa di obbedienza e giustifica l’esclusione del diritto alla resistenza. L’aspetto specifico della legge è qui la legge positiva, la giustificazione specifica del vincolo statale è la legalità ” [17], spiega Carl Schmitt. Una volta negato questo diritto alla resistenza, la questione del regime politico non ha importanza e la parola democrazia che gli invocatori permanenti dello stato di diritto credono di associarvi logicamente è affatto sbagliata. Se la democrazia deve governare nell’interesse del maggior numero come pensava Pericle, è ancora necessario distinguere l’interesse generale dalla somma di interessi particolari, perché il primo non è assolutamente il risultato del secondo . Dal momento in cui ciò che è possibile viene ritenuto necessario, ciò offre una traduzione giuridica singolare in materia di libertà fondamentali che rafforza solo la legalità. Poiché si limita esclusivamente al riconoscimento legale degli interessi, lo stato di diritto spinge effettivamente a sottomettere alla legislazione ogni aspetto della vita, allontanandosi definitivamente dal diritto pubblico, o piuttosto assimilandolo al diritto privato. Sarebbe possibile replicare, tuttavia, che è sempre grazie allo Stato che può aver luogo il processo normativo, e la legge si applica, così come è effettivamente allo Stato che i cittadini fanno ricorso, poiché senza di esso la legge non sarebbe possibile; e che quindi ci sarebbe sempre una decisione che ha dato origine a uno stato di diritto, cioè lo Stato. Il favoloso paradosso che ne deriva distrugge l’idea che uno stato forte sarebbe necessariamente uno stato arbitrario e per inciso totalitario, poiché il riconoscimento legale degli interessi è solo la loro infinita soddisfazione, al punto che lo stato diventa totalitario perché è debole, non perché è forte, l’esatto opposto di uno Stato fascista, che cerca di imporre una norma, e non di regolare delle eccezioni.

In entrambi i casi, tuttavia, nessuno si contenta del maggior numero, perché tutti devono essere soggetti a queste norme di legge. Le libertà fondamentali degenerano in libertà di desideri a cui viene naturalmente concessa la libertà di soddisfarli. Lo stato di diritto è ora inteso come “lo stato in cui si ha il diritto di avere diritti”, che sono sempre nuovi e sempre più specifici. In breve, dopo i diritti-debito, ecco i diritti-piacere ” Uno stato di partiti pluralisti non diventa “totale” con la forza e con il potere, ma con la debolezza; interviene in tutti gli ambiti della vita perché deve soddisfare le pretese di tutti gli interessati. ” [18]

Questo atteggiamento compulsivo, che richiede al legislatore di riconoscere la propria singolarità – a volte fantasmagorica – testimonia le solide radici del legalismo nell’individuo stesso. La sua visione della vita stessa è legalistica; questo dà vita a una situazione nebulosa in cui la norma e l’eccezione diventano sempre meno distinte. La posizione assunta il 5 aprile 2020 da Marlène Schiappa, Segretario di Stato, nel mezzo della crisi di Covid19, che in una lettera di missione a Céline Calvez, deputato di Hauts-de-Seine – tra l’altro membro della commissione per gli affari culturali e istruzione – si allarma per la mancanza di voce femminile nei media in tempi di crisi illustra le ansie legalistiche che una società moderna sta vivendo anche nel mezzo di una crisi. Ora, se è sempre l’eccezione che definisce la norma e non il contrario, cosa succede se, da un punto di vista normativo, le norme di legge prodotte essenzialmente per riconoscere legalmente interessi tanto diversi quanto dubbi diventano soprattutto un catalogo di eccezioni? Dov’è allora la norma? Non è forse spazzata via a favore di un paradigma giuridico che allontana le distinzioni tra norma ed eccezione, per rendere quest’ultima la norma stessa, senza che sia possibile determinare se sia un paradosso o un’incongruenza?  “La  legalità è davvero uno strumento di potere, e chiunque riesca a impadronirsi di questo strumento è più forte di qualsiasi cosa si possa opporgli in nome della legittimità. ” [19] L’ascesa della legge sullo stato assume piena dimensione attraverso queste affermazioni legalistiche e poiché la legittimità ormai viene intesa come sinonimo di legalità, non è più possibile contestare alcuna regola de jure dato che un regime rappresentativo come la Quinta Repubblica si basa sul principio del governo del popolo da parte del popolo, rappresentato dal Parlamento che esercita la sovranità nel suo nome. “Ciononostante, uno stato non rinuncerà mai alla sua pretesa di dominio e alla soppressione di ogni diritto di resistenza, purché rimanga uno stato, per quanto debole possa essere  ” [20] Ancora una volta, è proprio la crisi che mette in luce questa prospettiva, nonché le possibili disfunzioni di un sistema, o meglio le loro cause.

LA CRISI O IL CONFRONTO DEL DIRITTO E DELLO STATO

Mentre la crisi a seguito della pandemia di Covid19 raggiunse il culmine esattamente un anno dopo che Bruno Le Maire, ministro dell’Economia, pubblicò con Gallimard Publishing un modesto saggio intitolato Il nuovo impero, l’Europa nel 21 ° secolo, è chiaro che queste storie dell’impero di millenario non vanno mai come previsto. Le crisi hanno il merito di rivelare i difetti di un sistema consolidato – politico, istituzionale o persino sanitario – ma soprattutto di valorizzare il dilettantismo o la chiaroveggenza delle élite, anche in questo caso quale che sia la loro funzione. Ancora meglio, sono soprattutto i profondi difetti che hanno parzialmente consentito la crisi, che sono evidenziati, e la capacità o l’incapacità del politico di risolverli. Solo, un grosso problema ostacola le soluzioni legali da attuare, poiché nel diritto la crisi non ha assolutamente definizione, contrariamente a quanto una dubbia letteratura pseudo-legale cerca di farci credere quando si presentano.  La definizione più accattivante da conservare potrebbe tuttavia essere quella proposta da Alain de Benoist, che ha saputo coglierne l’essenza affermando che la crisi è ciò che non può essere risolto, né può risolversi da sola. La presa in considerazione dell’incertezza e del rischio è un luogo comune legale molto specifico, ed è stata ampiamente oggetto di dottrina e di norme di legge. La permanenza dello Stato è il pilastro su cui poggiare, poiché la sua stessa essenza è il negativo dell’incertezza; e la formula che esprime meglio questa impossibile vacanza al potere è probabilmente il famoso “Il re è morto, viva il re!” “La modernizzazione dei mezzi di produzione, della società stessa e dei modi di governare svilupperanno tuttavia sempre più le teorie della decisione, vale a dire la determinazione della migliore scelta possibile in determinate condizioni nella corretta applicazione della teoria dei giochi, ed ecco il rischio integrato nella società come una componente quasi inerente al suo funzionamento. Tuttavia, la modernità non è riuscita a rimuovere l’incertezza, ma l’ha anche sofisticata solo quando non ne ha prodotto di nuove, spietati corollari del progresso. Nuove sfide, nuove questioni.

Quando si verifica la crisi, essa non solo compromette il sistema giuridico, ma soprattutto lo stato stesso. Lo stato di diritto riscopre quindi la sua natura chimerica, poiché in ultima analisi non può produrre una norma in una situazione che non si preoccupa dello stato di diritto e non richiede il rilascio né dell’autorizzazione né del riconoscimento legale. La crisi sta spazzando via le incessanti richieste alla legge, in particolare quelle al fine di acquisire nuovi statuti o addirittura di soddisfarne alcuni già concessi. In breve, la crisi ha ricordato al politico che gli onori della sua posizione gli hanno anche chiesto di accettarne le servitù, tra l’altro questa famosa salus publica . La crisi è la situazione eccezionale per eccellenza e, come ricorda Carl Schmitt, “ chi decide nella situazione eccezionale è il sovrano” Se le decisioni richieste da tale situazione non vengono prese abbastanza presto, l’organo decisionale potrebbe essere accusato di agire troppo tardi, mentre a monte potrebbe essere richiesto di giustificarsi quando non sembra sorgere alcun pericolo grave , come nel caso di Roselyne Bachelot durante l’epidemia di influenza H1N1 quando era ministro della sanità. L’intero paradosso giuridico si trova qui, anche se non si avvicina il momento della crisi stessa e l’intera armata legislativa si trova impotente ad affrontare se costringe il processo decisionale a rispettare le procedure, preoccupandosi anzitutto di non disturbare il corretto funzionamento dello stato di diritto. Tuttavia, in caso di crisi, non è mai possibile utilizzare solo i mezzi a disposizione dello stato di diritto. Purtroppo, la crisi difficilmente tollera i balbettii normativi; corre più veloce degli andirivieni delle navette parlamentari,  ed ecco che i nostri leader, che hanno scambiato la politica per l’amministrazione, scoprono lo spaventoso cimitero delle loro buone intenzioni.

La dittatura si è tradizionalmente illustrata come il mezzo repubblicano per eccellenza a cui si ricorre per preservare lo stato, come abbiamo detto. Permette al dittatore, nominato secondo un semplice meccanismo costituzionale o proto-costituzionale, di essere sia il deliberatore che l’esecutore delle proprie decisioni, senza possibilità di ricorso, come avevamo spiegato. Decidendo sulla situazione eccezionale, ha quindi il controllo dello Stato: la decisione viene quindi liberata da tutti i vincoli legali. Il limite fissato al dittatore è tanto semplice quanto inevitabile: non può né promulgare nuove leggi né disporre della Repubblica. Sfruttare la dittatura per usurpare il potere la trasforma dunque in tirannia. Questo è anche il motivo per cui, empiricamente, il dittatore si è dimetteva a missione compiuta, solo di rado alla scadenza del suo mandato. Il fatto che i monarcomachi non la integrassero nel proprio pensiero suggerisce che il loro contributo alla teoria generale del diritto era proprio quello di concettualizzare la legge come baluardo difensivo contro l’arbitrio dello Stato, come detto più sopra.

La crisi è quindi qualcosa di più che la regina dei rischi. Si apre come un abisso vertiginoso, e le sue forme mutano, rispecchiando l’immagine della società e dei tempi. Lo stato di assedio è stata la prima risposta a questo problema nella nostra storia moderna, prevedendo il trasferimento del compito di mantenere l’ordine alle forze armate. Essendo una misura rischiosa quanti i rischi di una crisi, le classi politiche fino alla IV Repubblica hanno testimoniato una diffidenza ormai classica verso tutto ciò che potrebbe in effetti rafforzare lo Stato a scapito della legge, vale a dire del diritto dello stato di preservare se stesso, per così dire. Durante l’insurrezione algerina, la questione dello stato d’assedio provocò un dibattito, e il tentativo di evitarlo ha dato alla luce l’ormai ben noto stato di emergenza,  un compromesso tra la conservazione dello Stato e una ragionevole ritirata del diritto, mentre lo stato d’assedio rischiava di aprire un campo di possibilità forse troppo ampio per il gusto di Pierre Mendés France e Edgar Faure; tuttavia, il ricordo ancora troppo vivido del voto di conferimento dei pieni poteri al maresciallo Pétain non poteva dar loro torto, in circostanze allora piuttosto simili. La legge del 1955 prevedeva quindi logicamente che il Parlamento votasse una legge che dichiarasse lo stato di emergenza, tuttavia con il controllo parlamentare, prima del ritorno alle condizioni regolari con l’ordinanza del 15 aprile 1960. Anche se lo stato di diritto – e soprattutto il legicentrismo – era appena scosso, la Quarta Repubblica fu in grado di compensare l’assenza costituzionale di ricorso alla dittatura, anche se fu inesorabilmente superata dall’instabilità insita nella sua struttura costituzionale. Quando le istituzioni della Repubblica, l’indipendenza della Nazione, l’integrità del suo territorio o l’esecuzione dei suoi impegni internazionali sono minacciati in modo serio e immediato e d è interrotto il regolare funzionamento dei poteri pubblici costituzionali, il Presidente della Repubblica adotta le misure richieste da tali circostanze, previa consultazione ufficiale con il Primo Ministro, i Presidenti delle Assemblee e il Consiglio costituzionale. Proprio come gli articoli 34 e 38 inaugureranno le aree riservate alla legge e ai regolamenti. Da allora, il Parlamento può legiferare solo su ciò che le disposizioni dell’articolo 34 gli consentono, razionalizzando il comportamento del legislatore. Alcune escursioni hanno naturalmente visto la luce del giorno, ma questi incorreggibili avventurieri normativi che sono i parlamentari sono stati rapidamente rimessi in riga dal Consiglio costituzionale. In pieno trionfo della volontà di impotenza, soltanto l’articolo 16 sembra essere un relitto del passato. Se continua ad adornare la costituzione della Quinta Repubblica, il suo uso ci sembra incongruo, perché la raffinatezza della società e la sua relazione con il mondo tendono a farci credere che questo tipo di misura sia diventata superflua .

La creazione dello stato di emergenza sanitaria segna un’evoluzione dello stato di diritto, perché come misura più morbida dello stato di emergenza, riflette principalmente il desiderio di evitare il ricorso a questo articolo 16. Il nuovo dispositivo fa una scelta molto chiara: sospendere lo Stato a favore della legge. Queste nuove regole vincolano ancora di più il processo decisionale, al punto che possiamo chiederci se esistano ancora dei decisori pubblici e senza dubbio la piccola formula di Maurice Duverger: ” ogni  potenza per  prevenire o distruggere, l’impotenza per decidere e costruire ” [21]si presta bene a questa situazione. Quindi qui ci sono statisti che semplicemente rifiutano lo stato stesso per paura che, fornendogli il tempo di darsi i mezzi per risolvere la crisi, si supererebbe un punto fatale di non ritorno per un ordine che non è assolutamente mai quello della salus publica. La crisi rivela tanto il pragmatismo quanto il dilettantismo delle élite, non senza una certa implacabilità. Non tollera mezze misure, lei; le mezze misure che producono molti mezzi uomini, secondo Talleyrand. Sarebbe certo comodo affermare che una in crisi causata da un’epidemia il ricorso all’articolo 16 sarebbe sproporzionato, poiché le istituzioni non sarebbero messe a repentaglio, contrariamente agli esempi storici menzionati fino ad allora, ma questo puntodi vista illustra soprattutto la sua ignoranza di che cosa sia una Repubblica, in particolare il paradigma posto dalla Quinta. La prima delle istituzioni, in una Repubblica, è il cittadino, è anche per questo che essa è un regime vivente. Non è il cittadino che, in caso di epidemia, è fisicamente in pericolo ? Distaccare i cittadini dalle istituzioni in nome di una visione legalistica delle cose attesta non solo la natura chimerica del legalismo in sé, ma soprattutto un curioso ritorno al Vecchio Regime, dove lo Stato potrebbe essere confuso con la Corona. I cittadini non sarebbero quindi nient’altro che i moderni equivalenti dei sudditi del re, e il principio stabilito nell’articolo 2 della nostra Costituzione del ”  governo del popolo, da parte del popolo e per il popolo  ” un frutto dell’immaginazione. Questa interpretazione appare tanto più errata dal momento che se andiamo in fondo alla sua logica, si tratta di distaccare il Parlamento dall’idea di rappresentanza nazionale, mentre l’articolo 3 afferma inequivocabilmente che ” La sovranità nazionale appartiene alle persone che la esercitano attraverso i loro rappresentanti e attraverso il referendum. Nel caso di una crisi come quella provocata da Covid19, questa lettura è tanto più grave in quanto abbandona i cittadini al proprio destino di fronte alla malattia e alla morte. Se volessimo un altro esempio delle conseguenze dell’egemonia privatista sul diritto pubblico, eccone sicuramente un eccellente che ci permette di capire cos’è salus publica , in particolare in una Repubblica, e perché la dittatura è così importante come rimedio. Questo desiderio di impotenza in definitiva consiste dichiarare guerra a un virus senza approntare le nazionalizzazioni e le pianificazioni necessarie – al punto che le aziende del settore privato, stupite che lo Stato non prenda il comando, si dispongono da sé a ubbidirgli – avrebbe senz’altro acuito l’esasperazione del summenzionato Taine quando affermava, non senza ragione, che “In primo luogo, le autorità pubbliche devono essere d’accordo: altrimenti si annulleranno a vicenda”. In secondo luogo, le autorità pubbliche devono essere rispettate: altrimenti sono nulle. ” [22]

La comunicazione del governo durante la crisi di Covid19 nasconde anche alcuni tesori. Le sue precauzioni lessicali e le sue circonlocuzioni prudenti testimoniano una vera sfiducia nei confronti dello Stato. Se la crisi sta minando lo stato di diritto, la decisione di scegliere tra stato e legge sembra inciampare da parte dell’esecutivo a due teste in un modo molto strano. Da un canto Emmanuel Macron, presidente della Repubblica, sembrava toccare con la punta delle dita la natura “Jupiterienne” che gli veniva così attribuita,  dichiarando con enfasi, il 16 marzo 2020, che ” Lo Stato pagherà ” come esorcizzando ” Lo Stato non non può tutto ” di Lionel Jospin, ex primo ministro, dall’altro il suo primo ministro ha usato un linguaggio molto più sfumato. Il discorso di Matignon,  integrando il discorso presidenziale con le sue implementazioni pratiche, brillava per la sua palese ostinazione nel rifiuto di pronunciare la parola “Stato”, che tuttavia era prevista dopo il discorso dell’Eliseo. Secondo Édouard Philippe, primo ministro, la massima responsabilità che sarebbe assunta se la situazione lo richiedesse, sarebbe una responsabilità “come azionista», e l’annuncio del nuovo regime legale ideato per la risoluzione della crisi, lo stato di emergenza sanitaria. Come non vedere in esso il segno di questo famoso desiderio di impotenza che, non contento di aver ridotto lo Stato a un banale soggetto di diritto quasi privo di prerogative del potere pubblico in materia economica, non sembra nemmeno ritenerlo degno d’essere chiamato per nome? Il chiaro abuso della parola “guerra” è stato seguito dalla altrettanto distinta assenza di un’economia di guerra. Nessuna pianificazione delle forze di produzione al fine di fornire alla nazione i mezzi per combattere contro questo nemico invisibile che è il coronavirus, ma un’attestazione che il cittadino deve rivolgersi a se stesso per consentire a se stesso di uscire secondo i casi previsti con decreto del 23 marzo 2020.

Dov’è l’accordo tra i poteri, e ancor prima l’obbedienza che riscuotono, quando la comunicazione tra i membri del governo interferisce nel processo normativo? La semplice esistenza dell’autocertificazione solleva già questo dubbio, visto che il è cittadino stesso ad autorizzarsi a derogare dalla regola del confinamento durante l’epidemia di Covid19. L’eccezione definisce la regola, ma qui qual è l’eccezione? Certificazione o contenimento? In totale assenza di un’economia di guerra, vale a dire la pianificazione della produzione e il razionamento dei prodotti alimentari, ciò lascia seri dubbi, soprattutto perché mancano le varietà di imprese autorizzate a rimanere aperte, oltre alle banali gite che sono previste dal decreto del 23 marzo 2020. La disobbedienza derivante da questa vaghezza normativa fiorisce in modo abbastanza logico, infatti, poiché i divieti non sono né chiari né realmente coerenti rispetto al numero di possibili deroghe. Ciò non ha mancato di mettere alla prova i nostri concittadini, specialmente quando la polizia ha ritenuto opportuno concedersi poteri di giudice senza che lo stato di diritto ve li abbia autorizzati, incluso il famoso decreto del 23 marzo 2020. Che la polizia o i gendarmi si siano improvvisamente messi a controllare le spese dei consumatori, quando il loro ruolo deve essere limitato al controllo formale delle gite effettuate in coerenza con il certificato, avrebbe dovuto suscitare interrogativi in coloro che sono abituati a invocare lo stato di diritto a ogni piè sospinto. Infine, è la stessa comunicazione del governo che ora sembra assumere un valore normativo. Quando semplici “tweet” dei ministeri dello sport e degli interni completano il famoso decreto sul possibile perimetro di uscita, i metodi di controllo della polizia, ecc., prendono un valore decretale effettivo. La gerarchia delle norme teorizzata dal povero Kelsen potrebbe quindi far parte dell’atavismo legale. Già malmenata dai fatti al momento della sua apparizione, a quanto pare nulla le sarà risparmiato. Tuttavia, se la parola di un politico come un ministro integra il processo normativo – che si tratti di valore decretale o infra-decretato è in definitiva onanismo – le conseguenze vanno oltre i colpi di scalpello cui è stata sottoposta la Costituzione della Quinta Repubblica dalle varie riforme che l’hanno modificata. Ciò non è previsto né nella Costituzione né nel nostro ordinamento giuridico. Non bastando il tentativo di rimodellarla sulla Quarta Repubblica,  ora il suo aspetto distorto richiama una strana dimensione della Terza Repubblica. La Costituzione della Quinta Repubblica è senza dubbio la camicia di forza del diritto, che lo limita per lasciare un margine di manovra alla decisione, anche se le molteplici operazioni chirurgiche che ha subito ne hanno ridotto la libertà decisionale. Senza una gerarchia di norme e senza una costituzione, l’allegro caos di un processo normativo che conferirebbe un valore uguale a un decreto come a una dichiarazione pubblica finirebbe per liberare la legge dal vincolo decisionale. In un’assurda utopia normativa, tutto sarebbe probabilmente diventato uno stato di diritto e parlare di inflazione legislativa sarebbe un eufemismo all’interno di questo carnevale di norme turbinanti che non ci impedirebbe di perdere la testa. Ciò è tanto più flagrante in quanto da parte dei nostri governanti indica una nuova disobbedienza nei confronti dell’Unione Europea di cui sono comunque stati sempre zelanti collaboratori. Ciò che era irresponsabile, persino la follia, divenne improvvisamente d’una sconcertante facilità quando, ad esempio, si impose “temporaneamente” un orario di lavoro settimanale di sessanta ore invece delle quarantotto ore previste secondo le regole europee. L’equilibrio dell’esercizio del potere tra astuzia e forza secondo Machiavelli è quindi sconvolto da un evidente squilibrio verso la forza, anche se  “quelli che si limitano a essere leoni sono molto goffi ” [23] ; ma sorprendentemente, è la legge che ha assunto le sembianze della ferocia.

 

APPUNTI:

  1. Serge Latouche, in “La Mégamachine – ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso”, capitolo I “tecnica, cultura e società, 1 La Mégamachine e la distruzione del potere sociale, éd. La Découverte / Revue du MAUSS, p.45
  2. Carl Schmitt, in “Tele-democrazia – L’aggressività del progresso”, Legalità e legittimità (1970), in “Machiavelli – Clausewitz – Legge e politica che affrontano le sfide della storia”, trad. di Michel Lhomme, p.249-250, ed. Krisis
  3. Hippolyte Taine, “Le origini della Francia contemporanea – La rivoluzione: la conquista giacobina”, Hachette, 1878, p. 276
  4. Nicolas Machiavelli, in “Il principe”, cap. XVIII Come i principi devono mantenere la parola, p.74, edizioni Charpentier, Libraire-éditeur (Parigi, 1855), traduzione di Jean-Vincent Périès  (1825)
  5. Ibidem, p.75
  6. Citato da James Burnham, in “L’era degli organizzatori”, p.1, edizioni Calmann-Lévy, collezione Freedom of the mind.
  7. Nicolas Machiavelli, in “Il Principe”, cap. XVIII “Come i principi devono mantenere la loro fede”, p. 126-127, ed. The Pocket Book (1963)
  8. Nicolas Machiavel, in “Discorso sul primo decennio di Tite-Live”, Libro I, capitolo 4, p.68, ed. Gallimard, collezione NRF / La Bibliothèque de philosophie (2004)
  9. Carl Schmitt, in “La dittatura”, 1. La dittatura del commissario e la teoria dello Stato, a) La teoria della tecnica statale e la teoria dello stato di diritto, p.82, Edizioni Seuil, collezione Punti.
  10. Carl Schmitt, in “Legalità e legittimità”, Introduzione, p. 38-39, ed. Le macchine da stampa dell’Università di Montreal, trad. di Christian Roy e Augustin Simard
  11. Maximilien de Robespierre, Sessione del 18 novembre 1790, Archivi parlamentari, 1a serie, Tomo XX, pag. 516.
  12. Carl Schmitt, in “Legalità e legittimità”, Introduzione, p. 38-39, ed. Le macchine da stampa dell’Università di Montreal, trad. di Christian Roy e Augustin Simard
  13. Jean-Pierre Chevènement, in “Lo stato e la democrazia – Discorso ai prefetti (Parigi, 2 luglio 1998)”, in “La Repubblica contro il pensiero positivo”, p. 121, ed. Plon (1999).
  14. Sentenza del Consiglio di Stato del 21 marzo 1901, relativa alla ricevibilità del ricorso di un contribuente contro una deliberazione del consiglio comunale in materia di finanze del comune.
  15. Maurice Duverger, in “Nostalgia per l’impotenza”, II. Le due Europa – L’Europa dell’impotenza, p.116, edizioni Albin Michel (1988)
  16. Serge Latouche, in “I pericoli del mercato planetario”, cap. I, “Globalizzazione dell’economia o” economizzazione “del mondo”, p.31, ed. Science Po Press
  17. Carl Schmitt, in “Legalità e legittimità”, Introduzione, p. 38-39, ed. Le macchine da stampa dell’Università di Montreal, trad. di Christian Roy e Augustin Simard
  18. Ibidem, conclusione, p.133-134
  19. Carl Schmitt, in “Tele-democrazia – L’aggressività del progresso”, Legalità e legittimità (1970), in “Machiavelli – Clausewitz – Legge e politica che affrontano le sfide della storia”, trad. di Michel Lhomme, p. 250, ed. Krisis
  20. Carl Schmitt, in “Legittimità e legittimità”, Conclusione, p.133-134, ed. Le macchine da stampa dell’Università di Montreal, trad. di Christian Roy e Augustin Simard
  21. Maurice Duverger, in “La nostalgia dell’impotenza”, Introduzione – La sconfitta dei vincitori, p.14, edizioni Albin Michel (1988)
  22. Hippolyte Taine, “Le origini della Francia contemporanea – La rivoluzione: la conquista giacobina”, p.276, edizioni Hachette (1878)
  23. Nicolas Machiavelli, in “Il principe”, cap. XVIII Come i principi devono mantenere la parola, p.74, edizioni Charpentier, Libraire-éditeur (Parigi, 1855), traduzione di Jean-Vincent Périès  (1825)

https://patriotesdisparus.com/2020/05/08/petit-precis-de-la-dictature/

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