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Stratotankers , Flotte e Mercati : Si va alla Guerra_di Cesare Semovigo e Roberto Iannuzzi

Nimitz, HMS Prince of Wales e la flotta di tanker : la pressione su Hormuz

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Rotte , identificativi dei Tanker e Stratotanker verso l’Europa e il Medio Oriente

L’arrivo della USS Nimitz nel Golfo, assieme alla HMS Prince of Wales della Royal Navy, segna una svolta nella postura militare occidentale verso l’Iran. Oggi tra la costa meridionale iraniana e l’Oceano Indiano sono operative, oltre alle due portaerei con i rispettivi gruppi d’attacco, anche un’imponente flotta logistica composta da almeno 25 tanker – tra cui diversi aerocisterne RAF britannici, tanker tedeschi e turchi già rischierati a Cipro come supporto avanzato. La presenza simultanea di queste unità non ha solo una valenza operativa, ma trasmette ai mercati e a Teheran la capacità occidentale di sostenere operazioni aeronavali prolungate e su larga scala.

I tanker – navi cisterna e aerocisterne – sono il cuore logistico per una proiezione di potenza a lunga distanza: garantiscono il rifornimento in volo a jet e droni, permettendo alle forze aeree NATO e USA di operare ininterrottamente dal Mediterraneo orientale fino al Golfo Persico e oltre. La scelta di posizionare asset RAF, turchi e tedeschi a Cipro, a raggio d’azione da Iran e Levante, evidenzia la volontà di coalizione e la preparazione a scenari di escalation che potrebbero coinvolgere direttamente anche i partner europei e NATO.

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La Nimitz , forse verso il canto del Cigno . Nome Nomen

Mercati e geopolitica: rischi estremi tra downgrade e minaccia energetica

Sul fronte dei mercati, la mobilitazione navale e il rischio di uno scontro diretto nello Stretto di Hormuz si sommano a uno scenario finanziario già teso. Il credito internazionale sconta una vera crisi di fiducia verso il debito americano, con i Treasury valutati come se fossero soggetti a un imminente declassamento multiplo, fino al rating BBB – a un passo dalla perdita dello status investment grade.

L’effetto combinato di questa crisi di credibilità e dell’escalation militare è dirompente: un blocco di Hormuz metterebbe a repentaglio il transito di un quinto del petrolio mondiale, determinando un’impennata dei prezzi dell’energia e alimentando nuove onde speculative sui mercati. I tassi dei Treasury già in forte rialzo rischiano di salire oltre il 6% in caso di downgrade effettivo, con i mutui a doppia cifra e un rischio recessione globale imminente. La presenza massiccia della logistica occidentale nel Mediterraneo e nel Golfo, con asset aerei e navali pronti a sostenere operazioni prolungate, manda un messaggio chiaro sia ai mercati che agli alleati: la regione resta una polveriera il cui innesco potrebbe essere un incidente o una decisione politica improvvisa, e il prezzo sarà pagato da tutto il sistema energetico e finanziario globale.

Cesare Semovigo

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Mercati e Presagi

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Israele attacca l’Iran, in Occidente prevale il partito della guerra

Pressato da Israele e dal “partito interventista”, Trump potrebbe finire per scatenare in Medio Oriente una guerra regionale dai rischi imprevedibili.

Roberto Iannuzzi16 giugno
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Bombardamento israeliano su Teheran ( Mehr News Agency , CC BY 4.0 )

La guerra mossa da Israele contro l’Iran nelle prime ore del 13 giugno era per molti versi annunciata. All’indomani dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, il premier israeliano Benajmin Netanyahu aveva dichiarato che Tel Aviv avrebbe “cambiato il Medio Oriente”.

Il governo israeliano ha sfruttato quel sanguinoso evento per infliggere colpi durissimi ai propri avversari regionali riuniti nel cosiddetto “Asse della Resistenza” filo-iraniano.

Gaza, l’enclave palestinese controllata da Hamas, è stata rasa al suolo. Una violenta campagna di bombardamenti in Libano ha portato alla decapitazione della leadership di Hezbollah in Libano, e all’uccisione del suo segretario generale Hassan Nasrallah.

Dopo la caduta del presidente siriano Bashar al-Assad in Siria, Israele ha smantellato le infrastrutture militari del paese con una serie di attacchi aerei. Dominando ormai i cieli siriani, e con lo spazio aereo iracheno controllato dall’alleato americano, per Israele la strada verso l’Iran era aperta.

In seguito a quegli eventi, nel dicembre 2024 avevo scritto che:

per il governo Netanyahu il trofeo finale resta l’Iran, rimasto più isolato a seguito dell’indebolimento dell’asse della resistenza.

Alla vigilia del cessate il fuoco in Libano, il premier israeliano aveva dichiarato che accettava l’accordo per tre ragioni: rifornire gli arsenali israeliani ormai svuotati, aumentare la pressione su Hamas, e concentrarsi sull’Iran.

Sulla stampa israeliana si stanno moltiplicando gli articoli che parlano di una “finestra di opportunità” per colpire le installazioni nucleari iraniane alla luce dello stato di debolezza in cui si troverebbe Teheran.

La tesi è che l’Iran, isolato a livello regionale, potrebbe puntare a costruire l’arma atomica se i suoi impianti nucleari non verranno distrutti. Perciò l’aeronautica israeliana si starebbe preparando per un possibile attacco.

L’eliminazione delle difese aeree siriane offre a Israele un corridoio sicuro per arrivare al confine iraniano attraverso l’Iraq, il cui spazio aereo è controllato dall’alleato statunitense.

L’ideale per Tel Aviv sarebbe coinvolgere Washington nell’operazione.

Fonti israeliane confermano che un’azione militare contro l’Iran era in preparazione da anni , ma tali preparativi si sono intensificati negli ultimi otto mesi .

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Il nucleare iraniano come pretesto

Il governo Netanyahu ha giustificato l’attacco affermando che non vi era altra scelta per impedire all’Iran di entrare in possesso dell’arma atomica.

“Il regime iraniano ha lavorato per decenni al fine di ottenere un’arma nucleare. Il mondo ha tentato ogni possibile via diplomatica per impedirlo, ma il regime ha rifiutato di fermarsi”, ha sostenuto un comunicato dell’esercito israeliano.

Tali affermazioni non corrispondono alla realtà. Il programma nucleare iraniano paradossalmente ebbe inizio grazie agli americani sotto lo Shah Mohammad Reza Pahlavi. Dopo la rivoluzione islamica del 1979, l’Ayatollah Khomeini, contrario all’energia nucleare, non riattivò il programma.

A seguito della traumatica esperienza della guerra Iran-Iraq, protrattasi dal 1980 al 1988, la leadership iraniana decise tuttavia di riavviare le attività di ricerca inclusi nucleari i possibili impieghi militari.

Dopo essere stato scoperto dall’Occidente, il programma nucleare militare fu tuttavia sospeso nel 2003 e da allora non è più stato ripreso, secondo tempi dell’intelligence USA.

Ad oggi l’Iran aderisce al Trattato di non proliferazione (TNP). Nel 2015 Teheran stipulò un accordo nucleare con l’allora amministrazione Obama. Esso imponeva un regime ancor più stringente di sorveglianza e contenimento delle attività nucleari iraniane in cambio della rimozione delle sanzioni internazionali a carico dell’Iran.

Sia secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) che secondo l’intelligence USA, l’Iran ha rispettato i termini di quell’accordo (sebbene proprio gli USA non l’abbiano fatto, rimuovendo solo parzialmente l’impianto sanzionatorio nei confronti di Teheran).

Fu Donald Trump nel 2018 (durante il suo primo mandato) ad uscire unilateralmente dall’accordo reimponendo le sanzioni americane in tutta la loro forza, sebbene Teheran avesse ottemperato all’accordo.

Adottando una strategia di “pazienza strategica”, l’Iran ha continuato a rispettare i termini dell’intesa fino al marzo 2019 malgrado la decisione unilaterale di Trump di rompere l’accordo.

L’inaffidabilità occidentale ha però progressivamente spinto l’Iran su posizioni più intransigenti, portandolo a sviluppare un proprio programma esteso di arricchimento dell’uranio, e riducendo la propria cooperazione con l’AIEA.

La capacità di arricchire l’uranio sul proprio territorio garantisce all’Iran di avere un programma nucleare civile pienamente indipendente e non soggetto a ricatti occidentali, ma anche la possibilità di creare un proprio potere contrattuale in sede negoziale.

Il TNP non proibisce le attività di arricchimento dell’uranio, ed esistono altri paesi (Germania, Olanda, Giappone, Brasile) non in possesso dell’arma atomica che hanno un programma nucleare civile corredato da impianti di arricchimento sul proprio territorio.

L’Iran è tuttavia arrivato ad arricchire l’uranio fino al 60%, ben al di sopra della soglia del 3-5% solitamente necessaria per alimentare un programma nucleare civile, con l’obiettivo di costringere gli Stati Uniti a tornare al tavolo negoziale.

Teheran ha più volte ribadito la propria disponibilità a sottoporsi ai controlli dell’AIEA ed a limitare il livello di arricchimento dell’uranio se le sanzioni nei suoi confronti saranno abrogate. Come già detto, tra il 2015 e il 2019, l’Iran ha dimostrato di tener fede ai propri impegni.

Nei giorni precedenti l’attacco israeliano si è tuttavia assistito a un ulteriore irrigidimento delle posizioni di Gran Bretagna, Francia e Germania nei confronti dell’Iran, successivamente culminato con una condanna dell’AIEA contro Teheran per la mancata ottemperanza dei propri obblighi nel quadro del TNP.

Ciò ha fornito a Netanyahu un ulteriore pretesto per affermare che l’Iran avrebbe compiuto “passi senza precedenti” per costruire un’arma atomica.

Ma le più recenti valutazioni dell’intelligence USA continuano ad affermare che “l’Iran non sta costruendo un ordigno nucleare” e che, “malgrado pressioni” in questo senso, il programma nucleare militare non è stato riattivato.

E’ bene anche ricordare che, mentre Israele fin dagli anni ’90 del secolo scorso ha lanciato ripetuti allarmi sulla “imminente” costruzione di un’arma atomica da parte dell’Iran (evento finora mai verificatosi), lo Stato ebraico ha un proprio programma nucleare militare non dichiarato, è in possesso di decine di ordigni nucleari e non ha mai aderito al TNP.

Obiettivo: cambio di regime a Teheran

L’attacco militare israeliano contro l’Iran è dunque ingiustificato, e illegale in base al diritto internazionale, in quanto non motivato da alcuna minaccia imminente da parte dell’Iran. Esso aggiunge un altro tassello al processo di erosione della legalità internazionale che ha subito una drammatica accelerazione con l’operazione di sterminio condotta da Israele a Gaza.

L’obiettivo dell’aggressione israeliana, inoltre, non è limitato alla distruzione delle installazioni nucleari iraniane. Oltre a colpire questi impianti ed ad assassinare numerosi scienziati nucleari, Israele ha letteralmente decapitato, con bombardamenti mirati, i vertici militari del paese.

I bombardamenti israeliani hanno anche ridotto in fin di vita Ali Shamkhani, figura vicina alla Guida Suprema Ali Khamanei, e uomo chiave nei negoziati nucleari in corso con l’incontro con l’amministrazione Trump (un nuovo fra le delegazioni di USA e Iran era previsto in Oman due giorni dopo).

L’operazione militare israeliana è stata significativamente denominata “Rising Lion” dal governo Netanyahu. Il nome è tratto da un versetto della Bibbia: “Ecco un popolo che si leva come una leonessa
e si erge come un leone; non si accovaccia, finché non abbia divorato la preda e bevuto il sangue degli uccisi” (Numeri 23, 24).

Ma il leone è anche il simbolo tradizionale dell’Iran, che figurava nella bandiera del paese prima dell’avvento della Repubblica Islamica.

Netanyahu ha accompagnato l’operazione con un appello durante il quale si è rivolto alla popolazione iraniana affermando: “La nostra battaglia non è contro di voi. La nostra battaglia è contro la brutale dittatura che vi ha oppresso per 46 anni. Ritengo che il giorno della vostra liberazione sia vicino”.

Nel frattempo, i missili israeliani hanno colpito le città iraniane facendo centinaia di vittime civili.

Diversi esperti statunitensi concordano sul fatto che il vero obiettivo dell’attacco israeliano sia un cambio di regime a Teheran.

Secondo fonti USA citate dall’Associated Press, il governo Netanyahu avrebbe perfino sottoposto all’amministrazione Trump un piano per assassinare la Guida Suprema Ali Khamenei. Trump avrebbe posto il veto all’operazione.

Trump e Israele

La questione solleva un altro tema estremamente controverso, quello del rapporto tra Tel Aviv e Washington nella pianificazione e gestione dell’operazione militare in corso.

Fonti israeliane hanno sostenuto che, mentre la Casa Bianca si era opposta a un attacco militare israeliano all’Iran, in segreto essa avrebbe non soltanto dato luce verde all’operazione, ma collaborato alla sua pianificazione.

L’obiettivo sarebbe stato quello di ingannare l’Iran, facendo credere ai vertici politici, militari e scientifici del paese che, finché gli USA fossero stati intenzionati a negoziare, non vi sarebbe stato alcun attacco, e non vi era perciò alcun bisogno di nascondersi in località protette e segrete.

Prima di abbracciare in toto questa tesi, va però ricordato che i vertici israeliani hanno sempre cercato di coinvolgere direttamente gli Stati Uniti in un eventuale attacco all’Iran, non disponendo da soli delle capacità militari per distruggere le installazioni nucleari iraniane e per ottenere una vittoria decisiva contro Teheran.

Netanyahu era stato preso in contropiede, nei mesi scorsi, dalla decisione di Trump di tentare la via negoziale con l’Iran, e si è continuamente sforzato di spingere i negoziatori americani su posizioni oltranziste per favorire il fallimento del negoziato.

David Barnea, capo del Mossad, e Ron Dermer, ministro israeliano degli Affari Strategici e uomo di fiducia di Netanyahu, hanno tallonato da vicino l’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, in tutte le tappe della trattativa con Teheran.

Quest’ultimo è passato dall’iniziale posizione pragmatica di consentire all’Iran un limitato programma di arricchimento dell’uranio sotto uno stretto regime di sorveglianza, a quella intransigente di chiedere lo smantellamento delle installazioni di arricchimento iraniano, una richiesta irricevibile per Teheran.

Ciò ha portato i negoziati sull’orlo del fallimento, sebbene una sessione di colloqui fosse stata concordata per domenica 15 giugno in Oman. Ma già dal 9 giugno Israele aveva deciso di passare all’azione.

Due giorni dopo, il segretario americano alla Difesa, Pete Hegseth, aveva dichiarato al Congresso che vi erano “segnali” che l’Iran stesso procedendo a una militarizzazione del proprio programma nucleare.

Pressioni nei confronti della Casa Bianca erano giunte anche dai vertici militari. Il generale Michael “Erik” Kurilla, comandante dello US Central Command responsabile della regione mediorientale, aveva presentato a Trump numerose opzioni per attaccare l’Iran qualora i mercati fossero falliti.

Poco dopo, il Dipartimento di Stato aveva cominciato ad evacuare parte del proprio personale diplomatico dall’Iraq e da altri paesi della regione.

Trump aveva dichiarato alla stampa che le evacuazioni necessarie perché il Medio Oriente “potrebbe essere un posto pericoloso, e vedremo cosa succederà”.

Subito dopo l’attacco israeliano, la Casa Bianca ha smentito ogni coinvolgimento diretto, ma Trump ha poi affermato (alquanto irrealisticamente) che il colpo inferto da Israele avrebbe potuto favorire il raggiungimento di un accordo sul nucleare iraniano.

I responsabili della Casa hanno poi nuovamente corretto il tiro dicendo che Trump era stato contrario a un attacco mentre il negoziato era ancora in corso.

Prevale il “partito della guerra”

Non è dunque da escludere che Trump sia stato spinto e cedere a pressioni di esponenti della sua stessa amministrazione, di ambienti dell’intelligence e del Pentagono, così come di esponenti del Congresso, della lobby neocon e di quella israeliana.

E’ in ogni caso escluso che gli Stati Uniti non sapessero dell’imminente attacco israeliano, se non altro perché gli aerei di Tel Aviv hanno operato dallo spazio aereo iracheno sotto il controllo statunitense.

Al trasversale “partito della guerra” che ha appoggiato l’intervento israeliano bisogna aggiungere poi il governo di Londra, che potrebbe aver fornito informazioni di intelligence e certamente ha assicurato supporto logistico all’azione militare israeliana nei primi giorni dell’operazione.

In questo quadro, la posizione del presidente americano si fa difficile. Egli ha inizialmente ribadito che non intendeva lasciarsi coinvolgere nell’operazione militare israeliana. Ma da Tel Aviv giungono pressioni crescenti affinché Washington scenda direttamente in campo al fianco di Israele.

Tali pressioni potrebbero essere rafforzate dall’appoggio del summenzionato “partito della guerra” affermatosi negli Stati Uniti e nei paesi alleati come la Gran Bretagna.

Israele non è in grado di distruggere installazioni nucleari iraniane fortificate come quella di Fordow, protetta a centinaia di metri nel sottosuolo, e necessita dei bombardieri e delle bombe “bunker buster” in dotazione agli Stati Uniti per sperare di portare a termine l’operazione.

Nel frattempo, risorse navali e sistemi di difesa aerea statunitensi nella regione mediorientale sono già dovuti intervenire per aiutare Israele a difendersi dalla ritorsione missilistica iraniana violentemente abbattutasi sul paese.

Ma un coinvolgimento militare americano al fianco di Israele esponebbe le basi USA nella regione alla rappresaglia missilistica di Teheran, col rischio di incendiare l’intero Medio Oriente.

Inoltre, in patria Trump deve fare i conti con i malumori del movimento MAGA ( Make America Great Again ), assolutamente contrario alla prospettiva che gli Stati Uniti si impantanino nell’ennesimo conflitto mediorientale.

Certamente l’avventurismo di Netanyahu (e di altri) ha cacciato Israele e gli USA in un rompicapo strategico di difficile soluzione, ed estremamente pericoloso per la stabilità mondiale.

La prospettiva di rovesciare il governo di Teheran, considerato in Occidente come l’anello debole di uno schieramento anti-occidentale comprendente anche Russia, Cina e Corea del Nord, alletta molti esponenti del suddetto partito interventista.

Ma una guerra regionale in Medio Oriente potrebbe essere impossibile da vincere, ed aprirebbe scenari imprevedibili.

Lo sherpa russo dei BRICS ha condiviso alcune informazioni sul gruppo, di Andrew Korybko

Lo sherpa russo dei BRICS ha condiviso alcune informazioni sul gruppo

Andrew Korybko16 giugno
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Considerazioni molto significative che pongono in una luce realistica le dinamiche multipolari, all’interno delle quali va inserito il movimento dei BRICS, al di là di ingenui e fuorvianti trionfalismi che non fanno altro che alimentare i propositi e i messaggi di contrapposizione ostile del mondo occidentale, orientato alla guerra_Giuseppe Germinario

Sergey Ryabkov ha cercato di chiarire l’approccio della Russia nei confronti dei BRICS, che è ancora ampiamente frainteso sia dai media tradizionali sia dalla comunità dei media alternativi.

Il viceministro degli Esteri russo Sergej Rjabkov, che è anche lo sherpa dei BRICS del suo Paese, ha condiviso alcune riflessioni sul gruppo durante la sua ultima intervista con la Komsomol’skaja Pravda . Per comodità del lettore, le riassumeremo e le analizzeremo, poiché alcune delle sue dichiarazioni potrebbero sorprendere gli osservatori occasionali. Ha iniziato accusando coloro che descrivono i BRICS come un blocco anti-occidentale di “cercare di creare un’immagine di Russia e Cina come nemiche e violatrici maligne dell'”ordine basato sulle regole””.

Ciò contraddice nettamente la narrazione diffusa dai principali influencer della Alt-Media Community (AMC), inclusi i cosiddetti “Pro-Russian Non-Russian” (NRPR), che insistono sul fatto che i BRICS siano contrari all’Occidente. Rybakov ha infatti chiarito che il suo unico scopo è quello di aumentare il coinvolgimento dei paesi non occidentali nella governance globale. Nelle sue parole, “Siamo impegnati in un programma positivo, piuttosto che conflittuale. Questo ci distingue da molti format creati dagli Stati Uniti e dai loro alleati europei”.

A tal fine, nel corso della loro esistenza, i BRICS hanno istituito meccanismi specifici in una vasta gamma di settori, concentrandosi sulla cooperazione economica e finanziaria, ma anche su sanità, sport, trasporti e altri settori. Sul tema della finanza, che è quello su cui si concentra la maggior parte dei commentatori quando si parla dei BRICS, Ryabkov ha sottolineato l’importanza dell’utilizzo delle valute nazionali negli scambi commerciali intra-BRICS e dell’espansione della Nuova Banca di Sviluppo, ma ha affermato che è prematuro discutere di una moneta unica.

I lettori possono consultare queste analisi qui , qui e qui per saperne di più su come i BRICS, e la Russia in particolare, non stiano proattivamente “de-dollarizzando” come molti membri dell’AMC sono stati erroneamente indotti a credere, ma stiano solo rispondendo alla militarizzazione del dollaro da parte degli Stati Uniti. Per sottolineare questo punto, Ryabkov ha citato quanto affermato da Putin durante il vertice dei BRICS dello scorso autunno a Kazan, per ricordare a tutti che “i BRICS non sono affatto contrari al dollaro”, ma non è chiaro se questa riaffermazione politica correggerà le percezioni errate di Trump.

In ogni caso, l’importanza dell’intervista di Ryabkov risiede nel fatto che ha cercato di chiarire l’approccio della Russia nei confronti dei BRICS, ancora profondamente frainteso sia dai media mainstream che dall’AMC. Entrambi, spinti da motivazioni ideologiche opposte, alimentano ampiamente la narrazione secondo cui la Russia starebbe strumentalizzando i BRICS contro l’Occidente. I media mainstream lo fanno per incutere timore nei loro confronti e giustificare così politiche più aggressive, mentre l’AMC lo fa per risollevare il proprio pubblico e risollevare il morale.

Il risultato finale è che pochi sanno che la Russia vede i BRICS solo come una piattaforma per accelerare i processi di multipolarità finanziaria al fine di elevare il coinvolgimento dei suoi membri nella governance globale, seppur attraverso una cooperazione puramente volontaria tra loro. È proprio a causa della mancanza di obblighi da parte dei BRICS che si è ottenuto poco di tangibile, sebbene questa non sia di per sé una critica, poiché è sempre stato irrealistico aspettarsi che un gruppo così eterogeneo di economie di dimensioni asimmetriche potesse concordare su molto.

Sebbene sia improbabile che i BRICS infliggano un colpo mortale al dollaro come molti hanno ormai pensato, a prescindere dalla propria opinione su tale esito, possono comunque portare alla creazione di più piattaforme non occidentali, promuovere l’integrazione Sud-Sud e rafforzare le valute nazionali. Il loro formato di circolo di discussione e le centinaia di eventi congiunti organizzati ogni anno sono anche utili strumenti per condividere esperienze rilevanti. Nel complesso, anche se i BRICS non sono come molti pensavano che fossero, come Ryabkov ha appena ricordato loro, sono comunque importanti.

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Il viceministro degli Esteri Sergei Ryabkov: L’Occidente deve ritrovare il senso della realtà
Sergei Ryabkov: è prematuro parlare di moneta unica dei BRICS
Vladislav VOROBIEV

Il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov. Foto: Donat Sorokin/TASS

Il processo di normalizzazione delle relazioni tra Stati Uniti e Russia è complicato. E Mosca non ha fretta di fare dichiarazioni ottimistiche. Ma il nostro Ministero degli Esteri ha ragione di credere che la parte americana abbia iniziato a comprendere meglio la posizione della Russia.

Tuttavia, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump non ha ancora cancellato la sua minaccia di imporre tariffe del 150% contro i Paesi che intendono creare un’alternativa al dollaro. Quale risposta prepareranno i membri dei BRICS al vertice di Rio de Janeiro di luglio?

Komsomolka ha parlato di questo e altro con il viceministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov, che non solo supervisiona le relazioni russo-americane al Ministero degli Esteri, ma è anche lo sherpa della Russia nei BRICS.

  • Sergei Alexeyevich, alcuni esperti occidentali ritengono che Russia e Cina vogliano fare dei BRICS un’arma geopolitica contro gli Stati Uniti. Ma recentemente le relazioni tra Mosca e Washington sembrano aver toccato il fondo. Qual è la sua risposta a questi esperti?
  • Immagino che lei si riferisca a quegli esperti che cercano di creare un’immagine della Russia e della Cina come un nemico e un feroce violatore dell'”ordine basato sulle regole”. Tuttavia, la situazione reale è talvolta in netto contrasto con i comuni luoghi comuni della propaganda, tra i quali includerei la tesi secondo cui i BRICS sono antiamericani.

Per sua natura, il BRICS non può essere utilizzato nell’interesse di un solo Stato o di un gruppo ristretto. Come molti dei nostri amici hanno ripetutamente affermato, il BRICS non è un formato anti-occidentale ma non-occidentale. È stato concepito per esprimere le aspirazioni e le aspirazioni degli Stati del Sud e dell’Est globale che costituiscono la Maggioranza mondiale.

L’Alleanza mira a creare e mantenere condizioni favorevoli per una crescita sostenuta, a costruire il potenziale socio-economico, innovativo e umano dei suoi membri e a cercare soluzioni collettive ai problemi internazionali più urgenti, compresa la riforma della governance globale in modo che le voci degli Stati in via di sviluppo e meno sviluppati siano ascoltate e tenute in considerazione.

In quasi 15 anni di esistenza, il BRICS si è trasformato da una piattaforma di dialogo informale a un meccanismo innovativo di cooperazione interstatale che copre un’ampia gamma di settori e mira a trovare soluzioni reciprocamente accettabili basate sul consenso. Oggi è percepito come una delle principali forze trainanti nella formazione di un ordine mondiale multipolare più giusto e democratico. Il BRICS è un partenariato strategico autosufficiente che ha una propria cultura del dialogo, proprie tradizioni e modalità di lavoro.

Siamo impegnati in un’agenda positiva piuttosto che conflittuale. Questo ci distingue da molti formati creati dagli Stati Uniti e dai suoi alleati europei.

Per quanto riguarda le relazioni russo-americane, si sono effettivamente verificati dei cambiamenti positivi, come si evince dai recenti contatti bilaterali ai livelli più alti, più elevati e più esperti. C’è motivo di credere che la parte statunitense sia diventata più consapevole della nostra posizione sull’Ucraina.

Il Presidente Donald Trump e il suo staff stanno parlando pubblicamente delle cause profonde del conflitto. Il tempo ci dirà fino a che punto i passi reali della nuova amministrazione statunitense saranno in linea con le sue dichiarazioni. Il processo di normalizzazione è complesso, ma siamo sempre aperti a una conversazione onesta e alla ricerca di un equilibrio di interessi.

Allo stesso tempo, vorrei sottolineare che lo sviluppo del dialogo con gli Stati Uniti non può e non andrà a scapito delle nostre relazioni strategiche con i nostri partner BRICS e altri Stati amici.

“GUARDARSI ALLO SPECCHIO IN TEMPO”

  • In seguito alla riunione dei ministri degli Esteri dei BRICS tenutasi a Rio de Janeiro il 29 aprile, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha affermato che l’Occidente “non è più abbastanza collettivo”. C’è qualche merito in questo per i BRICS?
  • Ripeto, gli obiettivi dell’associazione sono costruttivi. Non lavoriamo contro nessuno. Ciò che accade nelle relazioni all’interno dell'”Occidente collettivo” è il risultato di processi naturali.

La fonte dei loro problemi risiede nel desiderio di preservare l’ordine mondiale unipolare di cui sono diventati ostaggi. Sullo sfondo dei cambiamenti economici e politici globali, l’Occidente utilizza l’intera gamma di misure a sua disposizione, tra cui sanzioni, ricatti, pressioni e forza militare, per mantenere il proprio dominio.

La fissazione sul mantenimento del dominio ostacola lo sviluppo di una cooperazione multilaterale sana e reciprocamente vantaggiosa e provoca gravi crisi nelle relazioni internazionali. Naturalmente, si può incolpare chiunque per i propri problemi. Ma è importante guardarsi allo specchio e guardarsi intorno per ritrovare il senso della realtà.

I nuovi centri di potere in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente stanno sviluppando il loro potenziale economico e il loro peso geopolitico e cercano una giusta ridistribuzione dei ruoli negli affari internazionali.

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Foto: Sofya Sandurskaya / TASS

Il movimento del mondo verso la multipolarità – polifonia, secondo la definizione del Presidente Vladimir Vladimirovich Putin – è coerente e irreversibile. Cresce il ruolo delle associazioni di integrazione regionale e dei formati innovativi come i BRICS, che si stanno trasformando in una delle strutture portanti di un nuovo ordine mondiale più equo.

Allo stesso tempo, non intendiamo agire a scapito di nessuno e ci concentriamo sull’agenda che è rilevante per l’intera comunità internazionale. Siamo convinti che solo tenendo conto delle opinioni e degli interessi nazionali di tutti i partecipanti ai processi internazionali si possano raggiungere soluzioni equilibrate e a lungo termine, nell’interesse di una pace duratura e di una prosperità comune.

COSA ABBIAMO OTTENUTO IN 15 ANNI?

  • Il BRICS esiste da più di 15 anni. Come valuterebbe il suo coefficiente di efficacia?
  • In effetti, nel corso degli anni, i BRICS sono diventati un pilastro fondamentale di un mondo multipolare basato sulla sovranità e sull’uguaglianza. La recente espansione ha rafforzato in modo significativo il suo potenziale: i membri rappresentano ora circa il 40% del PIL globale in termini di parità di potere d’acquisto e il suo peso geopolitico continua ad aumentare. Ciò conferma la necessità di un formato che dia agli Stati la possibilità di svilupparsi senza pressioni esterne.

Il BRICS dispone di un ampio sistema di cooperazione. Le decisioni specifiche sui percorsi settoriali vengono prese nell’ambito delle riunioni ministeriali annuali, delle riunioni degli alti funzionari e dei gruppi di lavoro di esperti. In alcuni settori di cooperazione sono stati istituiti meccanismi specializzati. Ad esempio, la Piattaforma di ricerca sull’energia, il Centro per lo sviluppo e la ricerca sui vaccini, la Rete di ricerca sulla tubercolosi, la Piattaforma per le tecnologie pulite e l’Istituto per le reti future. Il loro lavoro contribuisce a forgiare posizioni comuni su questioni settoriali specifiche.

Sono stati adottati diversi accordi concettuali, tra cui documenti di posizione sulla lotta al terrorismo e alla corruzione, sulla cooperazione fiscale e sul cambiamento climatico. Non possiamo non citare la Strategia di partenariato economico 2025 dei BRICS, che è essenzialmente una tabella di marcia per il “secondo pilastro” della cooperazione. Stiamo lavorando all’aggiornamento di questo documento concettuale.

Sono state avviate nuove forme di interazione, tra cui le riunioni dei presidenti delle commissioni parlamentari per gli affari internazionali e le riunioni dei ministri della Giustizia dei BRICS. Sono stati raggiunti risultati significativi anche nei trasporti, nell’assistenza sanitaria, nella tutela del lavoro e in molti altri settori. Poniamo particolare attenzione a garantire la sicurezza alimentare ed energetica e ad approfondire il dialogo sullo sviluppo equo e sostenibile. Ricordo i Giochi BRICS, ai quali l’anno scorso hanno partecipato più di 80 Paesi.

Una priorità speciale dei BRICS è quella di creare le condizioni per la crescita del commercio e degli investimenti tra i membri. La quota dei Paesi BRICS nelle esportazioni e importazioni globali di beni è superiore al 20%. Si presta molta attenzione a garantire la sostenibilità finanziaria. Durante la “guardia” russa abbiamo compiuto seri progressi in questo campo. Puntiamo ad attuare iniziative concrete per creare una piattaforma per i pagamenti transfrontalieri, il regolamento, la compensazione e l’infrastruttura di riassicurazione. La quota di pagamenti in valuta nazionale tra la Russia e i Paesi BRICS ha già raggiunto il 90%, riducendo così la dipendenza dal dollaro.

Altre iniziative chiave sono la Borsa dei cereali BRICS, che migliorerà la sicurezza alimentare. Dato che i Paesi BRICS rappresentano il 42% della produzione agricola globale e un terzo della produzione di petrolio, questo progetto potrebbe diventare la base per un più ampio commercio di materie prime.

Un altro passo importante è la Nuova Piattaforma di Investimento, che aiuterà a utilizzare meglio le risorse della Nuova Banca di Sviluppo per finanziare progetti nel Sud globale. Ciò rafforzerà le economie nazionali dei partecipanti e la loro posizione nel sistema globale.

La Nuova Banca di Sviluppo rimane un elemento importante per dare forma a un’architettura finanziaria equa, finanziando 101 progetti di infrastrutture e sviluppo sostenibile per un valore di 35,5 miliardi di dollari.

Parlando dei CDI BRICS, vorrei citare i seguenti fatti. Nell’ambito del calendario ufficiale della presidenza russa dei BRICS nel 2024, si sono tenuti più di 250 eventi di vario tipo, di cui più di 30 a livello ministeriale. Concorderete che non sono molti i formati multilaterali in grado di garantire un tale volume di cooperazione.

Continuiamo a sviluppare il nostro partenariato strategico in uno spirito di continuità. Anche la presidenza brasiliana di quest’anno ha grandi progetti. Il BRICS ha dimostrato la sua efficacia non con le parole ma con i fatti, attraverso iniziative e risultati concreti.

PORTE APERTE

  • Non c’è il timore che l’aumento del numero di membri dei BRICS porti a un effetto “cigno, gambero e luccio”?
  • Certo, ci sono alcuni rischi. Ogni Stato difende i propri interessi nazionali e le nostre opinioni su alcune questioni non sempre coincidono.

Tuttavia, il BRICS mira a risolvere problemi globali sui quali le posizioni di tutti i membri dell’associazione sono molto vicine. Sono convinto che, con sforzi congiunti e volontà politica, possiamo trovare soluzioni accettabili per tutti anche ai problemi più difficili. Dopo tutto, i membri dei BRICS sono civiltà antiche con culture e storie ricche. L’allargamento dell’associazione ha ulteriormente arricchito questa tavolozza e ha garantito la rappresentanza di regioni chiave come il Sud-Est asiatico e il Medio Oriente.

L’aspetto principale è che condividiamo principi comuni: il rispetto reciproco, il diritto di scegliere autonomamente il percorso di sviluppo, l’uguaglianza sovrana e il consenso. Alla fine prevale ancora il desiderio di raggiungere accordi reciprocamente vantaggiosi che ci permettano di progredire qualitativamente nella nostra cooperazione. Questa è la chiave per una cooperazione di successo.

Vediamo il crescente interesse dei Paesi del Sud e dell’Est del mondo per i BRICS. Crediamo che le porte dell’associazione rimangano aperte a tutte le persone che la pensano allo stesso modo. A Kazan è stata presa la storica decisione di istituire la categoria degli Stati partner. Ora dieci Paesi hanno già acquisito questo status.

Siamo inoltre consapevoli dei collaudati formati outreach/BRICS Plus, che consentono di coinvolgere gli Stati interessati nel nostro lavoro. Intendiamo sviluppare ulteriormente questa pratica non solo per arricchire il nostro lavoro, ma anche per rafforzare la capacità dei BRICS di promuovere i veri interessi dei Paesi della Maggioranza Globale.

Kazan, 2024. Durante la sessione plenaria del vertice BRICS. Foto: Zuma\TASS

“L’UNIFICAZIONE NON È CONTRO IL DOLLARO”.

  • A febbraio, Donald Trump ha minacciato di imporre tariffe del 150% ai Paesi BRICS per qualsiasi tentativo di creare un’alternativa al dollaro. Quanto i BRICS considerano seria questa minaccia? Tali dichiarazioni influenzeranno il desiderio di creare una moneta unica dei BRICS il prima possibile?
  • Al vertice di Kazan dell’ottobre 2024, il presidente russo ha sottolineato che, pur esplorando le opzioni per creare piattaforme di pagamento alternative e nuovi sistemi di regolamento interbancari, il BRICS non è assolutamente contrario al dollaro. Il motivo per cui molti Paesi, non solo i membri del BRICS, stanno cercando di diversificare i loro meccanismi di regolamento non è dovuto al desiderio di indebolire il dollaro, ma alla politica di Washington, in base alla quale gli stessi americani usano il dollaro come strumento di pressione sugli Stati indesiderati.

L’interazione nella sfera finanziaria è saldamente stabilita nei BRICS come uno dei temi chiave. Si tratta di un impegno costante e di lunga data. L’obiettivo è creare meccanismi sostenibili nell’interesse dei Paesi in via di sviluppo. Come ho già detto, stiamo attualmente lavorando per espandere l’uso delle valute nazionali nei regolamenti reciproci. Per quanto riguarda la moneta unica dei BRICS, è ancora prematuro parlarne oggi.

  • Nel 2023 lei ha parlato del fatto che l’imposizione di sanzioni ha causato difficoltà nell’attuazione del finanziamento di progetti in Russia da parte della Nuova Banca di Sviluppo dei BRICS. Cosa sta facendo Mosca per eliminare questi aspetti?
  • I Paesi BRICS sono certamente interessati a rafforzare la posizione internazionale della Nuova Banca di Sviluppo e a incrementare le sue attività operative, anche nella Federazione Russa. La NDB svolge un ruolo significativo nell’attuazione di progetti infrastrutturali nei Paesi azionisti e nella promozione del loro sviluppo sostenibile.

Purtroppo, le pressioni sanzionatorie dei Paesi occidentali continuano a ostacolare le normali operazioni della Banca nella Federazione Russa. La direzione della NDB, compresa la Presidente Dilma Rousseff, eletta per un secondo mandato, sta prendendo le misure necessarie per garantire che la NDB raggiunga i suoi obiettivi in modo equo e non discriminatorio.

Continuiamo a collaborare con la Banca in vari settori, tra cui l’espansione dei finanziamenti nelle valute nazionali e lo sviluppo di processi innovativi nel campo degli investimenti e degli strumenti finanziari.

I partner BRICS condividono le nostre preoccupazioni sull’impatto negativo delle sanzioni illegittime non solo sulla situazione economica dei singoli Paesi, ma anche sul sistema economico globale nel suo complesso. I membri dell’associazione concordano sul fatto che tali misure minano il sistema commerciale multilaterale e ostacolano il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

  • Qual è il compito massimo della Russia al prossimo vertice dei BRICS che si terrà a luglio a Rio de Janeiro?
  • Ho già citato una serie di iniziative presentate durante l’anno di presidenza russa. È importante che il lavoro su di esse prosegua e si concretizzi. In particolare, intendiamo rafforzare il ruolo dei Paesi BRICS nel sistema monetario e finanziario globale, incrementare la cooperazione interbancaria, aumentare la quota delle valute nazionali nei regolamenti reciproci e creare meccanismi di regolamento e di assicurazione resistenti ai rischi esterni, al fine di promuovere il commercio e gli investimenti reciproci. Ci aspettiamo che vengano sviluppate proposte come la creazione della Borsa del grano BRICS e della Nuova piattaforma di investimento.

Il vertice BRICS è tradizionalmente il culmine di ogni presidenza, una sorta di riassunto di mesi di lavoro in tutti i settori chiave del nostro partenariato strategico. I nostri amici brasiliani hanno fissato priorità molto ambiziose per il loro anno. Dato che il vertice si terrà a luglio, possiamo dire che stiamo raggiungendo il traguardo e che i lavori proseguono praticamente senza interruzioni.

Non c’è dubbio che il prossimo XVII Vertice dei BRICS sarà efficace. Da parte nostra, siamo pronti a fornire tutta l’assistenza necessaria per garantire il successo dell’incontro dei leader BRICS.

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Iran contro Israele, di Julian Macfarlane

Iran contro Israele

Chi vince?

Jiulian Macfarlane15 giugno
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Mi sono astenuto dal commentare l’andamento degli eventi nella guerra israelo-iraniana appena iniziata. In una situazione militare come questa, è sempre meglio aspettare almeno quattro giorni – 3 giorni + 1 – per risolvere la situazione. Detto questo, farò qualche commento.

Gli israeliani stanno certamente esagerando i loro successi e minimizzando gli effetti della rappresaglia iraniana, sfruttando al meglio i media occidentali compiacenti. Quindi, non prestate troppa attenzione ai media tradizionali, o ai media alternativi che si basano sui media tradizionali. Finora, ci sono semplicemente troppe contraddizioni, soprattutto se si esaminano attentamente le prove visive. Le mie fonti in Medio Oriente mi raccontano una storia diversa.

È ovvio che, nonostante gli israeliani abbiano causato molti danni con il loro attacco a sorpresa, ciò non è stato sufficiente a prevenire i massicci attacchi di rappresaglia che sono seguiti e che ora continuano giorno dopo giorno.

A questo punto, oserei dire che l’attacco è stato un grave errore da parte di israeliani e americani. Disperato e suicida. Semplicemente non ponderato.

Una strategia più intelligente per Israele sarebbe stata quella di continuare a usare il Mossad per fomentare disordini interni in Iraq. Il Mossad è intelligente e ha decenni di esperienza in trucchi sporchi.

In ogni caso, questo attacco palese e illegale ha unito l’Iraq. Improvvisamente, c’è chiarezza .

Anche chi normalmente si oppone al governo iraniano ora si sta radunando attorno alla bandiera. Questa donna non indossa l’hijab e normalmente non sosterrebbe il governo.

Il sabotaggio diretto dal Mossad da parte di vari gruppi in Iraq provoca rabbia, non contro il governo iraniano, ma contro le comunità e i gruppi etnici che ospitano terroristi. Saranno sotto pressione perché dimostrino la loro lealtà, o se ne vadano.

In altre parole, l’attacco israeliano ha avuto un effetto polarizzante, il che significa un maggiore sostegno alle Guardie della Rivoluzione islamica. Ricordate come hanno reagito gli Stati Uniti all’11 settembre?

È ovvio che l’Iran si sta preparando da molto tempo alla guerra con Israele.

Mentre gli israeliani hackeravano i loro sistemi di comunicazione elettronica, essenziali per la difesa aerea, che avrebbero dovuto rimanere fuori uso per 3 giorni, questi furono riparati in meno di 10 ore, apparentemente con l’aiuto russo. Persero comandanti esperti, ma avevano un gruppo di comando “ombra” che prese immediatamente il controllo. I loro sistemi missilistici e di difesa aerea erano per lo più mobili e rimasero intatti. Finora, gli israeliani hanno perso diversi dei loro costosi F35 “invisibili”, come avevo previsto se li avessero fatti volare nel raggio d’azione dei sistemi S400.

Gli iraniani non hanno mai voluto combattere, ma erano pronti e ora sono i sionisti a pagarne il prezzo.

Forse quando Tel Aviv assomiglierà a Gaza capiranno il messaggio.

L’Iran ha le risorse per sopravvivere a israeliani e americani, e ha appena iniziato a contrattaccare: sta solo ora iniziando a utilizzare i suoi missili più avanzati. Specialisti russi in EW e EA (attacco elettronico) sono già in Iran. La Corea del Nord offrirà sicuramente missili se l’Iran dovesse iniziare a scarseggiare. Hanno margine per migliorare il loro gioco.

Se questi attacchi continueranno per più di una settimana, Israele perderà i missili intercettori. Gli yemeniti si sono già uniti. E se lo facesse anche Hezbollah? I gruppi iracheni di Hezbollah hanno minacciato di attaccare le basi statunitensi. Poi, i libanesi.

E se l’Iran chiudesse Hormuz?

Trump ordinerà un attacco ai B52? I B52 sono obiettivi succulenti.

Pubblicherò di nuovo un articolo più dettagliato con un’analisi strategica migliore.

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Ali Khamenei, la fine di un’era _ Di Soulayma MARDAM BEYAli

Ali Khamenei, la fine di un’era

Chi dei due? Khamenei o Netanyahu? ………O entrambi?_Giuseppe Germinario

Negli ultimi 35 anni, l’uomo forte dell’Iran si è gradualmente affermato come un decisore chiave nella regione. Fino a quando la guerra che stava conducendo indirettamente con Israele si è riversata sul suo territorio. E ha minacciato apertamente il suo regno.

OLJ / Di Soulayma MARDAM BEY, 15 giugno 2025 alle 19:17

Ali Khamenei, la fin d’une ère

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Un manifestante regge una foto della Guida Suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei, durante una manifestazione a Teheran in solidarietà con il governo contro gli attacchi israeliani, 14 giugno 2025. Atta Kenare/AFP

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12 aprile 1980. La storia è una cavalcata veloce. La rivoluzione islamica in Iran, gli accordi di Camp David e l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’URSS hanno accelerato il ritmo. Ma per i diplomatici americani tenuti in ostaggio a Teheran per cinque mesi, la vita si è fermata. L’operazione Eagle Claw, lanciata dal presidente americano Jimmy Carter per cercare di liberare i prigionieri, non aveva ancora avuto luogo. John Limbert, trentenne, era in isolamento. In questo giorno di primavera, riceve la visita mattutina di due rappresentanti svizzeri del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Più tardi, arriva una figura sconosciuta, accompagnata da una piccola squadra di cameraman. Sembra fragile, con una barba nera. Come il suo turbante. Il religioso è l’inviato di un regime ancora agli inizi. La scena è filmata. Sembra un’operazione di seduzione rivolta alla comunità internazionale.

La persona con cui John Limbert parlò era un certo Ali Khamenei. “Non si è presentato, ma sembrava avere una posizione nella difesa”, ricorda l’ex diplomatico.

Vedi anche:Israele-Iran: guerra dichiarata, e ora?

Tra i due uomini si svolge un curioso dialogo in persiano. La forma è cortese. Il contenuto, invece, è tagliente. John Limbert conosce a fondo il paese. Decide quindi di “decapitare” il chierico “con il cotone”, come recita un vecchio adagio locale. Per farlo, coinvolge il visitatore in un gioco di ruolo in cui il galateo – il “taarof” iraniano – viene rielaborato. Normalmente, il galateo prevede che il padrone di casa insista affinché l’ospite rimanga quando quest’ultimo deve andarsene. Voi iraniani siete così ospitali”, ha scherzato il diplomatico. Una volta che hai un ospite, non puoi lasciarlo andare”. Ma nel chiuso della stanza, John Limbert decise di cambiare le carte in tavola. “Gli chiesi gentilmente di sedersi e mi scusai per non avere nulla da offrirgli”, ricorda.

All’epoca, nessuno immaginava nemmeno per un secondo il destino che attendeva l’impiegato. “Non mi vedevo affatto a parlare con un politico di primo piano. Non l’avevo mai sentito nominare”, dice John Limbert.

A prima vista, l’Ayatollah Ali Khamenei è un enigma. Non molto popolare, non ha né il carisma né la profonda erudizione religiosa del suo predecessore, l’ayatollah Ruhollah Khomeiny, l’uomo che a suo tempo ha cambiato il volto del Medio Oriente. Eppure, in più di tre decenni, ha saputo navigare astutamente nelle acque agitate della regione, mettendo fuori gioco i suoi rivali interni, reprimendo senza vergogna le ondate di dissenso ed estendendo l’influenza iraniana nel vicinato arabo, trasformando queste nuove “province” in luoghi di conflitto indiretto con il suo nemico giurato, gli Stati Uniti.

Ma oggi, all’età di 86 anni, Ali Khamenei sembra essere sulla sedia elettrica. Al crepuscolo della sua vita, la guerra che da anni conduce indirettamente con Israele si sta estendendo sul suo territorio e sta mettendo a rischio il suo regime. Dal 7 ottobre, l’uomo forte dell’Iran ha assistito al crollo fulmineo della sua “eredità”. Un’eredità pazientemente costruita che, in pochi mesi, è andata in frantumi. La dottrina della piovra di Israele ha raggiunto il suo stadio finale. Prima è stato necessario tagliare le braccia all’animale. Hezbollah – il “gioiello della corona” – è stato decapitato. La presenza dell’Iran in Siria è stata notevolmente ridotta. La caduta del regime sanguinario di Bashar al-Assad ha portato Damasco all’interno degli Stati arabi del Golfo, alleati di Washington. I gruppi armati iracheni affiliati alla Repubblica islamica sono sempre più isolati. E Hamas – i cui legami con l’Iran sono complessi e non organici – governa ora la Striscia di Gaza, dove Tel Aviv non nasconde più le sue ambizioni: la pulizia etnica. D’ora in poi, lo Stato ebraico vuole attaccare la testa. Con un obiettivo dichiarato: la distruzione del programma nucleare e delle capacità militari dell’Iran. E un altro obiettivo, meno chiaro: il cambio di regime. Ali Khamenei sarà assassinato? E la sua morte in tali circostanze significherebbe necessariamente la fine della Repubblica islamica? Oppure Israele intende indebolire il più possibile un regime che sa essere maledetto da gran parte della sua popolazione, per incoraggiarla a sollevarsi? Al momento in cui scriviamo, tutti gli scenari sono possibili. Ma nessuno di essi prevede un’uscita vittoriosa della Guida suprema.

Sayyid Qutb

Nato nel 1939 a Machhad, nel nord-est dell’Iran, da un chierico, Javad Khamenei, e dalla figlia di un chierico, Khadija Mirdamadi, il giovane Ali cresce in una famiglia modesta. Ben presto si è distinto per il suo profilo atipico. “Fin da piccolo amava la letteratura più della teologia e passava più tempo alla biblioteca Astan-e Qods-e Razavi – la più grande collezione di libri in Iran – che alla moschea”, spiega Ali Alfoneh, ricercatore dell’Arab Gulf States Institute con sede a Washington.

Alla fine degli anni Cinquanta, questa passione lo introdusse nei salotti letterari di Mashhad, dove fece la conoscenza di scrittori locali, molti dei quali di sinistra. “Rimase particolarmente colpito da due personaggi: Ali Shariati, un intellettuale di Mashhad che nelle sue opere polemiche mescolava sciismo e marxismo, e il romanziere Jalal Al-e Ahmad, che imputava l’arretratezza e il sottosviluppo dell’Iran all’emulazione dell’Occidente da parte del regime Pahlavi”, racconta Ali Alfoneh. Il giovane si trasferì quindi a Qom, dove visse dal 1958 al 1964. Si tratta di un periodo decisivo, perché qui incontra l’ayatollah Ruhollah Khomeini, la cui opposizione alla modernizzazione dell’Iran sotto il regime dello Scià – ritenuta contraria all’Islam – avrà su di lui un’innegabile influenza.

Ali Khamenei durant la révolution islamique. Wikicommons. https://khamenei.ir/
Ali Khamenei durante la Rivoluzione islamica. Wikicommons. https://khamenei.ir/

Influenzato dal movimento Fadayan-e Islam – un gruppo fondamentalista sciita fondato alla fine degli anni Quaranta da Navab Safavi – Ali Khamenei abbracciò pienamente l’ideologia rivoluzionaria dell’Ayatollah Khomeini e contribuì a reclutare nuovi militanti per sostenere il progetto del suo maestro. Tornò quindi a Mashhad, dove rimase fino allo scoppio della Rivoluzione islamica. Questo periodo fu intervallato da esperienze di detenzione a Teheran e di esilio per dissidenza politica.

Soprattutto, nel 1967, traduce in persiano l’opera del fratello musulmano Sayyid Qutb “al-Mustaqbal li-hadha al-din” (Il futuro di questa religione), in cui l’autore difende la supremazia politica dell’Islam. Nella prefazione alla sua traduzione, Ali Khamenei sostiene che l’Islam deve modernizzare il suo messaggio se vuole attrarre le giovani generazioni.

Secondo lui, la maggior parte dei musulmani limita la religione ai rituali. È una visione quietista che trascura la sua forza rivoluzionaria, non sconvolge l’ordine sociale e politico ed è perfettamente accettabile per le potenze imperialiste occidentali. Questo rifiuto dell’Occidente ha avuto luogo nel contesto internazionale di un’epoca in cui il Terzo Mondo stava guadagnando terreno in ogni angolo del pianeta. Ma si rifà anche alla dolorosa storia dell’ingerenza britannica e americana nel Paese, dal monopolio del tabacco concesso dallo scià agli inglesi nel 1890 all’Operazione Ajax del 1953 e all’alleanza tra gli Stati Uniti e la dittatura Pahlavi.

“Ali Khamenei è un prodotto del suo tempo. Si è fatto le ossa in politica negli anni ’60 e ’70, in un periodo di sperimentazione rivoluzionaria e di immaginazione politica su scala globale, anche nella sua città natale, Mashhad”, sottolinea lo storico Arash Azizi. “Era anche un’epoca segnata dall’estremismo in politica. La sua visione è stata plasmata dal fervore di un periodo in cui la sfida al potere comprendeva imprigionamenti, attentati e assassinii, non solo in Iran ma in tutto il mondo, anche in Germania e in Italia con la Fazione dell’Armata Rossa e le Brigate Rosse, ad esempio.

Stratega

Il 16 gennaio 1979, l’ultimo scià dell’Iran, Mohammad Reza Pahlavi, lasciò Teheran per sempre. Una pagina è stata voltata, un’altra è stata aperta. Il 1° febbraio, l’ayatollah Rouhollah Khomeyni è tornato trionfalmente dopo 14 anni di esilio. Ma l’insediamento del nuovo regime fu presto minacciato dal vicino Iraq. Nel 1980, l’esercito di Saddam Hussein invase il Paese. Questo segnò l’inizio di una guerra durata otto anni che avrebbe causato centinaia di migliaia di vittime. All’interno, i gruppi di sinistra che in precedenza avevano combattuto a fianco degli islamisti furono esclusi dal governo. Il governo raddoppiò la violenza contro qualsiasi forma di opposizione. Era il momento di consolidare l’apparato repressivo del nascente regime.

Nel giugno 1981, mentre si accingeva a tenere un sermone nella moschea Abouzar di Teheran, Ali Khamenei sfuggì a un attentato. Perse l’uso della mano destra e parte dell’udito. Pochi mesi dopo, fu nominato Presidente della Repubblica islamica. “All’epoca, la carica non era molto importante. Il Primo Ministro, Mir Hossein Moussavi, e il Presidente del Parlamento, Akbar Hashemi Rafsanjani, avevano più potere”, osserva Arash Azizi. Durante la guerra Iran-Iraq, Ali Khamenei non ha avuto un ruolo di primo piano, se non quello di contribuire a stabilire le relazioni internazionali del regime, come dimostrano il suo viaggio a New York, presso la sede delle Nazioni Unite, nel 1987, e la sua visita in Corea del Nord nel 1989.

Da allora non ha mai messo piede all’estero.

Gli anni ’80 sono stati un periodo di brutalità senza precedenti, culminato nell’esecuzione di decine di migliaia di oppositori politici nel 1988. Ma all’epoca Ali Khamenei era solo un anello della catena. Le sue prerogative erano limitate.

Ma dietro la sua facciata austera si nasconde uno stratega impareggiabile. Il suo amico di lunga data, Akbar Hashemi Rafsanjani, lo avrebbe imparato a sue spese. Quando Khomeini morì nel giugno 1989, l’Assemblea degli Esperti dovette eleggere il suo successore. Rafsanjani era all’epoca una figura influente nella Repubblica islamica e convinse i cauti membri di questo organo costituzionale a scegliere Ali Khamenei. Nella sua mente, la futura Guida Suprema – o “rahbar” – sarebbe stata l’uomo di punta del regime, mentre lui stesso avrebbe governato dietro le quinte. È stato quindi necessario modificare la Costituzione per consentire l’elezione di un leader con qualifiche religiose insufficienti. All’epoca, Ali Khamenei era solo un chierico di medio livello, un “hojatolislam”.

Leggi anche:”Israele non può distruggere il programma nucleare iraniano, ma può farlo arretrare”.

Tutti i rami del governo e le istituzioni associate sono sotto il controllo del velayat-e-faqih, cioè del “rahbar”. La carica di Primo Ministro è stata abolita, mentre la presidenza è stata affidata all’autorità esecutiva. Rafsanjani bramava questa posizione, pensando di poterla usare per controllare Ali Khamenei. I suoi calcoli si sono rivelati sbagliati: sebbene Khamenei abbia corso con successo alle elezioni per due volte, l’ascesa al potere del suo “protetto” – a cui aveva aperto tutte le porte – lo ha messo da parte.

Dopo la sua nomina, la Guida Suprema fu elevata al rango di “ayatollah” – un titolo indebitamente attribuitogli per gli scopi della sua carica – e iniziò a ristrutturare la Repubblica in un ambiente trasformato. La guerra Iran-Iraq scosse i miti rivoluzionari. “Sebbene l’Iran sia riuscito a spodestare l’Iraq nel 1983, la Repubblica islamica voleva continuare la guerra per estendere la rivoluzione e si era posta l’obiettivo di rovesciare Saddam Hussein”, sottolinea Arash Azizi. “Ma ha fallito miseramente. Gli ideali islamici devono cedere il passo alla realtà: un Paese devastato che deve essere ricostruito; uno Stato senza alleati che deve imparare a negoziare e a ripensare la propria sicurezza. “Nel 1980, l’Iran è stato invaso dall’Iraq, ma il mondo intero, e in particolare i vicini arabi di Teheran, che percepivano l’Iran rivoluzionario come una minaccia maggiore del regime baathista, hanno sostenuto Baghdad”, afferma Ali Alfoneh. Questo è il motivo principale per cui la Repubblica islamica sta cercando di ottenere armi nucleari come deterrente finale contro gli avversari stranieri”. È anche sulle rovine di questo conflitto che è nato il progetto di Teheran basato sulla combinazione di missili e milizie. Non si dovevano più combattere battaglie in territorio iraniano. Ed è al di fuori dei suoi confini che la Repubblica islamica sta pazientemente costruendo le sue linee di difesa.

Buone pratiche

Consapevole delle sue carenze, Ali Khamenei si è affidato fin dall’inizio all’alleanza con le Guardie Rivoluzionarie per sviluppare il suo potere. Se prima della guerra i pasdaran avevano una legittimità costituzionale, il conflitto li ha trasformati nella principale forza militare del Paese. Grazie a questo “scambio di cortesie” con la Guida suprema, sono riusciti anche a costruire un impero economico che sfugge ai controlli del governo. Oggi controllano fino al 60% del PIL e traggono profitto da ogni tipo di traffico, in particolare quello di droga.

Ali Khamenei, da parte sua, può contare sui Pasdaran – e in particolare sulla milizia Bassidj, passata sotto l’autorità formale del comandante dell’IRGC nel 2007 – per sedare le varie ondate di protesta che hanno segnato il suo regno, dal movimento studentesco del 1999, al movimento Donne, Vita, Libertà del 2022, passando per il movimento verde del 2009 e la serie di rivolte guidate principalmente da richieste socio-economiche che hanno caratterizzato il periodo 2017-2021. La Guida suprema ricorda inoltre a ogni presidente che è l’unico a comandare. Negli anni ’90, la priorità di Khamenei era quella di preservare lo status quo, resistendo ai tentativi di Rafsanjani di sbarazzarsi delle istituzioni “rivoluzionarie”, ad esempio fondendo le Guardie rivoluzionarie con l’esercito regolare, e di riformare l’economia iraniana”, spiega Ali Alfoneh. In seguito, durante i due mandati del presidente riformista Mohammad Khatami (1997-2005), la Guida Suprema ha usato la sua onnipotenza per ostacolare i piani di una figura del sistema troppo liberale per i suoi gusti. Era un momento propizio per l’ascesa dei Guardiani della Rivoluzione nell’arena politica, come contrappeso alle ambizioni della presidenza. “Ali Khamenei aveva una legittimità religiosa, mentre Mohammad Khatami aveva una legittimità popolare”, afferma Tarek Mitri, vice primo ministro del Libano. “Non appena mi sono recato in Iran, da una visita all’altra, il Presidente ha perso parte del suo territorio. In un’occasione mi ha confidato di non avere più alcuna autorità sul Ministero dell’Istruzione. E la volta successiva, sentiva di non avere più alcuna influenza sul sistema giudiziario”, ricorda.

Mir-Hossein Mousavi et Mohammad Khatami en 1985. Le premier était alors Premier ministre (1981-1989) et le second ministre de la Culture (1982-1992) de la République islamique. Wikicommons
Mir-Hossein Mousavi e Mohammad Khatami nel 1985. Il primo era allora Primo Ministro (1981-1989) e il secondo Ministro della Cultura (1982-1992) della Repubblica Islamica. Wikicommons

La caduta dell’Unione Sovietica nel 1991 ossessiona il “rahbar”. Ci pensa costantemente, considerandola la conseguenza delle riforme avviate sotto Gorbaciov. A suo avviso, la liberalizzazione economica e politica del potere aveva indebolito il controllo dello Stato sulla società, rendendola più ricettiva alle riforme e portando, in ultima analisi, alla disgregazione dell’Impero Rosso. Il destino dell’URSS ha alimentato la paranoia della Guida Suprema, anche tra coloro che erano ideologicamente più legati a lui.

Quando il presidente Mahmoud Ahmadinejad divenne presidente, Ali Khamenei continuò la sua fagocitazione delle istituzioni. All’apparenza, l’ultraconservatorismo del nuovo capo del governo aveva tutto per piacere. Infatti, il “rahbar” lo ha sostenuto con tutte le sue forze, fino a truccare le elezioni del 2009 a suo favore. Eppure. L’uomo stesso ha finito per cadere in disgrazia durante il suo secondo mandato. Populista schietto, il piantagrane iraniano moltiplicava le provocazioni e cercava di affermare la propria autonomia, fino a bruciarsi le dita.

A cosa serve la carica di Presidente se il suo titolare è legato mani e piedi? In realtà, la carica è preziosa agli occhi della Guida suprema. Gli permette di monopolizzare il potere senza mai essere chiamato a risponderne. E di delegare la responsabilità ai suoi successivi capi di governo… senza un briciolo di potere.

In quasi trentacinque anni di carriera, Ali Khamenei ha gradualmente sviluppato una presa quasi assoluta su tutto il funzionamento dello Stato e trae la sua legittimità anche dal suo status di “reggente”. Questo perché, secondo la dottrina del velayet-e faqih sviluppata dal suo predecessore, è proprio il “fakih”, la Guida Suprema, che dovrebbe avere il potere fino al ritorno del vero detentore, il dodicesimo e ultimo Imam o “maestro dei tempi”.

Ali Khamenei ora controlla il governo, comanda le forze armate e supervisiona il sistema giudiziario. Le istituzioni elette sono sfruttate in modo tale da rendere futile qualsiasi sfida al suo dominio. E per neutralizzare gli appetiti di alcuni e di altri, ha ingegnosamente costruito un’istituzione parallela per ogni ministero. Le decisioni vengono prese all’interno di una cerchia estremamente ristretta. Ma è lui ad avere l’ultima parola e non esita a mettere una parte contro l’altra, a seconda delle circostanze.

Une femme longe une peinture murale à la gloire de Ali Khamenei. Téhéran, le 9 mars 2022. Atta Kenare/AFP
Una donna passa davanti a un murale che celebra Ali Khamenei. Teheran, 9 marzo 2022. Atta Kenare/AFP

Come se non bastasse, è a capo di un vasto impero economico che, secondo un’inchiesta della Reuters del 2013, ha un valore di 95 miliardi di dollari. Questa somma sbalorditiva proviene da un’entità opaca chiamata Setad. Il Setad è stato fondato da Ruhollah Khomeini poco prima della sua morte per gestire e vendere le proprietà abbandonate durante i disordini degli anni post-rivoluzionari. Sebbene il suo scopo fosse quello di aiutare i più poveri, nel corso del tempo si è trasformato in un gigantesco conglomerato con partecipazioni in molti settori dell’economia. Naturalmente, nulla indica che Ali Khamenei attinga direttamente ai fondi dell’organizzazione per arricchimento personale. Resta il fatto che nessun organismo può impedirgli di farlo e che questa fortuna gli fornisce risorse finanziarie particolarmente consistenti.

Ossessioni

In oltre quarant’anni, le promesse economiche, sociali e politiche del 1979 sono state tradite. La rivoluzione si è trasformata in una lunga controrivoluzione, con la sua parte di contraddizioni, che a loro volta hanno dato origine a impulsi rivoluzionari. In oltre quarant’anni, i tassi di istruzione e alfabetizzazione delle donne sono aumentati considerevolmente. Ma i loro diritti sono stati sempre più limitati. All’interno dell’Assemblea degli esperti – l’organo responsabile del controllo e dell’eventuale destituzione della Guida suprema, ma anche della nomina del suo successore alla sua morte – l’età media è di 65 anni. Degli 88 esperti, 52 sono nati negli anni ’50 o prima, come ha ricordato Arash Azizi in un articolo pubblicato nel giugno 2024. Per riprendere una frase dell’analista iraniano Karim Sadjadpour: “L’età mediana è morta”. Al contrario, l’età mediana della popolazione è di 33 anni.

Une femme non voilée se tient sur le toit d'un véhicule alors que des manifestants se dirigent vers le cimetière d'Aichi à Saqez, la ville natale de Mahsa Amini, dont la mort après son arrestation par la police des mœurs pour « port du voile inapproprié » a constitué le point de départ du mouvement Femme, vie, liberté. Le 26 octobre 2022. Photo AFP
Una donna senza velo si trova sul tetto di un veicolo mentre i manifestanti si dirigono verso il cimitero di Aichi a Saqez, luogo di nascita di Mahsa Amini, la cui morte dopo l’arresto da parte della polizia morale per “aver indossato un velo inappropriato” è stata il punto di partenza del movimento Donne, Vita, Libertà. 26 ottobre 2022. Foto AFP

Oggi la Repubblica islamica è una gerontocrazia bigotta che deve governare una società sempre più secolarizzata, con un’ampia fetta di giovani assetati di apertura. In 35 anni, il volto del Paese si è trasformato. Ma Ali Khamenei non si è mai liberato delle sue ossessioni. Il controllo del corpo delle donne e l’odio per l’America – per il quale è molto riconoscente – plasmano l’identità del regime. La copertura morale è la strumentalizzazione della causa palestinese. “Morte a Israele” rimane lo slogan operativo, insieme al sostegno a ciò che resta dell'”asse della resistenza””, sottolinea Barbara Slavin, ricercatrice senior presso lo Stimson Center. In realtà, però, l’ascesa al potere di Teheran nella regione non ha prodotto alcun guadagno politico sostanziale per i palestinesi. Israele è più forte che mai. L’eredità di Khamenei è costituita da rovine arabe e prigioni iraniane;

Rassegna stampa tedesca 38 A cura di Gianpaolo Rosani

L’ammontare dei fondi destinati alle ONG è riportato nel sistema di trasparenza finanziaria dell’UE,
accessibile a tutti online. Ma il contenuto dei contratti rimane nascosto al pubblico. Per poter
accedere agli accordi tra la Commissione europea e le ONG, WELT ha dovuto promettere agli
informatori che avrebbero mantenuto l’anonimato. Se i contratti non fossero davvero segreti, come
sostiene la Commissione europea, questa potrebbe renderli pubblici. Finora non è stato fatto. La
Commissione europea e le ONG hanno cercato di influenzare segretamente la politica tedesca.
Già nel 2017, il politico europeo della CDU Markus Pieper aveva denunciato l’esistenza di reti poco
trasparenti e aveva invitato la Commissione europea a smettere di finanziare le ONG che
contraddicono gli “obiettivi strategici commerciali e di sicurezza” dell’UE. Nel 2024, una relazione
speciale della Corte dei conti europea ha criticato il fatto che oltre un terzo delle ONG iscritte nel
registro per la trasparenza dell’UE non ha rivelato i propri finanziatori.


12.06.2025
Bruxelles e le ONG
La Commissione europea non vuole sapere nulla degli accordi segreti con le organizzazioni di lobby. Ma in
questo modo vuole distogliere l’attenzione dal nocciolo della questione

DI STEFAN BEUTELSBACHER E AXEL BOJANOWSKI
Nel fine settimana, il quotidiano WELT ha citato alcuni accordi segreti tra la Commissione europea e alcune
associazioni ambientaliste. Per proseguire clicca su:

La genesi del governo Merz, ora insediato, fornisce indicazioni sul suo presunto funzionamento e
sui punti di forza e di debolezza con cui affronterà i prossimi quattro anni. Uscire dalla navicella
spaziale del partito ed entrare nella politica vera, questo è il compito da svolgere.

Giugno 2025
Partenza difficile
Il nuovo governo federale tedesco inizia il suo mandato senza euforia. Il percorso che ha portato alla
coalizione nero-rossa è stato infernale. La CDU ha sofferto di carenze strategiche e la SPD ha dovuto
sopportare le pene di una profonda trasformazione.

Di VOLKER RESING
Merz è cancelliere, ma la CDU è molto cauta di fronte al trionfo.
La torre di vetro sulla Sonnenallee, lontano dal centro di Berlino, ha qualcosa di un’astronave. Il più grande
hotel della Germania dispone di un proprio palcoscenico. Per proseguire clicca su:

L’articolo del ricercatore T.J. Coles sulla storia segreta dell’USAID mette in luce il contributo diretto
di questa organizzazione alle violazioni dei diritti umani al servizio del potere imperiale americano.
Fin dalla sua fondazione nel 1961, l’USAID fa parte della politica estera americana. Con il pretesto
di aiutare i più poveri del mondo fornendo loro assistenza in caso di catastrofi, cibo, medicine e
alloggi, questa agenzia, che dispone di un budget annuale di 40 miliardi di dollari, ha destinato
fondi a squadroni della morte, gruppi politici filoamericani e aziende private, tra cui istituti finanziari
e società biotecnologiche attive nei paesi del Terzo Mondo. Il presidente degli Stati Uniti Donald
Trump ha ordinato una revisione dell’USAID, attirando l’attenzione dell’opinione pubblica sul
diffuso abuso di fondi pubblici. Tuttavia, non si tratta solo di ciò che comunemente si intende per
“corruzione”. L’USAID è piuttosto uno dei numerosi esempi di corruzione statale istituzionalizzata.

Giugno 2025
USAID: ingarbugli fino al suo smantellamento
Come i contribuenti americani hanno inconsapevolmente finanziato propaganda, colpi di Stato e
assurdità raccapriccianti attraverso un’organizzazione apparentemente dedicata all’aiuto allo sviluppo.
di T.J. Coles
T.J. Coles era ricercatore post-dottorato presso il Cognition Institute dell’Università britannica di Plymouth, fino a quando non ha
perso il lavoro a causa di un complotto ordito contro di lui per le sue opinioni politiche. Non sono mai state formulate accuse
concrete contro di lui. Ciononostante, Coles continua a scrivere articoli e libri, l’ultimo dei quali intitolato “The Pfizer Papers”. Sulla
rivista tedesca NEXUS sono stati recentemente pubblicati i suoi articoli “Mercenari digitali: la storia dello spyware” (NEXUS 118),
“Uccidete Trump! Analisi di un attentato” (NEXUS 116) e “L’uomo come zona di guerra: nel mirino della guerra personalizzata”
(NEXUS 103). Alla pagina dell’autore T. J. Coles sulla rivista NEXUS-Magazin.de con tutti gli articoli pubblicati si può accedere
tramite il link breve t1p.de/nexus-coles. Coles è direttore del Plymouth Institute for Peace Research.

Segreti oscuri
USAID è l’acronimo di United States Agency for International Development, ovvero “Agenzia degli Stati
Uniti per lo sviluppo internazionale”.
Jeremy Konyndyk era il direttore responsabile del gruppo di lavoro Covid-19 di questa organizzazione e
anche consulente senior dell’amministratore dell’USAID. Per proseguire cliccare su:

In un’intervista, lo scrittore Daniel Kehlmann spiega perché il suo romanzo “Lichtspiel” è il libro del
momento negli Stati Uniti: “Quello che stiamo vivendo negli Stati Uniti rappresenta una dittatura
asimmetrica. Colpisce le persone in modo molto diverso. La vita in America è sempre stata
asimmetrica. Se eri nero, vivevi in uno Stato di polizia, dove avevi costantemente paura di essere
ucciso se la polizia ti fermava in macchina. Se eri bianco, non avevi questo problema. E ora è
davvero così: con un’energia di odio profondamente razzista vengono perseguitati i sudamericani
che, sebbene siano cosiddetti “clandestini”, vivono qui in gran parte in modo del tutto regolare. In
Europa spesso non si sa che queste persone non si nascondono affatto, sono registrate e
documentate, pagano le tasse, hanno la patente, mandano i figli a scuola, alcune hanno anche
l’assicurazione sanitaria”.

11 giugno 2025
Gli Stati Uniti sono una dittatura asimmetrica
Anche alla luce dei recenti scontri a Los Angeles, Daniel Kehlmann ritiene opportuno parlare di fascismo
in riferimento all’America.

Le domande sono state poste da Frauke Steffens
Signor Kehlmann, il suo libro ‘Lichtspiel’ è appena uscito negli Stati Uniti con il titolo “The Director”. La
storia di G.W. Pabst, il regista austriaco che torna da Hollywood in Germania, si adegua sempre più al
regime nazista e poi diventa praticamente un complice, sta ricevendo molta attenzione dai media
americani. Ci sono state recensioni dal “New York Times” al “Wall Street Journal”, è stato invitato a
programmi televisivi. Come vive questo momento?
Naturalmente ne sono molto felice. Non è normale per uno scrittore straniero essere invitato a programmi
televisivi come “Morning Joe” per parlare di un libro. Per proseguire clicca su:

Il governo federale sta progettando una nuova legge sul servizio militare obbligatorio che potrebbe
entrare in vigore all’inizio del 2026. È previsto un modello formalmente obbligatorio, basato sul
modello svedese: tutti gli uomini idonei al servizio militare a partire dai 18 anni saranno registrati e
interrogati tramite un questionario sulla loro disponibilità e idoneità al servizio. La selezione avverrà
in base alla motivazione: una chiamata alle armi contro la volontà dichiarata è giuridicamente
possibile, ma nella pratica è improbabile. Per le donne la partecipazione rimane completamente
volontaria. Allo stesso tempo, lo stesso governo sta accelerando la trasformazione tecnologica
dell’esercito tedesco con droni, robot e contratti miliardari stipulati non solo con aziende di
armamenti consolidate, ma anche, e sempre più, con start-up.


10.06.2025
Uomo o macchina? La doppia sfida per l’esercito
tedesco

DI MAXIMILIAN HEIMERZHEIM
L’esercito tedesco deve crescere e modernizzarsi allo stesso tempo: più soldati grazie a un nuovo servizio
militare, più tecnologia grazie a droni e intelligenza artificiale. Per proseguire cliccare su:

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Commercio internazionale e contrabbando, di Karl Sanchez

Commercio internazionale e contrabbando

Karl Sánchez14 giugno
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Solo una breve nota su questo problema, poiché è direttamente correlato agli attacchi dei droni sugli aeroporti russi e agli attacchi dei droni su Teheran che hanno eliminato funzionari chiave. Uno dei principali fattori nel commercio è la velocità di consegna di un prodotto. Ogni lettore di Gym dovrebbe avere familiarità con i grandi container per il trasporto merci raffigurati nella foto di copertina. Perquisire ogni container richiederebbe molte persone e molto tempo, aumentando così i costi di trasporto e rallentando notevolmente la velocità di consegna. Una delle principali lamentele del 2023 riguardava la mancanza di sufficienti valichi di frontiera tra Russia e Cina per il loro attuale livello di commercio, che da allora è quasi raddoppiato. Non solo erano necessari più valichi di frontiera, ma anche più portali doganali e magazzini circostanti, oltre al personale necessario per gestirli. E il problema, sebbene migliorato, è stato nuovamente menzionato nel 2024. E il problema non è legato solo al commercio Russia-Cina, ma a tutti i terminal commerciali internazionali della Russia, nonostante le sanzioni.

Ora, per quanto riguarda l’Iran, Pepe Escobar ha recentemente visitato alcuni dei portali commerciali iraniani, senza menzionare alcun controllo di sicurezza su tutti quei container in fase di scarico. È così che il Mossad è riuscito a infiltrare i droni montati su veicoli in Iran, mentre una combinazione di parti era probabilmente responsabile dell’operazione russa. Ricordo che quando la Russia presentò il suo missile da crociera Kaliber, circolavano foto che lo mostravano nascosto all’interno di un container standard.

I tipi di sistemi d’arma che potrebbero essere nascosti all’interno di un container sono innumerevoli, come si potrebbe immaginare: un lanciatore di sciami di droni è solo uno dei tanti. Si dice che alcuni siano installati nei falsi coperchi dei container. Ecco un breve video di 3 minuti sulle operazioni portuali di Shanghai che mostra l’immensità dell’operazione e la mancanza di contatto umano con ciò che viene trasportato. Ora, né le operazioni portuali russe né quelle iraniane sono così voluminose, ciò che accade è comunque molto simile: pochissimi container, se non nessuno, vengono sottoposti a controlli. Questo facilita il contrabbando. Sì, ci sono alcuni grandi rilevatori volti a “fiutare” sostanze radioattive, ma non viene fatto molto di più. Una volta atterrato, il container viene trasportato via ferrovia o strada fino a destinazione. È del tutto possibile che i droni ucraini siano atterrati a Vladivostok e siano stati trasportati via ferrovia e poi strada fino a una destinazione, dove sono stati poi condotti in un luogo vicino all’obiettivo finale senza che gli autisti fossero consapevoli di ciò che stavano consegnando. Sembra che qualcosa in quel sistema di lancio non abbia funzionato, ed è per questo che alcuni sono stati esposti e fatti esplodere. Nel caso iraniano, a mio parere, sarebbe possibile trasportare soldati e le loro armi all’interno di un container.

È altrettanto possibile che sistemi simili siano stati introdotti clandestinamente nell’Impero degli Stati Uniti fuorilegge. A mio parere, si farà qualcosa per aumentare la sicurezza delle spedizioni, ma qualsiasi cosa venga fatta avrà un impatto sui costi. Alcuni obietteranno che il rischio è minimo; direi che le lezioni già apprese parlano da sole.

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La partita finale di Israele in Iran: crollo, non contenimento, di Paolo Aguiar

La partita finale di Israele in Iran: crollo, non contenimento

L’obiettivo è strutturale: smantellare il nucleo di potere dell’Iran. Scopri perché la retorica nucleare è una copertura per una più ampia strategia di logoramento del regime.

15 giugno
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Geopolitics Brief si fa strada tra la confusione con riflessioni spontanee e stimolanti sugli sviluppi globali. Libero dalla routine e guidato dalla pertinenza, emerge al momento giusto: evidenziando ciò che è significativo, sorprendente o semplicemente degno di essere analizzato più attentamente.


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Nell’intensificarsi dello stallo tra Israele e Iran , non è la preoccupazione visibile per l’arricchimento dell’uranio a definire la logica strategica di fondo, quanto piuttosto un più profondo confronto strutturale tra sistemi statali. Ciò che apparentemente si presenta come una disputa sulla tecnologia nucleare è, in sostanza, uno scontro tra due imperativi strategici inconciliabili: la ricerca di preminenza regionale e sicurezza del regime da parte di Israele, e la ricerca di deterrenza e autonomia geopolitica da parte dell’Iran. Il dossier nucleare funge meno da vero e proprio vettore di minaccia e più da quadro di legittimazione: uno strumento narrativo utilizzato per giustificare azioni militari e politiche che servono obiettivi più ampi e non dichiarati. Questa disgiunzione tra obiettivi proclamati e comportamento operativo sottolinea quanto la moderna arte di governare, in particolare nei dilemmi di sicurezza ad alto rischio, sia governata non dalla retorica politica, ma da vincoli e pressioni strutturali persistenti.

Al centro di questo scontro si trova una contraddizione fondamentale radicata nella percezione che Israele ha del regime iraniano. Sotto il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, il pensiero strategico israeliano non tratta la Repubblica Islamica semplicemente come uno Stato rivale con capacità problematiche; al contrario, considera la natura stessa del regime clerico-militare iraniano come una minaccia permanente ed esistenziale alla sicurezza nazionale israeliana. Questa percezione non è semplicemente ideologica, ma si fonda su una valutazione a lungo termine che considera inaccettabile qualsiasi regime a Teheran con ambizioni regionali e capacità militare-industriale autonoma. Di conseguenza, l’apparato di sicurezza israeliano ha elevato l’imperativo del contenimento del regime (se non della sua destabilizzazione) a pilastro centrale della propria dottrina. La questione nucleare, in questo contesto, non è trattata come un fine in sé, ma come un flessibile strumento di giustificazione. Fornisce copertura politica e diplomatica a operazioni militari che mirano fondamentalmente a indebolire o smantellare la capacità statale dell’Iran.

Questa logica strategica è una conseguenza diretta della Dottrina Begin , formulata per la prima volta nei primi anni ’80, che afferma che Israele non permetterà agli stati ostili nella regione di acquisire armi nucleari. Inizialmente applicata in operazioni chirurgiche specifiche (come l’attacco aereo del 1981 al reattore iracheno di Osirak e il bombardamento del 2007 dell’impianto siriano di Al-Kibar), la dottrina si è evoluta, sotto Netanyahu, in un quadro molto più ampio. Quella che un tempo era una linea guida operativa per prevenire la capacità nucleare tecnica è diventata un approccio programmatico alla negazione strategica; ora si concentra non solo sulla distruzione delle infrastrutture, ma anche sul minare la continuità istituzionale dei regimi avversari. Il passaggio operativo da attacchi limitati ai reattori ad attacchi ad ampio spettro contro la struttura di comando iraniana riflette questa portata ampliata. Che questa strategia possa avere successo o meno è irrilevante; ciò che conta è che, strutturalmente, Israele non sta cercando di impedire una bomba: sta cercando di far crollare il sistema che potrebbe ordinarne la costruzione.


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L’Iran, da parte sua, ha mantenuto una posizione di deliberata ambiguità nucleare da quando ha interrotto il suo programma di armamenti palesi nel 2003, in seguito alle rivelazioni dell’intelligence internazionale. Questa posizione è stata caratterizzata da un attento equilibrio: progressi tecnici sufficienti a mantenere viva la leva negoziale, ma non sufficienti a giustificare una rappresaglia militare su vasta scala o l’applicazione universale di sanzioni. Questa strategia di latenza (preservare l’infrastruttura tecnica e la base di conoscenze necessarie per una rapida “evasione” senza effettivamente armare) è servita a contenere le minacce esterne, preservando al contempo la coesione interna del regime. All’interno dell’Iran, la strategia riflette un compromesso tra fazioni: i sostenitori della linea dura in materia di sicurezza che considerano essenziale la deterrenza nucleare e i tecnocrati moderati che danno priorità all’integrazione economica e all’alleggerimento delle sanzioni. Tuttavia, l’escalation di Israele minaccia di sconvolgere questo equilibrio. Prendendo di mira individui e istituzioni allineati alla moderazione, gli attacchi israeliani potrebbero rafforzare la posizione di coloro che sostengono una deterrenza nucleare palese.

La tempistica delle azioni di Israele è altrettanto istruttiva. Con Hezbollah temporaneamente indebolito dalle recenti operazioni israeliane e gli Stati Uniti sotto un’amministrazione poco incline a limitare l’azione israeliana, l’equilibrio di potere regionale si è spostato a favore di Israele. Netanyahu, incontrando scarsa resistenza istituzionale all’interno del suo governo o della gerarchia militare, ha colto questa finestra strategica permissiva per imporre un dilemma alla leadership iraniana: reagire e rischiare una guerra regionale devastante senza il supporto garantito di Russia o Cina, oppure astenersi e subire un crollo reputazionale che potrebbe mettere a repentaglio la stabilità interna del regime. Il punto non è semplicemente imporre una decisione tattica, ma mettere sotto pressione il regime strutturalmente (per esacerbare le contraddizioni tra le sue esigenze strategiche e i vincoli operativi).

In questo contesto, la narrazione nucleare funziona meno come un vero e proprio avvertimento e più come un facilitatore operativo. Le affermazioni di Netanyahu secondo cui l’Iran possiede abbastanza uranio arricchito per ” nove bombe atomiche ” sono tecnicamente errate ( l’Iran non ha arricchito l’uranio oltre il 60% di purezza , mentre l’arricchimento per uso militare inizia al 90%), ma politicamente efficaci. Queste esagerazioni servono a costruire un senso di minaccia imminente, autorizzando così un’azione militare prolungata in nome della difesa preventiva. Creano urgenza, mobilitano il sostegno pubblico e delegittimano l’impegno diplomatico, liberando così lo spazio politico necessario per l’escalation.


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La risposta dell’Iran è stata cauta ma rivelatrice. Il regime continua a presentare ” Questionari Informativi di Progettazione ” all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) per i nuovi impianti di arricchimento, mantenendo una sottile corazza di cooperazione. Allo stesso tempo, ha ridotto la collaborazione sostanziale con gli ispettori dell’AIEA , limitando la visibilità sulle sue attività nucleari. Questa duplice strategia di segnalazione è progettata per tenere socchiusa la porta diplomatica e al contempo comunicare la propria determinazione al pubblico nazionale e internazionale. Ma la sua efficacia sta diminuendo. Quando gli avversari considerano l’esistenza stessa di un regime come il problema, un’adesione graduale non offre alcun sollievo.

In tali condizioni, la deterrenza inizia a invertire la sua funzione. Invece di dissuadere gli attacchi israeliani, l’attuale mancanza di un deterrente nucleare da parte dell’Iran li invita. Il regime, profondamente consapevole del destino dei leader privi di armi nucleari (da Saddam Hussein a Muammar Gheddafi), potrebbe considerare sempre più la militarizzazione non solo auspicabile, ma essenziale per la sopravvivenza del regime. Ciò segnerebbe un passaggio decisivo da una strategia di calcolata ambiguità a una di deterrenza palese, guidata non da zelo ideologico ma da necessità materiali. Questo potenziale cambiamento rispecchia la traiettoria nordcoreana: un programma un tempo ambiguo, consolidatosi in una capacità di deterrenza palese in risposta a una minaccia esistenziale. I calcoli interni dell’Iran potrebbero ora inclinarsi nella stessa direzione.

Nel frattempo, i meccanismi internazionali progettati per contenere tale escalation appaiono inerti. Le condanne dell’AIEA sono diplomaticamente significative, ma prive di potere esecutivo in assenza di un consenso tra le principali potenze. Data la dipendenza economica della Cina dal petrolio iraniano e la cooperazione militare-industriale della Russia con Teheran (in particolare nello scambio di droni e tecnologia militare), nessuna delle due è propensa a sostenere ulteriori sanzioni. Gli Stati Uniti, da parte loro, hanno declassato il rientro nel Piano d’azione congiunto globale (JCPOA), avendo ceduto l’iniziativa nella regione a Israele.


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Pertanto, la logica dello scontro si è autoalimentata. Israele è strutturalmente costretto a mantenere la pressione attraverso attacchi ricorrenti per impedire all’Iran di riorganizzarsi e consolidare la propria posizione. L’Iran, a sua volta, è sempre più spinto a perseguire una deterrenza nucleare dichiarata come unica via praticabile per la sicurezza del regime. Questo circolo vizioso rimodella le dinamiche politiche interne di entrambi gli Stati. In Iran, è probabile che il processo decisionale si sposti a favore delle fazioni che propugnano la militarizzazione (non per zelo ideologico, ma perché ogni altro modello di sopravvivenza ha fallito sotto pressione). In Israele, l’inerzia strategica garantisce una continua escalation come politica predefinita, soprattutto sotto una leadership che considera il contenimento come capitolazione.

Le soluzioni negoziate, un tempo basate su una reciproca modificazione comportamentale, appaiono ora strutturalmente obsolete. Israele non accetta più la premessa che il comportamento iraniano possa essere riformato. L’Iran giunge sempre più alla conclusione che la moderazione porti solo vulnerabilità. Il conflitto si è sganciato dal quadro diplomatico e si è integrato nei meccanismi della politica di potenza. In un simile contesto, la deterrenza non è un equilibrio stabile, ma una soglia mobile, continuamente ridefinita dalle mutevoli percezioni della minaccia e dall’evoluzione delle capacità militari. Ciò che rimane non è una tabella di marcia verso la pace, ma un terreno strategico governato dalla forza, dall’attrito e dalla logica sistemica della sopravvivenza preventiva.

Vera promessa 3: l’Iran risponde con la tanto attesa rappresaglia ipersonica, di Simplicius

Vera promessa 3: l’Iran risponde con la tanto attesa rappresaglia ipersonica

Simplicius15 giugno
 
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L’Iran ha lanciato la fase successiva della sua operazione True Promise 3.0, prendendo di mira vari siti di infrastrutture energetiche e militari israeliane. Questa volta si è trattato di missili ipersonici Fattah-1 di ultima generazione, che hanno avuto un impatto abbagliante su Tel Aviv e sul nord di Israele: uno spettacolo così spettacolare da rivaleggiare solo con gli attacchi di Oreshnik dell’anno scorso:

Le scene erano quasi troppo irreali per essere credibili, come se si trattasse di un blockbuster di Michael Bay troppo prodotto. Tra gli obiettivi c’erano la raffineria di Haifa e il centro di ricerca israeliano del Weizmann Institute for Science di Rehovot, vicino a Tel Aviv:

Che ruolo ha la raffineria di Haifa che l’Iran ha preso di mira? La raffineria di petrolio di Haifa, nel nord della Palestina occupata, fornisce oltre il 60% del fabbisogno di carburante di Israele, dalla benzina e il diesel al carburante per l’aviazione. Con questi impianti danneggiati nell’attacco iraniano di questa notte, Israele dovrà affrontare un problema di carburante. Il successo dell’attacco alla raffineria di Haifa è un colpo strategico alla spina dorsale economica e militare di Israele. Il fatto che Israele taccia sugli impatti alla sua raffineria, e non abbia ancora detto nulla, ma si sia concentrato sull’impatto a Tamra – che credo sia stato causato da un missile intercettore fallito di Israele (staremo a vedere) – dimostra che il danno è stato doloroso. Ed è solo l’inizio…

Il New York Times, citando immagini condivise, riferisce che il centro di ricerca israeliano, il Weizmann Institute for Science, è stato danneggiato da un missile balistico iraniano negli ultimi attacchi al centro di Israele. L’edificio si trova a Rehovot, a sud di Tel Aviv, e secondo quanto riferito è scoppiato un incendio in uno degli edifici che contengono i laboratori.

Nel frattempo, Israele ha colpito anche il più grande giacimento di gas naturale dell’Iran, il South Pars, che è anche il più grande del mondo:

Israele sta bombardando la capacità dell’Iran di esportare petrolio e gas naturale. Ciò eliminerà la capacità dell’Iran di esportare circa 2 milioni di bpd, la maggior parte dei quali è destinata alla Cina. Il giacimento di gas naturale iraniano South Pars è stato chiuso, il giacimento petrolifero di Shahran è in fiamme. Diverse raffinerie di petrolio in Iran sarebbero in fiamme. Questo causerà una carenza di benzina e diesel in Iran. I prezzi del petrolio e del gas naturale saliranno alle stelle all’apertura dei mercati lunedì.

Tuttavia, il primo ciclo di attacchi di Israele ha prevedibilmente causato molti meno danni di quelli dichiarati. La maggior parte delle persone non ha idea di come si faccia il BDA e salta semplicemente a conclusioni basate su immagini emotive di un oggetto “distrutto” o di un altro.

Prendiamo ad esempio l’impianto di Tabriz: uno o due piccoli edifici sono stati “danneggiati”:

Natanz – un impianto gigantesco, come si può chiaramente vedere – ha visto alcuni trasformatori di potenza e una sottostazione ricevere danni da lievi a moderati:

Scarica

Inoltre, è stato anche mostrato che la maggior parte dei filmati degli attacchi di Israele contro i mezzi terrestri iraniani si sono rivelati delle esche, in quanto nessuno degli MRBM è stato visto accendersi dopo che i massicci ordigni sono atterrati sopra di loro.

Allo stesso modo, le affermazioni sulla “superiorità aerea israeliana” erano uno sciatto intruglio messo insieme da filmati di droni IAI Heron a bassa quota che volteggiavano brevemente su Teheran per foto di pubbliche relazioni, probabilmente prima di essere abbattuti, mentre sono emersi filmati di alcuni “grandi aerei” che l’Iran sosteneva fossero F-35 distrutti, ma che probabilmente erano droni. Inoltre, le affermazioni sul successo dell'”infiltrazione” israeliana e sulle “basi segrete” sono apparse più che altro un’esagerazione di psyop, poiché è emerso che gli israeliani operavano da basi segrete dell’Azerbaigian, lanciando droni e vari altri oggetti contro l’Iran da ogni direzione. Questo, tra l’altro, non è niente di nuovo: risale al 2012:

https://www.haaretz.com/2012-03-29/ty-article/azerbaijan-granted-israel-access-to-air-bases-on-iran-border/0000017f-e5ec-df2c-a1ff-fffd52a00000

L’unica parte dell’operazione che ha avuto un relativo successo è stata l’assassinio di leader iraniani chiave e di figure nucleari.

Dopo gli attacchi avevo postato su Twitter:

Il test di falsificabilità definitivo sul “successo” degli attacchi israeliani: guardate quanto velocemente Israele affermerà che l’Iran è “ancora una volta” vicino a ottenere la bomba. Ora si festeggia, ma tra 2-3 mesi Bibi strillerà che l’Iran è di nuovo “al 90%” dell’arricchimento.

La domanda più grande: quando Bibi strillerà tra 2-3 mesi, gli attuali “celebratori” ammetteranno che gli attacchi sono stati un fallimento totale? O verrà nascosto sotto il tappeto come tutte le volte precedenti…?

Sembra che la mia previsione si sia avverata molto prima, perché quasi immediatamente è stato annunciato che Israele è effettivamente incapace di distruggere il programma nucleare iraniano, e che Israele ha chiesto urgentemente l’aiuto degli Stati Uniti per farlo:

https://www.nytimes.com/2025/06/13/us/politics/iran-nuclear-program-israel-strike-damage.html

Axios scrive che a Israele mancano i grandi bunker buster e i loro bombardieri strategici per infliggere danni reali alle strutture sotterranee chiave dell’Iran:

Israele non può bombardare impianti nucleari nelle montagne iraniane senza gli USA

Israele non ha le bombe bunker necessarie per distruggere l’impianto nucleare di Fordow sulle montagne.

Le hanno gli Stati Uniti. Un funzionario israeliano ha detto ad Axios che “gli Stati Uniti potrebbero ancora unirsi all’operazione e che il presidente Trump ha persino suggerito che lo avrebbe fatto se necessario quando ha parlato con Netanyahu nei giorni precedenti l’attacco”.

“Ma un portavoce della Casa Bianca ha smentito, dicendo ad Axios che Trump aveva detto il contrario. Il funzionario ha detto che gli Stati Uniti non intendono essere direttamente coinvolti in questo momento”, scrive la pubblicazione.

RVvoenkor

Il piano è sempre stato ovviamente quello di spingere l’Iran ad una risposta schiacciante che avrebbe in qualche modo incitato gli Stati Uniti ad entrare in guerra per conto di Israele, al fine di finire l’Iran. Il programma nucleare era probabilmente un falso obiettivo, mentre il vero obiettivo era il rovesciamento totale della leadership iraniana e la fomentazione di rivolte civili in tutto il Paese per mettere l’Iran alle strette sotto un governo fantoccio guidato dall’Occidente.

Ora Trump si trova sul filo del rasoio di una delle sue decisioni più critiche: se tradire il mandato del popolo americano e consegnare il suo secondo mandato e la sua eredità in declino al cumulo di rifiuti della storia, o se tirarsi indietro dai lacci di Miriam Adelson e altri donatori e mostrare una spina dorsale nel difendere la vera visione “America First” che ha promesso a tutti. Al momento in cui scriviamo, ci sono notizie di riunioni urgenti al Pentagono che riguardano proprio la questione della richiesta di Israele agli Stati Uniti di entrare ufficialmente in guerra per “finire l’Iran”.

Yanis Varoufakis scrive:

Questa è la Waterloo di Trump. Si è presentato come il Leviatano che avrebbe portato una pace furtiva, un accordo intelligente che evitasse una guerra con l’Iran. Poi, con un’altra grave violazione del diritto internazionale, Netanyahu lo mette in una piccola scatola: Perché o Trump sapeva dell’attacco, nel qual caso non è altro che il tirapiedi di Netanyahu. Oppure non lo sapeva, il che porta a chiedersi perché non lo sapeva e come reagirà al fatto di essere trattato come un pazzo da Netanyahu. In ogni caso, l’immagine di Trump come uomo forte e capace di concludere accordi è ormai andata in fumo. In ogni caso, passerà alla storia come l’ennesimo Presidente degli Stati Uniti che Netanyahu ha piegato alla sua volontà genocida.

L’intero mondo non occidentale guarda ora con il fiato sospeso questo momento di svolta cruciale: Trump può fare una mossa per riscattare almeno qualche speranza perduta per la leadership globale dell’America, o invece piantare il chiodo finale nella sua bara, edificando per sempre il nascente Sud globale sulla vera natura dell’Occidente immorale, barbaro e senza principi. È un bivio metafisico: Trump rimarrà fedele alla sua missione quasi spirituale di miglioramento del mondo, oppure affogherà gli Stati Uniti nel sangue dell’imperialismo neocon.

Su X avevo ipotizzato che, per quei “credenti” dal cappello bianco, ci fosse una piccola possibilità che Trump ci prendesse per matti in una partita di scacchi in 5D. L’ultima volta abbiamo appreso che avrebbe ingannato l’Iran, cullandolo in un falso senso di sicurezza solo per permettere a Israele di lanciare il suo vile attacco a sorpresa.

Ma se Trump avesse in realtà teso una trappola a Israele per tutto il tempo? Israele si aspettava che gli Stati Uniti si unissero e “finissero l’Iran”, mentre ora Trump potrebbe togliere loro il tappeto da sotto i piedi, abbandonando Israele al suo destino e lasciando invece che sia l’Iran a finire Israele, o almeno a facilitare la deposizione del regime di Bibi. Potrebbe essere? Forse c’è una piccola possibilità che sia possibile, se Trump è molto più intelligente di quanto gli attribuiamo – o semplicemente molto più stufo di Bibi.

La controprova più fondata di questa teoria è stata fornita da Zei_Squirrel:

[Gli Stati Uniti e Israele non hanno lanciato questa guerra per cercare di eliminare i siti nucleari. Sanno di non poterlo fare. Sono troppo ben protetti e dispersi e qualsiasi danno può essere ricostituito nel breve termine. L’hanno lanciata per provocare il collasso totale dello Stato in Iran, iniziando per fasi. La prima fase consisteva nell’eliminare i vertici militari e dell’IRGC, dando la caccia anche agli scienziati e uccidendo in massa i civili.

In questo modo si creerebbe la falsa impressione che siano ancora in qualche modo limitati e concentrati su obiettivi militari/nucleari.

Dopo aver ricevuto quella che si aspettano sarà una risposta altrettanto contenuta da parte dell’Iran, la vedranno come una conferma che l’Iran non si atterrà alle sue linee rosse dichiarate e che ha ancora paura di incontrare Israele allo stesso livello di escalation.

Questo è il loro via libera per passare alla fase successiva, che consiste nel colpire e uccidere i principali leader politici, compreso Khamenei.

La loro speranza non è quella di sostituire l’attuale governo e lo Stato con una sorta di riedizione del fascista sionista monarchico attraverso i suoi fallimenti, perché sanno che non c’è una base di sostegno per questo all’interno del Paese.

La loro speranza è di fare un’altra Libia e un’altra Siria: Scatenare forze per procura che finanziano e armano insieme ai regimi fantoccio dello “scudo arabo” del Golfo e alla NATO-Erdogan e trasformarla in una spirale di morte e caos, una “guerra civile” inventata in cui gli iraniani sono pagati e armati dalla CIA e dal Mossad per uccidere gli iraniani.

Il MEK e altre forze per procura di questo tipo sono già state addestrate e preparate e sono pronte per essere attivate. Inizieranno con autobombe e attacchi terroristici che uccideranno in massa i civili. L'”ISIS” riapparirà di nuovo e farà il suo tipico lavoro per i loro padroni della CIA-Mossad.

Gli Stati Uniti e Israele hanno deciso di lanciare questa guerra da prima che Trump fosse eletto, e ha il pieno e totale sostegno dell’intero complesso militare-intelligenziale-industriale statunitense, dei media e della classe politica, sia repubblicana che democratica, e sarebbe successo anche se Kamala Harris avesse vinto le elezioni.

Vedono l’Iran e l’Asse della Resistenza e la sua alleanza con Russia e Cina come il principale ostacolo alla piena e totale egemonia imperiale sionista USA-NATO-Israeliana nella regione e, per estensione, nel mondo, e vogliono distruggerlo perché è l’unico che, a differenza di Russia e Cina, non ha un deterrente nucleare e vogliono raggiungerlo prima che lo ottenga.

Si tratta di una guerra esistenziale di sopravvivenza non solo per lo Stato iraniano, ma per l’Iran come nazione.

Se questo progetto avrà successo, il Paese sarà balcanizzato, le divisioni etniche saranno fomentate da attori stranieri, la CIA e il Mossad e le marionette del Golfo finanzieranno e armeranno decine di squadre di morte e di stupro per procura che si aggireranno nei loro feudi, decine di milioni di vite saranno distrutte.

Bisogna fare di tutto per impedirlo. L’Iran ha le armi per farlo. Ha la capacità di farlo, è solo una questione di volontà. Ha la volontà di fare ciò che serve per evitare la distruzione di massa del proprio popolo e della propria nazione? Io spero di sì. Tutti noi dobbiamo sperare che sia così.

La mia previsione su cosa accadrà?

Dipende tutto dalla decisione di Trump, ma se sceglierà di non entrare in guerra, allora gli attacchi di Israele si attenueranno dopo pochi giorni, ed entrambe le parti cercheranno probabilmente una de-escalation, mentre entrambe dichiareranno una “vittoria importante” al rispettivo pubblico nazionale. Israele si inventerà una serie di obiettivi che sono stati “portati a termine” e questo sarà tutto, dopodiché la situazione interna di Israele si deteriorerà rapidamente, poiché nessuno sarà convinto che Israele abbia “vinto” qualcosa o che abbia arrecato danni seri all’Iran.

Ma se gli Stati Uniti entrano, allora o si scatena l’inferno e l’Iran mantiene la promessa di chiudere lo Stretto di Hormuz, mandando potenzialmente il mondo in tilt economico, oppure – per placare i suoi responsabili israeliani – Trump sventola uno show strike “devastante” e dichiara i siti nucleari iraniani “cancellati” e si ritira immediatamente per iniziare un nuovo regime di de-escalation con l’Iran.

Ho una probabilità di 70/30 che negli Stati Uniti prevalga il buonsenso e che Trump decida di non entrare in guerra, e che le cose vadano nella direzione della prima opzione, ma vedremo come si evolverà.

Come ultimo elemento, ecco un video profetico del capo scienziato nucleare iraniano Feyerdoon Abbasi che recentemente ha discusso della sua potenziale fine per mano israeliana:

Sembrava accettare il suo destino con calma e grazia, sapendo che il Paese era stato lasciato nelle abili mani della generazione più giovane.


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Rearm Iran, di fogliolax

ReArm Iran

Botte da orbi tra Iran e Israele (per i meno raffinati)

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Fogliolax

Jun 14, 2025


Ursula von der Leyen potrebbe approfittare del momento e candidarsi come nuovo Capo di Stato Maggiore dell’Iran, paese che sicuramente ha più bisogno di un piano di riarmo rispetto all’Unione Europea.

Cerchiamo di spiegare cosa è successo e cosa potrebbe accadere senza l’utilizzo degli slogan tanto cari ai giornalisti.

· I fatti

Ieri notte Israele ha attaccato l’Iran con oltre 300 bombe lanciate da 200 aerei da combattimento (F-35, F-16 e F-15). Ha colpito la capitale Teheran e Tabriz, le centrali nucleari di Natanz e Arak, alcuni siti militari e diverse zone residenziali dove sono stati uccisi quattro membri dei vertici militari e sei scienziati addetti al programma nucleare, oltre al capo negoziatore (schema simile a quello utilizzato l’anno scorso contro Hezbollah e Hamas).

L’Iran non ha inizialmente reagito perché i servizi segreti israeliani avevano distrutto o disabilitato le difese aeree tramite squadre di incursori presenti sul territorio. È la terza volta in un anno che il Mossad si muove abbastanza liberamente nella ex Persia.

Israele ha poi proseguito l’offensiva fino a questa mattina, prendendo di mira nuovamente la capitale Teheran, alcune infrastrutture militari, diverse città secondarie e il più importante sito nucleare iraniano, quello di Fordow, protetto da un bunker a diversi metri di profondità e in parte all’interno di una montagna. Stupisce l’accuratezza degli attacchi, niente a che vedere con quanto avviene a Gaza, segno che i missili erano probabilmente guidati da agenti nascosti nelle vicinanze degli obiettivi.

In serata le difese antiaeree iraniane hanno ripreso a funzionare e così la guida suprema Alì Khamenei ha dato il via libera alla ritorsione, durata tutta la notte e condotta tramite droni e missili balistici (alcuni ipersonici). Tel Aviv è stata il bersaglio preferito, ma anche la Cisgiordania e il Nord di Israele sono stati interessati. Pare che anche la centrale nucleare di Dimona e le basi da cui sono partiti gli aerei siano state attaccate. Al momento in cui scrivo le ostilità sono cessate da poco.

· Considerazioni tecniche

I servizi segreti israeliani, grazie a decenni di esperienza sul campo, sono riusciti a infiltrarsi in diverse zone dell’immenso Iran e, tramite droni, missili guidati e probabilmente apparecchi per la guerra elettronica, a distruggere o disabilitare i sistemi di difesa antiaerea iraniana. I loro jet hanno così potuto operare indisturbati dai cieli dell’Iraq (ad oggi ancora sotto controllo USA). Le poche difese rimaste attive si sono concentrate a proteggere i siti sensibili della capitale e la centrale di Fordow che pare non abbia subito danni. Si tenga presente che la maggior parte delle installazioni militari iraniane si trova a molti metri di profondità ed è per questo difficilmente raggiungibile dai missili. Grazie a ciò, L’Iran è stato in grado di reggere l’urto e contrattaccare.

Non avendo un’aviazione paragonabile a quella di Israele, si è affidato a droni e missili balistici. I primi hanno impiegato diverse ore per raggiungere Israele e sono stati utilizzati come esche per le difese, mentre i secondi sono arrivati a destinazione in una quindicina di minuti (sette per gli ipersonici) saturando il sistema di difesa a 3 strati che protegge il territorio israeliano.

Tirando le somme, come la guerra russo ucraina ci insegna, difendersi da un aggressione dal cielo è assai più complicato e costoso che attaccare, mentre via terra è esattamente il contrario. Sono quindi fondamentali la sorveglianza dei confini e il monitoraggio dei siti sensibili per non ritrovarsi spiacevoli sorprese. Se nei primi 20 anni del millennio siamo stati ossessionati dalla privacy, nei prossimi 20 lo saremo dalla sicurezza. I droni low cost han cambiato gli scenari bellici.

· Considerazioni politiche

Ci sono 4 Stati nel mondo che adottano una politica estera spregiudicata: la Turchia, il Rwanda, gli Stati Uniti e Israele (lasciamo stare per il momento il conflitto russo ucraino). Mentre per i primi 3 esistono dei limiti, o per lo meno cercano ogni tanto di tirare un colpo al cerchio e uno alla botte, per il quarto no.

Israele ha un piano ben preciso da almeno 30 anni (in realtà da molto prima, lo vedremo prossimamente) e con l’aiuto degli Stati Uniti sta cercando di implementarlo. È quello delle famose 7 guerre per assumere il controllo del Medio Oriente rivelato dal generale USA Wesley Clark nel 2001 (qui). All’appello mancava solo l’Iran che, senza il supporto made in USA, non sarebbe stato attaccato.

Quindi, da ieri anche gli Stati Uniti sono in guerra con l’Iran. Con buona pace di Tulsi Gabbard (direttrice dell’Intelligence), di Steve Witkoff (il vero ministro degli esteri USA) e del giornalista Tucker Carlson che hanno cercato in tutti i modi di spiegare a Trump che con l’Iran bisognava giungere ad un accordo.

A Netanyahu, invece, va bene così, è un presidente adatto a tempi di guerra (come qualcun altro più a nord); in tempi di pace probabilmente la sua carriera politica finirebbe in un amen.

A Teheran per ora pare facciano finta di niente e attacchino solamente obiettivi israeliani, evitando di colpire le numerose basi USA presenti in Medio Oriente. Certo il colpo subito è stato pesante, anche perché era nell’aria nonostante gli imminenti negoziati con gli inviati di Trump.

Impedire all’Iran di fabbricare la bomba atomica sembra quindi un pretesto. Tra l’altro basterebbe che Teheran ne chiedesse una decina delle 6 mila in dotazione a Mosca per averla già domani in pronta consegna; peccato che anche la Russia sia contraria a un Iran atomico perché poi lo diventerebbero anche le monarchie del Golfo (Arabia, Qatar). Certo, qualche sistema di difesa avanzato e qualche caccia la Russia potrebbe fornirlo in tempi rapidi, ma il presidente Putin ragiona con schemi diversi; basti pensare che è l’unico Capo di Stato ad aver già parlato al telefono con le due controparti. L’Iran è sì un suo alleato, ma in Israele vivono circa 1 milione e mezzo di russi.

La Cina, la Turchia e l’Arabia Saudita si son fermate alle solite condanne formali, mentre il Pakistan, pur non essendo in ottimi rapporti con Teheran, ha dichiarato che l’Iran ha il diritto di difendersi in base all’articolo 51 delle Nazioni Unite. Sull’ Europa stendiamo il solito velo pietoso.

· Possibili scenari

Di sicuro non sarà una toccata e fuga come nel 2024. Entrambi i contendenti han dichiarato che ci saranno altri attacchi.

Altra certezza è che le leadership occidentali non capiscono che mettendo pressione a popoli con secoli di storia la reazione è quella opposta a quella desiderata. Si cementano attorno ai loro leader. Perciò Tel Aviv e Washington possono scordarsi un cambio di regime come avvenuto in Siria nel giro di poche ore. L’Impero Romano, che era l’Impero Romano, cercò per 700 anni di sottomettere la Persia e non ci riuscì; possibile che nessun leader studi un filino di storia?

Oltretutto, un’azione del genere è forse il miglior incentivo a dotarsi di un’arma atomica il prima possibile. In stile Nord Corea, che sarà anche un paese “brutto e cattivo”, però, per lo meno, non ha missili che gli piovono sulla testa.

Quindi, dal punto di vista militare, tutto è possibile a meno che USA e Russia non trovino un accordo su vasta scala. Magari la Cina rivedrà la sua teoria del “vinco senza far niente” perché a questo punto potrebbe non essere più sufficiente. Se Russia e Iran rimarranno impantanati per anni nelle rispettive guerre, chi sarà il prossimo obiettivo? La butto lì: Pechino?

Non aspettiamoci alcunché da Paesi Arabi e Turchia, a loro in fondo va bene così, se poi non si porrà freno all’escalation vedremo se avranno ragione a farsi gli affari propri. Ne dubito fortemente.

Occorre una conferenza internazionale in cui si discuta della sicurezza di tutti e non solo di alcuni.

Dal punto di vista economico la reazioni più ovvie potrebbero essere la discesa dei mercati azionari e la salita delle materie prime, soprattutto se Iran e Yemen decidessero di chiudere i due stretti attorno alla Penisola Arabica. Dico potrebbero essere perché, se intervengono le Banche Centrali, non c’è guerra o crisi che tenga, come nel 2008, nel 2020 e nel 2022. Per ora hanno ancora la forza di sostenere i mercati indipendentemente da tutto, c’è poco da fare.

In conclusione, la situazione è grave; l’Iran non è l’Afghanistan, né la Siria, né l’Iraq, né la Libia; è uno Stato con il controllo delle proprie risorse, senza divisioni “tribali”, con una popolazione tendenzialmente giovane di 90 milioni di persone e un apparato militare sviluppato. È vero però che al suo interno ha un grosso pericolo: a Teheran c’è un traffico che “Bari vecchia spostati”…

Che Dio ce la mandi buona!

Denaro Eneo, a cura di Tree of Woe

Denaro Eneo

Il futuro del denaro e della civiltà

13 giugno
 LEGGI NELL’APP 

Ecco l’Albero del Dolore! Sono tornato dalle mie (dis)avventure nella politica repubblicana. Mentre ero fuori a socializzare come l’ internazionale Io, Aleksandar Svetski, playboy municipale nazionale , stavo lavorando a questo straordinario saggio sul Denaro Eneo. Come gli altri pezzi della serie Eneo, si tratta meno di contemplare il dolore e più di riflettere su ciò che viene dopo il dolore. Continuate a leggere e assicuratevi di procurarvi il libro di Aleksandar se non l’avete già fatto.


L’anno scorso ho letto ” L’alba di una nuova civiltà ” di Tree of Woe e da allora non ho più smesso di pensarci. Il suo tono ottimista e ascendente è un testo di cui non dovremmo vergognarci. Anzi.

Nello stesso anno, l’America e il mondo intero hanno letteralmente schivato un proiettile: le dinamiche e la cultura sono cambiate, e da allora ci siamo ritrovati dalla parte giusta dell’oscillazione del pendolo . Questo cambiamento ci permette di pensare al futuro.

Poiché i principi dell’era Enea sono in discussione, ho deciso di scrivere un pezzo per contribuire a questa visione.

Crediti: @PabloPeniche su X. Seguitelo, le sue cose sono incredibili.

Tra tutti gli aspetti possibili di questa nuova era su cui scrivere, alcuni lettori alzeranno senza dubbio un sopracciglio di fronte alla mia scelta di argomento. Tra la destra c’è una certa diffidenza, o al massimo ambivalenza, nei confronti del denaro. E questa non è solo una visione sana, è una visione tradizionale .

Le menti migliori e più nobili della storia, che provengano dalla cultura apollinea, magica o faustiana, sono sempre state estremamente diffidenti nei confronti dei cambiavalute, dei prestatori e della ricerca di ricchezze materiali.

“La vita del fare soldi è un tipo di vita limitato, ed è chiaro che la ricchezza non è il bene che stiamo cercando, perché è un bene solo in quanto utile, un mezzo per raggiungere qualcos’altro.” — Aristotele

I nobili sono concentrati su valori e obiettivi più elevati della ricchezza materiale. Il denaro è terreno, da disprezzare, mentre lo sguardo del nobile dovrebbe sempre guardare verso l’alto.

Perché allora scrivere di soldi?

Innanzitutto, il denaro è uno strumento e, come tutti gli strumenti, è destinato a svolgere una funzione specifica . Nel caso del denaro, serve a facilitare lo scambio tra le parti, risolvendo così quello che è noto come il problema della coincidenza dei bisogni : con l’espansione di un’economia e l’aumento della specializzazione, il baratto diventa altamente problematico e le persone cercano un intermediario che svolga la funzione di mezzo di scambio . Proprio come non si può costruire una casa senza attrezzi da muratore, non si può costruire una civiltà solida senza denaro.

Più in generale, grazie alla sua funzione primaria, l’economia ci insegna che il denaro è un quadro di riferimento per la cooperazione sociale . Competiamo per acquisirlo, certo; ma così facendo – ed è questa la meraviglia del capitalismo – otteniamo tutti accesso a una maggiore diversità di beni, di migliore qualità e a prezzi più bassi. Questa, almeno, è la teoria . Vedremo più avanti perché ciò si sia manifestato solo in parte, e a quale costo.

Quello strumento, però, non è solo corruttibile , ma corruttore . E quindi non sorprende che i nostri grandi maestri morali ne abbiano messo in guardia dai pericoli; per maneggiarlo correttamente sono necessarie saggezza e disciplina . Se una società – da quella umile a quella più elevata – è ossessionata dal denaro e dal materialismo, è proprio perché quello strumento è rotto. Per l’Uomo Faustiano, semplicemente non è possibile tornare a un mondo in cui il ruolo del denaro non sia centrale. Pertanto, deve iniziare un nuovo capitolo, in cui sia la società che il suo denaro abbiano aspirazioni radicalmente diverse. Questo sarà il tema centrale di questo saggio.

Se vogliamo superare la nostra attuale situazione difficile, dobbiamo capire che, come una spada, il denaro è a doppio taglio. Dobbiamo sviluppare il carattere per padroneggiarne la lama . Quindi, il motivo per cui ho scelto di scrivere di denaro è perché i nobili del futuro, la vera élite , dovranno lottare con esso e maneggiarlo. Devono sviluppare sia il Capitale che il Carattere .

Uno sguardo breve alla storia del denaro

Il denaro è essenziale e lo rimarrà finché gli esseri umani saranno vincolati dal tempo e dallo spazio. Quali forme ha assunto nelle culture precedenti? Molto è stato scritto sulla storia del denaro – ” Shelling Out ” di Nick Szabo, che consiglio vivamente, è tra i migliori. Ma in questo saggio, vorrei offrire un approccio originale al suo sviluppo: l’evoluzione del denaro, attraverso una lente spengleriana. Useremo più avanti questo schema per descrivere le caratteristiche e la struttura della moneta enea.

Cominciamo…

Oro apollineo

In linea con l’attrazione apollinea per il naturale, il fisico e il concreto rispetto al metafisico e all’astratto, la sua cultura impiegava metalli preziosi per catturare valore economico e trasferirlo attraverso il tempo e lo spazio.

L’oro e l’argento sono materiali, tangibili, solidi nella forma.

Pochi aspetti della cultura apollinea rivelano l’enfasi sulla purezza e sull’armonia più chiaramente del denaro: l’oro è incorruttibile e malleabile e può quindi assumere una moltitudine di forme; l’uomo apollineo modellava il suo denaro in dischi, la forma ideale; e l’oro ben presto arrivò a definire lo standard più elevato con cui misurare ogni cosa.

Inoltre, la moneta apollinea era naturalmente uno strumento al portatore – ovvero, monete e lingotti stessi portavano il valore espresso, perché erano fatti di materiale prezioso. Questo è naturale e auspicabile, naturalmente; solo secoli di sperimentazione, “progresso” e manipolazione hanno reso possibile concepire una moneta che non fosse uno strumento al portatore – ma ne parleremo più avanti. Ciò che è importante qui è che la moneta apollinea era definitiva e presente , non differita nel tempo (credito); era anche una forma di moneta più localizzata : la sua stessa materialità rendeva estremamente costosi gli scambi commerciali a grande distanza – una sorta di freno naturale alla globalizzazione.

Infine, il denaro era intimamente legato all’identità civica – alla polis, al regno o a qualsiasi altro modello politico. Ciò significava, in effetti, che l’economia della comunità politica aveva un substrato reale, concreto e materiale (come le miniere d’argento del Laurio ad Atene): una solida base per la cooperazione sociale e il perseguimento del bene comune.

Oro apollineo

Tutto ciò sembra molto bello… e in un certo senso lo era.

Naturalmente, la fisicità stessa dell’oro e dell’argento li rendeva estremamente facili da controllare, cooptare e manipolare. Le monete metalliche consentivano un commercio fiorente, che fu determinante non solo per la costruzione di meraviglie architettoniche e la sponsorizzazione di opere d’arte, ma anche per finanziare l’ingegno e l’ingegneria romana. L’altro lato della medaglia (se mi passate il gioco di parole), tuttavia, è che la tentazione di alterare il valore reale, anziché quello nominale espresso sulla moneta, era semplicemente troppo forte.

Molti storici hanno scritto sulla svalutazione delle monete fisiche: “svalutare” la moneta significava letteralmente ridurre la quantità di metallo prezioso nella moneta. Ognuna di queste svalutazioni portò alla loro svalutazione e al loro collasso. La progressiva svalutazione del denario d’argento – che iniziò con una purezza del 100% e terminò con un misero 5% – fu uno dei fattori chiave del decadimento e della caduta definitiva dell’Impero Romano.

Misticismo magico

L’Uomo Mago (se lo collochiamo tra lo 0 e il 1000 d.C.) non innovò radicalmente il denaro: il suo sguardo era allo stesso tempo più rivolto all’esterno e più rivolto all’interno. Forse l’unica vera innovazione monetaria di quel periodo fu la creazione di una rete finanziaria gestita da specialisti del denaro nella maggior parte dei paesi del bacino del Mediterraneo, sia cristiani che musulmani.

bancarelle medievali francesi

Dall’apice della “globalizzazione” romana, il commercio iniziò a regredire nel III secolo d.C., con l’abbandono delle città da parte della popolazione. Sopravvisse nell’Impero d’Oriente e successivamente nel mondo islamico – ancora fortemente urbanizzato – ma lì, come in Occidente, la gente comune cercava con fervore un diverso tipo di verità. Quella spirituale.

C’è quindi poco da dire riguardo al denaro, se non che sostanzialmente mantenne la sua forma apollinea , fu guardato con sospetto – non solo dai nobili questa volta, ma in generale attraverso l’influenza della Chiesa – e che furono fatti grandi sforzi per scoraggiare l’usura e la ricerca del profitto .

Il principale evento economico e monetario di quell’epoca fu naturalmente la scoperta del Nuovo Mondo, che determinò un afflusso senza precedenti di oro e argento nel Vecchio Continente. Questa realtà che distrusse l’impero diede origine a profondi dibattiti teologici in tutta Europa, che illustrano il tentativo dell’Uomo Mago di confrontarsi con i concetti di denaro, valore e ricchezza – sia materiali che metafisici – e con la loro relazione con Dio e la filosofia.

All’epoca, la discussione era guidata dagli scolastici spagnoli, la cosiddetta Scuola di Salamanca , un curioso precursore della Scuola austriaca di economia, in quanto riconoscevano la soggettività del valore, sviluppavano la teoria monetaria e sottolineavano l’importanza dei prezzi di libero mercato e dei diritti di proprietà, da una prospettiva teologica.

L’Università medievale di Salamanca

Tuttavia, non riuscirono a convincere i loro sovrani, i re di Spagna e delle Americhe. L’El Dorado era una tentazione troppo forte e questo desiderio finì per inondare i mercati europei di metalli preziosi e gonfiare la loro valuta. Alla fine portò alla rovina finanziaria della Spagna, poiché l’impero si estese oltre ciò che potevano permettersi di difendere …

Una preziosa lezione storica: per durare, gli imperi devono maneggiare con saggezza sia il ferro che l’oro. L’Uomo Mago, nonostante tutti i suoi sospetti, alla fine cedette al fascino dell’oro, e la civiltà dovette reinventarsi ancora una volta – e reinventare il denaro nel processo…

Fiat faustiano

L’anima faustiana brama costante impegno , astrazione e infinito . Rifiuta esplicitamente il misticismo dei Magi e, sebbene rivendichi spesso l’eredità apollinea, la sua spinta si espande ripetutamente oltre i rigidi limiti dell’ordine e dell’armonia. È naturale che i limiti del denaro fisico si rivelino intollerabili per questa cultura.

A quanto pare, la carta viaggia molto più velocemente dell’oro ; e le informazioni (dopo l’invenzione del telegrafo e poi di Internet) viaggiano essenzialmente alla velocità della luce. Di conseguenza, le persone iniziarono a scambiarsi diritti sull’oro, piuttosto che sul metallo stesso , lasciando la responsabilità della liquidazione finale a società specializzate: l’Uomo Faustiano creò le banche come le conosciamo oggi – non come luoghi sicuri in cui depositare il proprio oro, ma come un’istituzione chiave nell’arazzo della civiltà.

La carta moneta si addice al desiderio espansionistico dell’Uomo Faustiano, così come alla sua ossessione per l’astrazione. Ma proprio come la moneta metallica poteva essere manipolata, erodendo così la fiducia nelle istituzioni, così anche la carta moneta presenta grandi rischi. Oltre alla falsificazione (molto meno costosa che con l’oro), la circolazione in massa di titoli cartacei portò alla progressiva concentrazione dell’oro in poche grandi istituzioni ; non solo: queste istituzioni divennero avide e, prevedibilmente, iniziarono a emettere più titoli di quanto oro possedessero , creando il concetto di riserva frazionaria e le inevitabili corse agli sportelli.

Questo a sua volta portò alla creazione delle banche centrali, attraverso le quali lo Stato assunse il controllo del sistema bancario e, soprattutto, della moneta; proprio come con l’oro, lo Stato finì per cooptare l’istituzione sociale del denaro, con il pretesto di “proteggerci”. La realtà, ovviamente, è ben più sinistra. (Consiglio: Il mostro di Jekyll Island per capire davvero cosa accadde in questo caso).

La Banca d’Inghilterra (fondata nel 1694)

La necessità di velocità e astrazione continuò ad accelerare di pari passo con la tecnologia e, nel 1971, l’idea stessa che il denaro dovesse essere legato a qualcosa di fisico, tangibile o scarso, era scomparsa.

Nel 1971, il dollaro statunitense, la valuta di riserva globale, sostenuta dalla più grande forza militare del mondo, si sganciò dall’oro e divenne una vera e propria moneta fiat. Con il nuovo quadro normativo, il denaro non era più un bene al portatore, poteva essere stampato all’infinito ed era sempre una passività di qualcun altro. E sebbene ciò all’epoca offrisse agli Stati Uniti un grande vantaggio, in definitiva si trattò di un patto col diavolo. Decenni di stampa di denaro – il cinquantesimo anniversario della mossa di Nixon ha rappresentato il culmine del Clown World nel 2021 – hanno trasformato il mondo in un’unica gigantesca palla di debito, bolle speculative e infinita astrazione.

Quando il denaro non è più ancorato alla realtà, trasforma tutto ciò che misura e tutto ciò che costruisce in una versione falsa, distorta e spettrale di se stesso: le case diventano meri investimenti; le aziende vengono costruite come rapidi schemi di pompaggio e scarico o come esche per generare dipendenza, per creare domanda, invece di risolvere problemi concreti, soddisfare la domanda, alimentando così il falso schema finanziario Ponzi a cui siamo tutti ora sottoposti…

Le persone non comprano più cose perché ne hanno bisogno, ma perché sono state condizionate a consumare e perché il risparmio è penalizzato.

Quando il denaro si rompe, distorce tutto ciò che tocca e poiché il denaro è così fondamentale per la civiltà umana, gli effetti negativi a valle sono semplicemente troppo costosi anche solo per essere immaginati… Questo è il prezzo da pagare per fare un patto col diavolo: il debito arriva a scadenza.

Ecco dove siamo ora, con la consapevolezza condivisa che il sistema non può continuare a funzionare e che ci attendono cambiamenti epocali … nel bene e nel male.

Definire l’anima enea

Prima di approfondire le proprietà della moneta enea, definiamo brevemente cosa caratterizza l’anima enea. Sarò breve e rimando i lettori che desiderano una spiegazione più approfondita al saggio ” L’alba di una nuova civiltà ” dello stesso @treeofwoe.

L’anima enea è più matura di quella faustiana. Più consapevole del suo posto nella Storia e nel cosmo. Riconosce e rispetta i confini fisici e divini in un modo che l’anima faustiana non ha mai fatto. La sua forma distintiva è l’arco, sia l’apertura di un varco: la transizione tra due mondi, sia una forma geometrica con un inizio e una fine.

Laddove lo Spirito Faustiano è di natura adolescenziale, lo Spirito Enea è un Uomo capace di intrecciare la saggezza dei secoli passati con l’audacia di conquistare le stelle. L’Uomo Enea nascerà dal turbolento Interregno, mentre il vecchio mondo muore e quello nuovo emerge. Questo è simboleggiato dai due pilastri su cui poggia l’arco. È la risacralizzazione del liminale , della potenzialità limitata. Si considerino gli archi trionfali romani: il concetto di soglia, la consapevolezza della trasgressione e della potenzialità mentre si attraversa una nuova realtà…

“Gli archi servono anche come monito: tutto ciò che sale poi cade.”

In contrasto con gli estremi e la linearità dell’anima faustiana, l’anima enea è più prudente nei suoi sforzi. La sete di conoscenza, forse spinta troppo oltre dall’Uomo faustiano, sarà temperata; non scoraggiata, ma confinata entro confini chiari e definiti . Questa è saggezza, in contrapposizione alla semplice conoscenza:

“un’anima animata non dall’ambizione fine a se stessa, ma dalla delicata consapevolezza che l’umanità si trova su una soglia, uno spazio liminale con una scelta chiara: trascendere o perire.”

L’Uomo Eneo non può semplicemente voltare le spalle all’innovazione tecnica e tornare ai tempi e alle preoccupazioni apollinei o magi. L’unica via è andare avanti… e il faustiano lo supererà. Il primo passo sarà ristabilire solide fondamenta: un quadro onesto per la cooperazione, così da poter ripartire da zero.

Guarda in alto… verso le stelle.

La moneta enea: un progetto

Prima di progettare questa moneta del futuro, stabiliamo le principali caratteristiche della moneta:

Analogamente, la Scuola austriaca di economia definisce la moneta sana come avente tre proprietà principali:

  • vendibilità nello spazio : deve essere facilmente trasportabile, il che implica l’acquisizione di elevate quantità di valore per unità.
  • commerciabilità nel tempo : dovrebbe mantenere il suo valore nel tempo, il che significa resistenza agli agenti atmosferici e all’inflazione.
  • vendibilità su più scale : deve essere facilmente suddiviso e aggregato per agevolare lo scambio su scale diverse.

In altre parole, forse più familiari, il denaro deve svolgere le seguenti funzioni. Deve essere:

  1. Una riserva di valore
  2. Un mezzo di scambio
  3. Un’unità di conto

Diverse monete svolgono queste diverse funzioni con diversi gradi di efficacia. Più una moneta possiede le proprietà sopra descritte, meglio svolge ciascuna di queste funzioni e, quindi, più è probabile che venga utilizzata come moneta – non per decreto, ma per scelta e necessità.

Per quanto riguarda attributi tecnici, proprietà e funzioni, queste definizioni sono fondamentali. Tuttavia… la moneta enea deve andare oltre. Deve catturare la fisicità dell’oro apollineo, la spiritualità dell’anima dei Magi, la potenza economica dell’uomo faustiano e deve rimanere incorruttibile.

La moneta enea deve essere vera – riflettendo l’economia reale – ed essere essa stessa fonte di verità . Deve essere superiore ai re e rimanere fuori dalla portata di tutti gli uomini: simile alle leggi della fisica.

Pertanto, la Moneta Enea deve possedere proprietà proprie, che siano sia una miscela che un’estensione di quelle sopra elencate. Naturalmente, ciascuna di queste proprietà comporterà dei compromessi – nulla è gratis – ma se vogliamo ridefinire il quadro della cooperazione sociale nella prossima era, è fondamentale comprendere e accettare tali compromessi.

  1. Finalità fondante

Se la moneta enea fosse vera , dovrebbe essere definitiva . Ogni scambio deve saldare la transazione o, in altre parole, “cancellare il debito” all’istante, invece di limitarsi a trasferire quel debito al prossimo, come funziona il fiat faustiano.

Pertanto, la Moneta Enea deve essere uno strumento al portatore in cui il bene stesso detiene il valore (piuttosto che una promessa di tale valore) e il suo possessore ne è il proprietario assoluto . In altre parole, deve essere una moneta-merce , simile all’oro, che storicamente è stata la più solida. Come la Moneta Apollinea, la Moneta Enea sarà attuale e presente , piuttosto che astratta e differita , perché non possiamo basare la società su astrazioni di astrazioni…

I beni al portatore comportano due importanti compromessi. Il primo, che è una diretta conseguenza del valore contabile in sé, è che non esiste un pulsante di riavvolgimento : proprio come con il denaro contante, se lo si smarrisce, lo si consegna alla persona sbagliata o se ne subisce il furto, si perde semplicemente quel denaro; qualsiasi trasferimento è definitivo e irreversibile . Un tale strumento richiede un minimo di responsabilità da parte del suo portatore.

Il secondo compromesso da accettare è che il denaro contante comporta un certo grado di anonimato che può dare spazio ad attività criminali e rendere la tassazione impraticabile.

  1. Globale

Affinché l’umanità possa raggiungere le stelle, la competizione, il commercio eSarà necessaria anche la cooperazione su scala planetaria . Questo non significa avere un governo mondiale o nessun confine; tutt’altro. Nel corso della storia, gli imperi hanno combattuto sia con il ferro che con l’oro . Sia la forza che il denaro sono linguaggi universali.

Questo nuovo solido substrato economico deve essere planetario. Pertanto, la moneta enea deve essere un linguaggio globale , utilizzabile sia per la cooperazione che per la competizione internazionale. Questo è essenzialmente ciò che rappresenta il dollaro oggi: gli Stati Uniti hanno rivali geopolitici, ma la loro moneta è ancora la valuta di riserva mondiale.

L’oro ha svolto questo ruolo per millenni prima del dollaro statunitense… ma la fisicità ha i suoi svantaggi. La sua scarsità lo ha reso prezioso, ma è diventato troppo “lento” – sia in termini di portabilità che divisibilità – per un mondo sempre più interconnesso. E, come accennato in precedenza, la stessa tangibilità che lo ha reso prezioso in origine ha contribuito anche alla sua centralizzazione. Ha aperto le porte a qualcosa di più veloce e agile…

Inizialmente, la carta moneta risolveva un problema reale : permetteva di fare soldi più velocemente . La moneta fiat rappresentava l’accettazione consapevole del compromesso tra una potenziale svalutazione (inflazione: minore vendibilità nel tempo) e una maggiore connettività, portabilità e divisibilità (vendibilità indipendentemente dallo spazio e dalla scala).

Per facilitare lo scambio globale di idee e beni, la moneta enea dovrà trovare il modo di essere valida quanto l’oro e veloce (o addirittura più veloce ) della moneta fiat. Dovrà quindi essere digitale.

La moneta fiat è già in gran parte digitale e non c’è modo di rimettere quel genio nella bottiglia: il cyberspazio è il nuovo scenario dominante e qualsiasi nuovo denaro dovrà essere nativo di Internet per essere vendibile in tutti gli spazi e su tutte le scale.

La sfida è mantenere la connettività e massimizzare la divisibilità senza svalutare il denaro .

Questa sfida è ancora più scoraggiante se si considera che le informazioni digitali sono tutt’altro che scarse. I dati sono facilmente copiabili e quindi replicabili praticamente gratuitamente, introducendo il problema della doppia spesa: come posso essere sicuro che l’unità in mio possesso non sia una copia di un’altra (ad esempio, come i JPEG) e che il mio utilizzo sia valido? La moneta enea deve risolvere questo problema.

Un altro grave problema della moneta digitale, oltre alla facilità di manipolazione e replicazione, è la sua evidente dipendenza dalle infrastrutture. Aenean Money dovrà quindi trovare il modo di aumentarne la resilienza e la resistenza alla manipolazione.

  1. Immutabile

Il fiat faustiano si affida alle istituzioni per “gestire” il valore del denaro attraverso la politica monetaria; ma, come la storia ha dimostrato, tale potere verrà abusato. Persino l’oro apollineo, a causa della sua fisicità, era vulnerabile alle politiche inflazionistiche attraverso svalutazione, centralizzazione e manipolazione.

Le regole che definiscono la moneta enea devono quindi essere scolpite nella pietra , completamente immuni da tentazioni inflazionistiche: la risorsa stessa deve essere inalterabile , la sua proprietà indiscutibile e la sua offerta trasparente . In questo modo, potrebbe agire come una costituzione digitale , un “testo fondante” come lo sono la Costituzione degli Stati Uniti o i Dieci Comandamenti.

Il diritto greco era letteralmente “scolpito nella pietra”.

Per garantire che il gioco non possa essere alterato, Aenean Man dovrà risolvere il seguente paradosso: ogni utente deve essere un revisore e tuttavia nessuno può modificare o manipolare unilateralmente le regole .

Non può quindi esserci alcun emittente né alcuna istituzione centrale responsabile della qualità della moneta. La moneta stessa deve essere l’istituzione . Questo può essere ottenuto solo se il gioco a cui si sta giocando è definito esclusivamente dalle regole che si decide di seguire: si è liberi di giocare secondo altre regole, ma in tal caso si sta giocando a un gioco diverso da chiunque altro sottoscriva la costituzione digitale originale.

In questo modo, la Moneta Enea rappresenterà un patto , una rete di singoli attori che decidono volontariamente di giocare secondo un certo insieme di regole. Un utile parallelo è quello della Legge: una società non è solo rappresentata dalle sue leggi, ma anche dal grado in cui i suoi membri sono disposti o meno ad applicarle; ovvero se sono disposti o meno a giocare a quel particolare gioco .

Ciò che caratterizza una società è l’iterazione riuscita di un gioco a cui si partecipa volontariamente. Più persone decidono di giocare secondo le sue regole – più ampio è il consenso – più una società o un costrutto come la Moneta Enea saranno resistenti alla manipolazione .

E a causa degli effetti di rete, più persone aderiscono, maggiore è il costo del cambiamento e maggiore è lo svantaggio di non essere coinvolti. Se la Moneta Enea riesce a raggiungere la velocità di fuga dalla rete, il suo ruolo di istituzione sociale diventa una profezia che si autoavvera.

In assenza di un emittente, la Moneta Enea si allontana dalla “moneta del sovrano” per diventare una “moneta delle regole”. Una distinzione importante se ci rendiamo conto che anche il più giusto dei re muore e non c’è garanzia che il prossimo sarà altrettanto giusto. Pertanto, come la Legge Suprema, come il Patto, la Moneta Enea deve rimanere al di fuori della portata dell’impulso umano. Perché ciò accada, in un certo senso, non può essere un “prodotto”, progettato e lanciato commercialmente. Non avere un emittente ed essere neutrali alle pressioni geopolitiche significa anche non avere un CEO, un controllore unico, un singolo e fallibile punto di errore – nessuna testa del serpente da tagliare, per così dire. Una volta che il gatto è uscito dal sacco, o il genio è uscito dalla bottiglia, deve assumere una vita propria e vivere o morire in base alla sua sola utilità. La Moneta Enea deve quindi essere autonoma , indipendente e istituzione sociale emergente .

Ma… rendere il denaro autonomo e impermeabile al cambiamento non è “gratuito”. Innanzitutto, richiede regole molto chiare e predeterminate, il che lo rende anelastico. Ciò significa che ci vorrà del tempo prima che si adatti ai repentini cambiamenti della domanda, con conseguente volatilità. Questo è rafforzato dalla natura del consenso, che può diventare caotico ed è per definizione riluttante al cambiamento (è conservativo ); il che, in periodi di instabilità, può ulteriormente esacerbare la volatilità a causa di confusione e interpretazione.

Ma ripeto: il punto è che la pietra è pietra, non importa quanto ne discutiamo…

  1. Resilienza

La moneta enea deve essere impermeabile al cambiamento e alla manipolazione, e deve anche essere resiliente ad attacchi, catastrofi e progresso tecnologico . Questo a sua volta richiederà una certa adattabilità, contraddicendo in parte quanto ho detto sopra. Data la sua natura digitale, la moneta enea deve rimanere rilevante e affidabile di fronte al continuo sviluppo tecnologico, in modo da non diventare mai obsoleta per motivi puramente tecnici: parte dell’essere scolpita nella pietra è che deve essere durevole .

Ma come può essere allo stesso tempo immutabile e adattabile? Parte della risposta risiederà nell’architettura del sistema. La moneta enea deve consistere principalmente in uno strato di base solido come la roccia, affidabile, conservativo e inflessibile , su cui si possono costruire strati astratti più flessibili , imitando il modo in cui la carta moneta originariamente rappresentava ed era agganciata all’oro, al fine di rendere i pagamenti più agili. O, per estensione, il modo in cui tutti i sistemi naturali si espandono, dalle arterie, vene e capillari alle reti neurali nel cervello o ai delta dei fiumi in un bacino idrografico. Non c’è nulla di sbagliato a priori nelle astrazioni… purché rimangano saldamente ancorate a una fonte di verità .

Oltre agli aspetti più tecnici, la decentralizzazione di esecutori e revisori di Aenean Money rappresenta un’ottima difesa naturale contro gli aggressori: poiché le sue regole sono applicate tramite il consenso a livello di partecipanti, qualsiasi attore – malintenzionato o meno – che volesse modificare o manipolare Aenean Money dovrebbe corrompere o persuadere un vasto numero di partecipanti ad alterare il patto e definire un nuovo consenso. Se a questo aggiungiamo la sua natura globale, Aenean Money sarebbe sufficientemente antifragile da sopravvivere a catastrofi naturali , a patto che non siano di scala planetaria – nel qual caso il denaro sarebbe l’ultima delle nostre preoccupazioni…

Il principale compromesso associato alla resilienza tramite decentralizzazione è che non esiste un modo efficace – se non attraverso il consenso, che è difficile da ottenere – per modificarla, influenzarla o censurarla. La Moneta Enea sarà neutrale , quindi una volta attiva non potrai impedire a nessuno di usarla, inclusi amici, alleati, nemici o criminali. Pertanto, l’Uomo Enea deve trovare altri modi per fermare la criminalità e competere economicamente. I giorni della censura delle transazioni e dell’uso del denaro come arma geopolitica saranno finiti. Rompere qualche proverbiale uovo non giustificherà più un intervento. Per ribadire: il patto deve rimanere al di fuori della portata della corruttibilità umana.

Questi sono termini accettabili, a mio parere. Anzi, benefici . Opponendosi alla burocrazia, la Moneta Enea rifiuterà di screditare la moralità delle transazioni tra adulti e porterà a una cultura più matura.

  1. Legato alla realtà

Il vero denaro è tale finché riproduce fedelmente la realtà .

La moneta enea deve quindi riflettere l’ economia reale e la produttività reale . Una conseguenza di questo ancoraggio alla realtà è che il potere d’acquisto della moneta aumenterà con la crescita dell’economia (deflazione dei prezzi) e perderà potere d’acquisto in caso di contrazione dell’economia ( inflazione reale o naturale dei prezzi). Una moneta che rifletta la vera economia infrangerà l’illusione che tutti i prezzi siano inevitabilmente destinati a salire (si pensi al tipico Big Mac degli ultimi due decenni), compresi gli stipendi, che aumenterebbero solo per riflettere gli aumenti di produttività, non per tenere il passo con l’inflazione monetaria.

La moneta merce pre-fiat implicava sempre una certa quantità di energia spesa – di lavoro svolto – per estrarre, coniare e scambiare, al fine di rappresentare accuratamente la produttività. Tale moneta acquisiva quindi la proprietà di trattenere energia (o valore) perché il costo era anticipato.

La moneta fiat, tuttavia, è virtualmente libera di creare a piacimento, con il risultato che impoverisce tutti tranne chi stampa moneta e le persone a loro più vicine: è permeabile, anziché conservare energia e preservare l’ambiente . Il costo viene semplicemente rinviato alle generazioni successive attraverso l’infinita emissione di nuovo debito.

In fin dei conti, il costo è sempre presente . La moneta enea deve rifiutare il modello edonistico della moneta fiat e pagare il suo debito, presente e passato; e il modo migliore per farlo è con una moneta sostenuta dall’energia, che abbia un costo chiaro e anticipato . E poiché deve essere digitale, questo ancoraggio alla realtà attraverso il dispendio energetico è ancora più importante . Deve essere come una merce.

E come una merce, anche la moneta enea dovrà essere valutata dal mercato. Questo per due motivi: in primo luogo, affinché possa rappresentare accuratamente la produttività (mappare il territorio); in secondo luogo, una moneta senza un emittente, per definizione, non può essere una moneta fiat. Ciò significa che il suo valore non può essere decretato da nessuno (per decreto). Solo chi la sceglie può attribuirle valore.

Questo a sua volta lo renderà volatile , poiché soggetto alla legge della domanda e dell’offerta. Ma se la volatilità è il prezzo da pagare per un tale retethering, allora almeno una volatilità al rialzo è preferibile a una volatilità al ribasso, garantita dalla valuta fiat.

La moneta enea sarà adottata volontariamente dai partecipanti solo se funziona . Al contrario, la moneta fiat, oltre a non funzionare nemmeno così bene, è imposta dall’alto dagli stessi amministratori irresponsabili, irresponsabili e autoproclamati che l’hanno emessa. Tale arroganza si traduce in una mappa che distorce il territorio reale, perché senza una percezione accurata non è possibile orientarsi o funzionare correttamente.

La moneta enea deve essere una mappa accurata. La sfida è quindi progettare una “merce digitale” , una moneta che possa viaggiare ovunque velocemente, contenere e trasportare valore, e tuttavia rimanere ancorata alla realtà fisica attraverso il costo reale .

L’inizio di una nuova era

La moneta enea sembra certamente utopica, la sfida insormontabile. Eppure… potremmo già averla. Bitcoin è il primo e unico strumento crittografico digitale al portatore che:

  1. Possiede tutte le caratteristiche del denaro: durevolezza, divisibilità, fungibilità, portabilità e scarsità.
  2. Possiede le proprietà ritenute necessarie dalla Scuola Austriaca di Economia.
  3. Svolge le tre funzioni del denaro in modo quasi impeccabile:
    1. Offerta fissa significa che conosci la tua quantità in proporzione al totale (perfetta riserva di valore),
    2. Le transazioni sono non censurabili (mezzo di scambio perfetto) e
    3. Con essa è possibile misurare tutti gli altri beni, ovunque (21 quadrilioni di unità), anche se è volatile perché è giovane.
  4. Sta guadagnando slancio ogni anno (necessario per un patto e una costituzione)

Ma, cosa ancora più importante, soddisfa anche i criteri sopra delineati per la moneta enea. Quelli che le permetteranno non solo di sostituire la moneta fiat faustiana, ma anche di spingerci verso un futuro più ascendente e vitale.

Ecco come Bitcoin risolve i problemi che ho appena discusso. Vi invito a leggere, soprattutto se siete scettici .

  1. Bitcoin è denaro nativo di Internet

La missione dichiarata di Bitcoin è quella di essere un sistema di denaro digitale peer-to-peer .

Per questo deve essere un bene al portatore, come accennato in precedenza, cosa che nel caso di Bitcoin si ottiene tramite crittografia: coppie di chiavi crittografiche (chiavi pubbliche e private) ne contrassegnano la proprietà , in modo che chi controlla la chiave privata (simile a una password) controlli anche le unità monetarie, mentre la chiave pubblica viene utilizzata per sapere dove si invia denaro (più simile a un indirizzo email). Si deriva la chiave pubblica dalla chiave privata, ma è matematicamente impossibile fare il contrario.

Bitcoin è ovviamente digitale, ma per di più non è stato creato da o per un paese o una zona economica specifica: è aperto a tutto il mondo , a chiunque voglia utilizzarlo. Questo lo rende neutrale , uno strumento ideale sia per la competizione che per la cooperazione su scala planetaria. Non dipende da istituzioni centralizzate, ma è al 100% peer-to-peer.

Possono esistere terze parti (fornitori di servizi come exchange o depositari), ma non sono obbligatorie. Le unità monetarie possono essere trasferite direttamente da un utente all’altro e tutto ciò che serve è un modo per trasmettere la transazione al resto della rete. Nessun confine, nessun limite, nessun orario di lavoro, nessun giorno festivo; 24 ore su 24, 7 giorni su 7, 365 giorni all’anno .

Non affidarsi a istituzioni terze significa anche che, di default, spetta all’utente proteggere la propria chiave privata, poiché chi la controlla è il proprietario assoluto delle unità. Non è possibile fare ricorso a intermediari e perdere o rivelare le chiavi significa di fatto perdere i propri fondi. Ecco perché le soluzioni di custodia condivisa con istituzioni affidabili (come i caveau per l’oro fisico) esistono già e stanno crescendo, ma presentano i loro compromessi.

Infine, a differenza del denaro contante, Bitcoin non è anonimo, poiché ogni singola transazione, così come gli indirizzi di invio e ricezione, sono pubblici (vedi perché più avanti). Detto questo, è pseudonimo e può essere utilizzato privatamente se si evita di associare informazioni personali alla transazione quando si acquisiscono o si cedono le monete. In definitiva, le transazioni sono associate a un indirizzo che è semplicemente una stringa di caratteri. Puoi utilizzare Bitcoin in modo privato o pubblico, a seconda delle tue preferenze (e ci sono molti strumenti per entrambe le cose).

  1. Bitcoin è un protocollo

Bitcoin non è solo denaro: fondamentalmente (e per essere considerato tale ) è un protocollo . Ancora più concretamente, è un software che si esegue su un computer (“nodo”); non solo tu, ma chiunque altro lo desideri . Ogni nodo esegue una copia dell’intera cronologia e catena di transazioni (nota come blockchain ).

La blockchain di Bitcoin registra ogni transazione tra gli utenti, organizzandole cronologicamente in blocchi che vengono poi convalidati (“mined”) a intervalli medi di 10 minuti. I “miner” competono per aggiungere il blocco successivo di transazioni alla catena in cambio di una commissione pagata dal mittente e di un’ulteriore “ricompensa di blocco” (maggiori dettagli di seguito).

I nodi Bitcoin comunicano tra loro e verificano in modo indipendente ogni singola transazione per assicurarsi che non vi siano discrepanze o comportamenti scorretti, e che tutti stiano giocando la stessa partita. Per questo motivo, la blockchain è accessibile a tutti, il che previene la necessità di meccanismi di auditing centralizzati (che rappresentano singoli punti di errore: facilmente corrotti e infiltrati).

Ogni node runner è quindi un revisore della blockchain di Bitcoin ; se non vuoi affidare la verifica delle tue transazioni ad altri, è semplice come scaricare il software ed eseguirlo su una macchina. Come per la privacy, hai la possibilità (non l’obbligo) di essere sovrano quanto vuoi.

Ciò che esegui quando esegui il programma è un insieme di regole note come “regole di consenso”, la più famosa delle quali è il limite massimo di fornitura di 21 milioni di unità . Se le esegui, stai eseguendo Bitcoin; ma poiché si tratta di un software open source, puoi accedere al codice e modificarlo a piacimento (ad esempio per aumentare la fornitura e quindi gonfiare la valuta). Tieni presente che non starai più eseguendo Bitcoin, ma la tua versione personale che, molto probabilmente, nessun altro vorrà eseguire (ad esempio BitcoinCash, BitcoinGold, ecc.). Ciò significa che ti sei ritirato dal gioco e ti sei quindi reso impotente nei confronti di Bitcoin; che continuerà a funzionare finché ci saranno persone – da qualche parte, ovunque – disposte a eseguire quelle regole originali.

In altre parole, il modello di sicurezza di Bitcoin risiede nella sua apertura, unita alla sfida umana del consenso sociale – NON nella crittografia! Questo è difficile da comprendere anche per i tecnici, perché tutte le altre tecnologie si sono tradizionalmente basate sull’offuscamento . Poiché chiunque può eseguirlo e chiunque può modificarlo, ma modificare significa autoselezionarsi FUORI dalla rete, il protocollo Bitcoin non può essere “hackerato”.

Infine, poiché non esiste un computer centrale che detta le regole di Bitcoin (sono decise per consenso, in base alla versione che i runner dei nodi accettano di utilizzare, e applicate da ciascun nodo individualmente), ciò significa anche che non esiste un emittente di monete. Le nuove unità vengono “emesse” dal protocollo stesso secondo un programma predeterminato e trasparente e vengono sbloccate dai miner come ricompensa per l’estrazione di nuovi blocchi (maggiori dettagli di seguito).

Pertanto, la blockchain di Bitcoin funge da fonte di verità : riflette tutte le transazioni passate verificate per consenso e, poiché tale registrazione è inalterabile (bisognerebbe modificarla in ogni singolo nodo che ne ospita una copia), funge da testo fondamentale che tutti i giocatori concordano di seguire. La forza di questa base cresce solo con l’adesione di nuovi partecipanti, fino al raggiungimento della velocità di fuga. Qualsiasi altra copia di Bitcoin semplicemente non è Bitcoin, a prescindere da proclami emotivi e stratagemmi di marketing. Il consenso è consenso. La rete è la rete, e Bitcoin ha raggiunto la velocità di fuga tra 5 e 8 anni. Il gatto è uscito dal sacco e il genio è uscito dalla bottiglia.

  1. Bitcoin è una rete

Poiché Bitcoin è un software, tecnicamente può essere aggiornato, sebbene, come descritto in precedenza, sia difficile raggiungere il consenso necessario per applicare le modifiche. Tuttavia, Bitcoin è un software open source, quindi chiunque può contribuire con soluzioni ai problemi man mano che si presentano, il che di per sé lo rende molto adattabile , poiché qualsiasi cambiamento nel panorama tecnico può essere assorbito nel protocollo o gestito in modo efficace e relativamente rapido.

L’esempio migliore – e quello che preoccupa fin troppe persone – è l’avvento del calcolo quantistico: se sarà all’altezza delle aspettative, la crittografia tradizionale potrebbe essere compromessa, il che significa che Bitcoin morirà, giusto? Beh… no: date un’occhiata a questa risposta .

La crittografia a prova di quanti è in fase di sviluppo proprio in questo momento, poiché non sarebbe solo Bitcoin a essere interessato, ma tutto il resto: compagnie aeree, reti energetiche, banche, segreti militari, ecc. È piuttosto ovvio che non appena tale crittografia sarà disponibile, la rete Bitcoin la adotterà prontamente stabilendo un nuovo consenso. Ci sarà una fase di transizione caotica, da un consenso all’altro, costellata di dibattiti, biforcazioni del protocollo e infinite controversie… ma alla fine, la polvere si depositerà, un nuovo consenso emergerà come nuova fonte di verità e – tic tac, blocco successivo – la catena continuerà a funzionare. Ci sarà ovviamente un caos significativo nel frattempo, ma è chiaro che più urgente sarà il problema affrontato dal protocollo, più rapidamente verrà raggiunto il consenso. Troppe persone – e questo numero non farà che aumentare – hanno un interesse considerevole nella salute del protocollo per lasciarlo semplicemente morire.

Nonostante questa adattabilità, il protocollo Bitcoin stesso rimane estremamente conservativo e avverso al cambiamento. I principali problemi operativi – è relativamente lento e costoso effettuare transazioni – sono caratteristiche non bug. La catena di base di Bitcoin è un livello di regolamento, come una base di granito, su cui è possibile costruire livelli astratti di qualsiasi tipo. Uno di questi livelli è la rete Lightning, che consente micropagamenti praticamente gratuiti (fino a 1/100 milionesimo di bit

coin) alla velocità della luce. Molti altri sono e saranno sviluppati, mentre il livello di base rimane per il regolamento finale e le transazioni di grandi dimensioni che richiedono una finalità garantita.

Oltre a ciò, il protocollo stesso è anche attrezzato per rispondere ad altri tipi di sviluppi tecnologici esogeni, come le innovazioni in ambito informatico o crittografico, con quella che è forse la caratteristica più elegante del “sistema complesso Bitcoin”: l’ adeguamento della difficoltà . La difficoltà di mining di un blocco si adegua algoritmicamente all’incirca ogni due settimane, a seconda della potenza di calcolo impiegata dai miner: maggiore è la potenza, più difficile è trovare un nuovo blocco. Questo garantisce che il blocco successivo sia sempre, con una probabilità di dieci minuti, pronto per essere minato, trasformando la blockchain in un cuore pulsante per l’attività economica, indipendentemente dai cambiamenti nella tecnologia computazionale. Approfondiremo più avanti l’adeguamento della difficoltà, e in particolare come difende dalla catastrofe.

Gli utenti giocano a Bitcoin in primo luogo perché conoscono e accettano le sue regole fisse : il “mining” di nuove monete – che terminerà nell’anno 2140 – è programmato algoritmicamente, e avviene man mano che ogni nuovo blocco viene estratto e confermato dalla rete (al momento il tasso di fornitura è di 3,125 BTC per blocco). Questo tasso di fornitura viene dimezzato ogni quattro anni – un evento chiamato halving . Al momento, grazie a questa riduzione pre-programmata dell’offerta, Bitcoin è già più raro dell’oro. E, cosa più importante, tutti sanno quante monete verranno estratte per blocco in ogni era di halving.

Ora, c’è un certo rischio teorico. Gli sviluppatori di Bitcoin potrebbero essere corrotti, oppure malintenzionati potrebbero infiltrarsi nel gruppo di sviluppatori per piazzare i propri agenti, nel tentativo di manipolare Bitcoin a proprio vantaggio – sì, gli sviluppatori possono proporre modifiche e minacciare di rovinare il delicato equilibrio di incentivi che fa funzionare il protocollo, MA… il codice è accessibile a tutti , e in ultima analisi spetta ai gestori dei nodi decidere individualmente se aggiornare ed eseguire la versione più recente o meno. Come hanno scoperto anche i primi e più influenti sostenitori di Bitcoin, cercare di cambiare Bitcoin è un gioco pericoloso. Molto probabilmente finirai per essere ostracizzato e ridicolizzato.

Certo: ignoranza, mancanza di vigilanza, manipolazione di massa attraverso campagne ben orchestrate… tutto questo potrebbe indurre i gestori di nodi ad adottare una versione dannosa. Ma il fatto importante rimane che sono i gestori di nodi ad essere sovrani, non gli sviluppatori . Questo conferisce alla valuta un grado di decentralizzazione e quindi di resilienza quasi senza precedenti , paragonabile solo al linguaggio e a simili istituzioni sociali organiche. Il risultato è che non si può vietare Bitcoin: si può solo vietare se stessi.

Infine, anche se la maggior parte dei node runner si lanciasse su una versione difettosa di Bitcoin… è altamente improbabile che lo facciano tutti . Finché esisterà una rete di nodi da qualche parte che esegue la versione corretta, e finché qualcuno sarà incentivato a minare (ovvero, finché la rete avrà ancora un certo valore), Bitcoin sopravviverà . Potrebbe perdere molto valore man mano che il capitale si allontana, ma continuerà a funzionare, grazie in gran parte all’aggiustamento della difficoltà.

L’obiettivo non è la perfezione. È impossibile. L’obiettivo è l’antifragilità, e Bitcoin è il massimo dell’antifragilità . Proprio come la Cina, il governo statunitense e qualsiasi altro governo o istituzione che abbia cercato di vietarlo o bloccarlo. Anche in caso di calamità naturale, o se una grossa fetta della rete di nodi dovesse scomparire, è estremamente improbabile che ogni singolo nodo sulla Terra scompaia. Questo è anche il motivo per cui spetta a tutti noi rafforzare ulteriormente la decentralizzazione della rete gestendo un nodo. Curiosità: l’azienda Blockstream trasmette persino dati Bitcoin da satelliti geostazionari nello spazio, consentendo ai gestori di nodi di sincronizzarsi senza accesso a Internet Se avete immaginato uno scenario catastrofico, è probabile che alcuni Bitcoiner con un forte interesse nella resilienza della rete abbiano già pensato o implementato una soluzione. Questo è il potere della pelle in gioco.

  1. Bitcoin è energia

Quello che segue è ciò che rende Bitcoin denaro : non solo l’ennesimo progetto interessante e da nerd.

Perché qualsiasi cosa sia denaro, deve essere ancorata alla realtà attraverso costi reali – la moneta fiat è il monito in questo caso. Quindi, come si fa a rendere costosi un mucchio di 1 e 0 digitali? La risposta è tanto semplice quanto geniale: attraverso un dispendio energetico iniziale .

Per estrarre l’oro è necessario impiegare grandi quantità di energia. L’oro in realtà non è così raro; la sua “scarsità” – o il suo “elevato rapporto stock-to-flow” – è economica (relativa), non fisica (assoluta) ed è dovuta principalmente alla difficoltà e ai costi di estrazione e lavorazione. Ciò che limita l’afflusso di nuove unità d’oro sul mercato non sono gli ostacoli tecnologici o la vera scarsità, ma la redditività: quando la domanda di oro aumenta significativamente, le società minerarie incrementano le loro attività man mano che diventano più redditizie, poiché il prezzo unitario è cresciuto.

Inoltre, i progressi tecnici potrebbero ridurre ulteriormente la scarsità d’oro man mano che iniziamo a estrarre oro dagli asteroidi. Non è impossibile che presto assisteremo a flussi di nuovo oro simili a quelli avvenuti quando gli spagnoli conquistarono il Nuovo Mondo. Ciò causerebbe una massiccia inflazione monetaria globale se dovessimo tornare al gold standard.

Il design di Bitcoin imita l’oro in quanto i cosiddetti “minatori” sfruttano l’energia del mondo reale per risolvere complessi problemi computazionali (essenzialmente, trovare un numero casuale predeterminato); il minatore che trova il numero corretto “estrae” un blocco contenente le transazioni dell’utente, che viene poi aggiunto “on-chain” in sequenza con l’ultimo blocco estratto. C’è una differenza fondamentale, che spiegherò tra poco.

La ricompensa per l’estrazione di blocchi è duplice: (a) tutte le commissioni derivanti dalle transazioni raccolte nel blocco e (b) le nuove monete sbloccate – o “estratte” – dalla fornitura rimanente, cosa che, come detto sopra, avviene a un ritmo predeterminato e trasparente.

Esiste quindi un vero e proprio incentivo economico per i miner a impiegare quanta più potenza di calcolo possibile per aumentare le loro possibilità di estrarre un blocco, il che, nel complesso, crea una condizione in cui la spesa energetica collettiva di tutti i miner onesti (è conveniente estrarre solo transazioni valide) è maggiore di quella di qualsiasi singolo miner. In altre parole, significa che tutti i miner contribuiscono efficacemente con la loro spesa energetica alla rete. Questo è in realtà il motivo per cui i blocchi contenenti transazioni precedenti non possono essere modificati retroattivamente . Non è per qualche proprietà “magica” di una blockchain, ma specificamente perché è proibitivamente costoso farlo. L’incensurabilità e la resistenza al cambiamento di Bitcoin sono uniche perché è di gran lunga il più costoso da influenzare o alterare, e non c’è modo di simulare tale influenza se non bruciando energia tramite elaborazione. È quindi il più reale possibile.

Ora… quella differenza importante che ho menzionato prima, tra l’estrazione di oro e l’estrazione di Bitcoin, è legata alla regolazione della difficoltà che ho delineato nella precedente sezione “Bitcoin è una rete”. Questa potrebbe davvero essere una delle imprese ingegneristiche più eleganti dai tempi della ruota.

Quando il prezzo di Bitcoin sale, l’incentivo dei miner aumenta e quindi incrementano le loro operazioni (impiegando più energia); tuttavia, anche l’adeguamento della difficoltà aumenta di pari passo con la quantità di nuova potenza di calcolo impiegata. Questo fa sì che blocchi vengano ancora estratti ogni dieci minuti, il che a sua volta garantisce che il calendario di fornitura di Bitcoin rimanga noto e prevedibile – una fonte di verità.

Se il prezzo diminuisce, tuttavia, l’incentivo per i grandi operatori è minore; MA (ed è qui che avviene la vera magia) poiché anche la difficoltà del problema da risolvere per minare il blocco successivo si riduce, minare nuovi blocchi diventa più accessibile agli operatori più piccoli . In altre parole, ci sarà sempre qualcuno disposto a spendere l’energia necessaria per minare una certa quantità di Bitcoin .

Pertanto, indipendentemente da quanto aumenti il ​​prezzo di Bitcoin, non è possibile minare altri Bitcoin, e indipendentemente da quanto scenda, la stessa quantità predeterminata viene emessa dalla rete affinché qualcuno possa minare e accumulare. Questa rigidità crea sia volatilità (che a volte può essere estrema) che opportunità (anch’esse estreme), soprattutto quando Bitcoin è giovane (qualsiasi cosa abbia meno di 50 anni).

Bitcoin non è facile da capire, in realtà. Richiede un notevole studio perché rappresenta un cambio di paradigma così radicale , un distacco così netto da tutto ciò che abbiamo conosciuto finora. Richiede anche esperienza: non si può esserne davvero convinti, per quanto forte sia l’argomentazione, bisogna averla in mano per almeno un’epoca (l’intervallo di tempo tra due halving) per percepirne appieno le proprietà.

  1. Bitcoin è unico

L’ultimo e più sottovalutato elemento di Bitcoin è la sua unicità. Bitcoin non è speciale solo per tutti i motivi sopra esposti. È speciale perché è un evento irripetibile . È un momento da zero a uno.

È facile confondere Bitcoin – con la sua combinazione di proprietà tecniche e architettura di incentivi – con le criptovalute, che potrebbero condividere alcune caratteristiche, ovvero la crittografia, una blockchain e un token di qualche tipo. Ma la verità è che questi elementi da soli non sono ciò che rende Bitcoin unico. Ciò che rende Bitcoin unico è la combinazione di tutti questi fattori, e l’elemento sociale e umano del consenso (che ha raggiunto la velocità di fuga) e della path dependence – in altre parole, si possono copiare tutti gli attributi tecnici di Bitcoin, ma non si può tornare indietro nel tempo e impiantare Bitcoin nel 2008, quando nessuno credeva che sarebbe diventato una realtà, e vederlo crescere come ha fatto, organicamente, in assenza di un uomo chiave a guidarlo.

In quanto tale, non c’è nulla di simile al mondo. Ogni altra criptovaluta è in qualche modo legata a un’istituzione centralizzata (un’azienda o una fondazione), tutte con CEO o direttori al vertice estremamente fallibili e umani. Nessuna di queste si è dimostrata immune alla manipolazione. Nessuna sfrutta la potenza di calcolo, e quindi il supporto energetico, di Bitcoin. Nessuna sarà mai considerata un protocollo veramente neutrale, perché non può esserlo.

È fondamentale differenziare e distinguere. Ho cercato di delineare attentamente non solo le proprietà, ma anche i valori che la Moneta Enea deve rappresentare. Eventi di monetizzazione di questo tipo sono estremamente rari nella storia.

L’ultimo aspetto – in effetti, uno dei più cruciali – di Bitcoin riguarda le circostanze che hanno circondato la sua creazione e il suo lancio nel mondo. Un programmatore anonimo (o un gruppo di programmatori) che si faceva chiamare Satoshi Nakamoto ha lavorato su Bitcoin in segreto finché non l’ha finalmente annunciato in una mailing list per altri nerd. Poi, dopo averne curato lo sviluppo per un paio d’anni, Nakamoto è semplicemente scomparso (come dimostrano i circa 1 milione di Bitcoin a suo “nome”, che a tutt’oggi rimangono intatti). Questo è noto tra i “Bitcoiner” come l’ Immacolata Concezione di Bitcoin . Potreste sorridere di fronte alla pomposità… ma hanno ragione, ed è qualcosa che nessuna criptovaluta sarà in grado di replicare, per quanto ci provino.

Ciò che Bitcoin è oggi può essere spiegato solo dal modo in cui è stato ignorato, gli è stato permesso di fare il suo corso senza impedimenti per anni e dalla successione di eventi che ha portato alla sua posizione attuale: il suo successo è spiegabile dalla dipendenza dal percorso , ed è estremamente improbabile che le stesse identiche circostanze ed eventi si verifichino di nuovo esattamente nello stesso modo.

Tutto ciò ci pone un’ultima condizione per Aenean Money: Mythos. Satoshi, chiunque fosse, ci ha lasciato qualcosa di rivoluzionario. L’uomo, il mito, se n’è andato e ora è nostra responsabilità riprendere da dove l’ha lasciato e portare la fiaccola verso il futuro.

Bitcoin è la moneta di Enea.

Cosa succede se

Ora… so cosa alcuni di voi stanno pensando: “Ma cosa succederebbe se…”

Quindi permettetemi di abbandonarmi a questo pensiero.

Cosa accadrebbe se uno scenario catastrofico si abbattesse sulla rete, con il crollo dell’industria mineraria e, con essa, naturalmente, del valore della moneta? Ne conseguirebbe il caos… per un po’ di tempo.

Ma, come ho detto prima, finché ci saranno alcuni nodi che eseguono ancora la stessa versione della blockchain, Bitcoin sopravviverà. Tic tac, blocco successivo.

A seconda di quanto grave fosse la situazione (forse un blackout globale), forse non verrebbe estratto alcun nuovo blocco per un po’: nessuno sarebbe in grado o disposto a spendere l’energia necessaria per estrarre un blocco di moneta fortemente deprezzata. Eppure, appena due settimane dopo il disastro, la regolazione della difficoltà entrerebbe in funzione e ridurrebbe il fabbisogno energetico a un livello tale che chiunque potrebbe teoricamente estrarre un blocco utilizzando quantità trascurabili di energia, magari persino con il proprio portatile. Questo ovviamente presuppone che l’umanità esca dall’altra parte del disastro con un accesso nuovamente sufficiente all’energia.

Ma anche nello scenario peggiore, in cui l’umanità fosse immersa nell’oscurità per un periodo di tempo prolungato, la blockchain di Bitcoin rimarrebbe dormiente, in attesa di essere rianimata quando l’energia tornerà disponibile e il bisogno di denaro riemergerà. Potrebbe non essere la prima scelta in termini di denaro. Forse inizialmente l’oro è preferibile; ma col tempo, con il ritorno della rete e della connettività, aumenterà anche la necessità di una “moneta energetica digitale” – e quale opzione migliore di quella con l’intera documentazione storica e l’infrastruttura disponibile?

In definitiva, i possessori di Bitcoin sono incentivati ​​a mantenere la rete, anche se il valore dei loro beni è diminuito. Finché due nodi gestiscono la rete, le proprietà fondamentali di Bitcoin rimangono invariate. Minando i propri blocchi, sarebbero in grado di effettuare transazioni e registrarle. Col tempo, poiché Bitcoin conserva sia le proprietà che la cronologia, altri ne vedrebbero di nuovo il valore, la domanda aumenterebbe, il prezzo salirebbe; l’incentivo al mining diventerebbe più attraente; la concorrenza aumenterebbe, e quindi la quantità di energia impiegata per proteggere la rete; anche l’adeguamento della difficoltà aumenterebbe, stimolando la concorrenza e la specializzazione e proteggendo ulteriormente la rete; il che aumenta il valore catturato in ogni unità; il che a sua volta si riflette nell’aumento del prezzo di Bitcoin e nel maggiore costo opportunità di perdere opportunità…

E così, anche se probabilmente ci vorrà un po’ di tempo – la prima volta ci vollero alcuni anni per decollare e circa un decennio per diventare davvero inarrestabile – Bitcoin alla fine tornerà in vita. Questa estrema resilienza lo rende eccezionalmente utile e quindi prezioso, non solo in termini economici, ma anche in termini di civiltà.

Il futuro eneo

Credito: @PabloBrown su X.

Sebbene sia convinto che Bitcoin avrà un ruolo fondamentale nel farci superare il paradigma faustiano della moneta fiat, sono anche realista riguardo alla sua portata: se dovessimo costruire una nuova civiltà ed entrare in una nuova era, Bitcoin probabilmente non viaggerà con noi verso le stelle.

Bitcoin ha limitazioni prevedibili e specifiche. La velocità della luce è una di queste, e le distanze stellari impediscono semplicemente al protocollo di diventare interplanetario. Il centro di hash di Bitcoin – una sorta di baricentro ponderato dalla potenza di hash di tutti i miner che contribuiscono alla rete – rimarrà sempre sulla Terra o nelle sue vicinanze. Questo metterà i miner a distanze planetarie in uno svantaggio costante rispetto a quelli terrestri, perché il tempo necessario per trasmettere le informazioni alla Terra sarà maggiore del tempo di blocco di 10 minuti. Marte, ad esempio, si trova appena oltre l'”orizzonte di hash” – il diagramma seguente è tratto da un ottimo articolo che spiega esattamente perché :

In breve, è improbabile che Bitcoin ci segua nella colonizzazione di nuovi sistemi. Ma va bene così: il ruolo di Bitcoin è quello di inaugurare l’era enea .

Quando finalmente colonizzeremo Marte ed entreremo nell’era marziana, dovremo lanciare una nuova moneta, una moneta che esista solo su Marte – probabilmente una specie di moneta Musk in omaggio a quell’uomo. Allo stesso modo, Titano avrà la sua moneta, e qualsiasi altra regione remota in cui viviamo.

Inquadrare Bitcoin in questo modo – come legato a un ruolo, un tempo e un luogo specifici nella storia , e compreso entro limiti ragionevoli – ha senso, in contrapposizione alla mentalità spensierata di alcuni. È una mentalità più enea, che riconosce che cose e persone hanno il loro tempo e il loro posto, e che nessuna soluzione può risolvere tutti i problemi per sempre .

Forse l’Uomo Enea non sarà davvero l’iniziatore di una nuova civiltà e di una nuova era – dopotutto, non fu Enea a fondare Roma, ma i suoi discendenti . L’Uomo Enea potrebbe, grazie a una moneta più solida come Bitcoin, trasportare gli dei nazionali e familiari fuori dalle rovine fumanti della vecchia città, attraverso il mare e verso una nuova terra, dove alla fine sorgerà una nuova civiltà. L’Era Enea potrebbe essere solo una fase di transizione, l’Uomo Enea un timoniere che naviga nei mari tempestosi dell’Interregno. E con Bitcoin come Stella Polare, la nave potrebbe semplicemente raggiungere nuove coste…

Mi chiamo Aleksandar Svetski. Sono uno scrittore, imprenditore e lettore seriale di Substack. Se questo articolo ti è piaciuto, lascia un commento e valuta l’idea di abbonarti al mio Substack The Remnant Chronicles . Puoi anche trovare il mio libro The Bushido of Bitcoin su Amazon. (Puoi guardare il trailer qui sotto.) Grazie per la lettura.

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