LA STRATIFICAZIONE SOCIALE. UNA RIFLESSIONE, di Luigi Longo

LA STRATIFICAZIONE SOCIALE. UNA RIFLESSIONE

di Luigi Longo

La seguente riflessione scaturisce dall’ultima parte dell’intervista di Giuseppe Germinario a Gianfranco La Grassa, apparsa sul sito di Italiaeilmondo il 16 novembre 2023 con il titolo Il primato del politico, nella quale intervista si accenna alla questione della stratificazione del ceto medio.

La mia riflessione riguarda la questione dell’articolazione sociale della popolazione a partire dal cosiddetto ceto medio.

La stratificazione sociale di una nazione va vista all’interno dei rapporti sociali storicamente dati (che determinano la pienezza o la mancanza della vita vissuta), dove gli agenti strategici dominanti (gli strateghi, i gestori e gli esecutori) decidono il modello di sviluppo da realizzare nel breve-medio-lungo periodo.

Le stratificazioni sociali, all’interno delle grandi trasformazioni scientifiche e tecnologiche, sono sempre state nel passato storicamente determinato un miglioramento relativo per la maggior parte della popolazione (ad andamento aporetico cioè né lineare né deterministico) perché al centro del modello sociale dominante c’era, comunque, un essere umano sessuato all’interno del ciclo di madre natura, anche se questa era stupidamente e razionalmente aggredita (stupidità nelle relazioni sociali e territoriali, razionalità strumentale ai fini economici).

L’attuale processo di stratificazione sociale, nella fase iniziale della transizione ecologica, della digitalizzazione, della robotizzazione, dell’intelligenza artificiale (la rivoluzione elettronica per dirla con il grande storico Carlo Maria Cipolla), non considera più l’essere umano sessuato ma, l’essere umano inutile, amorfo, usa e getta, con intelligenza biologica e non individuale e sociale. In sintesi il regno animale da eliminare senza preoccupazione di nessuna natura: e qui sta il salto d’epoca. Siamo tornati alla preistoria con l’aggravante che stiamo uscendo dalla storia di madre natura che, come ci ricorda Karl Marx, non ha senso contrapporre alla storia umana << […] come se fossero due “cose” separate e l’uomo non avesse sempre di fronte a sé una natura storica e una storia naturale […]>> (L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1977, pag.16).

L’essere umano sessuato è ridotto ad una illusione di comunità, ad un non senso del vivere sociale, ad una individualità staccata dalla sua costruzione sociale; ma una comunità nella realtà deve esistere altrimenti saremmo alla fine della vita sociale umana e, quindi, del senso dell’esistenza stessa. E’ nel suo essere comunità pensante e tesa al benessere sociale che la comunità sta morendo. Bisogna recuperare il senso e la qualità della vita: << L’umano in quello che è oggettivamente fin dal suo cominciamento è due, due differenti […] Per compiere il destino dell’umanità, l’umano-uomo e l’umano-donna devono compiere ciascuno ciò che sono e nel contempo realizzare l’unità che costituiscono. L’unità che formano, fino dall’origine, in quanto specie umana è evidentemente solo una realtà prima a partire dalla quale iniziare il divenire umano. Ciò che sarà l’unità ultima, non possiamo anticiparlo: dipenderà dalla cultura del suo essere per ciascuno e dalla cultura della relazione fra i due. Questo termine non può fissarsi in un solo ente e sfugge alla rappresentazione. Far dipendere il divenire dell’unità duale della specie umana da un solo ente/essere significa negare la differenza costitutiva di quest’unità. […] La differenza tra uomo e donna esiste già, e non può essere equiparata a una creazione del nostro intelletto. Ci importa pensarla e coltivarla, certo, ma a partire da ciò che esiste. >> (Luce Irigaray, La via dell’amore, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, pp. 73-74).

E’ evidente che parlare di stratificazione sociale diventa difficile soprattutto nella fase iniziale della rivoluzione elettronica e del multicentrismo, ma è possibile solo a condizione di indagare la configurazione degli esigui strati che si formeranno nelle sfere della vita sociale (produzione e riproduzione della vita completa), cioè nel nuovo modello sociale di intendere le relazioni e il senso dell’esistenza stessa; una indagine che trova terreno fertile nel campo teorico del costruendo paradigma del conflitto strategico di Gianfranco La Grassa (Un nuovo percorso teorico, edizioni Solfanelli, Chieti, 2023), che supera l’errore di Karl Marx (grande merito dei lavori di Gianfranco La Grassa e di Costanzo Preve), cioè quello di privilegiare la sfera economica sia pure dentro i rapporti sociali e pensare un cambiamento a partire << […] dalla classe operaia, salariata e proletaria, vista come l’avanguardia politica organizzabile del lavoro collettivo cooperativo associato, dal direttore di fabbrica all’ultimo manovale, alleata con le potenze intellettuali sprigionate dalla grande produzione industriale, definita da Marx con l’espressione inglese General Intellect >> (Costanzo Preve, Politically correct: elementi di politicamente corretto. Studio preliminare su un fenomeno ideologico sempre più invasivo, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, 2020, pag. 28).

A differenza di altri passaggi d’epoca, l’attuale fase della suddetta transizione comporterà una riduzione quantitativa dei gruppi capaci di eventuale trasformazione (in questo senso è da riconsiderare la storia del luddismo del 19° secolo). Avremo, da una parte, una massa di lavoratori sempre più poveri e una massa di individui senza tutela sociale che non sono più in grado di pensare il benessere sociale e, dall’altra, una ristretta cerchia di strati nuovi di lavoratori che potrebbero accendere la scintilla di un cambiamento (che sarà difficile, considerate le condizioni oggettive del citato balzo storico che limiterebbero molto le doglie del parto di una civiltà nuova) per costruire una società di benessere. Pertanto, in questa fase, occorrerebbe una nuova forza/organizzazione sessuata che spazzi via la serva Unione Europea, pensi ad un’altra Europa, espressione di nazioni libere, autonome e solidali, lotti contro il modello egemonico degli Stati Uniti d’America (che arrogantemente si considerano << l’unico popolo indispensabile nel mondo >> che sono per una egemonia assoluta e fanno fatica a capire che sono diventati una potenza privilegiata ma non più dominante, non più centro dell’Impero del mondo) e guardi ad Oriente, un luogo capitalistico, le cui potenze consolidate (Cina e Russia) e in via di consolidamento (India), i centri del costruendo polo asiatico, sono per un mondo multicentrico. La speranza è quella che si affermi la fase multicentrica e all’interno del consolidamento di questa fase sia possibile ripensare un nuovo modello di sviluppo altro della società, storicamente determinata, portato avanti dagli agenti strategici di questa nuova forza/organizzazione espressione della maggioranza della popolazione, con le sue articolazioni sociali, capace di un progetto-processo reale dove l’essere umano << […] abbia valore per quello che crea spiritualmente e storicamente di universale in senso etico, e non solo per quello che consuma, produce e guadagna. Perciò si tratta di un universalismo pluralistico opposto a quello monistico, teorizzato dagli attuali fautori della globalizzazione economica >>. (Carlo Gambescia, Introduzione in Costanzo Preve, Hegel antiutilitarista, Settimo Sigillo, Roma, 2007, pag.9).

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Sul “potere sub-imperiale” (di Arnaud Bertrand)

Sul “potere sub-imperiale” (di Arnaud Bertrand)

di Arnaud Bertrand
(riprodotto con il permesso dell’autore)

Ho appena finito di leggere “Potere sub-imperiale” di Clinton Fernandes, ex ufficiale dei servizi segreti australiani e ora professore di studi internazionali e politici all’Università del Nuovo Galles del Sud.

Per completezza di informazione, Clinton mi ha inviato il libro e ha scritto una bella dedica su di esso, definendomi un “educatore pubblico”, che è un modo carino per dire che twitto troppo 😄

Ma non scriverei questo se non mi piacesse davvero il libro, che ritengo sia una lettura essenziale se si vuole capire la geopolitica australiana o se si è interessati alla geopolitica in generale.

Il libro fa una delle migliori descrizioni dell'”ordine internazionale basato sulle regole” che abbia mai letto, descrivendo nei dettagli come l’Australia non sia un vassallo o uno Stato cliente degli Stati Uniti, come molti credono, ma piuttosto una “potenza sub-imperiale”. Ciò significa che l’Australia, così come altre “potenze sub-imperiali” come Israele o il Regno Unito, sono essenzialmente gli scagnozzi dell’attuale dominio “imperiale” degli Stati Uniti, con il compito di preservarlo nelle rispettive regioni. Ciò significa che, in quanto scagnozzi, non sono tanto vittime di un dominio egemonico statunitense, quanto piuttosto ritengono di trarne benefici così sproporzionati da essere disposti a fare di tutto per aiutare gli Stati Uniti a preservare questo dominio contro le vere vittime, coloro che perdono in modo sproporzionato dall’ordine.

Uno degli aspetti più interessanti del libro è il modo in cui si discosta dalle teorie del realismo, sostenute da personaggi come John Mearsheimer o Stephen Walt, che affermano che tutti gli Stati – a prescindere dalla cultura, dalla religione, dalla gerarchia sociale o dal sistema politico – agiranno allo stesso modo perché tutti danno priorità alla sopravvivenza e alla sicurezza sopra ogni altra cosa. Essi affermano che, dato che la massimizzazione del potere è il modo migliore per sopravvivere nel sistema internazionale, se ne avessero l’opportunità tutti gli Stati cercherebbero di diventare egemoni come lo sono oggi gli Stati Uniti o ieri la Gran Bretagna imperiale.

Fernandes presenta una tesi molto diversa, che a mio avviso spiega molto meglio il funzionamento del mondo e il comportamento storico dei vari Stati. Il suo punto di vista è che c’è qualcosa di unico nella geopolitica degli Stati Uniti, e in quella degli Stati coloniali occidentali che li hanno preceduti, in quanto hanno queste caratteristiche estremamente aggressive – l’impulso a soggiogare e saccheggiare gli altri – che in realtà spesso danneggiano la loro sicurezza piuttosto che salvaguardarla. E lo spiega con l’indebito potere che la classe ricca ha sullo Stato in quei sistemi di governo.

Il che è difficile da negare se si guarda alle cose storicamente: per esempio, è stata la Compagnia delle Indie Orientali a iniziare la colonizzazione e il saccheggio dell’India, non lo Stato britannico che è arrivato solo in seguito per pacificare essenzialmente la crescente ribellione in India in modo da perpetuare il saccheggio in corso. Oppure prendiamo un esempio più recente: la guerra in Iraq. Ha pochissimo senso dal punto di vista della sicurezza o della sopravvivenza degli Stati Uniti, ma ha un ottimo senso dal punto di vista dell’egemonia economica o delle compagnie petrolifere statunitensi. O ancora l’attuale conflitto a Gaza, che è estremamente negativo per la sicurezza americana, in quanto genera in tutto il mondo musulmano una marea di odio contro l’America e distoglie l’attenzione americana da sfide geopolitiche più importanti. Ma ha senso se lo si guarda dal punto di vista della perpetrazione di un sistema egemonico.

In altre parole, il punto di Fernandes è che la caratteristica chiave dell'”ordine internazionale basato sulle regole” riguarda l’effettiva struttura del sistema sociale ed economico americano (o britannico, francese, australiano, ecc.), che cerca di imporre un ordine in cui il mondo intero è aperto alla penetrazione e al controllo delle rispettive classi economiche nazionali. Ecco perché l’ordine riguarda l’egemonia e non la sicurezza, e perché la prima viene spesso a scapito della seconda.

È interessante notare che John Mearsheimer si lamenta spesso, se lo si ascolta: “Perché gli Stati Uniti dovrebbero agire in modi così sciocchi che vanno contro le mie teorie realiste?”. Si è opposto fermamente alla guerra in Iraq, ha messo in guardia per molti anni dal rischio di uno scontro con la Russia in Ucraina se avessimo ampliato la NATO, e continua a parlare contro l’inequivocabile sostegno degli Stati Uniti a Israele. E così facendo Mearsheimer ammette che il realismo non spiega del tutto il comportamento degli Stati e che quindi le sue teorie non sono del tutto corrette. Fernandes offre qui una spiegazione che predice meglio il comportamento effettivo degli Stati Uniti e delle loro “potenze sub-imperiali”: non si può capire il comportamento degli Stati se ci si limita a una visione stato-centrica, ma bisogna guardare anche alle caratteristiche uniche del loro sistema politico, sociale ed economico.

Un ultimo punto interessante è che, dato che sostiene che i sistemi politici ed economici degli Stati giocano un ruolo chiave nel definire la loro geopolitica, il libro di Fernandes implica la previsione che, con l’aumento del potere della Cina, essa si comporterà in modi molto diversi rispetto agli Stati Uniti e ai suoi scagnozzi imperiali.

Dato il sistema cinese, cercherà indubbiamente di massimizzare il proprio potere, ma questa volta lo farà per la propria sicurezza e sopravvivenza, e non per servire gli interessi della propria classe ricca, e come tale si comporterà in modo molto meno aggressivo degli Stati Uniti. Ancora una volta, è interessante notare che anche Mearsheimer lo ammette, perché dice ripetutamente “quando sono in Cina, sono tra la mia gente”: come dire che seguono le sue teorie realiste molto più fedelmente degli Stati Uniti. Possiamo già vederne i contorni: è assolutamente ovvio che lo Stato cinese non è alla mercé della sua classe ricca, anzi, la Cina non è esattamente un Paese dove i miliardari hanno vita facile 😂 Stessa cosa per quanto riguarda l’egemonia: La Cina non si occupa di alleanze militari (non ne ha), interferenze straniere o colpi di stato. Infatti non ha mai sparato un solo proiettile all’estero in oltre 4 decenni. Al contrario, cerca di creare un ordine con sicurezza indivisibile e rispetto reciproco incorporato nel sistema, dove idealmente sarebbe lo Stato più potente – certo – ma non per saccheggiare o sottomettere gli altri, ma perché questo garantisce la sua sicurezza e stabilità.

Ed è esattamente il modo in cui si è comportata per 1.800 anni, quando era lo Stato più potente del pianeta prima della rivoluzione industriale: non ha mai cercato di colonizzare e saccheggiare il mondo, perché riteneva che ciò sarebbe andato a scapito della propria sicurezza, proprio come avviene oggi a scapito della sicurezza e degli interessi americani. Ha invece cercato relazioni commerciali e di rispetto reciproco che massimizzassero la sicurezza e la stabilità a lungo termine.

In ogni caso, dovreste leggere il libro: è fin troppo raro che un libro del genere venga scritto da accademici occidentali. In genere si leggono le solite stronzate sulla superiorità intrinseca dei valori occidentali e varie teorie mal fondate sul perché dovremmo governare il mondo. Questo libro offre una panoramica al di fuori della matrice.

fine del testo di Arnaud Bertrand

b qui.

Potreste liquidare il “potere sub-imperiale” discusso sopra come una “frase zoppa per evitare che [gli australiani] debbano dire vassallo”. C’è del vero in questo.

Ma distinguere l’egemonia monetaria dall’imperialismo basato sulla sicurezza come causa principale del disordine globale è, per me, una nuova intuizione. Detto in altro modo: L’aspetto della sopravvivenza e della sicurezza è rilevante solo nella misura in cui riguarda la classe dei ricchi. La visione realista di Mearsheimer non tiene conto di questo aspetto.

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Il mondo del futuro, di Wang Huning

Gli Stati Uniti come osservati speciali da un accademico cinese degli anni ’90_ Giuseppe Germinario

Il mondo del futuro
未来世界
Introduzione
Nota: la seguente traduzione è tratta dal libro del 1991 di Wang Huning, membro del Comitato permanente del Politburo, America contro America. È uno dei numerosi estratti di questo libro tradotti dal Centro di traduzione strategica. Un’introduzione generale al libro e i link agli altri estratti sono disponibili qui.

Wang Huning ha visitato gli Stati Uniti quattro decenni dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Dal punto di vista del 1989, il comunismo cinese non era ancora all’altezza della sua promessa rivoluzionaria. Il socialismo non aveva portato ricchezza o benessere nelle campagne cinesi. Il maoismo si era rivoltato contro se stesso: la violenza che ne era derivata aveva provocato milioni di morti e decine di milioni di amareggiati e disillusi. Gli intellettuali e i politici cinesi erano convinti che dovesse esistere una serie di strumenti migliori per sostenere la crescita e l’ordine. Wang Huning trovò questi strumenti negli Stati Uniti.

In America contro l’America, Wang attribuisce la pace e la prosperità americane alla fiducia dell’America nella “soft governance” [软性治理]. In contrasto con i metodi di controllo coercitivi e verticistici, che “aumentano indebitamente gli oneri e le responsabilità delle istituzioni politiche e amministrative” al di là di quanto possano sopportare, la soft governance mantiene l’ordine attraverso “mezzi economici, culturali, consuetudinari e legali”.1 Gli esempi di soft governance americana forniti da Wang sono molto vari. Egli trova la soft governance nelle attività dello Stato (come gli incentivi fiscali o le patenti di guida), nella società civile (come gli esami di ammissione a scuola o gli standard delle associazioni professionali) e nel mercato (come i rapporti di credito o i rendimenti degli azionisti). Istituzioni come queste permettono “ai settori di base della società [americana] di diventare sistemi auto-organizzati”.2 Tuttavia, le componenti più importanti dei sistemi auto-organizzati americani sono le più difficili da creare consapevolmente. Si tratta dei valori, degli atteggiamenti e delle abitudini condivise che inducono i molti ad agire di concerto senza la necessità di un coordinamento esterno da parte dei pochi. Wang suggerisce che è attraverso la cultura e la tradizione che gli sforzi egoistici di milioni di individui interessati a se stessi acquistano coerenza e direzione.

Wang dedica quindi un ampio capitolo di America contro America alla disamina dei costumi culturali del popolo americano. Due sezioni di questo capitolo sono tradotte qui di seguito.3 Il capitolo da cui sono tratte spazia ampiamente nella vita americana, toccando tutto, dagli atteggiamenti americani verso il sesso alla cornice disincantata che gli americani usano per comprendere il mondo naturale. In tutta questa discussione, la mentalità degli ospiti americani di Wang viene contrapposta – a volte esplicitamente, più spesso implicitamente – alla mentalità dei suoi connazionali. Wang vede un contrasto particolarmente netto tra l’approccio cinese e americano alla continuità e al cambiamento. “Per i cinesi”, scrive Wang in un’altra sezione di America contro America, “l’idea di innovazione è in opposizione alla tradizione, e non è facile contrastare migliaia di anni di tradizione”.4 Gli americani, al contrario, hanno perfezionato un paradosso: negli Stati Uniti il cambiamento radicale è esso stesso una tradizione stabile.

Questa è la spiegazione preferita da Wang per il Gateway Arch di St. Louis, lo Space Shuttle Discovery e le altre straordinarie opere di ingegneria che incontra negli Stati Uniti. Per Wang, queste strutture sono manifestazioni concrete dell’ossessione americana per la novità. Egli intende il dinamismo tecnologico dell’America non tanto come il risultato di alcune brillanti menti scientifiche al lavoro, quanto come il prodotto di disposizioni ampiamente condivise in tutta la nazione. Wang suggerisce che il progresso tecnologico non consiste solo nell’inventare nuove tecnologie, ma anche nell’accettarle. Il dinamismo nazionale richiede un’ampia massa di persone che accolgono con entusiasmo il cambiamento continuo come parte della loro vita quotidiana.

Wang offre diverse ipotesi sull’origine di questa caratteristica: Gli americani sono i discendenti dei pionieri che hanno colonizzato una vasta frontiera. Il naturalismo scientifico è facile per un popolo che ha a lungo equiparato lo sfruttamento della natura al successo nazionale. L’America è una nazione di individualisti atomizzati. Adottare le mode più recenti – o meglio ancora, inventare le mode più recenti – permette agli americani di distinguersi da coetanei altrimenti considerati uguali. Ma soprattutto, il popolo americano è posseduto da uno “spirito futurista” [未来主义精神]. Ovunque Wang guardi vede prove di questa mentalità futurista. La fantascienza è il genere caratteristico dell’America. Il Pentagono investe denaro nello sviluppo di piattaforme militari speculative. Gli schemi degli urbanisti americani proiettano decenni nel futuro. Il sistema universitario americano considera l’istruzione dei singoli studenti come un investimento nel mondo di domani.

Per Wang, il futurismo è l’unica forza della vita americana in grado di moderare gli imperativi del mercato. Molti passaggi di America Against America descrivono come la competizione capitalistica mercifichi tutto ciò che tocca.5 L’economia americana delle merci costringe gli americani a enfatizzare gli interessi materiali rispetto ai valori intangibili, il profitto privato rispetto al trionfo pubblico e i piani rapidi rispetto alle imprese a lungo termine. L’etica pragmatica del mercato e l’etica ottimistica del futurista formano così una “dicotomia contraddittoria” nel cuore della cultura americana. “Gli uni cercano il valore nel momento presente, gli altri nel futuro”. L’attrazione del futuro è forte. In America “raramente si trova una forza che possa sopraffare” l’etica pragmatica del mercato, eppure “le idee del futurismo sono abbastanza potenti” da farlo. Wang ritiene che la grandezza americana sia sostenuta dal fascino del mondo a venire. Come potrebbero gli Stati Uniti “mantenere il loro status… nel mondo altamente competitivo di oggi” senza “preoccuparsi del mondo del futuro”? Wang conclude quindi che l’egemonia americana non può essere stata costruita solo dagli incentivi egoistici del mercato. La spinta a costruire un futuro migliore è quindi “una componente fondamentale dello spirito generale della società [americana]” e “una forza motrice [dietro il successo americano] che non può essere sostituita da nessun’altra forza”.

È strano leggere passaggi come questi nel 2023. Quando Wang Huning scrisse America contro America, era comune per gli intellettuali cinesi condannare la cultura cinese come miope, arretrata e resistente al cambiamento.6 Oggi sono gli intellettuali americani a condannare il loro Paese come terra di stagnazione.7 Gli ultimi tre decenni di vita cinese sono stati una storia di incessante trasformazione. Molti dei tratti che Wang descriveva come caratteristici degli Stati Uniti sono ora associati alla Cina. Pochi Paesi vantano opere pubbliche più grandiose o bizzarre meraviglie architettoniche. Poche società sono così dominate da una spietata economia delle materie prime. Poche nazioni adottano così avidamente le ultime innovazioni tecnologiche. La Cina ospita persino lo scrittore di fantascienza più famoso del mondo.

La domanda è se queste caratteristiche sono destinate a rimanere. “La cosa più importante”, sostiene Wang in una sezione precedente di America contro America, “è se le forze [culturali] possono diventare un gene culturale: una tradizione. Indipendentemente dai fattori che favoriscono lo sviluppo sociale, se questi fattori non diventano una tradizione, non si radicano profondamente in una società”.8 Ciò che non è profondamente radicato non durerà.

Oggi Wang Huning deve sperare che la cultura della trasformazione della Cina abbia messo radici profonde. I piani del Politburo, che indirizzano il Partito Comunista Cinese a “dare priorità al progresso tecnologico rispetto alla crescita “9 , sembrano dipendere da questo. Potrebbe essere troppo presto per dirlo in un modo o nell’altro. Solo una generazione di cinesi ha raggiunto l’età adulta da quando Wang Huning ha pubblicato il suo libro. Il tempo dimostrerà se il tecno-ottimismo cinese è sbocciato solo come sottoprodotto temporaneo di un’economia in espansione, o se è stato incorporato con successo come gene culturale nel profondo della psiche cinese.

2. Discostarsi dalle convenzioni1
Si può dire che gli americani rimangono un popolo piuttosto conservatore in termini di valori. Concetti come la liberazione sessuale, la musica rock, gli hippy, l’omosessualità, l’edonismo e l’uguaglianza razziale non sono ancora accettati da tutti gli americani, molti dei quali si aggrappano a valori antiquati. Ciò è particolarmente vero in politica, dove i valori tradizionali dominano ancora. Anche le successive vittorie del Partito Repubblicano alle elezioni presidenziali possono essere intese come una manifestazione di questa tendenza. La gente comune continua ad attenersi a standard molto tradizionali nel valutare i leader politici. Gary Hart, colonna portante del Partito Democratico, si è dovuto ritirare dalla campagna presidenziale a causa di uno scandalo sessuale2 e Dan Quayle, pur essendo stato eletto vicepresidente, è stato [eletto solo] cavalcando la scia di George H. W. Bush.3 Molte persone scuotono la testa quando si parla di Quayle, dicendo che non è andato bene a scuola e che per quanto riguarda il servizio militare ha prestato servizio solo nella Guardia Nazionale. Sostengono che non aveva esperienza e che è salito alla ribalta grazie al padre ricco.

Molte persone dell’Est danno per scontato che in un Paese sessualmente libero come gli Stati Uniti, le relazioni [sessuali] tra uomini e donne non dovrebbero porre alcun problema. Tuttavia, spesso creano grossi problemi nella sfera politica. La questione è la stessa in tutto l’Occidente. In politica, gli americani si attengono alle idee dei padri fondatori, che sono rimaste in gran parte immutate. Anzi, tutto il loro sistema mantiene quell’insieme di idee [fondanti] escludendone altre e, da questo punto di vista, gli americani tendono a schierarsi dalla parte dei conservatori.

Eppure gli americani sono, paradossalmente, il popolo più abile al mondo nell’essere nuovo e originale. Si tratta di un fenomeno peculiare di questo popolo: la maggior parte della popolazione accetta non solo le cose più antiche e rispettate nel tempo, ma si diletta anche con quelle più nuove ed esotiche. Questa società ha più invenzioni e visioni più audaci e coraggiose di qualsiasi altra. Negli ultimi anni, gli americani hanno lanciato lo Space Shuttle4 , hanno introdotto il programma Star Wars5 e, alla fine del 1988, hanno presentato il bombardiere B-2, dall’aspetto assolutamente unico6 . Quando si entra in un grande magazzino, ad esempio, si trova un’ampia varietà di articoli utilizzati per molti scopi diversi.

Sono conservatori e innovativi allo stesso tempo. Questa sembra essere una contraddizione che si manifesta in diversi ambiti della società [americana]. Gli americani tendono a essere conservatori nei loro valori, ma perseguono la novità e l’originalità nei campi tecnici, dove spesso sono le idee più audaci a ottenere il loro sostegno e la loro approvazione. C’è un gruppo di americani che ha costruito una finta città spaziale su un terreno remoto e si sta preparando a reclutare volontari per viverci per due anni isolati [dal mondo esterno].7 È stata completata in modo sorprendentemente rapido. Se domani qualcuno proponesse di costruire un’autostrada che attraversi l’Oceano Atlantico dagli Stati Uniti all’Europa, o un’autostrada che attraversi l’Oceano Pacifico fino all’Asia, non sarebbe considerato pazzo. Al contrario, la gente penserebbe che si tratta di un’idea straordinaria.

L’impiego delle capacità umane per conquistare la natura è uno dei valori della tradizione americana. In questo caso, quindi, innovazione e tradizione non sono in contraddizione tra loro. Il processo di innovazione è un processo che rispetta i valori tradizionali. La natura di questo processo, in cui si possono immaginare le possibilità più selvagge, è spesso limitata all’ambito fisico e tecnico, settori in cui gli americani sono disposti ad accettare qualsiasi cosa. Lo sviluppo storico e il progresso tecnologico dell’America hanno generato questo stato d’animo.

Ho riflettuto più volte su questa domanda mentre visitavo il Gateway Arch di St. Louis, nel Missouri. Lì ho cercato di capire le cause e le conseguenze dell’originalità americana.

Il Gateway Arch è uno degli archi più alti del mondo. È alto circa 200 metri ed è realizzato interamente in acciaio inossidabile. Domina la città e brilla alla luce del sole e del cielo blu, uno spettacolo maestoso da vedere. L’arco si estende per oltre 200 metri e assume l’aspetto di un enorme arcobaleno argentato sulla riva del fiume Mississippi. Sotto l’arco si trova il Jefferson National Expansion Memorial, che commemora il presidente Thomas Jefferson e i suoi sforzi per promuovere lo sviluppo della parte occidentale degli Stati Uniti nella prima metà del XIX secolo. All’interno dell’arco ci sono ascensori che portano i visitatori da terra fino in cima, dove una passerella di dieci metri con finestre offre una vista a volo d’uccello sulla città di St. Louis. Gli ascensori salgono e scendono all’interno delle due gambe dell’arco. Un’idea davvero singolare. Il progettista fu l’architetto americano di origine finlandese Eero Saarinean, il cui progetto fu il vincitore di un bando nazionale indetto nel 1947. Il personale tecnico e ingegneristico iniziò la costruzione nel 1963 e completò l’arco nel 1965.

Anche il processo di costruzione dell’arco è stato alquanto singolare, in quanto non potevano esserci impalcature per un edificio di quell’altezza. Le due gambe sono state costruite da terra, con gru attaccate a ciascuna di esse. Le gru costruivano le gambe sempre più in alto, man mano che le scalavano. Le gambe sono state costruite verso il cielo secondo i calcoli precedenti, unendosi gradualmente vicino all’apice e infine unendosi per formare un arco. L’intero processo, dalla progettazione alla costruzione, era nuovo. Ma la gente lo accettò e lo costruì. Sospetto che la gente si sia chiesta: Qual è lo scopo di un edificio del genere? Può generare reddito? Perché non costruire un monumento in stile tradizionale? Chi può garantirne il successo?

Un altro edificio del Missouri che esemplifica lo spirito americano di originalità è la chiesa del college di Fulton, un piccolo luogo famoso in tutto il mondo ma senza pretese. È nota per il fatto che nel 1946, poco dopo che i fumi della Seconda Guerra Mondiale si erano diradati, [Fulton] fu il luogo di un famoso discorso del Primo Ministro britannico Winston Churchill, in cui affermò che la “cortina di ferro” era ormai calata, dividendo l’Est dall’Ovest. Iniziò così la Guerra Fredda. La “cortina di ferro” divenne un termine comunemente usato in Occidente per indicare l’Unione Sovietica e i Paesi dell’Europa orientale.

In questo luogo c’è una chiesa che, dall’esterno, non ha nulla di particolare. Non è nulla di speciale rispetto alle innumerevoli altre chiese presenti nel Paese. Tuttavia, questa chiesa ha un fascino particolare. Il motivo principale è che le pietre utilizzate per costruire la chiesa sono state tutte portate dall’Inghilterra. Originariamente era una chiesa inglese costruita nel XII secolo e poi completamente ricostruita nel 1677. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu gravemente danneggiata dai bombardamenti e non rimasero che macerie, pietre e dodici pilastri di pietra. Dopo la guerra, con la chiesa ancora in rovina, il Westminster College Memorial Committee propose di spostare le pietre nel Missouri per costruire la cappella del college e un monumento a Winston Churchill. Il terreno fu aperto nel 1965 e 700 tonnellate di pietre furono trasportate attraverso l’Oceano Atlantico per un costo di 3 milioni di dollari. [L’ex presidente Harry Truman in persona pose la prima pietra della cappella, che fu completata nel 1969.

Questa è stata certamente la quintessenza dello spirito di originalità del popolo americano. Forse qualcuno potrebbe chiedersi: Perché non hanno usato materiali locali? Quanto ha fatto aumentare i costi? Com’è possibile che non ci fossero pietre disponibili e si dovessero spedire quelle rotte attraverso l’Atlantico?

In realtà, questi sono solo due esempi dell’originalità americana. Se ne possono citare molti altri. L’arena di pallacanestro di Iowa City può contenere più di 10.000 persone, ma a livello del suolo sembra essere alta solo quanto un edificio di un piano, poiché l’intera struttura è sprofondata sotto terra. L’edificio del College of Law dell’Università dell’Iowa è una struttura spoglia di acciaio e cemento con una grande cupola e solo poche piccole finestre. Sembra una fortificazione militare che immagino sarebbe difficile da abbattere in combattimento. Gli americani sono capaci di concepire un’idea come quella di scolpire su una grande montagna le sculture colossali delle teste di cinque presidenti. L’imponente Washington Monument è spoglio e assomiglia a un obelisco egiziano.8 Il Vietnam Veterans Memorial è un muro nero con i nomi dei soldati caduti in quella guerra. I negozi di mobili vendono letti ad acqua, che sono molto popolari. Il materasso è un cuscino riempito d’acqua spesso circa 30 centimetri. È incredibilmente morbido e l’acqua al suo interno può essere riscaldata e raffreddata. I film sono il prodotto delle fantasie più particolari: basti pensare a E.T., Guerre Stellari, Superman e Incontri ravvicinati del terzo tipo. Il bombardiere B-2, recentemente utilizzato, non ha l’empennage. L’aspetto è semplicemente quello di un paio di ali, molto diverso dalla forma di un aereo convenzionale. Per quanto riguarda l’abbigliamento, le cose sono ancora più strane. L’abbigliamento nuovo è molto costoso, ma alcuni vestiti sono a brandelli fin dal momento dell’acquisto. Si dice che il processo di fabbricazione sia piuttosto complicato. Nel campo della scienza e della tecnologia, lo spirito americano di originalità è stato ancora più fecondo. Gli esempi sono semplicemente troppo numerosi per essere elencati.

Naturalmente, a volte il loro allontanamento dalle convenzioni viene portato all’estremo, come nel caso degli abiti stracciati di nuova moda di cui sopra. Ci sono poi le persone che costruiscono auto extralusso, gigantesche, con cucine interne, piscine, campi da golf, telefoni, televisori e altri tipi di comfort. Forse sono pochissime le persone che possono godere di queste cose. A volte, camminando per strada, si possono vedere persone con i capelli raccolti in punte rigide, in stile afro o addirittura rasati a metà. Ci sono luoghi pubblici in cui vengono appesi alcuni pezzi di metallo rotti e li chiamano scultura moderna. Per quanto riguarda alcune installazioni d’arte moderna, molte persone hanno paura anche solo di goderne.

In ogni caso, la ricerca della novità e dell’originalità in ambito tecnico e fisico è una vera e propria forza motrice nello sviluppo di questa società. È questo lo spirito che guida il progresso tecnologico e lo sviluppo economico. Ora, dato che gli americani sono così conservatori nei loro valori, come sono riusciti a proteggere e a far progredire questo spirito di innovazione?

Innanzitutto, distinguiamo chiaramente i valori dalla tecnologia e dal mondo materiale. I valori si riferiscono alla sfera della moralità o della sfera pubblica e dovrebbero tenere conto delle inclinazioni della maggioranza della popolazione. La tecnica e la fisica, invece, sono private. La novità è uno standard con cui si misurano gli individui privati nella società. Per essere riconosciuti nella società [americana] è importante distinguersi da tutti gli altri. [Poiché la storia politica dell’America non fornisce i presupposti che altre società hanno [per distinguersi], come la nobiltà e il lignaggio, tutti dipendono dal successo e dalla creatività [per distinguersi]. In realtà, la tendenza al conservatorismo dei valori garantisce l’innovazione in campo tecnologico e materiale, consentendo alla società di innovare in un contesto ordinato.

In secondo luogo, l’orientamento conservatore dei valori [degli americani] non ha posto particolari vincoli all’innovazione tecnologica e materiale (anche se non si può dire che non ve ne siano affatto). Gli americani sono arrivati nel Nuovo Mondo dall’Europa. All’inizio si sono trovati in una terra arida, lottando contro la natura; nella loro vittoria sulla natura, sono cresciuti. Questo è diventato un valore fisso nella tradizione americana. Riconoscere e accettare l’innovazione significa quindi, di per sé, sostenere la tradizione.

Da un lato, gli americani concepiscono le componenti tecnologiche e materiali [della vita] come estranee all’ambito dei valori. Considerano le componenti tecnologiche e materiali solo come tali: tecnologiche e materiali. Questo tipo di innovazione [l’innovazione tecnologica] si aggiunge a qualsiasi innovazione dei valori; entrambe arricchiscono i valori tradizionali. Ci sono società in cui la cultura non è così chiaramente differenziata [dalle condizioni materiali], in cui c’è uniformità sociale e in cui tutti i tipi di cose sono associati ai valori. Questo spesso tende a ostacolare il progresso tecnologico e materiale.

D’altra parte, il nucleo dei valori tradizionali è costituito da astrazioni. Si tratta di concetti come libertà, uguaglianza e ricerca della felicità. Di conseguenza, l’innovazione tecnologica e materiale può essere considerata un’espressione di libertà e l’accettazione dell’innovazione un segno di uguaglianza.

In terzo luogo, i meccanismi della società costringono le persone a innovare. Dico “costringono” perché per vincere non ci si può permettere di non innovare. Ci sono due meccanismi che costringono le persone a innovare. Uno è la supremazia del denaro. Qualsiasi persona o gruppo che voglia ottenere denaro, o guadagnarne ancora di più, deve differenziarsi dagli altri. Deve introdurre continuamente novità per attirare e attrarre le persone e la società.

L’altro [meccanismo] è la prosperità e lo sviluppo generale. Quando una società raggiunge un livello generale di benessere e di sviluppo, [le distinzioni sociali scompaiono perché] le persone tendono a una media più ricca, il che significa che non possono distinguersi senza una creatività straordinaria. Tutti perseguono l’innovazione: innovazione per il denaro, innovazione per l’autorealizzazione, innovazione per il riconoscimento sociale. Per vincere, bisogna sempre puntare al livello successivo.

In quarto luogo, la “vanità da grande potenza” spinge gli americani a perseguire la novità e l’originalità. Questa vanità non è sempre una cosa positiva, ma ha un ruolo nella promozione dell’innovazione. Fin da piccoli, gli americani sono cresciuti in un’atmosfera in cui “l’America è il numero uno”. È emerso che la maggior parte delle persone crede nell’affermazione che il proprio Paese è, a livello globale, al vertice dell’ordine di importanza. Più le persone si avvicinano alla tecnologia di alto livello, più tendono a perseguire questo status di vertice. Questa mentalità ha portato a molte creazioni americane di fama mondiale. Allo stesso tempo, però, ha anche creato delle illusioni [per gli americani] e si sono imbattuti in alcune sfide significative a causa di questa idea di essere i migliori al mondo. Tuttavia, non si può negare la sua efficacia nel promuovere l’innovazione.

In quinto luogo, l’individualismo dominante nella società ha anche un effetto indiretto sull’innovazione. Essere nuovi e originali spesso implica una qualche forma di individualismo, e ogni allontanamento dalle convenzioni implica, innanzitutto, un design unico che si distingue dagli altri. Un progetto di questo tipo richiede che l’individuo tenga in minor conto le opinioni e le richieste degli altri. La novità e l’originalità rappresentano un certo tipo di personalità. Alcune creazioni su larga scala non sono opera di una sola persona, ma alla fine possono essere scomposte nelle creazioni di molti individui, somma delle loro rispettive personalità. L’individualismo infonde nelle persone un forte senso della [propria] personalità e la tendenza a cercare di allontanarsi in modo originale dalle convenzioni. In un’atmosfera culturale diametralmente opposta, è più difficile per gli individui e la società accettare l’originalità. [Certo, l’individualismo ha un effetto negativo sull’armonia sociale, ma influisce comunque sulle persone e sulla società in modi unici.

In sesto luogo, la componente democratica dei valori tradizionali incoraggia le persone a [innovare] e ad accettare l’innovazione. Gli americani provano piacere nell’accettare l’innovazione. E, per dirla in modo più diretto, sono molto bravi a deridere coloro che non si allineano. Quando esce l’ultima novità, chi non la celebra può essere considerato meno democratico o meno raffinato culturalmente. Si può fare un parallelo con la visione di un quadro astratto: alcuni non osano parlarne male per paura di essere derisi. Detto questo, molte persone approvano sinceramente l’allontanamento dalle convenzioni. Accettano chi ha successo e chi pensa in modo diverso. Le persone che osano allontanarsi dalle convenzioni godono spesso di un grado speciale di reputazione e di rispetto.

Lo sviluppo di una società è inseparabile dal suo spirito di innovazione. Per sfruttare appieno questo spirito, la società deve incoraggiare e accettare coloro che sono disposti a guardare oltre il convenzionale. Allo stesso tempo, la perpetuazione dei valori è essenziale per qualsiasi società, altrimenti la stabilità sociale diventa difficile da sostenere. La questione è come separare la continuità dei valori dall’innovazione tecnologica e materiale. La prima garantisce lo sviluppo della seconda, mentre lo sviluppo della seconda rafforza anche la continuità e la trasmissione dei valori. Da questo punto di vista, la formazione di un’atmosfera di originalità è, in larga misura, una questione di natura dei valori stessi piuttosto che una questione tecnologica o materiale.

9. Il mondo del futuro
La mentalità americana è una sintesi piuttosto complessa, a volte persino paradossale. L’opinione popolare è che, a partire dallo sviluppo della filosofia del pragmatismo da parte di William James e C.S. Peirce10 , il popolo americano abbia posto una particolare enfasi sulla praticità. Il concetto di pragmatismo e l’esigenza di “fornire valore” permeano ogni parte dello spirito americano.

Questo pragmatismo, che si riflette nella vita sociale e nel comportamento umano in continua evoluzione, significa che tutto deve raggiungere fini utili, pratici e realistici, mentre vengono rifiutati standard di valore indiscreti, irraggiungibili o apparentemente inesistenti. Negli Stati Uniti contemporanei, questo spirito è reso più concreto dall’espressione “money first”, secondo la quale il guadagno economico rapido è la cartina di tornasole del pragmatismo e tutto ciò che fa soldi ha un valore preponderante. In un certo senso, fare soldi è diventato l’essenza del pragmatismo nell’epoca attuale.

In mezzo alla società, naturalmente, c’è una parte significativa della popolazione che continua a lottare per perseguire valori politici, morali, etici, religiosi, sociali o filosofici. Tuttavia, la maggior parte delle persone che lavorano in questi campi non ha una grande inclinazione per gli ideali.

Quando arriva la stagione elettorale, molte persone lavorano per i due partiti, ma mai per le loro convinzioni. Essendo impiegati dai partiti politici, devono lavorare per coloro di cui prendono i soldi. Nei dipartimenti governativi in cui sono impiegati tanti funzionari, è probabile che ben pochi di loro si struggano costantemente per gli ideali americani. Fanno il loro lavoro perché è solo un lavoro. Non hanno nulla che si avvicini al senso di responsabilità di “portare la moralità e la rettitudine sulle proprie spalle”. Le persone che lavorano nelle istituzioni di assistenza sociale sono desiderose di prendersi cura dei poveri e dei disabili. Tuttavia, è difficile affermare con certezza che lo facciano tutti per simpatia verso i ceti più bassi della società o i poveri. Piuttosto, è perché questo è un lavoro e ricevono uno stipendio per farlo. I professori universitari scrivono libri e tengono discorsi appassionati in classe, criticando il governo, lamentando i mali del giorno e chiedendo un cambiamento. Tuttavia, la maggior parte dei professori considera tutto ciò solo come parte del proprio lavoro, e pochi si fanno carico di un senso intellettuale di missione e responsabilità. In fin dei conti, si tratta solo di un lavoro, e niente di più. L’idea che “le questioni della famiglia, dello Stato e del mondo riguardano tutti l’individuo “11 e altri sentimenti simili sono rari. Questa è solo un’illustrazione di come il pragmatismo domini lo spirito americano e la società americana, una società che privilegia il denaro rispetto alle persone.

D’altra parte, non si può trascurare – ed è piuttosto curioso – che esiste un altro spirito che pervade la società, che chiamerei “futurismo”. In questa società eccessivamente materialista, è raro vedere una forza in grado di sopraffare il pragmatismo. Tuttavia, [qui] l’idea del futurismo esercita un fascino e un’attrattiva particolarmente forti. Così il futurismo costituisce anche una componente fondamentale dello spirito generale della società [americana]. Può essere difficile conquistare i cuori con altre idee, ma [qui] le idee del futurismo sono potenti.

Per me, il futurismo si riferisce a qualcosa che non ha un effetto diretto al momento, ma che avrà un effetto nel futuro, sia che si tratti di un oggetto tangibile, di un concetto astratto o di uno stato dell’essere. Da questo punto di vista, diventa chiaro che pragmatismo e futurismo sono una dicotomia contraddittoria: l’uno cerca il valore nel momento presente e l’altro nel futuro. Eppure [entrambi] questi due spiriti dominano di fatto [questa] società. Per questo dico che [la società americana] è una sintesi complessa.

Passiamo ora in rassegna alcuni esempi dello spirito futurista.

Sul fronte politico, basta guardare alle elezioni presidenziali del 1983. Un tema popolare per Bush e Dukakis era quello degli Stati Uniti nel XXI secolo, o del mondo e degli Stati Uniti nel XXI secolo. L’America potrebbe mantenere il suo attuale status nel mondo? Quale strada dovrebbero seguire gli Stati Uniti di fronte alle sfide del Giappone e dell’Europa, e forse della Cina? Con l’Unione Sovietica e i Paesi dell’Europa orientale che hanno sfidato l’America su tutti i fronti, come dovrebbe affrontare le sue scelte? Entrambi i partiti, nel tentativo di conquistare voti, hanno parlato di come le loro politiche e strategie avrebbero garantito che il XXI secolo sarebbe stato un secolo americano, proprio come ritenevano che il XX secolo fosse un secolo americano. Alcuni sostengono già che il XXI secolo sarà il secolo del Giappone o della Cina. Il Presidente Bush sostiene spesso che il XXI secolo sarà un secolo americano; questi slogan sono in realtà piuttosto demagogici. Nel libro di Richard Nixon del 1987, 1999: Victory Without War (Vittoria senza guerra) di Richard Nixon del 1987, i temi ricorrenti sono come l’America vincerà in futuro, quali tipi di minacce il Paese incontrerà in futuro e quali strategie dovrebbe adottare in risposta. Fu subito un best-seller. È chiaro che queste preoccupazioni sono condivise sia dai politici che dal pubblico in generale, altrimenti non sarebbe una strategia di successo per attirare gli elettori.

Anche per quanto riguarda le forze armate, gli americani nutrono sentimenti ideologici piuttosto forti sul futuro. Gli Stati Uniti hanno dedicato un’attenzione straordinaria e investito molto nella guerra, nella strategia e nella ricerca sulle armi per prepararsi al futuro. Le decine di miliardi di dollari spesi per il programma Star Wars sono il risultato del dominio del futurismo. Per molti, il programma non sembra essere altro che un’idea fantasiosa. Tuttavia, gli americani sono determinati ad attuarlo seriamente contro la possibile concorrenza futura nella corsa agli armamenti strategici. Il programma ha suscitato un’agitazione e un’infinita serie di dibattiti in entrambi i partiti politici. Una potenziale ragione di questo [tumulto] è che si trattava di uno scontro tra gli spiriti del pragmatismo e del futurismo. Nello sviluppo degli armamenti, lo spirito del futurismo ha prevalso per la maggior parte. Inoltre, l’industria degli armamenti è, nel complesso, a favore del futurismo perché è redditizio, nonostante il fatto che [le persone dell’industria degli armamenti] possano essere tutte pragmatiche fino al midollo. Il bombardiere B-2, presentato di recente, è un tipico riflesso di questo futurismo. Nonostante l’impressione che il pragmatismo sarebbe stato l’ideologia trainante al crocevia della strategia, il futurismo è diventato predominante. Per quanto riguarda i conflitti e la volatilità del Nicaragua, delle Filippine e del Medio Oriente, l’approccio del governo statunitense è, per la maggior parte, basato sul pensiero strategico futurista.

La mentalità americana sullo sviluppo tecnologico è [ancora] più futurista. In ambiti fondamentali come la teoria di base, l’astrofisica, le scienze biologiche e la chimica, la fede nel futurismo è fiorente. Si dice spesso che le scienze godano del maggior sostegno finanziario nelle università americane, con fondi provenienti da fondazioni esterne o da altre istituzioni. [Il motivo per cui queste organizzazioni sono disposte a investire così tanto denaro è che la loro filosofia guida è orientata verso il futuro. Gli Stati Uniti hanno recentemente annunciato la costruzione di uno dei più grandi collisori di particelle del mondo.12 Con una lunghezza totale di 80 chilometri, sembra un progetto di dimensioni sorprendenti. Ma con un occhio al futuro, gli americani hanno deciso di stanziare i fondi e di costruirlo. Anche i computer guardano al futuro: le aziende investono ingenti somme nello sviluppo degli ultimi modelli. La protezione dell’ambiente ha suscitato un’attenzione senza precedenti e il consenso dell’opinione pubblica [sulla necessità di proteggere l’ambiente] esiste ora dove prima non c’era. La questione è diventata una forza fondamentale che guida la politica del governo. Un tale consenso sarebbe difficile da ottenere in assenza dello spirito futurista.

Il futurismo è ancora più profondo quando si tratta di edilizia urbana. Che si tratti di Iowa City, una piccola città di poche decine di migliaia di abitanti, o di New York, una metropoli di oltre 10 milioni di abitanti, il futurismo gioca un ruolo decisivo nella progettazione architettonica urbana. Per garantire il successo dell’attuazione di qualsiasi programma di pianificazione urbana, è necessario soddisfare una condizione importante: Cosa ne sarà del progetto nei decenni successivi? Diventerà un ostacolo o un ponte per l’ulteriore sviluppo della città? In molte città, autostrade, metropolitane, edifici e case sono progettati e costruiti pensando al futuro. Il World Trade Center di New York, per esempio, è costituito da edifici maestosi che si ergono nel cielo, con il mondo sottostante ancora più impressionante. Ci sono enormi livelli sotterranei con metropolitane e treni che collegano tutte le zone di New York e degli Stati limitrofi. I progettisti, nello svolgere il loro lavoro, hanno tenuto conto delle esigenze future della città. In un gran numero di città, molte unità abitative hanno più di cinquant’anni, alcune addirittura più di cento. Tuttavia, ancora oggi non appaiono fatiscenti o eccessivamente anguste. I piccoli edifici, una volta ristrutturati, sono ancora un’ottima soluzione abitativa. Sono una risorsa inestimabile. Se tutte le case costruite all’epoca fossero diventate obsolete o inabitabili nel giro di cinque o vent’anni, l’edilizia abitativa non avrebbe potuto raggiungere il livello odierno. Il futurismo si manifesta nell’edilizia urbana sotto forma di grandi progetti ispirati da un pensiero strategico a lungo termine.

Il futurismo si manifesta anche nell’educazione degli individui di talento. Gli americani sanno che il mondo del futuro appartiene ai bambini e ai giovani di oggi. Saranno in grado di affrontare le sfide del presente e quelle del mondo di domani? L’espressione “paradiso dei bambini” [usata in Cina in riferimento alla società americana], si riferisce al modo completo in cui i bambini vengono curati affinché siano in grado di affrontare il futuro. Lo stesso vale per la loro formazione universitaria. I risultati e lo status [globale] degli Stati Uniti oggi sono inestricabilmente legati alla loro istruzione universitaria. Il successo educativo è la forza più potente per mantenere e sviluppare un sistema sociale. Qualunque sia la natura delle istituzioni di una società, sarebbe difficile mantenerle senza il successo nell’istruzione. Sia i governi che le università si sono impegnati a fondo per affrontare il mondo del futuro.

Lo spirito del futurismo si riflette in molti aspetti [della società americana], e quindi non bisogna semplificare eccessivamente [questa società] bollandola come interamente pragmatica. È ovvio che il pragmatismo gode di uno status dominante. Quindi, la domanda è: perché questa società ha dato origine a un futurismo così potente? E come fanno [gli americani] a conciliare questi due spiriti? Lo spirito della tradizione americana è sempre stato quello del pragmatismo. Infatti, dal momento in cui i primi coloni misero piede sul territorio per iniziare a costruire case e a lottare con la natura nella loro nuova patria, c’era un bisogno speciale di pragmatismo. [In questa terra non c’era una tradizione culturale radicata, c’era poco da filosofare e non c’erano molti soldi o ricchezze che permettessero alle persone di soddisfare la loro immaginazione. Per sopravvivere, bisognava dare priorità alla praticità e ai risultati tangibili. Questo spirito, nato dai primi coloni, è stato portato avanti con lo sviluppo del vasto territorio del Paese ed è diventato lo spirito guida di questa società.

D’altra parte, gli Stati Uniti sono stati gradualmente coinvolti nella comunità internazionale a partire dal XX secolo e sono balzati al ruolo di prima potenza mondiale. Dopo la Seconda guerra mondiale, il Paese è diventato una grande potenza seconda a nessuno. I decenni successivi hanno forgiato una forte mentalità americana del tipo “siamo i numeri uno al mondo”. Il mantenimento di questo status è diventato il consenso [nazionale] dell’America. Per mantenere il proprio status di “capobranco” nel mondo odierno, altamente competitivo, si opta naturalmente per il futurismo, poiché altrimenti il Paese perderebbe la propria leadership. La mentalità del “numero uno al mondo” esercita un’influenza sottile e graduale sulla promozione del futurismo, per cui è forse difficile trarre conclusioni precise. Tuttavia [possiamo almeno dire che] se un Paese che occupa la posizione più alta al mondo non pensa a come impedire agli altri Paesi di superarlo e a come rimanere in testa sotto tutti i punti di vista, si arriverà naturalmente all’obsolescenza.

Se si esamina a fondo la psicologia personale, la mentalità futurista degli americani potrebbe avere a che fare con l’incertezza che tutti provano per il futuro. Sia che si parli di lavoro, di vita sociale, di matrimonio o di istruzione, è difficile dire che qualsiasi [aspetto della vita americana] sia garantito per tutta la vita. Nel sistema americano è raro che il governo garantisca qualcosa per tutta la vita di un individuo, con la possibile eccezione della sicurezza sociale che, ovviamente, richiede un lavoro. Gli individui non possono affidare le proprie cure alla famiglia, ai genitori, agli amici, alle imprese private o addirittura al governo. Tutto ciò che possono fare è sperare in un futuro in cui l’ambiente sociale, la possibilità di guadagnarsi da vivere e le condizioni di vita siano migliori o almeno non peggiori di quelle attuali. Dal punto di vista di qualsiasi membro di una società di questo tipo, il senso di incertezza sul futuro è una motivazione importante per credere nel futurismo.

E qui sta il conflitto e la sintesi tra pragmatismo e futurismo. Il momento della sintesi si verifica quando entrambe le correnti di pensiero trovano [qualcosa] di favorevole e vantaggioso. Il momento del conflitto si verifica quando sono in contrasto tra loro. I conflitti e le controversie che appaiono nella società [americana] su molte questioni sono generalmente legati alle somiglianze e alle differenze tra i due spiriti. Naturalmente, il conflitto si svolge a un livello più profondo. D’altra parte, in molti casi le persone credono nel futurismo per ragioni pragmatiche, mentre in altri casi credono nel pragmatismo, ma con un pensiero futuristico.

Lo sviluppo di questa terra è inseparabile dalle preoccupazioni dei suoi abitanti per il mondo del futuro. Le loro preoccupazioni per quel mondo possono essere il prodotto di vari scopi e intenzioni, come il desiderio di diventare l’egemone del mondo, il desiderio di promuovere lo sviluppo globale e varie altre motivazioni personali. Tuttavia, queste preoccupazioni diventeranno una convinzione e uno spirito condiviso nello sviluppo sociale della società. Esse generano una forza motrice che non può essere sostituita da nessun’altra forza. In generale, ogni nazione deve preoccuparsi del mondo del futuro e capire quale sarà il suo status o il suo obiettivo in quel mondo. Solo allora la nazione può davvero trovare un percorso di sviluppo e una visione espansiva e lungimirante.

1. Wang Huning 王沪宁, Meiguo Fandui Meiguo 美国反对美国 [America contro America] (Shanghai: Shanghai Wenyi Chuban She 上海文艺出版社 [Shanghai Humanities Publishing Co.], 1991), 258.
2. offerta, 15.
3. Si trovano alle pagine 73-80 e 107-113 del testo originale.
4. Ibidem, 6. Per una traduzione inglese di questo passaggio, si veda Wang Huning. “L’incertezza creata dall’America”, trad. it. Leah Holder, Center for Strategic Translation, ottobre 2023.
5. Oltre all’estratto tradotto di seguito, si veda Wang, Meiguo Fandui Meiguo 美国反对美国 (America contro America), 10-15, 124-30, 106, 164-169, 179-185.
6. Per ampi esempi, si veda Chen Fong-ching e Jin Guantao, From Youthful Manuscripts to River Elegy: The Chinese Popular Cultural Movement and Political Transformation 1979-1989 (Hong Kong: Chinese University Press, 1997), passim.
7. Ad esempio, Ross Douthat, The Decadent Society: How We Became Victims of Our Own Success (New York: Simon and Schuster, 2020); J. Storr Halls, Where is My Flying Car (New York: Stripe Press, 2021).
8. Wang, “L’incertezza creata dall’America”. Si veda anche la discussione di Wang sui “geni politici” in Meiguo Fandui Meiguo, 55-59.
9. Questa frase, che caratterizza bene il nuovo approccio cinese, proviene da Ruihan Huang e Joshua Henderson, “The Return of Technocrats in Chinese Politics”, Macro Polo, 3 maggio 2022. Per approfondire la logica di questo nuovo approccio si vedano le voci del glossario CST NEW DEVELOPMENT CONCEPT e NEW DEVELOPMENT PATTERN.
AUTORE
Wang Huning
王沪宁

1. La frase biāoxīn lìyì [标新立异] è usata ripetutamente nel testo di Wang. La frase può essere usata sia come aggettivo che come sostantivo; descrive tutti i tentativi di allontanarsi dalle convenzioni esistenti e di percorrere sentieri non battuti. Connota quindi sia l’anticonformista che l’originale. A seconda del contesto, questa traduzione rende biāoxīn lìyì variamente come “romanzo/novità”, “originale/originalità”, “non convenzionale/partenza dalle convenzioni”.
2. Gary Hart (nato nel 1936) è stato rappresentante del Colorado al Senato degli Stati Uniti dal 1975 al 1987. Era in lizza per la nomination democratica alle elezioni presidenziali del 1988, ma dovette ritirare la sua candidatura quando i giornalisti scoprirono una relazione extraconiugale che Hart aveva avuto durante la campagna elettorale.
3. Dan Quayle (nato nel 1947) è stato il compagno di corsa di George H. W. Bush alle elezioni presidenziali del 1988. Definito dai media un peso piuma, Quayle è stato spesso messo in discussione dai giornalisti e dagli avversari in campagna elettorale per la sua relativa mancanza di esperienza. Durante la campagna presidenziale del 1988, un articolo del Washington Post rivelò che Quayle aveva fatto leva sull’influenza della famiglia per arruolarsi nella Guardia Nazionale invece di essere arruolato nella guerra del Vietnam. Michael Isikoff e Joe Pichirallo, “Qualye Was In Line To Be Drafted”, Washington Post, 20 agosto 1988.
4. Il programma Space Shuttle è stato il quarto programma di volo spaziale umano gestito dalla NASA, attivo tra il 1981 e il 2011. Gli Space Shuttle sono stati i primi veicoli spaziali riutilizzabili con equipaggio che hanno effettuato più voli in orbita e sono poi atterrati al rientro. All’epoca in cui Wang pubblicò America contro America rappresentavano l’avanguardia della tecnologia spaziale.
5. L’Iniziativa di Difesa Strategica, soprannominata Programma Guerre Stellari, era una proposta di sistema di difesa missilistico che Ronald Reagan annunciò al pubblico americano il 23 marzo 1983. Le proposte dell’SDI comprendevano un’ampia gamma di concetti di armi avanzate, tra cui laser, armi a fascio di particelle e missili orbitanti. Nessuna di queste tecnologie è stata sviluppata con successo prima che il programma fosse terminato nel 1993.
6. Il B-2 Spirit è un bombardiere strategico stealth progettato dalla Northrop Grumman. Il volo inaugurale della piattaforma è avvenuto nel 1989; la strana forma del bombardiere ha lo scopo di ridurre la sua sezione trasversale radar, permettendo al B-2 di penetrare le difese aeree standard.
7. Si tratta di un riferimento alla Biosfera 2, una struttura di ricerca sul sistema terrestre situata a Oracle, in Arizona. Costruito tra il 1987 e il 1991, l’impianto è stato progettato per testare la fattibilità di un sistema ecologico chiuso per sostenere la vita umana nello spazio. In particolare, il finanziamento del progetto è stato interamente privato.
8. Nel testo cinese Wang lo descrive come il “monumento di Washington agli eroi sconosciuti”. Probabilmente sta confondendo il monumento di Washington con la Tomba del Milite Ignoto di Arlington, VA.
9. O, più letteralmente, “Come si alza la marea, si alza anche la barca”. Questo modo di dire si riferisce a qualsiasi situazione in cui una parte segue la linea di tendenza di un insieme più grande.
10. Charles Sanders Peirce (1839-1914) e William James (1842-1910) fanno parte della prima generazione di filosofi americani che negli anni Settanta del XIX secolo svilupparono la scuola del pragmatismo. Questa scuola filosofica considera il linguaggio e il pensiero come strumenti per la previsione, la risoluzione di problemi e l’azione, piuttosto che per descrivere, rappresentare o rispecchiare la realtà.
11. “Le questioni della famiglia, dello Stato e del mondo riguardano tutte l’individuo” è un popolare distico cinese che risale al XII secolo.
12. Wang si riferisce al Superconducting Super Collider, la cui circonferenza di 54 miglia prometteva di essere la più grande del mondo. Il progetto è stato cancellato nel 1993 dopo che erano stati spesi 2 miliardi di dollari per la sua costruzione iniziale.
PUBBLICAZIONE ORIGINALE
L’America contro l’America
美国反对美国
DATA DI PUBBLICAZIONE
1 gennaio 1991
TRADUTTORE
Aaron Hebenstreit
DATA DI TRADUZIONE
novembre 2023

https://www.strategictranslation.org/articles/a-colorful-national-character?utm_source=substack&utm_medium=email#body-content

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Sfarzo contro progresso: rivisitazione dell’incontro Biden-Xi_ da Stratfor

LETTURA DI 6 MINUTI 16 novembre 2023 | 20:46 GMT

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden cammina con il presidente cinese Xi Jinping mentre si incontrano a margine del vertice della Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) a Woodside, California, il 15 novembre 2023.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden cammina con il presidente cinese Xi Jinping mentre si incontrano a margine del vertice della Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) a Woodside, California, il 15 novembre 2023.

(BRENDAN SMIALOWSKI/AFP tramite Getty Images)

Sebbene il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il suo omologo cinese Xi Jinping abbiano raggiunto accordi modesti durante l’incontro del 15 novembre, visioni strategiche contrastanti impediranno non solo l’attuazione di questi accordi ma anche gli sforzi a lungo termine per allentare la concorrenza USA-Cina, perpetuando rischi di ulteriori restrizioni commerciali e crescenti tensioni militari nello spazio marittimo asiatico. Durante il loro incontro di quattro ore a margine del vertice della Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) , Biden e Xi hanno concordato di riprendere i dialoghi militare-militari, nonché le linee di comunicazione dirette tra i due presidenti. I due leader si sono inoltre impegnati a mantenere aperte le linee di comunicazione su tutti i tipi di questioni economiche e di sicurezza in futuro, compresa la limitazione delle minacce alla sicurezza poste dall’uso dell’intelligenza artificiale nelle applicazioni militari, in particolare per le armi nucleari. Inoltre, hanno assicurato la cooperazione sull’interdizione del traffico di fentanil, con Xi che si è impegnato a reprimere le forniture di precursori di farmaci e presse per pillole provenienti dalla Cina. Infine, Biden e Xi si sono impegnati ad aumentare il numero di voli tra la Cina e gli Stati Uniti e ad approfondire i legami culturali ed educativi dei loro paesi. Entrambe le parti hanno ribadito posizioni preesistenti sulle controversie commerciali, sulla concorrenza economica, sulle violazioni dei diritti umani, sulle guerre in Ucraina e nella Striscia di Gaza e sul destino di Taiwan , ma non hanno raggiunto alcun nuovo accordo specificamente su queste questioni.

  • Gli inviati statunitensi e cinesi per il clima hanno pubblicato un accordo sulla cooperazione climatica il 15 novembre, a conclusione dei colloqui del 4-8 novembre prima dell’APEC, in cui si sono impegnati a lavorare insieme per mitigare le emissioni di metano, la perdita di foreste e l’inquinamento da plastica. Entrambe le parti hanno inoltre concordato di aggiungere obiettivi di riduzione delle emissioni di ossido di azoto, metano e altri inquinanti diversi dal biossido di carbonio ai loro obiettivi climatici per il 2035. Hanno concordato di cooperare su almeno cinque importanti progetti di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio entro il 2030.
  • Al di fuori dei colloqui bilaterali, Washington ha cercato di assegnare nuovi requisiti sul clima e sull’inclusione nel commercio e negli investimenti tra i partner dell’APEC, noti come Principi di San Francisco. La Cina è stato l’unico membro dell’APEC a non accettare questi principi, quindi non è stato raggiunto alcun accordo.
  • I membri dell’Accordo Globale e Progressivo di Partenariato Transpacifico (CPTPP) si sono incontrati al vertice dell’APEC e hanno espresso la loro disponibilità ad ammettere nuovi membri, anche se non hanno menzionato esplicitamente la Cina o Taiwan, che hanno entrambi presentato domanda di adesione al Giappone. gruppo commerciale guidato e originato dagli Stati Uniti.
  • La notte del 15 novembre, Xi ha anche tenuto un discorso davanti a un pubblico di imprenditori statunitensi in cui ha criticato il punto di vista della Cina sugli affari mondiali, sostenendo che la Cina non cercherà mai l’egemonia, la Guerra Fredda o i giochi a somma zero, e ha affermato che “ la tendenza storica della coesistenza pacifica tra Cina e Stati Uniti non cambierà.”

Gli accordi raggiunti durante l’incontro Biden-Xi sul fentanil, sulle comunicazioni da militare a militare e sul clima evidenziano un desiderio reciproco di cooperazione modesta, ma sono anche sfortunati a causa di problemi di attuazione e di profonda sfiducia. I colloqui Biden-Xi sono stati guidati in parte dalla reciproca preoccupazione per il rapido deterioramento dei legami tra Stati Uniti e Cina in seguito alla visita dell’ex presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan nell’agosto 2022. Ma l’incontro è stato guidato anche dalla recente proliferazione di restrizioni commerciali e tecnologiche tra i due paesi, nonché dal desiderio comune di evitare che le crescenti tensioni scatenino un vero e proprio conflitto militare. A causa del rallentamento delle relazioni USA-Cina, la cooperazione bilaterale era scesa a livelli molto bassi – fino a circa tre mesi fa, quando entrambe le parti hanno iniziato a cercare di rilanciare tutti i tipi di gruppi di lavoro economici e di sicurezza in vista dell’APEC. In questo contesto, i nuovi accordi firmati durante l’incontro Biden-Xi sono degni di nota per il loro potenziale di migliorare la cooperazione e la comunicazione tra i due paesi, ma ogni accordo dovrà affrontare sfide di attuazione. L’applicazione dell’accordo sul fentanil, in particolare, sarà difficile, perché mentre la Cina potrebbe perseguire singole entità che trafficano in precursori, probabilmente non reprimerà il commercio del fentanil nel suo insieme, soprattutto considerando che si tratta di una mucca da mungere per la nascente industria farmaceutica cinese. aziende – un settore strategico emergente che Pechino vuole coltivare per diventare competitivo a livello globale. L’accordo sulle comunicazioni militari, nel frattempo, ridurrà la misura in cui gli scontri marittimi e aerei possono degenerare in colpi di arma da fuoco. Tuttavia, la Cina ha una lunga storia (anche durante i periodi amichevoli con Washington) di non rispondere, letteralmente, al telefono quando i leader militari statunitensi tentano di contattare direttamente la Cina per una crisi urgente. Inoltre, mentre i dialoghi militari ad alto livello (ad esempio tra i ministri della difesa) contribuiranno a ridurre le incomprensioni tra entrambe le parti, le posizioni contraddittorie di Stati Uniti e Cina su tutti i tipi di questioni di sicurezza – da Israele e Ucraina a Taiwan e al Mar Cinese Meridionale – limiteranno la fruttuosità di tali discorsi. L’accordo sul clima tra Stati Uniti e Cina firmato all’APEC è degno di nota anche data l’entità della cooperazione bilaterale promessa, poiché la Cina ha generalmente perseguito il proprio percorso verso la decarbonizzazione e la transizione verde, e si è opposta agli sforzi statunitensi ed europei per far sì che la Cina assumesse impegni globali che limiterebbe la sua libertà di movimento economico. Ma l’attuazione dell’accordo, ancora una volta, sarà fondamentale da tenere d’occhio, soprattutto quando sorgono nuove controversie geopolitiche e la Cina considera il taglio dei colloqui sul clima (e sulla difesa) come uno strumento coercitivo contro Washington.

La concorrenza strategica tra Stati Uniti e Cina ostacolerà gli sforzi di entrambe le parti volti a sfruttare i progressi compiuti al vertice APEC, mantenendo il rischio di ulteriori restrizioni economiche, nonché il potenziale di conflitto militare in vari teatri, tra cui Taiwan. Nonostante lo sfarzo del vertice APEC e l’ottimismo espresso da Biden e Xi riguardo ai conseguenti accordi USA-Cina, prospettive strategiche giustapposte metteranno Washington e Pechino l’una contro l’altra per il prossimo futuro e limiteranno i progressi nel miglioramento della comunicazione militare-militare, nella cooperazione su il commercio del fentanil e la cooperazione sulle questioni climatiche, tra molti altri obiettivi. Gli Stati Uniti vedono ancora la Cina come la più grande sfida strategica al dominio economico e militare degli Stati Uniti e vogliono perseguire una competizione economica limitata con Pechino ed espandere le partnership militari con i vicini della Cina come parte di un duplice approccio volto a preservare una definizione ampliata di potere statunitense. sicurezza nazionale. Pechino, d’altro canto, vede gli Stati Uniti come una potenza in declino intenzionata a rallentare l’ascesa della Cina con una mentalità a somma zero, da Guerra Fredda, e cerca di tornare ai giorni precedenti la svolta di Washington verso l’Asia, in cui entrambe le parti in gran parte mettevano da parte le loro differenze per il bene del reciproco vantaggio economico. Oltre a queste visioni strategiche opposte, gli Stati Uniti e la Cina hanno anche obiettivi geopolitici opposti, tra cui il dominio nell’alta tecnologia, la sovranità di Taiwan e l’espansione dello spazio politico per regimi autoritari rispetto a quelli democratici. Queste differenze, a loro volta, continueranno a ostacolare gli sforzi USA-Cina volti a frenare la proliferazione dei rischi economici presentati dall’altro (come restrizioni commerciali e trattamento ingiusto delle imprese), oltre a proliferare il rischio di basso livello di conflitto militare. compreso intorno a Taiwan o nel Mar Cinese Meridionale). Sebbene l’incontro Biden-XI all’APEC e le riunioni di follow-up spingeranno verso progressi su questioni minori di cooperazione, l’attuazione sarà paralizzata dalla sfiducia e dal disallineamento degli obiettivi economici. Inoltre, se l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump venisse rieletto nel 2024, il suo ritorno alla Casa Bianca rischierebbe di sotterrare eventuali accordi USA-Cina stipulati sotto Biden.

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Le implicazioni della riforma farmaceutica dell’UE, di Stratfor

Le implicazioni della riforma farmaceutica dell’UE
12 MIN LETTURA17 novembre 2023 | 21:37 GMT

Se approvato, un piano di riforma delle norme farmaceutiche dell’Unione Europea creerà opportunità per migliorare la resilienza della catena di approvvigionamento del settore, ma ciò potrebbe avvenire al prezzo di un aumento dei costi e di una riduzione della competitività per l’industria. In aprile, la Commissione europea ha proposto una revisione delle norme farmaceutiche del blocco, che da allora ha suscitato polemiche nel settore. La riforma mira ad affrontare i problemi strutturali e della catena di approvvigionamento (come le differenze di accesso e di costo dei trattamenti e dei farmaci tra i Paesi dell’UE), cercando al contempo di migliorare la capacità del blocco di affrontare le nuove e vecchie sfide come la resistenza antimicrobica (AMR) e le malattie rare. Ma i gruppi industriali avvertono che la riforma – in particolare le nuove regole che accorcerebbero il periodo standard di esclusiva di mercato per i nuovi farmaci – ridurrebbe drasticamente gli incentivi a investire in Europa, accelerando una tendenza che ha già visto la regione perdere circa un quarto degli investimenti globali in ricerca e sviluppo (R&S) negli ultimi due decenni. In un rapporto pubblicato all’inizio del mese, la Federazione europea delle industrie e delle associazioni farmaceutiche (EFPIA) ha dichiarato che l’Unione Europea rischia di perdere 2 miliardi di euro (2,1 miliardi di dollari) all’anno in investimenti in R&S farmaceutica se il piano di riforma di Bruxelles verrà ratificato.

La disposizione più controversa della riforma prevede l’eliminazione di due anni dal periodo di protezione normativa standard di 10 anni, durante il quale i produttori di farmaci godono di un accesso al mercato senza concorrenza dopo il lancio di un nuovo prodotto. Le nuove regole riducono la durata della protezione normativa standard da 10 anni a otto anni, di cui sei anni di protezione dei dati e due anni di protezione del mercato. Tuttavia, le aziende che lanciano il loro nuovo prodotto in tutti i Paesi dell’Unione Europea recupereranno i due anni aggiuntivi di protezione, nel tentativo di incentivare l’innovazione e aumentare l’accesso ai farmaci in tutto il blocco. Le aziende che facilitano le sperimentazioni cliniche comparative, che lanciano prodotti che rispondono a esigenze mediche non soddisfatte o che incoraggiano lo sviluppo di nuove indicazioni per il trattamento di altre malattie riceverebbero anche sei mesi o un anno di protezione in più. Complessivamente, la creazione di incentivi che ricompensino le aziende che raggiungono questi obiettivi chiave per la salute pubblica consentirebbe ai produttori di farmaci di ottenere un massimo cumulativo di 12 anni di protezione regolatoria, due anni in più rispetto ad oggi. Anche se le aziende rinunciano a questi incentivi, la riduzione del periodo standard di protezione regolatoria a otto anni consentirebbe almeno ai pazienti e ai sistemi sanitari di accedere tempestivamente a opzioni terapeutiche più convenienti, rendendo disponibili più rapidamente i farmaci generici. Tuttavia, diverse aziende farmaceutiche e rappresentanti dell’industria hanno sostenuto che l’indebolimento delle protezioni dell’esclusiva di mercato potrebbe erodere il sistema di proprietà intellettuale dell’Unione Europea e scoraggiare gli investimenti in R&S nel blocco.

Il 3 novembre, Lars Fruergaard Jorgensen, amministratore delegato della più grande casa farmaceutica europea Novo Nordisk, ha dichiarato che la sua azienda accelererà la sua espansione negli Stati Uniti a spese dell’Unione Europea, a meno che Bruxelles non modifichi i suoi piani di riforma del quadro normativo del blocco per il settore farmaceutico, sostenendo che la proposta creerebbe un “ecosistema negativo” per gli investimenti in Europa.
Secondo il rapporto dell’EPFIA, se la riforma venisse ratificata, la quota dell’Unione Europea nella R&S farmaceutica globale scenderebbe al 21% entro il 2040, rispetto al 37% del 2010, poiché le piccole e medie imprese del blocco faticano a reperire fondi.
La riforma mira a migliorare l’accesso ai farmaci, a promuovere l’innovazione e ad affrontare le crescenti sfide del settore farmaceutico, come la carenza di farmaci e la resistenza antimicrobica. Il piano mira a creare un mercato unificato dei farmaci per garantire un accesso tempestivo ed equo ai medicinali per tutti i pazienti dell’Unione Europea. A tal fine, la riforma di Bruxelles propone di creare un sistema di incentivi per premiare le aziende che soddisfano gli obiettivi di salute pubblica, come rendere disponibili i farmaci in tutti gli Stati membri, sviluppare farmaci per rispondere a esigenze mediche non soddisfatte, condurre studi clinici comparativi e riproporre i farmaci per trattare altre malattie. La proposta enfatizza anche la trasparenza nella divulgazione dei finanziamenti pubblici per la ricerca, lo snellimento delle procedure e la riduzione degli oneri amministrativi per accelerare i processi, in particolare per le piccole e medie imprese. Inoltre, per migliorare la disponibilità di farmaci e garantire una fornitura ininterrotta, la proposta incarica le aziende di sviluppare piani completi per prevenire le carenze, che saranno monitorati dalle autorità nazionali e guidati dall’Agenzia europea per i medicinali. Infine, il piano di riforma sottolinea la necessità di affrontare la crescente minaccia della resistenza antimicrobica (AMR), e si propone di farlo introducendo un sistema di “buoni negoziabili”, in base al quale agli sviluppatori di antimicrobici innovativi e trasformativi verrebbe concesso un anno aggiuntivo di protezione dalla concorrenza di mercato.

Un obiettivo chiave della proposta è quello di affrontare le questioni strutturali che riguardano il settore farmaceutico del blocco, in particolare le profonde differenze tra gli Stati membri per quanto riguarda la disponibilità, l’accessibilità e i tempi di attesa per i trattamenti e i medicinali. Una volta che l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha approvato un nuovo farmaco o trattamento, attualmente occorrono in media 133 giorni perché il prodotto diventi disponibile al pubblico in Germania, mentre in Romania il tempo medio di attesa è di oltre 900 giorni, secondo i dati della Federazione europea delle industrie e delle associazioni farmaceutiche.
La riforma giunge nel momento in cui l’Unione Europea sta cercando di ottenere una maggiore autonomia strategica in settori critici, tra cui quello farmaceutico, in un contesto di crescenti tendenze protezionistiche globali e di un mondo sempre più multipolare. Le interruzioni della catena di approvvigionamento globale causate dalla pandemia COVID-19, combinate con le crisi energetiche e inflazionistiche provocate dalla guerra in Ucraina (e, in particolare, dalla perdita delle forniture di gas russo), hanno evidenziato i rischi posti dalla dipendenza dell’Unione Europea da singoli partner commerciali, soprattutto da quelli non strategicamente allineati con il blocco (come Cina e Russia). In questo contesto, l’obiettivo dell’autonomia strategica dell’Unione europea – che mira a ridurre la dipendenza esterna del blocco da Paesi terzi e a migliorare al contempo la sua capacità di agire come una forza più unita sulla scena mondiale, rafforzando la coesione interna – è diventato un principio guida per quasi tutta la recente legislazione dell’UE. La riforma della legislazione farmaceutica dell’Unione Europea si allinea in larga misura a questo obiettivo, cercando di ridurre i rischi di importazione concentrata e di rendere sicure le catene di approvvigionamento, rafforzando al contempo la competitività, l’innovazione e la resilienza del settore farmaceutico del blocco. La riforma mira anche ad affrontare le sfide e a sfruttare le opportunità offerte da un mondo sempre più multipolare. In questo modo, cerca di affrontare i crescenti rischi geopolitici e di anticipare le potenziali sfide legate alle interruzioni della catena di approvvigionamento e all’accesso al mercato, creando al contempo un quadro più attraente e favorevole all’innovazione per la ricerca, lo sviluppo e la produzione di farmaci all’interno dell’Unione Europea.

Nel maggio 2023, un gruppo di 19 Stati membri dell’UE – tra cui Belgio, Francia, Spagna e Germania – ha pubblicato un rapporto congiunto in cui si chiede alla Commissione europea di adottare “misure più drastiche” per garantire la sicurezza degli ingredienti farmaceutici vitali in Europa. Il rapporto ha evidenziato come il blocco sia diventato sempre più dipendente dalle importazioni da pochi produttori e regioni per i prodotti farmaceutici chiave. Il rapporto ha inoltre evidenziato che, nel 2019, oltre il 40% degli ingredienti farmaceutici attivi (API) – gli ingredienti di base utilizzati per la produzione di farmaci – proveniva dalla Cina e che quasi tutti i produttori di API, compresi quelli europei, dipendevano dalla Cina per gli input intermedi.
Secondo uno studio del dicembre 2020 condotto dalla società di ricerche di mercato IQVIA per l’European Fine Chemicals Group, l’Europa dipende dall’Asia per circa il 75% degli ingredienti farmaceutici e dei precursori chimici, e la Cina si rifornisce per il 70%.
La pandemia COVID-19, in particolare, ha messo in luce gravi vulnerabilità nella catena di approvvigionamento farmaceutico dell’Unione Europea. Mentre la domanda di farmaci generici aumentava nel blocco, le chiusure e i divieti di viaggio indotti dalla pandemia hanno creato una crisi di approvvigionamento dovuta a problemi logistici e alla chiusura di impianti di produzione chiave, mentre le restrizioni alle esportazioni da parte di fornitori chiave come India e Cina hanno aumentato la tensione. Ciò ha sottolineato la necessità di rafforzare la preparazione e di salvaguardare i farmaci e i prodotti medici essenziali. Di conseguenza, l’Unione Europea ha spostato la sua attenzione sul rafforzamento delle capacità produttive nazionali e sulla garanzia di un’adeguata fornitura di farmaci per ridurre la sua dipendenza da fonti esterne.
Se approvata, la riforma offrirebbe opportunità di innovazione e aumenterebbe la resilienza della catena di approvvigionamento nel settore farmaceutico dell’Unione Europea, ma le aziende e gli Stati membri potrebbero faticare ad adattarsi ai profondi cambiamenti. Il lungo processo di negoziazione della riforma e i continui ritardi dimostrano le sfide che si prospettano prima che possa essere trasformata in legge. Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea stanno attualmente discutendo il testo, mentre i negoziati interistituzionali si intensificheranno nei prossimi mesi. Tuttavia, date le divisioni tra gli Stati membri e le principali parti interessate, il testo finale della proposta potrebbe non essere approvato entro le prossime elezioni dell’UE, previste per giugno 2024, e alcune delle sue disposizioni originali saranno probabilmente ulteriormente modificate. Allo stato attuale, tuttavia, l’attuale proposta di revisione dell’industria farmaceutica dell’Unione Europea presenta diverse implicazioni fondamentali:

La riduzione della frammentazione del mercato può comportare maggiori costi operativi e di conformità per le aziende. Il nuovo sistema di incentivi premia le aziende farmaceutiche che lanciano i loro prodotti in tutti i mercati dell’UE offrendo due anni in più di protezione normativa. Incentivando le aziende a rendere disponibili i prodotti in tutti gli Stati membri, questo requisito potrebbe contribuire a distribuire in modo più uniforme i farmaci in tutto il blocco e a ridurre la frammentazione del mercato. Ma potrebbe anche comportare notevoli ostacoli logistici e amministrativi per le aziende, in particolare per quelle più piccole che non hanno l’esperienza o la capacità di navigare in sistemi normativi e di rimborso spesso complicati in tutti i Paesi dell’UE. Le aziende farmaceutiche dovrebbero quindi affrontare costi operativi più elevati, mentre gli sviluppatori più piccoli potrebbero trovarsi in una posizione di svantaggio comparativo.
Le difficoltà nel conformarsi ai nuovi sistemi di incentivi potrebbero danneggiare i margini degli sviluppatori o favorire i concorrenti generici. Il nuovo sistema di incentivi darà inoltre alle aziende un nuovo senso di urgenza nell’accelerare le trattative sui prezzi in ciascuno degli Stati membri dell’Unione Europea, dato che avranno a disposizione solo due anni per lanciare i loro prodotti in tutto il blocco per poter beneficiare dell’estensione del periodo di protezione normativa. Ciò rafforzerà la capacità dei Paesi dell’UE di negoziare costi più bassi, ma potrebbe danneggiare i margini delle aziende. Inoltre, se un numero significativo di aziende non vuole o non può approfittare degli incentivi (che possono estendere l’accesso al mercato senza concorrenza fino a 12 anni se vengono soddisfatti tutti i criteri), il periodo di protezione normativa standard più breve favorirà i distributori di farmaci generici più economici che vendono prodotti in cui gli sviluppatori non stanno approfittando degli incentivi, consentendo a questi distributori di andare sul mercato due anni prima di quanto attualmente consentito.
Se da un lato possono stimolare l’innovazione, dall’altro le misure volte ad affrontare la resistenza antimicrobica e a superare i vincoli di mercato ad essa associati potrebbero gravare sui bilanci sanitari degli Stati membri e ridurre la concorrenza in altri segmenti di mercato. Attualmente i produttori di farmaci non sono incentivati a creare nuovi antibiotici, il che richiede investimenti significativi in R&S per un prodotto che deve poi essere usato con la massima parsimonia possibile per evitare di creare resistenza ai farmaci, riducendo così i profitti delle aziende. Per affrontare questa sfida, la proposta di riforma introduce un sistema di buoni negoziabili che garantiscono un anno aggiuntivo di accesso al mercato senza concorrenza per incentivare le aziende a investire in nuovi antibiotici. Ma questo aumenterà anche la pressione sui bilanci della sanità pubblica degli Stati membri, che finanzieranno questi incentivi, e ridurrà la concorrenza più conveniente per i prodotti costosi.
La riduzione degli oneri normativi per le aziende potrebbe contribuire a incentivare l’innovazione. La proposta crea sandbox regolatorie per sostenere la sperimentazione di nuove terapie e farmaci, che offriranno alle aziende significative opportunità di innovazione e crescita. Inoltre, le autorità di regolamentazione potranno acquisire una migliore conoscenza dei nuovi prodotti in una fase molto precoce dello sviluppo, il che le aiuterà a sviluppare modi migliori per regolamentare tali innovazioni, portando eventualmente a un quadro normativo più agile e favorevole all’innovazione.
Le misure volte a migliorare la resilienza della catena di approvvigionamento comporterebbero un aumento dei costi per l’industria farmaceutica. La bozza di riforma include diverse proposte per evitare le carenze di farmaci, tra cui la prospettiva di scorte di emergenza di farmaci o prodotti intermedi (che la Commissione europea può imporre alle aziende e ai grossisti in caso di emergenza), nonché l’obbligo per le aziende di preparare piani di prevenzione delle carenze e di notificare alle autorità con sei mesi di anticipo eventuali problemi di approvvigionamento. Ma se da un lato queste misure ridurrebbero il rischio di carenza di farmaci, dall’altro aumenterebbero le ridondanze nelle catene di approvvigionamento, con un conseguente aumento dei costi operativi e una riduzione dell’efficienza per le aziende farmaceutiche dell’UE, nonché per le autorità di regolamentazione nazionali e comunitarie.
L’Unione Europea sarebbe meglio equipaggiata per rispondere alle emergenze sanitarie. La riforma introduce procedure significativamente più semplici per l’attuazione delle licenze obbligatorie, che consentirebbero ai governi di scavalcare i brevetti dei farmaci e di sospendere la protezione dei dati normativi per garantire l’approvvigionamento durante un’emergenza. Questo avrebbe un impatto negativo sui produttori di farmaci, a favore dei concorrenti generici che sarebbero in grado di distribuire i loro prodotti a prezzi più bassi.
Le minori tutele per le aziende potrebbero scoraggiare gli investimenti nel settore farmaceutico dell’UE. I numerosi nuovi requisiti per le aziende – in particolare quelli che indeboliscono le tutele dell’esclusiva di mercato – potrebbero ridurre l’attrattiva commerciale del sistema europeo rispetto ai mercati statunitense e cinese, in particolare per i settori ad alta innovazione come quello biofarmaceutico. Nonostante la promessa di riacquistare due anni di protezione normativa, i produttori di farmaci potrebbero ancora incontrare difficoltà nel rendere disponibili i nuovi farmaci in tutti gli Stati membri dell’UE, poiché i Paesi più poveri e più piccoli spesso non possono permettersi nuovi prodotti. Di conseguenza, le aziende farmaceutiche potrebbero essere scoraggiate dal ricercare e lanciare trattamenti in Europa, sapendo che saranno costrette a ridurre il prezzo dei loro prodotti per garantirne la disponibilità in tutti i Paesi dell’UE, altrimenti dovranno affrontare un periodo di protezione normativa più breve. Poiché gli investimenti vengono reindirizzati verso altre aree geografiche, anche le start-up europee del settore farmaceutico potrebbero avere difficoltà ad attrarre capitali sufficienti per avviare le loro attività nell’Unione Europea.

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Con l’incontro tra Stati Uniti e Cina, la storia si ripete, più o meno _ Di George Friedman

Con l’incontro tra Stati Uniti e Cina, la storia si ripete, più o meno
Di George Friedman – 14 novembre 2023Apri come PDF
Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden incontrerà questa settimana il Presidente cinese Xi Jinping. Si tratta di un incontro importante perché entrambi i presidenti sono deboli e cercano di migliorare la loro posizione in patria e quella dei rispettivi Paesi nel mondo.

Non si può fare a meno di ricordare un viaggio simile nel 1972, quando il presidente americano Richard Nixon incontrò notoriamente il leader cinese Mao Zedong. A quel tempo, l’età e la salute di Mao lo avevano ridotto a un’ombra di se stesso, mentre Nixon era alle prese con lo scandalo Watergate, che, ne sono certo, sapeva che avrebbe finito per distruggerlo.

Anche il contesto internazionale è simile. Nell’ottobre 1973, Egitto e Siria attaccarono Israele da due direzioni. Israele, impreparato all’attacco, si chiedeva come la sua intelligence avesse potuto fallire così miseramente. I suoi oppositori scesero in piazza per condannare le sue azioni, mentre le Forze di Difesa Israeliane condussero la guerra indifferenti al tribunale dell’opinione pubblica. L’Unione Sovietica ha giocato un ruolo chiave nell’armare Egitto e Siria, in particolare con missili terra-aria e sistemi anticarro, mentre gli Stati Uniti, già benefattori delle forze armate israeliane, si sono affrettati a fornire ulteriori armi a Israele dopo l’inizio dell’attacco. I Paesi arabi hanno imposto un embargo sul petrolio, che ha contribuito non poco a mandare in tilt l’economia statunitense.

Il fatto che questi eventi si siano verificati in un breve lasso di tempo ha fatto sembrare che il mondo stesse per crollare.

Gli Stati Uniti, ovviamente, erano il motore della maggior parte di questi eventi. Stavano ancora combattendo la guerra fredda, quindi erano ancora ossessionati dall’Unione Sovietica e dalla minaccia che rappresentava per l’Europa. Sapeva che Mosca era coinvolta in un’importante disputa di confine con la Cina e cercava, come sempre, un modo per indebolirla. La Cina aveva bloccato le forze sovietiche, ma era consapevole che avrebbero potuto colpire di nuovo. Aveva bisogno di un contrappeso. L’incontro con Nixon riguardava un’alleanza informale e non documentata tra Stati Uniti e Cina contro l’Unione Sovietica. Nessuno dei due si piaceva, ma la praticità crea strane amicizie. In definitiva, l’incontro avrebbe aperto le porte alle esportazioni cinesi negli Stati Uniti e agli investimenti statunitensi in Cina.

Le circostanze dell’imminente incontro tra Biden e Xi, che si terrà a San Francisco, sono queste: L’economia cinese è debole e la sua debolezza ha creato tensioni sociali che Xi deve ora gestire. Gli Stati Uniti vogliono che la Cina limiti alcune delle sue attività navali, ovviamente, ma sospetto che abbiano anche un interesse comune nel limitare la Russia. Sulla carta, la Cina è alleata della Russia, ma ha fatto ben poco di concreto per sostenerla. La storica diffidenza di Pechino nei confronti di Mosca non si dimentica facilmente. È probabile che l’incontro non menzioni la Russia, se non per un cenno e una strizzatina d’occhio.

Alla periferia di tutto questo c’è la guerra arabo-israeliana, che gli Stati Uniti vorrebbero far sparire ma che si aggrappa alla storia come una responsabilità indesiderata. È la stessa guerra del 1973, con attori e armi diverse, senza una soluzione e con il suono dell’alta morale che chiede a qualcun altro di fare qualcosa.

Questo articolo non vuole essere profondo. Vuole darci un’idea della necessità che si è creata nelle nostre vite. In geopolitica, il contesto conta sempre. Il passato è il presente e probabilmente il futuro, se non nei dettagli, nello spirito.

Nei colloqui USA-Cina, le azioni parlano più delle parole
Non lasciatevi ingannare da alcune recenti aggressioni di Pechino.

Di Victoria Herczegh – 15 novembre 2023Apri come PDF
Il tanto atteso incontro tra il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e il Presidente cinese Xi Jinping è finalmente arrivato. La visita, che si terrà oggi al vertice APEC di San Francisco, avviene in un contesto di relazioni bilaterali tese e di un’economia globale in crisi. Gli Stati Uniti e la Cina hanno trascorso diversi mesi impegnandosi in un dialogo ad alto livello su questioni come il commercio, la finanza e la sicurezza, ma ora sperano di sviluppare un nuovo quadro per gestire le loro relazioni e risolvere le varie questioni che le affliggono.

Per la Cina, si tratta di un incontro che quasi non c’è stato. Pechino ha confermato la partecipazione di Xi solo due settimane fa, smentendo le voci che volevano un funzionario minore al suo posto e preservando così le possibilità di migliorare i legami. Nel frattempo, la Cina ha intensificato la sua presenza militare nel Mar Cinese Meridionale e Orientale e ha aumentato le sue minacce contro Taiwan, suggerendo che a Pechino non importa molto dell’esito dei colloqui. Ma questi gesti sono in realtà volti a migliorare la posizione di Xi al tavolo dei negoziati. In parole povere, la Cina ha bisogno degli Stati Uniti più di quanto gli Stati Uniti abbiano bisogno della Cina.

Ciò è confermato da diversi esempi sottili della volontà della Cina di migliorare i legami. In primo luogo, nelle settimane precedenti i colloqui, Pechino ha cercato di riparare i legami con alcuni alleati di Washington. Xi ha recentemente incontrato a Pechino il primo ministro australiano Anthony Albanese, con il quale ha concordato di ricalibrare i legami e sviluppare un potenziale accordo di libero scambio. Le relazioni tra i due sono state tese dal 2020, con la Cina che ha introdotto restrizioni commerciali su una serie di beni australiani. Sebbene Pechino fosse sembrata disposta a rimuovere alcune di queste restrizioni, si era rifiutata di rimuoverle tutte, fino ad oggi. Le questioni restano ancora aperte: in cambio della completa rimozione delle barriere, la Cina vorrà probabilmente un maggiore accesso alle risorse australiane e ai settori dell’energia rinnovabile, una richiesta che potrebbe causare ulteriori problemi in futuro. Ma la cosa importante è che entrambi i leader hanno sottolineato la necessità di continuare il dialogo e di trovare un terreno comune sul commercio e sulla sicurezza regionale. La tempistica dell’incontro tra Xi e l’Albania non è stata casuale: L’Australia è uno degli alleati più importanti di Washington nell’Asia-Pacifico, quindi il fatto di giocare pulito è stato un segnale di maggiore cooperazione.

Altrettanto importante è stato il fatto che, secondo le fonti, l’Australia ha deciso di non opporsi all’ingresso della Cina nel Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership, un patto commerciale che comprende il Canada e 10 Paesi dell’Indo-Pacifico e che è stato progettato per l’unica ragione di contrastare l’influenza della Cina. Quando il patto è entrato in vigore nel 2018, il commercio e gli investimenti cinesi erano in pieno fermento. Ma ora che deve affrontare una crescita rallentata, un settore immobiliare in crisi, una crisi bancaria incombente, lo stallo dei progetti della Belt and Road Initiative e varie restrizioni commerciali internazionali, Pechino vede alcuni dei prerequisiti economici meno salati del patto come meno tossici. Il CPTPP prevede che gli Stati membri eliminino o riducano significativamente le tariffe doganali e si impegnino fortemente ad aprire i mercati dei servizi e degli investimenti, oltre a prevedere norme che regolano la concorrenza, i diritti di proprietà intellettuale e le tutele per le imprese straniere – tutti elementi che, secondo una recente dichiarazione del Ministero degli Esteri cinese, sono molto in linea con gli sforzi della Cina per approfondire le riforme ed espandere la cooperazione commerciale con altri Paesi. Vero o no che sia, l’economia cinese ha bisogno dei vantaggi offerti dal blocco, quindi anche l’apertura a rendersi ammissibile al CPTPP, i cui membri sono per lo più alleati degli Stati Uniti, dovrebbe essere vista come un atto di conciliazione.

La Cina ha anche mostrato un nuovo interesse nel perseguire legami con i suoi vicini dell’Asia orientale e sudorientale. Proprio la scorsa settimana, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha incontrato Takeo Akiba, segretario generale del Segretariato per la sicurezza nazionale del Giappone, con il quale ha concordato di rafforzare i legami bilaterali e mantenere un dialogo ad alto livello. I due hanno anche discusso di un possibile incontro tra Xi e il primo ministro giapponese Fumio Kishida in occasione del vertice APEC. Indipendentemente dal fatto che l’incontro avvenga o meno, il solo gesto indica la comprensione da parte di Pechino che, se l’obiettivo è migliorare i legami con gli Stati Uniti, è meglio migliorare anche quelli con il Giappone, piuttosto che creare inutili attriti, ad esempio, sulle isole contese nel Mar Cinese Orientale. Lo stesso si potrebbe dire per il Mar Cinese Meridionale. I legami tra Cina e Filippine sono stati particolarmente aspri negli ultimi tempi e la rivitalizzazione delle relazioni di difesa tra Washington e Manila ha dissipato ogni speranza di Pechino di ripristinare i legami con le Filippine, di cui ha bisogno per garantire le vitali rotte marittime. (La tranquillità nei mari della Cina orientale e meridionale sarà probabilmente una delle richieste di Washington al tavolo dei negoziati di oggi).

È vero che la Cina ha recentemente intensificato le sue incursioni nelle acque dell’Asia orientale ed è vero che ha aumentato il numero di intrusioni nella zona economica esclusiva di Taiwan. Ma anche in questo caso, è meglio interpretarlo come un richiamo di Pechino ai luoghi in cui Washington può esercitare la sua influenza, piuttosto che come un tentativo di far deragliare i colloqui odierni. In effetti, la Cina non ha l’interesse o i mezzi per alimentare un conflitto in queste regioni. L’attenzione del governo centrale è divisa tra l’attuazione delle nuove riforme destinate allo sviluppo delle regioni interne più povere, il sostegno ai settori bancario e immobiliare e il tentativo di evitare che le nazioni più piccole coinvolte nella BRI abbandonino i progetti incompleti. E questo è solo il lato economico dei problemi di Pechino. Sul fronte militare e della difesa, gli scontri tra la giunta militare al potere e i gruppi ribelli al confine settentrionale del Myanmar con la Cina minacciano di estendersi alla Cina stessa. E la recente attenzione del partito al governo per il sostegno alle province minoritarie dello Xinjiang e del Tibet suggerisce il crescente timore che possano scoppiare disordini in quelle zone.

È importante notare che questi gesti pre-summit di Pechino sono in linea con gli interessi degli Stati Uniti nella regione. L’obiettivo finale di Washington è che la Cina non rappresenti una seria minaccia militare, soprattutto per quanto riguarda Taiwan e il Mar Cinese Meridionale. Gli Stati Uniti hanno bisogno di garanzie reali sulla sicurezza del Pacifico che contribuiscano a ridurre il rischio e l’onere per gli Stati Uniti. In caso di necessità, gli Stati Uniti avrebbero le capacità per affrontare una Cina più aggressiva, ma preferirebbero decisamente non farlo.

Ciò significa che, sebbene Washington abbia i suoi incentivi, ha una mano più forte nei colloqui con Pechino. La grande questione per la Cina riguarda il commercio e gli investimenti, e resta da vedere quanto gli Stati Uniti intendano essere esigenti con la Cina nel ridisegnare i propri canali economici. Inoltre, non è chiaro se gli Stati Uniti faranno le loro richieste rapidamente o se rallenteranno il dialogo.

A causa delle prolungate difficoltà economiche, la Cina ha bisogno di attirare il commercio e gli investimenti statunitensi. Usando questa leva, gli Stati Uniti potrebbero chiedere una riduzione dei dazi doganali, l’impegno ad aprire i mercati dei servizi e degli investimenti, l’allentamento delle norme sui diritti di proprietà intellettuale e la protezione delle imprese straniere. Il fatto che la Cina si sia dimostrata aperta a questi aspetti per la sua potenziale adesione al CPTPP dimostra che potrebbe essere disposta a farlo anche in questo caso, se questo significa migliorare le relazioni con gli Stati Uniti.

Un’altra cosa positiva che possiamo aspettarci dall’incontro è una maggiore discussione sul controllo degli armamenti. La scorsa settimana i funzionari della sicurezza delle due parti hanno ripreso i colloqui sul controllo degli armamenti interrotti durante l’amministrazione Obama. È ancora presto per sperare in un accordo specifico sul controllo delle capacità nucleari. Tuttavia, il fatto che le due nazioni stiano parlando è già un fatto importante, soprattutto se si considera che la Cina è stata storicamente riluttante a portare avanti colloqui sulle armi nucleari su base bilaterale e multilaterale. Ci sono molte speculazioni sulle cose positive che deriveranno dall’incontro tra Xi e Biden. Ma i fatti parlano più delle parole e le azioni della Cina suggeriscono che vuole migliorare le relazioni, anche se lentamente.

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Patriarcato e guerra sui sessi_di Andrea Zhok

Ci sono temi più importanti e preferirei tacere su tutto il circo che è partito dalla vicenda dell’ultimo omicidio volontario di una donna. Preferirei tacere anche per preservare la salute psichica, perché ogni qual volta ci si scontra con il muro ideologico costruito dai media correnti la frustrazione è inevitabile.
Ma alla luce del fatto che il ministro Valditara sta davvero prendendo sul serio le fiabe ideologiche correnti, una parola mi sembra necessaria.
Speravo in uno scherzo, ma leggo che il ministro dell’istruzione, in una pregevole armonia di intenti con l’opposizione, sta davvero proponendo un’ora a settimana di “educazione alle relazioni” nella scuola secondaria. Non solo, la proposta prevede anche l’intervento in queste ore di educazione sentimentale di “influencer, cantanti e attori per ridurre le distanze con i giovani e coinvolgerli”.
Forse fraintendiamo l’intervento del ministro, che probabilmente ha il solo scopo di incrementare l’afflusso alle scuole private. Come spiegare altrimenti questa ulteriore accentuazione della tendenza della scuola pubblica a diventare un interminabile catechismo dell’ovvio, che ripete in bianco e nero gli stessi contenuti che si ritrovano, a colori, su una rivista media da parrucchiere? Tra ramanzine moralistiche, alternanze scuola-lavoro e consulti psicologici gli spazi per insegnare qualcosa di sostanziale nella scuola pubblica si stanno riducendo a feritoie.
Ma purtroppo questo è solo piccola parte del problema.
Il problema più grosso è che l’interpretazione ufficiale degli eventi delittuosi aventi per oggetto donne ha subito da tempo un sequestro ideologico. Esiste una singola lettura che anche persone intelligenti e al di sopra di ogni sospetto ripetono pappagallescamente, come se fosse una sorta di verità acclarata. E questa lettura non è semplicemente sbagliata, che sarebbe il meno, ma è proprio socialmente dannosa, anzi dannosa per le stesse dinamiche che si immagina di voler correggere.
Provo a spiegarmi in breve.
La lettura d’ordinanza di questi eventi delittuosi è la seguente. Si tratterebbe di espressioni di un’atavica, arcaica (patriarcale), concezione subordinante della donna che la concepisce come una proprietà, un oggetto a disposizione, e che perciò non ne accetta l’indipendenza e la punisce con la violenza e persino con la morte.
Dunque, dissimulato sotto la superficie di un mondo moderno e formalmente egalitario serpeggerebbe ancora questo “residuo patriarcale”, tenace e ostico da sconfiggere, che richiede perciò una rieducazione della popolazione – e della popolazione maschile in ispecie.
Ora, io credo che questa lettura delle violenze e degli omicidi spesso per futili motivi che oggi riscontriamo, tra cui anche quelli che hanno per oggetto donne, non c’entri assolutamente nulla con alcuna presunta “cultura patriarcale”. E credo che le ricette che vengono proposte, lungi dall’essere risolutive, possano soltanto aggravere il problema.
Perché mai?
Partiamo da un po’ di pulizia terminologica e mentale. Tutti si riempiono la bocca di “patriarcato” senza avere per lo più alcuna idea di ciò di cui si tratta. Ora, l’unico senso antropologicamente accettabile della nozione di “patriarcato” (che non va confuso con la patrilinearità della discendenza) è il modello sociale diffuso un tempo in molte civiltà dedite all’agricoltura o alla pastorizia, dove l’ultima autorità cui ricorrere per i dissidi interni e per i rapporti verso l’esterno era rappresentato dal maschio più anziano del gruppo (patriarca). Queste strutture sociali erano (e in alcune parti del mondo ancora sono) caratterizzate da una sostanziale assenza delle legislazione pubblica, da forti nessi comunitari all’interno di famiglie estese connesse, che dovevano risolvere molte questioni oggi risolte dalla giustizia ordinaria. Gli ordinamenti patriarcali sono tipicamente preindustriali e definiti da ordinamenti famigliari estremamente solidi e vincolanti.
La prima domanda che dovrebbe venire in mente è: cosa diavolo c’entra questa forma sociale con il mondo occidentale odierno? Ovviamente non c’entra assolutamente nulla, ma questa impostazione del problema nasce negli anni ’70, in cui l’idea che ci fossero ancora residui patriarcali da abbattere era il principale oggetto polemico del second-wave feminism. Oggi, mezzo secolo dopo, stiamo ancora qua a berci un’interpretazione che era tirata per i capelli allora e che oggi è letteralmente fluttuante nel vuoto.
A questo punto c’è sempre qualcuno che se ne viene fuori dicendo che sono questioni filologiche, di lana caprina, che se non va bene il termine patriarcato chiamiamolo maschilismo che va bene uguale.
Solo che il problema non è meramente terminologico, ma è legato a quale si ritiene essere la radice causale di violenze e assassini odierni. Se si evoca il “patriarcato” o simili si evoca l’immagine di un residuo ostico del passato che stentiamo ancora a lasciarci dietro le spalle. Dunque per superarlo dovremmo procedere ulteriormente con l’abbattimento di qualunque simile residuo del passato: bando al familismo, bando all’autorità paterna, bando al normativismo, sempre in odore di autoritarismo, ecc.
Ora, prima di esporre quella che credo essere un’interpretazione più plausibile, provo a sottoporre all’attenzione qualche fatto empirico.
Se il problema delle violenze si radica nei residui patriarcali in una qualche versione, allora i paesi che hanno società maggiormente modernizzate, con minori vincoli famigliari e con una posizione di maggiore indipendenza delle donne dovrebbero essere esenti da questo problema, o almeno presentarlo in misura molto minore.
Ma è davvero così?
Curiosamente ciò che si profila è esattamente l’opposto.
Se guardiamo alle violenze domestiche vediamo che (dati di un paio di anni fa) i primi paesi per denunce di violenza subita dalle donne sono quattro paesi proverbialmente emancipati: Danimarca (52% delle donne lamentano di aver subito violenza), Finlandia (47%), Svezia (46%), Olanda (45%), in coda classifica in Europa troviamo la Polonia (16%).
Naturalmente qui c’è la replica pronta: si tratterebbe di un mero effetto statistico, dovuto al fatto che in quei paesi, proprio grazie alla maggiore emancipazione, le donne denunciano di più.
Può darsi.
Allora per tagliare la testa al toro andiamo a vedere la categoria degli omicidi volontari di donne (cosiddetti “femminicidi”), che registra eventi non soggetti a filtri interpretativi.
Qui, secondo i dati Eurostat aggiornati al 2019, il profilo appare leggermente diverso, ma non troppo.
In testa in questa macabra classifica stanno costantemente i paesi baltici (Lettonia, Lituania, Estonia), insieme a Malta e Cipro, con Finlandia, Danimarca, e Norvegia poco sotto e Svezia a metà classifica. All’estremo opposto, costantemente agli ultimi tre posti troviamo Italia, Grecia e Irlanda, che si scambiano solo di posto di anno in anno.
Per un confronto numerico (2019), l’Italia presenta un dato di 0,36 “femminicidi” ogni 100.000 abitanti, la Norvegia 0,61, la Germania 0,66, la Francia 0,82,la Danimarca 0,91, la Finlandia 0,93, la Lituania 1,24.
Ora, cosa hanno in comune Italia, Irlanda, Grecia?
Non molto, salvo il fatto di essere tutte società con un ruolo tradizionalmente molto forte delle famiglie, società di cui spesso si è lamentata la limitata modernizzazione, anche per il peso significativo delle istituzioni religiose.
Cosa hanno in comune gran parte dei paesi del Nord e in parte dell’Est Europa? Sono società che hanno subito processi estremamente accelerati di modernizzazione, con laicizzazione forzosa, e frantumazione (riconosciuta al loro stesso interno) delle unità famigliari.
Ecco, una volta messi giù questi dati, per quanto sommari, io credo che un’intepretazione molto più sensata delle eventuali radici culturali della violenza e dell’omicidio per futili motivi di donne sia rintracciabile nell’esatto opposto del “patriarcato”.
Lungi dall’aver a che fare con ordinamenti famigliari estesi, vincolanti, con elevata normatività, tipici del patriarcato, ci troviamo di fronte a contesti dove le forme famigliari sono dissolte o in via di dissoluzione, dove i giovani crescono educati più da tik-tok e dai video trap che dalle famiglie, società dove peraltro da tempo la figura del padre latita ed è spesso definita dagli psicologi come effimera. In questi contesti, “modernizzati ed emancipati” si allevano in maggior misura identità fragili, disorientate, anaffettive, che si sentono costantemente sopraffatte dalle circostanze, e che perciò, occasionalmente, possono più facilmente ricorrere alla violenza, che è il tipico modo di reagire a situazioni di sofferenza che non si è in grado di comprendere né affrontare.
Molti altri aspetti andrebbero approfonditi, ma se, come io credo, questa è una lettura assai più probabile dei fatti, le strategie che stiamo adottando per affrontare il problema vanno precisamente nella direzione dell’ennesimo aggravio dei problemi.
Questo in attesa delle lezioni di educazione sentimentale di Sfera Ebbasta.

La verità è chiara: l’incontro tra i capi di Stato di Cina e Stati Uniti ha fatto un grande passo avanti sulla questione di Taiwan. di Shen Yi

La verità è chiara: l’incontro tra i capi di Stato di Cina e Stati Uniti ha fatto un grande passo avanti sulla questione di Taiwan.

  • Shen YiShen YiProfessore, Dipartimento di Politica Internazionale, Università di Fudan

2023-11-20 07:55:3

[L’editorialista di Video/Observer.com Shen Yi]

Ciao a tutti, benvenuti in questo numero di Yi Yu Tao Po. Oggi continuerò a parlare dell’incontro tra i capi di Stato di Cina e Stati Uniti: tutti sanno che questo incontro di San Francisco è molto particolare e ha suscitato ampia attenzione, discussioni e interpretazioni diverse. Alcuni hanno sollevato questa domanda dal punto di vista dell’enfasi del popolo cinese sul pragmatismo e sull’insistenza sull’attuazione dei risultati. Qual è il significato di questo incontro? Qui tutti devono avere una conoscenza generale e una comprensione della diplomazia di due paesi come la Cina e gli Stati Uniti.

C’è un contenuto molto importante nella diplomazia sino-americana chiamato “simbolismo” o “concettualità”. Tutti sanno che ci sono conflitti tra Cina e Stati Uniti. Diverse incertezze porteranno le persone a speculare sulla direzione futura delle relazioni sino-americane e sulle vere intenzioni dei leader di Cina e Stati Uniti. Se il vertice tra Cina e Stati Uniti Gli Stati in questo momento possono trasmettere al mondo esterno alcuni importanti segnali concettuali o simbolici che hanno un grande significato di per sé e possono aiutare coloro che hanno a cuore le relazioni sino-americane a creare fiducia.

La fiducia è molto sottile in questo momento. Ad esempio, prima di questo vertice, qualcuno mi ha inviato un messaggio su WeChat: un gruppo di persone in un certo circolo ha affermato seriamente che, vedendo il messaggio, avevano concluso che l’incontro tra Cina e Stati Uniti era stato annullato. Per un attimo sono rimasto sbalordito, stai scherzando? Quando l’ho riguardato di nuovo, la cosiddetta notizia era che He Lifeng era andato negli Stati Uniti per parlare con Yellen. In quel momento ho pensato, c’era un errore? Questo dialogo è il consenso raggiunto durante il dialogo tra Wang Yi e Blinken, ed è un simbolo importante sulla strada per San Francisco.

Per fare un altro esempio, più di una persona oggi mi ha detto di aver scoperto un “dettaglio importante”, dicendo che Blinken e Biden non indossavano le cuffie quando la Cina parlava, il che significa che non stavano affatto ascoltando il discorso della Cina. Alcune persone discutono anche su Internet: “Biden parla mandarino? Perché non indossi le cuffie se non parli mandarino?” Compresi gli ultimi due giorni di riunioni, le persone che erano alla riunione con me mi hanno detto : “Guarda, fondamentalmente è inutile, Blinken non ascolta, non indossa nemmeno le cuffie!” Fortunatamente ora ci sono molti materiali video e tutti possono ancora vedere il cavo delle cuffie da un’altra angolazione. Anch’io ha pubblicato la foto sui miei social media Cerchiato. C’è un altro piccolo dettaglio: in un video Blinken guardava Biden sorpreso e Biden, infatti, lasciò cadere il cheat sheet che stava leggendo.

I piccoli dettagli di Blinken e Biden sono stati soprannominati dai netizen cinesi come “immagini fisse britanniche che diventano realtà “

Scoprirete che, attraverso vari dettagli, tutti sperano di costruire una chiave di lettura di questo incontro sino-americano.

Naturalmente, dal punto di vista di Biden, si è pensato molto a questo incontro, come la scelta del luogo, compresi i dettagli emersi tramite video.I leader di entrambe le parti hanno avuto una bella conversazione quando si sono incontrati. Dopo il colloquio, i due partiti hanno cenato insieme. Prima di entrare, Biden ha tirato fuori il cellulare e ha trovato le foto che aveva preparato in anticipo per mostrare ai nostri leader:

“Guarda chi è questo?”

“Ti conosco. Non sono io 38 anni fa?”

Si tratta di un’interazione molto simbolica e iconica. Il messaggio trasmesso da questa interazione è che tutti stanno cercando di liberare una sorta di buona volontà e cercare di esprimere alcune cose, anche se è assolutamente impossibile per la Cina e gli Stati Uniti tornare a quel tipo. di relazione da un giorno all’altro. Uno stato di intimità.

Questo rilassamento è più un rilassamento dell’atmosfera, ma per la Cina tale rilassamento può eliminare alcune voci errate nel mercato dell’opinione pubblica. Alcune forze stanno utilizzando vari modi per sfruttare e diffondere la tensione tra Cina e Stati Uniti, ma alcune persone nel mercato dei capitali non hanno la capacità di esprimere giudizi indipendenti, sono facilmente confuse e intimidite e mancano della volontà necessaria. Per quanto riguarda la Cina, dobbiamo stabilizzare questo sentimento.

La cosiddetta “Visione di San Francisco” raggiunta al vertice di San Francisco è stata sviluppata dai colloqui di Bali. A Bali, Cina e Stati Uniti hanno stabilito tre nuovi principi guida per le relazioni bilaterali, vale a dire il rispetto reciproco, la coesistenza pacifica e il vantaggio reciproco. Questa volta, quando il presidente Xi Jinping ha incontrato Biden, la Cina ha fornito una descrizione molto panoramica della situazione, chiarendo che ora ci sono “due opzioni”, “tre principi” e “cinque pilastri” tra Cina e Stati Uniti.

Le cosiddette due scelte sono una buona e una cattiva. Il primo è rafforzare la cooperazione e l’unità e lavorare insieme per rispondere alle sfide globali; l’altro è provocare conflitti tra i campi con un pensiero a somma zero, portando il mondo alla divisione e al tumulto. Per quanto riguarda le prospettive, la Cina ha indicato chiaramente tre passi: primo, è impossibile per Cina e Stati Uniti non trattare tra loro; secondo, non è realistico cercare di cambiarsi a vicenda; terzo, nessuno può sopportare le conseguenze di conflitto e confronto. La competizione tra le grandi potenze non può risolvere i problemi che affliggono la Cina, gli Stati Uniti e il mondo. La Terra può accogliere Cina e Stati Uniti. Il successo di Cina e Stati Uniti è un’opportunità reciproca. Questa è una visione globale.

Poi parliamo dello sviluppo e delle prospettive della Cina. Questo si basa su alcune idee sbagliate e percezioni imprecise diffuse dagli Stati Uniti e dai paesi occidentali per vari motivi. Abbiamo preso impegni strategici: in primo luogo, non seguiremo la vecchia strada del saccheggio coloniale e rafforzeremo nostro paese. Deve essere un percorso tortuoso verso l’egemonia e non esporterà ideologia. Il sottotesto espresso dai leader cinesi qui è che per la Cina non abbiamo alcun piano per superare o sostituire gli Stati Uniti. In altre parole, lo faremo Non lo faremo intenzionalmente, anche se la forza nazionale di entrambe le parti fosse Se il contrasto cambia, non lo faremo. In secondo luogo, gli Stati Uniti non dovrebbero avere alcun piano per sopprimere e contenere la Cina.

Poi ci sono i tre principi: rispetto reciproco, coesistenza pacifica e cooperazione vantaggiosa per tutti, e i cinque pilastri: stabilire congiuntamente una corretta comprensione, gestire congiuntamente le differenze, promuovere congiuntamente una cooperazione reciprocamente vantaggiosa, assumersi congiuntamente le responsabilità dei principali paesi e promuovere congiuntamente scambi interpersonali e culturali. “Cinque pilastri” è un termine completamente nuovo nelle relazioni sino-americane e l’affermazione in esso contenuta è molto chiara: non fraintendetemi. Siamo impegnati a costruire una relazione sino-americana stabile, sana e sostenibile. per costruire una relazione sino-americana stabile, sana e sostenibile. Non ci si aspetta che siamo rivali, ma speriamo che entrambe le parti siano partner. Ma non pensate che se voglio essere stabile, sano e sostenibile, volete semplicemente che mi inginocchi e faccia tutto ciò che gli americani mi dicono di fare, altrimenti sarà instabile, malsano e insostenibile. Siamo spiacenti, abbiamo interessi che devono essere salvaguardati e principi e linee di fondo che devono essere difesi.

Il luogo dell’incontro tra i leader di Cina e Stati Uniti

In secondo luogo, gestire congiuntamente ed efficacemente le differenze si riferisce ai “tre no e tre more”: entrambe le parti devono comprendere i rispettivi profitti e non creare problemi, creare problemi o oltrepassare i confini. Cosa significa gettare, creare problemi e oltrepassare i confini? Ti ho detto chiaramente e ripetutamente che questo è il mio principio, ma tu stai facendo orecchie da mercante, inventando cose dal nulla, dicendo: “Non c’è niente al mondo, lascia che le persone si disturbino da sole”. tutto, fomentare disordini, puntare il dito e poi inspiegabilmente etichettare come “genocidio”, e sconvolgere le normali relazioni economiche e commerciali. I confini che ho tracciato, devi correrci dritto dentro.

Cosa dovremmo fare: comunicare di più, avere più dialoghi e discutere di più. Dobbiamo gestire con calma le differenze e gli incidenti, un esempio negativo è il precedente incidente del “pallone errante”. Poi dobbiamo promuovere congiuntamente la cooperazione sugli interessi: cambiamento climatico, intelligenza artificiale, commercio, finanza e altri campi per ripristinare o stabilire nuovi meccanismi, e portare avanti una cooperazione specifica, come il controllo della droga, cosa che la Cina ha chiaramente espresso la sua volontà di cooperare. è un’espressione della buona volontà della Cina e speriamo anche di ottenere una risposta gentile.

In termini di assunzione congiunta delle responsabilità delle maggiori potenze, Cina e Stati Uniti dovrebbero rafforzare il coordinamento e la cooperazione su questioni internazionali e regionali e fornire maggiori beni pubblici al mondo. Questa è un’innovazione. Nella concezione intrinseca delle potenze occidentali, i cosiddetti beni pubblici delle grandi potenze sono generalmente quelli di ricercare l’egemonia di gruppo. Ma ora, ciò che la Cina sostiene è che i due paesi si basino sulla consultazione e si basino sulla base dell’accordo. la cognizione e i confini della comunità umana. Fare cose che siano veramente vantaggiose per l’umanità è il cambiamento positivo che l’ascesa della Cina ha portato nel mondo. Senza la Cina, le tradizionali potenze occidentali non avrebbero fatto una cosa del genere. “Aprirsi gli uni agli altri, connettersi gli uni con gli altri e portare beneficio al mondo” è un pensiero innovativo tipico cinese, proprio come la nostra iniziativa “Belt and Road”: sei il benvenuto a venire qui, e anche noi vogliamo andare da te, in modo che tutti non si separino.

Questa volta i leader di entrambe le parti si sono incontrati e c’è stata anche una svolta importante sulla questione di Taiwan. Oltre a ribadire l’importanza della questione di Taiwan, che rappresenta l’aspetto più importante e delicato delle relazioni sino-americane, la Cina attribuisce grande importanza all’atteggiamento positivo degli Stati Uniti durante l’incontro di Bali. è che gli Stati Uniti devono intraprendere azioni concrete. Quali sono le azioni specifiche? In primo luogo, smettere di armare Taiwan e, in secondo luogo, sostenere la riunificazione pacifica della Cina. Si tratta di un grande passo nella storia delle relazioni sino-americane, e nulla di simile è mai accaduto prima. Il massimo leader ha chiarito che lei ha affermato di avere un atteggiamento non solidale, giusto? L’atteggiamento dei “tre no” degli Stati Uniti è iniziato durante il periodo Clinton. Ora la Cina ha fatto un passo avanti e ha detto che spero che il vostro atteggiamento non solidale l’atteggiamento può essere concretizzato. Sebbene ciò sia stato detto in precedenza in privato a diversi livelli di lavoro, questa volta il leader ha reso molto solenne e chiaro che avrebbe smesso di armare Taiwan e avrebbe sostenuto la riunificazione pacifica della Cina.

L’atteggiamento originale degli Stati Uniti nei confronti della questione di Taiwan era la cosiddetta “enfasi sulla risoluzione pacifica della questione di Taiwan”, ma enfatizzava unilateralmente la “pace” ed era vago quando si parlava di “risoluzione”. per mantenere lo status quo e per impedirvi di andare d’accordo per molto tempo. Alla fine, andremo verso una “separazione pacifica”, garantendo così la più grande iniziativa strategica degli Stati Uniti e guadagnando più spazio.

Ovviamente, questa volta la Cina ha dato la sua risposta: è vero o falso che non sostenete l’indipendenza di Taiwan? C’è una logica molto intelligente in questo: non sei sempre stato preoccupato per la pace nello Stretto di Taiwan? È molto semplice: l’unica ragione per cui non c’è pace nello Stretto di Taiwan è “l’indipendenza di Taiwan”. Dici di non sostenere l'”indipendenza di Taiwan”, ma ciò che intendi veramente dicendo non sostenere l'”indipendenza di Taiwan” è: in primo luogo, non le fornisci armi. Se gli si forniscono armi, pensa che possa causare problemi. Se voi, gli Stati Uniti, lo aiutate, aumentate i rischi per la sicurezza. In secondo luogo, avete affermato chiaramente che io sostengo la riunificazione pacifica, elimino l’illusione dell’”indipendenza di Taiwan” e evitare il suo errore di valutazione. Il cosiddetto errore di valutazione è che le forze “per l’indipendenza di Taiwan” credevano erroneamente che gli Stati Uniti l’avrebbero protetta. Di conseguenza, gli Stati Uniti non sono riusciti a proteggerla. La violazione della “Legge Anti-Secessione” provocherà inevitabilmente una guerra. Questa volta abbiamo fatto un passo avanti nella nostra dichiarazione e il significato trasmesso dalla frase seguente “Ci deve essere unificazione e unificazione” è molto chiaro.

Qualcuno si è chiesto se il cosiddetto lavoro di “essere un leader americano” non consista semplicemente nel pronunciare parole morbide, belle e macroscopiche. Naturalmente no. Non evitiamo la questione. I controlli sulle esportazioni, le revisioni degli investimenti e le sanzioni unilaterali sono misure contro la Cina che danneggiano i diritti e gli interessi legittimi del paese. La logica alla base di ciò è: lo sviluppo della Cina è guidato dall’innovazione, e sopprimere la scienza e la tecnologia cinesi sta frenando lo sviluppo di alta qualità del paese. Non dite che la quantità è piccola e rappresenta solo una piccola percentuale dell’economia, quindi potete costruire “piccoli cortili e muri alti”, necessari per uno sviluppo di qualità. Questo priva il popolo cinese della sua diritto allo sviluppo. Pertanto, la richiesta della Cina è quella di sperare che gli Stati Uniti prendano sul serio le preoccupazioni della Cina, agiscano, revochino sanzioni unilaterali e forniscano un ambiente equo, giusto e non discriminatorio per le aziende cinesi.

Questa volta gli Stati Uniti hanno mostrato buona volontà nei confronti della visita del leader cinese. Sappiamo anche che con i risultati di questo incontro Biden potrà fare punti in casa. Ma per quanto riguarda la Cina, sappiamo anche molto bene che nel prossimo periodo, se ciò che ha promesso di fare verrà mantenuto, le relazioni sino-americane potranno smettere di deteriorarsi e svilupparsi in una buona direzione, e su questo nutriamo caute aspettative.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, a giudicare dalla dichiarazione di Biden, ha ribadito l’impegno in cinque punti raggiunto ai colloqui di Bali, i cosiddetti “quattro no, una nessuna intenzione”: non cercare una nuova guerra fredda, non cercare di cambiare il sistema cinese , e non cercando di rafforzare l’alleanza per opporsi alla Cina, non sostiene l'”indipendenza” di Taiwan e non ha intenzione di entrare in conflitto con la Cina. Queste “quattro inesattezze e una disattenzione” hanno già avuto una prima reazione sull’isola di Taiwan, perché ha sottolineato ancora una volta che “non sostiene l’indipendenza di Taiwan”. Per Lai Qingde, il “nipote d’oro dell’indipendenza di Taiwan”, questo segnale è molto chiaro, cioè gli Stati Uniti Non sosteniamo “l’indipendenza di Taiwan.” Non creare problemi e non dirmi che sei “pragmatico.” A Washington non esiste un assegno in bianco per darti un scoperto.

Nel campo della sicurezza militare, non importa come gli Stati Uniti cerchino di mettere alla prova, compreso come le Filippine si precipitino in avanti o il Giappone cerchi segretamente di guadagnare qualcosa dalle retrovie, gli Stati Uniti hanno anche inviato un segnale molto chiaro: evitano ancora il conflitto diretto con Cina. Le misure adottate da questi paesi per innescare i conflitti si basano sul presupposto e sulla premessa che la Cina e gli Stati Uniti si scontreranno definitivamente e che gli Stati Uniti firmeranno incondizionatamente un assegno in bianco a questo scopo. Ora possiamo dire chiaramente che, dal punto di vista del vertice Cina-USA, questo non è vero: togliere le castagne dal fuoco brucerebbe solo gli artigli, quindi ritiratevi rapidamente. Sarà relativamente razionale e saggio ritornare sul percorso pragmatico.

Un altro punto molto interessante è che lo scambio di opinioni tra le due parti su questioni internazionali e regionali come il conflitto israelo-palestinese non è stato incluso come ordine del giorno formale, ma è stato collocato in un’atmosfera relativamente più rilassata e armoniosa, come quando Biden ha ospitato un incontro pranzo per il presidente Xi Jinping. Soprattutto i dettagli come Biden che condivide le foto con il presidente Xi Jinping sono stati stabiliti in precedenza. Naturalmente questo è anche un punto molto speciale del vertice: la comunicazione durante il pranzo può andare oltre l’autorizzazione generale e i dettagli procedurali, creando al tempo stesso una buona atmosfera, ma può anche avere dei dialoghi più diretti. Dopo il pranzo, Biden ha invitato Xi Jinping a fare una passeggiata nel maniero, lo ha mandato in macchina per salutarlo, ha guardato le bandiere rosse e ha sfoggiato la sua Cadillac: questi ricchi dettagli hanno arricchito l’atmosfera generale. Si vede che Biden è di buon umore, anche se si è lamentato ancora una volta: abbiamo visto che lui, che non è molto attivo su Twitter, ha twittato 5 o 6 volte, descrivendo l’incontro come “un grande successo, molto felice , e di ottimo umore.” buono”.

Dopo il pranzo i due capi di Stato hanno fatto una passeggiata in un’atmosfera amichevole

Nel complesso, l’atmosfera generale di questo incontro è stata migliore del previsto. Abbiamo visto segnali più positivi provenienti dagli Stati Uniti. Come ho detto nel video precedente, sono proprio gli Stati Uniti che hanno più bisogno di un incontro del genere. Questo incontro è davvero un ottimo caso: il massimo leader cinese si è fatto avanti personalmente per lavorare sulle relazioni sino-americane, sia per i suoi colleghi che per il popolo americano in senso lato. Il segnale inviato da questo incontro è cruciale, soprattutto per alcuni gruppi di persone, e abbiamo motivo di rimanere cautamente ottimisti.

Un altro punto degno di nota è che con la crescente pressione politica interna negli Stati Uniti, Biden, che ha urgente bisogno di KPI di performance, dovrà affrontare sempre più pressioni: se vuole ottenere risultati sostanziali, per raggiungere il successo dobbiamo tornare al fondamentali delle relazioni sino-americane. I fondamenti delle relazioni sino-americane sono i tre principi stabiliti dalla Cina: rispetto reciproco, coesistenza pacifica e vantaggio reciproco: questo è sia un linguaggio comune che una sintesi del modello di sviluppo delle relazioni sino-americane negli ultimi decenni.

Alcuni potrebbero pensare che alcune delle misure della Cina non siano come la “vittoria rapida” che idealmente desiderano, tagliando rapidamente il caos, ma le relazioni tra i principali paesi si basano su una seria manutenzione e giochi raffinati, piuttosto che sul perseguimento di capricci temporanei e spensierati. Dopotutto, il mondo reale non è un articolo interessante su Internet. Naturalmente, questo non significa che l’unico modo per parlare agli americani sia quello di essere una “tribù inginocchiata” nata: molte persone hanno bisogno di staccarsi dall’impronta ideologica lasciata dalle false percezioni di quell’epoca. Ricorda cosa ha detto Yang Jiechi: gli Stati Uniti non si sono mai schierati di fronte alla Cina dicendo che si basa sulla forza. Forte o debole, non lo riconosco. Non è che non lo riconosca ora che sono forte .

Abbiamo visto che le relazioni sino-americane sono ora entrate in una nuova fase, la cui caratteristica principale, indipendentemente da come viene descritta, è che con il cambiamento generale nel confronto delle forze e nello slancio di sviluppo delle due parti, la Cina ha iniziato a guardare al futuro. Allo stesso modo gli Stati Uniti, che sono diventati più fiduciosi e calmi, hanno dimostrato più chiaramente al mondo il modello, la magnanimità, la strategia e l’ambizione della Cina. È molto degno della nostra attenta analisi e comprensione approfondita. Ok, per oggi è tutto, grazie a tutti.

Questo articolo è un manoscritto esclusivo di Observer.com. Il contenuto dell’articolo rappresenta esclusivamente l’opinione personale dell’autore e non rappresenta l’opinione della piattaforma. Non può essere riprodotto senza autorizzazione, altrimenti verrà perseguita la responsabilità legale. Segui Observer.com su WeChat guanchacn e leggi articoli interessanti ogni giorno.

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La guerra per procura della NATO contro la Russia attraverso l’Ucraina sembra essere in fase di esaurimento, di ANDREW KORYBKO

La guerra per procura della NATO contro la Russia attraverso l’Ucraina sembra essere in fase di esaurimento

ANDREW KORYBKO
22 NOV 2023

Considerando tutte le dinamiche sfavorevoli che stanno rapidamente convergendo al giorno d’oggi, ci sono pochi dubbi sul fatto che la guerra per procura della NATO contro la Russia si stia esaurendo, anche se ciò non significa automaticamente che il conflitto si congelerà presto.

Il fallimento della controffensiva ucraina, la vittoria della Russia sulla NATO nella “corsa alla logistica”, la priorità data dall’Occidente agli aiuti a Israele nel contesto della guerra con Hamas, le disfunzioni del Congresso degli Stati Uniti e l’imminente stagione elettorale hanno creato una crisi per la guerra per procura della NATO contro la Russia attraverso l’Ucraina. Queste analisi, a partire dalla fine di agosto, aggiorneranno tutti coloro che non hanno seguito da vicino questo conflitto della Nuova Guerra Fredda negli ultimi mesi:

* 18 August: “A Vicious Blame Game Is Breaking Out After The Counteroffensive Predictably Failed

* 20 August: “US Policymakers Are Caught In A Dilemma Of Their Own Making After The Failed Counteroffensive

* 25 August: “The NYT & WSJ’s Critical Articles About Kiev’s Counteroffensive Explain Why It Failed

* 3 September: “Top Canadian Media Revealed That Poor Medical Equipment Endangers One Million Ukrainian Troops

* 7 September: “Poland’s Top Military Official Accidentally Discredited NATO On Several Counts

* 9 September: “WaPo Reported That Ukrainians Are Distrustful Of The West & Flirting With A Ceasefire

* 14 September: “Why Was Zelensky Overly Defensive In His Latest Interview With The Economist?

* 14 September: “The New York Times Confirmed That Russia Is Far Ahead Of NATO In The Race Of Logistics

* 31 October: “Time Magazine Shared Some ‘Politically Inconvenient’ Truths About Ukraine

* 3 November: “Ukraine’s Commander-In-Chief Made A Last-Ditch Appeal For American Aid

* 5 November: “The New York Times Wants Everyone To Know About The Growing Zelensky-Zaluzhny Rivalry

* 8 November: “The Latest Reports Suggest That Secret Talks Are Taking Place Between The US & Russia

* 14 November: “The Western Public Should Heed The Former NATO Supreme Commander’s Words About Ukraine

* 19 November: “Zelensky Is Desperate To Preemptively Discredit Potentially Forthcoming Protests Against Him

Ecco una serie di rapporti degli ultimi giorni che mostrano quanto tutto sia cambiato:

* 16 November: “End ‘magical thinking’ about defeating Russia – US experts

* 16 November: “US Abrams tanks made no difference – Zelensky

* 17 November: “Zelensky fears a new ‘Maidan’ – Bloomberg

* 17 November: “Biden signs funding bill that excludes Ukraine

* 18 November: “Bidens welcomed the Russians – deputy PM

* 18 November: “Zelensky’s top aide criticizes slow delivery of Western arms

* 19 November: “Ukraine must brace for loss of US support – ex-ambassador

* 19 November: “Bloomberg outlines how Russia has shrugged off sanctions

* 19 November: “Top Zelensky aide questions Ukraine’s ‘survival’

* 20 November: “Time running short for US military aid to Ukraine – NBC

* 20 November: “Zelensky demands ‘rapid changes’

* 20 November: “Ukraine ‘utterly dependent’ on US aid – Treasury secretary

* 20 November: “STAY OUT: Zelensky warns Ukraine generals that getting involved in politics puts country’s unity at risk

* 20 November: “Ukraine ‘concerned’ by Western push for Russia talks – security chief

* 21 November: “No ‘silver bullet’ for Ukraine – Washington

* 21 November: “Ukraine in ‘big trouble’ – ABC News

Questa ondata di rapporti dà credito alla valutazione che questa guerra per procura sembra essere in via di esaurimento.

Le principali conclusioni sono che: 1) gli aiuti finanziari e militari dell’Occidente si stanno effettivamente esaurendo; 2) l’Ucraina sta ora impazzendo e facendo paura per il futuro; 3) le rivalità politiche nel Paese si stanno intensificando; 4) l’Occidente sta effettivamente facendo pressione sull’Ucraina affinché avvii colloqui di pace con la Russia volti a congelare il conflitto; 5) potrebbero presto scoppiare proteste organiche di base in tutta l’Ucraina. Ma non è così che doveva andare, perché Kiev aveva promesso un futuro completamente diverso.

Sembra passato così tanto tempo, ma solo sei mesi fa l’Occidente stava entusiasmando tutti su cosa aspettarsi dall’imminente controffensiva di Kiev, che avrebbe dovuto essere un colpo da maestro Clausewitziano che avrebbe mostrato la superiorità militare dell’Occidente. Invece di ricacciare la Russia nei suoi confini precedenti al 2014, il New York Times ha ammesso a fine settembre che “la Russia controlla ora quasi 200 miglia quadrate di territorio in più in Ucraina rispetto all’inizio dell’anno”.

È evidente che un solo Paese è stato in grado di resistere all’assalto della guerra per procura delle “oltre 50 nazioni” che Biden ha recentemente vantato di essersi unite agli Stati Uniti per armare l’Ucraina. Anche contro queste probabilità, alla fine è stata la Russia – e non l’Ucraina – a lanciare con successo la propria controffensiva, espandendo l’area sotto il suo controllo di 200 miglia quadrate. Le scorte occidentali sono state esaurite e ciò che è rimasto è destinato a Israele, tuttavia, quindi questa metrica potrebbe moltiplicarsi all’inizio del prossimo anno.

Se il fronte finirà per crollare nella direzione opposta a quella prevista dall’Occidente solo sei mesi fa, questo blocco della Nuova Guerra Fredda potrebbe sentirsi obbligato a lanciare un intervento convenzionale sul campo per salvaguardare alcuni dei guadagni per i quali i suoi cittadini hanno pagato oltre 160 miliardi di dollari. In questo scenario, il rischio che la Terza Guerra Mondiale scoppi per un errore di calcolo aumenterebbe, cosa che nessun politico responsabile vuole che accada. Dopo tutto, per quanto radicale sia l’élite occidentale, non è suicida.

La Russia è anche consapevole della posta in gioco se riuscisse a ottenere una svolta nei prossimi mesi, nel caso in cui il fronte dovesse crollare a causa dei problemi multidimensionali dell’Ucraina, ed è per questo che sembra essere ancora impegnata nei forti segnali lanciati dal Presidente Putin quest’estate in merito ai negoziati di pace. Tuttavia, finché Zelensky si rifiuterà di assecondare le richieste dei suoi patroni occidentali in questo senso, lo scenario sopra descritto rimarrà credibile e potrebbe concretizzarsi prima del tempo.

Qui sta il significato della sua crescente rivalità con il comandante in capo Zaluzhny. Il massimo ufficiale militare ucraino potrebbe orchestrare un colpo di Stato militare con l’approvazione dell’Occidente – indipendentemente dal fatto che segua lo scoppio di proteste popolari organiche – oppure essere deposto da Zelensky con la loro approvazione come ricompensa per aver ripreso, in qualche modo, colloqui di pace significativi con la Russia. In ogni caso, ci si aspetta che Zaluzhny giochi un ruolo importante nei prossimi mesi, sia come “eroe” che come “cattivo”.

Considerando tutte le dinamiche sfavorevoli che oggi stanno rapidamente convergendo, ci sono pochi dubbi che la guerra per procura della NATO contro la Russia si stia esaurendo, anche se questo non significa automaticamente che il conflitto si bloccherà presto. Probabilmente continuerà, anche se su scala ridotta, con i colloqui di pace, anche potenzialmente segreti (a meno che non si materializzi la minaccia onnipotente di un cigno nero). A tutti gli effetti, tuttavia, questa guerra per procura sarà probabilmente combattuta a un ritmo diverso d’ora in poi.

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Nessuna via d’uscita, di AURELIEN

Nessuna via d’uscita
Alcuni problemi del mondo non hanno soluzione.

AURELIEN
22 NOV 2023
Questi saggi saranno sempre gratuiti, e potete sostenere il mio lavoro mettendo like e commentando, e soprattutto trasmettendo i saggi ad altri e ad altri siti che frequentate. Siamo quasi arrivati a 4750 abbonati: grazie. Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️ Grazie a tutti coloro che hanno già contribuito.

Grazie anche a chi continua a fornire traduzioni. Le versioni in spagnolo sono disponibili qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Marco Zeloni sta anche pubblicando alcune traduzioni in italiano. Philippe Lerch ha gentilmente tradotto un altro mio saggio in francese, che spero di pubblicare nei prossimi giorni.

Ora che l’Ucraina non sembra funzionare come si sperava, e che la guerra a Gaza sembra non andare da nessuna parte in modo violento, ci sono le prime voci che chiedono una “soluzione”, dei “negoziati”, dei “cessate il fuoco” e degli “armistizi”, e forse altre iniziative intelligenti che mi sono sfuggite. Nel frattempo, in tutto il mondo, in Etiopia, in Myanmar, in Sudan, in Africa occidentale in generale, in Mali e in una mezza dozzina di altri luoghi, continuano gli sforzi per trovare una “soluzione”. Ma supponiamo che non ci sia una soluzione?

O meglio, si consideri che l’intero edificio di gestione e risoluzione delle crisi messo in piedi dalla fine della Guerra Fredda, con il suo freddo linguaggio normativo di concezione liberale, e che ora ha avuto trent’anni per dimostrare la propria validità, essenzialmente non ha dato risultati. Banalmente, questo può essere dovuto al fatto che le idee alla base erano sbagliate – e lo erano – ma a un livello più profondo, può essere dovuto al fatto che molti dei problemi del mondo non hanno comunque una soluzione, o almeno nessuna che noi in Occidente saremmo d’accordo a chiamare “soluzione”. Analizziamo questo punto in modo più dettagliato.

Qualsiasi presentazione di una “soluzione” implica tre componenti. Si tratta di (1) ciò che si pensa sia il problema (2) ciò che si intende fare e (3) la situazione che si spera di ottenere alla fine. È abbastanza ovvio, se ci pensate, che il primo punto è in realtà il più importante. Se non si sa, o non si vuole ammettere, qual è il problema, il resto è nel migliore dei casi inutile e nel peggiore pericoloso. Un caso tipico è il seguente. Il “problema” viene identificato come il conflitto civile in un Paese e la morte di non combattenti. La “soluzione” è rappresentata dai colloqui tra tutti i partiti e dal dispiegamento di una missione delle Nazioni Unite, e l'”aspettativa” è quella di un compromesso politico e di un futuro pacifico. E naturalmente, nel giro di pochi anni, i combattimenti ricominciano e nessuno riesce a capirne il motivo. Tuttavia, se consideriamo che il “problema” è la coesistenza nel Paese di vari gruppi etnici che costituiscono le basi di potere di diversi politici, un’economia di predazione e di rendita che fa del controllo dello Stato l’unica vera via per la ricchezza, e vicini che incoraggiano e armano le varie fazioni, allora non saremo affatto sorpresi. Il problema è che è politicamente molto difficile riconoscere che questo è il problema, perché implica che una “soluzione” sarà difficile o impossibile da trovare.

Come esseri umani, ci piace credere che i problemi abbiano una soluzione. C’è una piccola minoranza che accoglie e trae profitto dal caos e persino dal conflitto, ma la maggior parte di noi si aggrappa alla convinzione che le soluzioni siano sempre possibili. E più il tentativo di trovare soluzioni fa parte del vostro lavoro, più vi aggrapperete alla speranza che una soluzione, qualsiasi soluzione, possa essere trovata in qualche modo. Quando sono entrato nel servizio pubblico, questo era composto da persone con un orientamento essenzialmente pratico, che si erano unite per fare qualcosa e risolvere i problemi. E la politica, oggi come allora, è costituita in gran parte da problemi, da quelli banali a quelli che mettono in pericolo la vita. Che cosa dobbiamo fare? era la domanda più frequente rivolta a persone come me da alti funzionari e ministri. Probabilmente lo è ancora, anche se la generale dequalificazione del settore pubblico nell’ultima generazione o giù di lì ha reso più difficile rispondere in modo utile. Ma “mi dispiace, Ministro, non possiamo fare nulla” è una risposta impopolare oggi come non lo è mai stata.

Probabilmente nessun settore è più permeato dalla cultura della risoluzione ossessiva dei problemi di quello della diplomazia internazionale. I diplomatici, per quanto ammiri il loro lavoro, hanno la debolezza professionale di voler ottenere soluzioni, o almeno progressi, a qualsiasi costo. Mi sono seduto accanto a diplomatici, dietro a diplomatici e a volte al tavolo io stesso, mentre giravamo intorno allo stesso problema: cosa possiamo fare? Quale iniziativa possiamo prendere? Ci deve essere qualcosa su cui possiamo essere d’accordo? In un ambiente del genere, tornare a casa senza aver raggiunto un accordo è una sconfitta, e questo è particolarmente vero per i Paesi che si considerano attori principali, a livello regionale o globale, e per le organizzazioni internazionali che spesso sono in competizione tra loro. Quindi la gente dirà: “È inaccettabile che non si faccia nulla per affrontare questa crisi”. E di conseguenza ci sarà il tradizionale processo decisionale tripartito: (1) Dobbiamo fare qualcosa (2) Questo è qualcosa ( 3) OK, facciamolo.

Non voglio sembrare ironico. Non solo è difficile, quando si hanno le risorse delle nazioni e delle organizzazioni internazionali teoricamente a disposizione, accettare che non si possa fare nulla e che le persone debbano solo soffrire; spesso c’è anche un’enorme pressione politica da parte delle circoscrizioni interne e dei politici dell’opposizione per “fare qualcosa”. Anche se molte di queste pressioni sono poco più che comportamenti standard di ricerca di attenzione, hanno un impatto politico e devono essere prese in considerazione.

Un esempio è la Bosnia del 1992-95, che oltre ad essere stata la prima, è per certi versi l’epitome di questo tipo di processo. In un momento in cui il mondo si stava rifacendo e c’erano mille altre cose a cui pensare, le nazioni e le organizzazioni non avevano tempo per approfondire i dettagli di un conflitto di cui pochi avevano la più pallida idea. Ma c’erano persone che morivano, e questo era definito “il problema”. La soluzione? Ah beh, quella era tutta un’altra cosa. Così i principali Stati, la NATO, l’allora esistente Unione Europea Occidentale, l’ONU e successivamente la nuova Unione Europea trascorsero ore e ore in riunioni che ruotavano intorno allo stesso problema fondamentale, che all’epoca mi sembrava la conclusione di un duo in un’opera di Mozart:

Dobbiamo fare qualcosa.

Ma non c’è nulla di utile che possiamo fare.

Ma dobbiamo fare qualcosa.

Ma non c’è niente di utile che possiamo fare.

Ma dobbiamo fare qualcosa….

E così via. Alla fine sono state fatte diverse “cose”, non perché sarebbero state utili, ma perché il non agire era politicamente impossibile, e il risultato è stato essenzialmente quello di prolungare la guerra e far morire più persone.

Ma c’era anche un’altra considerazione. La “soluzione” doveva avere diverse etichette: doveva essere “equa”, “giusta”, “inclusiva” e, soprattutto, una soluzione che potesse essere venduta ai media occidentali infiammati e all’opinione pubblica d’élite come accettabile per loro. In pratica, ciò ha significato che varie iniziative che avrebbero potuto porre fine alla guerra (in particolare il Piano di pace Vance-Owen del 1993) sono state sabotate da gruppi in Europa e soprattutto negli Stati Uniti, che volevano che la guerra continuasse fino alla vittoria della “parte giusta”. Il risultato fu la morte di decine di migliaia di bosniaci. La guerra finì per esaurirsi e i taciti accordi tra i leader delle fazioni furono perpetuati nel lungo, complesso e largamente ignorato Accordo di pace di Dayton del 1995.

Trent’anni dopo, il problema non è stato risolto, perché non può esserlo. L’obiettivo della Comunità internazionale di creare un sistema stabile di partiti politici multietnici o almeno cooperanti è fallito e non c’è alcuna possibilità di successo. Quando due comunità si identificano con un Paese straniero e la terza con uno Stato unitario, non è possibile alcun compromesso. (Il VOPP è stato il tentativo migliore, ma anche quello potrebbe non funzionare a lungo).

Ma aspettate un momento. Un tempo esisteva un partito politico multietnico, non è vero? Si chiamava Partito Comunista Jugoslavo e manteneva la pace grazie a un mix di attento equilibrio tra le comunità e di spietata repressione delle tendenze nazionaliste. Al contrario, la Comunità internazionale ha preferito cercare di costruire il tetto di uno Stato liberaldemocratico senza le fondamenta, e nemmeno i muri, in una cultura politica che era stata costruita sulle minacce e sulla corruzione fin dall’epoca ottomana. Già all’inizio era evidente a chi si occupava del problema quale fosse la vera soluzione. Avrebbe significato trasformare la Bosnia in un protettorato internazionale, con un’amministrazione in grado di fare e applicare leggi e regole, sciogliere tutti gli eserciti e permettere molto lentamente la ripresa della vita politica sotto vincoli molto rigidi. Solo i partiti multietnici sarebbero stati autorizzati a registrarsi e i tentativi di organizzare partiti a base etnica sarebbero stati puniti con il carcere. I politici dei partiti multietnici sarebbero stati pagati molto bene, così come i loro collaboratori, e avrebbero potuto fare tutti i viaggi internazionali che volevano. Tutto ciò era impossibile, ovviamente (non dal punto di vista pratico, ma da quello politico), ma sarebbe stato molto utile per risolvere il “problema”.

Voglio suggerire che in realtà non c’è nulla di strano in questo episodio: rappresenta un tipo di problema che è strutturalmente impossibile da “risolvere” con il limitato repertorio di trucchi a disposizione della comunità internazionale, e in effetti probabilmente non ha alcuna soluzione a lungo termine. La maggior parte dei problemi del mondo di oggi, comprese le crisi in Ucraina e a Gaza, possono essere visti in questi termini. Ma perché?

C’è un’importante distinzione concettuale tra problemi difficili da risolvere, anche molto difficili, e problemi strutturalmente impossibili da risolvere. La trasformazione politica del Sudafrica rientra nella prima categoria: molto difficile, ma alla fine non impossibile, soprattutto perché non c’erano alternative che non fossero peggiori per tutti. Ma questo è uno stato di cose piuttosto insolito. Dire che i problemi sono insolubili significa dire una, o entrambe, le cose. La prima è che i problemi sono strutturalmente insolubili con qualsiasi mezzo ragionevolmente immaginabile. La seconda è che, sebbene possano avere soluzioni teoriche, sono in pratica insolubili, date le realtà politiche che impongono alle potenze occidentali e a coloro che esse influenzano di cercare di risolverli.

Approfondiamo un attimo questo secondo punto. Ho già scritto in precedenza di come la teoria liberale dello Stato permetta di riconoscere solo un certo numero di cause di conflitto. Il conflitto è considerato irrazionale, in quanto tutto ciò che un gruppo o una nazione vuole ragionevolmente dovrebbe essere disponibile attraverso la negoziazione. Il conflitto deriva quindi dall’irrazionalità di un attore. Una volta che gli “imprenditori del conflitto” o i “guastatori” saranno sostituiti da persone solide e razionali, o che la confusione e l’ignoranza che hanno portato al conflitto saranno dissipate, non ci saranno più scontri. A volte in aggiunta, a volte in alternativa, le “cause sottostanti” come le violazioni dei diritti umani, la povertà, l'”esclusione” o la discriminazione sono considerate cause di conflitto. Come ho già sottolineato in precedenza, non c’è assolutamente alcuna prova pragmatica a sostegno di queste teorie, ma hanno il vantaggio pratico di fornire soluzioni facili da individuare per i governi e di portare a contratti lucrativi per alcuni settori dell’industria della gestione delle crisi. Ad esempio, se è vero che non esiste alcun conflitto nella storia che sia sorto solo per reazione spontanea a violazioni dei diritti umani, è anche vero che se un conflitto è sorto in un Paese in cui esistono violazioni dei diritti umani, è possibile sostenere che un’ulteriore esplosione potrebbe essere prevenuta, ad esempio, con un addestramento ai diritti umani per le forze armate effettuato da formatori occidentali. Forse non è un’argomentazione molto convincente, ma comunque dà la confortante sensazione che una soluzione sia almeno idealmente disponibile e che “qualcosa” venga fatto. Dopotutto, se questi problemi sono davvero insolubili, cosa faranno in futuro tutte queste organizzazioni?

In molti casi, quindi, le soluzioni che potrebbero funzionare sono politicamente escluse, a causa dell’ideologia occidentale sulle cause e sui rimedi per i conflitti, nonché sulla gamma di risultati esteticamente gradevoli consentiti. È un luogo comune del pensiero liberale occidentale che la “pace duratura” si basi su tutta una serie di cose buone come la democrazia, i diritti umani, l’inclusività, la soppressione della corruzione, i sistemi politici multipartitici, ecc. Ora, anche se pochi sosterrebbero che una di queste idee sia necessariamente negativa in linea di principio, è vero che non ci sono prove che una di esse abbia un rapporto causale con la “pace”, comunque definita. Si tratta piuttosto di fenomeni che si manifestano più facilmente dopo che la pace e la sicurezza sono già state stabilite. Pertanto, le soluzioni militari sono spesso criticate per il loro “breve termine” e per non affrontare le “cause sottostanti”. Ma questa retorica squallida non tiene conto del fatto che la maggior parte delle vere cause di fondo non possono essere affrontate in ogni caso, e l’uso della forza è spesso un modo per guadagnare tempo, che sarà apprezzato da coloro che stanno salvando le vite.

Suggerisco che ci sono fondamentalmente due serie di circostanze che producono problemi “insolubili” nei termini riconosciuti dalla teoria liberale dello Stato, e che possono essere “insolubili” nel senso più ampio di non avere una soluzione praticamente possibile. Si tratta, in primo luogo, di problemi che derivano dai rapporti di potere e di classe nelle società e, in secondo luogo, di problemi che derivano dai tentativi di costruire Stati-nazione dai relitti di imperi o confederazioni multietniche.

Tutte le società attraversano diverse fasi di sviluppo sociale e politico e la distribuzione del potere politico ed economico cambia nel tempo. Pochi di questi cambiamenti sono del tutto pacifici, poiché non c’è alcuna ragione di principio per cui un gruppo dominante debba rinunciare tranquillamente ai propri diritti e privilegi, a meno che non sia costretto a farlo. Le transizioni politiche sono quindi spesso violente, soprattutto quando a comandare è un gruppo ragionevolmente coerente, capace di organizzarsi e difendersi dalle nuove forze. Per gran parte del mondo occidentale, questa è solo storia colorata. Pensiamo ai conflitti in Inghilterra nel XVII secolo, alle rivoluzioni francese e poi russa, alla guerra civile spagnola e così via. Quello che non riusciamo a capire è che qualcosa di simile a questa logica si svolge nella maggior parte delle società del mondo, e i tentativi liberali ben intenzionati di imporre la “democrazia” a società in cui esistono storicamente gruppi dominanti e gruppi subordinati hanno più probabilità di causare conflitti che di risolverli, perché saltano la fase della sostituzione delle élite tradizionali. (Il liberalismo stesso, ovviamente, si è sviluppato essenzialmente dopo che questa fase era già in corso).

Il caso classico è quello delle terribili violenze che hanno avuto luogo in Burundi e in Ruanda dagli anni ’70 fino più o meno ai giorni nostri. Qui, una classe aristocratica tradizionale (i Tutsi, proprietari di bestiame) dominava i contadini hutu. Poiché, come tutte le classi aristocratiche, erano una minoranza, questo dominio veniva esercitato attraverso rigide gerarchie sociali e il ricorso alla violenza estrema, se necessario. Questo schema è proseguito durante la (breve) parentesi coloniale. Dopo l’indipendenza, i Tutsi sono riusciti a mantenere il potere in Burundi grazie a diffusi massacri di Hutu, soprattutto dei più istruiti, mentre in Ruanda la leadership Tutsi è stata cacciata dal Paese e i Tutsi rimasti sono stati ridotti allo stato subalterno e massacrati durante i periodici tentativi dell’élite Tutsi di tornare dall’esilio ugandese per riprendere il potere.

E la soluzione quale fu, esattamente? Quando, dopo la fine della Guerra Fredda, i francesi e gli altri Stati occidentali hanno iniziato a fare pressione sui due Paesi affinché si democratizzassero, come si potevano organizzare i partiti politici se non secondo le tradizionali linee di classe, il che significava che i partiti hutu avrebbero predominato, come era avvenuto nel XIX secolo in Europa? In quest’ultimo caso, le classi dirigenti hanno combattuto una lunga azione dilatoria, a volte violenta, per garantire che il diritto di voto fosse esteso solo un po’ alla volta. In Burundi, i Tutsi, grazie al controllo dell’esercito, sono riusciti a mantenere il potere. In Ruanda, le elezioni hanno prodotto una coalizione instabile di partiti hutu, che si sono presto trovati a combattere una guerra civile contro un altro tentativo dei tutsi di riprendere il potere, ma questa volta molto più grande e meglio organizzato, sotto una leadership spietata e ambiziosa.

Il disastroso Trattato di Arusha del 1993, che ha riacceso la guerra civile e ha provocato terribili massacri, può quindi essere considerato paragonabile a un tentativo di accordo di condivisione del potere tra rossi e bianchi nella guerra civile russa, o a uno schema in base al quale nel 1791 metà dell’esercito francese era composto da truppe realiste e metà da repubblicane. Ci sono cose che non si possono fare. Il fatto triste è che il Ruanda è stato stabile sotto una linea di re tutsi, stabile sotto il colonialismo, stabile sotto la dominazione hutu dopo l’indipendenza e stabile sotto un governo monopartitico dalla fine della guerra civile. L’unico periodo in cui il Paese è stato disastrosamente e violentemente instabile è stato quello della democratizzazione a rotta di collo, delle elezioni, della condivisione del potere, del governo inclusivo, del tentativo di creare un nuovo esercito nazionale, della presenza di una forza ONU nel Paese e del notevole interesse e coinvolgimento della comunità internazionale e delle ONG. L’ironia ha un modo particolarmente ironico e selvaggio di comportarsi a volte.

Ciò non significa che le misure sopra elencate siano necessariamente sbagliate o indesiderabili (anche se le elezioni hanno spesso un effetto destabilizzante in situazioni fragili). Ma significa che una diagnosi errata del problema di fondo non può, se non per caso, produrre la soluzione giusta. Non sono a conoscenza di alcun caso nella storia in cui una classe o un gruppo sociale ed economico dominante abbia volontariamente ceduto il potere dopo averlo monopolizzato con la forza per lunghi periodi. Naturalmente, se la vostra preoccupazione principale non è la stabilità in quanto tale, ma il fascino estetico di un sistema politico riformato, potreste trovare questo aspetto meno importante.

Ma almeno, si potrebbe dire, in Ruanda e in Burundi si tratta essenzialmente di una lotta di classe, e la storia suggerisce che le lotte di classe alla fine si decidono, anche se nel sangue. Ma ci sono molti altri Paesi in cui ci sono differenze etniche, linguistiche e regionali da tenere in considerazione, oltre al peso del passato. (In molti Stati africani, ad esempio, il risentimento per le tribù che hanno praticato la tratta degli schiavi da parte dei discendenti delle loro vittime è un fattore politico importante). Il potere politico è alla fine un gioco a somma zero e chi lo detiene ha bisogno di incentivi straordinari per cederlo. I tentativi di cambiare l’equilibrio del potere, anche se ben intenzionati, creano quasi sempre il caos, soprattutto quando sono coinvolte le forze di sicurezza. In effetti, giocare con il controllo politico delle forze di sicurezza è come giocare con una bomba a mano viva; non che l’Occidente, nel suo complesso, l’abbia mai capito. Allo stesso tempo, però, le forze di sicurezza sono gli strumenti fondamentali per conquistare e mantenere il potere in qualsiasi Stato, ed è per questo che le crisi politiche nelle società divise tendono a comportare un conflitto: nessuno avrebbe dovuto sorprendersi della recente guerra civile in Sudan, per esempio.

Il primo tipo di conflitto nasce quindi dalle transizioni politiche, dove una classe o un gruppo ha avuto un monopolio del potere imposto con la violenza. (Non si tratta della stessa cosa della transizione da Stati autoritari o dittature, che è un argomento a parte e necessita di una trattazione separata). L’altro tipo, in cui rientrano le crisi in Ucraina e a Gaza, è il risultato dei tentativi di costruire Stati-nazione sulle rovine degli imperi. In Occidente tendiamo ad associare il concetto di “Impero” alle effimere esperienze coloniali britanniche e francesi in Africa, ma in realtà quasi tutte le principali crisi di sicurezza degli ultimi trent’anni o giù di lì sono nate dagli effetti della brusca scomparsa degli Imperi Ottomano, Romanov e Asburgico e dai tentativi, da allora, di sostituirli con Stati nazionali funzionanti. Per comprendere la natura quasi dialettica dei problemi che ne derivano, esaminiamo gli imperi e poi gli Stati nazionali.

Fino a tempi molto recenti, gli imperi erano la normale forma di organizzazione politica del mondo. Vale a dire, un centro di potere, generalmente sotto un sovrano o una dinastia regnante, si espandeva attraverso la conquista, e occasionalmente il matrimonio o l’accordo, e metteva sotto controllo le regioni vicine. A volte questo processo era estremamente violento (persino genocida) e le cicatrici rimangono ancora oggi. I nuovi territori diventavano possedimenti del sovrano o della dinastia e i loro abitanti diventavano nuovi sudditi. Gli imperi sorsero e caddero, e quando entrarono in contatto ci furono generalmente guerre, come tra gli Asburgo e gli Ottomani. E come per questi due, c’erano spesso zone di confine contese, dove il controllo era meno evidente. Una di queste era la Krajina, la frontiera militare tra l’Impero austro-ungarico e quello ottomano nei Balcani. La parola stessa (che condivide una radice con “Ucraina”) sembra significare originariamente “terra di confine”, ed era il nome locale della cintura difensiva per fermare l’espansione ottomana. Nel XVI secolo Vienna decise che sarebbe stata un’ottima idea trasferire nell’area dei forestieri (principalmente slavi) con la fama di duri combattenti. Centinaia di anni dopo, quando la Croazia divenne una nazione indipendente, i loro discendenti erano ancora lì, dando luogo a una piccola ma spiacevole componente delle guerre legate alla dissoluzione della Jugoslavia.

Come dimostra questo esempio, gli “imperi” guardavano tutti come sudditi. Potevano, come gli Ottomani, trattare in modo diverso i diversi gruppi religiosi, ma essenzialmente le potenze imperiali tenevano poco conto delle differenze etniche nella gestione dei loro territori. Le città e le regioni avevano spesso una propria identità, si parlava una varietà sconcertante di lingue, ma l’identità, così com’era, era molto generale (sudditi dell’imperatore lontano) o molto specifica (questa lingua, questa religione, questa città). Per secoli, regioni e città potevano passare da un Impero all’altro con effetti solo modesti sulla vita degli individui, ed era comune che i territori che oggi consideriamo automaticamente nazioni fossero divisi tra Imperi e Regni (spesso la differenza era terminologica) con una miriade di città e territori indipendenti, spesso in debito di fedeltà con una potenza maggiore. Una mappa della divisione politica dell’Europa nel XVI secolo ha solo la più surreale somiglianza con la divisione del continente nelle ultime generazioni, a parte paesi come Francia e Spagna con confini relativamente naturali. Ciò non sorprende se si considera che il modo in cui il potere fu usato allora per dividere lo spazio fisico non aveva alcuna somiglianza con quello che sarebbe seguito.

Ciò che seguì, ovviamente, fu l’ascesa dello Stato-nazione. Come suggerisce il nome, si trattava della confluenza di due elementi: il concetto di “Stato”, risalente in ultima analisi alla Pace di Westfalia, e la scoperta della “nazione” come entità politica. In teoria, ma quasi mai in pratica, una “nazione” aveva diritto a un proprio “Stato”. Il problema era che non c’era accordo su cosa significasse in pratica “nazione” o, se vogliamo, “popolo”, né su quali fossero le qualifiche per esserlo, né su quali diritti conferisse esserlo. La stessa confusione si ripeteva in molte altre lingue, senza alcuna certezza che esistessero semplici equivalenti tra le lingue stesse.

Il tutto era ulteriormente complicato dal fatto che il prototipo di Stato-nazione era la Francia, costruita secondo i principi repubblicani, che la rendevano lo Stato di tutti coloro che vi abitavano e di tutti coloro che chiedevano e ottenevano la cittadinanza. Il grande storico francese Ernest Renan definì una nazione come “un plebiscito senza fine”, cioè un gruppo di persone che hanno deciso esplicitamente di vivere insieme, indipendentemente dalla loro origine. E nonostante i migliori sforzi dei politici identitari di ispirazione americana, la nazione francese è ancora, più o meno, organizzata secondo queste linee volontaristiche.

Ma non era così altrove. La “nazione” nella maggior parte dei casi aveva dimensioni etniche, religiose e culturali che erano esclusiviste e spesso considerate intrinseche e permanenti. E la natura caotica della progressiva costruzione di Stati-nazione a partire dagli imperi, con le relative violenze e spostamenti di popolazioni, era un prodotto del romanticismo del XIX secolo e del culto da parte degli intellettuali nazionalisti di tradizioni e storie che, per dirla in modo gentile, erano talvolta più costruite che reali. Il risultato, ovviamente, è stato che, come è diventato chiaro con il naufragio degli imperi dopo la Prima guerra mondiale, non c’era modo di tracciare confini per collocare i gruppi “nazionali” ordinatamente in “Stati”. Ad esempio, la domanda “chi è un tedesco?”, probabilmente la domanda storica più importante del XX secolo, non aveva una risposta o, se si preferisce, tante risposte quante se ne vogliono dare. Se le “nazioni” avessero potuto in qualche modo essere chiaramente distinte l’una dall’altra attraverso marcatori di identità universalmente accettati, ci sarebbe stata qualche possibilità di soluzione, ma non c’è stata. Il risultato è stato la guerra, il caos e la carneficina, moderati in qualche misura dalla NATO, dal Patto di Varsavia e dall’UE, ma le cui linee di faglia sottostanti sono ancora evidenti. In definitiva, è da qui che nascono tutti i discorsi su dove sono, erano, erano un tempo o potrebbero essere in futuro i “confini” dell’Ucraina. Le possibilità di costruire Stati nazionali anche solo approssimativamente coerenti dalle molteplici intersezioni e dai confini itineranti dell’Ucraina, della Polonia, della Romania e dell’Ungheria sono troppo basse per valere la pena di preoccuparsene, anche senza aggiungere altri fattori. Il brusco passaggio da imperi con confini fluidi e popolazioni multietniche a Stati nazionali con popolazioni idealmente omogenee e confini rigidi ha creato una serie di problemi che sono essenzialmente insolubili con le norme della democrazia liberale. Ancora una volta, queste regioni erano generalmente stabili sotto un controllo politico esterno prima della Prima guerra mondiale e dopo la Seconda, con qualche imbarazzo nel mezzo. La storia sembra volerci dire, come nel caso della Jugoslavia e del Ruanda, che possiamo avere stabilità o norme liberaldemocratiche, ma che è difficile avere entrambe le cose allo stesso tempo.

La sanguinosa storia dell’Europa nel XX secolo è in gran parte il risultato dell’interazione e poi della disintegrazione degli Imperi Romanov e Asburgico, con un piccolo aiuto da parte degli Hohenzollern. Ma la maggior parte dei conflitti dalla fine della Guerra Fredda, dalla Jugoslavia al Maghreb, sono stati in qualche modo collegati alla velenosa eredità dell’Impero Ottomano, che ha diviso i suoi sudditi gli uni contro gli altri in base alla religione, rendendo le differenze religiose l’unico modo in cui la politica poteva essere strutturata quando l’Impero è scomparso quasi da un giorno all’altro. Durante i brevi mandati britannici e francesi nel Levante, le potenze occidentali hanno lottato con questa eredità, senza trovare una vera soluzione. In realtà, il tentativo di tracciare delle linee di demarcazione tra le province ottomane e di creare al loro posto degli Stati nazionali era inevitabile per ragioni politiche, dal momento che l’epoca delle colonie stava finendo, ma era anche destinato a fallire. Questo non significa, ovviamente, che i confini fossero del tutto artificiali e privi di significato: parlate con gli iracheni, i siriani e soprattutto i libanesi, e otterrete un autentico senso di coscienza collettiva basato sulla storia e sulla cultura. È noto, ad esempio, che le truppe sciite dell’esercito iracheno hanno combattuto gli iraniani durante la guerra con lo stesso impegno delle truppe sunnite, perché si consideravano arabi che si difendevano dal nemico storico persiano. Ma ciò che non si può fare è estendere questo concetto a un accordo sui confini e sulla demarcazione del territorio: infatti, per quanto i confini nel Levante, ad esempio, non “abbiano senso”, è di fatto impossibile progettare confini di uno Stato-nazione che li abbiano. (In realtà, anche i confini dell’Europa occidentale non hanno necessariamente “senso”, ma in quel caso sono anche il risultato di un esaurimento terminale dopo una serie di guerre sanguinose: non è una ricetta che si vorrebbe proporre agli altri).

È in questo contesto, forse, che dovremmo vedere meglio i tentativi di “negoziati” ispirati dall’Occidente per raggiungere una “soluzione” per Gaza e per la più ampia questione palestinese. In parole povere, possiamo dire che nessuna soluzione accettabile per Israele funzionerebbe, e che nessuna soluzione che funzionerebbe sarebbe accettabile per Israele. Aggiungerei che è improbabile che le norme liberaldemocratiche possano essere estese per includere una soluzione accettabile per Israele, anche se senza dubbio si farebbero sforzi enormi. Ora, per “funzionare” intendo semplicemente una soluzione che riduca il più possibile ulteriori spargimenti di sangue. Per completezza, si potrebbe sostenere che una soluzione in cui tutti i palestinesi venissero espulsi da Gaza e dalla Cisgiordania sarebbe accettata da Israele, ma, poiché ciò garantirebbe milioni di rifugiati arrabbiati nei Paesi adiacenti, è difficile considerarla una vera “soluzione”. Al di là di questo, siamo inevitabilmente costretti a tornare alle fantasie di uno Stato non confessionale sul territorio della vecchia Palestina, dove ebrei e palestinesi vivono fianco a fianco. Naturalmente dovrebbe essere un protettorato internazionale, ampiamente disarmato e con una presenza militare e di polizia internazionale permanente, un’attività politica limitata… beh, non c’è bisogno di continuare. Nel mondo reale, dobbiamo solo accettare che questo conflitto, come tutti i conflitti nell’area, sarà risolto con la forza bruta, e che gli israeliani continueranno a vincere, a meno che e fino a quando non verrà usata una forza bruta sufficiente contro di loro. Questo non perché tutte le persone coinvolte siano intrinsecamente malvagie (per quanto alcune siano piuttosto sgradevoli), ma piuttosto perché le regole del gioco sono determinate dal fatto che non esiste una soluzione basata sullo Stato-nazione che soddisfi tutti, e quindi una sarà imposta dal più forte.

In queste circostanze, l’incapacità dello Stato nazionale liberaldemocratico di attecchire adeguatamente nel mondo arabo non sorprende. Non è detto che ci sarebbe mai riuscito. Non sorprende nemmeno che in alcuni Paesi ci si sia allontanati dal concetto stesso di Stato-nazione, a favore della Ummah, la comunità dei credenti, che trascende i confini nazionali e che è gestita secondo i dettami del Corano e dei suoi commenti. Sia le sue manifestazioni politiche, come i Fratelli Musulmani, sia quelle violente, come lo Stato Islamico, promettono di fare ciò che lo Stato nazionale non può fare e che l’Impero Ottomano più o meno faceva: fornire certezza e stabilità in un quadro politico e normativo accettato.

Ho lasciato l’Africa per ultima, in parte per sottolineare che in realtà è solo un caso particolare di un problema più generale: l’incapacità di creare dal nulla Stati nazionali liberaldemocratici. Già al momento dell’indipendenza era evidente che si trattava di un atto di fede, nonostante l’entusiasmo e l’ambizione di una generazione di presunti leader (per lo più di formazione occidentale) e il sostegno delle ex potenze coloniali. È difficile ricordare quanto si fosse entusiasti dello sviluppo in Africa negli anni Sessanta: si pensava che nel giro di un paio di generazioni l’Africa si sarebbe industrializzata e sarebbe diventata simile all’Europa. Purtroppo, i tentativi di costruire Stati-nazione a partire da territori coloniali che contenevano molti gruppi politici e culturali diversi, spesso con divisioni religiose, si sono rivelati impossibili da realizzare. Ci furono alcuni piccoli successi (ad esempio il Botswana) ma molti grandi fallimenti. Alcune parti dell’Africa francofona hanno funzionato ragionevolmente bene (negli anni ’80 la Costa d’Avorio si stava avvicinando ai livelli di reddito di alcuni Stati europei più poveri), ma ciò è avvenuto al prezzo di un pesante coinvolgimento francese in questi Paesi, che ha fornito stabilità e garantito la crescita, ma ha impedito un reale sviluppo politico e ha creato risentimento popolare.

Ma d’altra parte, come amano dire gli africani con cui ho discusso di questo punto, qual è l’alternativa? La strada imboccata negli anni Sessanta è ormai segnata. Lo stesso vale, più o meno, per tutte le aree del mondo in cui gli Stati nazionali sono stati creati sulle ceneri di imperi defunti. Dobbiamo accettare il fatto che, ancora oggi, abbiamo a che fare con le conseguenze della caduta dei grandi imperi alla fine della Prima guerra mondiale. Nelle epoche precedenti, gli imperi si erano divisi (come quello di Alessandro) o erano stati assorbiti da nuovi conquistatori. L’idea di tentare di instaurare da un giorno all’altro sistemi politici completamente nuovi, che dipendono per il loro successo da una sovrapposizione quasi perfetta tra gruppi etnici/religiosi/culturali da un lato e linee tracciate sulle carte geografiche dall’altro, non è un’idea che sarebbe stata tentata se ci fossero state delle alternative ma, dopo la caduta dei tre Imperi, non ce n’erano.

Dobbiamo quindi accettare il fatto che le lotte tra gruppi dominanti e subordinati, e le lotte per i gruppi di identità e i confini, continueranno a far parte della politica internazionale per molto tempo. La soluzione non risiede, se non ai margini, nelle iniziative politiche e nella gentilezza obbligatoria. Non si tratta di “antichi odi” che possono essere in qualche modo superati da iniziative organizzate dall’Occidente per promuovere l’amore e la comprensione. Ho suggerito molte volte che la domanda fondamentale in politica è “chi mi proteggerà?”. In uno Stato nazionale sviluppato e maturo, con istituzioni forti, è lo Stato centrale stesso a ricoprire questo ruolo. (Anche se, anche lì, le comunità minoritarie spesso si lamentano di non essere adeguatamente protette). Ma negli Stati instabili e insicuri, le persone si rivolgono al proprio gruppo d’identità o alla comunità più ampia per ottenere protezione, proprio perché non si fidano dello Stato. E in queste circostanze, più si ha controllo sullo Stato stesso e più la propria comunità vive in un’area omogenea controllata, più ci si sente sicuri. Da qui, inevitabilmente, il conflitto.

Per dirla con le parole di un accademico a cui ho illustrato questa analisi molti anni fa: “Allora li lascerete morire?”. Ma questa è una lettura errata della situazione, oltre che una forma di ricatto emotivo. Si tratta in realtà di riconoscere i limiti, e soprattutto ciò che è impossibile. L’idea dell’intervento internazionale, con il suo apparato di negoziati, colloqui di pace, condivisione del potere, riconciliazione, inclusione, inculcazione di norme democratiche liberali e, più recentemente, di bombardamenti, ha ormai una tale inerzia che non è chiaro quando, se mai, i molteplici fallimenti seriali porteranno al suo abbandono.

Ma non si tratta solo del fatto che gli interventi occidentali sono stati spesso disastrosi, è che la fiducia nelle “soluzioni”, in particolare in quelle inclusive, giuste, eque, globali, durature ecc. ecc. è un’incomprensione delle situazioni con cui ci confrontiamo e una lettura errata della storia. La lotta tra gruppi dominanti e gruppi subordinati e la definizione dei confini degli Stati nazionali sono stati eventi violenti nel corso della storia. Potremmo essere in grado, e dovremmo certamente tentare, di rendere il processo più rapido e meno sanguinoso, laddove possibile. Ma non dobbiamo illuderci che ci siano “soluzioni” pronte da attuare. A volte il meglio che possiamo fare è gestire al meglio problemi intrattabili. A volte non c’è via d’uscita.

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