26° podcast_caccia alle streghe, di Gianfranco Campa

Lo scontro politico negli Stati Uniti ha ormai perso le caratteristiche di un duello, sia pure mortale. Ormai non ci sono più regole ed etiche da rispettare. I motivi politici si dissolvono nell’ombra, il pretesto diventa la motivazione e lo strumento unico per colpire, ferire e uccidere. Un procuratore incaricato di indagare su presunte collusioni con il nemico non dichiarato russo, si sente in diritto di allargare indiscriminatamente il proprio ambito di azione ad ogni campo e pretesto che possano incastrare il nemico politico dichiarato. La tanto osannata separazione dei poteri in uno Stato, a garanzia dei diritti del cittadino e del limite di esercizio del politico, si sta rivelando sempre più una mera distinzione di funzioni ed una collusione tra poteri. Una dinamica che vuole criminalizzare l’avversario, Trump nella fattispecie, ma che in realtà delegittima e priva di autorevolezza anche i fustigatori. Le conseguenze sono uno scontro politico distruttivo e destabilizzante tra oligarchie ristrette e avulse in un caso; nell’altro, e questo sembra essere il caso, un conflitto senza controllo propedeutico ad una vera e propria guerra civile o ad un colpo di stato strisciante. Il retaggio di una nuova classe dirigente giunta relativamente impreparata al governo e che sta scoprendo con durezza sul campo la tragica differenza tra esercizio del governo ed esercizio del potere quando chi detiene il primo è antitetico al detentore preponderante del secondo. A giorni, se non ad ore, si stanno preparando grandi colpi di scena, negli Stati Uniti e a casa nostra. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

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costruttori di ponti, di Giuseppe Germinario

http://italiaeilmondo.com/2018/08/17/i-meriti-del-governo-conte_-le-implicazione-della-tragedia-del-crollo-del-ponte-morandi-a-genova/

Ho conosciuto la Treviso dei Benetton negli anni ’80. La famiglia godeva di grande prestigio e rispetto tra la gente. Era uno dei gruppi imprenditoriali che stavano guidando lo sviluppo vorticoso di una regione proprio quando il triangolo industriale del nord-ovest stava avviando un drastico processo di riorganizzazione e riduzione delle concentrazioni industriali, ma anche un allarmante ridimensionamento ed impoverimento dei più grandi gruppi. Quella famiglia riuscì a creare nuovi stabilimenti manifatturieri, ma anche una rete impressionante di lavoro a domicilio e decentrato che coinvolgeva decine di migliaia di veneti. Gli occhi più attenti colsero in quelle dinamiche i primi segni di un declino complessivo della qualità della produzione industriale e del peso delle industrie strategiche nonché le basi di uno sviluppo industriale alternativo fondato sulla precarizzazione e su una catena di valore meno significativa che comunque favoriva lo sviluppo di quella regione rispetto alle altre. Riuscì, assieme ad altre, pertanto a dare un grande impulso alla diffusione di una imprenditoria piccola e polverizzata fondata su elevati redditi famigliari tratti da attività ibride nella piccola agricoltura, da un assistenzialismo fondato su pensioni ed indennità concesse a man bassa, su lavori a domicilio e in fabbrica e su una sapiente politica creditizia delle banche popolari, rafforzate da rimesse e rendite provenienti soprattutto dalle estrazioni dalle cave. Il livello di organizzazione gestionale ed industriale di gran parte di quelle attività era letteralmente penoso ed infatti cominciò a scremare e declinare paurosamente già dalla fine degli anni ’90. Gli stessi Benetton, assieme a tantissimi imprenditori, iniziarono a trasferire massicciamente all’estero l’attività manifatturiera oltre a garantirsi il controllo di buona parte delle materie prime, la lana in particolare, con l’acquisto di centinaia di migliaia di ettari di terreno, soprattutto demaniale, in Argentina. Fu un colpo al prestigio popolare della famiglia. I Benetton riuscirono comunque a salvaguardare una aura potente di illuminati con un sapiente mecenatismo ed una grande capacità di comunicazione fondata su paradossi e su un concetto elementare di fratellanza universale tra diversi complementari alla diversità di colori e modelli delle proprie linee di abbigliamento. Quella comunicazione non era un mero involucro vuoto e artefatto. I pochi esterni che hanno avuto la fortuna di visitare i laboratori nei sotterranei del centro direzionale nei pressi di Preganziol rimanevano colpiti dal fervore e dall’entusiasmo, dalla creatività che sprigionava quell’ambiente e si trasmetteva anche alle istituzioni culturali e accademiche sino ai primi anni del 2000. Fu una delle basi della creazione dell’attuale intellighenzia, oggi così smarrita e autoreferenziale. La svolta definitiva in rentier e percettori di rendite avvenne con la privatizzazione delle concessioni pubbliche, per i Benetton nella fattispecie di quelle autostradali. Le motivazioni potevano avere una loro fondatezza nel tentativo di introdurre criteri privatistici nella gestione dei servizi che innescassero innovazione, organizzazione e controllo dei costi. La fede nelle virtù innate delle attività imprenditoriali e delle dinamiche di mercato condusse invece alla trasformazione della quasi totalità della grande imprenditoria privata superstite in tagliatori di cedole proprie e per conto terzi della peggiore risma. Un connubio tutto politico, sottolineo politico che creò l’attuale classe dirigente responsabile nei vari livelli del progressivo e disastroso declino del paese accelleratosi già a metà degli anni ’90. Quel mecenatismo e quell’illuminismo si rivelò di pari passo sempre più un involucro artefatto e cinico proprio di un ceto decadente e parassita, avulso.

Mi ha subito sorpreso la apatica, grottesca, manifesta indifferenza dei Benetton a ridosso della tragedia.

Con quegli antefatti e a mente più fredda, ad una settimana dalla tragedia del crollo del ponte, riesco a spiegarmi la rozzezza e l’impaccio impressionanti manifestati dai comunicatori della Società Autostrade e dalla famiglia Benetton.

I nostri illuminati purtroppo non sono soli nella loro mediocrità.

Il cardinale Bagnasco, nella scialba e anodina gestione dell’intera liturgia che ha regolato la cerimonia funebre ha raggiunto l’apoteosi del peggio nell’omelia, con la sua involontaria macabra ironia sui “ponti la cui funzione è solcare il vuoto e condurre a nuova vita le anime”. Ci ha pensato, paradossalmente, l’orazione dell’imam, nel suo italiano fortunatamente approssimativo, a ridare qualche goccia di ottimismo e qualche prospettiva di giustizia alla folla presente nella cerimonia. E’ stato, di conseguenza l’unico, tra i religiosi, ha ricevere applausi sinceri dagli astanti.

I Benetton, però e i loro accoliti hanno saputo fare di peggio nella loro freddezza, aridità d’animo, intempestività e mancanza pressoché assoluta della virtù fondamentale dei potenti in debito di autorevolezza: l’ipocrisia! Hanno dato il meglio della loro debolezza e del loro arroccamento sordo: la cieca arroganza!

Con le vittime appena incastrate tra le macerie hanno pontificato sulla necessità di accertare le responsabilità prima di ogni azione. Sollecitate una prima volta da Salvini a collaborare, hanno bontà loro sottolineato di aver concesso il passaggio gratuito delle ambulanze sull’autostrada; sollecitati ancora una volta dallo stesso Ministro a dare un segno di vicinanza ai familiari delle vittime, a qualche giorno di distanza hanno porto le condoglianze secondo lo stile proprio di un telegramma di convenevoli a un caro estinto; ulteriormente spinti a dare un qualche segnale di sostegno alla città, agli sfollati e alle vittime, anziché usare la discrezione e annunciare l’intenzione di contattare gli interessati e le istituzioni per concordare le modalità e l’entità del sostegno hanno strombazzato da parvenu ai quattro venti lo stanziamento di 500 milioni di euri. Badate bene! I due ultimi atti di comprensione umana sono scaturiti dai loro cuori solo dopo aver affidato a consulenti esterni la gestione della comunicazione, probabilmente con qualche sofferenza del cuore stesso posto troppo vicino al portafogli.

L’allucinante sordità di questo brandello emblematico di classe dirigente è stata purtroppo parzialmente offuscata dalla dabbenaggine comunicativa e dall’improvvisazione emotiva delle reazioni di alcuni ministri, in particolare di Di Maio, il quale fatica ad esibire il freddo aplomb istituzionale nelle risposte, nelle reazioni e nei sentimenti. Per il resto ad amplificare la “defaillance” dei manager e padroni ci sta pensando da par suo l’isterica reazione e difesa delle loro prerogative e dei loro comportamenti da parte dei dirigenti più esagitati e gretti del PD.

I baldi difensori dovrebbero meritare una amorevole attenzione a parte in proposito.

In un modo o nell’altro i costruttori di ponti di fratellanza in una umanità unita dall’ottimismo pubblicitario rischiano di cadere sulla cattiva costruzione e manutenzione di un ponte in cemento armato.

NUOVI COSTRUTTORI DI PONTI

In crisi un costruttore di ponti, ne viene fuori un altro. Questa volta si tratta di ponti galleggianti.

In queste ore la nave della Guardia Costiera “Diciotti” ha raccolto aspiranti immigrati da un barcone in Mediterraneo, adducendo una richiesta di soccorso. Il Governo di Malta, le cui motovedette stavano accompagnando il barcone, ha smentito tale richiesta e rincarato la dose affermando che i naviganti avevano rifiutato la loro offerta di soccorso essendo al sicuro sul loro mezzo. L’ammiraglio Pettorino, comandante della guardia costiera di nomina Gentiloni, ha coperto il comportamento della nave; i Ministri della Difesa, Trenta e degli Esteri Moavero hanno coperto senza smentita e con ogni evidenza l’ammiraglio Pettorino. L’obbiettivo è mettere in imbarazzo e ridicolizzare Salvini e le componenti politicamente più autonome del Governo. Attendiamo lumi da Mattarella. La Diciotti è stata artefice di un gesto analogo un paio di mesi fa. I Comandi della Marina Militare, meno di due anni fa, di fronte alle intenzioni di bloccare le partenze degli scafisti e i salvataggi in prossimità delle acque libiche ribadirono la loro intenzione di proseguire comunque con i salvataggi. Una Repubblica nella Repubblica. È tempo di fare pulizia nel Governo e nelle Pubbliche Amministrazioni. In autunno si annunciano tempeste e provocazioni pesanti. Difficilmente si riuscirà a sostenere la barra guardandosi nel contempo da nemici e da “amici”.

Buona fortuna agli italiani!

i meriti del Governo Conte_ In appendice le implicazioni della tragedia del crollo del Ponte Morandi a Genova, di Giuseppe Germinario

http://italiaeilmondo.com/2018/08/20/costruttori-di-ponti-di-giuseppe-germinario/

Siamo a poco più di due mesi dal varo inaspettato del Governo Conte. Inaspettato almeno per gran parte dei collaboratori di Italia e il Mondo, compreso chi scrive. Una sorpresa dettata dal diverso punto di vista da cui siamo partiti noi nel tentativo di individuare le tendenze culturali e politiche di fondo che stanno portando ad una destrutturazione e ad una ricomposizione delle forze politiche rispetto a quello adottato dai protagonisti in campo sulla base di esigenze tattiche immediate suggerite dalla contingenza delle scelte e dei comportamenti. Una discrasia ben illustrata da Roberto Buffagni nella sua ultima cristallomanzia. L’epilogo sorprendente è stato certamente assecondato se non proprio indotto da una particolare congiunzione astrale che ha ispirato le mosse partigiane e suicide del Presidente della Repubblica e riesumato il residuo spirito di sopravvivenza di un ceto politico, sconfitto elettoralmente e in drammatico debito di credibilità, fermatosi appena in tempo sul precipizio del peggior trasformismo. Tanto più che un eventuale accordo del PD piuttosto che di Forza Italia con il M5S avrebbe richiesto il sacrificio plateale di Berlusconi e di Renzi, le anime e le colonne portanti dei due partiti.

L’istinto di sopravvivenza e il predominio del punto di vista tattico dei personaggi in campo non sono però sufficienti a giustificare e determinare l’epilogo.

Un orizzonte più definito e più profondo può essere senz’altro offerto partendo dall’alto, puntualizzando il grande e inedito attivismo e l’inusuale impegno mediatico profuso dai promotori delle due internazionali o presunte tali, quella globalista guidata da George Soros già ampiamente consolidata e quella sovranista impersonata da Steve Bannon, entrambi americani. Un punto di osservazione che meriterà una apposita riflessione.

In questo articolo si partirà piuttosto dal punto di vista degli attori nazionali e dalle dinamiche più o meno calcolate innescate dai loro atti.

Il grande gioco geopolitico è certamente al di fuori della portata del nuovo governo, come del resto dei precedenti ormai da parecchi decenni a questa parte.

Non è un caso che il Segretario di Stato americano Pompeo, nel suo viaggio preparatorio del recente incontro con Putin in Finlandia, oltre alla Gran Bretagna abbia toccato solo Roma; nel suo incontro capitolino ha incontrato Conte, Di Maio e Salvini, dedicando a quest’ultimo le maggiori attenzioni e sottolineando con reiterata fermezza che l’intero ambito dei rapporti con la Russia, comprese le sanzioni, deve essere gestito in prima persona dalla presidenza americana.

Ciò non ostante il Governo si avvia a fungere da vera e propria cartina di tornasole in grado di mettere quantomeno a nudo l’ipocrisia, la precarietà e le debolezze del contesto nazionale e di quello euromediterraneo.

Su alcuni temi secondari, rispetto agli interessi ed indirizzi strategici, ma molto importanti rispetto ai processi di formazione dell’opinione pubblica e della coesione sociale, è già possibile verificare l’impronta e l’impatto iniziale dell’azione politica. Appunto perché secondari, sono ambiti nella cui azione si possono acquisire maggiori margini di autonomia.

 

IMMIGRAZIONE

Il primo banco di prova scelto dal Governo si è rivelato un pieno successo. Gli sbarchi sono crollati drasticamente. Si vedrà per quanto tempo. Attualmente le organizzazioni sono impegnate a cercare percorsi alternativi verso paesi più accondiscendenti oppure a riorganizzare le traversate in modo da arrivare direttamente ai punti di sbarco. Ci vorrà tempo per ritessere le fila di una organizzazione ormai abituata da anni ai salvataggi facili se non addirittura commissionati. Una volta ripristinata non farà però che innalzare il livello di scontro sempre che auspicabilmente il Governo riesca a mantenere la giusta determinazione.

Rimane il problema della gestione dei rimpatri e delle grandi sacche di lavoro nero e di malaffare. Ci vorrà tempo, i recenti fatti di Macerata, Moncalieri e Foggia dovrebbero riuscire a dare una ulteriore spinta; non mi pare che ci siano grandi movimenti organizzativi in proposito. Rimangono purtroppo alcuni punti oscuri da risolvere come il comportamento di ampi settori di comando della Marina Militare particolarmente propensi alle politiche di “accoglienza”.

È sul piano europeo che sembrano raggiunti i migliori risultati politici, sia pure ancora interlocutori. La richiesta di condivisione della gestione ha messo a nudo la spaccatura netta latente tra gli stati nazionali; gli accordi su base volontaria hanno rivelato una volta di più che l’Unione Europea consiste fondamentalmente in un accordo solvibile tra stati nazionali e il surrettizio passaggio dai cosiddetti “rapporti di cooperazione rafforzata” a quelli “su base volontaria” non fanno che accentuare questo aspetto e questa divaricazione dai propositi unitari. La solidarietà su base volontaria si sta rivelando in tutta la sua ipocrisia nei tentativi di rifilare le maggiori quote ai paesi dai governi per qualche motivo più accondiscendenti, come quello spagnolo. Una soluzione che si rivelerà presto una mina vagante in grado di destabilizzare ulteriormente quel Governo già fragile. Rimangono la meschineria sempre più sciatta della leader tedesca dei “volonterosi” impegnata più che altro a tentare di rifilare ai paesi europei originari di prima accoglienza gli ultimi arrivi indesiderati e le rodomontate di Macron, imperterrito nelle sue politiche di destabilizzazione nel Mediterraneo pressoché a costo zero per il suo paese. Può rivelarsi, quello della solidarietà europea, nel medio termine un boomerang che arrivi ad alimentare e legittimare i flussi migratori illegali e incontrollati. Un argomento che verrà affrontato nell’articolo che esaminerà il futuro del Governo Italiano dal punto di vista delle dinamiche geopolitiche.

RAI E SISTEMA DI INFORMAZIONE

Le elezioni del 4 marzo e la formazione a giugno del nuovo governo hanno accelerato un processo di stretta normalizzazione del sistema di informazione tradizionale.

Già prima delle elezioni l’ipotesi di un governo costruito sull’asse Renzi-Berlusconi era servita da guida agli indirizzi editoriali del Gruppo Mediaset e dei quotidiani legati al gruppo.

Con la svolta politica di primavera quella ipotesi è rimasta sorprendentemente all’ordine del giorno. La7 ha accentuato scandalosamente e sfacciatamente, specie nelle ore serali, la propria partigianeria filopiddina; Mediaset da par suo ha epurato i propri staff con il benservito a Belpietro, uno dei due esempi di editori autonomi in Italia e Giordana affidando la redazione di un canale in quota renziana.

La nomina di Marcello Foa a consigliere d’amministrazione, in predicato di diventare Presidente della RAI, ha rappresentato il classico significativo intoppo nella realizzazione del progetto. La canea e la sollevazione di scudi del vecchio establishment politico e dell’universo mediatico sono impressionanti. Mettere in discussione così rozzamente l’integrità, la capacità professionale e l’attitudine alla funzione di garante di un tale professionista, senza alcuno scrupolo nella rimozione di condolidati rapporti di lavoro ultradecennali, ha rivelato il legame simbiotico del sistema informativo con i centri di potere sempre meno credibili e sempre più smarriti. Anche su questo il comportamento del “liberale” Berlusconi è emblematico sia dello stato dell’arte che della statura dei personaggi.

La stampa e la televisione non detengono più il monopolio dell’informazione e della formazione dell’opinione pubblica, ma sono ancora uno strumento importante e con una gerarchia precisa che consente una manipolazione controllata. Le reti di informazione e socializzazione telematiche sono canali alternativi sino ad ora efficaci anche se caotici e pletorici, quindi dispersivi e propensi a creare nicchie. I sistemi di manipolazione, legati per lo più al controllo dei server centrali di trasmissione e gestione dei dati, sono indiretti e sofisticati, legati alla manipolazione degli algoritmi che decidono della facilità di accesso. Strumenti al di fuori della portata di azione dei ceti politici periferici i quali devono accontentarsi di attività di disturbo e di segnalazione, il più delle volte pretestuosa. Anche qui la via della censura e dell’oscuramento si sta aprendo con minori vincoli legali e possibilità di contrasto delle decisioni. La recente chiusura di infowars, negli USA, rappresenta un primo grave segnale; le ricadute di credibilità sui gestori delle reti sono però molto pesanti.

Sta di fatto che la vicenda ha contribuito a mettere a nudo il complesso sistema di relazioni e manipolazione del sistema informativo e a far venire allo scoperto le reti coperte di collusione.

IL DECRETO DIGNITA’

È forse il provvedimento dalle implicazioni più significative in grado di mettere in evidenza le debolezze di fondo delle due forze politiche e la loro capacità di superarle.

Se con il “job act” Renzi ha voluto sancire una prova di forza con il sindacato, indebolendone strutturalmente la capacità di contrattazione collettiva e di gestione dei contenziosi individuali, con la limitazione e giustificazione dei contratti determinati e la reintroduzione dei voucher presenti nel “decreto dignità” il sindacato è rimasto paradossalmente ai margini anche in un tentativo di avanzamento dei diritti dei lavoratori dipendenti. È proprio il concetto di autonomia sindacale ed autonomia contrattuale, quindi delle modalità di contrattazione, così come imposto dalla CISL ed acquisito da tempo ormai dalle due altre organizzazioni, che sta venendo meno. I tempi di un intervento legislativo diretto sulla questione della rappresentanza e della titolarità dei diritti di contrattazione, sino ad ora prerogative gelosamente detenute dalle associazioni sindacali, sono ormai maturi. Le ragioni sono oggettive, legate ad una frammentazione del mercato del lavoro difficilmente gestibile con i tradizionali strumenti di azione sindacale; sono anche soggettive, con un gruppo dirigente autoreferenziale, legato sempre a doppio filo con il vecchio ceto politico e sempre meno rappresentativo di una base sindacale dagli orientamenti politici sempre più incompatibili e lontani da essi.

Il merito dei provvedimenti legati ai lavori occasionali e ai contratti a tempo determinato colgono un problema reale. Da una parte la presenza di lavori occasionali e la necessità di una loro copertura assicurativa e previdenziale cui associare in qualche maniera il riconoscimento di una pensione sociale oggi concessa indiscriminatamente e oggetto di clamorose speculazioni assistenziali specie tra gli immigrati. Dall’altra il fatto della estensione abnorme del contratto a tempo determinato anche in settori ed aziende nei quali l’oggettività di un rapporto continuativo è lapalissiana. La canea organizzata in maniera scontata da Forza Italia e settori di Confindustria e apparentemente paradossale dal PD rivela il carattere ormai opportunistico, retrivo e reazionario di queste forze, tanto più evidente in quanto permangono i pesanti limiti imposti dal job act in materia di giusta causa nei licenziamenti individuali e di regolamentazione delle procedure dei licenziamenti collettivi. Un atteggiamento che dice tutto sulla incapacità di queste forze di proporre una rinascita qualitativa del paese. L’illusione d’altro canto permane ben riposta nella speranza che sia la mera regolamentazione normativa a risolvere il problema della diffusione del lavoro precario e illegale.

Dal versante delle imprese il provvedimento coglie un altro punto debole delle precedenti politiche, quello delle delocalizzazioni e dell’uso opportunistico degli incentivi agli insediamenti. Si tratta però ancora di un atteggiamento passivo utile a contenere gli atteggiamenti predatori. L’aspettativa implicita è che ciò creerebbe spazi all’arrivo di imprenditoria cosiddetta sana. Anche su questo l’opposizione ha rivelato un atteggiamento del tutto supino alle dinamiche di mercato. Rimangono però i limiti della mancanza di una politica economica attiva che punti allo sviluppo di nuova e più grande imprenditorialità radicata nel paese e di nuovi settori da costruire e ricostruire prima che scompaia definitivamente la memoria e il patrimonio di conoscenze. Eppure nel mondo sono ormai numerosi i paesi emersi dal sottosviluppo con queste politiche. Gli stessi Stati Uniti stanno ripensando drasticamente politiche di tutela del patrimonio tecnologico, di compartecipazioni che favoriscano l’imprenditoria locale che per altro sono state liberale in modo selettivo.

QUI PRO QUO

In realtà il ceto politico emergente, presente soprattutto nei due partiti di governo fatica ancora a pensare che non esistono classi, ceti e settori sociali portatori di per sé di innovazione, distruzione creativa e di emancipazione, fossero anche i settori imprenditoriali più dinamici o gli ambienti sociali più precarizzati. Una fatica legata all’infatuazione persistente verso le politiche “dal basso” e verso le virtù innate del popolo sia nella sua versione democraticista che federalista strisciante.

Il sentore di questo limite per fortuna inizia a serpeggiare in settori di questo ceto politico emergente, nella Lega molto più che nel M5S.

L’ipotesi di riorganizzazione della Cassa Depositi e Prestiti (CDP) orientata al finanziamento della media e piccola industria rappresenta un indizio di tale presentimento più che una consapevolezza. Ma è un obbiettivo ancora estemporaneo che prescinde da un piano di rientro dall’estero del debito nazionale, di recupero ad uso interno della raccolta del risparmio, di creazione di un apparato tecnico in grado di progettare e gestire le grandi opere pubbliche e i processi di industrializzazione e formazione di imprenditoria completamente distrutto e disperso negli anni ’90, dopo il pesante degrado subito negli anni ’80. Manca la consapevolezza del ruolo strategico della grande industria nei settori di punta e dell’importanza del controllo e della riorganizzazione degli apparati pubblici e statali con una definizione chiara delle gerarchie.

Una consapevolezza paradossalmente più presente e razionale all’estero visto che mi è capitato di leggere alcuni articoli di riviste specializzate americane che sostenevano la progettazione anglo-italiana dell’aereo multiruolo Tempest, alternativo a quello franco-tedesco, anche per consentire la sopravvivenza del patrimonio tecnologico nell’avionica di Finmeccanica. Si tratta certamente di un sostegno interessato, ma quantomeno rivelatore della ben maggiore consapevolezza altrui dei problemi di casa nostra.

Manca soprattutto, con l’eccezione di una cerchia ristretta di consiglieri di Salvini e della componente più ostracizzata dei tecnici al governo, la contezza del fatto che dovessero essere perseguite in maniera più o meno coerente queste politiche si troveranno a scontrarsi con il nocciolo duro della trama delle politiche e delle normative e prassi comunitarie le quali vanno ben al di là dei limiti di deficit e degli obblighi di rientro del debito.

Non solo! Saranno dinamiche le quali, se messe in atto, faranno emergere allo scoperto all’interno stesso dei due partiti le componenti pronte a rimpolpare quelle forze reazionarie, per il momento disorientate, tese allo statu quo del paese.

Nel M5S sull’immigrazione sono già sorte le prime voci “autorevoli” di dissenso, sulle grandi opere infrastrutturali la fronda si presenta ben più minacciosa e determinata, mentre il grande supervisore alternativo, da mesi in viaggio negli Stati Uniti, illuminato dai suoi incontri con esponenti del Partito Democratico americano e da esponenti della Silicon Valley, gli stessi del Renzi di cinque anni fa, confortato dal lauto contratto con Mondadori non esita a richiamare sulla retta via. Nel federalismo strisciante e surrettizio possono trovare spazio le forze disgregatrici nella Lega nonché sostenitrici della riproposizione classica del centrodestra.

Un processo in divenire durante il quale saranno le aspre condizioni di conflitto a temprare e formare le forze più determinate, ma largamente inesperte secondo ricomposizioni ancora tutte da decifrare. Nel contesto geopolitico, soprattutto l’avvento di Trump, ha aperto nuovi spazi che non permarranno ancora per molto nell’attuale incertezza; in questi ambiti il Governo ha ritrovato un dinamismo quasi sconvolgente rispetto alla palude remissiva cui ci avevano abituati i precedenti. Un dinamismo però ancora ampiamente subordinato alle strategie altrui e soggetto quindi alla mutevolezza capricciosa delle decisioni e degli eventi. Un aspetto che affronteremo nel prossimo articolo.

IL CROLLO DEL PONTE MORANDI A GENOVA

Durante la stesura dell’articolo è piombata la tragedia del crollo del ponte di Genova. Non si può certo definire un evento e un ambito minore. Si tratta probabilmente di un evento di gran lunga più dirompente dei fatti connessi alla morte di Pamela Mastropietro a Macerata e al sottobosco e coperture che faticano ad emergere in quell’ambiente. Le sole conseguenze economiche e sociali sono di per sé drammatiche e rischiano di condannare tragicamente uno dei poli del vecchio triangolo industriale e la logistica del Nord-Italia. Da questo evento, se ben gestito politicamente, potranno emergere visivamente le condizioni e le collusioni che hanno consentito il sopravvento, l’affermazione e l’alimento dagli anni ’90 della classe dirigente che ha ridotto in queste condizioni il paese. Una classe dirigente che ha subordinato come mai in altre momenti della storia dell’Italia unita il paese agli interessi e alle contingenze politiche esterni; una classe dirigente che ha contribuito a trasformare definitivamente la quasi totalità della grande imprenditoria privata in un consorzio parassitario ed assistenziale grazie alle privatizzazioni soprattutto di Telecom e delle reti di comunicazione e dei servizi; ha distrutto e abbandonato gran parte del ridotto ceto manageriale nazionale costruito in oltre quarant’anni e esposto alla speculazioni e agli istinti di una rete commerciale predatoria buona parte dei ceti medi produttivi dell’agricoltura e della piccola industria. Il muro isterico di difesa eretto intorno a Società Autostrade dalla stampa e dai partiti attualmente all’opposizione rivelano il nervo scoperto da una simile tragedia. Le risposte di Conte, Toninelli e Di Maio sembrano dettate dall’istinto e dall’indole tribunizia. Il retaggio antindustrialista e contrario alle grandi opere pesa nella credibilità del M5S. Chiedere la decadenza immediata della concessione ha certamente un effetto mediatico immediato ma rischia di trascinare, alla luce dei testi conosciuti e pubblici dei capitolati di concessione, in un contenzioso e una diatriba esposta ai polveroni e alle manipolazioni. Meglio sarebbe arrivare ad una sorta di commissariamento dei servizi di controllo ispettivo di Ministero dei Trasporti e ANAS, a un rapido censimento delle opere da risanare, ad un risanamento a tempi stretti della rete a carico dei concessionari con la spada di Damocle del ritiro delle autorizzazioni. Porterebbe alla resa dei conti nel gruppo societario e allo sfilacciamento in poco tempo della rete di relazioni e cointeressenze che hanno tenuto in piedi questo sistema grazie alla drammatica riduzione dei margini di rendita prossimi venturi. Solo disarticolando quel sistema si potrà poi infierire e porre nel frattempo le basi politiche e tecnico-organizzative di una rifondazione. Potrebbe essere il momento giusto per recuperare nello Stato e negli apparati quelle leve indisponibili, ma sino ad ora silenti, a protrarre lo stato di fatto e indispensabili a dare corpo ai programmi e alle migliori intenzioni.

Con una avvertenza. I tempi e i contenuti della comunicazione devono essere dettati dagli uomini di governo piuttosto che da organi di informazione in evidente debito di vendite e credibilità. Se non si riesce a gestire dignitosamente questo figurarsi quali difficoltà potranno sopraggiungere a tenere la nave con il profilarsi delle nubi cupe d’autunno tanto più che l’ombrello trumpiano rischia di essere ulteriormente indebolito dalle prossime elezioni d’autunno e dalle vicende giudiziarie prossime venture. Le inchieste giudiziarie in corso, l’attentato alla sede della Lega di Treviso sono solo dei preavvisi di una tempesta che punta alla reinvestitura esterna sotto mentite spoglie di una vecchia classe dirigente capace solo di attendere gli eventi e a maggior ragione ancora più nefasta per il paese che verrà.

 

 

IL RECINTO IDEOLOGICO FILO-IMMIGRAZIONISTA: LAVORI IN CORSO, di Francesca Donato

Il sistema di costruzione e di controllo dominante della narrazione mediatica ha subito pesanti crepe nella capacità di imporre la propria rappresentazione. Lo stridore sempre più acuto con la realtà delle cose ha posto le basi di questa caduta di credibilità. La nascita di nuovi network ha offerto i luoghi di espressione di nuove possibilità di chiavi interpretative. Internet e la comunicazione telematica sono il veicolo principale e il campo di battaglia eletto per la ripresa del controllo. Il problema è che gli arbitri sono parte in causa del gioco politico. Non sono certo i centri decisionali di paesi come in Italia a poter condizionare tale gioco e tali decisioni. Né, per altro, nessuno dei paesi europei sembrano porsi il problema se non su alcuni aspetti parziali, come il progetto Galileo. Le capacità di condizionamento degli arbitri risiedono nei paesi sedi dei poteri di controllo sui server, guarda caso gli Stati Uniti. Anche a costo dello smascheramento della loro condizione, hanno iniziato in maniera concertata ha oscurare alcuni siti di larga informazione, infowars è l’ultima clamorosa vittima designata; in maniera più sofisticata stanno piegando gli algoritmi che determinano i risultati delle ricerche in base alle necessità politiche dominanti. La persecuzione politica efficace con i metodi più tradizionali avverrà dopo, se avrà pieno successo la prima fase. In Italia dobbiamo accontentarci di emuli, un po’ in ritardo e un po’ artigianali, di tali propositi. Qualche indagine giudiziaria apparentemente estemporanea; qualche gruppo organizzato nel segnalare agli arbitri giocatori, tra la tanta pattumiera, soprattutto le voci scomode. La presa sempre più ferrea sui sistemi tradizionali di comunicazione assecondata dalla persistente infatuazione berlusconiana verso Renzi, culminata con l’estromissione di Belpietro e Mario Giordano da Rete4 e il conseguente affidamento della rete agli accoliti di Matteo Renzi nonché la conduzione sempre più sfacciata de La7 sono per ora il piatto forte su cui si stanno concentrando i tentativi di ripristino, in attesa che sia definito lo scontro in ambito RAI, con la vergognosa vicenda del veto alla Presidenza di Marcello Foa. Segno ulteriore di quanto il penoso e miserabile declino di Berlusconi stia costando al paese. In questo contesto trova spazio l’ambizione e la fregola dei nuovi Savonarola che trovano posti accoglienti e ben remunerati nelle ormai pletoriche autorità di controllo per dare sfogo ai propri propositi moralistici e “politicamente corretti”. Buona lettura. Giuseppe Germinario

IL RECINTO IDEOLOGICO FILO-IMMIGRAZIONISTA: LAVORI IN CORSO.

tratto da http://www.progettoeurexit.it/il-recinto-ideologico-filo-immigrazionista-lavori-in-corso/

Commento alla delibera N. 403/18/CONS dell’AGCOM (Autorità Garante per le Comunicazioni)

Il 25 luglio scorso, con delibera n. 403/18/CONS, l’Autorità Garante per le Comunicazioni (AGCOM) ha emesso la delibera avente ad oggetto “AVVIO DEL PROCEDIMENTO PER L’ADOZIONE DI UN REGOLAMENTO IN MATERIA DI RISPETTO DELLA DIGNITÀ UMANA E DEL PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE E DI CONTRASTO ALL’HATE SPEECH E ALL’ISTIGAZIONE ALL’ODIO”.

Tale provvedimento è passato inosservato sui media mainstream, ma il suo contenuto è di fondamentale importanza per le implicazioni in esso contenute sulla regolamentazione dell’informazione nel nostro Paese. Ritengo dunque importante esporne il significato, analizzando i suoi passaggi più importanti.

Innanzitutto, la delibera concerne tutto il mondo delle telecomunicazioni e radiotelevisivo,  quindi l’intero sistema dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, del quale viene richiamato il Testo Unico (D.Lgs. 177/2005).

Essa richiama, come presupposti del proprio intervento, fonti di diritto internazionale e sovranazionale, fra le quali:

  • l’art. 7 della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite del 1948: “Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione”;
  • l’art. 1 della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale delle Nazioni Unite del 1965, ratificata con legge 13 ottobre 1975, n. 654: “l’espressione «discriminazione razziale» sta ad indicare ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica”; 
  • l’art. 4 della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione, che prevede che “gli Stati contraenti condannano ogni propaganda ed ogni organizzazione che s’ispiri a concetti ed a teorie basate sulla superiorità di una razza o di un gruppo di individui di un certo colore o di una certa origine etnica, o che pretendano di giustificare o di incoraggiare ogni forma di odio e di discriminazione razziale, e si impegnano ad adottare immediatamente misure efficaci per eliminare ogni incitamento ad una tale discriminazione od ogni atto discriminatorio, tenendo conto, a tale scopo, dei principi formulati nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dei diritti chiaramente enunciati nell’articolo 5 della presente Convenzione”. Tra queste misure lo stesso art. 4 prevede esplicitamente quelle finalizzate a “non permettere né alle pubbliche autorità, né alle pubbliche istituzioni, nazionali o locali, l’incitamento o l’incoraggiamento alla discriminazione razziale”; 
  • la Raccomandazione di politica generale n. 15 della ECRI (Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza del Consiglio d’Europa), relativa alla lotta contro il discorso dell’odio adottata l’8 dicembre 2015, che stimola gli Stati ad agire concretamente affinché ogni forma di discriminazione etnica sia contrastata ed eliminata, coerentemente con il diritto internazionale che tutela i diritti umani;
  • l’art. 21 (Non discriminazione) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000 e in particolare il comma 1, secondo il quale “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”;
  • la direttiva n. 2000/43/CE del Consiglio dell’Unione Europea, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica; l’art. 3-ter della direttiva n. 2007/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, secondo il quale “Gli Stati membri assicurano, con misure adeguate, che i servizi di media audiovisivi forniti dai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione non contengano alcun incitamento all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità”.

Inoltre, vengono richiamate norme nazionali come:

  • l’art. 3 della Costituzione Italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”;
  • l’art. 10, comma 1, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, (Testo unico della radiotelevisione), come modificato dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 120 : “L’Autorità, nell’esercizio dei compiti ad essa affidati dalla legge, assicura il rispetto dei diritti fondamentali della persona nel settore delle comunicazioni, anche mediante servizi di media audiovisivi o radiofonici”;
  • l’art. 32, comma 5, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico della radiotelevisione), come modificato dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 120: I servizi di media audiovisivi prestati dai fornitori di servizi di media soggetti alla giurisdizione italiana rispettano la dignità umana e non contengono alcun incitamento all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità”;
  • la delibera n. 424/16/CONS, del 16 settembre 2016, recante “Atto di indirizzo sul rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione nei programmi di informazione, di approfondimento informativo e di intrattenimento”, avente valore di indirizzo interpretativo delle disposizioni contenute negli artt. 3, 32, comma 5, e dell’art. 34 del Testo unico, secondo il quale i programmi radio-televisivi nella diffusione di notizie devono “uniformarsi a criteri-verità, limitando connotazioni di razza, religione o orientamento sessuale non pertinenti ai fini di cronaca ed evitando espressioni fondate sull’odio o sulla discriminazione, che incitino alla violenza fisica o verbale ovvero offendano la dignità̀ umana e la sensibilità degli utenti contribuendo in tal modo a creare un clima culturale e sociale caratterizzato da pregiudizi oppure interferendo con l’armonico sviluppo psichico e morale dei minori”, nonché devonorivolgere particolare attenzione alla modalità di diffusione di notizie e di immagini sugli argomenti di attualità trattati avendo cura di procedere ad una veritiera e oggettiva rappresentazione dei flussi migratori, mirando a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno dell’hate speech, contrastando il razzismo e la discriminazione nelle loro espressioni mediatiche;
  • la delibera n. 46/18/CONS, del 6 febbraio 2018, recante “Richiamo al rispetto della dignità umana e alla prevenzione dell’incitamento all’odio” con la quale l‘Autorità stessa ha richiamato “i fornitori di servizi media audiovisivi a garantire nei programmi di informazione e comunicazione il rispetto della dignità umana e a prevenire forme dirette o indirette di incitamento all’odio, basato su etnia, sesso, religione o nazionalità” alla luce dei dati di monitoraggio sul pluralismo politico/istituzionale relativi al periodo 29 gennaio-4 febbraio 2018 dai quali la trattazione di casi di cronaca relativi a reati commessi da immigrati appariva “orientata, in maniera strumentale, ad evidenziare un nesso di causalità tra immigrazione, criminalità e situazioni di disagio sociale e ad alimentare forme di pregiudizio razziale nei confronti dei cittadini stranieri immigrati in Italia, contravvenendo ai principi di non discriminazione e di tutela delle diversità etniche e culturali che i fornitori di servizi media audiovisivi sono tenuti ad osservare nell’esercizio dell’attività di diffusione radiotelevisiva”;
  • il “Testo unico dei doveri del giornalista”, approvato dal Consiglio Nazionale dei giornalisti nella riunione del 27 gennaio 2016 che stabilisce che “il giornalista rispetta i diritti fondamentali delle persone e osserva le norme di legge poste a loro salvaguardia; […] applica i principi deontologici nell’uso di tutti gli strumenti di comunicazione, compresi i social network”;
  • l’art. 9 del “Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica”, allegato al “Testo unico dei doveri del giornalista” sopra citato, che stabilisce che “nell’esercitare il diritto-dovere di cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali;
  • la delibera n. 410/14/CONS, del 29 luglio 2014, recante “Regolamento di procedura in materia di sanzioni amministrative e impegni e Consultazione pubblica sul documento recante Linee guida sulla quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni”.

Mi scuso per la prolissità del testo, dovuta all’elencazione delle fonti di cui sopra, ma la corretta comprensione della portata della delibera in esame non può prescindere dal quadro normativo richiamato.

Alla luce delle suddette norme e raccomandazioni, l’Autorità Garante esprime le proprie considerazioni, ovvero:

  1. che, alla luce delle disposizioni normative vigenti, “i principi fondamentali del sistema dei servizi di media audiovisivi e della radiofonia rappresentati dalla libertà di espressione, di opinione e di ricevere e comunicare informazioni – comprensivi anche dei diritti di cronaca, di critica e di satira – devono conciliarsi con il rispetto delle libertà e dei diritti, in particolare della dignità della persona, dell’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, nonché con l’apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose e con la salvaguardia delle diversità etniche e del patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello nazionale e locale” (e fin qui, nulla di nuovo);
  2. che “la crescente centralità, nel dibattito pubblico nazionale ed internazionale, delle politiche di governo dei flussi migratori provenienti da paesi in stato di guerra o di emergenza economico-sociale, sembra generare posizioni polarizzate e divisive in merito alla figura dello straniero e alla sua rappresentazione mediatica, favorendo generalizzazioni e stereotipi che minano la coesione sociale, nonché offendono la dignità della persona migrante o in ogni caso di categorie di persone oggetto di discorsi d’odio e di discriminazione su base etnica o religiosa” : qui parte il primo “affondo” alle politiche del Governo, evidentemente ritenute responsabili del generarsi delle “posizioni polarizzate e divisive” in merito alla “figura dello straniero” (con l’utilizzo del termine generico di “straniero” per indicare la categoria specifica del “migrante”, in via del tutto impropria), nonché foriere di “generalizzazioni e stereotipi” che (nell’ambito ristretto di cui si tratta, ovvero riguardo agli immigrati) “minano la coesione sociale”, “offendono la dignità della persona migrante (concetto nuovo e del tutto indefinito nelle sue caratteristiche) o comunque di “categorie di persone” (ancora più indefinito!) oggetto di “discorsi d’odio e di discriminazione su base etnica o religiosa”.

Mi fermo a commentare questa seconda considerazione, in quanto determinante e profondamente significativa. Con essa, il Garante espone la propria visione politica del contesto sociale attuale: egli ritiene dunque che il Governo in carica stia adottando politiche migratorie che creano divisioni e alimentano un clima di odio e pregiudizio. Né più né meno, ciò di cui le opposizioni di “sinistra” accusano quotidianamente, tramite tutti i media, il Ministro Matteo Salvini. Va sottolineato dunque, che l’interpretazione in chiave discriminatoria e disegualitaria delle politiche di controllo dell’immigrazione clandestina e lotta al traffico di esseri umani, poste in essere con decisione ed efficacia da questo Governo dopo anni di inerzia da parte dei Governi precedenti (in assoluta linearità rispetto a quelle intraprese dai Governi europei che ci sono stati regolarmente posti come esempi da emulare, ed a fronte della conclamata insostenibilità degli oneri economici, organizzativi e sociali che il fenomeno migratorio da cui il nostro continente è stato investito negli ultimi anni ha comportato e continua a comportare per l’Italia in misura enormemente maggiore rispetto agli altri Paesi europei, a causa della sua posizione geografica di “porta d’ingresso” nel Mediterraneo) è frutto di una visione distorta del fenomeno, dovuta all’orientamento politico di appartenenza e ampiamente veicolata dai media.

Ciò è vero, quantomeno, alla luce del fatto che metà del Paese (almeno) invece ha subito le precedenti politiche di accoglienza illimitata e incontrollata con disappunto e legittima preoccupazione, viste le evidenti (e indiscusse) ricadute negative in termini occupazionali, sociali, assistenziali e salariali sulla cittadinanza.

La coabitazione forzata fra cittadini colpiti dalla più grave crisi economica dal dopoguerra ed immigrati clandestini che vanno ad aumentare l’esercito di disoccupati e sottooccupati o lavoratori in nero (per non parlare degli addetti ad attività illecite) nel nostro già fragile sistema economico, non poteva altre che portare ad una reazione repulsiva da parte della popolazione autoctona. Non aver capito e previsto tale fenomeno, è la prima responsabilità dei governi di sinistra oggi relegati all’opposizione dall’elettorato, stanco di assistere ad un afflusso imponente e fuori controllo di immigrati clandestini.

Il modo per combattere le conseguenze di tale fenomeno, in termini di atteggiamento xenofobo o intollerante da parte della cittadinanza, avrebbe dovuto essere quello di rassicurare gli Italiani tramite maggiori controlli sugli ingressi irregolari, sulla gestione dei soggetti accolti nelle varie strutture di identificazione, con una ferrea applicazione delle norme di legge riguardanti rimpatri per i non aventi diritto all’asilo e alle espulsioni per i delinquenti. Invece, i cittadini hanno avuto di fronte un sistema colabrodo che non ha saputo minimamente garantire il rispetto della legalità e della sicurezza sul territorio, e i casi di cronaca con protagonisti immigrati irregolari si sono moltiplicati, alimentando la paura e il disagio sociale.

Le cause dei riportati fenomeni di discriminazione, odio o semplice insofferenza sono dunque da attribuire alle gestioni fallimentari perpetrate negli ultimi anni ed alle conseguenti ripercussioni sulla vita dei cittadini, anziché sull’informazione mediatica che ha – doverosamente – riportato i casi di cronaca coinvolgenti i “migranti”, come ha fatto per tutti gli altri.

L’assunto di partenza della delibera in esame, dunque, poggia su un’interpretazione delle cause della rilevata “crisi sociale” del tutto discutibile e di parte.

Le successive considerazioni espresse dal garante riguardano la necessaria correttezza ed obiettività, completezza ed imparzialità, nella diffusione di notizie, da parte dei fornitori di servizi dei media, “in ragione della pervasività del mezzo radiotelevisivo e dell’importante contributo che l’informazione radiotelevisiva svolge in ordine alla formazione di un’opinione pubblica sulla corretta rappresentazione dello straniero”, ed il contrasto alle strategie di disinformazione alimentate da notizie inesatte, tendenziose o non veritiere.

Su tale punto non si può non essere d’accordo, ma andrebbe rilevato che la disinformazione, con le modalità ivi censurate, viene molto più spesso effettuata dai mass media in altri ambiti (economia, politica, esteri) o nell’ambito in oggetto, ma in senso inverso a quello qui attenzionato: basta pensare al recentissimo caso dell’atleta di colore colpita da un uovo lanciato da un’autovettura, oggetto di un altisonante tam-tam mediatico con “allarme razzismo”, quando poi si è accertato che l’odio razziale aveva nulla a che fare con quell’episodio.

Il richiamo ai principi fondanti del giornalismo andrebbe pertanto esteso a tutte le tematiche materia di informazione, non solo a quella limitata ai “migranti”. Tale delimitazione appare, di per sè, come un intervento selettivo a beneficio di una categoria che già i cittadini percepiscono come “privilegiata” per il trattamento che riceve da parte dello Stato, sotto diversi aspetti, rispetto a quella dei residenti autoctoni.

Anche nell’accentuazione del dovere del fornitore del servizio di media di “assicurare la diffusione di notizie complete ed imparziali, che non siano idonee ad alimentare pregiudizi o convinzioni basate su discriminazioni derivanti da ragioni etniche, o di appartenenza religiosa o di sesso” si avverte una preoccupazione del Garante di assicurare la correttezza e imparzialità dell’informazione soltanto con riferimento a categorie selezionate di soggetti, come se gli altri fossero meno meritevoli di tutela.

Viene poi spiegato il significato del termine inglese “hate speech”, inspiegabilmente scelto dal Garante per individuare l’oggetto dell’intervento di contrasto, quando poi lo stesso necessita di traduzione e spiegazione nella lingua italiana. Esso viene individuato nell’ “utilizzo strategico di contenuti o espressioni mirati a diffondere, propagandare o fomentare l’odio, la discriminazione e la violenza per motivi etnici, nazionali, religiosi, ovvero fondati sull’identità di genere, sull’orientamento sessuale, sulla disabilità, o sulle condizioni personali e sociali, attraverso la diffusione e la distribuzione di scritti, immagini o altro materiale anche mediante la rete internet, i social network o altre piattaforme telematiche”.

Si denomina così il contenuto del divieto sancito nella prima parte dell’art. 604-bis del nostro Codice penale, secondo il quale “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Va da sè che, essendo previsto da una specifica norma penale, l’”hate speech” configura un reato nel nostro ordinamento, pertanto il contrasto allo stesso, qualsiasi sia il mezzo attraverso cui esso si manifesti, è già previsto da nostro sistema giuridico, con sanzioni penali (le più severe fra tutti i tipi di sanzioni giuridiche).

Ma anche qui, quando la fattispecie interessa i “migranti”, pare che alla stessa sia riconosciuta maggiore attenzione, e difatti il Garante richiama una norma internazionale che attribuisce la qualifica di “materiale razzista e xenofobo” a “qualsiasi materiale scritto, qualsiasi immagine o altra rappresentazione di idee o di teorie che incitino o incoraggino l’odio, la discriminazione o la violenza, contro una persona o un gruppo di persone, in ragione della razza, del colore, dell’ascendenza o dell’origine nazionale o etnica, o della religione, se questi fattori vengono utilizzati come pretesto per tali comportamenti”. 

Tale norma appare evidentemente indefinita nei suoi margini di applicazione, in quanto la dicitura “qualsiasi” e la locuzione “che incitino o incoraggino l’odio” possono ricomprendere anche immagini o comportamenti di per sè neutri ma che, da un punto di vista puramente soggettivo, possono essere percepiti anche in senso psicologicamente favorevole al sentimento dell’odio o di atteggiamenti discriminatori. L’applicazione di tale criterio per individuare materiale “razzista o xenofobo” può portare a considerare tale tutta una serie di dati, immagini o informazioni che i media dovrebbero poter utilizzare nella fornitura dei loro servizi senza per ciò soltanto incorrere in sanzioni.

Poiché invece il Garante pone un collegamento automatico, quasi necessario, fra i suddetti dati o comportamenti e gli “hate crimes”, altro termine inglese per indicare “i crimini generati dall’odio, prevalentemente basati su razzismo e xenofobia”, affermando che “in Italia, secondo gli ultimi dati diffusi nell’anno 2016 dall’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE)”, gli stessi, “prevalentemente basati su razzismo e xenofobia, sono quasi raddoppiati nell’arco di un triennio”, e considerando così confermati “i timori di una possibile correlazione tra la crescente diffusione dei discorsi d’odio (hate speech) sui diversi media e l’incremento di aggressioni concrete e violente (hate harm), ancorché isolate, nei confronti di categorie di persone oggetto di azioni mirate”, egli ritiene che l’intervento regolamentare sia necessario e impellente, giustificandolo vieppiù con la presunta incidenza su tali fenomeni della “ribalta assunta, sui diversi media, dal dibattito pubblico nazionale ed internazionale sul governo delle politiche migratorie di soccorso umanitario, di accoglienza e di integrazione” (marcando ancora una volta la connotazione politica delle proprie argomentazioni).

È importante, a questo punto, ricordare come le Autorità indipendenti, categoria di cui fa parte l’AGCOM autrice delle delibera qui esaminata, secondo la più autorevole dottrina e la costante giurisprudenza, non devono avere, nella loro azione, alcuna connotazione politica (v. ad es. Caianiello V., Le Autorità indipendenti tra potere politico e società civile, in Rass. giur. en. el., 1997, p. 5.): le Autorità amministrative indipendenti, difatti, sono state concepite ed istituite per dare alle domande della società una risposta tecnica e indipendente e, quindi, non politica (per un’analisi più approfondita della figura delle A.A.I., vedi qui).

L’intento dell’Autorità garante, dunque, in continuità con la già invasiva delibera precedente della stessa Autorità n. 424/16/CONS, del 16 settembre 2016, appare chiaramente quello di voler irregimentare l’informazione massmediatica – nella consapevolezza della sua incontrollabile amplificazione tramite i social network – definendo in maniera puntuale e rigorosa i limiti ed i criteri che essa dovrà rispettare per non essere catalogata come “razzista e xenofoba” e per tale ragione, censurata e soggetta a sanzioni. Ciò va ben oltre il lodevole ed indiscutibile intento di garantire il rispetto dei diritti umani contro le discriminazioni di ogni tipo: il risultato di tali interventi consisterà in qualcosa di molto più grave, cioè un vera e propria censura verso ogni tipo di rappresentazione dei fatti e delle opinioni non sufficientemente “protettiva” verso eventuali possibili letture in senso biasimevole o discriminatorio verso i “migranti”.

È paradossale, peraltro, che nel predisporre tali strumenti di fatto distorsivi e mortificanti per la libertà, la completezza e l’obiettività dell’informazione, si richiamino norme tese a tutelare proprio tali valori, come l’art. 21 della Costituzione.

La conclusione è inquietante: il Garante afferma la necessità di fornire una regolamentazione di dettaglio del precetto contenuto nell’articolo 32 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, “Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici”, il quale prescrive unicamente che “I servizi di media audiovisivi prestati dai fornitori di servizi di media soggetti alla giurisdizione italiana rispettano la dignità umana e non contengono alcun incitamento all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità” (prescrizioni già munite di tutela giuridica penalistica, tramite il disposto del richiamato art. 604-bis del codice penale) e si accinge a farlo attraverso un intervento che inciderà pesantemente (e vedremo se, ed in che misura, entro i limiti consentiti) sulle libertà democratiche fondamentali garantite dalla nostra Costituzione, come la libertà di informazione e di espressione!

Sarà fondamentale, dunque, al momento della pubblicazione di tale atto, una disamina attenta dello stesso da parte dei soggetti legittimati ed interessati (non ultimo, lo stesso Ordine dei Giornalisti), per segnalarne immediatamente eventuali profili ingiustificatamente lesivi delle suddette libertà democratiche costituzionalmente garantite, scongiurando così che, per vie amministrative, sciolte da ogni valutazione politica e giudiziaria, si trasformi la nostra Repubblica democratica in un sistema di governo etero-gestito, tramite un subdolo controllo totalitario dell’informazione e delle comunicazioni, al fine di nascondere alla pubblica opinione ogni fatto o ragionamento che possa orientarne il pensiero ed il libero giudizio in maniera difforme dalla volontà di chi promuove un travaso irreversibile dei popoli africani verso l’Europa.

Francesca Donato

 

Il gioco del poker geopolitico: dov’è la porta d’uscita? Di Alastair Crooke

un articolo di cinque mesi fa ancora significativo

Il gioco del poker geopolitico: dov’è la porta d’uscita? Di Alastair Crooke

Grazie9

Fonte: Sic Sempre Tyrannis, Alastair Crooke , 29-03-2018

29 marzo 2018

Al centro della presidenza di Trump c’è la nozione di arte della negoziazione . Trump ha detto che poche convinzioni, ma la sua concezione di come negoziare – con un grosso bastone, un effetto leva massimo e “minacce” credibili che induce timore- è al centro della sua presidenza. È alla base del suo programma di dazi statunitensi e protezione dell’occupazione; la sua sregolatezza fiscale, che deve continuare a fornire un offset per i programmi sociali in cambio d’imposta per l’escalation di spesa per la difesa “grosso bastone” [ “grosso bastone”, si riferisce alla politica estera condotta dal presidente Theodore Roosevelt all’inizio del XX esecolo) e mirando a far assumere agli Stati Uniti il ​​ruolo di una vera forza di polizia internazionale; e – ovviamente – è alla base di tutto il suo approccio geopolitico, soprattutto per quanto riguarda l’aumento della posta in gioco con Cina, Corea del Nord e Iran.

Questo concetto alla base della “negoziazione” è essenzialmente transazionale, la migliore pratica è un’operazione one-to-one piuttosto che multilaterale. Ma nel campo della geopolitica, non è così facile. Nei prossimi mesi, ma culminando in maggio (a parità di condizioni), Trump metterà alla prova la sua teoria del trading in un contesto molto diverso rispetto a quello immobiliare di New York. Il summit nordcoreano dovrebbe tenersi in quel momento; il verdetto sull’accordo nucleare con l’Iran dovrebbe essere pronunciato in quel momento; la dichiarazione israelo-palestinese di determinazione degli Stati Uniti è prevista per maggio; il ruolo degli stati sunniti nel contenimento dell’Iran deve essere corretto; e tutte le tariffe punitive contro la Cina saranno decise e promulgate.

E sullo sfondo, ovviamente, ci sarà sempre la determinazione dell’establishment dell’intelligence occidentale per abbattere il presidente Putin e la Russia (l’affare Skripal di Salisbury) e, dando a Putin un pestaggio, fare del male a Trump, naturalmente.

La Russia ha detto che risponderà proporzionalmente alle espulsioni collettive di diplomatici. Chiaramente, alcuni membri della profonda fraternità di stato sperano che la reazione della Russia servirà da pretesto per un nuovo round di denunce del presidente Putin, con l’ulteriore possibilità di estromettere la Russia dal sistema di trasferimento interbancario SWIFT. [Società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie mondiali]

Quindi questa è la confluenza dei problemi, ma cosa succede se qualcuno indica il bluff? (Possiamo ignorare la Corea del Sud che si arrende allo scambio). Cosa sta succedendo, ancora più importante, se il bluff viene mostrato per quello che è – un bluff, ampiamente e pubblicamente?

Cosa succede se i cinesi, i nordcoreani, gli iraniani e i russi afferrano le nozioni dietro l’ arte della negoziazione e sanno anche che gli Stati Uniti non sono realmente in grado di condurre alle conseguenze il loro bluff – per quanto riguarda le clamorose minacce delle azioni militari e commerciali – almeno? Trump potrebbe essere pronto a “twittare” una dimostrazione di forza come i 57 missili Tomahawk lanciati in Siria. Ma è improbabile che i principali attori del mondo tremino. I tempi cambiano. Il potere militare americano è ora percepito sia attraverso queste capacità sostanziali che per i suoi limiti.

Trump non è probabilmente l’unico a sapere come giocare a poker in giro per grandi temi: non si diventa né il leader indiscusso della Cina, né della Russia, né sanno nulla senza i problemi di dimensione o il rischio.

Ci sono anche altri problemi nella strategia dell’Arte della Negoziazione [il libro di Trump tradotto in francese con il titolo: Trump di Trump]. Il presidente Trump ha formato un gruppo di guerrafondai in termini di politica estera e aggressivo in termini di commercio. È stato descritto da alcuni come “gabinetto di guerra”. Potrebbe essere stato in parte reso per rivestire il presidente di un muscoloso cappotto di nazionalismo americano mentre si sta preparando contro Robert Mueller e le accuse contro di lui di slealtà agli interessi americani. Ma è anche chiaramente inteso a dare peso all’immagine dell’America “che brandisce un grosso bastone”.

Come sostiene la linea dura John Bolton è certamente convincente, tuttavia, è possibile che lo stesso atteggiamento belligerante può minare le credenze di altre parti che l’America è sincero quando si sta negoziando, ma invece di promuovere l’idea che L’America passa solo attraverso le proposte di negoziato principalmente per garantire che un successivo attacco preventivo appare in qualche modo più “legittimo”.

Bolton è una scelta che – correttamente o erroneamente – parla di “cambio di regime” in una luce favorevole (Bolton li augura per la Corea del Nord, l’Iran e la Russia). Non può essere menzionato per la Cina, ma la Cina comprende appieno che è in cima alla “lista dei desideri” di Bolton-Pompeo-Trump, e che la sua “La principale minaccia allo status quo” gode del sostegno bipartisan negli Stati Uniti.

Il rafforzamento dei “falchi” dell’altra parte è il vero pericolo di questo tipo di tattica “big stick”. In effetti, non è facile immaginare il consiglio che il signor Bolton può dare al presidente per il suo vertice con il leader della Corea del Nord (supponendo che tale incontro abbia luogo). Bolton ha ripetutamente affermato di non credere che la Corea del Nord lascerà volontariamente le sue armi nucleari (e potrebbe avere ragione a riguardo) e come risposta alla domanda su quali “carote” Gli Stati Uniti potevano offrire, Bolton non ha certamente affermato alcun trattato di pace, né riduzioni delle pressioni economiche.

Il che ci porta alla domanda della “porta di uscita”. Dopo averlo minacciato con un’azione militare e aver infranto la posta in gioco, cosa succederebbe se Kim Jong Un avesse semplicemente risposto “no”. O, piuttosto, “sì”, ma solo se gli americani sono anche loro denuclearizzati: cioè ritirano il loro scudo nucleare dalla penisola coreana, e se insiste che le forze americane si ritirano completamente dal nord-est Asiatico? Cosa avrebbe fatto allora il presidente Trump? Andrebbe in guerra, uccidendo centinaia di migliaia o addirittura milioni di persone?

È possibile che Trump bluffi , ma si rivelerà una scommessa molto azzardata se Trump, spinto da Bolton, decollerà qualsiasi evasione. Quale sarà allora la “porta d’uscita” – a parte una dimostrazione di forza, inflitta militarmente su Kim Jong Un? Cina, Iran e tutto il Medio Oriente non lo guarderanno attentamente, per vedere se il signor Trump sta bluffando, o è serio? Se l’America è costretta a fare marcia indietro, il mondo arriverà alle proprie conclusioni.

Questo è il rischio del “poker” geopolitico: quest’ultimo riguarda tanto – se non di più – quello che bluffa di quello che è l’obiettivo (perché qui la posta in gioco non è bancarotta, come nelle precedenti esperienze professionali di Trump, ma il conflitto nucleare): alla fine, tutto il mondo è in bilico.

L’ editoriale di ieri (27 marzo 2018) del Global Times of China , un corpo che rispecchia fedelmente il pensiero ufficiale cinese, testimonia l’indignazione che questo approccio “del pugno di ferro” ha già creato:

“Le espulsioni di diplomatici [seguito al caso Skripal] segnala le intenzioni brutali del West … che le potenze occidentali possono incontrarsi e” condannare “un paese straniero [la Russia] senza seguire le stesse procedure che gli altri paesi rispettano, secondo i principi fondamentali del diritto internazionale, è freddo alle spalle … Queste azioni non sono altro che una forma di intimidazione degli occidentali che minaccia la pace e la giustizia globale … Il modo in cui L’Europa e gli Stati Uniti hanno trattato la Russia è più che oltraggioso. Le loro azioni riflettono la frivolezza e l’avventatezza che sono cresciute fino a caratterizzare l’egemonia occidentale, che può solo contaminare le relazioni internazionali. “

Mentre alcune élite europee accolgono con favore l’espulsione coordinata dei diplomatici russi, l’editorialista del Global Times , parlando a nome dei leader, afferma che la mossa non ha ammorbidito la Cina, ma al contrario, ha rafforzato la sua determinazione a resistere alle minacce occidentali e alle intimidazioni. Ciò ha permesso alla Russia e alla Cina di rafforzare la loro determinazione a lavorare a stretto contatto e “al di là della portata dell’influenza occidentale”. Questo editoriale particolarmente rigido implicherebbe che il “bastone” delle espulsioni – supportato solo da poco più della metà dei paesi dell’UE – abbia paradossalmente reso entrambi gli Stati meno recettivi all’influenza occidentale. (Ha anche approfondito le divisioni in Europa, dal momento che una minoranza significativa sostiene una politica di rilassamento con la Russia).

Nella loro ansia di dimostrare la loro #resistenza a Trump (e il suo cosiddetto “punto debole” per quanto riguarda Putin), i professionisti delle agenzie di sicurezza negli Stati Uniti e in Gran Bretagna hanno lavorato insieme per estrarre dal loro cappello questo sfratto concertato, sotto forma di punizione per il presidente Putin. Ex portavoce del Pentagono (nell’amministrazione Obama), l’ammiraglio John Kirby spiega che gli sfratti sono:

“… accolti a braccia aperte dai nostri alleati europei, perché, a causa di ciò che hanno o non hanno sentito da questo Presidente [cioè il presidente Trump] sul presidente russo Vladimir Putin, essi sono preoccupati che Trump possa essere tenero con Mosca. Ma questo dimostra loro che i professionisti della sicurezza nazionale con cui parlano a porte chiuse hanno tenuto duro e che la politica americana continua secondo le promesse fatte, vale a dire l’indurimento. “

Come disse un diplomatico occidentale a Robin Wright, “un forte messaggio occidentale a Vladimir Putin che non può attaccare un paese occidentale senza creare una reazione ampia da parte di tutti loro “. Indipendentemente, un altro diplomatico americano (ed ex ambasciatore in Russia), William Burns, descrive il messaggio come:

“… in molti modi, la fine di un’illusione, – l’illusione di [Trump] di una specie di grande affare con Putin, sotto il quale Trump sembra aver lavorato per molto tempo. Oggi era un insieme abbastanza completo di misure. Vedremo cosa farà la Russia in risposta “, ha detto. “Noi e i nostri alleati discutiamo costantemente di come stiamo affrontando questa minaccia strategica. Il cestino non è vuoto. “

La fratellanza anglosassone di “professionisti” della sicurezza nazionale che parlano “a porte chiuse” hanno approfittato – sotto lobbying intenso dell’UE, piuttosto che la qualità dell’evidenza – dell’avvelenamento di un ex disertore dell’intelligence russa in una “narrativa” dell’Unione europea che deve ora essere mantenuta, indipendentemente da eventuali indagini o prove successive. La prova è accanto alla domanda: questa è stata l’occasione per chiudere l’illusione di Trump di un possibile rilassamento con la Russia. La storia è tutto ciò che conta. Probabilmente non conosceremo mai l’intera storia.

E il governo britannico portò la “storia” oltre la semplice attribuzione dell’avvelenamento avvelenato di questo disertore alla Russia (e al Presidente Putin personalmente), ma formulò in termini apocalittici un attacco all’arma chimica in e sull’Europa. La Gran Bretagna ha deliberatamente cercato di suggerire un’ulteriore legame con i presunti attacchi di armi chimiche contro i civili in Siria. In breve, la signora May, nel tentativo di raggiungere l’unità nazionale del Regno Unito – di fronte alla polarizzazione e alla frammentazione della politica interna della Brexit – rischia di interrompere tutte le relazioni dell’Occidente con la Russia . L’uso di un’arma chimica, un atto di guerra, in Europa, non consente di riparare le relazioni attraverso la mediazione. L’atto è e dovrebbe essere irrimediabile.

C’è un’aria di disperazione – sia britannica che mondiale – in questa saga. La Russia non può essere trattato in questo modo, come se si trattasse di una mera “potenza regionale” con “PIL inferiore a quello della zona metropolitana di New York” minore, che può respingere, e ancora spingere indietro e spingere ancora e ancora, finché non collassa o si ritira. William Taylor, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina, dà un esempio dicendo che l’Occidente possa in qualche modo “costringere la Russia a ripensare la sua strategia. La Russia sta affrontando una crescente crisi economica, subendo le tendenze demografiche, il costo dell’intervento militare straniero in Crimea e una diminuita posizione internazionale. Putin non può letteralmente permettersi un’altra guerra fredda. “

Con un linguaggio aggravato dalla disprezzo e #Resistance viscerale Trump (oltre verso Putin), il rapporto con la Russia peggiorerà, e può andare fuori controllo – soprattutto quando questi sforzi contro la Russia (e contro Cina, Iran e Corea del Nord) praticamente invitare (come esemplificato dal Global Times ), un rivale degli Stati Uniti di prendere in considerazione l’ arte della negoziazione come nient’altro che un bluff elaborato.

“Per ora, è una tattica intimidatoria senza via d’uscita”, ha detto Tom Pickering, un altro ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia. “E dobbiamo cercare l’uscita.”

Fonte: Sic Sempre Tyrannis, Alastair Crooke , 29-03-2018

Putin mette a nudo la distopia americana, di Paul Craig Roberts

Putin mette a nudo la distopia americana

Paul Craig Roberts

Dobbiamo concederlo a Putin. Lui è il migliore che ci sia. Notare la facilità con cui ha regolato il confronto con quell’idiota di Chris Wallace. https://www.rt.com/usa/433447-putin-interview-fox-wallace/

Cosa c’è che non va nel sistema dei media statunitensi il quale non riesce a produrre un secondo giornalista competente che faccia compagnia a Tucker Carlson? Perché i restanti giornalisti americani, come Chris Hedges, ora sono nei media alternativi?

Tutto quello che posso dire, e Putin probabilmente lo sa già, è che c’è qualcosa di più importante in corso di presstitute che tiene in ostaggio la relazione tra la Russia e gli Stati Uniti rispetto alla lotta politica interna tra il Partito Democratico e il Presidente Trump. Non è solo che i media corrotti degli Stati Uniti servono come propagandisti per il Partito Democratico contro il Presidente Trump. Gli uffici stampa stanno servendo l’interesse del complesso militare / di sicurezza, che ha interessi di proprietà nei media statunitensi altamente concentrati, per mantenere la Russia posizionata come il nemico che giustifica l’enorme budget di $ 1.000 miliardi del complesso militare / di sicurezza. Senza il “nemico russo”, qual è la giustificazione di uno spreco di denaro quando così tanti bisogni reali sono sottofinanziati e non finanziati?

In altre parole, i media americani non sono solo stupidi, sono corrotti oltre ogni misura.

Oggi alle 12:40, ora di New York, la NPR aveva una raccolta di trump-basher che facevano del loro meglio per impedire all’appuntamento di Trump / Putin di produrre una normalizzazione delle relazioni tra i due governi. Ad esempio, come sa ogni persona informata, la comunità dei servizi segreti degli Stati Uniti non ha certamente concluso che la Russia ha interferito nelle elezioni presidenziali. Questa conclusione è stata raggiunta da alcuni membri selezionati di 3 delle 16 agenzie di intelligence ed è stata espressa non come un fatto provato ma come “altamente probabile”. In altre parole, non era altro che un parere orchestrato dato da agenti cooperativi i quali senza dubbio si aspettano delle promozioni in cambio.

Nonostante questo fatto noto, la squadra di propaganda dell’NPR ha detto che Trump aveva creduto a Putin piuttosto che a un rapporto unanime di intelligence dei fatti degli Stati Uniti che provava le interferenze della Russia. I denigratori di Trump-basher hanno detto che aveva creduto al “teppista Putin” e non ai suoi stessi esperti americani. I sostenitori NPR di Trump hanno continuato a confrontare il “raccordo con Putin” con l’opinione di Trump che la violenza di Charlottesville fosse stata alimentata da entrambe le parti. I criticoni di NPR hanno equiparato la dichiarazione fattuale di Trump sulla violenza da entrambe le parti con lo “schierarsi con i neonazisti” a Charlottesville.

Il punto di NPR è che Trump si schiera con nazisti e teppisti russi ed è contro gli americani.

Quello che Trump disse in effetti riguardo alle presunte interferenze elettorali era che se c’era o non c’era interferenza elettorale, essa non aveva alcun effetto come hanno ammesso Comey e Rosenstein, e non assume la stessa importanza della possibilità che due potenze nucleari vadano d’accordo ed evitino le tensioni in grado di provocare una guerra nucleare. Si potrebbe pensare che persino un idiota NPR possa capirlo.

Il trionfo su NPR è andato avanti per tutto il giorno mescolato a un occasionale attacco della Russia per aver ucciso civili siriani in attacchi aerei contro i jihadisti supportati da Washington che, secondo le istruzioni di Washington, cercano di aggrapparsi a un po ‘di Siria in modo che Washington e Israele possono ricominciare la guerra. Ci si meraviglia della stupidità di coloro che danno soldi all’NPR in modo che l’NPR possa mentirgli tutto il giorno. Come George Orwell aveva previsto, le persone sono più a loro agio con le bugie del Grande Fratello che con la verità.

Una volta la NPR era una voce alternativa, ma è stata rotta dal regime di George W. Bush ed è diventata completamente corrotta. NPR continua a fingere di essere “ascoltatore supportato”, ma in realtà ora è una stazione commerciale proprio come ogni altra stazione commerciale. NPR cerca di mascherare questo fatto usando “con il supporto di” per introdurre gli annunci a pagamento dalle aziende.

“Con il sostegno di” è come NPR ha tradizionalmente riconosciuto i suoi donatori filantropici. La vera domanda è: come fa NPR a mantenere il suo status di esenzione fiscale 501c3 quando vende pubblicità commerciale? Non c’è bisogno che NPR si preoccupi. Finché l’entità presstitute serve l’élite dominante a spese della verità, manterrà il suo stato di esenzione fiscale illegale.

È ovvio che le incriminazioni dei 12 ufficiali dei servizi segreti russi immediatamente precedenti alla riunione di Trump / Putin avevano lo scopo di minare l’incontro e di offrire ai giornalisti maggiori opportunità per i colpi più disonesti ai danni del presidente Trump. Ai miei tempi, i giornalisti sarebbero stati abbastanza intelligenti e avrebbero avuto abbastanza integrità per capirlo. Ma i comunicati stampa occidentali non hanno né intelligenza né integrità.

Quante prove vuoi? Ecco la stampa di Michelle Goldberg che scrive sul New York Times che “Trump mostra al mondo che è il lacchè di Putin.” La giornalista dice di essere “sconcertata dalla prestazione servile e schifosa del presidente americano.” Apparentemente Goldberg pensa che Trump avrebbe dovuto picchiare Putin.

Il Washington Post, in passato un giornale, ora uno scherzo malato, sosteneva che “Trump si era appena colluso con la Russia. Apertamente.”

Non sono solo i presstitutes. Sono i cosiddetti esperti, come Richard Haass, presidente del Consiglio per le relazioni estere, un gruppo auto-importante, finanziato dal complesso militare / di sicurezza, che presiede la politica estera americana. Haass, aderendo alla linea ufficiale di sicurezza / sicurezza, ha dichiarato erroneamente: “L’ordine internazionale per 4 secoli si è basato sulla non interferenza negli affari interni degli altri e sul rispetto della sovranità. La Russia ha violato questa norma sequestrando la Crimea e interferendo con le elezioni americane del 2016. Dobbiamo affrontare la Russia di Putin come lo stato canaglia che è “.

Di cosa sta parlando Haass? Quale rispetto per la sovranità ha Washington? Sicuramente Haass ha familiarità con la dottrina neoconservatrice dominante dell’egemonia mondiale degli Stati Uniti. Sicuramente Haass sa che i problemi orchestrati con Iraq, Libia, Siria, Corea del Nord, Russia e Cina sono dovuti al risentimento di Washington per la loro sovranità. Qual è l’unilateralismo di Washington sul fatto che Washington rispetti la sovranità dei paesi? Perché Washington vuole un mondo unipolare se Washington rispetta la sovranità di altri paesi? È precisamente l’insistenza della Russia su un mondo multipolare che la pone nel mirino della propaganda. Se Washington rispetta la sovranità, perché Washington rovescia i paesi che ce l’hanno? Quando Washington accusa la Russia di essere una minaccia per l’ordine mondiale, significa che la Russia è una minaccia per l’ordine mondiale di Washington. Haass sta dimostrando la sua idiozia o la sua corruzione?

Come i media americani hanno definitivamente dimostrato non hanno indipendenza ma sono un portavoce dei democratici e degli interessi delle multinazionali; dovrebbero essere nazionalizzati. I media americani sono così compromessi che la nazionalizzazione sarebbe un miglioramento.

Anche l’industria degli armamenti dovrebbe essere nazionalizzata. Non solo è un potere più grande del governo eletto, ma è anche molto inefficiente. L’industria degli armamenti russi con una minima frazione del budget militare statunitense produce armi di gran lunga superiori. Come ha detto il presidente Eisenhower, un generale a cinque stelle, il complesso militare-industriale è una minaccia per la democrazia americana. Perché la feccia dei media è così preoccupata per l’inesistente interferenza russa quando il complesso militare / di sicurezza è così potente da poter realmente sostituirsi al governo eletto?

Ci fu un tempo in cui il Partito Repubblicano rappresentava gli interessi degli affari, e il Partito Democratico rappresentava gli interessi della classe operaia. Ciò ha tenuto l’America in equilibrio. Oggi non c’è equilibrio. Dal momento che con il regime di Clinton, l’uno per cento ricco è diventato molto più ricco, e il 99 per cento è diventato sempre più povero. La classe media è in serio declino.

I democratici hanno abbandonato la classe operaia, che i democratici ora liquidano come “Trump deplorables” e sostengono invece la divisione e l’odio di IdentityPolitics. In un momento in cui il popolo americano ha bisogno di unità per resistere a mire guerrafondaie e avidità, non c’è unità. Alle razze e ai sessi viene insegnato a odiarsi l’un l’altro. È ovunque tu guardi.

Rispetto all’America in cui sono nato, l’America di oggi è fragile e debole. L’unico sforzo per l’unità è creare unità che la Russia sia il nemico. È proprio come nel 1984 di George Orwell. In altri aspetti l’attuale distopia americana è peggiore di quella descritta da Orwell.

Cerca di trovare un’istituzione pubblica o privata americana che sia degna di rispetto, che sia onorevole, che rispetti la verità, che sia compassionevole e che cerchi la giustizia. Quello che trovi al posto della compassione e della richiesta di giustizia sono leggi che puniscono se critichi il genocidio israeliano dei palestinesi o perdi informazioni che mostrano i crimini commessi dal governo degli Stati Uniti. Con tutte le loro istituzioni corrotte, anche il popolo americano viene corrotto. La corruzione è ciò in cui i giovani sono nati. Non sanno niente di diverso. Che futuro si riserva per l’America?

Come possono la Russia, la Cina, l’Iran, la Corea del Nord raggiungere un compromesso con un governo che non conosce il significato della parola, un governo che richiede la sottomissione e quando la sottomissione non viene segue la distruzione come abbiamo imparato in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Yemen.

Chi sarebbe così sciocco da fidarsi di un accordo con Washington?

Invece di perseguire un accordo con Trump, che si sta preparando ad essere rimosso, Putin dovrebbe preparare la Russia alla guerra.

La guerra sta sicuramente arrivando.

Subordinazione alla francese, a cura di Giuseppe Germinario

Pubblichiamo qui sotto il testo tradotto di una intervista di Leslie Varenne riguardante le ragioni dello spezzettamento e della cessione a General Electric dell’intero comparto energetico. Nell’affrontare il tema dell’elezione di Macron abbiamo già sottolineato alcuni aspetti della politica estera ed economica francese. http://italiaeilmondo.com/2018/01/06/macron-micron_-3a-parte-di-giuseppe-germinario/ Dietro i toni e la retorica nazionalista, ben inserita nel contesto europeista, si celava una condizione di subalternità deprimente, del tutto paragonabile a quella italiana. Questa intervista chiarisce nei dettagli alcuni aspetti importanti di queste dinamiche. Rivela positivamente, ancora una volta, la presenza strutturata anche se minoritaria di forze sovraniste ben radicate in alcuni centri di potere e decisionali. Soprattutto, svela come la competizione economica sia parte integrante della competizione politica e geopolitica. Uno dei meriti dell’elezione di Trump è di aver messo a nudo una verità a lungo nascosta dalle ideologie globaliste. Buona lettura_Giuseppe Germinario

10.July.2018 // The Crises

Le vere ragioni del taglio di Alstom, di Leslie Varenne

Alstom-Siemens

 

Fonte: IVERIS, Leslie Varenne , 10-10-2017

Durante una conferenza, Christian Harbulot, capo della Scuola di Guerra Economica, ha parlato del caso Alstom e dell’acquisto del suo ramo energetico da parte della General Electric, come parte della dura guerra economica tra Stati Uniti e Cina (1). Infatti, prima che il caso scoppiasse, Alstom e Shanghai Electric si stavano preparando a sottoscrivere una joint venture nel mercato delle caldaie per le centrali elettriche. Questa partnership avrebbe permesso loro di diventare il leader mondiale in questo settore. Nel luglio 2013, Alstom ha firmato un accordo di partnership con il gruppo cinese Dongfang per progetti di reattori nucleari. Per comprendere le vere cause dello smantellamento di quello che era un fiore all’occhiello dell’industria strategica francese, l’IVERIS offre un’intervista a Loïk il Floch-Prigent.

Pensi che i progetti di fusione e partnership di Alstom con i gruppi cinesi siano stati determinanti nell’acquisizione americana del business dell’energia di Alstom, e in che modo queste due attività erano strategiche?

Cos’è la globalizzazione oggi? Sostanzialmente la coesistenza di due sistemi antagonisti, gli Stati Uniti d’America con una potenza economica e militare senza precedenti e una popolazione media, e la Cina, che si è svegliata con una popolazione tre volte più alta e un’innegabile forza di volontà. È il Regno di mezzo che ha davanti a sé il futuro, il tempo, e che avanza silenziosamente sulle sue pedine sulla scacchiera mondiale. L’Europa è troppo divisa per pesare in questa avventura, e la Russia è ancora indebolita dopo settant’anni di oscurantismo sovietico. È chiaro che durante la Guerra Fredda la nostra industria era sotto una lente d’ingrandimento in modo che non venisse in aiuto all’impero sovietico. Ora è la Cina il problema numero uno negli Stati Uniti. Non vederlo, ignoralo, ignoralo,

Alstom ha avuto due specialità dopo che la Compagnie Générale d’Electricité (CGE) è stata smantellata da ideologi mediocri: il trasporto ferroviario e l’energia. La ferrovia non è un problema centrale per gli Stati Uniti, ma l’energia è una risorsa importante nella loro spinta verso il potere. Hanno dominato il petrolio sin dal suo inizio e vogliono mantenere questo fondamentale vantaggio. Negli ultimi anni, l’aumento dei prezzi del petrolio ha portato gli Stati Uniti a rendere economiche le loro riserve di petrolio non convenzionale (shale oil) e sono diventati autosufficienti almeno per i prossimi 150 anni, il che ha giustificato il loro relativo disimpegno Politica del Medio Oriente; non hanno più bisogno dell’Arabia Saudita per funzionare!

Quello che è stato ascoltato nel 2012-2013 da Alstom, una delle principali società di trasformazione dell’energia (carbone, gas, energia idroelettrica, nucleare)! Stava per trovare un partner russo in orbita per il suo dipartimento ferroviario, e lei si sarebbe concentrata sulle soluzioni energetiche, grazie ad un accordo con Shanghai Electric per le centrali a carbone e un altro con Dongfang per il nucleare! È questa roadmap che viene presentata alla stampa e ai sindacati dal capo del gruppo che segnala in questa occasione che, di fronte al potere della singola compagnia ferroviaria cinese, Alstom-transport non può vivere da solo poiché il mercato futuro è principalmente asiatico, ed è urgente trovare un partner in questo settore per avere la libertà di rimanere nel cuore industriale di Alstom,

Poche settimane dopo, un dirigente di Alstom domiciliato in Asia viene arrestato durante uno dei suoi viaggi negli Stati Uniti, e l’amministratore delegato del gruppo annuncia il trasferimento del dipartimento energia al conglomerato americano General Electric, che dovrebbe consentire di effettuare il trasporto ferroviario Alstom una pepita globale!

Una piccola prospettiva, una buona conoscenza della geopolitica mondiale, e abbiamo capito … ” fai le tue sciocchezze nel trasporto, non ci riguarda ma l’energia siamo noi e serviamo le tue conoscenze ai cinesi, non le domande“! Questa non è la prima volta che gli Stati Uniti ci avvertono che sono i padroni del mondo nella politica energetica, possiamo fingere di ignorarlo, combattere contro i mulini a vento con tremoli nella voce, s ‘ all’indignazione, sarebbe comunque necessario fornire i mezzi, e il gruppo Siemens con il quale si sarebbe potuto discutere era appena uscito indebolito in modo duraturo da un caso analogo in cui aveva dovuto separarsi da tutto il suo gruppo dirigente per le stesse ragioni che Alstom: corruzione di stati esteri con dollari, e quindi punita dall’emittente della valuta, gli Stati Uniti.

Questa è la storia che abbiamo vissuto. Non volevamo guardare in faccia, volevamo credere alla terribile corruzione del nostro campione nazionale, ma in questo settore tutti hanno agito nello stesso modo. Ciò che era insopportabile è che Alstom si impegna in una politica di alleanza con la Cina senza l’esplicita autorizzazione del padrone di energia del paese, gli Stati Uniti.

Dovremmo vedere un legame con la severa condanna negli Stati Uniti di Frederick Pierucci ai sensi della legge anti-corruzione poiché era il vicepresidente della divisione mondiale delle caldaie e che avrebbe dovuto prendere l’iniziativa? joint venture?

È chiaro che l’immediata detenzione di Frédéric Pierucci, la costituzione della joint venture con Shanghai Electric nel carbone, ma anche il centro delle trattative con la Cina, è stata chiarissima perché c’era un grande numero di altri dirigenti Alstom che hanno partecipato agli atti illeciti, in particolare l’amministratore delegato. La detenzione di Frédéric Pierucci era sia un avvertimento che un ricatto contro il management team del gruppo, che era già stato raggiunto con Siemens qualche anno prima. Sappiamo anche che i politici europei sono cauti non appena compare la parola ” giustizia “. Possiamo dire che gli americani hanno giocato molto bene!

Il processo a Frederic Pierucci si è svolto il 25 settembre e il verdetto è sconcertante: trenta mesi di carcere mentre eseguiva solo gli ordini dei suoi superiori e non beneficiava di un arricchimento personale. Ottiene la stessa punizione del CEO di Halliburton, mentre quest’ultimo ha ricevuto una tangente da $ 10 milioni. Questo dirigente di Alstom è chiaramente un ostaggio economico, non è anche lui una vittima della guerra USA / Cina?

Certo, ma è stato anche abbandonato dalla compagnia che gestiva, e questo è semplicemente sconcertante.

Quindi l’FCPA (American Corruption Act (2)) è anche un’arma della guerra economica condotta da questi due stati per il dominio economico mondiale? Airbus, che è attualmente sottoposto a una procedura negli Stati Uniti, si assume dei rischi quando firma un contratto di 20 miliardi di euro sull’A330 con la Cina?

L’FCPA, ovvero la capacità di agire in tutto il mondo per la giustizia degli Stati Uniti non appena un dollaro ha cambiato le sue mani, è un’arma formidabile con cui i politici europei hanno familiarità. Non vogliono andare in prima linea, e capiamo, ma quando lasciano i leader industriali da soli nel caos, possiamo chiederci a cosa giocano. Nessun commentatore si preoccupa. Abbiamo sperimentato questo tipo di rassegnazione collettiva e cecità nel nostro paese in altri momenti della sua storia. L’FCPA è un problema fondamentale per la sopravvivenza della grande industria del nostro continente. Vedremo come si sistemeranno gli affari di Airbus!

Nell’affare ” Alstom “, che è davvero uno scandalo di stato, c’era un rapporto, un libro, un documentario, le audizioni all’Assemblea nazionale. I ministri hanno parlato sull’argomento, eppure nessuno ha visto che Alstom era il bersaglio degli americani a causa dei suoi progetti con gruppi cinesi. Perché? Non è questo il segno del fallimento del pensiero strategico francese? Non siamo tutti collettivamente responsabili della situazione di Alstom oggi?

Non possiamo scacciare il nostro sguardo sull’ombelico, è una malattia che abbiamo visto la devastazione con la COP 21 e la recente necessità di dare ” l’esempioProibendo l’esplorazione e la produzione di idrocarburi in Francia! Pensiamo che sogniamo! La nostra produzione nazionale annua rappresenta metà della produzione giornaliera del mondo! Quale esempio, quale impatto, su chi? Il mondo continuerà la sua esplorazione e sfruttamento degli idrocarburi perché gli Stati Uniti e la Cina non fermeranno la loro crescita per soddisfare sia il loro desiderio di potere che la loro popolazione. La nostra possibilità, con Alstom, era quella di essere in prima linea per un uso più pulito del carbone, che rimane il più grande produttore di elettricità del mondo, per essere all’avanguardia dell’idroelettrico, che è la grande opportunità del continente. raddoppierà la sua popolazione in 25 anni, sulla punta dei turbo-alternatori « Arabelle Che equipaggia oltre la metà delle centrali nucleari del mondo. Dovevamo dimostrare la nostra determinazione a mantenere il controllo del nostro destino ed evitare di prestarci alle critiche volendo combinare con la Cina (3)! Non lo abbiamo ancora capito e il nostro paese, i nostri team, i nostri ingegneri stanno pagando il prezzo oggi senza capire veramente cosa sia successo. Alcuni stanno ancora soffrendo, altri godono di giorni felici, ma il nostro Paese soffre di non vedere e non capire che una politica energetica è necessaria, e che passa attraverso una revisione senza concessioni della nostra realtà. In noi ‘ spargimento“Alstom abbiamo perso il controllo della nostra industria nucleare già minata da molta incompetenza. Abbiamo anche perso il controllo sulla nostra idraulica e non rappresentiamo nulla in quelle che chiamiamo ” nuove energie “, cioè energia solare ed eolica. La nostra politica energetica è una politica di scarabocchi, che può solo rallegrare gli Stati Uniti e la Cina. Ci rifiutiamo di vederlo. Abbiamo avuto molti altri errori in passato e i risultati sono stati piuttosto scoraggianti.

Nel mondo in cui viviamo, stiamo sistematicamente fallendo. Le continue informazioni, i dibattiti concordati tra i cosiddetti esperti su tutti i temi attuali ci impediscono di prendere un po ‘di altezza. Reagiamo nell’immediatezza mentre i commentatori e gli attori politici praticano in larga misura la negazione della realtà.

Patrick Kron, l’ex amministratore delegato di Alstom, ha negoziato con gruppi cinesi per il settore dell’energia e con i russi per il settore dei trasporti. Questa strategia non era rischiosa? Ha ignorato così tanto le relazioni di potere? Cosa avrebbe dovuto fare per evitare di cadere nelle trappole e di essere in grado di proteggere il suo gruppo ei suoi dipendenti?

Patrick Kron non ha avuto la strategia vincente per Alstom, è un fatto acquisito ora. Lascio ad altri di analizzare le singole azioni. Ho detto quello che pensavo della nostra cecità collettiva, è molto più serio.

(1) Questa conferenza è stata dedicata all’ultimo libro di Christian Harbulot, intitolato ” American Economic Nationalism “, pubblicato da VA nella raccolta ” War of Information “.

(2) https://www.iveris.eu/list/compterendus_devenements/114-apres_alstom_a_which_the_tour__

(3) https://www.iveris.eu/list/tribunes_libres/61-the_turbine_arabelle_or_the_independence_technology_francaise

Fonte: IVERIS, Leslie Varenne , 10-10-2017

 

STRATEGIE DELLA TENSIONE NEGLI STATES, di Giuseppe Germinario per conto della redazione

I lettori ricorderanno della strage efferata compiuta a Las Vegas la domenica del 1° ottobre 2017. Quel giorno il sessantaquattrenne Stephen Paddock tra le 22.05 e le 22.15, appostato al trentaduesimo piano dell’hotel Mandalay Bay, falciò la folla radunata in un concerto country. Sparò a raffica più di millecento proiettili lasciando sul terreno cinquantotto morti ed oltre ottocentocinquanta feriti. Una efficacia letale prodigiosa anche per un esperto tiratore come Stephen.  Potrebbe essere catalogata come una delle tante stragi che periodicamente flagellano in maniera più o meno casuale gli Stati Uniti.

Tutte hanno avuto la giusta rilevanza nella stampa e nel sistema mediatico. Lo stesso sistema inquirente è quasi sempre riuscito a scoprire gli aspetti più reconditi di questi atti efferati. La strage di Las Vegas, la più sanguinosa tra queste, sin dall’inizio non ha meritato la stessa rilevanza nel sistema di informazione e le stesse indagini si sono soffermate apparentemente sull’unico protagonista accertato finendo inspiegabilmente oscurate da una cortina di silenzio protratta sino ad oggi https://files.acrobat.com/a/preview/51a4c2da-15ed-473d-8cf3-ab50062f06e2.

Una dinamica che ha generato una serie di teorie complottistiche che continuano a circolare nei siti web ma che comunque non hanno fatto breccia nel sistema mediatico.

Le tre tesi più inquietanti poggiano su alcuni fatti ed indizi poco esplorati, almeno in apparenza.

In quell’albergo, infatti, era presente Mohammed Bin Selman, l’erede di Casa Saud attualmente reggente della dinastia regnante in Arabia Saudita; aveva occupato gli ultimi due piani dell’edificio.

La possibilità che fosse il bersaglio di quella azione terroristica, militarmente così efficace, è quindi molto concreta.

Probabile che, grazie alla attenta vigilanza e all’efficace sistema di protezione dell’eminente personaggio, l’azione abbia assunto un carattere indiscriminato e si sia rivolta verso la massa sottostante l’edificio.

In quel momento, infatti, furono ricorrenti le voci di un atto terroristico compiuto dall’ISIS. L’attacco in effetti fu rivendicato dall’organizzazione, senza per altro ricevere credito.

Va ricordato che l’ISIS è sempre stato attendibile nelle proprie rivendicazioni; a maggior ragione desta sorpresa l’immediatezza della smentita dei vertici del FBI.

Sta di fatto che l’efficacia delle indagini ha sofferto pesantemente di un conflitto istituzionale che in altre situazioni simili i corpi inquirenti hanno saputo affrontare in maniera costruttiva. Il pesante intervento del FBI più che dare una spinta all’accertamento della verità, ha contribuito a minimizzare la portata dell’azione e a neutralizzare il lavoro di indagine delle forze di polizia locale indirizzato già verso direttive ben precise.

Non solo! FBI ha ritardato colpevolmente la consegna alle parti offese dei referti legali. Una prassi altrimenti sollecita in quel paese.

Non è la sola ipotesi sul campo. Ve ne è un’altra non necessariamente in conflitto con la prima; quella di una azione destabilizzatrice nel pieno di un conflitto politico durissimo sul quale il blog ha offerto una gran quantità di informazioni e valutazioni.

Va sottolineato che i frequentatori dei concerti country appartengono nella stragrande maggioranza al bacino elettorale e politico più militante del Presidente Trump. Segue all’attentato del giugno 2017 ai deputati repubblicani della Camera avvenuto nei pressi di Alexandria, in Virginia.  Circa due dozzine di deputati, i più radicali del movimento, rimasero feriti; tra essi Steve Scalise ebbe la peggio, rimanendo temporaneamente paralizzato. L’autore fu James Hodkinson, a sua volta eliminato dalla polizia nel corso dell’azione. Hodkinson era un fan sfegatato di Bernie Sanders.

In quel periodo avvenne anche l’uccisione di un attivista democratico a Charlottesville, investito proditoriamente dall’auto di un attivista di Trump dopo una intera giornata di provocazioni con la accertata presenza attiva di agenti di intelligence.

Qualche dubbio suscita anche l’episodio del ferimento del senatore repubblicano Rand Paul, ricondotto ufficialmente ad una controversia tra vicini di casa.

Il contesto di questi eventi sembra suggerire la presenza di una vera e propria strategia della tensione tesa a provocare reazioni inconsulte nei settori politici più radicali e difficilmente incontrollabili e a giustificare interventi repressivi verso la nuova maggioranza politica in via di formazione negli States.

La diffusione di un recente rapporto della polizia di Las Vegas non aiuta a costruire unaversione definitiva attendibile di quell’evento. Alimenta piuttosto numerosi dubbi.

La società di trasporto Uber ha accertato la presenza di una donna a fianco di Paddock nel suo tragitto verso l’albergo. La testimonianza fu raccolta tre giorni dopo l’attentato, ma non fu recepita nei rapporti giudiziari. Lo stesso autista avrebbe raccolto dichiarazioni di Paddock riguardanti l’eventualità di un prossimo attentato. Una informazione sino ad ora tenuta riservata. Nell’irruzione della polizia nell’appartamento occupato da Paddock, con l’attentato ancora in corso, gli agenti hanno riscontrato la presenza di tre donne. Le generalità delle donne furono accertate ma depennate nel rapporto finale. La stessa compagna di Paddock, Marilou Damley, al momento dell’attentato era nelle Filippine, ma numerose sue impronte digitali sono state riscontrate sulle munizioni utilizzate. Tra i seguaci della donna sul suo sito facebook c’erano numerosi sostenitori dell’ISIS. Dopo l’attentato la pagine è stata prontamente riimossa.

Tutti elementi che favorirebbero la tesi di una manipolazione della fragile psiche di Paddock per istigarlo all’azione. I componenti dell’ISIS sarebbero entrati contestualmente per eliminare Paddock ed utilizzare le sue armi per compiere la strage e attentare alla vita di Ben Selman.

Rimane il fatto che FBI tarda colpevolmente a chiarire tutti questi aspetti. Le primavere arabe, il colpo di mano in Ucraina e nel Caucaso hanno del resto ormai rivelato che i cosiddetti movimenti di opposizione democratica sono stati spesso sostenuti, innescati e stravolti, coadiuvati in qualche maniera, da azioni estreme di provocazione fomentate dagli stessi paladini della democrazia. La novità assoluta sarebbe che tali sistemi siano alla fine adottati anche all’interno degli stessi Stati Uniti. Il demone da esorcizzare è questa volta, manco a dirlo, Trump. Su questo Soros, tra altri ben più eminenti, si è rivelato un profeta e non solo.

A trenta chilometri da Macerata, di Roberto Buffagni

I nostri lettori, per lo meno alcuni di essi, si chiederanno il motivo dell’ostinazione con la quale la redazione di Italia e il Mondo si stia concentrando sui fatti di Macerata e dintorni a partire dall’assassinio atroce di Pamela Mastropietro. Un accanimento proprio di un giornale di inchiesta piuttosto che di un gruppo sparuto impegnato con scarsi mezzi e ancor meno tempo nell’analisi politica e geopolitica.

Tranquilli!

Non si tratta di un cedimento alla attenzione morbosa e ossessiva al gossip più macabro; nemmeno di uno snaturamento della natura e delle intenzioni che stanno sorreggendo l’impegno della redazione. Tutt’altro!

Alberga la sensazione sempre più netta che i fatti di Macerata, se messi a nudo nella loro integrità e nella loro profondità, possano contribuire a smascherare in maniera decisiva la grettezza, la pochezza, l’ignoranza, la complicità, l’accondiscendenza, la perversione della gran parte di una classe dirigente che ha preso in mano, per la precisione si è vista consegnare le redini del paese da trenta anni, a partire da Tangentopoli. Una classe dirigente in evidente crisi di credibilità, che sta perdendo il controllo di alcune leve, ma che detiene ancora saldamente, anche se in maniera sempre più disarticolata, il resto delle funzioni di controllo e di comando, il reticolo di strutture e apparati in grado di conformare una comunità e una nazione.

Quello che i fatti di Macerata rischia di evidenziare è:

  • il pressapochismo e l’ignoranza con la quale si è affrontato il problema dell’immigrazione consentendo la formazione di enclaves e comunità chiuse spesso in territori sui quali lo Stato, alcuni settori di essi, fatica a detenere anche storicamente il controllo e nei quali spesso e volentieri scende a patti, si fa permeare e convive con le forze più retrive e dissolutrici
  • il peso crescente e abnorme che il cosiddetto “terzo settore” ha assunto progressivamente nella formazione di risorse economiche, di una classe dirigente e di un ceto politico; un processo non a caso concomitante con la politica di dismissione e spoliazione della grande industria privata e soprattutto pubblica e di disarticolazione di alcuni apparati centrali dello stato. Tutti ambiti dai quali si formavano gli esponenti più lungimiranti e capaci di strategie politiche di una qualche consistenza apparsi sino agli anni ’80. Non si vuole certo sminuire l’importanza del settore e la buona fede e l’impegno di gran parte degli operatori. Va sottolineato piuttosto il peso abnorme rispetto al resto delle attività di una formazione sociale e l’inerzia che innesca la creazione di apparati burocratici di tali dimensioni specie negli ambiti assistenziali
  • la progressiva e supina remissività e subordinazione, senza alcun sussulto e capacità di trattativa, a strategie politiche esterne al paese e contrarie e ostili agli interessi della parte preponderante della nazione e del paese sino ad arrivare ai mercimoni più miserabili. Gli accordi europei passati, riguardanti i punti di approdo marittimo, sono certamente uno di questi

I fatti di Macerata, probabilmente, non sono nemmeno l’epicentro di fenomeni che stanno attraversando il paese. Sono, piuttosto, la punta di un iceberg che si estende in altre parti ben più importanti del territorio. Sono emersi lì, perché si tratta di un territorio ancora non del tutto compromesso e dove l’assassinio di una ragazza può emergere ancora come un fatto di cronaca rilevante capace di porre interrogativi esistenziali.

Le pressioni per mantenere sotto traccia o addirittura rimuovere l’episodio devono essere enormi e il comportamento oscillante degli organi inquirenti sono l’indizio probabilmente del loro peso.

Una situazione che altrimenti, sfuggita di mano, rischia di assestare un colpo definitivo alla credibilità residua di una classe dirigente, affetta com’è dalle tare del cosmopolitismo, del pensiero liberale debole, dell’umanitarismo compassionevole. Tutte categorie in crisi evidente, ormai incapaci di offrire adeguate chiavi di interpretazioni, tanto meno di politiche adeguate. L’ascesa di Trump ha offerto l’occasione per scatenare queste dinamiche. Categorie alle quali sembrano ancora abbarbicate i superstiti di questa classe dirigente e che rischiano di essere la causa ultima del loro declino e dell’erosione del loro potere_Buona lettura, Germinario Giuseppe

A trenta chilometri da Macerata

 

Nel marzo del 2018, a 29,7 chilometri da Macerata, a 11,3 chilometri dal Colle dell’Infinito leopardiano, sono stati ritrovati una cinquantina di resti umani[1] sotterrati nei pressi dell’ Hotel House, “grattacielo multietnico” di Porto Recanati.

Due giorni fa, esami di laboratorio eseguiti sulla polpa di un dente hanno accertato che tra i resti ci sono anche quelli di Camey Mossamet, quindicenne bengalese scomparsa nel 2010[2]. Camey abitava a Tavernelle, all’Hotel House aveva un fidanzatino. E’ nei pressi dell’Hotel House che è stata vista per l’ultima volta.[3]

Il 29 maggio 2010 l’incantevole ragazzina uscì di casa per andare a scuola, ad Ancona, e sparì nel nulla. Nel nulla finirono anche le indagini. L’avvocato Luca Sartini dell’ Associazione Penelope, che assiste i familiari di persone scomparse, all’epoca seguì le indagini[4]. L’Associazione voleva incaricare delle ricerche un investigatore, e chiese alla Procura di vedere il fascicolo delle indagini, per non sprecare tempo cercando dove la polizia già avesse fatto sopralluoghi. La Procura negò l’accesso al fascicolo perché Sartini non aveva indicato gli atti precisi da visionare. Cosa tutt’altro che facile: l’Avv. Sartini non è chiaroveggente, e non poteva sapere quali indagini avessero condotto gli inquirenti. Secondo l’Avv. Sartini, gli inquirenti s’erano formata la convinzione che all’interno della famiglia ci fosse omertà, e che insomma Camey, una ragazzina che voleva vivere all’occidentale e amava giocare a calcio, fosse stata riportata in Bangladesh contro la sua volontà: tant’è vero che si fecero indagini anche colà, naturalmente senza risultati. Per smentire questa ipotesi investigativa, Sartini accompagnò la madre e il fratello di Camey a un colloquio con il Procuratore. Non è servito, a quanto pare. Tuttora non si sa dove abbiano svolto ricerche gli inquirenti. Non si può che convenire con l’Avv. Sartini, quando dichiara che “non dovessero aver cercato lì, a pochi metri dall’Hotel House, dove è stata vista per l’ultima volta, sarebbe scandaloso.” Aggiunge Sartini che gli è capitato di seguire diversi casi, e “senza polemiche, ci sono indagini di serie A e di serie B.”[5]

Non c’è dubbio: senza polemiche, ci sono indagini di serie A e di serie B. Da che cosa sia dipesa l’iscrizione dell’indagine su Camey nel campionato minore, non è facile capire. Può essere la ragione più vecchia del mondo: socialmente, la famiglia di Camey conta zero, e per chi conta zero gli inquirenti, salvo eccezioni, tendono a impegnarsi meno. Oppure: se l’ipotesi degli inquirenti era “Camey riportata contro la sua volontà in Bangladesh a scopo matrimonio forzato”, l’argomento era delicato perché si presta a polemiche contro i mussulmani, l’integrazione degli immigrati, le magnifiche sorti della società multietnica e progressiva, etc. O anche: il “grattacielo multietnico” Hotel House, dove vivono e convivono, male, duemila e passa persone, quasi tutte immigrati di varie etnie e religioni, già nel 2010 era un focolaio di crimini[6] e malvivenza che le autorità non riuscivano a controllare e tanto meno a sanare. Ma sino a quel momento, si parlava di spaccio di droga, furti, prepotenze: reati odiosi, ma non atrocità terrificanti. Alla microcriminalità endemica le popolazioni possono, tristemente, abituarsi e rassegnarsi. Abituarsi e rassegnarsi all’orrore senza nome è meno facile, in tempo di pace (almeno nominale). Possibile che il timore di scoprirsi in precario equilibrio sull’orlo di un “pozzo degli orrori”, come anni dopo i giornalisti avrebbero chiamato la fossa comune con i resti di Camey e di altre vittime sinora ignote, abbia infuso negli inquirenti una semiconsapevole propensione a quieta non movere?

Non so. Non so neanche se il ritrovamento dei resti umani a due passi dell’Hotel House possa essere collegato all’assassinio e allo smembramento di Pamela Mastropietro, per il quale sulle prime qualcuno (tra i quali anch’ io) parlò di omicidio rituale.

Un letterato del IV secolo, Onorato, nei suoi Commentarii in Vergilii Aeneidos libros VIII scrive: “…in omnibus sacris feminei generis plus valent victimae”, in ogni tipo di rito le vittime migliori sono di genere femminile. Ma sono passati millesettecento anni, e da quei tempi bui tutto è cambiato. O no?

[1] https://www.cronachemaceratesi.it/2018/03/29/pozzo-dellorrore-trovati-oltre-50-reperti-il-sindaco-la-citta-e-sicura/1084978/

[2] https://www.cronachemaceratesi.it/2018/06/29/pozzo-dellorrore-le-ossa-sono-di-Cameyi/1121347/

[3] https://www.cronachemaceratesi.it/2018/03/29/unamica-di-Cameyi-non-so-se-siano-i-suoi-resti-ma-lascio-un-fiore/1084906/

[4] https://www.cronachemaceratesi.it/2018/04/01/il-legale-che-segui-il-caso-Cameyi-volevamo-cercarla-con-un-detective-ci-fu-negato-di-vedere-il-fascicolo/1085465/

[5] Ibidem

[6] https://www.cronachemaceratesi.it/2018/06/14/hotel-house-al-setaccio-in-sei-mesi-di-controlli-12-arresti-e-177-denunce/1114776/ ; https://www.cronachemaceratesi.it/2018/04/24/al-setaccio-hotel-house-e-river-perquisite-diverse-case-foto/1094802/ ; https://www.cronachemaceratesi.it/2018/04/24/blitz-in-21-appartamenti-due-denunce-per-spaccio-sette-persone-saranno-espulse/1094640/ ; https://www.cronachemaceratesi.it/2018/06/21/forze-dellordine-allhotel-house-necessario-un-presidio-permanente/1118049/ ; https://www.cronachemaceratesi.it/2018/03/31/hotel-house-sfuggito-di-mano-problema-piu-grande-delle-nostre-forze/1085595/ ; https://www.cronachemaceratesi.it/2018/04/18/hotel-house-lira-dellopposizione-cittadini-umiliati-il-sindaco-agisca/1092037/ eccetera, eccetera.

25° PODCAST_NEL TEMPO E NELLO SPAZIO, di Gianfranco Campa

L’inchiesta sul Russiagate, con i suoi corollari, procede ormai stancamente e a tentoni. Rappresenta l’emblema dei pesanti e sistematici interventi in grado di condizionare pesantemente la condotta del Presidente Trump e di snaturare le finalità politiche originarie specie nell’agone geopolitico. Lo hanno spinto e costretto a stringere e saldare alleanze, specie in Medio Oriente, con modalità talmente ostentate da pregiudicare quasi irreparabilmente il ruolo di arbitro, sia pure di arbitro-giocatore, già compromesso con le politiche destabilizzatrici dei precedenti Presidenti Bush e Obama; ma non lo hanno atterrato e neutralizzato definitivamente. L’inerzia dello scontro, piuttosto, sta mettendo a nudo progressivamente la vana e sterile potenza del vecchio establishment. Uno ad uno i pilastri sui quali ha poggiato il proprio predominio trentennale cominciano a mostrare l’usura e crepe preoccupanti. Dal multipolarismo all’ambientalismo catastrofista, dall’interventismo esibito e giustificato dal vessillo dei cosiddetti diritti umani al globalismo fondato sullo scambio perverso tra estorsione finanziaria e deindustrializzazione di importanti aree e settori della formazione dominante, dalla cosiddetta libertà delle reti alla cosiddetta libertà di migrare, uno ad uno tutti i tabù cominciano ad essere contestati e la fede euforica in quei principi si trasforma sempre più apertamente in dubbio e in contestazione sempre più aperta.

Non solo! Lo stallo nello scontro e la perdita duratura di controllo di alcune leve fondamentali di potere e di trasmissione delle direttive stanno compromettendo la già scarsa coerenza delle condotte politiche e paralizzando la fiducia e l’efficacia dell’azione delle seconde linee sparse per il mondo. La crisi della Unione Europea, la situazione traballante di dirigenti politici sino a pochi mesi fa indiscussi, come Merkel e Macron, sono gli indizi della crisi di una intera classe dirigente e di un intero sistema di relazioni, ormai aggrappato all’esito delle prossime elezioni di medio termine negli USA, nel frattempo vagante come pecorelle smarrite. Fosse anche largamente positivo per il vecchio schieramento neocon e democratico, nulla però potrà ormai tornare come prima. La coperta americana si sta rivelando sempre più stretta per coprire l’intero planisfero. La stessa Europa è sempre meno un campo unitario di azione. Ossessionata dalla capacità di resistenza della Russia, vede con difficoltà l’emergere di altre forze concorrenti.

Sarebbe ormai più interesse del vecchio establishment americano, costretto sempre più a mettere a repentaglio la credibilità di intere istituzioni e dei personaggi chiave ad esse connessi, che del nuovo establishment in via di formazione cercare di chiudere la messinscena. La dinamica della rappresentazione ha però assunto una propria inerzia difficile da governare sino a coinvolgere autorità sino ad ora indiscusse e indiscutibili come Obama. Se vittoria potrà essere, rischia di rivelarsi una vittoria di Pirro. La vecchia talpa ha già scavato abbastanza. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

 

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