Italia e il mondo

GIANFRANCO LA GRASSA ci ha lasciati

Gianfranco La Grassa è morto giovedì scorso, 25 settembre. Appena otto mesi fa avevamo festeggiato a Conegliano i suoi 90 anni. Le sue chiavi di interpretazione delle dinamiche geopolitiche e sociali sono state la scintilla determinante che ha consentito nuovi approcci più adatti e idonei alla comprensione della complessità del mondo. Le voci che ne hanno colto appieno l’importanza sono poche, ma esistono. Conflitti e strategie e l’Italia e il mondo sono, probabilmente, l’esperimento editoriale più compiuto ispirato al suo pensiero. Manca, purtroppo, una espressione politica adeguata e conseguente, ancora ben di là da venire rispetto alla drammatica accelerazione delle dinamiche in corso. Lo ricordiamo in uno dei suoi ultimi momenti di spensieratezza. Sulla sua opera avremo modo di riflettere più in là_Giuseppe Germinario

Stati Uniti: il fondo sovrano di Trump Con Chiara Nalli e Marco Pugliese

Su Italia e il Mondo: Si Parla del fondo sovrano istituito da Trump. Una tappa importante del tentativo avviato da Trump di ricostruzione dell’economia industriale statunitense.
Se ne parla sulla base di un articolo apparso su www.italiaeilmondo.com: https://italiaeilmondo.com/2025/08/24/come-un-fondo-sovrano-potrebbe-reindustrializzare-lamerica-di-julius-krein/_Giuseppe Germinario

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Stati Uniti! La riprogrammazione strategica Con Gianandrea Gaiani e Roberto Buffagni

Su Italia e il Mondo: Si Parla
Abbiamo tratto spunto da questi articoli ripresi da Italia e il mondo: https://italiaeilmondo.com/2025/09/05/leuropa-deve-essere-realista-su-russia-ucraina-e-gli-otto-principi-guida-della-politica-estera-statunitense_american-conservative/ Otto principi che dovranno guidare la politica di difesa statunitense. Ne parliamo con Gianandrea Gaiani, direttore della rivista Analisi Difesa e Roberto Buffagni, analista militare e scrittore. Giuseppe Germinario

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Medio Oriente Una Questione Privata 2a parte – Roberto Iannuzzi

Intervista a Roberto Iannuzzi: Gaza, Tensioni Israele-Iran e Ruolo dell’Egitto in Medio Oriente

In questo episodio di Italia e il Mondo, Semovigo e Germinario dialogano con l’analista Roberto Iannuzzi, esperto di Medio Oriente, sulla situazione attuale a Gaza. Esploriamo le tensioni tra Israele e Iran in un contesto multipolare, il futuro della popolazione civile intrappolata e le mosse dell’Egitto, con il richiamo di 40.000 riservisti e rinforzi a Rafah. Un’analisi oggettiva e bilanciata su dinamiche geopolitiche globali.

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MedioOriente #Gaza #IsraeleIran #EgittoRafah #GeopoliticaMultipolar

gaza #mediooriente #israeleiran #egitto #geopolitica #multipolare #robertoiannuzzi #rafah #intervista #realismopolitico

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MedioOriente Centro della Gravità Permanente 1a parte- con Roberto Iannuzzi

Intervista a Roberto Iannuzzi: Gaza, Tensioni Israele-Iran e Ruolo dell’Egitto in Medio Oriente

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Proteste in Serbia, Armi all’Ucraina e i Ricatti del Gas con Chiara Nalli

In questo episodio approfondito di “Italia e il Mondo”, gli intervistatori Semovigo e Germinario dialogano con Chiara Nalli, economista ed esperta di Balcani, su temi cruciali per la stabilità regionale e globale. Partendo dalle recenti proteste in Serbia – tra le più imponenti della storia recente, come quelle del 15 marzo 2025 a Belgrado con migliaia di partecipanti secondo il Ministero dell’Interno serbo – analizziamo il ruolo delle ONG nel contesto socio-politico, senza cadere in narrazioni polarizzate ma con un approccio realistico e basato sui fatti .

Chiara Nalli esplora le polemiche interne serbe, inclusa la vendita di armi all’Ucraina, che ha generato dibattiti su sovranità e alleanze economiche. Approfondiamo anche i “ricatti del gas” attraverso l’oleodotto Amicizia (Druzhba), un’infrastruttura chiave per il flusso energetico dall’Est Europa, e come influenzi le dinamiche geopolitiche senza endorsement ideologici, ma con enfasi su realismo multipolare.

Punti chiave discussi:

  • 00:00 Intro e presentazione di Chiara Nalli
  • 05:30 Le proteste in Serbia: cause, partecipanti e impatto delle ONG
  • 15:45 Vendita di armi serbe all’Ucraina: fatti, polemiche e implicazioni economiche
  • 25:20 Polemiche interne: divisioni politiche e sociali in Serbia
  • 35:10 Ricatti energetici via oleodotto Amicizia: analisi del flusso gas e rischi per l’Europa
  • 45:00 Conclusioni e prospettive multipolari realistiche

Questo video offre un’analisi equilibrata, lontana da visioni europeiste acritiche o propagandistiche, focalizzata su dati aperti e contesto storico. Iscriviti a “Italia e il Mondo” per più insights su geopolitica non allineata. Visita il nostro sito: italiaeilmondo.com per approfondimenti OSINT.

Geopolitica #Balcani #Serbia #Ucraina #Energia #OSINT

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La Resa dei Conti – John Bolton nel mirino dell’FBI – Con Gianfranco Campa

NOTIZIA bomba : John Bolton perquisito alle sei di mattina dall’Fbi

Un segnale che dimostra come i “ visionari “, come noi avevano intuito che fossero dietro le quinte Tulsi Gabbard , il discreto vicepresidente JD Vance e Pete Hegseth stessero lavorando alacremente e con riservatezza per proteggere Trump da se stesso e dagli attacchi cercando così di conservare l’unità di Maga . In particolare Gabbard, oltre a desecretare documenti particolarmente compromettenti le leadership precedenti, sta procedendo ad un ridimensionamento del 40% del personale della DNA, ha revocato le autorizzazioni agli accessi a notizie riservate ad oltre trenta alti funzionari, ha imposto la cessazione del passaggio di informazioni riservate sulle trattative con la Russia ai servizi di intelligence di Regno Unito, Australia, Canada e Nuova Zelanda (i big five eyes), sta ripristinando la gerarchia e la funzione di controllo della DNA sui servizi specifici di intelligence, a cominciare dalla CIA. Intanto Roger Stone prende in giro Bolton pubblicando la notoria immagine di quando ricevette la visita dell’Fbi nella vicenda che segnò la parabola discendente della sua carriera politica .

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Trump-UE: il tavolo sbagliato Con Marco Pugliese

Il recente accordo tra Donald Trump e von der Leyen in Scozia, svoltosi nell’intervallo tra due partite di golf, ha sancito un vero e proprio atto di sottomissione e di resa senza dignità della Unione Europea. Un evidente atto di disprezzo e insulsaggine dal quale Giorgia Meloni avrebbe fatto bene a distanziarsi. Ancora più deprimente è la speranza recondita, posta nei corridoi di Bruxelles, che i contenuti dell’accordo possano in parte essere disattesi surrettiziamente dai nostri prodi condottieri. E’ cominciata, intanto, la rincorsa dei vari capi di stato europei, a cominciare da Germania e Francia, a rattoppare in proprio gli strappi dolorosi creati dall’intesa. Giorgia Meloni, da proclamarsi artefice dell’interesse nazionale, si sta riducendo sempre più a reggere il cerino di un personaggio cosi anodino come l’attuale presidente della Commissione Europea. L’UE è stata costruita per annichilire le potenzialità delle nazioni europee, soprattutto di alcune rispetto ad altre. Dobbiamo attendere ulteriori conferme a questo suicidio?_Giuseppe Germinario

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PROLOGO DOPO QUASI UN DECENNIO ALLA “DEMOCRAZIA CHE SOGNÒ LE FATE”_Giuseppe Germinario, Massimo Morigi

PROLOGO DOPO QUASI UN DECENNIO ALLA “DEMOCRAZIA CHE SOGNÒ LE FATE (STATO DI ECCEZIONE, TEORIA DELL’ALIENO E DEL TERRORISTA E REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO)” E A FUTURE RIFLESSIONI SU DEMOCRAZIA, RELIGIONE, DEEP STATE E MOVIMENTI ERETICALI CRISTIANI DI RIVOLTA

Di Giuseppe Germinario

          Il 19 febbraio 2017  “L’Italia e il Mondo” pubblicava il contributo del nostro collaboratore Massimo Morigi La democrazia che sognò le fate. (Stato di eccezione, teoria dell’alieno e del terrorista e Repubblicanesimo Geopolitico). L’articolo, nell’ambito della decostruzione del concetto di ‘democrazia’ e di formulazione del  paradigma del Repubblicanesimo Geopolitico tanto caro a Morigi, avanzava un’ipotesi rispetto al fenomeno  della credenza popolare, particolarmente rigogliosa negli Stati uniti, che le prove delle  visite sul nostro pianeta degli UFO, cioè dei dischi volanti per essere essere ancora più chiari, non fossero nascoste dagli apparati militari e/o dalle agenzie della sicurezza interna ed esterna dello Stato ma, al contrario, che questi apparati facessero di tutto  –  attraverso la negazione del fenomeno che però aveva come sottotesto per i più creduloni un «non possiamo parlare, perché il nostro primo dovere è non diffondere il panico nella popolazione e chi puo capire capisca!…» –  per instillare nel povero popolo bue questa credenza e tutto ciò allo scopo molto evidente di depistare sulla vera natura di tutti quegli esperimenti di tecnologia militare i cui effetti esteriori non era impossibile  celare. Questa tesi di Morigi  – basata sul disvelamente di una  strategia comunicativa e di depistaggio da parte di questi apparati che potremmo chiamare, in mancanza di meglio, ‘diffusione di falsa notizia attraverso la sua apparente negazione’ – sulla fenomenologia sociale della religione sostitutiva della credenza negli UFO era una assoluta novità nel campo del dibattito sociologico sul fenomeno nella credenza delle visite extraterrestri ma non era sorta da un particolare interesse del nostro collaboratore a farne uno sterile ‘fact checking’ come oggi si dice (e come oggi è tristemente evidente, dove il ‘fact checking’ è definitivamente mutato nelle mani del mainstream a strumento di nascondimento piuttosto che di svelamento della realtà) ma si inseriva  nell’ambito del più vasto discorso teorico sul Repubblicanesimo Geopolitico e sulla sua teleologica propulsione volta a decostruire tutte quelle ‘categorie del politico’ della liberaldemocrazia che sono lo strumento principe per tenere incatenate le masse nella illusione che l’odierno ‘stato delle cose’ del nostro c.d. occidente c.d. liberale e c.d. democratico sia l’ultimo stadio della sua “gloriosa” evoluzione culturale e politica e che quindi i rapporti di forza che sussistono in questo occidente non siano, in ultima istanza, da mettere in discussione e per instillare il timore che pensare un loro rivoluzionamento sia addirittura un crimine, da punire nel nome di quella fine della storia, che nonostante i vari spernacchiamenti che ha subito l’illustre favoletta fukuyamesca, costituisce ancora l’oscuro oggetto del desiderio di tutti i ferventi credenti nella liberaldemocrazia (ma questa storia, ahimé non finesci mai. La Russia attuale che aveva cominciato a combattere la sua guerra per procura contro la Nato con le pale e i picconi, ora si ritrova nelle mani il più moderno e terrificante apparato missilistico del mondo. Vatti a fidare della storia… ma, lo sappiamo, ha stato Putin!…). 

         6 giugno 2025. Il “Wall Street Journal” attraverso l’articolo di Joel Schectman The Pentagon Disinformation That Fueled America’s UFO Mythology. U.S. military fabricated evidence of alien technology and allowed rumors to fester to cover up real secret-weapons programs, sposa in pieno la tesi di Morigi, spingendosi addirittura ad affermare, come da titolo, che alcune delle “prove” della venuta sulla nostra Terra degli omini verdi furono sin dagli inizi degli anni ’50 costruite di sana pianta dagli apparati di sicurezza statunitensi, per poi, ovviamente in nome del «sappiamo ma non possiamo parlare!…», farle sparire facendo rimanere di esse magari solo qualche sgranata foto e/o la testimonianza di qualche picchiatello in buona fede che le aveva viste e ingenuamente interpretate (l’articolo in questione è all’URL del Wall Street Journal https://www.wsj.com/politics/national-security/ufo-us-disinformation-45376f7e ma è accessibile solo su abbonamento ma tramite l’URL di Reddit https://www.reddit.com/r/UFOs/comments/1l58uui/wsj_the_pentagon_disinformation_that_fueled/ , Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20250610225141/https://www.reddit.com/r/UFOs/comments/1l58uui/wsj_the_pentagon_disinformation_that_fueled/ esso può essere letto e scaricato nella sua integralità) . Ora, il “Wall Street Journal” nello sfatare il mito UFO non è certo animato dai propositi  di Morigi (e  anche dell’ “Italia e il Mondo”, ci permettiamo di soggiungere) di decostruire la narrazione liberaldemocratica ma molto più banalmente abbiamo il sospetto che lo faccia nell’ambito della sua politica mediatica di contrasto al background cultural-politico  del trumpismo, e infatti nell’articolo si fa esplicito riferimento al mondo MAGA e nella credenza da parte di questa sottocultura nell’esistenza degli UFO e, ancor più importante, nella credenza da parte di MAGA che queste visite aliene sul nostro pianeta siano state occultate dal mitico Deep State, in un curioso e paradossale tentativo, da parte del “Wall Stree Journal”, di ridicolizzare soprattutto la credenza MAGA nel Deep State che però fallisce miseramente, in quanto quello che alla fine oggettivamente emerge dall’articolo in questione è che un Deep State esiste effettivamente, solo che questo Deep State agisce con dinamiche molto più raffinate e sottili di quello che si suole pensare. A questo proposito, da noi interpellato Morigi molto singolarmente afferma – e sempre col suo tipico argomentare veramente poco euclideo – che il Deep State non esiste o, meglio, sempre afferma, che lo Stato non può esistere senza una sua  interiore ed intima profondità e che, per meglio dire, contrariamente a quello che credono i complottisti ingenui, il profondo Stato non sia una degenerazione dello Stato ma ne sia, al contrario, la sua fisiologica ed ineleminabile espressione (e più o meno soggiunge: «Trump che fa bombardare Fordo è stato manipolato dal Deep State o, al contrario,  ne è la sua massima espressione?, è, cioè la più smagliante espressione possibile dell’odierna fase dell’imperialismo statunitense che va definendosi come ‘imperialisme in forme’ che, comunque la si voglia mettere, implica una strettissima sinergia fra Stato e Stato profondo?». La nostra replica a Morigi è che questa domanda sarebbe ancor più interessante girarla alla sua base Maga…). E così obliquamente argomentando,  ci ha promesso, dopo la fine delle calure estive, altre sue “illuminanti” riflessioni su Stato, Stato profondo, mito della democrazia, Maga e su come da parte dei grandi agenti strategici il concetto di democrazia sia propolato e diffuso presso le masse indotte esaltandone una percezione di natura religiosa piuttosto che storico-critica (ulteriormente suggerendoci Morigi, ma su questo non va oltre, che i complottisti maghisti et similia, non hanno completamente torto, solo che, dovrebbero affrancarsi da una mentalità di natura mitico-religiosa modello  marcionisti, bogomilli od albigesi o catari che dir si voglia, i quali, a loro volta, nonostante le loro bizzarrie teologiche e concretamente comportamentali, non avevano proprio torto nella criticale radicale  dell’impianto teologico mainstream della chiesa cattolica ufficiale). All’ “Italia e il Mondo” non resta quindi che una, speriamo, breve attesa. Nel frattempo, “L’Italia e il Mondo” pensa però sia opportuno riproporre qui in calce La democrazia che sogno le fate (Stato di eccezione, teoria dell’alieno e del terrorista e Repubblicanesimo Geopolitico). Morigi afferma che può essere un buon prologo a quanto ci proporrà fra breve  e già preannunciato dal titolo di questa nostra premessa (Morigi, sempre con fare poco euclideo: «Non trovate singolare che i movimenti ereticali cristiani avessero, nonostante le loro concrete follie, una visione molto più realistica del cristianesimo ufficiale intorno all’onnipotenza divina, come i credenti della religione degli UFO vedano tuttora un complotto intorno alla vicenda degli UFO e come Maga e Qanon sostengano l’esistenza di un complotto contro la rielezione di Trump? Certamente essi non considerano qualche elemento ma sta a noi farlo riemergere in tutta la sua valenza teorica…») e noi lo ripubblichiamo con piacere a dimostrazione che il nostro complottismo, perché evidentemente sostenuto da una Weltanschauung che cerca sine ira ac studio di far affiorare quello scontro strategico che forgia la società, è spesso molto avanti a tutti coloro, cioè a tutti i cantori liberaldemocratici, certamente molto acuti nel ridicolizzare chi talvolta, senza debita preparazione e con ingenuità, vede nei processi storici la mano malefica di ignobili innominati anziché il luminoso trionfare del brave new world liberista ma che, ahimè per costoro, ignorano o fanno finta di ignorare che esistono anche delle vecchie talpe che sanno anche molto bene che il ‘complotto’ non è  che il segnalatore di una realtà sì naturale, ma naturale non sotto le pseudo leggi  immutabili della società così come concepita nell’ideologia e pseudo religione  liberaldemocratica ma naturale all’insegna dell’umana dialettica storica.

LA DEMOCRAZIA CHE SOGNÒ LE FATE (STATO DI ECCEZIONE, TEORIA DELL’ALIENO E DEL TERRORISTA E REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO)*, di Massimo Morigi

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*A pagina 8,  Miracolo della neve di Masolino da Panicale

Triste l’uomo che vide in sogno le fate!

Con un unico sogno sciupò l’intera sua vita.

Po-Chu-i, L’uomo che sognò le fate (da Liriche cinesi, Einuadi, p.170)

Scrive Walter Benjamin nella tesi n.8 di Tesi di filosofia della storia: “La tradizione degli oppressi ci insegna che lo ‘stato di emergenza’ in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di emergenza; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che viviamo sono ‘ancora’ possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.”  (1)  Ancor più radicale di Carl Schmitt per il quale lo stato di eccezione (2) pur stando alla base dell’ordinamento giuridico non faceva parte, comunque, dello stesso, Walter Benjamin aveva compreso che lo stato di eccezione andava ben al di là  della visione schmittiana di katechon ultimo cui fare ricorso per impedire la dissoluzione dello stato ma costituiva, bensì, la natura stessa dello stato e della vita associata. Per essere ancora più chiari: per Carl Schmitt uno stato di eccezione che entra in scena solo nei momenti di massima crisi; per Walter Benjamin uno stato di eccezione continuamente ed incessantemente operante e in cui il suo mascheramento in forme giuridiche è funzionale al mantenimento dei rapporti di dominio. Se giustamente, ma con intento nemmeno tanto nascostamente denigratorio, il pensiero di Carl Schmitt è stato definito ‘decisionismo’, Walter Benjamin apre al pensiero politico la dimensione dell’iperdecisionismo. Questo iperdecisionismo  è un aspetto  del pensiero di Walter Benjamin che finora non ha ricevuto alcuna attenzione. Sì, è vero che molto è stato scritto sui rapporti fra Walter Benjamin e Carl Schmitt, molta acribia filologica è stata spesa sull’argomento ma quello che è totalmente mancato è un discorso sul significato in Benjamin di una visione iperdecisionista e sul significato per noi dell’iperdecisionismo benjaminiano. Quella che è mancata, insomma, è un’autentica visione filosofico-politica, un vuoto di pensiero che è segno, prima ancora di una incomprensione di Benjamin, della totale cecità dell’attuale pensiero politico, tutto, sui tempi che stiamo vivendo. “L’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi”, quello che per Benjamin era letteralmente spazzatura, una propaganda ancor peggio del fascismo, era il concetto che la storia fosse un processo immancabilmente tendente al progresso, un progresso che avrebbe immancabilmente sollevato l’uomo, in virtù di regole e leggi sempre più razionali, dalla fatica della decisione extra legem. Sconfitto il fascismo, le società del secondo dopoguerra, quelle capitalistiche e quelle socialiste indifferentemente, sono state  basate proprio su questo principio, il principio cioè che la norma ( che assumesse più o meno una forma giuridica, poco importa: le società socialiste avevano un rapporto più sciolto con la lettera della legge ma assolutamente ferreo sulla loro costituzione materiale, l’impossibilità cioè di mettere in discussione il ruolo del partito) non poteva essere messa in discussione se non soppiantandola con un’altra norma successiva generata secondo determinate regole elettorali del gioco democratico (o della democrazia socialista, nei paesi nella sfera d’influenza sovietica o politicamente organizzati sulla scia della tradizione politica della rivoluzione bolscevica). Su questo principio si sono edificate le liberaldemocrazie e i cosiddetti regimi del socialismo reale ma si tratta di un principio, come ben aveva visto Benjamin, che non sta letteralmente in piedi e svolge unicamente la funzione di mascheramento dei rapporti di dominio (rapporti di dominio che anche se disvelati si cerca di giustificare, da parte dell’intellighenzia e dai detentori del potere politico dediti alla riproduzione e mantenimento di questi rapporti, col dire che costituiscono un progresso rispetto al passato: un passo verso sempre maggiore democrazia o un passo verso il comunismo nei defunti paesi socialisti). Causa, principalmente, la loro inefficienza economica e rapporti di dominio all’interno di queste società non proprio così totalitari come la pubblicistica e la scienza politica democratiche hanno sempre voluto far credere, le società socialiste sono finite nel mitico bidone della storia e quindi oggigiorno, eredi della vittoria sul nazifascismo, rimangono su piazza le cosiddette società liberaldemocratiche. A chiunque sia onesto e non voglia ragliare le scemenze sulla libertà e la democrazia che queste società consentirebbero, risulta solarmente evidente che la democrazia in queste società è del tutto allucinatoria mentre la libertà è, per dirla brevemente e senza bisogno di far sfoggio di tanta dottrina, per molti strati della popolazione, la libertà di morire di fame e di essere emarginati da qualsiasi processo decisionale. (3) Se i ragli ideologici sono però utili per stabilizzare presso i ceti intellettuali, che è meglio definire per la loro intima somaraggine ceti semicolti, la teodicea della liberaldemocrazia, per gli strati con un livello di istruzione inferiore è necessario qualcosa di diverso e di un livello ancora più basso non tanto per celare la natura dei rapporti di dominio ma nel loro caso per celare la presenza stessa di questi rapporti. Tralasciando in questa sede i risaputi discorsi sul Panem et circenses (per la verità, man mano che le democrazie elettoralistiche tradiscono le loro promesse, sempre meno panem e sempre più circenses), è un su un particolare aspetto della società dello spettacolo che vogliamo focalizzare la nostra attenzione, un aspetto che come vedremo è intimamente legato, per quanto in maniera deviata e degradata, con la percezione benjaminiana che lo stato di eccezione in cui viviamo è la regola. In breve: riservata fino a non molto tempo fa ai racconti e ai film di fantascienza, è ora in corso attraverso documentari televisivi che trattano l’argomento con un taglio apparentemente scientifico, una imponente invasione di alieni. E se alcuni di questi prodotti televisivi riescono, nonostante tutto, a non sbragare completamente e a trattare la questione quasi unicamente dal punto di vista della esobiologia, la maggior parte di questi dà l’invasione come un fatto già avvenuto e ancora non universalmente riconosciuto come vero perché le autorità, quelle militari in primis, avrebbero compiuto una costante opera di insabbiamento della verità. E, in effetti, quello della manipolazione della verità da parte delle autorità è la pura e semplice verità, solo che, per somma ironia, in senso diametralmente opposto rispetto a quello che credono gli ingenui ufologi. In altre parole, oltre che dall’esame delle fonti in merito, è di tutta evidenza che le apparizioni ufologiche sono legate allo svolgimento di esperimenti nel campo delle nuove armi e che lo smentire, da parte delle autorità militari, l’esistenza degli UFO non è altro che una loro astuta mossa per far credere in un insabbiamento dell’esistenza dell’extraterrestre   mentre quello che in realtà si vuole celare è l’esperimento militare. E dal punto di vista dei detentori del potere (siano essi militari o civili) un altro non disprezzato frutto della credenza dell’invasione aliena è che, comunque, di un potere c’è un dannato bisogno per proteggere l’umanità da una tale terribile minaccia (quello che vogliono gli ufologi non è tanto mettere in discussione le autorità ma metterle di fronte alle loro responsabilità dichiarando che siamo in presenza di una minaccia aliena e chiedendo espressamente al popolo il suo aiuto per fronteggiarla). (4) Perché, al di là di questa funzione di soggiogamento delle masse indòtte, questi prodotti intratterrebbero allora un rapporto, per quanto malato, con lo stato di eccezione benjaminiano? Molto semplicemente perché se c’è una verità che essi ci consentono di cogliere, è che, a causa della invasione degli alieni,  noi viviamo in un stato di eccezione permanente. Ovviamente per gli ingenui tremebondi dell’omino verde che si diverte a compiere esperimenti su poveretti rapiti e portati allo scopo  sull’astronave aliena, lo stato di eccezione è scatenato da una forza esterna ma noi si sarebbe altrettanto ingenui se ci si limitasse a giudicare questa psicosi unicamente o come indotta da documentari spazzatura o, se si vuole andare più a fondo, come una sorta di despiritualizzazione delle forme della religione tradizionale dove il diavolo viene sostituito dall’omino verde. Al fondo c’è anche la percezione che i cosiddetti doni della liberaldemocrazia non sono per sempre e che il baratro è lì che ci aspetta ad un solo passo. Se almeno a livello di coscienza degli strati meno acculturati delle popolazioni appartenenti alle democrazie elettoralistiche occidentali esiste effettivamente la percezione di un disastro incombente ( i bassi livello di reddito se non generano una consapevolezza sui rapporti di forza che vigono nelle democrazie, sono comunque ben propedeutici a profondi stati d’ansia),  a livello di scienza e di filosofia politica questa percezione è stata definitivamente rimossa. Per farla breve. Il pensiero marxista, nonostante negli ultimi anni si dica che assistiamo ad una sua rinascita, non è riuscito nemmeno  a sviluppare una coerente analisi perché l’esperienza del socialismo realizzato sia miseramente franata. Alcune frange lunatiche che pretendono essere gli eredi del grande pensatore di Treviri continuano a farfugliare di imminenti e terrificanti crisi del sistema capitalistico, ignorando i poverini che, come insegna Schumpeter,  la crisi è il motore stesso del sistema capitalistico (distruzione creatrice et similia). Sul cosiddetto pensiero liberaldemocratico meglio stendere un velo pietoso, perché se storicamente dopo il secondo dopoguerra è servito nella sfera geopolitica di influenza statunitense a svolgere il ruolo di occultamento dei rapporti di dominio, oggi è totalmente incapace di svolgere addirittura questa funzione. È un fenomeno riservato al dibattito accademico, per promuovere più o meno qualche carrieruzza in quest’ambito o, tuttalpiù per essere preso di rimbalzo da qualche giornalista trombone che diffondendo questa menzogna si vuole cucire qualche spallina da intellettuale per vantarsi di fronte ai colleghi che trattano la cronaca nera, ma per tenere dominate le masse, molto meglio una informazione di livello cavernicolo e totalmente etero guidata , (5) qualche quiz, qualche film, pornografia internettiana a volontà e per i più ansiosi e percettivi dello stato di eccezione permanente con le sue potenzialità catastrofiche, molto meglio le invasioni aliene. Peccheremmo però di falso per omissione se considerassimo il pensiero politico di questo inizio di terzo millennio come un immenso campo di macerie. In primo luogo – primo solo perché la responsabilità di questo indirizzo è direttamente e unicamente a noi ascrivibile – il ‘repubblicanesimo geopolitico’ (6) pur riconoscendo al neorepubblicanesimo alla Philip Pettit o alla Quentin Skinner il merito storico di aver iniziato un’operazione di progressivo distacco dal mainstream liberaldemocratico, da questo si allontana nettamente per aver messo l’accento sul problema del potere, dei conseguenti rapporti di dominio e su come democrazia non significhi, come nel neorepubblicanesimo, una difesa dal potere ma la suddivisione molecolare – e felicemente conflittuale – del potere stesso. Nel campo del pensiero marxista, fondamentale, per mettere in evidenza lo stato di eccezione permanente che informa tutta la vita politica e sociale, è il lavoro teorico svolto da Gianfranco la Grassa e le sue illuminanti riflessioni sulla razionalità strategica versus razionalità strumentale, sugli agenti strategici e sugli strateghi del capitale . (7) Sia il repubblicanesimo geopolitico sia il lavoro teorico di La Grassa sono quindi basati sul tentativo di svolgere un’analisi puntuale del potere, sia che questo si manifesti nei rapporti sociali sia nelle sue espressioni istituzionali, e dalla consapevolezza che ogni pratica politica volta ad aumentare il tasso di libertà all’interno della società non sia un fatto di enunciazione di eterni principi (enunciazioni che invece sono dissimulazioni di pratiche di dominio) ma di continui e pratici tentativi per effettuare una effettiva diffusione e parcellizzazione di questo potere. Inoltre sia in  La Grassa che nel  ‘repubblicanesimo geopolitico’, è centrale la consapevolezza, tratta dall’evidenza storica, che il capitale è solo un strumento attraverso il quale si svolgono le lotte di potere (il ‘repubblicanesimo geopolitico’ sostiene che la libertà, sia individuale che dei gruppi sociali, per essere esercitata necessita di un suo spazio vitale di esercizio ed espansione conflittuale e quindi, il repubblicanesimo geopolitico, ispirandosi alla terminologia della geopolitica tedesca, può essere definito, ‘Lebensraum repubblicanesimo’; (8) mentre in La Grassa fondamentale è il ruolo svolto dagli agenti strategici che lottano continuamente per espandere la loro sfera di influenza servendosi anche, ma non solo, degli strumenti finanziari e della produzione capitalistica). Detto sinteticamente: se con La Grassa il marxismo esce definitivamente, per individuare gli strumenti di riproduzione del potere, dalla mitologia marxiana dei rapporti di produzione capitalistici, il ‘repubblicanesimo geopolitico’ fa piazza pulita della mitologia liberaldemocratica che la libertà sia una questione di norme e di regole del gioco. In entrambi centrale è la benjaminiana consapevolezza che la vera norma che regola il gioco sociale e politico è lo stato di eccezione. L’uomo che sognò le fate era stato condotto da uno svolazzare di fate davanti all’imperatore di giada  che gli aveva assicurato che dopo quindici anni di sacrifici sarebbe stato ammesso al regno degli immortali. Ma gli anni passarano e tutto quello che accadde fu che quest’uomo, come tutti, invecchiò e poi morì (non aveva capito, in altri termini, che ogni esistenza, sia sociale che individuale, è intessuta in uno stato di eccezione che non ammette utopiche attese). La poesia di Po-Chu-i si conclude con “Triste l’uomo che vide in sogno le fate!/Con un unico sogno sciupò l’intera sua vita.” Parafrasando possiamo concludere con “Triste l’uomo che vide in sogno la democrazia!/Con un unico sogno sciupò l’intera sua vita.” A meno che la consapevolezza dello stato di eccezione non sia lasciata solo agli agenti strategici continuamente lottanti per un loro lebensraum e la sua oscura percezione ai credenti della nuova demonologia aliena e/o terroristica, c’est tout.

**********

Note

1)  W. Benjamin, Angelus novus. Saggi e frammenti, introduzione a cura di Renato Solmi, con un saggio di Fabrizio Desideri, Torino, Einuadi, 1995, p. 79.

2) Nella precedente citazione dell’ottava tesi di Benjamin la locuzione impiegata è “stato di emergenza”. Tuttavia la traduzione più corretta è “stato di eccezione”, locuzione che da adesso in poi manterremo nel corso della presente comunicazione.

3) Su cosa sia realmente la democrazia nessuno meglio di Gianfranco La Grassa ha saputo cogliere nel segno: “In linea teorica, poiché la sedicente “democrazia” non è certo mai stata il “governo del popolo” (una bugia invereconda), si potrebbe sostenere che la tendenza migliore (o meno peggiore), riguardo alla (molto) futura evoluzione dei rapporti sociali, sarebbe quella  in cui apparisse infine alla luce del Sole – e senza condensazione e concentrazione di potere nei “macrocorpi” esistenti nelle sfere politica o economica o ideologico-culturale – la politica, quale rete di strategie conflittuali tra vari centri di elaborazione delle stesse, centri rappresentanti i diversi gruppi sociali. Non un “Repubblica dei Saggi” (ideologia in quanto “falsa coscienza”, che predica invano la possibilità di equilibrio sociale nel dialogo), ma una rete di scoperto, luminoso conflitto tra visibili strategie, apprestate da questi centri di elaborazione in difesa degli interessi di differenti gruppi sociali componenti una complessa formazione sociale.” (Gianfranco  La Grassa, Oltre l’orizzonte. Verso una nuova teoria dei capitalismi, Nardò, Besa Editrice, 2011, p.169).

4) Lo stile retorico e comunicativo  dei documentari televisivi sugli UFO segue, nella maggior parte dei casi, schemi pesantamente paratattici che più a trasmissioni vagamente informative li fa assomigliare a  comunicazioni di tipo religioso – preghiere e funzioni religiose –   con iterazioni ad nauseam degli stessi concetti, immagini e suggestioni senza che fra questi elementi vengano mai stabiliti legami logici significativi. Ma qui non ci vogliamo soffermare sul fenomeno UFO inteso come una sorta di religione sostitutiva (dove gli alieni, a seconda dei gusti, possono assumere il ruolo degli angeli o dei demoni) ma sul fatto che questo fenomeno è arrivato ad interessare, e fin qui nulla di strano, anche il massimo esponente vivente della teoria delle relazioni internazionali, il costruttivista  Alexander Wendt. In Sovereignty and the UFO,  agli URL http://ptx.sagepub.com/content/36/4/607.full.pdf (WebCite: http://www.webcitation.org/6dt6pJRsx e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fptx.sagepub.com%2Fcontent%2F36%2F4%2F607.full.pdf&date=2015-12-19), Alexander Wendt afferma che il fenomeno UFO, si creda o no nell’esistenza effettiva degli extraterrestri, ha l’effetto di provocare una diminutio di sovranità delle vecchie autorità terrestri a favore di quelle ipotetiche provenienti da altri mondi. In linea di principio potremmo anche concordare su questa fenomenologia dei rapporti di dominio di fronte al fenomeno UFO ma Wendt ignora completamente che, all’atto pratico, la gran massa degli ufologi e dei credenti negli omini verdi, sono dei patrioti fedeli alle autorità costituite che chiedono una sola cosa: che le autorità prendano il toro per le corna stabilendo un contatto con queste entità e all’occorrenza, dove queste dovessero risultare ostili, per combatterle più efficacemente denunciando pubblicamente il pericolo  e chiedendo l’aiuto e la collaborazione del popolo precedentemente tenuto avventatamente all’oscuro. In pratica, quindi, contrariamente a quanto sostiene Wendt, il fenomeno UFO consolida le autorità costituite e la translatio della sovranità verso gli extraterrestri rimane un fatto più virtuale che reale. Questo sul piano delle istituzioni diciamo secolari. Per non parlare poi del fenomeno UFO come una sorta di religione sostitutiva. In questo caso vale il caso di ripristinare la marxiana religione oppio dei popoli … e quando l’oppio viene percepito di scarsa qualità (crisi delle religioni tradizionali), ci si rivolge ad altri fornitori, con massima soddisfazione dei consumatori e degli agenti strategici che non chiedono nulla di meglio di dominati tranquilli (anche se un po’ troppo allucinati).

5) Vedi il caso di come viene trattato il fenomeno del cosiddetto terrorismo, prescindendo dal fondamentale aspetto geopolitico della questione. A questo proposito rimandiamo ai nostri interventi svolti sul blog “Il Corriere della Collera”, dove a titolo di esempio, trattando all’URL  http://corrieredellacollera.com/2015/01/19/antiterrorismo-e-nata-una-stella-di-sceriffo-oppure-e-la-solita-truffa-allitaliana-buona-la-seconda-di-antonio-de-martini/#comment-51015 (WebCite: http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fcorrieredellacollera.com%2F2015%2F01%2F19%2Fantiterrorismo-e-nata-una-stella-di-sceriffo-oppure-e-la-solita-truffa-allitaliana-buona-la-seconda-di-antonio-de-martini%2F%23comment-51015&date=2015-04-19 e http://www.webcitation.org/6Xuok31dj) della recente isteria antiterroristica, il terrorista svolge il ruolo che in passato era affidato al diavolo (ed oggi, in gran parte, al suo valido compagno di merende, l’alieno: “Ad un livello immensamente più degradato di come l’intendeva Carl Schmitt, verrebbe voglia di citare, in relazione all’odierna isteria antiterroristica, la Politische Theologie, quando il giuspubblicista di Plettenberg affermava che “tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati”: tradotto, per comprendere il ruolo dell’odierna disinformatia, quando il terrorista prende, nell’immaginario secolarizzato, il ruolo del diavolo. [Concludiamo] con un ulteriore rinvio a Carl Schmitt e al suo Theorie des Partisanen, dove il ‘partigiano’ è portatore di un’inimicizia assoluta ma un’inimicizia assoluta, di tipo veramente demoniaco, che ha la sua origine nella moderna guerra totale che ha distrutto la vecchia concezione di justus hostis. E così torniamo ai tagliagole mediorientali, figli non solo di una caotica strategia del caos statunitense che ha foraggiato per i suoi interessi geostrategici i demoni più distruttori presenti nell’area ma anche della nostra modernità politica che non può ammettere, pena la perdita totale della sua legittimità, l’esistenza di un justus hostis, ma solo l’esistenza, appunto, del nemico totale dell’umanità, il terrorista.”

6) Sul repubblicanesimo geopolitico, oltre a quanto apparso sul blog “Il Corriere della Collera”, vista la sua consolidata presenza nel Web, si rimanda  genericamente all’aiuto dei benemeriti ed efficienti browser – Google in primisça va sans dire, con un’unica ulteriore precisazione: consigliamo caldamente di visitare il sito di file sharing Internet Archive (all’URL https://archive.org/index.php).

7) Sugli strateghi del capitale si rimanda alla  esaustiva trattazione fattane in G. La Grassa, Gli strateghi del capitale. Una teoria del conflitto oltre Marx e Lenin, Roma, Manifestolibri, 2005. A dimostrazione di quanto, pur non nominandolo espressamente, il concetto di stato di eccezione svolga un ruolo fondamentale in La Grassa possiamo leggere: “Inoltre, la razionalità strumentale  del minimo mezzo è subordinata a quella strategica. La prima consente la generalizzazione di alcune “leggi” dell’efficienza e la minuta analisi delle condizioni che rendono possibile il conseguimento di quest’ultima. La seconda non ha leggi,  forse qualche principio, ma sempre da adattare poi alla situazione concreta, che è appunto quella che ho indicato quale singolarità. La ricchezza di mezzi è certo importante per l’attuazione delle categorie vincenti; e nel sistema capitalistico, in cui tutti i prodotti sono merci, i mezzi sono essenzialmente quelli monetari (nelle diverse forme). Tuttavia, la potenza non è solo questione di disponibilità  di mezzi, né bastano – per il loro impiego – le semplici regole dell’efficienza.” (G. La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, 2008,  p. 150).

8) Il concetto di Lebensraum fu coniato da  Friedrich Ratzel  e, soprattutto attraverso l’altro geopolitico tedesco Karl Haushofer entrò a far parte a pieno titolo dell’ideologia nazista (Karl Haushofer, tramite Rudolf Hess, si recò più volte nella prigione di Landsberg am Lech dove era detenuto Hitler in seguito al fallito putsch di Monaco per dare lezioni di geopolitica al futuro Führer). Quindi damnatio memoriae per tutta la geopolitica e per il termine Lebensraum centrale nella geopolitica stessa. È giunto il momento di rimuovere questa damnatio. Senza tanto dilungarci sull’ammissibilità di rispolverare concetti che il politically correct vorrebbe morti e sepolti, in queste sede diciamo una sola cosa. Al netto dell’uso scopertamente criminale ed ideologico che il nazismo ha fatto della geopolitica e dei suoi ammaestramenti, basti sapere che gli agenti strategici del capitale e i loro centri studi agiscono e programmano la loro azione alla luce del concetto di spazio vitale. E per essere fino in fondo politicamente scorretti, ricordiamo che l’economista austriaco Kurt W. Rothschild affermò che per capire  come funziona l’economia piuttosto che compulsare Adam Smith o i neoclassici, era meglio rivolgersi a Carl  von Clausewitz e studiare il suo Vom Kriege. Speriamo che per questo di non essere tacciati di guerrafondismo e/o criptico neonazismo.

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la trascrizione integrale dell’intervista di Benjamin Netanyahu al TIME

Leggi la trascrizione integrale dell’intervista di Benjamin Netanyahu al TIME

51 minuti di lettura

un anno fa_Giuseppe Germinario

Benjamin Netanyahu during an interview with TIME in the Prime Minister’s office in Jerusalem on Aug 4.
Benjamin Netanyahu durante un’intervista al TIME nell’ufficio del Primo Ministro a Gerusalemme il 4 agosto.Paolo Pellegrin-Fotografie Magnum per TIME

Di Eric Cortellessa/Gerusalemme

8 agosto 2024 7:00 AM EDT

Leggete la nostra storia completa su Benjamin Netanyahu qui. È inoltre possibile leggere un fact-check dell’intervista qui.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha rilasciato un’ampia intervista al TIME il 4 agosto presso l’ufficio del primo ministro a Gerusalemme.

Nel corso dell’intervista, Netanyahu ha discusso della possibilità di una guerra totale con l’Iran e Hezbollah, della gestione della guerra di Israele contro Hamas, della catastrofe umanitaria a Gaza, delle prospettive di un accordo di normalizzazione israelo-saudita, delle relazioni tra Stati Uniti e Israele e del futuro di Israele e del Medio Oriente.

Di seguito la trascrizione, leggermente modificata per chiarezza, dell’intervista tra Netanyahu e il corrispondente del TIME Eric Cortellessa.

Grazie. Apprezzo il suo intervento. Non vedo l’ora di parlare della guerra di Israele contro Hamas, delle minacce regionali più ampie e del futuro dell’unico Stato ebraico del mondo. Vorrei iniziare con le notizie. Mentre parliamo, l’IDF è in stato di massima allerta in attesa di un attacco iraniano. Israele può difendersi contemporaneamente da Hamas, Hezbollah, Houthi e Iran?

Sì. Se l’Iran attaccasse direttamente Israele e lanciasse una guerra contro di esso.

Se l’Iran attaccasse direttamente Israele e lanciasse una guerra contro di lui, chiederebbe agli Stati Uniti di intervenire in sua difesa?

Apprezzo sempre il sostegno americano e lo apprezzerei in ogni caso. È già stato dimostrato nell’attacco del 14 aprile. Ma non intendo entrare nel merito dei nostri preparativi difensivi o, se vogliamo, offensivi. Faremo ciò che è necessario per difenderci.

Benjamin Netanyahu Time Magazine cover
Fotografia di Paolo Pellegrin-Magnum Photos per TIME

Pensa che l’amministrazione Biden stia inviando una posizione di forza sufficiente contro l’Iran per dissuaderlo dall’attaccare Israele o dal lanciare una guerra totale contro di esso?

Meno luce c’è tra Israele e l’America, più efficace è la deterrenza nei confronti dell’Iran e dei suoi proxy. Apprezzo il fatto che il Presidente Biden abbia inviato gruppi da battaglia, gruppi di portaerei qui nella prima parte della guerra. Apprezzo il fatto che lo stia facendo ora.

Negli ultimi anni, l’Iran si è avvicinato a un’arma nucleare. Come sapete, ora sta arricchendo l’uranio fino al 60% di purezza, secondo l’AIEA, che sospetta che possa sviluppare due armi nucleari se l’uranio viene ulteriormente arricchito. Quali misure sta adottando Israele per fermare tutto questo?

Beh, abbiamo fatto dei passi, credo che le azioni che abbiamo intrapreso nel corso degli anni abbiano ritardato l’arricchimento dell’Iran, ma non l’hanno fermato, e ora sono vicini ad essere uno Stato di soglia, uno Stato nucleare, per quanto riguarda l’arricchimento. Ci sono altre componenti, altri elementi per la realizzazione di un’arma nucleare che sono ancora lontani. Ma mi sono impegnato – l’ho ripetuto più volte – a fare tutto ciò che è in nostro potere per impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari. Non solo ci minaccerebbe di distruzione, ma credo che minaccerebbe la pace del mondo intero.

Una guerra totale con Hezbollah è inevitabile?

Penso che Hezbollah debba considerare le conseguenze di attaccare Israele e di aprire una guerra più ampia. Penso che se ci stanno pensando, dovrebbero pensarci due volte.

Se non li affrontate ora, siete preoccupati di poter ripetere l’errore con Hamas, dove guadagnano ancora più forza e capacità e poi vi colgono di sorpresa anni dopo?

È un tema molto sentito, soprattutto dopo il 7 ottobre. Non stiamo affrontando solo Hamas. Stiamo affrontando il più ampio asse del terrore iraniano che comprende Hamas, gli Houthi, Hezbollah, le milizie in Siria e in Iraq e anche gli sforzi che stanno cercando di fare per creare un altro fronte in Cisgiordania, in Giudea e Samaria. Siamo quindi di fronte a un vero e proprio asse iraniano e capiamo che dobbiamo organizzarci per una difesa più ampia, che non riguarda solo noi ma tutti i Paesi della regione, compresi i nostri partner arabi.

Quindi, se non succede ora, pensa che succederà più avanti?

Non c’è nulla di predeterminato. Penso che più forti siete, più forti sono le vostre alleanze, meno è probabile che dobbiate intraprendere azioni militari, ma per… ma i Romani avevano ragione, sapete, se volete la pace, preparatevi alla guerra.

Quando la gente del nord potrà tornare a casa?

Non posso dirlo con certezza, ma è un obiettivo. Uno dei nostri obiettivi principali è fare in modo che i circa 60.000 israeliani che hanno evacuato le loro case possano tornare a vivere nelle loro comunità in pace e sicurezza. Questo è ancora l’obiettivo che dobbiamo raggiungere.

A posteriori, pensa che sia stata una decisione giusta quella di evacuare le comunità del nord?

Credo che all’epoca fossimo preoccupati che quello che era successo a Gaza, cioè un’invasione di terra e massacri, si sarebbe ripetuto nel nord. E credo che ora la nostra preoccupazione sia quella di assicurarci che possano tornare con la sicurezza.

Per saperne di più:La guerra dell’informazione tra Israele e Hamas

Voglio fare una transizione al mondo prima del 7 ottobre e voglio darvi la possibilità di rispondere. Perché lei e il suo governo avete permesso ai qatarini di finanziare Hamas?

Beh, non è solo il mio governo. È il governo precedente, quello prima di me e quello dopo di me. Non stava finanziando Hamas. Di fatto, sosteneva l’amministrazione civile gestita da vari funzionari, molti dei quali non appartenenti ad Hamas. Ma il motivo per cui i governi successivi hanno accettato è che volevamo assicurarci che Gaza avesse un’amministrazione civile funzionante per evitare un collasso umanitario. Per esempio, avere i soldi per gestire le fognature, l’approvvigionamento idrico, il sistema educativo, e così via. Voglio dire che l’intero sistema sarebbe potuto crollare e ci sarebbero state epidemie. Avremmo potuto avere molti altri problemi che volevamo assicurarci di evitare;

Voglio leggere qualcosa che hai detto…

Ma aggiungerò qualcosa. Questo non mi ha impedito di condurre tre vere e proprie campagne militari contro Hamas in cui abbiamo ucciso migliaia di terroristi, eliminato alcuni dei loro vertici militari e cercato di impedire loro di avere la capacità di attaccarci. Una cosa che non abbiamo fatto è stata quella di non sradicare completamente Hamas, perché ciò avrebbe richiesto un’invasione di terra su larga scala per la quale non avevamo alcuna legittimità interna o internazionale. Guardate che problema di legittimità abbiamo ora, dopo che hanno condotto il peggior attacco terroristico al popolo ebraico dai tempi dell’Olocausto;

Voglio tornare su questo punto tra un secondo, ma voglio anche chiederle qualcosa che ha detto nel 2019 a una riunione del partito Likud. Voglio leggerlo per lei. “Chiunque voglia ostacolare la creazione di uno Stato palestinese deve sostenere il sostegno ad Hamas e il trasferimento di denaro ad Hamas. Questo fa parte della nostra strategia: isolare i palestinesi di Gaza”.

È un’affermazione falsa. Non ho mai detto questo.

Non l’hai mai detto?

Non l’ho mai detto. Tra le tante citazioni errate che mi vengono attribuite. Questa non è proprio in cima alla lista, ma ci si avvicina. 

Altri membri del suo governo, con cui ho parlato, hanno detto che lei voleva dare ad Hamas qualcosa da perdere, in modo che non volesse attaccare Israele. 

No, semplicemente non ne aveva la capacità. Non mi sono mai fatto illusioni su Hamas. Quando mi sono dimesso dal governo di Sharon prima che lasciasse Gaza, ho detto: “Quello che succederà è che avrete l’Hamistan. Avrete uno Stato del terrore sostenuto dall’Iran proprio alla periferia di Tel Aviv”. Nel 2014 ho definito Hamas “Daesh e ISIS” e ho detto che dobbiamo costantemente ridurre e distruggere le loro capacità militari. Ma non siamo arrivati a tagliare le erbacce, ma non siamo entrati in azione per sradicarle completamente fino al 7 ottobre. Il 7 ottobre ha dimostrato che coloro che dicevano che Hamas era stato scoraggiato si sbagliavano. Semmai, non ho messo abbastanza in discussione il presupposto che era comune a tutte le agenzie di sicurezza.

Guardando al passato, è stato un errore permettere ai qatarini di trasferire denaro a Gaza?

Non credo che abbia fatto una grande differenza, perché il problema principale era il trasferimento di armi e munizioni dal Sinai a Gaza. Non era tanto una questione di soldi, quanto di disponibilità. Era una questione di disponibilità, ed è per questo che ora insisto sulla necessità di tagliare questa via di rifornimento per il periodo post-Hamas, in modo da non dover rifornire la rinascita del terrore.

Perché non avete eliminato Hamas prima? Avresti potuto arrivare fino in fondo nel 2014;

No, non avrei potuto. Non credo che ci fosse… non c’era un consenso. C’era, infatti, un consenso tra i militari sul fatto che non avremmo dovuto farlo. Ma soprattutto, si può scavalcare l’esercito, ma non si può, non si può agire nel vuoto. Non c’era alcun pubblico, alcun sostegno interno per tale azione. Non c’era certamente il sostegno internazionale per un’azione del genere, e per intraprendere un’azione del genere sono necessari entrambi, o almeno uno di essi. Credo che questo sia diventato evidente subito dopo il massacro del 7 ottobre.

Protesters demanding a hostage-release deal outside Netanyahu’s Jerusalem residence on Aug. 3.
Manifestanti che chiedono un accordo per il rilascio degli ostaggi davanti alla residenza di Netanyahu a Gerusalemme il 3 agosto.Paolo Pellegrin-Magnum Photos per TIME

I servizi militari e di intelligence israeliani avevano avvertito che la vostra revisione giudiziaria stava dividendo Israele e che Hezbollah e Hamas la vedevano come un indebolimento della deterrenza di Israele. Perché non li ha ascoltati?

In realtà si sono preoccupati di dire che questo non è il caso di Gaza. Hanno detto che potrebbe avere ripercussioni sulla comunità in generale, in altre parti del Medio Oriente, ma sono stati abbastanza precisi sul fatto che non ha riguardato Gaza. Ma la cosa più importante è che credo che ciò che li ha davvero colpiti, se mai, sia stata l’idea di qualcuno che si rifiuta di servire. Il rifiuto di servire a causa di un dibattito politico interno. Penso che, se non altro, questo abbia avuto un effetto, come è risultato, e l’ho detto prima del 7 ottobre, non fatevi illusioni, quando arriverà il momento, saremo tutti lì, tutte le fazioni, tutte le fazioni in una disputa interna si uniranno per combattere come un solo uomo contro un attacco.

Pensa che abbiano visto come un’apertura il fatto che la vostra società fosse così spaccata e divisa?

Non credo che questo sia stato il fattore determinante. Sono comunque determinati a cancellarci dalla mappa. È sempre stata la posizione di Hamas, e i piani per questo attacco in realtà hanno preceduto la riforma giudiziaria di, mi lasci controllare, ma credo sia circa un anno.

Il Presidente Trump mi ha detto che lei è stato “giustamente criticato” per il 7 ottobre. Si sbaglia?

Non voglio entrare in una discussione, ma direi che… criticato per cosa?

Per il fatto che è successo sotto il suo controllo;

Beh, sapete, quando succede sotto i vostri occhi, sospetto di aver provato la stessa cosa che ha provato il Presidente Roosevelt dopo Pearl Harbor e il Presidente George W. Bush dopo l’11 settembre. Succede durante il tuo turno di guardia. Si cerca di capire come si sarebbe potuto evitare. Ma in questo momento la mia responsabilità qual è? Vincere la guerra, assicurarmi che non si ripeta, distruggere le capacità militari di Hamas in modo che non si ripeta.

Ne ha discusso con Trump a Mar-a-Lago?

No, ma non entrerò nel merito delle nostre discussioni;

I capi dell’IDF e dello Shin Bet si sono scusati per il 7 ottobre. Quando lei si è scusato, è stato per un post sui social media che incolpava l’establishment militare e di sicurezza. Perché non si è scusato con il popolo israeliano per il 7 ottobre?

Ho detto che dopo la fine della guerra ci sarà una commissione indipendente che esaminerà tutto quello che è successo prima, e tutti dovranno rispondere a domande difficili, compreso me;

Lo farete subito? Ti scuserai?

Non credo che possiamo farlo ora, nel bel mezzo di una guerra. Chiedere scusa? Certo, certo. Mi dispiace profondamente che sia successa una cosa del genere. E si guarda sempre indietro e si dice: avremmo potuto fare qualcosa per evitarlo? Dovrebbe essere come non esserlo?

 Certo, ma qual è la sua responsabilità?

Penso che esamineremo tutto questo, questa domanda, ed esamineremo in dettaglio, esattamente cosa è successo? Come è successo? Come è avvenuto il fallimento dell’intelligence, della capacità operativa e di altre politiche che hanno contribuito? Ci sarà tempo per affrontarlo. Ma credo che occuparsene ora sia un errore. Siamo nel bel mezzo di una guerra, una guerra su sette fronti. Credo che dobbiamo concentrarci su una cosa: vincere.

Dopo l’assassinio di Shukr a Beirut e di Haniyeh a Teheran, pensa che ci sia ancora la possibilità di un accordo per il rilascio degli ostaggi?

Sì, penso di sì. Penso che siano aumentati perché alcuni degli elementi più estremi che si oppongono all’accordo non sono più con noi.

So che Israele non ha rivendicato la responsabilità dell’assassinio di Haniyeh, ma il Presidente Biden ha affermato che l’uccisione di Haniyeh non è stata “utile” per i colloqui di cessate il fuoco. Come risponde?

Ho detto che non abbiamo intenzione di commentare, e non ho cambiato il mio punto di vista;

La valutazione degli Stati Uniti è che sia stato Israele.

Come ho detto, nessun commento.

I funzionari statunitensi e le famiglie degli ostaggi temono che lei stia escalando le tensioni nella regione per sabotare l’accordo di cessate il fuoco. Cosa risponde a questa affermazione?

Non è vero. Siamo di fronte a un cappio di morte che l’Iran sta cercando di metterci intorno al collo, e credo che il messaggio che stiamo inviando, a 360 gradi, è che non saremo agnelli condotti al macello. Israele non è, non è un agnello sacrificale per gli iraniani o per i loro proxy;

Ci sono più di 100 ostaggi ancora in cattività. Quanti crede che siano ancora vivi?

Beh, non tutti, purtroppo;

Hai qualche base per credere a un certo numero?

Non ho intenzione di farlo;

Lei ha giurato una vittoria totale contro Hamas, il che significa, prima di ogni altra cosa, porre fine al suo dominio sulla Striscia di Gaza. Rimuovere Hamas dal potere è una priorità più alta della restituzione degli ostaggi?

Penso che siano obiettivi complementari. Non si escludono a vicenda. Più pressione militare esercitiamo, più ci avviciniamo al raggiungimento di entrambi gli obiettivi. Primo, liberare gli ostaggi. È una funzione pura e semplice della pressione che esercitiamo su Hamas e, in secondo luogo, fa avanzare il nostro obiettivo di distruggere le capacità militari di Hamas e di assicurarci che non gestisca Gaza.

È disposto ad accettare un accordo che rilasci tutti gli ostaggi, ma che non ponga fine al controllo di Hamas sulla Striscia di Gaza?

No, non credo. E credo che in Israele ci sia un ampio consenso sul fatto che se lo facessimo, ci sarebbe solo una ripetizione. Ci saranno futuri sequestri di ostaggi, ci sarà un futuro 7 ottobre, e in realtà potrebbero accadere cose peggiori. Quindi dobbiamo raggiungere entrambi gli obiettivi, liberare tutti gli ostaggi e vincere la guerra. E credo che sia possibile. Tra l’altro, abbiamo già rilasciato, abbiamo già ottenuto il rilascio di più della metà, come sapete, e abbiamo insistito, quando è stato presentato l’accordo, per aumentare il numero, in realtà di 30 unità. Siamo passati da 50 a 80 in quel particolare rilascio e ne abbiamo rilasciati altri nelle operazioni di salvataggio. Ma il mio impegno è quello di liberare tutti gli ostaggi. E in effetti, credo che il modo in cui stiamo procedendo sia l’unico modo per raggiungere questo obiettivo.

I vostri stessi capi della sicurezza, negli ultimi giorni, hanno affermato che le vostre richieste, tra cui quella di permettere a Israele di riprendere i combattimenti dopo un accordo di cessate il fuoco con gli ostaggi, stanno paralizzando le possibilità dell’accordo. Come risponde?

Non voglio entrare nel merito di ciò che dicono esattamente. Non lo stanno dicendo, e alcuni capi della sicurezza stanno dicendo che sto facendo un salto mortale. Ma, in definitiva, questo è un Paese con un esercito, non un esercito con un Paese. In definitiva, la responsabilità di prendere una decisione spetta ai vertici politici dei leader politici. È così che funziona in una democrazia. E a volte si è d’accordo, a volte si è in disaccordo. La maggior parte delle volte, per come prendiamo le decisioni e con il consenso, ma non sempre. Questo vale anche per gli Stati Uniti. Voglio dire, ricordate che credo che la maggior parte dei capi della sicurezza e dei capi militari abbiano detto al Presidente Obama che non avrebbe dovuto abbattere Bin Laden e lui ha deciso diversamente. Questo succede anche qui, a volte.

Ma dirò questo: credo che il modo in cui sto cercando di raggiungere l’accordo sia quello di massimizzare il numero di ostaggi che vengono rilasciati nella prima fase, ostaggi vivi che vengono rilasciati nella prima fase, ma anche di assicurarsi che Hamas non possa prendere il controllo di Gaza dopo l’accordo. Questo è un aspetto che andrebbe contro tutto ciò di cui abbiamo parlato. Inoltre, non garantirebbe il rilascio di tutti gli ostaggi. E io mi impegno a farlo;

Netanyahu in his Jerusalem office on Aug. 4
Netanyahu nel suo ufficio di Gerusalemme il 4 agosto.Paolo Pellegrin-Magnum Photos per TIME

Molti americani vogliono che voi poniate fine alla guerra. Può spiegare loro perché è così imperativo, secondo lei, che la conseguenza del 7 ottobre sia che Hamas perda Gaza?

Voglio porre fine alla guerra. Finirei la guerra domani, se potessi. E comunque, se Hamas deponesse le armi, si arrendesse, andasse in esilio, la guerra finirebbe immediatamente. E perché ne abbiamo bisogno? Perché Hamas, l’enclave di Hamas, l’enclave terroristica iraniana, è a 40 miglia da Tel Aviv, ok? Lasciarli al loro posto non solo significa che avrebbero la possibilità di ripetere la ferocia del 7 ottobre, ma anche di andare ben oltre. Quando agiscono all’unisono con l’asse del terrore iraniano, con Hezbollah nel nord, con gli Houthi e altri che ci sparano addosso simultaneamente, è qualcosa di inaccettabile.

Israele può ripristinare la sua deterrenza senza raggiungere questo risultato?

No, penso che sia importante raggiungerlo, non solo perché eliminiamo quel fronte così vicino al centro del nostro Paese e a tutte le strutture strategiche che abbiamo, ma anche per mandare un messaggio agli altri elementi dell’asse del terrore iraniano: Se compirete questa orribile barbarie, il peggior attacco al popolo ebraico dai tempi dell’Olocausto, intraprenderemo un’azione potente contro di voi e non sarete in grado di ripeterla;

Signor Primo Ministro, ovviamente non dobbiamo farci illusioni sul nemico che avete di fronte e sulle tattiche che utilizza. Hamas inserisce deliberatamente le sue infrastrutture militari e i suoi depositi di armi all’interno di aree civili densamente popolate. E naturalmente tutto questo è iniziato il 7 ottobre. Ma secondo la sua stima, quanti gazesi sono stati uccisi in questa guerra e quanti erano civili rispetto ai combattenti?

La nostra migliore valutazione è di un rapporto di uno a uno, ma è andato calando naturalmente. Un rapporto di uno a uno, probabilmente nelle più difficili condizioni di guerra urbana, è un risultato straordinario per il governo israeliano. Ogni vittima civile, l’ho già detto e lo ripeto, è una tragedia;

Quante ce ne sono state?

Beh, se è circa la metà. Quindi stiamo parlando di quanto 15.000, di più. 

Il numero è 40 [40.000] in questo momento, quindi lei sta dicendo 20 [20.000]?

È difficile dire il numero esatto di vittime civili o militari, ma è circa 40 per tutti. È circa metà e metà. La nostra migliore valutazione è di uno a uno. Ma è interessante notare che quel numero sta diminuendo, diminuendo precipitosamente, e il luogo in cui le vittime civili sono state più basse è Rafah. La comunità internazionale e gli Stati Uniti ci hanno detto di non entrare a Rafah perché le vittime sarebbero state migliaia. In effetti, alcuni parlavano di 20.000 vittime, perché a Gaza c’erano 1,4 milioni di persone e dove sarebbero andate? Ebbene, si è scoperto che sono andati tutti. Se ne sono andati tutti nella zona umanitaria che abbiamo designato a due miglia da Rafah, e il numero di civili uccisi, il numero di terroristi che abbiamo ucciso, che sono stati uccisi a Rafah, supera ora le 1.500 unità. Il numero di civili uccisi è di poche decine, la maggior parte dei quali in una bomba di piccolo diametro che ha colpito un deposito di armi di Hamas e che ha ucciso, si dice, circa 40 persone a Rafah, probabilmente la metà dei quali terroristi. Quindi il numero di vittime civili a Rafah, che avrebbe dovuto essere una catastrofe umanitaria e di vittime civili, si è rivelato esattamente l’opposto, perché abbiamo agito, perché abbiamo detto alla gente di andarsene, perché abbiamo detto loro, abbiamo mandato messaggi, volantini, abbiamo telefonato, abbiamo detto loro di andarsene, e se ne sono andati, e sono felice di vedere che il numero sta diminuendo.

Per saperne di più:All’interno dell’ultimo ospedale materno operativo di Rafah

Siete d’accordo, però, che…

Tra l’altro, non avremmo nulla. Nessuno di loro verrebbe giù se non fosse per… Nessuno di loro sarebbe in realtà, perché praticamente non ci sono state vittime significative a Gaza, se ci fosse una condizione che non esiste a Gaza, ma esiste in tutti gli altri teatri di guerra urbana dove i numeri sono in realtà più alti, e questo perché Gaza è bloccata, perché la gente non può andare nel Sinai. Se potessero, lascerebbero completamente il teatro di guerra e Israele non sarebbe costretto a intraprendere le azioni che intraprende. Questo è ciò che è accaduto in Siria. Questo è ciò che è successo in Iraq. Questo è ciò che è successo in Yemen. La gente se ne va. A Gaza non possono andarsene, e noi dobbiamo affrontare l’enorme compito di assicurarci di ricollocarli in uno spazio molto ristretto. Ma ci siamo riusciti e sono felice di vedere che ci siamo riusciti. Man mano che andiamo avanti, riusciamo sempre meglio in questo – a Rafah, quasi al 100%.

Ma è d’accordo sul fatto che, secondo qualsiasi stima, questa guerra ha avuto un tragico costo in termini di vite umane?

Certo. Senta, ogni volta che vengono uccisi dei civili, c’è… vede… Senta, conosco gli orrori della perdita di persone. Conosco gli orrori. La guerra è un inferno. Credo che l’abbia detto Sherman, e vi dirò che è davvero un inferno. Quando si perdono i propri soldati, quando si perde la propria gente e quando si vedono civili uccisi dall’altra parte, è qualcosa che si vuole evitare. E io ho adottato, e Israele ha adottato, metodi insoliti che nessun militare ha mai adottato nella storia per evitare queste perdite. Ecco perché il rapporto è relativamente basso. Il rapporto è un numero, ovviamente. Per ogni civile ucciso, per ogni famiglia di un civile ucciso, le statistiche non contano, ma guardando in termini ampi e storici Israele ha fatto qui, in condizioni impossibili, condizioni impossibili, penso, uno sforzo esemplare di evitare le vittime civili o di minimizzarle. 

Dennis Ross ha detto, dopo il 7 ottobre, che avreste dovuto creare corridoi umanitari fin dall’inizio del conflitto per evitare vittime civili. Perché non l’avete fatto?

L’abbiamo fatto. Questo è completamente contrario ai fatti. Certo che l’abbiamo fatto. Abbiamo creato subito zone umanitarie e zone sicure e la gente si è trasferita lì;

Ci sono state molte segnalazioni di civili palestinesi morti perché non potevano avere accesso alle cure mediche. Perché non avete allestito ospedali da campo per i gazesi come avete fatto per ucraini e siriani?

Prima di tutto, l’abbiamo fatto noi. Cioè, abbiamo chiesto ad altri di farlo, perché noi non eravamo nelle zone sicure. Ma abbiamo permesso agli Emirati di creare gli ospedali da campo. Abbiamo permesso ad altri di fare lo stesso, ed erano ospedali funzionanti. Il problema è che molti degli ospedali palestinesi di Gaza non erano affatto ospedali. Sono diventati posti di comando per Hamas. Siamo entrati in questi ospedali. Avete trovato a malapena dei pazienti. Avete trovato terroristi. Avete trovato depositi di armi. Avete trovato centri di comunicazione, centri di comunicazione militari. Si sono trovati tunnel che entravano e uscivano dagli ospedali. Questo è uno dei problemi che abbiamo dovuto affrontare;

Israele avrebbe usato sistemi di intelligenza artificiale chiamati Lavender e Where’s Daddy? per identificare gli obiettivi di Hamas e bombardarli nelle loro case. È vero?

Non intendo entrare nel merito delle nostre capacità di raccolta di informazioni;

Alti funzionari israeliani hanno confermato il programma a più riprese. Stanno mentendo?

Loro forse sì, io no.

Più di 2 milioni di persone a Gaza devono affrontare l’insicurezza alimentare. Le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme di una carestia a Gaza e più di 30 bambini sarebbero morti per malnutrizione. Le Nazioni Unite dicono che state usando la fame come arma di guerra. Come rispondete?

Non è vero. Abbiamo fatto di tutto per consentire l’assistenza umanitaria dall’inizio della guerra, abbiamo consentito l’arrivo di circa 40.000 camion di aiuti. Sono 500, mezzo milione di tonnellate di cibo, ok, mezzo milione di tonnellate. Abbiamo asfaltato le strade per permettere a quei camion di entrare. Abbiamo aperto passaggi terrestri per permettere a quei camion di entrare. Abbiamo permesso i lanci aerei. Abbiamo permesso il trasporto via mare. E in effetti, il conteggio delle calorie in questo momento, la media delle calorie che ogni uomo, donna e bambino di Gaza potrebbe raggiungere, potrebbe avere, è di circa, è di oltre 3.000 calorie, che è ben, ben oltre i livelli di sussistenza. Prendiamo centinaia, migliaia di prigionieri, migliaia di prigionieri, prigionieri palestinesi. La prima cosa che facciamo è assicurarci che non abbiano addosso cinture o giubbotti suicidi. Quindi chiediamo loro di togliersi la maglietta. Trovatemi un esempio, uno, di persona emaciata, non ne troverete nemmeno uno. A volte si trova il contrario. Semplicemente non è vero. Quindi questi rapporti non sono affidabili. I mercati di Jabalia e di altre zone di Gaza sono pieni di cibo e così via. Questo non significa che non ci siano state interruzioni di cibo. Ci sono state, ma non perché Israele non abbia permesso la fornitura. Non è perché Israele ha bloccato la fornitura di cibo, ma perché Hamas l’ha rubato.  Questo è il problema.  

A questo proposito, Hamas saccheggia gli aiuti. Lo sanno tutti. Ma non state usando l’IDF per assicurare la distribuzione degli aiuti. Avete le vostre forze a Gaza. Potreste impedire i saccheggi. Perché non lo fate?

Questo è un dibattito molto importante che si sta svolgendo all’interno dei nostri quartieri. Perché il modo in cui si potrebbe fare è quello di inviare molte più forze militari, occupare Gaza e gestire Gaza. E noi vorremmo evitarlo. Vorremmo eliminare l’esercito di Hamas, ma far sì che sia un’amministrazione civile, un’amministrazione civile gazana, a gestire il tutto. Per ora. E stiamo lavorando su come farlo. Meno parlo di come lo faremo, più è probabile che…

Quindi è possibile che inizi a usare…

Non è una possibilità. È un obiettivo;

Avete intenzione di provare a farlo prima o poi?

Ci stiamo lavorando;

Avete un obiettivo in termini di tempistica?

Prima è, meglio è, ma una delle cose che cerchiamo di fare è reclutare gazesi locali per fare esattamente quello che ha detto lei, distribuire il cibo. E la prima cosa che è successa è che Hamas li ha uccisi. Quindi stiamo lavorando su altre possibilità. Ma ancora una volta, meno ne parlo, più è probabile che si concretizzi.

Perché nessuno degli israeliani che hanno distrutto le scorte di cibo per i gazesi è stato perseguito?

Lo hanno fatto. Non lo so. Non so se non siano stati perseguiti. Le mie istruzioni erano, e le istruzioni del gabinetto erano, di intraprendere tutte le azioni, le azioni legali necessarie, le azioni delle forze dell’ordine per impedire a queste persone di bloccare le strade. E ci hanno provato. Ci hanno provato, ma credo che in generale abbiamo messo un freno a tutto questo.

I gruppi che lo hanno fatto possono ancora beneficiare di donazioni deducibili dalle tasse. Lo eliminereste per loro?

Non ho idea di chi stia facendo cosa. Ho chiesto alla polizia, alle forze dell’ordine, di fare ciò che è necessario per prevenire tutto questo. E lo stanno facendo. Anzi, credo che la maggior parte di essi sia cessata;

Come Primo Ministro e come capo del gabinetto di guerra, si assume la responsabilità del trattamento dei prigionieri palestinesi?

Sì, certo. Pensiamo che questo sia un Paese di leggi. Bisogna obbedire alle leggi, alle leggi di guerra. Significa che se ci sono trasgressioni, devono essere indagate e, se necessario, perseguite. Non è una domanda.

Signore, l’ONU e altri organi di controllo hanno riferito che le forze militari israeliane hanno abusato dei prigionieri palestinesi, anche attraverso la privazione del sonno, il waterboarding, gli attacchi dei cani e persino la violenza sessuale. Cosa state facendo per questi presunti abusi?

Abbiamo le nostre agenzie indipendenti, i nostri mezzi indipendenti per monitorare qualsiasi, qualsiasi trasgressione di questo tipo. Israele, credo, è famoso per questo. Ha quello che viene definito un vero e proprio sistema giudiziario, sia all’interno che all’esterno dell’esercito. In effetti, è probabilmente il sistema legale più indipendente del pianeta, quindi l’argomentazione che non stiamo indagando su questo è ridicola;

A proposito di persone indagate, vorrei chiederle cosa è successo a Sde Teiman. Dopo che un detenuto palestinese è stato portato in ospedale con gravi ferite all’ano dopo essere stato aggredito sessualmente con un palo, i manifestanti di estrema destra, tra cui alcuni legislatori, hanno preso d’assalto un centro di detenzione per protestare contro l’arresto di nove presunti sospetti. Come saranno ritenuti responsabili?

Nessuno può fare irruzione in una base militare, nessuno può o deve interferire con le forze dell’ordine. Questa è una posizione critica che ho mantenuto, e non mi interessa se viene da destra o da sinistra. In effetti, una delle cose che credo sia necessario fare è assicurarsi che le forze dell’ordine siano uniformi e severe, e non lo sono sempre state, ma dovrebbero esserlo.

Quando ha condannato questa rivolta, ha detto che non prendiamo d’assalto i centri di detenzione e che non blocchiamo le strade, riferendosi ai manifestanti per gli ostaggi e ai manifestanti per la riforma giudiziaria. Perché ha equiparato queste due cose?

Ho anche detto che c’è stato un caso in cui i manifestanti, uno dei principali manifestanti, è stato portato in una stazione di polizia militare e poi in un tribunale, e migliaia di persone hanno preso d’assalto la stazione di polizia e credo anche il tribunale. E in effetti è stato rilasciato sotto questo tipo di pressione. Allora era sbagliato, forse hanno dato l’esempio a qualcun altro che era sbagliato, e questo è sbagliato. Non accetto nessuna delle due cose;

Ben Gvir ha creato un’atmosfera di violenza permissiva contro i prigionieri palestinesi? Dovrebbe dimettersi o essere licenziato?

Non credo che dovremmo permettere che ciò accada. Non è questa la politica del governo e non credo che qualcuno creda seriamente che non faremo rispettare le leggi. Le facciamo rispettare. Lo abbiamo fatto in questo caso, lo abbiamo fatto. Dovremmo farlo in tutti i casi.

Cosa risponde ai suoi detrattori che sostengono che la sua prosecuzione della guerra a Gaza stia creando una nuova generazione di terroristi, mettendo così a rischio la sicurezza di Israele invece di garantirla?

Penso che questo sia assurdo. Abbiamo un’enclave terroristica, un’enclave terroristica sostenuta dall’Iran, impegnata nella distruzione di Israele. Più credono di poterlo fare, più il terrorismo aumenterà in futuro. L’unico modo per distruggere queste persone, che come ho detto hanno commesso il peggior oltraggio contro il popolo ebraico dopo l’Olocausto, è assicurarsi che siano sconfitte. È come dire che l’azione degli alleati contro i nazisti ha creato altri nazisti? Certo che no. Bisognava distruggere quel regime. Non significa che oggi non ci siano neonazisti in Germania, ma negli ultimi 80 anni la Germania non ha avuto un regime nazista e ha avuto un regime democratico. Non so se riusciremo a ottenere un regime democratico a Gaza, ma dobbiamo assicurarci che Hamas e i suoi simili non gestiscano Gaza, e questa è l’unica cosa che creerà speranza per una nuova generazione di palestinesi: finché crederanno che Gaza sarà gestita da Hamas, non ci sarà una nuova generazione di persone in grado di vivere in pace con Israele.

Vorrei passare alla sua visione di una Gaza postbellica. Lei ha descritto la vittoria totale come il raggiungimento di tre obiettivi: Numero uno: distruggere l’infrastruttura militare di Hamas e togliergli il potere. Numero due: liberare gli ostaggi. Numero tre, l’installazione di una nuova entità governativa palestinese civile che possa governare su Gaza e non minacciare Israele. L’esercito israeliano ha un piano per il numero uno. Tutti conoscono le linee di base per il numero due, ma qual è il vostro piano per il numero tre?

Si tratta di due cose fondamentali: la smilitarizzazione e la de-radicalizzazione. Smilitarizzazione significa che bisogna assicurarsi che Hamas sia distrutto, ma anche che non possa riprendersi. E questo significa, prima di tutto, impedire il contrabbando di armi e terroristi dal Sinai a Gaza. Ecco perché insisto sul controllo, sul controllo continuo del corridoio di Philadelphi tra l’Egitto, tra il Sinai e Gaza. Ma questo significa anche che per il prossimo futuro, fino a quando non emergerà un’altra forza, Israele dovrà avere il compito di agire contro qualsiasi tentativo di ripresa del terrorismo. In secondo luogo, mi piacerebbe vedere un’amministrazione civile gestita da gazesi, magari con il supporto di partner regionali, che gestisca l’amministrazione civile di Gaza. Smilitarizzazione da parte di Israele, amministrazione civile da parte di Gaza.

Diteci i dettagli;

E, naturalmente, anche cambiando ciò che viene insegnato nelle scuole, ciò che viene insegnato nelle moschee. Questo è essenzialmente ciò che gli Stati Uniti hanno fatto nel dopoguerra in Germania e in Giappone. Hanno smilitarizzato e de-radicalizzato, e quei Paesi sono in pace con gli Stati Uniti da quasi un secolo.

A un osservatore esterno, questo sembra qualcosa che richiederebbe una generazione per essere raggiunto. Potrebbe fornire dettagli specifici di un piano che il popolo israeliano, gli americani e il resto del mondo possano considerare come un modo credibile per arrivarci?

Non credo che sia istantaneo. Penso che ci vorrà un po’ di tempo per farlo, ma credo che sia l’unica cosa ragionevole da fare, a meno che non si voglia che si ripeta quello che è successo.

Quanto tempo pensa che ci vorrà?

Penso che dovremmo iniziare il prima possibile. Ed è su questo che stiamo lavorando in questo momento.

Con quali Paesi arabi sta parlando della creazione di un simile governo palestinese?

Meno ne parlo, più è probabile che avremo successo.

Secondo quanto riferito, state parlando con l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e la Giordania. È così?

Lei è un giornalista. Sei libero di chiedere a chiunque tu voglia.

Voglio dire, queste nazioni vorranno davvero entrare a cavallo dei carri armati israeliani?

Penso che tutti capiscano, anche se non lo dicono pubblicamente, che la sconfitta di Hamas non serve solo a Israele, ma anche agli interessi della pace e della sicurezza nell’intera regione, che lo ammettano apertamente o meno. Sicuramente ce lo hanno detto in conversazioni private.

In passato, lei ha parlato di “Stato meno” per i palestinesi, o di “autonomia più”. Ma può spiegare perché il punto di arrivo per risolvere questo conflitto non è uno Stato palestinese?

Ho sempre detto che la mia visione di un accordo, un accordo a lungo termine, con i palestinesi significherebbe che essi dovrebbero avere tutti i poteri per governarsi da soli, ma nessuno dei poteri per minacciarci. Ciò significa che la responsabilità principale della sicurezza sarà lasciata nelle mani di Israele, e questa è una sottrazione di poteri sovrani. Non c’è dubbio. È l’unico accordo ragionevole che potremmo avere. Infatti, quando abbiamo lasciato le aree adiacenti a Israele e abbiamo ceduto il nostro potere, abbiamo avuto un ingresso immediato e una presa di potere da parte dei proxy dell’Iran, Hezbollah in Libano, quando abbiamo lasciato il Libano, Hamas quando abbiamo lasciato Gaza. Non credo che dovremmo ripetere quell’errore. Dobbiamo avere la capacità di garantire la sicurezza generale di Israele. Ciò significa che qualsiasi accordo con i palestinesi dovrà avere i poteri di cui hanno bisogno per governarsi, ma non quelli che potrebbero minacciarci. Il principale di questi è la sicurezza.

Ma anche se si mantiene il controllo della sicurezza, gli Stati Uniti hanno basi in Corea del Sud, in Giappone, in Germania. Sono presenti ovunque. Voglio dire, non si potrebbe mantenere un certo livello di sicurezza, o il controllo di sicurezza necessario, anche se si tratta di una sovranità inferiore a quella di altri Paesi, e permettere loro di avere un proprio Stato?

Beh, non entro nel merito delle etichette. Mi occupo del contenuto, e il contenuto è ancora una volta, i poteri critici che riguardano la sicurezza devono essere affidati, devono rimanere nelle mani di Israele, fino a quando non mi dimostrerete che c’è un’altra forza che potrebbe prenderne il posto, e non lo vedo nell’immediato futuro, anche se se me lo dimostrerete, lo prenderò in considerazione. 

La scorsa primavera il Presidente Biden ha dichiarato al TIME che la gente dovrebbe avere “tutte le ragioni per credere” che lei stia prolungando la guerra per la sua autoconservazione politica. Come risponde?

Semplicemente non è vero. Non ne ho bisogno. Non mi interessa la mia conservazione politica. Mi preoccupa la conservazione del mio Paese e, in questo momento, non intendo prolungarla. Vorrei che finisse il più presto possibile. Anzi, più assistenza abbiamo, più velocemente lo risolveremo. È quello che ho detto al Congresso. Ho parafrasato Churchill. Ha detto: “Dateci gli strumenti, faremo il lavoro e lo finiremo”. Io ho detto: “Dateci gli strumenti più velocemente e finiremo il lavoro più velocemente”. E questa rimane la mia posizione.

I suoi critici, qui in Israele e all’estero, dicono che lei non vuole porre fine alla guerra perché verrebbe votato e poi dovrebbe affrontare una possibile condanna per frode, corruzione e violazione della fiducia. So che il processo è in corso come Primo Ministro, ma come risponde a queste accuse?

Beh, in primo luogo, questo. Voglio dire, non c’è… non c’è questa canard, questa narrazione che io stia prolungando la guerra è falsa. Sto cercando di porre fine alla guerra il più rapidamente possibile. In secondo luogo, il mio processo sta procedendo in Israele. I leader politici non godono di alcuna immunità da procedimenti giudiziari o legali. In effetti, il mio processo è in corso da tre anni. È totalmente indipendente da ciò che accade all’esterno, proprio perché Israele ha un sistema giudiziario indipendente. Non è soggetto ai capricci di nessun leader politico. E tra l’altro, quel processo si sta disfacendo ora. Non se ne sente parlare molto, ma si sta davvero dipanando. Quindi non è questo il problema. È un problema fasullo. A volte mi sorprende che giornalisti di alto livello, non come lei, scrivano articoli sui principali giornali del mondo per spiegare che sto cercando di prolungare la guerra per evitare di essere processato.

Non riesco a capire a chi ti riferisci;

Salve! Sono stato sotto processo negli ultimi tre anni!

Prima del 7 ottobre, eravate sulla soglia di un accordo di normalizzazione saudita. So che non è finita. Ma Ghazi Hamad di Hamas, con cui ho parlato lo scorso autunno, ha detto che Hamas ha attaccato Israele con l’obiettivo non solo di cercare di fermare l’accordo, ma di scatenare una risposta israeliana che vi metterebbe il mondo contro. Prendete quello che dice con un granello di sale. Ma a tal fine, non ci sono riusciti?

No, penso che non ci riusciranno, perché una volta che avremo vinto, credo che le cose andranno al loro posto e, di fatto, l’accordo saudita diventerà più probabile. In ogni caso, non ho rinunciato all’accordo. Lo ero…

Ma il mondo ha trattato Israele come un paria globale negli ultimi 10 mesi.

Questo dice qualcosa sul mondo, non su Israele. Qui c’è una democrazia che combatte contro la peggiore barbarie che abbiamo visto sul pianeta per molti decenni, e il fatto che i governi democratici siano sottoposti a pressioni interne da parte di gruppi marginali e non sostengano completamente Israele o siano disposti ad accogliere questi estremisti dovrebbe essere imputato a loro, non a Israele.

È preoccupato che questo stia plasmando la percezione di Israele per la prossima generazione non solo di americani, ma di tutto il mondo, e che questo possa avere implicazioni a lungo termine per la sua sicurezza?

Sì, ma la distruzione ha implicazioni maggiori sulla sicurezza di Israele, quindi preferisco avere una cattiva stampa che un buon necrologio.

I sauditi dicono di volere uno Stato palestinese, o almeno vogliono che alla fine ci si muova verso uno Stato. Com’è possibile trovare un accordo di normalizzazione con i sauditi quando Ben-Gvir e Smotrich cambiano le condizioni sul terreno per escludere uno Stato palestinese, o anche uno Stato minimo, come lei lo ha definito?

Guardate, tutti i governi israeliani si sono basati su sistemi parlamentari [e] si sono basati su coalizioni. Lo hanno fatto tutti. I governi precedenti hanno persino fatto una coalizione con un partito affiliato ai Fratelli Musulmani che rifiuta la sopravvivenza stessa di Israele. Non ho sentito alcuna critica al riguardo. Ma una cosa vi posso assicurare: io dirigo lo spettacolo, prendo le decisioni. Formulo la politica.

Quindi capisco cosa significa mettere insieme una coalizione, ed è stato difficile negli ultimi due anni;

Lei ha vissuto qui;

E ci sono state molte elezioni in un breve periodo di tempo. Ma perché avete dato a Ben-Gvir e Smotrich queste posizioni di potere?

Beh, credo che sia un’assegnazione naturale. È quello che decidono gli elettori. E anche alcuni dei partiti che avrebbero potuto unirsi a me hanno deciso di non farlo, alcuni degli altri partiti. Sono stato molto contento quando uno di loro si è unito alla nostra coalizione all’inizio della guerra, e mi è dispiaciuto vederli andare via. È una loro decisione. Quindi penso che si dovrebbe chiedere – è così che si sbriciola il biscotto democratico. 

Di quale altra coalizione avrebbero potuto far parte?

Avrebbero potuto entrare nel mio governo;

No, sto parlando di Ben-Gvir e Smotrich.

No, sto dicendo che gli altri partiti si sono rifiutati. Avete bisogno di un governo. Serve una maggioranza per governare, ok? Se i partiti si rifiutano di entrare nella coalizione, Israele rimane senza governo;

Ha dovuto metterli in quelle posizioni?

Non voglio entrare nel merito delle trattative di coalizione. Forse volevano un lavoro ancora più influente. E questo va bene. Voglio dire, va bene. Ma alla fine, credo che abbiamo deciso, credo che abbiamo deciso quello che il popolo di Israele ha deciso in elezioni libere e democratiche;

Smotrich una volta ha detto che lei è, come ha detto lui, “pienamente d’accordo con noi” quando si tratta dei suoi piani di annessione della Cisgiordania. Si sbaglia?

Non so se ha detto questo, ma se ha detto questo non è vero, perché non ho chiesto l’annessione. Ho spiegato che il nostro obiettivo è raggiungere una soluzione negoziata. Finora non è successo, e spero che un giorno accada, ma non lo vedo senza un cambiamento sostanziale nell’Autorità Palestinese. Insegnano ai loro figli sostanzialmente la stessa cosa che insegna Hamas: che Israele deve essere distrutto, deve essere dissolto. Glorificano gli attentatori suicidi. Pagano per uccidere: più ebrei si uccidono, più danno alle famiglie degli assassini o agli assassini stessi. Questo non è di buon auspicio per la pace. Ma credo che molti dei nostri vicini arabi lo capiscano, anche se non lo dicono apertamente;

Si impegnerà a non procedere all’annessione della Cisgiordania, qui e ora?

Non è questa la direzione che stiamo prendendo;

Parte di ciò che gli Stati Uniti offrono per la normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele è il sostegno alla loro industria nucleare. È preoccupato che l’Arabia Saudita si stia dirigendo verso lo status di armamento nucleare e che questo possa portare alla proliferazione nucleare in Medio Oriente?

Penso che saremmo preoccupati per qualsiasi cosa che abbia questa possibilità. Sono sicuro che anche gli Stati Uniti sono preoccupati;

Vorrei parlare delle relazioni tra Stati Uniti e Israele. Sono forse due le cose più essenziali per garantire la sopravvivenza a lungo termine di Israele. In primo luogo, la volontà e la resistenza del popolo israeliano. In secondo luogo, il sostegno bipartisan a Israele a Washington. In passato ci sono stati periodi di frattura bipartisan sulla sicurezza di Israele, con Eisenhower, George Herbert Walker Bush, Obama, ma ciò che preoccupa i sostenitori di Israele…

Presidente Johnson.

Il Presidente Johnson, di sicuro, è il cambiamento generazionale che si verifica con il passaggio di una generazione che ha vissuto l’Olocausto e le sue conseguenze. Temono che la frammentazione del sostegno a Israele in questa epoca e oltre sia fondamentalmente diversa da quella di 20 o 50 anni fa. È preoccupato per questo?

Sì. Continuo a pensare che Israele goda dell’ampio sostegno di un’ampia fetta del popolo americano. E questo è stato evidenziato da un sondaggio dopo l’altro, ma lei ha ragione. Nel sondaggio di Harvard-Harris, l’80% degli americani, alla domanda: “Lei sosterrebbe Israele o Hamas”, ha risposto in modo coerente. Sostengono Israele, ma il 20% sostiene Hamas. E a ben guardare, non è molto diverso dal 20% che sostiene che Bin Laden era nel giusto e l’America nel torto. Quindi in America sta succedendo qualcosa di fondamentale. Non credo che l’erosione del sostegno, di cui si parla molto, tra alcuni settori dell’opinione pubblica americana sia legata a Israele. È piuttosto legata all’America. Cosa sta succedendo in America? L’America sta subendo importanti cambiamenti interni. Spero e credo che manterrà la sua posizione di difensore della libertà e della democrazia nel mondo. Sono pienamente d’accordo, ma non credo che sia Israele. Israele non ha cambiato le sue politiche. Non è questo. È che, per molti versi, gli Stati Uniti stanno cambiando e spero che il sostegno bipartisan, che lei ha ragione è essenziale per Israele, rimanga intatto.

Smotrich, almeno nell’ambito del suo mandato, sta approvando questi avamposti non autorizzati. Sta snellendo il processo di approvazione degli insediamenti. Sta cambiando il processo burocratico per portare avanti la sua agenda ideologica. Non è un cambiamento di politica?

No, non credo. Penso che la questione sia decisamente esagerata. Non cambia fondamentalmente l’impronta delle comunità ebraiche in Giudea e Samaria, in Cisgiordania. Basta prendere una foto satellitare e confrontarla per vedere che non c’è stato quel cambiamento di cui si parla. Ma noi siamo impegnati. È parte della nostra patria. Intendiamo restarci. Non faremo pulizia etnica degli ebrei come non faremo pulizia etnica degli arabi;

La scorsa settimana ha ricevuto 57 standing ovation, ma quasi 130 democratici hanno saltato il suo discorso, compresa Kamala Harris, una delle due persone che saranno il prossimo presidente. Perché gli israeliani dovrebbero fidarsi di lei per mantenere il sostegno bipartisan a Israele a Washington?

Beh, sto facendo tutto il possibile per farlo. E non vengo a Washington come repubblicano o democratico. Vengo come israeliano. Cerco di trovare un accordo ogni volta che posso, ma mi batto anche per Israele ogni volta che devo farlo. E non l’ho fatto solo con presidenti democratici o amministrazioni democratiche. Mi sono opposto ad alcune politiche di George H.W. Bush, un repubblicano. Mi sono opposto alle politiche di George W. Bush sull’operazione Scudo difensivo, quando ha detto che Israele doveva andarsene subito. Mi sono dichiarato contrario. Ho parlato con 50 senatori dell’epoca contro questa politica, che ritenevo contraria agli interessi di Israele e, tra l’altro, anche a quelli dell’America. Quindi faccio il possibile per difendere Israele quando posso. Il primo ministro israeliano deve essere in grado di dire due cose. Deve dire no quando deve e sì quando può. Ed è quello che ho fatto.

Alcune decisioni da lei prese negli ultimi anni hanno allontanato i democratici. La percezione che lei abbia appoggiato Mitt Romney rispetto a Obama nel 2012, i suoi tentativi di impedire l’accordo sul nucleare iraniano e il suo ultimo discorso al Congresso, inizialmente contro il volere di Joe Biden. Perché mai vorrebbe rischiare di togliere questo sostegno bipartisan in un momento come questo?

Non voglio rischiare il sostegno bipartisan. Voglio, infatti, mobilitarlo, come ho cercato di fare nel discorso, al fine di mobilitare, in questo discorso e nei precedenti sforzi, il sostegno bipartisan, anche di fronte al cambiamento dell’elettorato, per gli obiettivi vitali di sopravvivenza di Israele. Questo è ciò che faccio. E in ogni caso, non intervengo. Contrariamente a quanto si dice, non intervengo nella politica americana e mi aspetto che gli altri non intervengano nella nostra;

Questa primavera i campus universitari americani sono stati invasi da proteste contro la guerra di Israele a Gaza. Secondo i sondaggi, i giovani simpatizzano maggiormente con i palestinesi. State perdendo il sostegno della prossima generazione di americani, compresi gli ebrei?

Penso che abbiamo un grosso lavoro da fare. Mi preoccupa. Non è una cosa che penso, non sono un facilone. Non dico: “Beh, non mi riguarda”. Certo che mi riguarda. Ma credo che dovrebbe preoccupare anche l’America. Perché quando le giovani generazioni sostengono questi assassini, questi stupratori, questi decapitatori di donne, questi bruciatori di bambini, allora l’America ha un problema. Non è un problema di Israele;

Ma cosa farete per rimediare? Questa è una tempesta in arrivo;

Cercare di dire la verità, come ho fatto la settimana scorsa al Congresso, e sono stato contento dell’accoglienza ricevuta. L’accoglienza è stata molto ampia, tra l’altro, ben accolta al di là della linea partitica, non da tutti, ma sono stato molto gratificato nel vedere la reazione di un pubblico molto ampio in America e, tra l’altro, in tutto il mondo. La gente ha sentito la verità. È difficile [incomprensibile] la verità perché c’è la preponderanza di elementi ostili a causa della superiorità numerica. E nei social media e in alcuni strumenti di essi, in particolare, si forma la mente dei giovani che li utilizzano. È un grosso problema. Dovremmo preoccuparci tutti di questo, e non solo di Israele.

Che cosa la minaccia maggiormente con i giovani?

Cosa mi minaccia di più tra i giovani?

Non lei personalmente, ma Israele.

Beh, credo che il fatto sia l’ignoranza. Più di ogni altra cosa, l’ignoranza. La mancanza di conoscenza. Alcune di queste persone che protestano non hanno idea di cosa stiano protestando.  Non credono ancora che Hamas abbia davvero commesso questi oltraggi. 

Di recente ha incontrato il Vicepresidente Harris. Quale pensa sia la sua posizione su Israele e sull’attuale situazione in Medio Oriente?

Innanzitutto, sono stato molto contento di avere l’opportunità di parlare con lei, come ho fatto con il Presidente Biden e con il Presidente Trump. Ha parlato del suo sostegno a Israele. Questo non significa che non abbiamo disaccordi. Ho avuto disaccordi con i presidenti americani. Allo stesso tempo, ho avuto molti accordi con loro.

Perché il suo ufficio ha criticato le sue osservazioni dopo l’incontro? Potreste avere bisogno di lei nei prossimi anni.

Ho semplicemente detto, e l’ho detto anche nell’incontro con lei e con il Presidente e con il Presidente Trump, che più Israele è vicino, in questo momento cruciale, più l’America, le posizioni americane e israeliane sono vicine, più si ottiene un risultato positivo. La gente cerca sempre la luce del giorno. Ma in tempo di guerra si guarda al microscopio. E abbiamo un obiettivo comune. Vogliamo il rilascio degli ostaggi. Vogliamo il ripristino della pace. Io la voglio dopo una vittoria israeliana, quindi più siamo allineati e meglio è. 

Che cosa c’era di giorno?

Beh, spero che non ce ne siano.

I sondaggi mostrano che il 72% degli israeliani pensa che lei dovrebbe lasciare il suo incarico ora o quando la guerra sarà finita. Intende rimanere Primo Ministro quando la guerra sarà finita?

Resterò in carica finché riterrò di poter contribuire a guidare Israele verso un futuro di sicurezza, sicurezza duratura e prosperità. Ma non dipende solo da me. Siamo in una democrazia, la decisione di chi resta in carica e chi no dipende in ultima analisi dalla gente. Sono stato rieletto sei volte. Ho perso due volte. Può succedere in una democrazia.

Dovrebbe rimanere Primo Ministro?

Beh, per il momento penso di essere alla guida dello sforzo che protegge il Paese e ne assicura il cammino verso la vittoria, che credo si stia avvicinando.

Se un leader dell’opposizione presiedesse al peggior fallimento della sicurezza nella storia di Israele, direbbe che dovrebbe rimanere al potere?

Dipende da cosa fanno. Che cosa fanno? Sono in grado di guidare il Paese in guerra? Possono condurlo alla vittoria? Sono in grado di assicurare che il dopoguerra sarà all’insegna della pace e della sicurezza? Se la risposta è sì, dovrebbero rimanere al potere. In ogni caso, questa è la decisione del popolo;

Che cosa deve fare per guadagnarsi la possibilità di rimanere Primo Ministro dopo questo?

Non mi interessa rimanere Primo Ministro. Mi interessa preservare il… Non stiamo parlando del mio futuro. Stiamo parlando del futuro del Paese. Ho dedicato la mia vita adulta, prima come soldato, poi come diplomatico e infine come leader politico, ad assicurare la sopravvivenza e la sicurezza dello Stato di Israele e la sua prosperità, trasformando, fondamentalmente liberando la sua economia. E finché sentirò di poter contribuire a questo, lo farò. E finché il popolo lo sentirà. Questa non è… non viviamo in una monarchia. Viviamo in una democrazia.

Beh, è vero. E lei è Primo Ministro da quanto, circa 18 anni?

Non ancora, ma…

Quasi, quasi ci siamo. Quasi 18 anni. Quali altri leader di Paesi o società democratiche sono rimasti al potere così a lungo?

Beh, ci hanno provato.

Pensa che sia un bene per una democrazia avere lo stesso leader al potere per 18 anni?

Penso che dipenda dal popolo. Sono loro a scegliere e a decidere chi lavora davvero per loro. Ma non è una decisione personale. Non la impongo io, così come la gente pensa che io imponga tutto ciò che accade, anche nell’esercito. Di solito le decisioni vengono prese per consenso. Ma sì, alla fine la responsabilità è del Primo Ministro e del Gabinetto, ed è il popolo a decidere chi sarà il Primo Ministro e il Gabinetto. Non è, insomma, il popolo a decidere. Non lo è. Non è qualcosa che è governato da regole. Se mi chiedete, quando è stata l’ultima volta che qualcuno ha fatto una cosa del genere? Credo sia stato più di mezzo secolo fa, non so, in Canada o in Australia o qualcosa del genere, ma la politica, sapete, non è perché io abbia poteri esorbitanti. Non controllo la stampa o la magistratura o le altre istituzioni. È il popolo che decide in libere elezioni democratiche, e sono felice che Israele le abbia.

Di certo non controllate la stampa qui in Israele, lo so;

Ne è sicuro?

Beh, ce ne sono alcuni, ce ne sono alcuni.

L’immagine che viene data è che io sia una specie di, sapete, ho questi poteri fantastici che in qualche modo garantiscono che io governi. In realtà, non è così. Il popolo ha il potere di decidere;

So che stiamo arrivando alla fine. Voglio rispondere alle ultime domande. Gli ex Primi Ministri Yitzhak Rabin, Shimon Peres, Ehud Barak, persino Ariel Sharon, hanno tutti affermato che Israele deve permettere la creazione di uno Stato palestinese per preservare l’ideale sionista di rimanere una democrazia a maggioranza ebraica. Lei è d’accordo?

Sono d’accordo sulla necessità di mantenere una maggioranza ebraica, ma penso che dovremmo farlo con mezzi democratici. Penso anche che i palestinesi in Giudea e Samaria siano cittadini di Israele, e non voglio – ecco perché non voglio – incorporarli. Penso che ci sia una soluzione potenziale. E ancora, credo che significhi che dovrebbero gestire le loro vite. Dovrebbero votare per le proprie istituzioni. Dovrebbero avere il loro autogoverno. Ma non dovrebbero avere il potere di minacciarci.

E questo lo capisco e lo apprezzo. Ma Israele può rimanere una democrazia se governa continuamente, perennemente, su milioni di palestinesi?

Non lo credo. Non governiamo la loro terra. Non governiamo Ramallah. Non gestiamo Jenin. Ma entriamo in azione quando dobbiamo prevenire il terrorismo. È una questione di… Penso che sia una trappola concettuale in cui le persone sono bloccate. Pensano che l’unica possibilità sia una sovranità completa e totale. Questo non accade in campo economico. In questo momento, ci sono Paesi che sono asserviti a istituzioni più grandi, istituzioni esterne, che governano, per esempio, nell’Unione Europea. Ma non solo lì, anche in molti altri luoghi. L’idea che l’unica cosa che dovremmo fare è rinunciare alla nostra sicurezza dando in futuro la sovranità assoluta ai palestinesi senza avere la capacità di prevenire l’emergere del terrorismo o di altre minacce alla sicurezza dalle aree adiacenti è insensata. Non è di buon auspicio per la pace. Garantisce che non si vada verso la pace. Si va verso la guerra, che è quello che è successo più volte, quando ce ne siamo andati, quando abbiamo tolto il controllo militare ai territori a noi adiacenti. Pensateci. Voglio dire, lei viene dal New Jersey, giusto?

Beh, a un certo punto ho vissuto lì;

Vicino a New York, giusto? Ve lo immaginate? L’ho detto a uno dei miei interlocutori. Vi immaginate di poter permettere l’insediamento di uno Stato impegnato nella distruzione dell’America attraverso il ponte di Washington? Voglio dire, questo non accadrà. Questo è ciò che si chiede a Israele. Le distanze sono così minime, Israele sarebbe potenzialmente così fragile e incapace di difendersi. E chi ci dice: dategli uno Stato a cinque metri di distanza, non a migliaia di chilometri, ma a un miglio di distanza, e rinunciate al potere di intervenire militarmente in questo Stato se diventa, come è, ostile a voi, non ha senso;

Non crede che sia dovere di un Primo Ministro responsabile preservare le condizioni per un eventuale risultato a due Stati?

Non lo chiamo così, non lo etichetto, ma ho già detto che non voglio governare i palestinesi, ma di certo non permetterò loro di minacciare l’esistenza dell’unico e solo Stato ebraico. Quindi ci dovrà essere una divisione del potere.

Molti israeliani ed ebrei americani temono che il sionismo, come l’ho appena descritto, non sopravviva a questa guerra. Cosa risponde a questa preoccupazione?

Beh, lo farà, se vinceremo. E se non lo faremo, il nostro futuro sarà in grave pericolo. Dobbiamo quindi vincere, e questo richiede una risoluzione. Occorre guardare sia alle azioni militari, ma anche al quadro più ampio dell’asse iraniano che lavora discretamente con i partner arabi per plasmare il dopoguerra, il Medio Oriente postbellico, cosa che stiamo facendo e cercando di mantenere, intensificando di fatto il sostegno degli Stati Uniti e delle altre democrazie. Questo non avviene nel pieno della guerra. Posso capirlo per quanto riguarda l’opinione pubblica occidentale, ma quando il polverone si calmerà, credo che la gente vedrà che abbiamo condotto una guerra essenziale, non solo per la nostra difesa, ma per la difesa dell’Occidente e della civiltà contro la barbarie.

Signor Primo Ministro, la ringrazio per il suo tempo. Lo apprezzo molto.

Grazie;

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