GIUSTIZIA TRIBUTARIA E (CONTRO)RIFORMA, di Teodoro Klitsche de la Grange

GIUSTIZIA TRIBUTARIA E (CONTRO)RIFORMA

Da quanto riporta la stampa mainstream (giuliva come al solito) la riforma della giustizia tributaria sarebbe ai nastri di partenza e dovrebbe principalmente:

– ridurre il contenzioso e la durata del processi

– garantire i diritti del contribuente

Tra i mezzi indicati agli scopi suddetti (oltre a quelli già esistenti nell’ordinamento, onde non si capisce cosa ci sia d’innovativo), ci sarebbero il Giudice monocratico per le liti “bagatellari”, cioè inferiori a € 3.000,00, la riduzione delle possibilità di appello, l’ammissione – almeno in parte – delle prove testimoniali.

Mentre per quest’ultima proposta non si può che concordare, quanto al Giudice monocratico e soprattutto alla riduzione del controllo (di merito) attraverso l’eliminazione – per le “piccole liti” – dell’appello, c’è da obiettare.

È vero che il giudice monocratico è più spiccio e più economico, perché fa da solo quello che fanno in tre; e che già per molti tipi di controversie il giudice è monocratico, senza apprezzabili differenze. Resta il fatto che prescrivere come limite della competenza il valore ha il sapore di una minore attenzione ai contribuenti con liti modeste, i quali sono, presumibilmente, i meno abbienti. Ma che, soprattutto sono, per il numero, quelli che sopportano oneri complessivamente – in linea sempre presuntiva – maggiori. Sembra un accorgimento – indirizzato a garantire il gettito delle imposte più che diritti dei contribuenti. Anche se, comunque, nel sistema italiano c’è di molto peggio.

Dove tale tendenza è manifesta e prevalente è nella riduzione della possibilità d’appello. Qui il contrasto tra i fini di garantire il gettito o i diritti del contribuente è ben più vistoso che per il giudice monocratico. Il doppio grado di giudizio è la garanzia di un doppio esame completo della controversia. Altri mezzi d’impugnazione, come quelli più praticati, cassazione e revocazione, non comportano alcun riesame completo della lite, ma solo – per essere attivati – che la sentenza impugnata sia affetta da tassative tipologie di errori/violazioni (art. 360 e 395 c.,p.c.). Oltretutto una riforma di una decina di anni fa ha ridotto la possibilità di controllo della Cassazione sulla motivazione della sentenza; mentre la revocazione ha l’inconveniente che a giudicare sono giudici dello stesso ufficio di quelli che hanno deciso la sentenza gravata. Manca a tali mezzi l’ampiezza di esame garantita dall’appello.

In conclusione, e salvo ritornare sul tema, l’impressione indotta dalle principali innovazioni che si vorrebbero apportare all’esistente è quella cui ci hanno abituato tutte le “riforme” degli ultimi decenni sul rapporto tra cittadini e P.A.: che si voglia cambiare qualcosa, si, ma riducendo diritti e garanzie delle parti private, addossandone poi la responsabilità – in gran parte – alle istituzioni europee. Tipico espediente di classi dirigenti in decadenza: si tira il sasso, ma si nasconde la mano. Stavolta sarebbe il PNRR a imporre tali innovazioni.

Ma non è così: a leggere le sentenze della Corte europea sulla giustizia italiana, la Carta di Nizza, le stesse reprimende ripetute da politici e commentatori esteri (ad esempio sulla responsabilità dei giudici) l’alternativa tra gettito e garanzie non ha il carattere decisivo, attribuitogli dai centri di potere nazionali.

Piuttosto è confermata la tendenza interna che le riforme della giustizia sono orientate più in funzione del portafoglio pubblico che delle garanzie private. Sono innovazioni ispirate ad una visione ragionieristica più che giuridica. Decidere meno controversie, con costi minori e gettito fiscale maggiore è l’obiettivo reale e perseguito; come se la decisione delle vertenze ne cives ad arma ruant, con prontezza e senso della giustizia, fosse un optional, uno scopo minore rispetto al primo. Il senso dello Stato è costruito sulla partita doppia e non in vista della pace (sociale e politica).  L’intendenza non segue più, come diceva De Gaulle, ma conduce le danze. Illusione, alle lunghe, quanto mai pericolosa.

Teodoro Klitsche de la Grange