Navigazione a vista, di Roberto Buffagni
Navigazione a vista
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loc.v.
1. TS mar., aer. n. utilizzando punti di riferimento visibili, spec. per le condizioni atmosferiche favorevoli
2. CO fig., spec. nel linguaggio politico, cercare di destreggiarsi in determinate situazioni senza avere solide basi o validi punti di riferimento
Dizionario De Mauro
Il Capitano ha sciolto gli ormeggi, salpato l’ancora e si è avventurato in mare aperto. Perché proprio ora, perché in questo modo? E che cosa lo (e ci) aspetta)?
Perché proprio ora, perché in questo modo
La rottura non è stata preparata a dovere, il tema su cui si è consumata secondario, e sono alti i rischi di conseguenze infauste per la Lega, che si è assunta l’intera responsabilità della svolta politica. A mio avviso, le ipotesi sono due:
- a) E’ un errore. Impazienza, pressioni interne (insoddisfazione del Lombardo-Veneto per l’impaludamento delle autonomie), eccesso di fiducia nell’appoggio di Trump, logoramento dei rapporti tra alleati, sondaggi in crescita costante che danno alla testa, in breve: mossa tattica molto arrischiata.
- b) E’ una mossa obbligata. Salvini ha informazioni attendibili del prossimo arrivo di una grossa tegola che mette a rischio la sua sopravvivenza politica: per esempio, uno sviluppo molto serio e grave dell’inchiesta russa. Giudica l’alleato inaffidabile, anche soltanto per garantirgli in Parlamento protezione dai futuri provvedimenti giudiziari a suo carico. Ritiene che per lui, l’unica difesa efficace sia una rapida vittoria elettorale e l’incarico di Presidente del Consiglio, e rompe: sempre meno rischioso che attendere.
Tra le due ipotesi, ritengo più verisimile la b), “mossa obbligata”. Motivo: Salvini e la Lega non hanno una visione strategica, un personale politico e un orizzonte mentale all’altezza della sfida a loro imposta dalle opposizioni interne e soprattutto esterne. Sono però politici esperti, e in particolare Salvini è un tattico molto abile.
Sottolineatura: non ho informazioni privilegiate dall’interno o dall’esterno della Lega. Avanzo ipotesi sulla base delle informazioni disponibili a chiunque.
Che cosa aspetta Salvini e noi
Tra le forze in campo, la più importante è il “partito istituzionale”, come lo definisce bene Giuseppe Germinario in questo articolo, http://italiaeilmondo.com/2019/08/09/conte-alla-rovescia/ .
Dagli indizi che raccolgo, ho l’impressione (l’impressione e basta) che il “partito istituzionale” stia esitando tra due possibili reazioni alla rottura di Salvini, queste:
1) Sollecitare un “rovesciamento delle alleanze” parlamentari da parte del M5*, in combinazione con una coalition of the willing che può assumere diverse forme e adottare diverse formule, ma che conclude alla formazione di un governo che ritardi di almeno sei-otto mesi le elezioni e consenta a) di condurre a fondo l’attacco, giudiziario o d’altro genere, a Salvini b) di rinforzare l’opposizione interna a Salvini c) di dare all’attuale opposizione il tempo di strutturarsi e di arrestare almeno provvisoriamente la frammentazione che la incapacita.
2) Promuovere la formazione di un governo di “centrodestra istituzionale”: Lega, Forza Italia, FdI. “Centrodestra istituzionale” significa: a) un governo “responsabile” nei confronti della UE e rispettoso degli attuali equilibri interni delle classi dirigenti italiane; ne sarebbe garanzia la presenza di Silvio Berlusconi, che conta elettoralmente poco ma sin dal 2011 si è fatto tramite di forze importanti, sia interne alla UE, sia interne agli USA, e può appoggiare la linea “lombardo-veneta” dell’opposizione interna alla Lega b) un governo che ripropone la contrapposizione tradizionale destra/sinistra, e pertanto da un canto aiuta l’opposizione a ristrutturarsi su base identitaria, dall’altro costituisce di per sé una manovra diversiva rispetto alla linea di faglia principale del conflitto in corso, che NON è destra/sinistra ma mondialismo/nazionalismo, proUE/antiUE.
L’ipotesi 1, “rovesciamento delle alleanze”, presenta seri problemi e rischi, questi: a) l’attuale opposizione è frammentata e discorde, non è pronta per guidare l’operazione b) il Movimento 5* si caratterizza per il fatto, invero paradossale, di essere una forza politica che non designa un nemico (indica come nemico categorie impolitiche quali “i corrotti”, etc.); il che, in linea di principio, gli consentirebbe il “rovesciamento delle alleanze”. Nonostante ciò, neanche il M5* sfugge alle regolarità del Politico, e non può permettersi un simile voltafaccia a costo zero: un così brusco rovesciamento di fronte potrebbe causarne, in tempi brevi, la disgregazione. Si aggiunga che il centrodestra potrebbe condurre, in Parlamento, una campagna acquisti tra deputati e senatori 5*, intimoriti da una operazione politica spericolata e precaria c) l’operazione “rovesciamento delle alleanze” è MOLTO pericolosa per le istituzioni repubblicane, perché mette direttamente l’uno contro l’altro Parlamento e popolo. Una ripetizione pura e semplice dell’operazione Monti è sconsigliabile: è un film che gli italiani hanno già visto, e non hanno amato per nulla. Si aggiunga che Salvini, specialmente se davvero ha fondati motivi per ritenere a rischio la sua sopravvivenza politica, potrebbe reagire in due modi entrambi pericolosi: mobilitando le piazze, e facendo leva sulle regioni del Centro-Nord governate dalla Lega (alle quali si potrebbe associare, in autunno, anche l’Emilia-Romagna).
Anche l’ipotesi 2, “governo di centrodestra istituzionale”, presenta problemi e rischi. Il rischio maggiore, naturalmente, è l’insediamento alla Presidenza del Consiglio di Salvini. Non perché Salvini sia l’avatar di Cesare, Mussolini o Putin, ma perché avrebbe un’amplissima base elettorale personale che da un canto ne aumenterebbe il peso politico, dall’altro lo costringerebbe a non trascurarne le esigenze fondamentali (protezione identitaria e sociale). La soluzione presenterebbe però alcuni vantaggi non secondari: a) scaricare sulle spalle di Salvini l’intero peso del governo, e dei suoi errori e fallimenti, in una situazione per nulla facile b) intervenire nella formazione del governo, assicurandosi che i ministeri chiave vadano a personalità “istituzionali” c) contrattare con l’opposizione interna “lombardo-veneta” della Lega una via accettabile per l’adozione delle autonomie regionali, con il relativo contraccambio politico d) non soltanto eviterebbe la pericolosa contrapposizione Parlamento/popolo, ma rafforzerebbe le istituzioni; rafforzerebbe anche gli attuali equilibri interni delle classi dirigenti politici, nel caso (probabile) che il “governo di centrodestra istituzionale” operasse senza mai mettere seriamente a rischio l’assetto presente della UE.
Nel frattempo, la polarizzazione culturale continua ad accentuarsi, anche se non riesce a tradursi compiutamente in polarizzazione politica. I due campi, progressista-mondialista/antiprogressista-nazionalista (o sovranista) continuano la loro cristallizzazione identitaria. A dimostrazione del fatto che nessuno dei due campi è in condizione di pretendere ad una vera egemonia culturale, entrambi manifestano se stessi in forma di autoparodia inconsapevole. E’ autoparodia inconsapevole il disk-jockey Salvini del Papeete, che insieme al coro del pueblo e alle cubiste leopardate intona e stona l’Inno di Mameli; è autoparodia papa Francesco che si prostra a baciare le scarpe degli stupefatti diplomatici sudanesi, autoparodia i dignitari ecclesiastici che ignorano le Sacre Scritture (per esempio inventandosi il lieto fine per Sodoma e Gomorra) o mettono in dubbio i Vangeli “perché al tempo di Gesù non c’era il registratore”; autoparodia il sindaco di Milano Sala che saluta a pugno chiuso, eccetera.
L’autoparodia inconsapevole è un segnale d’allarme culturale inequivocabile, perché manifesta la vaporizzazione delle gerarchie interiori e dell’intima adesione a norme e valori, dei quali residuano soltanto i morti feticci, i gusci vuoti. Ciascuno dei due campi culturali tenta di definirsi evocando magicamente una identità perduta, dimenticata, irrecuperabile.
Il campo progressista-mondialista evoca la corrente messianica del progressismo, e adotta come sue icone i segni che alludono allo sradicamento come liberazione: il pugno chiuso comunista, e soprattutto il migrante come icona dell’uomo senza radici, l’uomo tabula rasa da cui nascerà l’uomo nuovo.
Il campo antiprogressista-nazionalista evoca la “Religion santa di me vicc da ca’/che in mezz al tribuleri di passion/no te fett olter che tiratt in là,/in fond al coeur, scrusiada in d’on canton…” (Carlo Porta): ma che cosa resta, della religione del vecchi di casa? Che cosa resta, soprattutto, dei vecchi di casa, e della casa? Resta la serigrafia di Andy Warhol del Calendario di Frate Indovino a cui mi fa pensare Salvini quando ostende il rosario nei comizi, o invoca l’Immacolata Concezione. O fa cantare in spiaggia alle ragazze di coscia veloce il Canto degli italiani, che è un canto di battaglia (sanguinosa, coi morti veri).
Ed entrambi i campi insistono ad evocare quel che non sono, quel che gli manca: il campo progressista-mondialista, che raccoglie anzitutto i garantiti e i soddisfatti dello status quo, evoca la rivoluzione antropologica e sociale e l’eguaglianza; il campo antiprogressista-nazionalista, che raccoglie anzitutto gli sradicati e i socialmente precari, evoca il mos maiorum, la tradizione, la patria, la famiglia.
Prosegue così, in forma grottesca e sorprendente, la critica pratica alle tre parole d’ordine della rivoluzione francese: libertà, eguaglianza, fraternità. Hic Rhodus, hic salta.