Gli stupidi, gli impostori e gli agit-prop, di Roberto Buffagni

Gli stupidi, gli impostori e gli agit-prop.

Con manuale d’istruzioni per gli stupidi

 

Gli impostori

Di recente, quasi 200 amministratori delegati USA hanno diffuso un manifesto contro le leggi che limitano il diritto di abortire, intitolato “Don’t Ban Equality[1], “Non vietare l’eguaglianza”.

Succo: “L’eguaglianza sul posto di lavoro è uno dei temi più importanti per l’impresa di oggi. Quando ciascuno viene messo in condizione di avere successo, le nostre imprese, le nostre comunità, la nostra economia ne traggono beneficio. Restringere l’accesso alle cure riproduttive, aborto compreso, mette a rischio la salute, l’indipendenza e la stabilità economica dei nostri dipendenti e consumatori.

Sintesi: gli imprenditori preferiscono l’aborto al congedo di maternità. Diciamo che sono femministi.

Schifo? Sì, schifo, malvagio schifo; ma perlomeno c’è un barlume di razionalità – strumentale, d’accordo – in questa Neolingua fornita a caro prezzo da qualche ditta di PR: gli impostori che hanno pagato la fattura all’infame prezzolato ci guadagnano più soldi. A medio-lunga scadenza la civiltà, con gli esseri umani che volenti o nolenti ci stanno dentro, si frantuma nella barbarie e dell’anomia, ma nel caratteristico kantismo degli amministratori delegati la forma a priori della sensibilità “tempo” è tarata sulla trimestrale di cassa, quindi che gli frega della medio-lunga scadenza? Come del latte a lunga conservazione: riguarda gli altri, i poveracci che non hanno i soldi per comprarlo fresco.

Resterebbe da prendere in considerazione il fatto, indubbio, che alcuni o anche molti di questi impostori “ci credono”, nel malvagio schifo che propagandano, e sinceramente ritengono che sia giusto e buono. Nella percentuale in cui sono “sinceri” essi dunque rientrano nelle categorie “stupidi” e “agit-prop”. Va comunque tenuto presente, per il calcolo di detta percentuale, che è molto più facile convincersi che qualcosa è buono e giusto, se ti conviene.

Gli stupidi e gli agit-prop

Eccoli qua gli stupidi e gli agit-prop, che sventolano la bandiera della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), fondata a Roma il 3 giugno 1944 da Giuseppe Di Vittorio per i comunisti, Achille Grandi per i democristiani, Emilio Canevari per i socialisti (in sostituzione di Bruno Buozzi ucciso dai nazisti); in continuità con la Confederazione Generale del Lavoro (CGdL)  fondata a Milano, tra il 29 settembre e il 1º ottobre del 1906 per iniziativa delle Camere del Lavoro e delle Leghe di Resistenza.

Oggi la CGIL ha aperto l’ufficio “Nuovi diritti[2] che con lo slogan “non ti lasciamo solo” promuove eutanasia, aborto libero, utero in affitto, leggi contro i delitti d’opinione – “omofobia”, “transfobia” e sgg.  + altro schifo politically correct uguale identico a quello che mobilita  i CEO americani di cui sopra. Meglio solo che male accompagnato, cari, meglio solo che male accompagnato.

Schifo? Certo, schifo, malvagio schifo. Cosa c’entri questo schifo nella mission di qualsivoglia sindacalismo, non è facile determinare. O meglio: non è facile determinarlo se per mission del sindacalismo si intende, con Di Vittorio, Grandi, Canevari e Buozzi, perseguire la piena occupazione e il progressivo miglioramento delle condizioni salariali e normative dei lavoratori. Se invece per mission del sindacalismo si intende: perseguire l’integrazione subalterna delle dirigenze sindacali nella classe dirigente italiana + l’incremento dei posti di lavoro, retribuiti dalle quote dei lavoratori, per i quadri sindacali intermedi + garantirsi buona stampa sui media di proprietà dell’industria e della finanza + la benedizione delle più alte cariche dello Stato, allora la mossa della CGIL è una mossa vincente e razionale.

Oddio: anche qui, quando parliamo di razionalità intendiamo “razionalità strumentale” nel senso weberiano, ma non si può aver tutto.  Da trent’anni i lavoratori italiani hanno sempre meno lavoro e sempre più precario, salari sempre più bassi, condizioni normative sempre meno decenti, e quindi a medio-lunga scadenza la CGIL avrà sempre meno iscritti, fino ad arrivare al punto zero (ne ha persi circa 450.000 negli ultimi due anni[3]). Essa però ha un paio d’assi nella manica: nessun obbligo di presentare bilanci, e i CAF con il relativo contributo pubblico. Quindi, con un po’ di creatività contabile e il benestare dei powers that be, i dirigenti CGIL possono contare su un dorato tramonto per sé e (forse) per i loro immediati successori. Se poi l’incontentabile popolo dei lavoratori s’innervosisce, strappa la tessera, li fischia, etc., i sindacalisti, che hanno letto Brecht, cambiano popolo e ai lavoratori sostituiscono le famiglie arcobaleno e i fans dell’eutanasia e del suicidio assistito: gli iscritti ideali, questi ultimi, che pagano e poi si levano civilmente di torno.

Qui naturalmente gli stupidi sono i lavoratori sindacalizzati che “ci credono”, nei “nuovi diritti”, masochisti che pagano la quota sindacale per farsi prendere sfacciatamente in giro. Impostori e agit-prop sono i dirigenti sindacali di tutti i livelli che s’inventano questa indecente mascherata per garantirsi la pensione, e imbrogliano gli stupidi con gli ultimi barlumi di fiducia garantiti da vita e opere dei fondatori.

Adesso dovrei fare un’analisi della scellerata Neolingua che impostori, stupidi e agit-prop impiegano per promuovere il male e lo schifo spacciandolo per progresso e bene. Non ne ho nessuna voglia, perché dieci righe di questo idioletto  totalitario bastano a darmi la nausea.

Allora sapete che facciamo? Ci leggiamo insieme un paio di brani che cascano a puntino, come il proverbiale cacio sui maccheroni, e sono scritti da persone umane in lingua umana.

Avanti col primo, di Sir Roger Scruton[4]:

Si dà Neolingua ogni volta che il compito primario del linguaggio – descrivere la realtà – viene sostituito dallo compito antagonista e incompatibile di asserire potere sulla realtà. Nella retorica assertiva, l’atto linguistico fondamentale viene integrato solo superficialmente. Le frasi in Neolingua suonano come asserzioni, ma la logica che vi è implicata è quella del sortilegio. Esse evocano, come per magia, il trionfo delle parole sulle cose, la futilità dell’argomentazione razionale, e anche il pericolo di resistervi. Ne consegue che la Neolingua ha sviluppato la sua peculiare sintassi, che – pur strettamente imparentata  alla sintassi  dispiegantesi nelle normali descrizioni – evita con la massima cautela ogni incontro con la realtà, e ogni esposizione ai rigori dell’argomentazione razionale. Lo ha sostenuto Françoise Thom nel suo brillante studio La langue de bois[5]. Nella formulazione ironica della Thom, scopo della Neolingua comunista fu “proteggere l’ideologia dagli sleali attacchi delle realtà”.

Tra queste “realtà”, la più importante sono le persone umane, gli ostacoli che ogni sistema rivoluzionario deve sormontare, e che tutte le ideologie devono distruggere.  Il loro attaccamento alle particolarità e alle contingenze; la loro imbarazzante tendenza a respingere quanto è stato escogitato per il loro miglioramento; la loro libertà di scelta, i diritti e doveri per mezzo dei quali la esercitano: tutti ostacoli, per il rivoluzionario coscienzioso, mentre si sforza di portare a termine il suo piano quinquennale. Di qui, il bisogno di formulare le scelte politiche in modo che le persone, le persone reali, non vi trovino posto alcuno.

E per la Neolingua degli impostori e degli agit-prop direi che basti.

Ma restano gli stupidi, gli stupidi che sinceramente credono che questo schifo, questo malvagio e farlocco schifo sia il progresso, il bene, la bontà; gli stupidi persuasi che bevendosi la sciacquatura di piatti di questo linguaggio “resteranno umani”, quando purtroppo è certo che con questa dieta, umani non lo diventeranno mai: è il lavoro di una vita, ragazzi, mica basta nascere…magari…

Gli stupidi mi sono cari, perché noi tutti lo siamo o lo siamo stati o lo saremo, stupidi così. Magari non abbiamo creduto e non crediamo a questa roba, ma abbiamo creduto, crediamo o crederemo a roba altrettanto falsa, stupida e malvagia.

E allora, come manuale d’istruzioni per gli stupidi passati presenti e futuri, riporto un brano dall’Atto V del  Secondo Faust di Goethe. Siamo quasi alla fine del lunghissimo viaggio di Faust in compagnia di Mefistofele. Faust ne ha fatte di tutti i colori: vecchio, ha ritrovato la giovinezza, sedotto Margherita e ucciso suo fratello, è diventato ricco, è andato alla Corte dell’Imperatore e a un Sabba infernale frequentato anche dai Numi pagani, ha creato l’Homunculus ed evocato Elena di Troia, etc. Dopo questa vita spericolata come e più di Steve McQueen, si annoia e si cruccia: non è ancora felice, la soddisfazione e la pace lo sfuggono. Decide di dedicarsi al progresso dell’umanità: prosciugamento dello Zuiderzee, felicità, abbondanza e progresso sociale e morale per tutti gli abitanti di quelle lande, per tutta l’umanità. L’imperatore gli assegna il compito, e via con l’ingegneria idraulica e sociale.

Però c’è un però. Su un pezzo di terra che gli serve (ci deve scavare un canale di deflusso) abita una coppia di anziani coniugi, Filemone e Bauci. Faust gli offre una casa molto più moderna e confortevole, un terreno più grande e fertile, ma i vecchi testoni non ne vogliono sapere: “Non aver fiducia nel suolo rubato alle acque: conserva la tua casetta sull’altura,” dice la retrograda Bauci. Si ammetterà che è una bella seccatura, un caso evidentissimo di NIMBY. A dare sui nervi a Faust c’è inoltre il fatto, se si vuole marginale, che accanto alla casetta di Filemone e Bauci sorge una cappella dedicata “al vecchio Dio”; e alle ore canoniche, i due vecchietti suonano la campanella. Ora, per il suono delle campane Faust ha un’antica idiosincrasia, non le sopporta: “Maledetto scampanio, che mi ferisce vergognosamente nel cuore come un colpo di fucile nei cespugli! Il mio regno si stende dinanzi a me senza confini, e consentirò io che il nemico mi derida alle spalle, e mi rammenti con questa invidiosa campana che il mio territorio è illegittimo!” esclama Faust “furibondo”.

Insomma, non se ne può più. Faust si consulta con Mefistofele: “Bisognerebbe che quei due vecchi laggiù si allontanassero; vorrei quei tigli per la mia residenza; quei pochi alberi che non mi appartengono mi guastano il possesso del mondo. Vorrei, perché nulla all’ingiro m’impedisse la vista, appiccare il fuoco laggiù a quegli arbusti, e schiudermi così un vasto orizzonte per poter contemplare tutto quanto ho fatto, e con un solo sguardo abbracciare il capolavoro dello spirito umano, popolando col pensiero tutti quest’immensi dominii. Non è forse la più aspra tortura, sentire nella ricchezza  ciò che ci manca? Il tintinnio della campanella, l’odore di quei tigli, mi stringono il cuore come se io fossi in chiesa, oppure già nella tomba. Il volere dell’Onnipotente si fa strada anche su questi sabbioni: ho un bel farmi animo, la campanella manda un suono ed io sono subito in preda ad una forte rabbia.”

Niente da fare: se i due vecchi barbogi e superstiziosi non si lasciano persuadere dagli argomenti razionali, dai vantaggi concreti di una nuova casa, di una nuova vita, bisogna toglierli di mezzo. Ma senza fargli alcun male, per carità! Restiamo umani! Una piccola inevitabile forzatura, una spintarella, ecco: e poi saranno loro stessi a ringraziare per il benefico sopruso.

FAUST: “Va’, dunque, e procura di farli sgombrare! Tu sai qual bel poderetto io abbia destinato a quella vecchia coppia.

MEFISTOFELE. “Si levano via di qui, si posano laggiù; e prima che abbiano potuto voltarsi indietro, essi sono al loro posto. La violenza che sarà loro fatta sarà dimenticata, di fronte alla bellezza della loro nuova abitazione.”

Ma qualcosa va storto (nota per gli stupidi: qualcosa va sempre storto).

Dalla sua torre Linceo il torriere, “nato a vedere, eletto a guardare” ci fa la telecronaca dei fatti.

LINCEO IL TORRIERE: “Quale orribile spavento mi minaccia, dal seno di questo mondo di tenebre! Vedo lampi fiammeggianti attraverso la doppia oscurità dei tigli; l’incendio si ravviva e divampa, sempre più attizzato dal vento. Ah! la capanna brucia all’interno, essa che sorgeva umida e coperta di muschio. Si sente chiamare soccorso, ma invano! Ah buoni vecchi, che un tempo vegliavano vicino al fuoco con tanta cura alimentato e custodito, diventano ora preda dell’incendio! Qual orribile caso! la fiamma divampa, il cupo mucchio di muschio non è più che un braciere di porpora. Possa almeno quella brava gente salvarsi da quell’inferno incandescente e furioso! Vivi lampi s’accendono, fra i cespugli, fra il fogliame; i rami secchi che ardono scintillando, si accendono in un batter di ciglio e vanno in cenere. Toccava dunque a voi, o miei occhi, di fare una simile scoperta! Perché mi fu dato di spingere lo sguardo così lontano? La piccola cappella crolla sotto la caduta ed il peso dei rami; acute fiamme serpeggiano già intorno alla cima degli alberi. I ceppi vuoti e scavati s’infiammano fino alla radice, mostrando una tinta rossastra.

(Lunga pausa. Canto.)

Quel che fu caro allo sguardo, coi suoi secoli sparì.

E’ poi stata colpa dei vecchi e di un loro ospite, un Viandante, che hanno resistito e provocato il patatrac.

MEFISTOFELE E I TRE SCHERANI. “Noi ritorniamo di gran corsa. Perdonate! le cose non riuscirono troppo bene. Abbiamo bussato a quell’uscio, ma non venivano mai ad aprire: allora abbiamo atterrato l’uscio, il quale tutto rosicchiato dai tarli cadde sul pavimento. Abbiamo avuto un bel chiamare, minacciare, ma o non ci udivano o facevano mostra di non sentire; noi allora senza perder tempo te ne abbiamo liberato. La coppia non ha opposto una gran resistenza; essi caddero estinti e ciò fu cagionato dallo spavento. Un forestiere che si trovava colà e che cercò di resisterci, fu da noi freddato, e durante il breve intervallo scorso nel furioso combattimento, i carboni accesero la paglia sparsa intorno. Ora tutto ciò brucia liberamente, come un rogo preparato per tutti e tre.”

A Faust dispiace parecchio: “Ho io dunque parlato a sordi? Volevo una permuta e non già uno sperpero ed un devastamento. Quest’atto sciagurato e brutale, io lo disapprovo e lo maledico!

Ma così va il mondo. Il Coro lo sa e lo dice. Fate attenzione, stupidi: parla per voi.

CORO. “L’antica parola dice: obbedisci spontaneamente alla forza! e se tu sei deciso, se vuoi sostenere l’assalto, metti a repentaglio la tua casa, il tuo focolare — e te stesso.[6]

[1] https://dontbanequality.com/

[2] http://www.cgil.it/tag/nuovi-diritti/

[3] https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/09/04/sindacati-450mila-iscritti-in-meno-negli-ultimi-2-anni-male-la-cgil-che-contesta-lo-studio-in-controtendenza-la-uil/4603490/

[4] Roger Scruton, Fools, Frauds and Firebrands: Thinkers of the New Left, Bloomsbury 2015, trad. it. mia.

[5] Françoise Thom, La langue de bois, 1985, disponibile gratuitamente in rete https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k48012170.texteImage

[6] Goethe, Faust, traduzione di G. Scalvini (per la I parte) e di G. Gazzino (per la II parte). Ho introdotto alcune modifiche alla traduzione. Il testo è reperibile in rete, qui: http://www.intratext.com/IXT/ITA3301/_INDEX.HTM#II.5.4