parole chiave del nuovo corso: onestà, di Alessandro Visalli

Della parola d’ordine “onestà”.

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Le attuali forze che reggono il governo stanno articolando un discorso pubblico che ruota intorno a pochi capisaldi la cui articolazione è intesa direttamente in senso sociale, ovvero che sono diretti alla formazione di un nuovo corpo sociale: “integrità”, “onestà”, “sicurezza”. Visto con lo sguardo del partecipante, necessariamente parziale, ed in corso di eventi, sembra una reazione alla forza disgregante del modernismo, all’angelo della storia che, volgendo le spalle al futuro (che non conosce, vivendo nel presente), distrugge come un turbine il mondo al suo passaggio.

Si dice “populismo” intendendo proprio questa aspirazione alla ricerca di un senso, ed alla ricostruzione (rischiando il pastiche) del paesaggio ormai distrutto al passaggio dell’angelo. In questa direzione, anche se in modo del tutto inconsapevole, e probabilmente profondamente contraddittorio, le due forze al governo pongono a ben vedere sotto accusa lo stesso iper-capitalismo (e non solo la sua forma finanziarizzata), la cui logica, e da sempre, predilige ed esalta le passioni, tra queste proprio le meno sociali come l’egoismo, ed esalta vuoti obiettivi come l’efficienza, prediligendo una razionalità meramente oggettivante e funzionale. Attraverso i suoi necessari effetti de-socializzanti, e la disseminazione di perdenti (ovvero di “inefficienti”), il capitalismo sostenuto acriticamente da troppi e troppo a lungo, nell’illusione della ‘fine della storia’, ha alla fine scavato sotto i propri piedi aprendo la fase propriamente rivoluzionaria che si sta avviando (e che sembra accelerare). Questa fase è interpretata in modo più efficace e naturale dalle culture di destra, o da culture che si formano fuori della tradizione della sinistra trattenuta dal feticismo del progresso e dal suo bias per la modernità.

Le forze che sono al centro di questi eventi sono avvantaggiate in forma decisiva perché si muovono da quel lato rovescio della democrazia, ineliminabile ma insieme per sua struttura esterno, che è la contro-politica, la sfiducia organizzata. Da quella “democrazia della sorveglianza” che in questi ultimi anni ha rappresentato la strategia di maggiore successo per gli outsider (e talvolta anche per insider, o divenuti tali). La sinistra, invece, per lo più si è schiacciata sul lato manageriale e sulla democrazia dei tecnici (e per tale quasi sempre oppone i suoi argomenti completamente fuori tema).

Invece la fase rivoluzionaria, o se si preferisce costituente (nel senso che riforma la costituzione materiale, innovandola), che si apre e i cui esiti sono imprevedibili, sembra riaffermare, a fronte della anomia promossa dalla tecnica, il vincolo sociale e con esso il corpo della nazione e lo Stato che la dovrebbe rappresentare. Siamo su temi e inclinazioni per certi versi anti-liberali, e con buona ragione, essendo il liberalismo fondato su una promessa di arricchimento individuale che resta tradita in questa fase (rinvio al classico di Hirschman del 1975, “Le passioni e gli interessi”).

La “onestà”, è dunque una delle parole di ordine di maggiore polisemicità di questa nuova costellazione. Certamente in Italia ha una tradizione che può essere anche riletta da sinistra (nella fase aperta dal fallimento del ‘compromesso storico’ e nel discorso sulla differenza e sulla austerità proposto da Berlinguer in parte per ragioni tattiche sul finire degli anni settanta), ma nella sua articolazione contemporanea più che altro rinvia alla mobilitazione dell’ “etica della vergogna” (cfr. Ruth Benedict, 1946) ed al biasimo sociale verso chi sfrutta e distrugge il vincolo sociale, chiamandosene fuori. Questa sanzione collettiva per i comportamenti individualisti, e per la logica da free-rider, indipendentemente dalla presunzione di efficienza e rinnegando qualsiasi argomento della “mano invisibile”, segnala una drastica inversione di fase ed il richiamo a più profonde strutture di socializzazione percepite come più umane. Del resto il capitalismo si dovrebbe reggere su una interiorizzata “cultura della colpa” individuale, che fa pena a se stessa, e che è stata invece inesorabilmente erosa e neutralizzata dalla secolarizzazione. Oggi quindi il capitalismo ha perso i legami che lo potevano ancorare al bene pubblico e che gli erano esterni (cfr. Adam Smith “Teoria dei sentimenti morali”). Dal fallimento della logica dell’incentivo, in assenza di freni interni, l’enfasi sulla “onestà” sembra riportare ad una civiltà basata su consenso e biasimo, premio (Dragonetti, “Delle virtù e dei premi”, 1766, cit in Luigino Bruni, “Il mercato e il dono”), onore.

Una civiltà che prevede quindi anche la pubblica gogna cui è andato soggetto nel funerale delle vittime del ponte a Genova l’attuale segretario del Pd, simbolo del disonore. Una civiltà molto più “calda” del “freddo” liberalesimo, e certamente anche più violenta.

Una fase costituente si può prendere in molti modi, uno dei peggiori è quello che scelse, davanti al meraviglioso e terribile spettacolo, certo anche molto ingiusto, della rivoluzione francese, Edmund Burke in “Riflessioni sulla rivoluzione in Francia”.

Mi auguro che si abbia la forza di non ripetere il suo errore.