Banalità e inerzie di un disastro politico, di Roberto Buffagni

In questo articolo Michael Anton, (nello staff del National Security Council dal 2001 al 2005) spiega molto bene la dinamica delle decisioni che condussero gli USA al ventennale impegno in Afghanistan. Riassumo, di tanto in tanto commentando:
1) All’indomani dell’attacco alle Twin Towers, gli USA dovevano rispondere per conservare il prestigio scosso dalla violazione del territorio nazionale (la prima dalla guerra con l’Impero britannico del 1812)
2) La prima opzione fu per una ritorsione-lampo. Punizione di Al Quaeda e dei Talebani per mezzo di un rapido e violento attacco, guidato da un piccolo contingente americano che avrebbe “moltiplicato le forze” di alleati indigeni. L’operazione fallì: Osama Bin Laden e il suo Stato Maggiore riuscirono prima a rifugiarsi nelle caverne di Tora Bora, e poi a sfuggire.
3) COMMENTO: l’operazione implicava un accerchiamento, e le FFAA USA non padroneggiano bene la guerra di manovra. Se i comandanti USA sul terreno hanno delegato l’esecuzione dell’accerchiamento agli “alleati” afghani, probabile che questi abbiano favorito l’esfiltrazione di Osama.
4) Fallita la ritorsione – lampo, si comincia a discutere. Siamo stati attaccati dal terrorismo islamista: come si fa a prevenire altri attacchi?
5) Prevale l’idea che è necessario un approccio radicale: i paesi da cui vengono gli attacchi vanno democratizzati. Chi sostiene questa posizione crede che sia possibile farlo senza eradicare l’Islam e senza secolarizzare e occidentalizzare a forza le popolazioni. Secondo loro, responsabile del terrorismo non è l’Islam in quanto tale, ma i sistemi politici “chiusi”: la democrazia è compatibile con l’Islam. Infatti, gli americani che hanno scritto le costituzioni di Iraq e Afghanistan vi hanno lasciato un posticino anche alla sharia. Questa posizione risponde anche a un’esigenza di giustificazione etica delle azioni belliche, ed è conforme alla persuasione radicatissima negli USA che la democrazia sia in assoluto il miglior regime politico possibile. Nel dibattito interno all’Amministrazione Bush II ha notevole influenza l’analogia (totalmente sballata) con la IIGM, e la democratizzazione di Giappone e Germania.
6) COMMENTO: Ovviamente su questa posizione si butta a pesce un attore di grande rilievo, il “complesso militare-industriale”, che da un progetto di nation-building di proporzioni ciclopiche ha da lucrare valanghe di soldi. Ci si buttano a pesce anche i servizi d’informazione, che dal traffico di droga scremano fondi neri giganteschi, e sanno bene che l’Afghanistan produce il 90% dell’oppio mondiale. Dalla convergenza tra ideologia dominante e interessi colossali consegue quel che è conseguito, 20 anni di guerra in Afghanistan + relativa sconfitta, prevedibile (e prevista) sin dal giorno 1.

USA/AFPAK: SECONDO TEMPO, di Antonio de Martini

USA/AFPAK: SECONDO TEMPO

CONTRATTACCO FINANZIARIO USA. PARTE IL SOFFOCAMENTO FINANZIARIO. PROVOCHERÀ RITORSIONI TERRORISTICHE?

L’ex capo della CIA Leon Panetta collega il Pakistan con i recenti avvenimenti ( ai suoi tempi crearono la soglia AFPAK per dire che i due paesi erano un tutt’uno, si profila una nuova fase della guerra in Asia.

li Stati Uniti hanno il controllo su tutte le riserve di cambio dei paesi più o meno satelliti e con l’Afganistan non hanno fatto eccezione: hanno appena bloccato nove miliardi di dollari – in contanti e buoni del tesoro USA – depositati a garanzia in banche americane.
Il pretesto adottato é che attualmente non esiste attualmente un governo riconosciuto dell’Afganistan.

Sono entrati venti anni fa infischiandosene della legalità internazionale e adesso escono facendo i legalitari ad oltranza.

Anche l’ FMI ha annunziato che lunedì non liquiderà un fondo speciale di prelievo già concesso senza garanzie all’Afganistan.
Queste notizie sono state date dal governatore della Banca centrale tempestivamente fuggito domenica sera.

Da notare e sottolineare il fatto che questo provvedimento iugulatorio, adottato anche contro il Venezuela, nel 2014, gli USA non lo presero a carico del DAESCH che si impossessò di circa un miliardo di dollari dei fondi del governo regionale curdo di Mossul e li spese per finanziare le sue attività.

Viene da chiedersi con chi stianno realmente questi indecifrabili bugiardi o se non sia meglio rimpatriare il nostro oro per metterlo in sicurezza.

Viene anche da chiedersi se non si rendano conto che il blocco finanziario potrebbe affrettare l’arrivo della influenza cinese. O lo hanno fatto perché preferiscono i cinesi ai russi. Non hanno ancora capito che ora si confrontano col blocco Russia-Cina?

Prevedo che i Talebani potrebbero reagire autonomamente a questa misura bloccando gli espatri da Kabul e collegando i visti di uscita ( anche di americani, o di occidentali) con lo sblocco dei loro fondi; oppure seguire l’esempio iraniano coi francesi, lanciando attacchi terroristici – ovviamente anonimi- a strutture governative o finanziarie americane ovunque si trovino. Ad esempio a Londra o Amsterdam.

https://corrieredellacollera.com/2021/08/19/usa-afpak-secondo-tempo/

IL DEMOCRATICO SORRIDENTE ( nella foto)
Il presidente afgano testé uscito, Ashraf Ghani, qui ritratto con al fianco la moglie libanese Rula, secondo fonti russe avrebbe lasciato il paese “ con un elicottero, giungendo in aeroporto con 4 autovetture contenenti 169 milioni di dollari.”
Sempre secondo gli stessi testimoni, non essendo riusciti a stipare tutto sull’aeromobile, una parte é stata abbandonata sulla pista.
Dopo una sosta in Tagikistan , e la notifica di “persona non grata” delle autorità di Dushanbé, é partito alla volta di Dubai dove gli é stato accordato l’asilo “per motivi umanitari”.
L’ex presidente era in carica dal 2014. Un settennio. Come Mattarella.

Affrontare la realtà: una nuova strategia americana _ Di  George Friedman

Pericle è tornato_Giuseppe Germinario

Affrontare la realtà: una nuova strategia americana

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Gli Stati Uniti sono stati in guerra per quasi l’intero 21° secolo, ed è appena il 2021. Al contrario, gli Stati Uniti sono stati in guerra solo per il 17% dell’intero 20° secolo, durante il quale hanno vinto le guerre mondiali, subito sconfitte che hanno portato a trasformazioni esistenziali del Paese e quindi dell’ordine internazionale. Ma proprio come ha perso la Corea e il Vietnam – guerre che non erano una minaccia esistenziale – così ha perso anche in Iraq e Afghanistan.

Ciò potrebbe suggerire che gli Stati Uniti si impegnano in troppi conflitti che sono subcritici e sono negligenti nel modo in cui li combattono, mentre combattono guerre critiche con grande precisione. Ma per capire perché, dobbiamo iniziare a capire la realtà geopolitica degli Stati Uniti. La geopolitica definisce gli imperativi e i vincoli di una nazione. La strategia modella quella realtà in azione. E la sconfitta degli Stati Uniti in Afghanistan dopo 20 anni impone una rivalutazione della strategia nazionale americana, non solo di come combattiamo le guerre, ma anche di come determiniamo quali guerre dovrebbero essere combattute.

Il problema delle grandi guerre, però, è che sono rare, o dovrebbero esserlo. Il sistema internazionale in genere non si sviluppa abbastanza rapidamente da permettere alle grandi potenze di sfidarsi a lungo. Eppure, dalla Seconda Guerra Mondiale alla Corea sono passati solo cinque anni. Il Vietnam è arrivato 12 anni dopo, poi Desert Storm e Kosovo negli anni ’90, e ovviamente Iraq e Afghanistan nei primi anni 2000. La frequenza delle guerre solleva la questione critica se siano state imposte agli Stati Uniti o selezionate da loro, e se la storia si stia muovendo così rapidamente ora che anche il ritmo della guerra ha accelerato. Se quest’ultima dinamica non è reale, allora c’è una forte possibilità che gli Stati Uniti stiano seguendo una strategia difettosa che indebolisce profondamente il suo potere, limitando la sua capacità di controllare gli eventi mondiali.

Principali conflitti militari statunitensi dalla seconda guerra mondiale
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La misura chiave della strategia è la sua relativa semplicità. La geopolitica è complessa. Le tattiche sono dettagliate. La strategia dovrebbe, in teoria, essere semplice nella misura in cui rappresenta la spinta principale degli imperativi di una nazione. Per gli Stati Uniti, quella strategia potrebbe consistere nel controllare le strettoie oceaniche evitando piani dettagliati per altre aree del mondo. Una strategia di successo deve rappresentare il nucleo essenziale dell’intento di una nazione. L’eccessiva complessità rappresenta incertezza o, peggio, un compendio di imperativi strategici che superano la capacità di una nazione di eseguire o comprendere. Una nazione con un eccesso di obiettivi strategici non ha fatto le scelte difficili su cosa conta e cosa no. La complessità rappresenta una riluttanza a prendere quelle decisioni. L’inganno è una questione tattica. L’autoinganno è un fallimento strategico. Solo così si può fare tanto; comprendere le priorità senza ambiguità e resistere all’espansione strisciante della strategia è l’arte indispensabile dello stratega.

La realtà geopolitica degli Stati Uniti

1. Gli Stati Uniti sono virtualmente immuni agli attacchi terrestri. È affiancato da Canada e Messico, nessuno dei quali è in grado di costituire una minaccia. Ciò significa che le forze armate statunitensi sono principalmente progettate per proiettare il potere piuttosto che difendere la patria.

Realtà geopolitica degli Stati Uniti
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2. Gli Stati Uniti controllano gli oceani del Nord Atlantico e del Pacifico. Un’invasione dall’emisfero orientale dovrebbe sconfiggere le forze aeree e navali statunitensi in uno di questi oceani in modo tale da impedire l’interdizione di rinforzi e rifornimenti.

3. Qualsiasi minaccia esistenziale per gli Stati Uniti proverrà sempre dall’Eurasia. Gli Stati Uniti devono lavorare per limitare lo sviluppo di forze, soprattutto navali, che potrebbero minacciare il controllo statunitense degli oceani. In altre parole, la chiave è deviare l’energia militare eurasiatica dal mare.

4. Le armi nucleari sono una forza stabilizzatrice. È improbabile che la Guerra Fredda sarebbe finita così senza che due potenze nucleari gestissero il conflitto. Le armi nucleari hanno essenzialmente impedito la terza guerra mondiale. Il mantenimento di una forza nucleare stabilizza il sistema e impedire l’emergere di nuove potenze nucleari è auspicabile ma non del tutto essenziale.

5. La posizione degli Stati Uniti in Nord America ne ha fatto la più grande economia del mondo, il più grande importatore di beni e la più grande fonte di investimenti internazionali. Gli Stati Uniti sono anche un generatore di cultura internazionale. Definisce anche la cultura IT in tutto il mondo. Questo può essere un sostituto del potere militare, in particolare prima di situazioni di prebelliche.

6. L’interesse primario degli Stati Uniti è mantenere un sistema internazionale stabile che non metta in discussione i confini statunitensi. Ha poco interesse nell’assunzione di rischi. Il rischio maggiore viene dai tentativi di mantenere il controllo dei mari poiché solo le grandi potenze possono minacciare l’egemonia marittima statunitense.

7. La grande debolezza degli Stati Uniti dalla seconda guerra mondiale consiste nel fatto che viene trascinata in conflitti che non sono nell’interesse geopolitico degli Stati Uniti e che diffondono il potere degli Stati Uniti per un lungo periodo di tempo. Ciò viene fatto principalmente, ma non esclusivamente, dal terrorismo strategico attuato da nazioni o attori non nazionali.

8. Gli Stati Uniti sono un progetto morale e, come tutti i progetti morali, pensano che il proprio modello sia superiore agli altri. L’intervento morale è raramente nell’interesse geopolitico degli Stati Uniti e non finisce quasi mai bene. Per gli Stati Uniti, la tentazione di impegnarsi in queste guerre dovrebbe essere evitata per concentrarsi sugli interessi diretti e perché questi interventi spesso fanno più male che bene. Se l’intervento è ritenuto necessario, dovrebbe essere spietatamente temporaneo.

Attuazione della strategia

1. Nord America: mantenere il dominio e l’armonia degli Stati Uniti in Nord America è fondamentale per tutta la strategia degli Stati Uniti. Messico e Canada non possono minacciare militarmente gli Stati Uniti, ed entrambi sono legati agli Stati Uniti economicamente. Tuttavia, qualsiasi potenza ostile agli Stati Uniti accoglierebbe con favore l’opportunità di coinvolgere entrambi i paesi in una relazione con essi. È imperativo che gli Stati Uniti seguano una strategia che renda sempre una relazione con gli Stati Uniti molto più attraente di un’alleanza di terze parti.

2. Atlantico e Pacifico: il controllo degli oceani è principalmente un problema tecnico. Mentre un tempo veniva raggiunto dalle corazzate e poi dalle portaerei, ora è una questione di missili a lungo raggio e altre armi. La chiave è conoscere la posizione del nemico in un ambiente in cui gli aerei non possono sopravvivere facilmente su una flotta. Poiché la chiave per il comando del mare è ora la ricognizione per il targeting delle informazioni, i sistemi spaziali seguiti da veicoli aerei senza equipaggio sono la variabile critica nel controllo del mare. La US Navy e la US Space Force (man mano che maturano) saranno i servizi più importanti che controlleranno i mari d’ora in poi.

3. Eurasia: gli Stati Uniti affrontano l’Eurasia su due fronti: attraverso l’Atlantico si affacciano sull’Europa e attraverso il Pacifico si affacciano sull’Asia orientale. Dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa era l’obiettivo principale di Washington. La minaccia dell’epoca era l’Unione Sovietica. L’idea era che una penisola europea conquistata dall’Unione Sovietica avrebbe fornito la tecnologia e il personale per costruire una flotta che potesse sfidare gli Stati Uniti. La soluzione era creare la NATO. La NATO e il concetto di distruzione reciprocamente assicurata bloccarono l’espansione sovietica verso ovest e, nel caso scoppiasse la guerra, avrebbero dissuaso la marina sovietica dal tentativo di controllare le rotte marittime a tentare di interdire i convogli statunitensi che rafforzavano la NATO. La minaccia ora è il tentativo della Cina di assicurarsi l’accesso al mare. Gli Stati Uniti hanno creato un’alleanza informale che si estende dal Giappone all’Oceano Indiano per contenere la Cina. Ha anche usato il potere economico per fare pressione sulla Cina. La chiave in entrambe le strategie era una risposta tempestiva e l’uso della potenza militare per aumentare il rischio di guerra da parte sovietica o cinese e poi aspettare di vedere le loro mosse.


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4. Armi nucleari: la soggezione e il senso di sventura generati dalle armi nucleari sono diminuiti dalla fine della Guerra Fredda, ma le armi nucleari sono ancora l’arma americana per antonomasia. La strategia degli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale consiste nel costruire confini contro nemici significativi per vedere come reagiscono, ad esempio spingendo i confini o invitando a uno scontro stabile. In questo caso, le armi nucleari sono il muro. Non sono uno strumento offensivo per un Paese che dovrebbe evitare operazioni offensive. Sono stabilizzatori per un Paese che ha bisogno di perseguire lo status quo.

5. Economia: nella maggior parte dei paesi, l’economia limita sia la prontezza che il potere deterrente di un esercito. Negli Stati Uniti, l’economia in realtà fornisce entrambi. In termini di potere d’acquisto, crea una base interna stabile in grado di generare tecnologia militare e una forza significativa. In termini di gestione delle relazioni globali, l’economia prevede incentivi e sanzioni non militari. Essendo il più grande importatore al mondo, la capacità degli Stati Uniti di limitare gli acquisti può rimodellare la politica. Usata con prudenza, la disponibilità ad acquistare beni da un Paese può creare relazioni che prevengono la necessità di un’azione militare. Washington ha bisogno di sviluppare un programma economico strategico che riduca il rischio di combattimenti e aumenti i potenziali alleati che potrebbero essere preparati a sostenere l’onere dei conflitti condivisi.

6. Raggiungere l’interesse primario: l’interesse primario degli Stati Uniti è proteggere la patria dall’invasione straniera. Lo scopo di tale sicurezza è mantenere un sistema economico in grado di fornire ricchezza al pubblico americano e mantenere il regime. In parole povere, alcune cose minacceranno la sicurezza e altre no. Per quelle cose che minacciano la nazione, ci deve essere un attento calcolo se la minaccia e il costo della mitigazione della minaccia sono allineati. Il grande pericolo degli Stati Uniti è stato quello di riconoscere le minacce senza riconoscere né il costo né la probabilità di contenerle con successo. Ciò ha portato a una serie di guerre che gli Stati Uniti non hanno vinto e che hanno distolto l’attenzione dagli interessi fondamentali mentre a volte destabilizzavano la nazione.

7. Terrorismo: i gruppi terroristici sono piccoli e diffusi e quindi non possono essere contrastati con l’azione militare tradizionale. Di volta in volta, i militari lottano per determinare dove si trovano questi gruppi e contenerli, anche se si trovano in un paese noto per ospitarli (l’Afghanistan, per esempio). Le organizzazioni di intelligence e le forze speciali sono essenziali in questo senso. La strategia nazionale non può essere deviata dagli interessi geopoliticamente definiti perché così facendo disperde il potere degli Stati Uniti contro un gruppo che non rappresenta una minaccia esistenziale contro gli Stati Uniti.

Schieramento delle truppe statunitensi per regione
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Ci sono, ovviamente, questioni di politica estera che devono essere gestite ma che non costituiscono una parte significativa della strategia nazionale. Il dilemma è che coloro che lavorano su tali questioni le considerano estremamente importanti, come dovrebbero. Ma questo si trasforma in una questione burocratica o politica. I funzionari del Dipartimento di Stato Minore cercheranno l’importanza e i presidenti cercheranno i voti. La strategia nazionale può essere chiara, ma la sua amministrazione è complessa. Alla fine spetta al presidente stabilire i confini sempre mutevoli e preservare il carattere essenziale della strategia nazionale. Altrimenti, questioni minori possono diventare grandi guerre e distruggere una presidenza.

Guerre non strategiche: Vietnam e Afghanistan

La decisione di entrare in guerra in Afghanistan era radicata in un fraintendimento della geopolitica e della strategia americana, non diversamente da quanto accaduto in Vietnam decenni prima. Gli Stati Uniti hanno combattuto la seconda guerra mondiale per impedire il consolidamento dell’Europa sotto un’unica potenza. Ciò si basava su un imperativo americano prevalente: impedire una sfida al dominio americano dell’Atlantico. La seconda guerra mondiale dissolse la Germania, ma l’Unione Sovietica emerse come la nuova minaccia in grado di dominare l’Europa. Un’alleanza americana, la NATO e il pericolo di una guerra termonucleare hanno bloccato l’espansione sovietica. L’Europa è stata effettivamente bloccata.

Gli Stati Uniti l’hanno interpretata come una lotta contro il comunismo. In parte, questo era corretto, dal momento che i sovietici volevano indebolire gli Stati Uniti. Con le armi nucleari che rendevano impossibile lo scontro diretto, l’unica strategia aperta ai sovietici era tentare di aumentare la presenza dei regimi comunisti al di fuori dell’Europa, nella speranza che gli Stati Uniti riducessero la loro presenza in Europa per affrontarli. Gli Stati Uniti erano sensibili alla diffusione dei regimi comunisti ma generalmente rispondevano solo con pressioni politiche ed economiche e operazioni segrete. Un’eccezione è stata la crisi missilistica cubana, che è stata una minaccia fondamentale alla sicurezza del Nord America e che gli Stati Uniti hanno contrastato minacciando una guerra, portando alla capitolazione sovietica. Dopo la Corea, non ci furono più guerre anticomuniste su vasta scala fino al Vietnam. Gli Stati Uniti considerarono l’ascesa di un’insurrezione comunista in Vietnam più minacciosa di quando lo stesso accadde in Congo o in Siria.

Il Vietnam non rappresentava una minaccia strategica per gli Stati Uniti. Anche unificato non poteva minacciare il controllo statunitense del Pacifico, e la caduta del Vietnam rappresenterebbe solo un’estensione del Vietnam del Nord. Ma gli Stati Uniti hanno visto due ragioni per intervenire lì. Uno era la teoria del domino, in cui la caduta del Vietnam avrebbe portato alla diffusione del comunismo in tutto il sud-est asiatico. La seconda ragione era la credibilità. Il sistema di alleanze degli Stati Uniti, in particolare la NATO, dipendeva dalla convinzione che gli Stati Uniti avrebbero adempiuto agli obblighi di resistere all’espansione comunista. Gli Stati Uniti erano particolarmente preoccupati per l’Europa, dove il presidente francese Charles de Gaulle sollevava dubbi sull’affidabilità americana e sosteneva un deterrente nucleare indipendente. Qualsiasi cambiamento nell’alleanza sarebbe parziale ma indebolirebbe il muro che contiene i sovietici.

Le parole “domino” e “credibilità” hanno orientato la causa dell’intervento in Vietnam. Non è stata menzionata la possibilità che una sconfitta possa accelerare questi processi. Alla fine, il fatto che si trattasse di un’espansione comunista ha prevalso su qualsiasi considerazione che si trattasse di una guerra non strategica. Un altro fatto è stato ignorato. Durante la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti stavano rispondendo all’aggressione piuttosto che iniziare la guerra. Ciò ha fatto una differenza fondamentale nel dinamismo politico interno. In Vietnam, gli Stati Uniti dovevano avere successo in una guerra non strategica, una guerra che non sembrava essenziale e non era essenziale.

La necessità di mantenere un consenso politico per la guerra del Vietnam non era un lusso. È stato cruciale. Ma i leader americani credevano che le forze statunitensi avrebbero potuto schiacciare rapidamente i Viet Cong e l’esercito nordvietnamita. Il problema era che l’esercito americano era stato creato per una guerra europea, una guerra strategica. È stato addestrato a combattere contro una spinta corazzata sovietica usando aerei, corazze e la complessa logistica necessaria per supportare tale operazione. L’esercito non è stato formato per combattere una guerra contro la fanteria leggera e mobile in un terreno che va dalle colline alle giungle. Washington presumeva che gli attacchi aerei su Haiphong avrebbero costretto alla capitolazione e non comprendeva né l’impegno quasi religioso delle truppe vietnamite né la spietatezza del regime nordvietnamita. Gli Stati Uniti si sono avvicinati il ​​più possibile alla vittoria dopo la fallita offensiva del Tet, ma i fallimenti del comando, problemi logistici e vincoli operativi, insieme al rapido rafforzamento da parte del Nord, lo rendevano impossibile. E questo è stato integrato da un fraintendimento dell’evento da parte della stampa americana che è stato determinante nel portare il pubblico americano contro la guerra.

Il problema con la guerra del Vietnam era che non era strategicamente necessario. L’opinione pubblica degli Stati Uniti sancirebbe una vittoria a buon mercato, ma non una guerra senza fine. Sapeva che né la teoria del domino né la credibilità dell’America dipendevano da questo. I comandanti in guerra avevano combattuto nella seconda guerra mondiale, dove entrambi i fronti erano strategicamente essenziali. Loro e le loro truppe non erano abituati ad accettare una guerra che sarebbe durata sette anni prima della capitolazione americana.

Un processo simile è avvenuto in Afghanistan. Come nazione, l’Afghanistan non era strategico per gli Stati Uniti. Al-Qaeda aveva pianificato l’attacco dell’11 settembre da lì, e l’uso iniziale della CIA, di alcune forze speciali statunitensi e delle tribù anti-talebane per sconfiggere il gruppo aveva senso. Ma al-Qaeda fuggì in Pakistan, e dovette essere presa la decisione di ritirarsi o tentare di prendere il controllo dell’Afghanistan. La risposta ovvia era andarsene, ma quella scelta era restare e cominciare lanciando attacchi aerei su varie città afgane. I talebani controllavano quelle città e l’attacco aereo aveva lo scopo di distruggerle. Lasciarono le città e c’era speranza che la guerra fosse vinta. Ma i talebani si erano semplicemente ritirati e dispersi, e nel tempo si sono raggruppati nelle aree da cui provenivano e che conoscevano meglio.

La missione si è evoluta nel tentativo di distruggere una forza profondamente radicata nella società e nella geografia afghane. I talebani potevano essere contenuti nelle loro aree, con un costo di vittime, ma era impossibile farli cadere. Se i Viet Cong hanno combattuto con un impegno quasi religioso, i talebani hanno combattuto con un impegno religioso genuino. Gli Stati Uniti hanno cercato di creare un esercito nazionale afghano filoamericano come avevano creato l’esercito della Repubblica del Vietnam. L’idea di creare un esercito nel bel mezzo di una guerra ha molti difetti, ma il più grande è che le prime reclute che avrebbero ricevuto sarebbero state inviate dai comunisti o dai talebani. Il risultato fu un esercito che aveva il nemico in posizioni strategiche. Il nemico avrebbe anticipato qualsiasi offensiva che il nuovo esercito avrebbe potuto organizzare.

Viene creata una forza militare per soddisfare gli imperativi strategici. Quando viene combattuta una guerra non strategica, le probabilità sono schiaccianti che la forza, e in particolare la struttura di comando, non sia pronta. Il Vietnam ha impiegato sette anni. L’Afghanistan ha impiegato 20 anni. Nessuna delle due guerre è finita per mancanza di pazienza da parte degli americani. Sono finite perché il nemico era maturato; in Vietnam e Afghanistan, mentre le truppe statunitensi entravano e uscivano a rotazione, il nemico era in casa. E finirono perché ciò che era stato vero per anni era diventato manifesto: gli Stati Uniti non potevano vincere e nessun grande danno ai segreti americani sarebbe derivato dalla fine della guerra.

Nessuna guerra rientrava nella strategia imposta agli Stati Uniti dalla realtà geopolitica. Nessun esercito è stato progettato per combattere una guerra contro una fanteria leggera impegnata, esperta e agile. Combattere una guerra non strategica indebolisce inevitabilmente i militari schierati. E in entrambe le guerre, il nemico potrebbe essere stato sottovalutato, ma una forza americana mal preparata è stata notevolmente sopravvalutata. Ciò che ne seguì non fu il fallimento delle truppe a terra. È stato un fallimento dell’addestramento, del comando e, soprattutto, del fatto che le truppe statunitensi volessero tornare a casa. I talebani erano a casa.

La geopolitica definisce la strategia. La strategia definisce la forza. Il prezzo di impegnarsi in una guerra non strategica è alto e la tentazione di combattere guerre non strategiche è grande. Si aprono con vero allarme e scendono lentamente verso il fallimento. Altrettanto importante, distraggono dalle priorità strategiche della nazione. La guerra del Vietnam ha notevolmente indebolito le capacità statunitensi in Europa, una debolezza di cui i sovietici non hanno approfittato. L’Afghanistan non ha indebolito la forza, ma ancora una volta ha scosso la sua fiducia e la fiducia del pubblico statunitense. Tuttavia, non ha diminuito il potere americano.

Le due guerre sono durate quanto sono durate perché i presidenti coinvolti (è sempre il presidente) hanno trovato più facile continuarle che finirle. Perdere una guerra è difficile. Decidere di aver perso una guerra ancora in corso e fermarla è più difficile. E questo è il prezzo da pagare per le guerre non strategiche.

Dal non strategico all’estremamente strategico: la Cina

La minaccia sovietica all’Europa e all’Atlantico fu gestita senza guerra. La natura strategica della minaccia ha imposto una chiara comprensione, forze appropriate e sostegno politico. A tempo debito la parte più debole, i sovietici, si incrinò sotto la pressione economica imposta dagli Stati Uniti. Questo è il risultato strategico ideale.

La minaccia in Europa è notevolmente diminuita. I russi stanno cercando di riconquistare i territori perduti, ma non sono in grado di minacciare l’Europa. La struttura dell’alleanza transatlantica creata dagli Stati Uniti non è più rilevante e non lo sarà per anni, se non mai. Le alleanze sono vitali per generare ulteriore potere militare ed economico. Forniscono vantaggi geografici e spostano la psicologia degli avversari. Ma con l’evolversi della condizione strategica, anche l’alleanza evolve. La realtà strategica del 1945 era una Russia potente e un’Europa debole. La situazione strategica oggi è una Russia indebolita e un’Europa prospera. La necessità della NATO, quindi, si sposta su qualcosa di meno centrale nella politica statunitense e meno definita da ciò che deve essere fatto, così come si sposta negli altri membri. Il pericolo di alleanze che sopravvivono alla loro utilità è una distorsione della strategia nazionale tale da poter indebolire gli Stati Uniti invece di rafforzarli. Lo scenario peggiore è che possano trascinare gli Stati Uniti in politiche e guerre che minano piuttosto che rafforzare la loro sicurezza nazionale.

Divisione Europea, 1990
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Il ridimensionamento del teatro europeo lascia gli Stati Uniti liberi di fare i conti con l’Oceano Pacifico e la potenziale minaccia della Cina. La Cina ha urgente bisogno di costringere gli Stati Uniti a ritrarsi, lontano dalle sue coste e più in profondità nel Pacifico. Ciò è iniziato con la richiesta americana di parità di accesso al mercato cinese, il rifiuto della Cina e l’imposizione di dazi alla Cina da parte degli Stati Uniti. La questione economica non era critica, ma la Cina ha ragionevolmente tratto la conclusione che la visione degli Stati Uniti della Cina era cambiata e che la Cina doveva essere preparata per uno scenario peggiore.

Il caso peggiore sarebbe che gli Stati Uniti impongano un embargo ai porti della costa orientale della Cina e/o lungo le strettoie dell’isola a est della Cina. La Cina è una potenza mercantile dipendente dal commercio marittimo. La chiusura dei porti, così come dello Stretto di Malacca, paralizzerebbe la Cina. Gli Stati Uniti non l’hanno minacciato, ma la Cina deve agire nello scenario peggiore. Gli Stati Uniti hanno creato una struttura di alleanza informale che riguarda la Cina. Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Filippine, Indonesia, Vietnam e Singapore sono tutti formalmente o informalmente allineati con gli Stati Uniti, o semplicemente ostili alla Cina. Inoltre, India, Australia e Regno Unito sono attivamente coinvolti in questa quasi-alleanza. La Cina deve presumere che a un certo punto gli Stati Uniti cercheranno di fare pressione se non sui porti, quindi con un blocco di questa linea di isole.

Partner statunitensi e Chokepoint marittimi cinesi
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Gli Stati Uniti sono grosso modo nella posizione in cui si trovavano durante la Guerra Fredda. Ha un’alleanza che gli fornisce la geografia necessaria per affrontare un attacco cinese, per lanciare un attacco o semplicemente per mantenere la sua posizione. La Cina deve agire per cambiare questa realtà. Un’opzione sono le maggiori concessioni economiche agli Stati Uniti e ad altre di questo gruppo. Un’altra opzione è lanciare un attacco progettato per rompere la linea di blocco. Un altro è semplicemente mantenere questa posizione a meno che e fino a quando gli Stati Uniti non si muovano. O forse la Cina potrebbe fare ciò che hanno fatto i sovietici: creare una minaccia non strategica a cui gli Stati Uniti non possono resistere, dato il suo noto appetito per il non strategico.

Lanciare una guerra apre le porte alla sconfitta oltre che alla vittoria. La Cina non può essere certa di cosa accadrebbe, e non è chiaro quale sarebbe il conto di una sconfitta. L’economia cinese è sempre sotto pressione, con un vasto numero di persone relativamente povere. Le concessioni economiche non sono una possibilità. Rimanere in questa posizione consente agli Stati Uniti di fare la prima mossa e, dato quello che la Cina vede come avventurismo militare statunitense, Pechino non è sicura che gli Stati Uniti non sopravvaluteranno il potere della Cina. Pertanto, la scelta più probabile sarebbe un diversivo.

I cinesi hanno la capacità di imporre un cambio di regime in qualsiasi numero di paesi che agli Stati Uniti sembrerebbe una sfida diretta, come hanno fatto Vietnam e Afghanistan. La tendenza degli Stati Uniti ad accettare queste sfide non strategiche include anche l’Iraq e, in una certa misura, la Corea. La Cina potrebbe trarre la stessa conclusione dei sovietici, ovvero che gli Stati Uniti risponderanno a una minaccia anche se non strategica. La Cina non è impegnata in tali attività da molto tempo, ma la situazione attuale è più rischiosa di prima. La creazione di un diversivo potrebbe essere vista come l’opzione a basso rischio.

Questo è l’ultimo problema con il secolo americano: è reattivo e talvolta reagisce all’amico gettato sull’acqua dai suoi nemici nella speranza che gli Stati Uniti mordano. Il problema centrale è che la strategia degli Stati Uniti non è guidata dallo strategico e, di conseguenza, è stato difficile distinguere il non strategico dallo strategico. È necessaria una nuova strategia americana per fornire la disciplina per evitare un tentativo cinese di deviare gli Stati Uniti.

L’esito ideale della controversia tra Stati Uniti e Cina è una soluzione negoziata. Nessuno dei due può assorbire il costo della guerra, sebbene gli Stati Uniti abbiano un vantaggio geografico che può neutralizzare qualsiasi vantaggio bellico che la Cina potrebbe aver guadagnato. E questo è il punto della strategia. Primo, la guerra deve essere rara, non la norma. Evitare la guerra richiede un pensiero geopolitico, strategico e disciplinato. Gli Stati Uniti sono stati in prima linea in Europa per 45 anni e hanno posto fine al conflitto con l’Unione Sovietica in modo pacifico, ad eccezione della guerra del Vietnam, che non era materiale. Gli Stati Uniti e la Cina manovreranno sul Pacifico occidentale, ma se gli Stati Uniti si concentrano sulla strategia, probabilmente non finiranno in guerra. La preparazione alla guerra è essenziale. Buttare via quella preparazione su distrazioni non strategiche e sanguinose è l’abitudine che la classe dirigente americana deve superare.

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I TALEBANI: COME NACQUERO, COSA PENSANO E CHE FARANNO, di Antonio de Martini

I TALEBANI: COME NACQUERO, COSA PENSANO E CHE FARANNO

di Antoniodiceche

Il mio post facebook dello scorso sabato sul Mullah Omar ha avuto un record di preferenze, segno che le persone sono assetate di notizie sul personaggio,morto anni fa, e sui TALEBANI di cui non si sa nulla ( un pò come per Assad di Siria e gli Alauiti) per ignoranza e per la ferrea censura sostanziale esercitata dal monopolio informativo planetario esercitato dalle cinque agenzie di stampa ( AFP, REUTER,AP, BLOOMBERG…) che danno notizie ai media di tutto il mondo in armonia coi governi occidentali che contano.

Pochi sanno chi siano i TALEBANI , come e quando siano nati, cosa vogliano e a chi o cosa debbano la loro vittoria sugli Stati Uniti d’America.

Sono nati nel sud del paese attorno alla metà degli anni novanta come reazione alla situazione di caos creata dall’evaquazione dei sovietici e dal vuoto di potere che ne seguì.

La storia del Mullah Omar la sapete già, come sapete le fame di legge ed ordine che provocò la sua reazione e la crescita politica conseguente. Non si trattò di un uomo solo, ma di una parte di clero sunnita formatosi a metà del secolo precedente a DEOBAND ( India) che volle strumentalizzare la religione in funzione anticoloniale e antibritannica.

E’ un movimento culturale-religioso composto da giurisperiti ( dottori della legge “ Ulema”: colui che insegna) e si rivolge agli allievi ( talebani: domandatori; da taleb domanda) della scuola coranica ( madrasa).

Per mantenere l’ordine e far rispettare le leggi, gli allievi si armarono di Kalashnikov sovietici residuati e – agli ordini dei giudici-dottori della legge – iniziarono a imporne il rispetto, non di astruse pandette occidentali, ma della Sharia che tutto l’Islam conosce a memoria e che gli Ulema interpretano a richiesta.

Il passaggio al rigore islamico interpretato dai troppo giovani zeloti e il loro ostentato disinteresse per l’Economia, provocò una prima reazione popolare e la mancanza di contatti internazionali ed il loro provincialismo favorirono quanti invocarono il sacro dovere dell’ospitalità, specie se – come Ben Laden- accompagnato da munifica beneficenza.

Il loro ostentato disinteresse e assoluta ignoranza per le cose economiche e il desiderio di combattere la corruzione portata dagli stranieri ( prima russi, poi americani) provocò un ciclo economico depressivo che favorì la loro espulsione dal potere grazie all’arrivo degli americani e del fiume di dollari con cui si aprono la strada.

L’invasione americana creò grandi aspettative di democrazia e prosperità, molti mestieri non furono più vietati sulla base di dettami coranici anche mal interpretati, la proibizione delle esecuzioni pubbliche provocò ondate di sollievo, il minor rigore zelota nella applicazione delle leggi visto con gratitudine. Le elezioni del 2001 fecero nascere speranze e una nuova classe politica e sociale che giunse all’apice con le elezioni del 2004.

D’altro canto, un amico che mi legge ogni tanto mi ha scritto d’aver incontrato un ufficiale USA che durante il Ramadan gli chiese contro chi fosse rivolta quel corale sciopero della fame…

Cretini DOC furono importati dagli Stati Uniti e nominati ministri e presidenti, il flusso dei lavori e dei favori incentivò nuovamente la corruzione, il rilassamento dei costumi e la presenza di militari giovani stimolò ogni genere di deviazioni, la coltivazione e il traffico degli oppiaceo aumentò fino a tenta volte nella fase finale dell’esperienza; la spicciativa temerarietà culturale con cui furono risolte questioni di diritto civile creò malanimo. Le logiche tribali ripresero il sopravvento e si iniziò a rimpiangere la frusta casalinga dei talebani, giudici incorruttibili.

Trasformare un uomo di fede in un combattente non richiede sforzi: é già temprato, frugale e pronto al sacrificio. Era solo questione di tempo. Scrissi sul questo blog, il 4 maggio 2011,che ci potevano volere dieci anni e dieci anni ci sono voluti. ( cfr: https://corrieredellacollera.com/2011/05/04/gli-usa-vinceranno-in-pakistan-e-i-talebani-in-afganistan-di-antonio-de-martini/).

Cosa pensano? Sono nazionalisti, sovranisti, rigorosi difensori della legalità, moralisti come tutti gli uomini che vivono tra loro e molto affini alla mentalità e psicologia degli evangelisti americani, mutatis mutandis.

Cosa faranno? Governeranno esattamente come prima, ma senza esecuzioni pubbliche e con un occhio più attento alle reazioni e relazioni internazionali, ma senza dimenticare chi li ha aiutati e perché. Il Pakistan.

l’appartenenza all’Etna Pashtun li rende utili ai pachistani in funzione anti indiana e se dovessero gestire alcune attività terroristiche segrete, lo farebbero per cavare le castagne dal fuoco ai pakistani che devono dare prova di moderazione agli americani in cerca di capri espiatori. Potrebbero offrire kamikaze per operazioni in India, in Cachemir e in Inghilterra con cui il Pakistan ha conti in sospeso per via delle attività di intelligence che hanno avvelenato i rapporti con gli USA.

Attentati a noi non ne prevedo. Prevedo invece, grazie alla nostra irrilevanza politica che potremmo raccogliere contratti che, per ora , gli americani per ragioni di opportunità non possono sollecitare. Penso alla SNAM che potrebbe offrirsi per l’attività progettuale del grande pipeline Iran Cina dove saremmo in concorrenza con la Russia che ha un eccellente uomo di intelligence in grado di influire in Pakistan ad alti livelli, mentre noi potremmo farlo in Iran.

Gli USA nel 1975 assorbirono centomila vietnamiti nel loro paese, mentre noi mandammo a prendere, con Zamberletti ricordate ? con due navi da guerra, qualche centinaio di boat people. Oggi rischiamo che accada il contrario…

Per fortuna, tutti gli afgani che hanno ottenuto promozione e3conomica e sociale ( e di cui i talebani favoriranno l’esodo) hanno il mito degli USA e una gran voglia di investire i loro sudatissimi dollari.

A RITROSO

Il padre spirituale di questa vittoria dei pastori sulle supertecnologie, è il mullah OMAR .
Guercio, viveva all’ombra della sua moschea mentre l’Afganistan vegetava in un periodo di anarchia dovuta a liti tra partigiani di differenti ideologie occidentali.
Quattro soldati afgani violentarono una donna e ne chiesero la condanna con le solite abberranti motivazioni.
Lui condannò i quattro all’impiccagione.
Il paese intero approvò- si, il paese dei misogini – e lo innalzò alla magistratura suprema in cerca di legge e ordine.
Quando il governo USA chiese l’estradizione di Osama Ben Laden ( che come abbiamo poi saputo, non era in Afganistan) lui, magistrato inflessibile, chiese che avviassero una regolare pratica di estradizione.
Gli USA risposero con l’invasione e misero una taglia sulla sua testa.
È morto nel suo letto, guidando la Resistenza, senza che si trovasse un solo afgano disposto a tradire cedendo al fascino del dollaro.
Se non ricordo male, la taglia era di dieci milioni.
Avrebbero dovuto capire da questo fatto che non l’avrebbero spuntata.
Qualcuno, in un bagliore di lucidità, da “terrorists,”li promosse a “insugents”, ma poi affogò in una storiella pecoreccia e l’interesse alle forniture prevalse fino al naufragio finale.

LE BOMBE SULL’AFGANISTAN HANNO FATTO UNA VITTIMA: BIDEN, di Antonio de Martini

LE BOMBE SULL’AFGANISTAN HANNO FATTO UNA VITTIMA: BIDEN
Zabibhullah Mujaid, portavoce dei Talebani ha dichiarato che il movimento degli “ Studenti in religione” é favorevole all’evacuazione degli americani.
Infatti, dalla dichiarazione di tregua in poi, gli americani non sono stati attaccati e questo ha reso disponibili concentramenti di più forze per attaccare i governativi.
L’intelligence USA ( e quella afgana) hanno realizzato gli ultimi, si spera, due buchi nell’acqua a dimostrazione – non solo della inefficienza- ma anche della mancanza di contatto con la realtà del paese e del loro stesso esercito.
1)Non si aspettavano il crollo psicologico dei militari afgani alla cessazione dell’appoggio aereo e logistico americano. Il che ha consentito ai talebani la presa di controllo di due terzi del paese in una settimana.
L’invasione d’Italia di Carlo VIII fu chiamata “la guerra dei gessi” dai segni che l’intendenza faceva sui punti di ristoro per le truppe. Fu l’impegno più gravoso data la mancanza di resistenza. E questa avanzata dei Talebani me la ricorda.
2)Prevedevano che l’attacco venisse dal sud del paese e sono stati sorpresi dall’attacco Nord-Sud. Credevano che il Nord fosse rimasto ai tempi di Massoud, il leone del Pamshir….
Su circa 140 distretti “conquistati” le truppe governative ne hanno riconquistati dieci.
Una campagna di omicidi mirati di piloti ha debilitato l’aeronautica afgana che sarebbe stato l’unico asso nella manica del presidente Ghani.
L’invio in urgenza di tremila uomini ( due battaglioni di Marines e uno di fanteria) in aggiunta ai seicento già a presidio dell’ambasciata USA e l’afflusso di militari inglesi a protezione di quella britannica, da la misura della della mancanza di cooperazione persino a livello di difesa ravvicinata sullo stesso percorso per l’aeroporto.
Ognuno per se.
La presenza di questa mezza brigata ( più i mercenari delle compagnie private ancora in loco) dovrebbe tenere i talebani lontani da Kabul per qualche tempo e permettere negoziati, ma l’afflusso dei profughi nella capitale ( ah se qualcuno avesse letto Machiavelli !) renderà la situazione alimentare e logistica presto insostenibile per gli assediati.
Uno dei giovani generali dell’esercito governativo – Koshal Sadat 35 anni- ha dichiarato : “tutto ciò di cui un soldato ha bisogno é di un vero leader” cioè che le truppe sono disposte a battersi e a cessare le diserzioni, se a capo si trovassero un vero comandante ( sottinteso, non un fessacchiotto come il presidente Ashraf Ghani).
Insomma si rivive la situazione tipica americana con un docile ometto gradito agli occidentali ma per le stesse ragioni non apprezzato dal popolo e dai suoi stessi soldati.
Il portavoce del Pentagono citato ieri sera dal corrispondente RAI Di Bella, ha detto “ il denaro non può ottenere la volontà politica.”
Una bella ammissione. Giunge con un ritardo di almeno mille miliardi di dollari ( di cui una ventina nostri).
COSA SUCCEDERÀ
Gli Stati Uniti vorranno isolare il paese sostenendo che viola i diritti umani e che potrebbe “ nuovamente ospitare terroristi” ignorando che chi ospitava Ben Laden era il Pakistan….
Oltre a ignorare la storia dell’Afganistan ignorano- evidentemente – anche la geografia: trascurano che l’Afganistan confina col Pakistan e con l’Iran due paesi che NON possono neppure volendo isolare il vicino; gran parte degli abitanti sono nomadi e vivono di pastorizia ( transumanza frontaliera) e che quindi i consigli di sanzioni sono illusori e inefficaci. Anche i vicini russi saranno lieti di riannodare i rapporti con paese che li scacciò, in nome della solidarietà tra sanzionati…
Ignorano – o fingono di ignorare- anche le cronache dei giornali.
La Turchia é in eccellenti rapporti coi paesi summenzionati e con i tre “ stan” ( Kirghizistan, Turkmenistan,Uzbechistan) e sta affacciandosi sul problema nell’ottica di “rendersi utile” e rifornire il Pakistan di equipaggiamenti militari in sostituzione di eventuali sanzioni USA.
L’Iran ha in progetto un gas-oleodotto verso la Cina ( via Pakistan e…Afganistan) e la situazione é diventata favorevole.
Il complesso militare Russo Cinese ha appena completato una manovra militare congiunta di 13.000 uomini in Cina. Tra gli obbiettivi della esercitazione, verificare la capacità dei soldati russi di utilizzare armamento cinese.
Questo significa decuplicare in poco tempo la capacità di equipaggiamento russa e la pericolosità navale della Cina.
Esistono anche altri paesi , come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti che non isoleranno mai l’Afganistan e almeno questo avrebbero dovuto capirlo durante i lunghi, mesi di negoziati a Doha.
Era cominciata come una scampagnata di quei discoli della CIA a caccia di Ben Laden in Afganistan e rischia di concludersi come il più importante indebolimento strategico della storia degli Stati Uniti contro quasi l’Asia intera.
L’Organizzazione di Shangai , costituita da tutti i paesi confinanti citati, sarà lieta di accogliere il nuovo socio. By the Way, un altro sanzionato, la Bielorussia, é membro osservatore del gruppo, mentre gli USA si sono visti respingere la richiesta di adesione….
Al confronto, lo smacco siriano é una gaffe di poco conto e il problema palestinese una grana momentanea.

Stati Uniti, NATO e Unione Europea! L’illusione di un addio, il miraggio dell’autonomia_di Giuseppe Germinario

Gli alti lai hanno raggiunto alla fine l’Olimpo; sono riusciti a smuovere la magnanimità dell’Onnipotente. Per quattro anni gli orfanelli hanno smarrito la guida; hanno dovuto sopportare smarriti le bizze dell’impostore. Hanno avuto davanti a sé l’uscio maliziosamente socchiuso verso le incertezze della libertà; non dovevano far altro che liberarsi dei guardiani arcigni, ma privi di una guida. Non hanno nemmeno avuto il coraggio di sbirciare il nuovo mondo dai pertugi. Hanno tramato invece per il ritorno del vecchio padrone aspirando nient’altro che al ripristino delle sicurezze di una strada obbligata scelta da altri. Joe Biden, il nuovo messia, li ha accontentati prontamente. Ha indicato loro la strada obbligata con piglio fermo e modi cortesi; ma la direzione indicata non è proprio la medesima percorsa per trenta anni. Biden, però, impersona più l’umanità e le debolezze delle divinità greche, che la purezza del dio cristiano; il prezzo chiesto agli alleati è stato quindi piuttosto salato e guidato da una tattica levantina.

I recenti vertici del G7 e della NATO tenutisi a giugno non possono infatti essere considerati nella ordinaria routine diplomatica.

Il G7 ha certamente assunto la funzione politica di allineare preliminarmente il gruppo di paesi determinanti per lo svolgimento degli indirizzi; nella divisione dei compiti ha assunto il compito politico-culturale di offrire nuovamente al mondo, in particolare nelle zone critiche di competizione con la Cina e la Russia, il modo di vita, i valori e la generosità occidentali. Ben più corposi i due vertici successivi della NATO e con Putin.

Mi ero ripromesso di scriverne a ridosso. Non è stato possibile, ma il tempo trascorso non è passato invano.

Tra la piaggeria e il lirismo prevalenti, non sono mancati commenti e analisi più avveduti; tra questi la constatazione che nell’assemblea NATO i diversi punti di vista, gli interessi strategici potenzialmente divergenti hanno spinto l’egemone statunitense ad una salomonica divisione dei compiti tra gli alleati eurorientali impegnati a sostenere gli USA nel fronteggiare la Russia e i fondatori originari, in particolare Italia, Francia e Germania impegnati nel loro sostegno ai propositi americani di arginare la Cina nel Pacifico con alcune varianti legate al comportamento britannico. In pratica una fotografia se non una interpretazione sin troppo letterale del contenuto dei colloqui e dei testi finali concordati.

Eppure quei documenti, i finali ed i preparatori, in particolare quelli della NATO, rivelano qualcosa di ben più complesso ed articolato.

LA NATO, QUESTA (S)CONOSCIUTA

Già soffermandosi sulla constatazione “fotografica” dei testi non è sufficiente ricondurre la dicotomia (schizofrenia?) al classico schema delle divisioni e differenze tra alleati senza considerare quindi l’acceso conflitto e le incertezze ormai, con l’uscita di Trump, tutte interne alla amministrazione americana in primo luogo, ma anche in particolare e in subordine in quella francese.

Una prima chiave di interpretazione di questa complessità la si trova in alcune frasi apparentemente anodine a partire da pag 77 del documento preparatorio dell’Assemblea NATO*: “a partire dal 2014 la NATO ha adattato con successo le proprie strutture militari e la propria postura di potenza. Continua a farlo alla luce delle nuove sfide (Depuis 2014, l’OTAN a adapté avec succès ses structures militaires et sa posture de forces. Elle continue de le faire à la lumière des nouveaux défis.)”; ancora: “tuttavia il braccio politico della NATO che permette al segretario generale e all’Organizzazione stessa di adattarsi e posizionarsi in un ambiente securitario in rapida trasformazione, deve ancora evolvere (Cependant, le bras politique de l’OTAN, qui permet au secrétaire général et à l’Organisation ellemême de s’adapter et de se positionner dans un environnement de sécurité en rapide transformation, doit encore évoluer).

La riproposizione in ambito NATO della pratica funzionalista brillantemente adottata nell’ambito della Unione Europea.

Niente di originale in un caso come nell’altro. Tutto rientra da sempre nei normali canoni dell’azione politica dei centri decisionali più avveduti capaci di occupare i posti chiave, di innescare le inerzie degli apparati e di creare una situazione di fatto propedeutica alla sanzione politica o quantomeno in grado di contrastare e rendere improbabili eventuali scelte alternative. Nella fattispecie imporre di fatto con un livello di integrazione addirittura maggiore quello che gli statunitensi non riuscirono a sancire per decisione esplicita negli anni ‘50 con la CED (Comunità Europea di Difesa).

Il filo conduttore del documento è sin troppo chiaro ed esplicito e si traduce in pochi indirizzi strategici della NATO:

  • deve affermarsi sempre più come un centro di decisione politica in quanto detentrice della forza militare;

  • deve diventare una sede privilegiata di incontro, di consultazione e di coordinamento non solo dei ministri della difesa, ma anche degli esteri e degli altri ambiti che abbiano implicazione con la difesa e la sicurezza della alleanza e dei singoli appartenenti, in particolare la ricerca scientifica, le comunicazioni, l’energia; devono essere ulteriormente rafforzati i legami e il coordinamento con le strutture della UE (Unione Europea);

  • deve decidere, operare e comunicare in maniera univoca evitando progressivamente sovrapposizioni delle altre istituzioni nazionali e comunitarie concorrenti sino a curare la stessa formazione culturale e tecnica del personale e dei collaboratori nonché dell’ambiente operativo;

  • deve agire statutariamente in ambiti operativi e spazi geopolitici più ampi e globali rispetto a quelli fondativi della fase bipolare di confronto sul fronte occidentale con la Unione Sovietica ipotizzando, anche se non ancora esplicitamente, l’allargamento ad una “NATO mondiale” e praticando l’estensione dei rapporti di collaborazione;

  • deve stabilire una linea di comando più efficace che superi su più temi l’obbligo della unanimità nelle decisioni, che attribuisca maggiori poteri al Segretario Generale, compresa la maggiore autonomia nell’utilizzo delle risorse disponibili e la verifica della effettiva esecuzione delle decisioni, che stabilisca tempi certi nelle decisioni, che attribuisca infine al Comando Generale maggiori poteri nella preparazione degli interventi in situazioni di emergenza anche in anticipo e propedeutici alle decisioni politiche.

Una chiarezza, una puntualità ed una sicumera inedite ampiamente corroborate e indotte da due situazioni:

  • la progressiva affermazione pratica e ormai sempre più adozione concettuale del modello di guerra ibrida e in subordine asimmetrica che estende compiutamente il classico confronto militare diretto con armi da fuoco ai più diversi ambiti e spazi dell’agire umano e lo “diluisce” di fatto nell’ambito del più generale confronto geopolitico; una dinamica innescata inesorabilmente dall’avvento dell’economia industriale e resa organica dalle nuove potenzialità tecnologiche e dalla capacità operativa e di influenza delle grandi potenze. Un modello che implica un salto qualitativo della visione strategica e della capacità operativa e una mole immane di risorse necessarie;

  • l’accelerazione ormai trentennale dei processi di integrazione militare, innescata dalla prima Guerra del Golfo, proseguita con l’allargamento delle adesioni all’Allenza Atlantica e non ancora compiuti. Una integrazione che ha riguardato il rapporto tra le forze territoriali e le unità mobili centrali, l’integrazione e velocizzazione delle reti di mobilità e comunicazione, l’integrazione delle reti energetiche, quella dei centri di comando e la creazione di centri operativi e logistici (17?) a direzione NATO nei diversi ambiti compreso quello tecnologico. Tutti processi che stanno svuotando di fatto la capacità e le prerogative dei singoli stati nazionali europei in materia di difesa e di influenza geopolitica.

In questo quadro vengono definiti i punti dichiarati di attacco dell’alleanza: quello in atto contro la Russia, dovuto bontà loro al carattere estremamente aggressivo sul fronte europeo pur riconoscendo capacità operative non comparabili con quelle della Unione Sovietica; quello in divenire con la Cina, paese le cui ambizioni vanno contenute ma con il quale ci sono margini di trattativa e collaborazione.

In sintesi, più che l’individuazione pur indispensabile degli avversari colpisce, a parere dello scrivente, il tentativo articolato di allargare ed approfondire il campo di azione e le prerogative “statuali” su base oligarchica di una alleanza sino ad ora statutariamente definita “militare” e basata nominalmente sulla pari dignità degli aderenti. Non a caso prendono piede proposte tali quali la costituzione di una DARPA atlantica, di una agenzia quindi in grado di sviluppare l’uso civile e militare delle applicazioni tecnologiche frutto della ricerca scientifica con tutto quello che ne consegue nei rapporti con le università e con gli apparati industriali; l’uso ventilato delle forze militari a fini di sicurezza interna nei paesi dell’alleanza in risposta alle minacce del terrorismo, ma anche di fenomeni politici emergenti.

L’esigenza di rispondere tempestivamente alle dinamiche multipolari sempre più complesse e imprevedibili sono certamente un impulso potente all’accentramento politico. Un proposito più facilmente perseguibile in una struttura chiusa come la NATO nel quale il personale è selezionato sulla base della fedeltà alla missione. Più complicato e meno dissimulabile nelle intenzioni reali e nelle contraddizioni intrinseche quando deve essere adottato coerentemente dai paesi e dagli stati nazionali europei.

Su questo ci offre lumi particolari il documento conclusivo dell’assemblea, altrettanto articolato di quello preliminare; meno compassato, decisamente più pervaso piuttosto da enfasi propagandistica ed ideologica.

A prima vista ha colpito il furore con il quale si scaglia contro il pericolo ru(o)sso, reo di revanscismo, di militarismo, di autoritarismo ai danni delle democrazie dei paesi vicini; una sfrontatezza tale da rimuovere e ribaltare la realtà della delusione della fine dello spolpamento della Russia, dell’aggressività continua perpetrata ai suoi danni, dell’impronta russofoba dell’adesione alla NATO e alla UE dei paesi dell’Europa Orientale, dei colpi di mano perpetrati in Ucraina ed altri paesi; in particolare della rimozione vergognosa della questione del trattamento riservato alle popolazioni russe e russofone rimaste intrappolate nei nuovi stati frutto dell’implosione dell’URSS, tanto più grave in quanto perpetrata dai sedicenti paladini dei diritti umani.

Del tutto ignorato al contrario l’insolito lirismo, un vero e proprio panegirico di numerose pagine, riservato al decisivo contributo offerto dalla UE e dalla sua Commissione al processo di integrazione intensiva e allargamento della NATO. Un cappello addirittura imbarazzante nella sua evidenza tale da mettere in dubbio impietosamente l’immagine di relativa autonomia politica costruita intorno alla costruzione europea. Un florilegio che manca il punto qualificante e più paradossale di questo altruismo comunitario: quello dell’apprezzamento di un documento della Commissione Europea sulla politica estera e di difesa autonoma europea che prevede la costruzione di una forza militare per le missioni estere, in realtà di supporto e che ignora del tutto la creazione di una forza militare autonoma posta a difesa dei confini territoriali europei.

“Italia e il Mondo”nel proprio piccolo, grazie in particolare agli articoli di Luigi Longo, ha cercato di smontare nel merito questa immagine sottolineando in particolare la coincidenza dei progetti infrastrutturali europei con gli interessi strategici e di riorganizzazione della NATO; ci stanno ora pensando in grande gli stessi artefici principali della costruzione europea a demolirla assieme al giocattolo stesso. Un gioco rischioso che intanto di fatto mette in imbarazzo e erode ogni sponda a quella componente europeista, di impronta radicale e progressista, che fonda la propria fedeltà al progetto sul carattere endogeno della formazione e sul potenziale offerto di autonomia politica dell’istituzione rispetto a tutte le grandi potenze, compresi gli stessi Stati Uniti.

LO STATO dell’ARTE

Un gioco rischioso appunto, che rischia di creare problemi ben più gravi di quanti ne possa risolvere, ma non per questo meno sagace ed articolato.

Gli Stati Uniti, i loro centri decisori in particolare, hanno diversi problemi strategici di fondo da risolvere:

  • la individuazione e la scelta del nemico principale da affrontare con una strategia coerente. Questo nemico sta diventando oggettivamente la Cina in uno scenario nel quale sta emergendo e riemergendo l’intraprendenza di numerosi attori regionali ed alcuni “quasi globali”, come la Russia; in una situazione però nella quale gli Stati Uniti hanno grosse collusioni e interdipendenze nella Cina stessa e della cui ascesa a potenza sono di fatto uno dei principali responsabili assieme alla geniale abilità della classe dirigente mandarina;

  • il baricentro politico e militare statunitense è orientato ancora prevalentemente in Europa, area da cui trae la maggiore forza politico-economica e la maggiore capacità pervasiva; lo rimarrà per altro ancora per molto tempo. La resilienza ormai settantennale di questo enorme coagulo di potere ha consentito la formazione di potenti ed imprescindibili centri decisionali e di apparati di potere in grado di condizionare e decidere degli orientamenti e dello scontro politico interno agli Stati Uniti, come si è visto apertamente durante i quattro anni di presidenza Trump; centri difficili da scalzare, ridimensionare e riorientare a seconda delle necessità e delle condizioni;

  • gli Stati Uniti dispongono, in termini relativi, non assoluti, di una minore quantità di risorse materiali e umane rispetto ai numerosi fronti che si stanno aprendo e al peso degli avversari in lizza ferma restando la ancora sostanziale superiorità tecnologica, economica ed operativa. Sono ancor meno in grado di sostenere più di un confronto militare diretto e di gestire soprattutto l’esito dello scontro;

  • gli Stati Uniti, sfortunatamente per i loro centri decisori ancora prevalenti, fortunatamente per il resto del mondo, stanno vivendo una situazione interna nella quale gran parte, forse la maggioranza della popolazione è nettamente contraria ad ulteriori impegni militari diretti sul terreno e dotata di una superiore consapevolezza, rispetto agli europei, delle implicazioni interne della collocazione e delle scelte geopolitiche del paese. Questo grazie soprattutto alla evidenza e alla violenza dello scontro politico in atto, alla pesantezza in termini di squilibri delle conseguenze delle dinamiche concrete della globalizzazione; alla formazione infine di una sorta di platea magmatica particolarmente inquieta e manipolabile sempre più legata ad una visione assistenziale dei diritti.

In tale contesto, in attesa che lo scontro politico interno, nient’affatto sopito, si delinei e risolva più chiaramente, nella sua sostanza quindi sciolga il dilemma tra una delimitazione della propria sfera d’influenza accettando la condizione multipolare oppure la conferma della propria ambizione egemonica mondiale, ai centri decisori americani non resta che rifugiarsi sempre più nel modello egemonico britannico del secolo XIX teso a giocare sulle rivalità e a creare un equilibrio nel quale fungere da arbitro-giocatore senza eccessive esposizioni militaresche.

Da questo punto di vista il gioco europeo assume caratteristiche particolarmente complesse e sofisticate; di questo vissuto si alimenta anche la Alleanza Atlantica.

ESEMPI DI PERVICACIA

Le dinamiche in corso, compreso il manifesto programmatico appena illustrato, accrediterebbero la parvenza di autonomia istituzionale e di esercizio di sovranità della NATO; un accredito sempre in voga tra i fautori e gli esorcisti del governo mondiale.

Niente di più ingannevole.

La NATO rimane una alleanza militare con precise gerarchie interne attraverso le quali la potenza egemone americana esercita uno stretto controllo sugli alleati; le uniche libertà che possono esercitare entro certi limiti i paesi subalterni sono quelle di astenersi dalle azioni, ma mai e poi mai di agire in contrasto.

Si tratta però di un esercizio molto sofisticato, dai meccanismi assunti ormai quasi naturalmente e dove l’uso dell’imposizione esplicita pende sulla testa, ma solo come estrema ratio; un esercizio che agisce soprattutto per vie interne o sfruttando i dualismi presenti in un continente così affollato e variegato o ancora attraverso il sistema di relazioni bilaterali dirette.

Già di per sé sarebbe sufficiente osservare la localizzazione della sede di comando militare (Norfolk-USA) e il centro di elaborazione strategica della NATO e a chi deve rispondere direttamente il comandante militare.

Per chi non dovesse accontentarsi vi sono numerosi esempi di tecniche avvolgenti a conforto:

  • si parla di creare un complesso industriale-militare europeo a sostegno delle forze militari europee con il patrocinio della UE ed un primo significativo sforzo di 17 miliardi di euro? Arriva la batteria di paesi filogermanici che riescono a ridurre l’investimento a 7 miliardi e la cancelliera Merkel che esorta ad essere “inclusivi” e ad inserire le industrie americane nel pool;

  • alcuni paesi europei si avventurano a creare con successo un sistema di posizionamento satellitare simile e più efficiente del GPS (Galileo)? Il bon ton non consente sgarbi e dinieghi di principio; il prezzo dell’accoglienza è però il divieto di utilizzo del sistema a fini militari;

  • qualcosa di analogo accade con AIRBUS, nato con la contrarietà della Commissione Europea, sviluppatosi per altro quasi esclusivamente nel settore civile, incappato nello spionaggio industriale americano grazie alla posizione equivoca del proprio ex-amministratore delegato tedesco, successivamente nelle grinfie delle sanzioni economiche statunitensi per quegli stessi finanziamenti pubblici dei quali fruiscono le imprese aeronautiche americane dal proprio governo;

  • si tratta di sviluppare tecnologia “atlantica”, di creare addirittura una DARPA ( agenzia per le applicazioni miste civili-militari delle tecnologie) della NATO? L’Alleanza decide di creare il centro più importante a ridosso di quello francese, a controllarne ed assorbirne le attività. Tutto questo dopo che il governo francese, lo stesso Macron, ha consentito la cessione di ALSTOM energia, una azienda strategica nel settore nucleare civile e militare, alla General Electric americana e quest’ultima, a pochi mesi dall’acquisizione, ha annunciato la chiusura del suo centro ricerche nei pressi di Parigi con il suo corredo di novecento dipendenti altamente qualificati;

  • la NATO decide di creare qualche decina di centri operativi e logistici sparsi per l’Europa? Guarda caso chi riesce a far man bassa degli incarichi di direzione, in particolare i più strategici, è la Germania con il corollario dei paesi più germano-americanofili; il paese più debole militarmente e più occupato e infiltrato, in termini assoluti e relativi alla potenza economica, soprattutto nei settori della sicurezza, della difesa, dell’intelligence e della comunicazione;

  • Francia e Germania decidono a più riprese di creare una forza militare comune, una prima volta a ridosso dell’intervento nei Balcani negli anni ‘90? Puntualmente queste iniziative non riescono a decollare, mentre funzionano le collaborazioni tedesche con olandesi, cechi ed altri;

  • Francia e Germania decidono di incontrare Putin a ridosso del G7, vista l’analoga iniziativa di Biden? Puntualmente arriva la retromarcia per l’opposizione vivace di paesi dell’Europa Orientale russofobi, debitamente incoraggiati e sostenuti da inglesi, americani e tedeschi.

L’elenco potrebbe proseguire. Le costanti sono il ricorrente cedimento pubblico di tutti e il tornaconto politico ed economico della propria subalternità che riesce ad ottenere la classe dirigente tedesca, compresa qualche fregatura di successo come le acquisizioni in America della Bayer tedesca. È accaduto all’inizio del periodo esaminato con la guerra nei Balcani; è riconfermato appena adesso con il clamoroso via libera americano al Northstream II, dopo la beffa al diniego del Southstream all’Italia di cinque anni fa. Un chiaro messaggio a Putin di garanzia almeno temporanea di statu quo e la concessione di un ulteriore strumento di controllo tedesco, per conto terzi, della platea europea utilizzando lo strumento strategico della rete energetica.

RIMOSTRANZE e DETERMINAZIONE

Non si tratta di proseguire nelle rimostranze più o meno violente nei confronti degli americani. Le rimostranze sono comunque un segno di subalternità e di debolezza. Le classi dirigenti e i centri decisori statunitensi fanno semplicemente il loro mestiere; riescono ancora a sfruttare egregiamente in Europa il successo politico-militare ottenuto nella seconda guerra mondiale e con l’implosione della Unione Sovietica; sono stati capaci di proporsi positivamente, offrendo in cambio di subordinazione politica, un modello economico e culturale altrettanto subordinato ma di successo e proficuo anche per i subordinati pur con evidenti segni di crisi e decadenza. Modelli in larga misura adottati da quegli stessi paesi che si stanno ergendo ad alternativa geopolitica.

Una proposta positiva, proattiva che non si è ancora esaurita.

Gli indirizzi di movimento geopolitico non sono solo una presa d’atto e un utilizzo, a mo’ di constatazione, dei dualismi geopolitici presenti in Europa con i paesi dell’Est impegnati in prima linea contro la Russia e la triade italo-franco-tedesca distolta dalle tentazioni di pacificazione con i russi e indotta a limitare le potenziali relazioni strategiche con la Cina, trascinata com’è, con la complicità britannica, nella partecipazione militare marittima e in futuro aerea nel Pacifico. La Francia e la Gran Bretagna, per inciso, hanno ancora corposi interessi in quell’area.

Si tratta di qualcosa di più propositivo e complesso. Si tratta di assecondare e vellicare, in condizioni di aperta dipendenza politico-militare, le ambizioni politiche e geopolitiche della triade, soprattutto di Francia e Germania, nelle loro aree tradizionali di influenza, il Vicino Oriente, il Mediterraneo, l’Africa Sahariana e Sub-sahariana, in modo tale da evidenziare il loro contrasto di interessi con la Cina e la Russia in quelle aree. L’impressione è che sia ancora la Germania il fulcro sul quale gli statunitensi agiranno principalmente per mantenere le redini del gioco. Sta di fatto che gli Stati Uniti devono risolvere un problema di fondo ancora più complicato. La NATO nel Pacifico per ovvi motivi logistici e di geografia potrà svolgere una funzione pur importante di supporto; lo zoccolo duro delle alleanze e il teatro delle operazioni dovrà essere costruito soprattutto con gli stati e i paesi posti sul Pacifico con dinamiche affatto diverse da quelle adottate in un continente simile culturalmente e particolarmente frammentato politicamente. Non sarà semplice condurre rigorosamente al proprio gioco giganti come l’India e i paesi del Sud-est asiatico i quali si sono guadagnati recentemente l’indipendenza a scapito degli occidentali e tessono rapporti importanti con il vicino rivale.

Il nodo da sciogliere e l’ostacolo da affrontare sono le classi dirigenti, i centri decisionali e i ceti politici unionisti e dei singoli paesi europei; soprattutto la doppiezza di quelli tedeschi. Non tanto quelli politico-economici particolarmente adatti a sfruttare gli spazi ed interstizi offerti dalle congiunture politiche e ad adagiarvisi; non ha caso in questi i tedeschi non conoscono rivali. Quanto quelli presenti negli altri ambiti, particolarmente in quelli prettamente politico-istituzionali. Coaguli abbarbicati inesorabilmente a questo sistema di relazioni dal quale traggono forza e ragion d’essere.

Basterebbe ricordare la determinazione e il sollievo con i quali hanno contribuito a chiudere la parentesi di Trump, ovverossia della finestra e dell’occasione più eclatante di potersi ritagliare la propria autonomia.

L’evolversi delle dinamiche interne alla NATO cercheranno di accrescere l’incisività della sua azione, ma porteranno in seno alla alleanza militare competenze e funzioni in parte esorbitanti la missione propria dell’organizzazione e con la corrispondenza in senso sempre più univoco delle sue relazioni con gli stati nazionali e soprattutto con le strutture della UE la priveranno sempre più di uno scudo ed una maschera sino ad ora particolarmente efficaci ma in via di logoramento.

Cogliere queste dinamiche e approfittare degli spazi che inevitabilmente si apriranno in forme inedite comporta l’evaporazione di due illusioni ben radicate sia nelle componenti più servili per giustificare le proprie implorazioni che in quelle “sovraniste” più o meno presenti nei paesi europei, ma particolarmente strutturate in Francia in settori chiave, che confidano nella facilità di strade aperte generosamente dai liberatori:

  • che saranno gli statunitensi ad allontanarsi di buon grado dall’Europa e dagli europei

  • che gli sforzi di autonomia ed indipendenza politica e geopolitica comporta una sagacia e degli sforzi economici e socio-politici non particolarmente impegnativi e difficilmente perseguibili senza una particolare coesione politica.

In questo contesto è comunque possibile una azione politica interna a queste organizzazioni; deve servire però ad inibire ulteriori processi di subordinazione e soprattutto di integrazione tali da perpetuare a costi inferiori il predominio e rendere sempre più difficoltoso l’eventuale districarsi dal groviglio, piuttosto che puntare su velleitarie riforme ormai storicamente rivelatesi un fattore di paralisi o di mistificazione opportunista. Su queste basi sarà possibile determinare su basi più paritarie e di confronto i rapporti con la Cina e la Russia, ma anche con gli stessi Stati Uniti.

Contribuirebbe certamente a far uscire gli Stati Uniti da una impasse e una incertezza particolarmente rischiose per il mondo e favorevole ad incontrollati colpi di mano di centri decisori fuori controllo. Di seguito offriremo la traduzione di un articolo di “Foreign Affairs” particolarmente illuminante in proposito.

https://www.consilium.europa.eu/media/50361/carbis-bay-g7-summit-communique.pdf

https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2020/12/pdf/201201-Reflection-Group-Final-Report-Fre.pdf

file:///C:/Users/admin/Downloads/OF0116825FRN.fr.pdf

https://www.nato.int/cps/en/natohq/news_185000.htm

https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/2021-08-04/right-way-split-china-and-russia

https://www.startmag.it/mondo/cina-russia-cyber-e-non-solo-ecco-cosa-scrive-la-nato/

Il modo giusto per dividere Cina e Russia Washington dovrebbe aiutare Mosca a lasciare un cattivo matrimonio Di Charles A. Kupchan

Questo articolo, del quale avevamo già annunciato la traduzione http://italiaeilmondo.com/2021/08/12/stati-uniti-nato-e-unione-europea-lillusione-di-un-addio-il-miraggio-dellautonomia_di-giuseppe-germinario/ rappresenta la perfetta fotografia delle contraddizioni e della confusione imperante nei centri decisori statunitensi. Della serie: “conosciamo i problemi dei nostri avversari; contiamo sul fatto che saranno dirimenti nel creare fratture insanabili; agiremo per questo; non abbiamo nulla da offrire a uno dei due contendenti perché ciò avvenga”. Può darsi che i due ci caschino; mi pare però che prevalga in entrambi, giustificatamente, la diffidenza riguardo l’affidabilità del presunto portatore di carte. A meno che la classe dirigente statunitense non abbia la certezza di un’ulteriore implosione della Russia. A quel punto non resterebbe che spartirsi il bottino con una Cina strettamente contenuta sul Pacifico e con una valvola di sfogo a nord-ovest. Non pare una ipotesi fondata e nemmeno auspicabile dagli stessi avversari visto l’arsenale disponibile e la dimensione del “che fare” dopo. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Mentre Washington cerca una strategia efficace per gestire l’ascesa della Cina, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ragione a fare affidamento su uno dei vantaggi più evidenti degli Stati Uniti: la sua rete globale di alleanze. Ma anche se Biden costruisce una coalizione per domare Pechino, deve anche lavorare dall’altra parte dell’equazione indebolendo le partnership internazionali della Cina. Non può fermare l’ascesa della Cina, ma può limitarne l’influenza cercando di allontanare dalla Cina il suo principale collaboratore: la Russia.

La partnership sino-russa accresce significativamente la sfida che l’ascesa della Cina pone agli Stati Uniti. Il lavoro di squadra tra Pechino e Mosca amplifica l’ambizione e la portata della Cina in molte regioni del mondo, nella battaglia per il controllo delle istituzioni globali e nella competizione mondiale tra democrazia e alternative illiberali. Appoggiarsi al crescente potere della Cina consente alla Russia di superare il suo peso sulla scena globale e dà energia alla campagna di Mosca per sovvertire il governo democratico in Europa e negli Stati Uniti.

Il legame tra Cina e Russia sembra essere forte, ma ci sono crepe sotto la superficie. È una relazione asimmetrica, che associa una Cina ascendente, fiduciosa e egocentrica con una Russia stagnante e insicura. Questa asimmetria offre a Biden un’apertura: per mettere distanza tra i due paesi, la sua amministrazione dovrebbe sfruttare i dubbi della Russia sul suo status di partner minore della Cina. Aiutando la Russia a correggere le vulnerabilità che le sue relazioni con la Cina hanno messo in netto rilievo, in effetti, aiutando la Russia ad aiutare se stessa, Biden può incoraggiare Mosca ad allontanarsi da Pechino. Separare la Russia dalla Cina metterebbe fine alle ambizioni di entrambi i paesi,

UNA PARTNERSHIP INEGUAGLIATA

Cina e Russia possono essere in un matrimonio di convenienza, ma è molto efficace. La Cina generalmente va da sola sulla scena internazionale, preferendo rapporti transazionali e di libera concorrenza con altri paesi. Eppure fa un’eccezione per la Russia. Oggi Pechino e Mosca hanno stretto un rapporto che è “simile ad un’alleanza”, per usare il termine del presidente russo Vladimir Putin. Comprende l’approfondimento dei legami economici, compresi gli sforzi per ridurre il dominio del dollaro USA nell’economia globale; l’uso congiunto della tecnologia digitale per controllare e sorvegliare i cittadini cinesi e russi e seminare il dissenso all’interno delle democrazie mondiali; e la cooperazione in materia di difesa, come esercitazioni militari congiunte e il trasferimento di sistemi e tecnologie d’arma avanzati dalla Russia alla Cina.

L’inclinazione della Russia verso la Cina ha accompagnato il suo allontanamento dall’Occidente, che si è approfondito con l’estensione della frontiera orientale della NATO al confine occidentale della Russia. Il contatto di Mosca con Pechino si è intensificato dopo che l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla Russia a seguito dell’annessione della Crimea del 2014 e dell’intervento militare nell’Ucraina orientale. Pechino ha ricambiato, appoggiandosi a Mosca per amplificare l’influenza della Cina nel mezzo della crescente rivalità economica e strategica con gli Stati Uniti. Da quando Xi Jinping è diventato presidente della Cina nel 2013, lui e Putin si sono incontrati o si sono parlati al telefono circa 40 volte.

La relazione sino-russa è fondata su una visione realistica del mondo, ed entrambi i paesi ne traggono benefici reciproci e individuali. Il lavoro di squadra diplomatico porta avanti il ​​loro obiettivo unificante di resistere a ciò che vedono come l’invadente ambizione geopolitica e ideologica dell’Occidente. La partnership consente alla Russia di concentrare la sua attenzione strategica sulla sua frontiera occidentale e alla Cina di concentrarsi sul suo fianco marittimo. La Russia ottiene notevoli entrate dalla vendita di energia e armi alla Cina, e la Cina alimenta l’espansione della sua economia e aumenta la sua capacità militare con l’aiuto delle armi russe.

Il rapporto tra Cina e Russia ha cominciato a somigliare allo stretto accoppiamento cinese-sovietico degli anni ’50.

Ma i due paesi non sono partner naturali; storicamente, sono stati concorrenti, e le fonti della loro rivalità di lunga data non sono certo scomparse per sempre. Il Cremlino è estremamente sensibile alle realtà del potere e sa benissimo che una Russia fiacca di circa 150 milioni di persone non può competere con una Cina dinamica di quasi un miliardo e mezzo di persone. L’economia cinese è circa dieci volte più grande di quella russa e la Cina è in una lega completamente diversa quando si tratta di innovazione e tecnologia. La Belt and Road Initiative (BRI) della Cina ha fatto breccia nella tradizionale sfera di influenza della Russia in Asia centrale, e il Cremlino è giustamente preoccupato che la Cina abbia anche progetti sulla regione artica.

Che la Russia sia ancora attaccata alla Cina nonostante tali asimmetrie è un potente segno della disaffezione di Mosca dall’Occidente. Eppure lo squilibrio crescerà solo nel tempo e diventerà una fonte di disagio sempre più grande per il Cremlino. Washington ha bisogno di capitalizzare su quel disagio e convincere la Russia che sarebbe meglio geopoliticamente ed economicamente se si proteggesse dalla Cina e si inclinasse verso l’Occidente.

Una mossa del genere non sarà facile da realizzare. Putin ha rafforzato a lungo la sua presa in casa giocando al nazionalismo russo e tenendo testa all’Occidente. Lui e i suoi apparatchik potrebbero dimostrarsi troppo risoluti nei loro modi e non disposti a sostenere una politica estera che non si basi su tale atteggiamento. Di conseguenza, l’amministrazione Biden deve avvicinarsi a Mosca con gli occhi ben aperti; mentre cerca di attirare la Russia verso ovest, non può acconsentire al comportamento aggressivo del Cremlino o permettere a Putin di sfruttare la mano tesa di Washington.

La sfida di Biden sarà più complicata di quella affrontata dal presidente degli Stati Uniti Richard Nixon negli anni ’70, quando si avvicinò alla Cina e riuscì a turbare le relazioni sino-sovietiche e ad indebolire il blocco comunista. Al momento della visita di Nixon in Cina nel 1972, Pechino e Mosca si erano già separate. Nixon ha avuto vita facile; il suo compito era costruire, non iniziare, una frattura. Biden affronta l’ostacolo più alto di rompere una partnership intatta, motivo per cui la sua migliore scommessa è alimentare le tensioni latenti nella relazione cinese-russa.

LA STRANA COPPIA

La Cina e la Russia hanno a lungo gareggiato per il territorio e lo status. Il confine terrestre tra i due paesi attualmente corre per più di miglia 2,600 e le loro controversie sul territorio, l’influenza nelle regioni di confine e il commercio risalgono a secoli fa. Durante i secoli XVII e XVIII, la Cina ha avuto il sopravvento e generalmente ha prevalso. La situazione è cambiata nel diciannovesimo e ventesimo secolo, con la Russia e altre potenze europee che ricorrono a un mix di predazione militare e diplomazia coercitiva per strappare il controllo del territorio alla Cina e imporre condizioni di sfruttamento dello scambio.

L’avvento al potere del Partito Comunista Cinese (PCC) nel 1949 ha aperto la strada a un periodo storicamente senza precedenti di cooperazione strategica tra Cina e Unione Sovietica. Basandosi sul loro comune impegno per il comunismo, i due paesi conclusero un’alleanza formale nel 1950. Migliaia di scienziati e ingegneri sovietici si trasferirono in Cina, condividendo tecnologia industriale e militare e persino aiutando i cinesi a sviluppare un programma di armi nucleari. Durante la guerra di Corea, i sovietici fornirono alla Cina rifornimenti, consiglieri militari e copertura aerea. Il commercio bilaterale è cresciuto rapidamente, rappresentando il 50 percento del commercio estero della Cina entro la fine del decennio. Il leader cinese Mao Zedong ha affermato che i due Paesi avevano “un rapporto stretto e fraterno.

Sembra che il compagno di Xi non giochi bene in casa per Putin.

Ma l’alleanza si è presto erosa con la stessa rapidità con cui si era formata. Mao e Krusciov iniziarono a separarsi nel 1958. Il loro litigio derivava in parte da differenze ideologiche. Mao cercò di mobilitare i contadini, alimentando il fervore rivoluzionario e lo sconvolgimento sociale in patria e all’estero. Krusciov, al contrario, sostenne la moderazione ideologica, il socialismo industrializzato e la stabilità politica in patria e all’estero. I due paesi hanno iniziato a competere per la leadership del blocco comunista, con Mao che ha osservato che Krusciov “teme che i partiti comunisti . . . del mondo non crederà in loro, ma in noi».

Tali differenze sono state amplificate dal disagio della Cina per le asimmetrie di potere che hanno decisamente favorito l’Unione Sovietica. In un discorso del 1957, Mao accusò l’Unione Sovietica di “sciovinismo delle grandi potenze”. L’anno seguente, si lamentò con l’ambasciatore sovietico a Pechino che “pensi di essere in grado di controllarci”. Secondo Mao, i russi consideravano la Cina “una nazione arretrata”. Krusciov, da parte sua, incolpò Mao per la scissione. Dopo che le truppe cinesi e indiane si scambiarono il fuoco attraverso il confine conteso nel 1959, Krusciov commentò che Pechino “desiderava la guerra come un gallo da combattimento”. A una riunione dei capi di partito del blocco comunista, ha deriso Mao definendolo “un ultra-sinistra, un ultra-dogmatista”.

Questa rottura tra i due leader ha portato al disfacimento della collaborazione sino-sovietica. Nel 1960, i sovietici ritirarono i loro esperti militari dalla Cina e interruppero la cooperazione strategica. Nei due anni successivi, il commercio bilaterale è crollato di circa il 40%. Il confine è stato remilitarizzato e i combattimenti scoppiati nel 1969 hanno quasi innescato una guerra su vasta scala. All’inizio degli anni ’70, Nixon ha capitalizzato e ha esacerbato la spaccatura raggiungendo la Cina, un processo che è culminato nella normalizzazione delle relazioni tra Stati Uniti e Cina nel 1979. Solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica le relazioni tra Mosca e Pechino si riprenderebbe.

CERCANDO DI FARE BELLO

Dopo la fine della Guerra Fredda, Cina e Russia hanno cominciato a sistemare le cose. Nel corso degli anni ’90, i due paesi hanno risolto una serie di controversie sui confini rimanenti e nel 2001 hanno firmato il Trattato di buon vicinato e cooperazione amichevole. Hanno gradualmente approfondito la cooperazione militare e i legami commerciali, con il primo oleodotto dalla Russia alla Cina completato nel 2010. Pechino e Mosca hanno anche iniziato ad allineare le loro posizioni presso le Nazioni Unite e hanno collaborato a iniziative volte a contrastare l’influenza occidentale, come la creazione dello Shanghai Organizzazione per la Cooperazione nel 2001 e il cosiddetto raggruppamento economico BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) nel 2009.

Questi passi incrementali verso la cooperazione bilaterale si sono approfonditi e accelerati sotto Xi e Putin, alimentati dalla rottura di Mosca con l’Occidente a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e della crescente rivalitàtra Stati Uniti e Cina. Negli ultimi anni, il rapporto tra Cina e Russia ha iniziato a somigliare allo stretto accoppiamento cinese-sovietico degli anni ’50. Basandosi sulla cooperazione militare iniziata negli anni ’90, la Russia ha aiutato la Cina ad affrontare le sue principali priorità di difesa fornendo caccia a reazione, sistemi di difesa aerea all’avanguardia, missili antinave e sottomarini. Negli ultimi anni circa il 70% delle importazioni di armi cinesi è arrivato dalla Russia. La vendita di petrolio e gas alla Cina sostiene l’economia russa e riduce la dipendenza della Cina da rotte di approvvigionamento marittimo più vulnerabili. La Russia ora rivaleggia con l’Arabia Saudita come principale fornitore di petrolio della Cina e la Cina ha sostituito la Germania come principale partner commerciale della Russia. Sotto Xi e Putin, Cina e Russia hanno unito le forze per contrastare le norme liberali negli organismi internazionali e diffondere un marchio di governance basato sul governo autocratico e sul controllo statale delle piattaforme di informazione. In molte parti del mondo, le campagne di disinformazione e le operazioni di intelligence russe si stanno combinando con la leva coercitiva offerta dagli investimenti cinesi per sostenere i regimi illiberali.

Questa cooperazione su più dimensioni è impressionante e consequenziale. Ma poggia su una base fragile e manca di un fondamento di fiducia reciproca, come ha fatto il partenariato sino-sovietico all’inizio della Guerra Fredda. Negli anni ’50, gli stretti legami tra la Cina e l’Unione Sovietica erano altamente personalizzati, rendendoli vulnerabili ai capricci del rapporto tra Mao e Krusciov. Oggi, la cooperazione sino-russa dipende fortemente dalla relazione imprevedibile tra due individui, Xi e Putin. Durante il primo decennio della Guerra Fredda, Mosca ha cercato stabilità in patria e all’estero, mentre Pechino ha favorito la rivoluzione continua. Oggi Pechino punta sulla stabilità interna e internazionale per accelerare la sua ascesa, mentre Mosca mostra i muscoli oltre i suoi confini per favorire il disordine. Durante gli anni Cinquanta, Il dominio di Mosca sulla partnership ha alimentato il risentimento a Pechino. Oggi la Cina ha il sopravvento e le forti asimmetrie di potere assalgono la Russia.

Il divario di potere è particolarmente difficile da ingoiare per il Cremlino; sembra che il compagno di Xi non giochi bene in casa per Putin, il cui marchio politico si basa sul suo tentativo di riportare la Russia allo status di grande potenza. Ma la disparità tra i due paesi è lampante e crescente. Il commercio con la Cina rappresenta oltre il 15% di tutto il commercio estero della Russia, mentre il commercio con la Russia rappresenta circa l’1% del commercio estero della Cina. E questo squilibrio sta aumentando con l’avanzare del settore high-tech cinese. Nell’Estremo Oriente della Russia, circa sei milioni di russi vivono oltre il confine da circa 110 milioni di cinesi nelle tre province della Manciuria, e la regione sta diventando sempre più dipendente da beni, servizi e manodopera cinesi. Dmitri Trenin, un importante analista russo,

La Russia ha aiutato e favorito la modernizzazione militare della Cina, forse a proprie spese.

È passato molto tempo da quando i due paesi hanno litigato apertamente per il territorio e l’influenza nelle regioni di confine. Ma il nazionalismo e l’etnocentrismo sono profondi in entrambe le culture politiche e potrebbero riaccendere dispute territoriali di vecchia data. Il South China Morning Post ha recentemente pubblicato un commento sostenendo che “il corteggiamento di Mosca da parte di Xi non ha senso perché ignora l’animosità che ha definito le relazioni sino-russe dal . . . XVII secolo”. E il sentimento anti-cinese in Russia continua a prendere piede, alimentato, come altrove, dalle origini cinesi del COVID-19. Ma tali pregiudizi sono antecedenti alla pandemia, sostenuti in parte dagli stessi pregiudizi razziali di cui Mao si lamentò circa sei decenni fa.

La crescente dipendenza economica della Russia dalla Cina la rende sempre più esposta alla leva coercitiva di Pechino e approfondisce la dipendenza della Russia dall’esportazione di combustibili fossili, la cui vendita rappresenta oltre i due terzi delle entrate delle esportazioni russe e un terzo del bilancio federale. Questo difficilmente rappresenta una buona scommessa sul futuro mentre il mondo si rivolge a fonti di energia rinnovabili. La BRI cinese sta diffondendo investimenti e infrastrutture in tutta l’Eurasia, ma l’iniziativa aggira principalmente la Russia, fornendole pochi vantaggi. Negli ultimi anni sono stati aperti solo pochi nuovi valichi di frontiera e gli investimenti cinesi in Russia sono stati irrisori.

I russi prevedono di collegare la propria Unione economica eurasiatica alla BRI, ma i due sistemi competono più che complementari. Nel 2017, l’EAEU ha proposto alla Cina 40 progetti di trasporto e Pechino li ha rifiutati tutti. Il ministro degli Esteri russo non si è presentato a una riunione ad alto livello sulla BRI lo scorso anno, indicando, secondo Ankur Shah, un analista che si concentra sulle relazioni russo-cinese, che Mosca “non si sente più obbligata a inchinarsi davanti alla cintura di Pechino e Strada.” La Cina ha di fatto sostituito la Russia come potenza economica dominante in Asia centrale e l’interesse di Pechino a sfruttare lo sviluppo economico e nuove rotte marittime nell’estremo nord, quella che la Cina chiama “la via della seta artica”, pone una chiara sfida alla strategia della Russia nel regione. I piani della Cina per l’Artico sono apparentemente complementari a quelli russi,

Nel frattempo, il rapporto di difesa tra Cina e Russia ha perso parte del suo slancio precedente. L’esercito cinese ha beneficiato dei trasferimenti di armi e tecnologie russe e Mosca ha accolto con favore le entrate e la cooperazione militare risultanti. Tuttavia, i progressi nell’industria della difesa cinese, resi possibili in parte dal furto della tecnologia bellica russa da parte delle aziende cinesi, stanno rendendo la Cina meno dipendente dalle importazioni russe. Anche l’acquisizione da parte della Cina di missili a raggio intermedio (apparentemente destinati a contrastare la presenza avanzata degli Stati Uniti) rappresenta un’ipotetica minaccia per il territorio russo. E Mosca sta senza dubbio monitorando da vicino l’arsenale in espansione della Cina di missili intercontinentali e la costruzione di nuovi silos di lancio nella Cina occidentale. La Russia ha aiutato e favorito la modernizzazione militare della Cina, forse a proprie spese.

AIUTA LA RUSSIA AIUTA SE STESSA

Se la Russia deve essere attirata verso ovest, non risulterà dalle aperture o dall’altruismo di Washington, ma dalla fredda rivalutazione del Cremlino sul modo migliore per perseguire il proprio interesse personale a lungo termine. Un’offerta di Washington per ridurre le tensioni con l’Occidente non avrà successo da sola; dopotutto, Putin fa affidamento su tali tensioni per legittimare la sua ferrea presa politica. Invece, la sfida che deve affrontare Washington è quella di cambiare il più ampio calcolo strategico del Cremlino dimostrando che una maggiore cooperazione con l’Occidente può aiutare la Russia a correggere le crescenti vulnerabilità derivanti dalla sua stretta collaborazione con la Cina.

Il primo passo di Washington dovrebbe essere quello di abbandonare la definizione della strategia statunitense “democrazia contro autocrazia”. Gli Stati Uniti e i suoi partner ideologici, ovviamente, devono assicurarsi di poter offrire ai propri cittadini e superare le alternative illiberali. Ma definire la competizione in termini apertamente ideologici serve solo a spingere la Russia e la Cina più vicine. Invece, l’amministrazione Biden dovrebbe avere una discussione sincera con Mosca sulle aree in cui gli interessi nazionali a lungo termine degli Stati Uniti e quelli della Russia si sovrappongono, anche quando si tratta della Cina.A dire il vero, Russia e Stati Uniti rimangono in disaccordo su molti fronti. Ma piuttosto che accontentarsi di un continuo allontanamento, Washington dovrebbe cercare di trovare un terreno comune con Mosca su una vasta gamma di questioni, tra cui la stabilità strategica, la sicurezza informatica e il cambiamento climatico. Questo dialogo, anche in assenza di rapidi progressi, segnalerebbe a Mosca che ha opzioni diverse dall’allineamento con la Cina.

L’amministrazione Biden dovrebbe spingere i suoi alleati democratici ad avere conversazioni simili con la Russia; anche loro possono sondare aree di reciproco interesse ed evidenziare come la crescente forza della Cina vada a scapito dell’influenza e della sicurezza della Russia. Dati i legami di lunga data dell’India con la Russia e la sua visione scettica delle intenzioni cinesi, Nuova Delhi potrebbe essere particolarmente abile nel riportare a Mosca i meriti del mantenimento dell’autonomia strategica e i potenziali pericoli di avere un rapporto troppo stretto con Pechino. Per incoraggiare l’India ad aiutare ad allontanare la Russia dalla Cina, Washington dovrebbe rinunciare alle sanzioni attualmente pendenti contro l’India per il suo acquisto del sistema di difesa aerea S-400 della Russia.

Gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero anche contribuire a ridurre la crescente dipendenza economica della Russia dalla Cina. Sebbene la Cina sia ora il principale partner commerciale della Russia, il commercio della Russia con l’UE è molto più ampio del suo commercio con la Cina, rappresentando quasi il 40% del commercio estero della Russia. La decisione di Biden di dare il via libera al controverso gasdotto Nord Stream 2, che porterà il gas russo in Germania, è stato un saggio investimento nell’incoraggiare legami commerciali più profondi tra la Russia e l’Europa. E sebbene le sanzioni occidentali contro la Russia fossero una risposta necessaria al comportamento aggressivo di Mosca, hanno avuto l’effetto di spingere ulteriormente la Russia nell’abbraccio economico della Cina. Di conseguenza,

Il primo passo di Washington dovrebbe essere quello di abbandonare la definizione della strategia statunitense “democrazia contro autocrazia”.

Gli Stati Uniti e i suoi partner dovrebbero anche indicare che sono pronti ad aiutare la Russia a combattere il cambiamento climatico e a far passare la sua economia dalla dipendenza dai combustibili fossili. A breve termine, tale compito comporta la condivisione delle migliori pratiche per la cattura del metano, l’assistenza allo sviluppo di alternative verdi alla produzione di petrolio e gas e l’adozione di altre misure per limitare le emissioni russe di gas serra. A lungo termine, gli Stati Uniti dovrebbero aiutare la Russia a passare a un’economia della conoscenza, un passo che Putin non ha mai fatto, a scapito del suo Paese. La Cina condivide raramente la tecnologia; è un ricevente, non un donatore. Gli Stati Uniti dovrebbero cogliere l’opportunità di condividere il know-how tecnologico con la Russia per facilitare la sua transizione verso un’economia più verde e diversificata.

Gli Stati Uniti dovrebbero basarsi sulla conversazione sulla stabilità strategica che Biden e Putin hanno lanciato nel loro incontro a Ginevra a giugno. La violazione da parte della Russia del Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio ha spinto gli Stati Uniti a ritirarsi da esso nel 2019. Gli Stati Uniti e la Russia devono ora trovare una soluzione alla loro incombente corsa missilistica e anche spingere la Cina ad accettare un accordo successivo che porrebbe dei limiti al vasto e diversificato arsenale cinese di missili a medio raggio. Anche se un patto tripartito si rivelasse irraggiungibile, tentare di negoziare potrebbe illuminare le fessure tra Mosca e Pechino, data la tradizionale riluttanza della Cina a stipulare accordi sul controllo degli armamenti.

L’Artico è un’altra area in cui Washington può aiutare Mosca a vedere gli svantaggi strategici di favorire le crescenti ambizioni di Pechino. Il cambiamento climatico sta aumentando drasticamente l’accessibilità dell’estremo nord, suscitando un nuovo interesse russo per l’importanza economica e strategica della regione e suscitando il disagio russo con la dichiarazione della Cina che è una “potenza vicino all’Artico”. Washington e Mosca difficilmente vedono d’accordo la regione, ma attraverso sia il Consiglio Artico che il dialogo bilaterale, dovrebbero sviluppare un insieme più solido di regole della strada che regolino l’attività economica e militare nell’Artico e che affrontino le loro reciproche preoccupazioni riguardo Disegni cinesi.

Infine, Washington dovrebbe incoraggiare Mosca a contribuire a controllare la crescente influenza della Cina nelle aree in via di sviluppo, compresa l’Asia centrale, il Medio Oriente in generale e l’Africa. Nella maggior parte delle regioni, la politica russa va regolarmente contro gli interessi statunitensi; Mosca vede ancora Washington come il suo principale concorrente. Tuttavia, mentre Pechino continua ad estendere la sua portata economica e strategica, Mosca capirà che è la Cina, non gli Stati Uniti, a indebolire regolarmente l’influenza russa in molte di queste aree. Washington dovrebbe sostenere questo caso, aiutando a portare gli interessi russi e statunitensi ad un maggiore allineamento e creando opportunità per coordinare la strategia regionale.

Dato l’antagonismo e la sfiducia che attualmente affliggono le relazioni tra Russia e Stati Uniti, Washington richiederà tempo e una diplomazia mirata per cambiare il calcolo strategico di Mosca. La Russia potrebbe benissimo seguire il suo corso attuale, forse fino a quando Putin non lascerà l’incarico. Ma alla luce del ritmo impressionante e della portata dell’ascesa geopolitica della Cina, ora è il momento di iniziare a seminare i semi di una spaccatura sino-russa, specialmente tra i quadri più giovani di funzionari e pensatori russi che prenderanno le redini dopo che Putin se ne sarà andato. .

Gli sforzi degli Stati Uniti per gestire l’ascesa della Cina con successo e pacificamente saranno significativamente avanzati se la Cina dovrà affrontare una pressione strategica oltre il suo fianco marittimo e non potrà più contare sul costante sostegno militare e diplomatico della Russia. Attualmente, la Cina è in grado di concentrarsi sull’espansione nel Pacifico occidentale e oltre, in parte perché ha mano relativamente libera lungo i suoi confini continentali e gode del sostegno di Mosca. Gli Stati Uniti farebbero bene a investire in una strategia a lungo termine per cambiare questa equazione, aiutando a rimettere in gioco le relazioni della Cina con la Russia. Farlo sarebbe un passo importante verso la costruzione di un ordine pluralistico multipolare e scongiurare i potenziali sforzi di Pechino per costruire un sistema internazionale sinocentrico.

https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/2021-08-04/right-way-split-china-and-russia

Stati Uniti, fuori il primo_con Gianfranco Campa

Sono cominciati i regolamenti di conti in casa democratica. Se non è la corruzione, è il sesso se non il comportamento allusivo la buccia di banana sulla quale fare scivolare le vittime predestinate. Si eliminano pericolosi concorrenti, si rimuovono personaggi scomodi sui quali addossare le responsabilità politiche di gestioni disastrose. A New York il problema è la gestione fallimentare della pandemia. In Italia sino ad ieri, stando ai nostri diffusori di veline, Cuomo è stato presentato come un esempio di gestione contrapposto al disastroso Trump. Da oggi la musica è cambiata. Un segnale che il destino di Cuomo è segnato; vedremo se riuscirà a trascinarsi dietro qualche altro nome illustre.
NB_per vari motivi la conversazione ha assunto un ritmo troppo lento e ha dovuto essere sospesa proprio sulla parte più interessante. Appena possibile riprenderemo il filo interrotto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vkx67u-stati-uniti-fuori-il-primo-con-gianfranco-campa.html

 

 

 

Intervista con l’ambasciatore russo Anatoly Antonov, di Jacob Heilbrunn

Intervista con l’ambasciatore russo Anatoly Antonov: “Dobbiamo combattere le bugie e le notizie false praticamente su base giornaliera”.

Il redattore di National Interest Jacob Heilbrunn intervista l’Ambasciatore della Federazione Russa negli Stati Uniti d’America SE Anatoly Antonov.

Heilbrunn: Il presidente Vladimir Putin ha recentemente pubblicato un nuovo saggio sull’Ucraina in cui afferma che ucraini e russi sono la stessa gente. Ha anche indicato che ci sono linee rosse che né l’Ucraina né la NATO potrebbero attraversare. Alcuni dicono che Putin stia gettando le basi per un’azione più dura contro l’Ucraina. Ha comunicato qualcosa del genere all’amministrazione Biden?

Queste mappe ti lasceranno a bocca apertaLontano e largo

Antonov: L’articolo del presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha avuto un’enorme risonanza a Washington. Per molti qui è stato un nuovo sguardo sulle relazioni tra russi e ucraini, un’opportunità per conoscere le radici del popolo. Sfortunatamente, ci sono malvagi che negano il bene, specialmente quando si tratta della Russia. Cercano di pervertire l’immagine, di presentare l’articolo come se fosse un ultimatum contro la nazione indipendente. Dobbiamo riconoscere che ci sono molti rappresentanti dell’amministrazione che condividono questo punto di vista. Ignorano la tesi principale del leader russo che una vera, reale e forte sovranità dell’Ucraina è possibile solo in partnership e buone relazioni con la Russia.

Dobbiamo combattere le bugie e le fake news praticamente ogni giorno. Prima che l’articolo fosse pubblicato, avevamo affrontato una campagna diffamatoria da parte di politici ed esperti in merito ai colloqui tra il presidente Putin e il presidente Biden a Ginevra. Come sapete, i capi dei nostri paesi hanno discusso in modo costruttivo del conflitto intraucraino. Hanno convenuto che gli accordi di Minsk fungono da unico quadro per la soluzione politica del conflitto in Donbass. Invece di lavorare sui modi per attuare gli accordi di Minsk, alcuni funzionari del Dipartimento di Stato incolpano la Russia di tutti i problemi in Ucraina e etichettano il mio paese come “aggressore”.

Abbiamo più volte avvertito l’amministrazione che tali affermazioni controproducenti non hanno nulla a che fare con la realtà. Le soluzioni possono essere trovate solo attraverso mezzi diplomatici senza propaganda. In questo momento gli Stati Uniti possono influenzare il governo dell’Ucraina incoraggiandolo a impegnarsi in un dialogo sostanziale con i rappresentanti di Donetsk e Lugansk, ritirare le armi pesanti dalla linea di contatto e intraprendere misure concrete e tangibili per quanto riguarda lo status autonomo dell’Ucraina sud-est.

Heilbrunn:  Gli Stati Uniti e la Russia hanno concordato di avviare un nuovo dialogo sulle questioni informatiche. Quali sono i progressi in questo settore e vede qualche motivo di ottimismo dopo anni di aspri disaccordi?

Antonov: L’accordo per avviare un dialogo sulla sicurezza informatica è uno dei risultati chiave del vertice Russia-Usa di Ginevra. Esperti di entrambi i paesi hanno già iniziato a comunicare. I Consigli di sicurezza russo e statunitense forniscono un coordinamento generale.

Per ora ci sono state diverse tornate di consultazioni, ed è sicuramente un segnale importante e promettente. I colleghi americani, tuttavia, preferiscono concentrare le discussioni principalmente sulle attività di ransomware, mentre la sicurezza informatica è molto più ampia. Mi auguro che questo dialogo acquisisca un carattere globale nel prossimo futuro. Come opzione, possiamo discutere sulle minacce informatiche ai sistemi di controllo degli armamenti, ecc.

È ovvio che i nostri paesi soffrono ugualmente di criminali informatici. I casi di recenti attacchi contro il sistema sanitario della regione di Voronezh in Russia e l’azienda Kaseya qui negli Stati Uniti lo confermano.

Abbiamo costantemente cercato di stabilire una cooperazione professionale su questioni di sicurezza informatica a Washington. In particolare, dal 2015, abbiamo compiuto sei tentativi per avviare tale interazione. Inoltre, il 25 settembre 2020, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha proposto un programma completo di misure per ripristinare la cooperazione Russia-USA nel campo della sicurezza internazionale dell’informazione (IIS). Sfortunatamente, finora non c’è stata alcuna reazione ufficiale dagli Stati Uniti.

A proposito, anche le richieste delle autorità competenti russe in merito agli attacchi informatici rimangono senza reazione da parte degli Stati Uniti. Erano quarantacinque nel 2020 e trentacinque nei primi sei mesi del 2021. Da parte nostra, abbiamo soddisfatto pienamente dieci richieste dagli Stati Uniti lo scorso anno e due ricorsi nella prima metà dell’anno in corso. Questo indica che abbiamo molto su cui lavorare.

Vorremmo ribadire che la Russia è pronta per una cooperazione onesta e reciprocamente vantaggiosa, senza politicizzazione e agende nascoste. Adottiamo un approccio responsabile ai problemi di sicurezza informatica. In questo contesto, siamo orgogliosi di annunciare che il nostro Paese è diventato il primo stato a sviluppare e presentare all’ONU un progetto di Convenzione sul contrasto all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione a fini criminali. La presentazione ufficiale del documento è avvenuta il 27 luglio a Vienna.

Un’altra cosa da menzionare. Quasi ogni giorno ci occupiamo di materiale mediatico sugli attacchi degli hacker, che si presume vengano effettuati dal territorio russo. Le prove non sono mai fornite. Tali questioni dovrebbero essere sollevate non dai giornalisti, ma dai professionisti. I colleghi americani se lo richiedono possono contare su un’assistenza rapida e di alto livello da parte russa. Il nostro National Computer Incident Response and Coordination Center è pronto a collaborare strettamente.

Heilbrunn: Come valuta le prospettive del dialogo strategico Russia-USA?

Antonov: Negli ultimi dieci anni si sono accumulati una miriade di problemi nel controllo degli armamenti e nella stabilità strategica. Indipendentemente dalla congiuntura politica, sono necessari complessi negoziati bilaterali per risolverli.

Il problema del superamento della crisi in questo settore è stato uno dei temi chiave del primo incontro russo-statunitense del 28 luglio a Ginevra. I rappresentanti dei due paesi hanno scambiato le loro percezioni sulla direzione in cui è necessario muoversi per ridurre i rischi strategici. Nonostante le notevoli differenze negli approcci a molte questioni, entrambe le parti hanno dimostrato la loro volontà di impegnarsi in un dialogo regolare e costruttivo e di cercare un terreno comune. È sicuramente un segnale positivo. Tuttavia, siamo solo all’inizio di una lunga strada. Il difficile compito che ci attende è ripristinare la fiducia in questo ambito.

Vorrei sottolineare che la parte russa è aperta alla discussione di qualsiasi questione relativa al controllo degli armamenti. Non ci sono argomenti tabù per il nostro Paese. Siamo pronti a considerare le preoccupazioni degli Stati Uniti per quanto riguarda i nuovi sistemi strategici della Russia.

Tuttavia, tale conversazione non dovrebbe essere una strada a senso unico. È necessario che anche le controparti statunitensi prestino ascolto alle nostre affermazioni e tengano conto degli interessi di sicurezza nazionale della Russia. Il dialogo non può essere fruttuoso senza un equo scambio di opinioni.

Heilbrunn : Lei è tornato a Washington dopo il vertice di Ginevra di un mese fa e il suo omologo statunitense John Sullivan è tornato a Mosca. Ha qualcosa di positivo da riferire, in particolare sulla controversa questione del lavoro delle ambasciate nelle due capitali? Ci sono nuovi sviluppi sullo stato dei consolati degli Stati Uniti e della Russia che sono stati chiusi negli ultimi anni?

Antonov: Purtroppo la situazione non cambia in meglio. Le missioni diplomatiche russe negli Stati Uniti sono ancora costrette a lavorare sotto restrizioni senza precedenti che non solo rimangono in vigore, ma vengono intensificate. Al di là delle dichiarazioni dell’amministrazione Biden sull’importante ruolo della diplomazia e sulla volontà di sviluppare relazioni stabili e prevedibili con il nostro Paese, la presenza diplomatica russa subisce continui scioperi.

I colleghi statunitensi diventano persistenti e creativi in ​​questo business. Le espulsioni dei diplomatici vengono attuate di tanto in tanto con pretesti inverosimili. Lo scorso dicembre il Dipartimento di Stato ha stabilito unilateralmente un limite di tre anni al periodo di assegnazione del personale russo negli Stati Uniti che, per quanto ne sappiamo, non viene applicato a nessun altro Paese. Inoltre, abbiamo ricevuto un elenco di ventiquattro diplomatici che dovrebbero lasciare il paese prima del 3 settembre 2021. Quasi tutti partiranno senza rimpiazzi perché Washington ha improvvisamente inasprito le procedure di rilascio dei visti.

Si è arrivati ​​al punto in cui le autorità statunitensi annullano i visti validi di coniugi e figli del nostro personale senza fornire alcuna motivazione. I diffusi ritardi nel rinnovo dei visti scaduti mirano anche a spingere i lavoratori diplomatici russi fuori dal Paese. Di conseguenza, una sessantina dei miei colleghi (130 insieme ai membri della famiglia) non possono tornare in patria nemmeno in circostanze umanitarie urgenti.

Abbiamo mostrato moderazione per molto tempo, ma dopo un’altra ondata di sanzioni aggressive da parte degli Stati Uniti ad aprile siamo stati obbligati a prendere ulteriori misure per equiparare le condizioni di lavoro per le missioni statunitensi in Russia, compreso il divieto di assumere personale locale. È certo che nessuno beneficia di una situazione del genere. C’è bisogno di soluzioni basate sul principio di parità. Siamo convinti che il modo più semplice e veloce per farlo sia quello di abrogare completamente tutte le misure e contromisure che stanno vincolando l’attività dei diplomatici.

Washington non mostra la disponibilità a prendere una tale decisione mentre cerca di garantire vantaggi unilaterali per la parte americana. Lo stesso vale per le prospettive di ripresa dei lavori dei Consolati Generali della Russia a San Francisco e Seattle che sono stati chiusi per coercizione. Anche l’accesso temporaneo delle squadre di manutenzione ai locali confiscati della proprietà diplomatica russa è ancora negato, il che porta a un ulteriore deterioramento delle condizioni lì.

Ci auguriamo che prevalga il buon senso e che saremo in grado di normalizzare la vita dei diplomatici russi e americani negli Stati Uniti e in Russia sul principio della reciprocità. I nostri presidenti hanno concordato a Ginevra di continuare le consultazioni tra il Ministero degli affari esteri della Russia e il Dipartimento di Stato al fine di risolvere questo problema.

Heilbrunn : Una questione che ha destato preoccupazione negli ultimi anni è la questione dell’accesso ad alto livello per i diplomatici russi e americani a Washington e Mosca? Credi di avere un accesso adeguato ora? È migliorato? Ci sono gravi delusioni?

Antonov: Dopo essere tornato a Washington all’indomani del vertice di Ginevra, ho avuto l’opportunità di incontrare alcuni alti funzionari dell’amministrazione. Tuttavia, questi incontri sono stati per lo più incidenti isolati. Secondo la prassi diplomatica, sono state inviate decine di richieste per effettuare “visite di cortesia” dell’ambasciatore russo ai vertici delle principali autorità americane di nuova nomina. La stragrande maggioranza di loro è stata negata o ignorata.

A volte non riusciamo a organizzare conversazioni di alto livello, anche quando abbiamo bisogno di trasmettere determinati segnali per conto di Mosca.

La situazione con i contatti a Capitol Hill è ancora deprimente. Tutte le mie richieste di riunione indirizzate ai capi dei partiti, alle fazioni di entrambe le camere del Congresso, nonché alle commissioni per gli affari esteri, sono apparentemente andate nel vuoto. Rimangono semplicemente senza risposta. Allo stesso tempo, il Dipartimento di Stato alza le spalle e afferma di non poter fornire alcuna assistenza a causa della “separazione dei poteri”.

Heilbrunn : Nel 2017 c’è stato un vertice tra l’ex presidente Donald Trump e il presidente Putin a Helsinki. Mentre l’incontro stesso è stato molto controverso, c’erano anche grandi aspettative che le relazioni tra Washington e Mosca potessero migliorare. Meno controverso si è rivelato l’incontro tra Biden e Putin a Ginevra. Vedete un nuovo slancio o più affari come al solito?

Antonov: È troppo presto per esprimere giudizi al riguardo. A questo punto, possiamo valutare positivamente l’accordo tra i due presidenti per ripristinare un dialogo professionale e di sistema su temi chiave di reciproco interesse. Questi includono le questioni già menzionate: stabilità strategica, sicurezza informatica e funzionamento delle missioni diplomatiche.

Hai ragione sul fatto che, come abbiamo visto in precedenza, l’impulso positivo dei nostri leader è annegato nei corridoi della burocrazia statunitense ed è stato condannato all’inutilità. Speriamo che le relazioni Russia-USA non siano più una moneta simbolica nella rivalità politica interna degli Stati Uniti. Il loro miglioramento serve interessi di sicurezza cruciali della Russia, degli Stati Uniti e del mondo intero. Ci vorrà tempo e sforzi da entrambe le parti. E siamo pronti per tale lavoro.

https://nationalinterest.org/feature/interview-russian-ambassador-anatoly-antonov-%E2%80%9Cwe-have-fight-lies-and-fake-news-virtually?page=0%2C1

 

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