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L’inchiesta sulla Grooming Gang: la soluzione è pronta_di Morgoth

L’inchiesta sulla Grooming Gang: la soluzione è pronta

Alcune riflessioni sparse sulla banda di adescatori di Schrödinger e sulla venalità dello Stato britannico

Morgoth24 ottobre
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Alcune riflessioni sul caos che sta dilagando attorno all’inchiesta sulla Grooming Gang e sul perché essa riveli la putrida corruzione che si cela nel cuore dello Stato britannico.

Analisi e forma lunga

Il nostro reattore multiculturale 5

Sugli orrori insiti nelle strutture manageriali difettose

Morgoth

07 gennaio 2025

How the grooming gangs scandal was covered up

Ammantandosi con orgoglio del linguaggio e delle vesti retoriche dei diritti umani e della tolleranza, negli ultimi decenni lo Stato britannico si è reso colpevole di quella che, secondo la loro terminologia, sarebbe una catastrofe umanitaria. Adornandosi di bromuri universalistici come un pavone che si sprimaccia le piume della coda per ingannare un potenziale compagno o rivale, l’establishment britannico ha supervisionato un crimine contro l’umanità durato decenni. Come occidentali, ci irrita e ci fa arrabbiare pensare che il nostro popolo possa essere vittima di una barbarie di tale portata. Un linguaggio del genere è riservato a luoghi come l’Iraq, la Cambogia, l’Afghanistan o qualsiasi altra parte dell’Africa subsahariana.

Come lo chiamiamo? Come dobbiamo inquadrarlo? Io o altri dobbiamo tentare di scalare le vette di un Solzhenitsyn o di qualche altro cronista di sistemi di sadismo e malattia? Abbiamo la serietà necessaria per non ricorrere all’ironia postmoderna e permetterci di toccare terra con il giusto tonfo? Può essere reale? Possiamo permetterci di ruminare su di esso onestamente? La mente si affanna a cercare paragoni e tecniche di inquadramento attraverso gli infiniti corridoi mentali della cultura pop, le vaghe allusioni storiche e le citazioni stereotipate.

Quello che può essere definito con precisione solo Il ratto della Gran Bretagnasta entrando nella coscienza pubblica come un fatto, come qualcosa che è accaduto come un evento storico e continuo. Non si tratta più di un allarme nel senso di una profezia powelliana, ma di una realtà culturale di cui si parla.

Ormai siamo tutti consapevoli dei frammenti, e ingrandiamo la trascrizione di un documento giudiziario, che dirà qualcosa come “la vittima è stata penetrata da cinque uomini, poi le è stata somministrata eroina e picchiata con la gamba di una sedia”. Diminuiamo l’ingrandimento del nostro sguardo e quel frammento si unisce a un caso più ampio associato a una città. Poi riduciamo ulteriormente l’ingrandimento e notiamo che il caso in sé non è che uno dei tanti in quell’area, e che quell’area si sta aggregando a centinaia di altri in tutto il Paese. La ragazza nei verbali dei tribunali viene descritta come “Sophie B” o “Alison G” e svanisce come una semplice unità in una vasta rete, e anche gli orrori che ha subito svaniscono con lei.

Lo scandalo delle cosiddette “bande di adescamento” in Gran Bretagna viene spesso definito “stupro su scala industriale”. Il termine giustappone due serie di immagini, una di processi meccanizzati – pistoni, ingranaggi, sistemi di pompaggio in combinazione con sporco, grasso e sporcizia – e il termine “stupro”, che è una violazione della forma umana e della sua carne, in particolare quella femminile. Lo Stupro su scala industriale è quindi la meccanizzazione dell’inorganico e dello strumentale, che contamina la carne del femminile, quasi come un’entità aliena che divora l’organico. È un’affermazione azzeccata perché è proprio questa la dinamica tra le vittime e i carnefici.

Le bande di stupratori pakistani, in primo luogo, ma non del tutto, sono un’imposizione portata dallo Stato manageriale, il risultato di un processo basato su un’ideologia contorta, su principi primi errati e sulla manipolazione cinica delle narrazioni storiche.

Di recente, una torcia accecante è stata accesa su un piccolo segreto sporco e repellente della Gran Bretagna che, in modi diversi, tutti i settori della società mal sopportano. C’è un elemento di estraneità che entra in casa e indica la sporcizia, il sudiciume e la biancheria intima non lavata sparsa in giro. Gli uomini della destra politica sono sensibili alle accuse di apatia e codardia, e l’intero spettro della sinistra/liberale (che in Gran Bretagna è quasi tutto) si sente sotto attacco: il sudicio segreto è stato svelato!

Mi è tornato in mente Chernobyl e come devono aver reagito i primi burocrati sovietici quando la Svezia ha chiamato per chiedere se fosse tutto a posto. Avevano rilevato alcune letture strane sui loro spettrometri a raggi gamma: c’era un “risultato indesiderato” in un processo da qualche parte. Che cos’era e dove si trovava?

La causa immediata del disastro di Chernobyl è stata l’utilizzo della grafite al posto del boro per le punte delle barre che moderavano il nucleo. La grafite è stata sostituita dal boro per ridurre i costi. La dirigenza centrale dell’URSS era sottoposta a forti pressioni per barattare la sicurezza con la riduzione dei costi, perché l’URSS era economicamente tesa a causa di preoccupazioni ideologiche. All’interno del sistema stesso, sia i dipendenti della centrale che i dirigenti burocrati erano riluttanti a riconoscere la catastrofe, e iniziò un gioco di “patate bollenti”, con ogni livello del sistema che cercava disperatamente di evitare le responsabilità. In seguito, al livello più alto, l’URSS mentì al governo della Germania Ovest sul livello di radiazioni che fuoriuscivano, il che significò che i tedeschi inviarono robot i cui circuiti si fusero immediatamente al contatto con la fuoriuscita. Questo portò all’impiego di uomini sovietici sul tetto dell’impianto come “robot di carne” per ripulire la grafite che ufficialmente non doveva trovarsi lì.

La differenza, quindi, tra un disastro naturale e una vera e propria criminalità è che quando i difetti di un sistema sono intrinseci e ideologici e comprendono la ragione stessa della sua esistenza, la legittimità del regime stesso viene messa in discussione. Inoltre, quando le forze esterne iniziano a mettere in discussione gli affari interni di un regime in crisi, questa crisi può diventare esistenziale.

L’establishment britannico ha una lunga storia di ficcare il naso negli affari di altre nazioni con l’obiettivo di destabilizzarle, di dare loro lezioni e, in generale, di adottare l’atteggiamento di una direttrice di scuola apprensiva, compiacente e arrogante nei suoi ideali preferiti. Eppure, nonostante ciò, l’establishment si rivela ora un cesto di legno politicamente corretto, che si appoggia sull’aura di una lontana grandezza. Allo stesso tempo, le sue ragazze native vengono brutalizzate come se fossero il bottino di guerra conquistato. Tuttavia, nessuna battaglia è stata persa, e ogni terra nativa che è stata ceduta lo è stata prontamente e con entusiasmo dal regime stesso.

Da un punto di vista puramente storico, si tratta di un comportamento a dir poco demenziale.

Quando un estraneo come Elon Musk si chiede “Cosa è successo qui? Come è possibile che si sia verificata una tale barbarie?”. L’establishment liberale britannico si trova nella posizione del personale del Politburo sovietico a cui viene chiesto cosa sia la strana nube che proviene dall’Ucraina.

Nessuno disse ad Anatoly Dyatlov di evitare i protocolli di sicurezza, ma a livello individuale capì come erano strutturati gli incentivi e cosa il Partito voleva e non voleva sentire. Dyatlov non era responsabile della progettazione scadente, ma le persone che lo erano non avevano voce in capitolo sui vincoli economici imposti loro, e quelle che lo erano non decidevano i parametri ideologici dell’URSS.

In Gran Bretagna, non tutti gli impiegati comunali e gli agenti di polizia erano indifferenti agli stupri di gruppo e alle torture (anche se alcuni lo erano), ma capivano come erano strutturati gli incentivi del sistema. Sapevano quali rapporti li avrebbero invitati alle feste di Natale e quali li avrebbero scartati per una promozione. La burocrazia stessa era infarcita di un’ideologia basata sul presupposto della correttezza politica e sul fatto che, in caso di dubbio, un dirigente doveva schierarsi con i non bianchi.

Tuttavia, anche la correttezza politica e la struttura sadica degli incentivi si inserivano in un paradigma più ampio di dogma multiculturale che presupponeva che tutti gli abitanti della Terra fossero liberali sotto la pelle. Quando i pakistani hanno iniziato a stuprare e torturare le ragazze inglesi, il comportamento era ovviamente fuori luogo rispetto ai costumi politici, e quindi ci si è chiesti quale fosse il corretto: La realtà o il liberalismo?

Alla fine, la decisione che il liberalismo politicamente corretto degli anni ’90 costituisse la base della realtà ha prevalso su ciò che stava accadendo sotto gli occhi dei funzionari governativi e dei lavoratori comunali, perché questo, insieme alla vecchia arroganza nei confronti della classe operaia bianca, era più sicuro.

Birmingham's Dark Side tour | Explore Birmingham

I presupposti operativi del multiculturalismo, ovvero un’ideologia che sopprime i desideri dei nativi per facilitare la dottrina, hanno portato direttamente allo stupro della Gran Bretagna, allo stesso modo in cui i vari vincoli e incentivi economici hanno portato a Chernobyl. Tuttavia, le accuse mosse all’URSS possono essere, nel peggiore dei casi, che il regime era indifferente alle vite dei suoi cittadini; come molti sostengono, l’indifferenza agli stupri è il risultato migliore per l’establishment britannico, dato che il dogma anti-bianco era così profondamente saldato nella sovrastruttura sociale.

Quando Sophie B entra in una stazione di polizia con i pantaloni sporchi di sangue e il collo bruciato da una sigaretta, il sergente alla scrivania si trova a dover prendere una decisione che potrebbe mettere fine alla sua carriera e renderlo inadempiente sul mutuo. Quando le atrocità raggiungono i più alti livelli di governo, il problema è diventato endemico e quindi, ancora una volta, la realtà del nostro modo di vivere diventa un altro problema da gestire. O il regime ammette di essere mendace, incoerente e (come minimo) di aver favorito lo stupro di massa del suo stesso popolo, oppure insabbia la verità con la comoda scusa di “proteggere le relazioni comunitarie”.

Alla fine, il nocciolo del problema è la presenza stessa in mezzo a noi di persone che non sono in realtà liberali degli anni ’90, ma gruppi tribalistici di conquista che sfruttano quella che una volta veniva chiamata “carne facile”.

Il regime si rivela completamente marcio e moralmente illegittimo, eppure persiste, passando da una crisi all’altra, perdendo capitale sociale e rilevanza morale. Come si possono prendere sul serio le lezioni e l’arroganza altezzosa dell’establishment britannico sul palcoscenico mondiale, quando i suoi concorrenti sono ben consapevoli delle luride realtà della Gran Bretagna moderna?

La catastrofe che non c’è

Le stime sull’entità delle aggressioni sessuali subite da ragazze inglesi da parte di uomini di origine immigrata variano notevolmente. Nel 2019, Il quotidiano The Independentha riferito di “19.000 bambini identificati”, mentre la deputata laburista Sarah Champion ha sostenuto nel 2015 che la cifra potrebbe aver già raggiunto il milione. Il problema, ovviamente, è che la logica del progetto multiculturale disincentiva l’informazione sulla questione. Ciò che per una nazione e un popolo sani sarebbe considerato una calamità storica, ribolle invece a un livello sotterraneo, ribollendo di tanto in tanto e trasudando nel dibattito pubblico prima di tornare freddo e sterile. Le menzogne a cui dobbiamo aderire impediscono che si incunei nella psicologia collettiva dei popoli proprio perché è la natura di questi ultimi che sta per essere abolita.

Di recente sono stati lanciati appelli, tra cui il mio, affinché vengano eretti monumenti o memoriali come forma di ricordo collettivo e di catarsi per ciò che è accaduto. Matthew Goodwin ha proposto di erigere un monumento fuori dal Parlamento che i politici dovrebbero oltrepassare ogni giorno, formalizzando così la catastrofe nelle loro menti e in quelle della nazione. Tuttavia, una simile iniziativa richiederebbe l’espiazione e l’auto-riflessione da parte dei responsabili delle atrocità – sarebbe un rifiuto e una negazione della loro intera visione del mondo e della loro carriera politica. Oppure richiederebbe una classe dirigente completamente nuova.

Mentre le grida di sangue e le deportazioni di massa risuonano ancora una volta sui social media, è forse giunto il momento di considerare gli impatti a lungo termine del fenomeno delle bande di stupratori nel contesto dell’identità britannica. A dire il vero, la commemorazione di questo disastro richiederà il ricordo di coloro che hanno sofferto, di coloro che hanno posto fine all’attuale miseria e un programma di rieducazione su larga scala per le masse di ideologi e di leccapiedi del regime che lo hanno reso possibile, sulla falsariga del processo di de-nazificazione del dopoguerra che ha avuto luogo in Germania. Solo che questa volta l’apprezzamento per i parenti sostituirà la riverenza per i gruppi esterni, la lealtà sostituirà il tradimento e ci sarà l’accettazione del male fatto agli innocenti in nome di ideali stupidi e fraudolenti.

Il partito laburista tradisce (di nuovo) le vittime dell’adescamento in Gran Bretagna

Perché ovviamente lo hanno fatto

Mary Harrington24 ottobre
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The moment in the 'grooming gangs' debate that shamed Jess Phillips | The  Spectator

All’inizio di questa settimana ho scritto della rete di abusi di Epstein e dei sopravvissuti distrutti dalla sua depravazione. Ho anche tracciato un parallelo tra la corruzione di Epstein e le bande di stupratori britanniche a maggioranza pakistana, che seguono lo stesso “schema profondamente malvagio”:

Che si trattasse dell’ambiente ultra-lussuoso dell’isola di Epstein o di squallidi materassi nelle fatiscenti città di provincia britanniche, l’abuso sessuale di gruppo su ragazze molto giovani funzionava come una forma di legame sociale, attraverso la disumanizzazione rituale di persone disperatamente vulnerabili.

In quell’articolo ho discusso di come, nonostante uno o due capri espiatori di alto profilo come il principe Andrea, coloro che hanno partecipato ai festival di violenza sui minori di Epstein siano in gran parte sfuggiti alle loro responsabilità, e ho suggerito che parte della ragione di ciò sia il potere del legame forgiato da questo tipo di abuso rituale. Lo stesso, sospetto, si possa dire di coloro che sono implicati nelle bande di stupratori britanniche, che si tratti degli stessi autori o delle più ampie reti istituzionali che hanno chiuso un occhio o, come alcuni hanno affermato , hanno partecipato esse stesse agli abusi.

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Non sorprende, quindi, che il partito laburista stia ancora una volta perpetuando questa cospirazione del silenzio. Questa volta si tratta di una corsa disperata per evitare di mantenere la promessa di condurre un’inchiesta completa e indipendente su queste bande. Dopo aver lottato con le unghie e con i denti per evitare di avviare una nuova inchiesta, e aver poi accettato a malincuore sotto una forte pressione politica di farlo, il partito laburista sta ora cercando in modo molto evidente di diluirne, ostacolarne e ritardarne l’attuazione. All’inizio di questa settimana, quattro sopravvissute alle bande di stupratori si sono dimesse dal comitato di supervisione dell’inchiesta , dopo aver espresso preoccupazioni tramite lettere aperte su quelli che considerano tentativi di diluire la portata dell’inchiesta e generalizzarne l’obiettivo, nonché su rigidi controlli su ciò che potevano dire e con chi era loro consentito parlare.

Le vittime sostengono che un sindaco laburista stia tentando di ampliare l’ambito di indagine, dalle vittime note di adescamento a intere regioni. Lamentano che la commissione ora includa vittime di sfruttamento sessuale di minori la cui vittimizzazione non rientrava nello schema delle gang di adescamento e che ora – comprensibilmente – stanno cercando di ampliare l’ambito dell’inchiesta per includere lo sfruttamento sessuale dei minori in generale. Le quattro vittime dimissionarie hanno dichiarato che torneranno nella commissione solo se Phillips si dimetterà. Nel frattempo, due candidati alla presidenza dell’inchiesta si sono ritirati da martedì .

Ma questo era del tutto prevedibile. Il Partito Laburista ha da tempo abbandonato ogni tentativo di difendere gli interessi della classe operaia bianca britannica, la fascia demografica da cui proveniva la maggior parte delle vittime delle gang di adescamento. In uno schema che riecheggia quello di altri partiti progressisti nel mondo sviluppato, con la deindustrializzazione del nostro Paese, la base elettorale laburista si è trasformata in una coalizione tra progressisti della classe medio-alta, studenti e una coalizione eterogenea di minoranze. Significativamente, questa coalizione include la maggioranza dei musulmani britannici.

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Nel 2019, l’80% di questa fascia demografica ha votato per i laburisti. Ma c’è un problema: questa percentuale è calata drasticamente nelle elezioni del 2024, soprattutto a causa della politica confusa del partito laburista su Gaza. A livello internazionale, è comune che anche i musulmani non palestinesi sostengano la parte palestinese in questo conflitto; e il partito laburista conta da tempo sul voto musulmano della Gran Bretagna. Ma la politica ufficiale del partito, anche prima delle elezioni, era il sostegno a Israele, in linea con l’attuale politica estera britannica.

La rabbia per questa tensione ha ridotto drasticamente la base di sostegno musulmana del partito laburista alle elezioni del 2024, dall’80% del 2019 al 60% del 2024. Nello stesso periodo è stato lanciato un gruppo esplicito per il “voto musulmano” e le elezioni del 2024 hanno riconfermato quattro parlamentari “indipendenti da Gaza” alla Camera dei Comuni . Per lo stesso motivo, la maggioranza, un tempo solida, guidata dall’attuale Ministro per la Tutela dei Diritti Umani, Jess Phillips, è stata ridotta da oltre 10.000 a soli 693 seggi, con la maggior parte di quella maggioranza divorata dal convertito musulmano filo-palestinese Jody McIntyre .

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Phillips si trova, in altre parole, in bilico elettorale all’interno del suo stesso collegio elettorale. Secondo la Henry Jackson Society, tale collegio elettorale è composto per circa il 45% da musulmani . Dal punto di vista etnico, la sua più ampia componente demografica, oltre ai bianchi britannici, è pakistana. In queste circostanze, possiamo forse comprendere la sua difficile situazione: le è stato chiesto di condurre un’inchiesta completa e schietta su una serie di reati che, come riconosciuto dal rapporto Casey, vengono commessi in modo sproporzionato da membri esattamente della stessa fascia demografica sul cui voto Phillips conta sicuramente per la rielezione nel 2029.

In tali circostanze, cosa fareste? Ahimè, è troppo sperare che un politico nel 2025 risponda: “La cosa giusta, e al diavolo le conseguenze per la mia carriera”. Invece di intraprendere questa coraggiosa strada, Phillips sta chiaramente cercando disperatamente un modo, in qualsiasi modo, per seppellire ancora una volta la vergogna delle bande di stupratori sulla nostra vita nazionale sotto un altro strato di offuscamento burocratico e flanella. Proprio come l’ultima volta, e quella prima ancora.

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Manipolare i termini di riferimento in modo che l’inchiesta restituisca luoghi comuni ed eviti di dover cercare specifiche responsabilità; manipolare il comitato di controllo in modo che le vere vittime di sfruttamento possano essere usate come portavoce per ampliare la portata oltre le bande di stupratori, in una replica del rapporto Jay, similmente ritoccato e compromesso. Cestinare tutto. E tutto nella disperata speranza che lei – e il partito laburista – possano aggrapparsi al potere, almeno un po’ più a lungo, di fronte all’ovvio fatto che molti di coloro per i quali Phillips e i suoi simili ora rabbrividiscono per i voti, già li odiano e li disprezzano .

La corruzione è evidente e ripugnante. Lo schema è di vecchia data: i laburisti coprono le bande di stupratori, perché denunciarlo costerebbe loro voti . E nonostante il suo vantato primato di paladina delle donne e delle ragazze, Jess Phillips è tra i complici: così disperata per il potere che si rivolta e massacra le stesse vittime che contano su di lei, così da poter adulare una fascia demografica che ovviamente sta solo usando i laburisti finché non avrà i numeri per formare il proprio caucus . Lei, e il resto del suo marcio e falso Partito Laburista, sono felici di ignorare persino lo stupro industriale dei bambini nella loro disperata battaglia per aggrapparsi al sostegno condizionato dei clan ostili da cui ora dipendono elettoralmente.

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Non pensavo che nulla potesse accrescere il mio cinismo nei confronti del Partito Laburista di Keir Starmer, un partito orribile, moribondo e moralmente in bancarotta, ma contro ogni previsione, Jess Phillips ci è riuscito.

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Sociologia della povertà, autori e teorie, di Francesco Caliò

Sociologia della povertà, autori e teorie

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Sociologicamente

16 Ottobre 2025

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Oggi più che mai la povertà assume drammaticamente una valenza pervasiva, e nonostante lo sviluppo tecnico tumultuoso a cui si assiste, essa non arretra minimamente, anzi proprio grazie a quella che viene identificata come iper-tecnica della società post moderna, che essa si moltiplica in una modalità incontrollata. Il tutto ovviamente reso possibile da un neoliberismo sfrenato e da un totale cedimento politico verso oligarchie finanziarie, le quali generano sia nel presente che in prospettiva, un nuovo modello sociale, ristretto e per pochi. Cosa è la povertà? Chi sono i poveri? Come reagisce e come interagisce la società con il fenomeno? Questi sono solo alcuni aspetti studiati da quella particolare disciplina conosciuta come sociologia della povertà, che tenta anche portandosi dietro non poche antipatie, di dare risposte, spesso mal accette dal potere.

Difatti, la povertà è sempre esistita, ma è con la rivoluzione industriale che essa assurge a fenomeno sociale, una vera questione sociale derivante dalle relazioni tra il capitalismo e lo sfruttamento sociale, meritevole di indagini sociologiche e di attenzioni politiche, quest’ultime in realtà purtroppo contenute soltanto in movimenti che hanno sempre avuto al centro del loro interesse la strutturazione di uno stato sociale. Insomma, la lotta alla povertà non è un primato per tutti, ma sconta senza dubbio l’agire reazionario di quella parte di potere che si riconosce in quelle posizioni di Thatcheriana memoria, non esiste la società, non esistono le classi sociali, esiste solo l’uomo.

Indice

La sociologia della povertà in Marx

Tra i classici del pensiero che è utile mensionare per gli studi di sociologia della povertà si può annoverare senza dubbio Karl Marx (come ci ricorda lucidamente Umberto Galimberti nel suo I miti di oggi) che nelle sue previsioni sulla deriva capitalistica ha errato solo per difetto. E se per decenni persino nel mondo accademico era relegato a mero ornamento obsoleto, in questi tempi torna, anzi ritorna prepotentemente attuale, non è un caso che in alcuni ambienti quando riecheggia il suo nome, sembra che aleggino gli spettri.

Marx inquadra la povertà come prodotto delle diseguaglianze economiche e sociali. Il capitalismo infatti nel suo sviluppo non può non avere come effetto diretto e antagonista l’impoverimento delle masse e la contestuale centralizzazione della ricchezza nelle mani di pochi. Fotografia che non è affatto distante dal quadro economico e geopolitico a cui assistiamo oggi. La globalizzazione ha smarcato lo sfruttamento pseudolegale della forza lavoro (esattamente come una catena di montaggio che aliena gli operatori ad essa addetti), cosi il fenomeno ha reso ininfluenti le opinioni dei lavoratori anche se organizzati in movimenti o sindacati.

La deflagrazione lavoristica e sociale

Karl Marx
Karl Marx

La frammentazione stessa del lavoro e la relativa perdita di d’identità del lavoratore ha sancito quella che viene chiamata deflagrazione lavoristica e sociale. Ora, per quanto non tutto quello che Marx ha teorizzato si è verificato, non c’è dubbio che l’esplosione delle diseguaglianze sociali siano da collegare direttamente e indiscutibilmente al vero volto del capitalismo, senza maschera e privo di ogni forma di eticità politica, sociale e culturale. Manca totalmente quel principio tanto caro a Hans Jonas, la responsabilità come guida etica, in quest’ottica in problema non è il capitalismo bensì l’etica che dovrebbe guidarlo, indirizzarlo. Un esempio storico mai dimenticato fu quello di Adriano Olivetti, sintesi perfetta di un capitalismo a misura collettiva, lavoristica, urbana e di welfare.

La sociologia della povertà in Simmel e Foucault

Georg Simmel da parte sua, ha posto l’attenzione invece sulla relazione sociale, dove il povero non è posto al di fuori della società, bensì ne è parte integrante in una relazione di dipendenza, positiva o negativa. In un certo senso è un fuori nel dentro il contesto sociale. Il povero è identificato come uomo marginale, non è un caso che lo studioso lo tratta insieme al migrante e allo straniero. Gli studi sull’uomo marginale saranno oggetto di analisi da parte della scuola di Chicago nei primi anni 20 del novecento.

Michel Foucault è utile per la sociologia della povertà poiché si concentra sia sulle politiche assistenziali utilizzate per combattere la povertà, ma anche sulla relazione di potere, essa è una costruzione sociale, un meccanismo che determina chi è incluso e chi è escluso dalla società. La povertà è dunque un fattore che genera fastidio, un fastidio aggiunge lo studioso, spesso voluto, provocato, esposto agli occhi sociali della cd società del benessere, sta lì fisso come un faro, una presenza costante quasi a ricordarci che la povertà è volutamente prodotta non dal povero ma dal sistema. Una delle sue opere, La follia nell’età classica, affonda l’analisi su come veniva vista la follia, e in particolare ne viene descritto il processo di segregazione e criminalizzazione del fenomeno, che trova purtroppo profondità proprio in contesti di alta povertà e miseria. 

La sociologia della povertà in Bourdieu e Bauman

Pierre Bourdieu invece, focalizza l’attenzione sulla miseria di posizione, invero, la stessa distinzione tra povertà e miseria assume dei contorni stratificati, di esclusione all’accesso di tutte quelle potenziali opportunità che si collocano all’interno delle relazioni sociali. L’analisi è quindi orientata verso i ceti popolari, che sono depotenziati proprio nella loro dignità umana, nella perdita del rispetto del se e della propria autonomia individuale. L’immiserimento nasce da una serie di variabili, lavoristici, smantellamento del welfare, esclusione sociale, classismo della scuola e abbandono da parte delle istituzioni delle periferie urbane.

Anche Zigmunt Bauman ha contribuito alla sociologia della povertà. Il teorico della società liquida infatti, intravede il senso della povertà legata alla società del consumo, laddove essa non si palesa soltanto con la mancanza di mezzi di sostentamento, bensì è proprio l’impossibilità a partecipare al consumo stesso. In questa prospettiva, è’ il consumo che formatta la società, la soddisfazione dei bisogni e la relativa non soddisfazione degli stessi, non sono scelte in capo all’individuo, che ha perso la propria soggettività, ma in capo al sistema, che sceglie, impone, decide persino che cosa è l’essere umano stesso, tanto che, la povertà è stabilita dai livelli di consumo.

Il sistema così strutturato decide chi è povero, riuscendo a far evaporare e banalizzare le criticità di intere filiere dello Stato apparato, lo sfacelo della sanità per esempio è illuminante, se paghi ti curi altrimenti muori, se non è questa una prova dell’esistenza delle classi sociali e di come persino le istituzioni vengono curvate per interessi privatistici è quanto meno plausibile che il fenomeno sia assiomatico, e paradossalmente, anche il malaffare si fa liquido e dilagante.        

La povertà come processo di degradazione sociale

Il fenomeno di cui si sta discutendo è da molti studiosi di sociologia della povertà inquadrato come un vero e proprio processo, essa infatti ne è l’output, il risultato finale, che risulta essere composito e complesso. Deve essere chiarito che la povertà oltre ad essere un risultato è anche un catalizzatore di degrado, i due fattori infatti sono interconnessi e osmotici. Storicamente si può fare riferimento proprio al caso inglese, esso infatti rappresenta un vero e proprio laboratorio sociale, essendo stata l’Inghilterra la culla della rivoluzione industriale, essa fotografa il passaggio della povertà tra pauperismo e proletarizzazione, difatti il venir meno del lavoro contadino e il riversamento di masse di uomini nelle città provocò la devastazione delle campagne e paradossalmente la perdita d’identità degli stessi contadini.

Essere poveri oggi: tra miseria e aspettative sociali
APPROFONDISCI CON “Essere poveri oggi: tra miseria e aspettative sociali” di Stefano Ghilardi

La classe povera divenne sempre più povera e sfruttata con il risultato che moltissimi di loro passarono dal lavoro agricolo al vagabondaggio e alla delinquenza da strada, tanto che, furono emanate delle normative dirette a colpire proprio coloro i quali facevano esperienza di tale portata, quasi a voler sancire che l’essere povero era un atto volontario e consapevole, doloso insomma, un’idea presente anche oggi. In non pochi territori dell’Europa continentale fu persino vietata la raccolta della legna caduta e secca, rimane storica la metafora di Marx a riguardo, paragonando la legna secca alla pelle morta del serpente circa il suo basso valore, contrapponendola alla vegetazione viva, il paragone si indirizza nella identificazione tra la classe povera e quella ricca. Era un modo per sancire che i poveri in quanto dediti alla criminalità, non erano meritevoli nemmeno di quello che la natura poteva concedergli come semplici raccoglitori.  

Essere poveri è una colpa? sociologia di un mitema

Il passaggio, dall’essere poveri veicolati da cause esterne ed estranee, a quello di status colpevolmente acquisito, raggiunge il suo apice nelle politiche neoliberiste, e in quella particolare visione che non solo non esiste la società, ma nemmeno le classi sociali. Questa tipizzazione nefasta purtroppo è imperante proprio nei nostri tempi, con un ritorno a passate e oscure idee, nazionaliste, sovraniste, di disconoscimento delle differenze etniche e culturali, e le guerre in corso ne rappresentano l’emblema (non è un caso che si bruciano immense risorse pubbliche in armi a scapito delle politiche sociali), il sigillo.

Il mutamento dell’atteggiamento sociale verso i poveri è una vera e propria politica, oggetto d’indagine particolare della sociologia della povertà, che sembra pervada anche una parte del tessuto sociale o almeno di quella parte di elettorato che si identifica con quelle visioni politiche che si traducono in pratiche governative negazioniste tanto in voga oggi, e non solo in Italia. E’ cosi, nel mentre si nega che i salari sono statici con relativa perdita del potere d’acquisto, allo stesso tempo si assiste a proclami comunicativi unidirezionali, che fotografano realtà produttive e indici di benessere inesistenti. Si palesa un vero e proprio orientamento punitivo verso i poveri e verso la povertà, un processo questo che si attiva attraverso tre forme.

Le forme dell’orientamento punitivo verso la povertà

  • Una prima forma è legata all’espansione delle politiche pubbliche di sicurezza sociale, intese non come politiche sociali in senso stretto ma come mantenimento dell’ordine pubblico. Paradossalmente nel venir meno del welfare, cresce l’orientamento securitario con slogan tanto miseri quanto utopici (tipo tolleranza zero o similari).
  • Vi è poi quello che viene definito il populismo penale, ovvero la tendenza ad enfatizzare l’azione penale verso la micro criminalità o verso reati a spinta di sopravvivenza, mentre contestualmente si decriminalizza il comportamento criminoso politico-burocratico che fu a fine anni 70 ben inquadrato da Massimo Severo Giannini (Il Rapporto sulle disfunzioni della pubblica amministrazione presentato alle camere nel 1979 qualificò il mostruoso connubio tra politica e amministrazione).
  • Il cerchio viene chiuso con la soggettivizzazione delle norme penali, per cui lo status di deviante viene ascritto a coloro i quali appartengono o determinate categorie (rom, migranti, poveri, senzatetto), e non a coloro i quali compiono il reato, ciò in aperto contrasto con il dettame costituzionale, per cui si viene puniti, identificati, per quello che si è ma non per quello che si è commesso.

Il parlamento italiano stesso è oggi composto da decine di soggetti che a vario titolo hanno a loro carico o inchieste in corso o persino precedenti penali, come dire, se sei povero hai la certezza della pena, se non lo sei può godere dei privilegi d’ancien regime. In una recente intervento Nicola Gratteri (“Cultura della legalità e partenariato tra pubblico e privato per l’inclusione sociale dei detenuti: la provincia di Caserta come nuovo modello di sviluppo internazionale”), ha palesato proprio il fatto che le carceri sono pieni di soggetti che appartengono proprio alle categorie sopra citate, quelli che commettono piccoli reati (trasgressori comuni) creando il sovraffollamento, il più alto d’Europa.              

I dati non mentono, i media….

L’Istat ci restituisce ad oggi un quadro desolante, e per quanto si possano negare e mascherare le informazioni reali sull’economia e su come il tessuto socio economico sopravvive, alcuni fondamentali dati non lasciano dubbi. Circa 11 milioni di persone sono a rischio povertà, 5,7 milioni versano in condizioni di povertà assoluta, dati che riflettono la cruda realtà. E se è pur vero che vi è stato un incremento dei contratti di lavoro, e altrettanto vero che si tratta in massima parte di lavori precari (somministrati, determinati, collaborazioni coordinate e continuative, partite iva, etc.). Nel 2024 circa 6 milioni di individui hanno rinunciato alle cure (esami diagnostici, visite specialistiche), vuoi per i tempi di attesa improponibili (salvo recarsi in strutture private a pagamento o in strutture pubbliche in regime intramoenia), vuoi per costi elevati da sopportare.

Non ho e quindi non esisto: i problemi economici che non fanno più notizia
APPROFONDISCI CON “Non ho e quindi non esisto: i problemi economici che non fanno più notizia” di Gianni Broggi

Persino il settore della cultura risulta sotto attacco, con una proiezione spinta verso istituzioni universitari privati a danno di quelli pubblici e con una tendenza a voler restringere il diritto allo studio in senso reazionario. Ogni ambito sociale registra un impoverimento di risorse ad esso assegnate, mentre al contrario l’unico settore che esplode di profitti è quello bellico, ma si sa, i morti non votano e i poveri e le classi meno abbienti non hanno voce e la narcotizzazione sociale rappresenta lo strumento ideale del potere.   

Qualche nozione importante di povertà

Ci si immagina il povero come una persona in condizioni di estrema indigenza, che non è in grado nemmeno di procacciarsi i beni di prima necessità, avulso da ogni legame produttivo e non in grado di avere un’esistenza dignitosa. Questa è quella che i sociologici chiamano la povertà assoluta (mancanza delle risorse utili e necessarie per soddisfare i bisogni umani fondamentali). Vi è anche una povertà relativa, che è quella che si rapporta all’ambiente sociale in cui si vive. In sostanza, il povero, in questa prospettiva è colui che pur potendo soddisfare i bisogni primari non è in grado di raggiungere quelle condizioni di soglia che sono tipiche della società di appartenenza (si parla infatti di soglia di povertà). L’indice utilizzato è definito ISPL (International Standard of Poverty Line), in sostanza, viene classificato povero una persona il cui reddito non supera la metà di quello nazionale procapite.

Nel tempo di oggi, con una società frammentata, liquida, con pochissime certezze sociali e lavoristiche, emerge anche il concetto di povertà fluttuante. Si tratta di persone che pur conducendo una vita dignitosa, tuttavia non riescono a raggiungere il tenore di vita medio della società di appartenenza (salari bassi, occupazione precaria, residenza in territori economicamente asfittici, rendono impraticabile la soddisfazione di bisogni superiori). Sin qui, una visione della povertà mono dimensionale, ma oggi ci si indirizza anche verso un modello di analisi multidimensionale. In sostanza, non pesa solo il reddito, l’aspetto economico, bensì l’intero parametro della qualità globale della vita, e l’uso che viene fatto dei beni e le scelte possibili. In questa diagonale contano anche la mancanza di salute, di libertà politica e di istruzione. Quindi al peggioramento di questi fattori viene legata in causa ed effetto la povertà.    

Francesco Caliò

Riferimenti

L’ascesa del nazionalismo dopo la caduta del Muro di Berlino, di George Soros

Qui sotto un articolo particolarmente significativo apparso su https://www.project-syndicate.org/commentary/open-societies-new-enemies-by-george-soros-2019-11?fbclid=IwAR1u2gIpvkQs4x1TJxdAaGYAVMlgqNB6E3xh0a5daGuvLpHkklSPE8oS-jw Un segnale che la sua battaglia ha incontrato numerosi ed imprevedibili ostacoli, lungi però da scoraggiarlo. Il filantropo appare però un po’ distratto. Segnala i pericoli di manipolazione, di totalitarismo e di controllo sociale. Li vede però esclusivamente nei suoi avversari; tra di essi, con sua somma delusione, la Cina. L’azione di richiamo all’ordine dei GAFA, da lui largamente preannunciata circa tre anni fa, le cui pesanti attività censorie sono ormai talmente evidenti, rientrerebbero invece in una bonaria campagna di rieducazione. Il destino paradossale dei filantropi passa appunto per l’imposizione del bene anche a coloro che non lo vogliono. Gli manca l’ultima fase di questa maturazione psicologica: quella del vittimismo da incompreso. Lo strumento di imposizione del bene comune, il monocratismo imperiale americano, si sta rivelando inadeguato, annaspa e qualcuno, purtroppo, negli stessi Stati Uniti comincia a prenderne atto saggiamente. La veneranda età potrebbe risparmiare a Soros quest’ultima frustrazione. Per l’umanità sarebbe un enorme sollievo._Giuseppe Germinario

 

L’ascesa del nazionalismo dopo la caduta del Muro di Berlino

BERLINO – La caduta del muro di Berlino nella notte dell’8 novembre 1989 ha improvvisamente e drammaticamente accelerato il crollo del comunismo in Europa. La fine delle restrizioni sugli spostamenti tra la Germania dell’est e la Germania dell’ovest ha dato il colpo di grazia alla società chiusa dell’Unione Sovietica. Allo stesso tempo, la caduta del muro ha segnato un punto fondamentale per la crescita delle società aperte.

Dieci anni prima della caduta del muro, fui coinvolto in quella che io definisco la mia filantropía política. Diventai un sostenitore del concetto di società aperta che mi conferì Karl Popper, il mio mentore alla London School of Economics. Popper mi insegnò che la conoscenza perfetta non è realizzabile e che le ideologie totalitarie, che affermano di possedere la verità assoluta, possono prevalere solo attraverso misure repressive. Negli anni ’80, sostenni i dissidenti contro l’impero sovietico e nel 1984 riuscii a creare una Fondazione nella mia nativa Ungheria che garantiva fondi ad attività promosse non da stati monopartitici. L’idea di fondo era che incoraggiando le attività esterne alle formazioni partitiche, i cittadini avrebbero avuto maggiore consapevolezza delle falsità dei dogmi ufficiali e in effetti questo sistema ha funzionato alla meraviglia. Con un budget annuale di 3 milioni di dollari, la Fondazione è diventata più forte del Ministero della Cultura. Da parte mia io sono rimasto affascinato dalla filantropia politica e, con il crollo dell’impero sovietico, ho creato diverse fondazioni in vari paesi. Il mio budget annuale è passato da 3 milioni a 300 milioni di dollari in pochi anni. Era un periodo esaltante in quanto le società aperte erano in ascesa e la cooperazione internazionale era il credo dominante. A trent’anni di distanza la situazione è ben diversa. La cooperazione internazionale ha trovato diversi ostacoli sul suo cammino e il nazionalismo è diventato il nuovo credo dominante. Inoltre, finora il nazionalismo si è rivelato essere ben più potente e distruttivo dell’internazionalismo. Non era tuttavia un risultato prevedibile. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, gli Stati Uniti erano diventati l’unica superpotenza che non è tuttavia riuscita a essere all’altezza delle responsabilità che la sua posizione le aveva conferito. Gli Stati Uniti erano infatti più interessati a godersi i frutti della vittoria della Guerra Fredda e non hanno quindi pensato a dare una mano ai paesi dell’ex blocco sovietico che si trovavano in gravi difficoltà. Pertanto, il paese ha aderito alle prescrizioni delle politiche neoliberali denominate “Washington Consensus”.

    Nello stesso periodo, la Cina si è imbarcata nel suo incredibile viaggio verso la crescita economica facilitato dalla sua adesione all’Organizzazione Mondiale per il Commercio e alle istituzioni finanziarie anche grazie al sostegno degli Stati Uniti. Con il tempo, la Cina ha finito per rimpiazzare l’Unione Sovietica quale potenza rivale degli Stati Uniti.

    In questo contesto, il “Washington Consensus” ha dato per scontato che i mercati finanziari sarebbero stati in grado di correggere i propri eccessi e, in caso contrario, le banche centrali avrebbero gestito eventuali crisi delle istituzioni fondendole per creare delle istituzioni più grandi. Tuttavia queste erano evidentemente false convinzioni come ha poi dimostrato la crisi finanziaria del 2007-08.Il crollo del 2008 ha messo fine alla indiscussa predominanza globale degli Stati Uniti e ha dato una grande spinta al nazionalismo cambiando inoltre in negativo l’atteggiamento nei confronti delle società aperte. La protezione che le società aperte avevano ricevuto dagli Stati Uniti è sempre stata indiretta e a volte insufficiente, ma l’assenza totale del sostegno le ha evidentemente lasciate vulnerabili alla minaccia del nazionalismo.

    Mi ci è voluto del tempo per realizzarlo, ma le prove sono inconfutabili ed è evidente che le società aperte sono state spinte a mettersi sulla difensiva a livello mondiale. Credo che il picco negativo sia stato raggiunto nel 2016 con il referendum sulla Brexit nel Regno Unito e l’elezione del Presidente statunitense Donald Trump, ma il verdetto è ancora incerto.

    La prospettiva delle società aperte è infatti aggravata dallo sviluppo incredibilmente rapido dell’intelligenza artificiale che può produrre strumenti di controllo sociale in grado di sostenere i regimi repressivi e di rappresentare un pericolo letale per le società aperte. Ad esempio, il Presidente cinese Xi Jinping ha iniziato a creare il cosiddetto sistema di credito sociale. Se dovesse riuscire a completarlo, lo stato avrebbe il controllo totale sui suoi cittadini. E’ preoccupante che i cittadini cinesi siano affascinati da questo sistema di credito sociale che, d’altra parte, garantisce loro dei servizi che prima non avevano, promette di perseguire i criminali e offre loro una guida su come stare lontano dai guai. Cosa ancor più preoccupante, la Cina potrebbe vendere il sistema di credito sociale ad aspiranti dittatori a livello mondiale che diventerebbero a loro volta politicamente dipendenti dalla Cina.

    Per fortuna la Cina di Xi ha un tallone di Achille, ovvero dipende dagli Stati Uniti per i microprocessori di cui le aziende 5G, come Huawei e ZTE, hanno bisogno. Purtroppo però, Trump ha dimostrato di voler mettere i suoi interessi personali prima degli interessi nazionali e il 5G non fa eccezione. Sia lui che Xi sono in difficoltà a livello nazionale e, nelle negoziazioni commerciali con Xi, Trump ha messo sul tavolo anche Huawei convertendo i microchip in merce di scambio. Il risultato è imprevedibile in quanto dipende da una serie di decisioni che non sono ancora state prese. Viviamo in tempi rivoluzionari in cui la gamma delle possibilità è ben più ampia del solito e il risultato è ancora più incerto rispetto ai tempi normali. Possiamo solo dipendere dalle nostre convinzioni. Personalmente mi sono impegnato a raggiungere gli obiettivi perseguiti dalle società aperte. Questa è la differenza tra lavorare per una fondazione e cercare di fare soldi in borsa. Traduzione di Marzia Pecorari