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Macron-Merz: un duo perfettamente asservito agli Stati Uniti_di Edouard Husson

Macron-Merz: un duo perfettamente asservito agli Stati Uniti

Edouard Husson di Edouard Husson

 23 luglio 2025

in Filo conduttore del nomeLinee rette HussonA

Tempo di lettura: 8 minuti

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Macron-Merz: un duo parfaitement soumis aux Etats-Unis

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Emmanuel Macron e Friedrich Merz si incontreranno a Berlino la sera di mercoledì 23 luglio. I media hanno ancora il riflesso di interrogarsi sul futuro di un accordo che…. appartiene al passato. Soprattutto, i due uomini personificano, ciascuno a suo modo, la sottomissione dell’Unione Europea agli Stati Uniti. Per decenni, i leader francesi hanno giurato sul “modello tedesco”. Più passavano gli anni, più diventava un modello di sottomissione. I leader francesi non smisero mai di copiare la Germania, finendo per esaltare la sottomissione che essa incarnava.

Non lasciatevi ingannare dalla grande statura di Friedrich Merz: l’uomo è debole e sottomesso. Quando Angela Merkel lo ha ostacolato all’inizio degli anni 2000, ha lasciato la politica, per poi tornare quando il declino della “Lady di ferro” tedesca era ormai iniziato. E cosa ha fatto Merz quando non era più in politica? È andato a lavorare per BlackRock, consentendo al noto fondo di investimento di mettere sempre più le mani sul capitalismo industriale tedesco.

Se si vuole capire perché la Germania non è stata in grado di opporsi agli Stati Uniti e di evitare la guerra in Ucraina, si deve guardare alla penetrazione del capitalismo finanziario americano nelle principali aziende industriali tedesche. Era nell’interesse dell’industria tedesca che non ci fosse una frattura tra Germania e Russia. I grandi azionisti hanno deciso diversamente. Descriviamo in dettaglio ciò che è accaduto, con Ulrike Reisner, in un libro già pubblicato in inglese e tedesco e la cui versione francese apparirà alla fine di agosto.

La Germania come modello di sottomissione

Questa mattina Nicolas Bonnal mi ha inviato un corrosivo articolo di Constantin von Hoffmeister, che presenta la Germania come un modello di sottomissione.

Internet avrebbe dovuto liberare la parola, ma in Germania ha solo reso più sistematica la censura. L’articolo 130 del Codice penale – la disposizione principale sui “discorsi d’odio” – copre ora (…) ampie categorie di “discorsi incendiari”, spesso incentrati sull’immigrazione, sull’identità e sulla politica della memoria. Le cifre sono kafkiane: decine di migliaia di pubblicazioni segnalate ai sensi della legge relative ai social network (…)

I treni non sono più puntuali, se non del tutto. Il sistema ferroviario tedesco, un tempo simbolo dell’efficienza prussiana, è diventato una farsa di ritardi, infrastrutture fatiscenti e cattiva gestione dovuta a voli pindarici ideologici. Nel 2024, solo il 62,5% dei treni a lunga percorrenza è arrivato in orario (generosamente definito come entro sei minuti dalla tabella di marcia), mentre il 5% dei treni regionali è stato cancellato del tutto (…).

Le cause sono sistemiche: decenni di investimenti insufficienti (95 miliardi di euro di manutenzione arretrata), fantasie di elettrificazione motivate da considerazioni ecologiche (mentre i ponti crollano) e scioperi incessanti indetti dai sindacati del settore pubblico che chiedono aumenti salariali per compensare l’inflazione che le loro stesse politiche hanno contribuito a creare.

Il Deutschlandtakt, un piano generale per i collegamenti nazionali a cadenza oraria, esiste solo nelle diapositive di PowerPoint, mentre le stazioni rurali chiudono e gli hub urbani, mal gestiti, si sgretolano per il sovraffollamento. Eppure, il ministro dei Trasporti twitta su come “segnalare i servizi igienici di genere neutro” nelle stazioni, come se i pronomi potessero riattaccare i cavi aerei recisi. Una nazione che non riesce a riparare le proprie rotaie ha già perso la strada. I binari non portano da nessuna parte, e nemmeno il futuro della Germania.

La Germania si trova in uno stato di sovranità sospesa, un’anomalia geopolitica in cui le apparenze formali dello Stato mascherano catene di controllo più profonde. La vittoria alleata nel 1945 non ha stabilito solo un’occupazione militare, ma anche un riallineamento permanente della coscienza politica tedesca. Ciò che era iniziato come denazificazione si trasformò in qualcosa di molto più insidioso: la soppressione sistematica di qualsiasi desiderio di azione nazionale. La Repubblica Federale Tedesca, per tutta la sua potenza economica, ha sempre operato entro limiti stabiliti da altri.(…)

La continua presenza di basi militari statunitensi, l’integrazione dei servizi segreti tedeschi nelle strutture della NATO e l’allineamento della politica economica alle richieste di Washington indicano una semplice verità. L’occupazione non è mai finita. Ha semplicemente indossato un abito diverso. (…)

La chiusura definitiva delle centrali nucleari nel 2023, unita all’interruzione politica dei legami energetici con la Russia, ha lasciato l’industria tedesca con il fiato sospeso. I prezzi dell’elettricità rimangono del 30% superiori ai livelli precedenti al 2022, rendendo l’industria pesante sempre meno conveniente. Il trasferimento delle attività principali di BASF in Cina nel 2024 è stato solo il primo domino; Siemens e Volkswagen hanno poi accelerato la loro produzione offshore. La tanto decantata “transizione verde” non ha portato all’innovazione ma alla regressione: l’uso del carbone è salito al 25% della produzione totale di energia, una triste ironia per un’Europa che si proclama “leader climatico”.

Il tasso di fertilità, attualmente pari a 1,46, garantisce che ogni generazione successiva sarà più piccola della precedente, sollevando questioni fondamentali sulla sostenibilità demografica a lungo termine. (…)

La democrazia tedesca del 2025 è un teatro dell’assurdo, dove l’opposizione esiste solo entro limiti rigorosamente imposti. L’Alternativa per la Germania (AfD), con il 23% dei voti, funziona come una valvola di pressione controllata, una “minaccia” grande quanto basta per giustificare il consolidamento del potere, condiviso tra i partiti tradizionali. La svolta a sinistra dell’Unione cristiano-democratica sotto il cancelliere Friedrich Merz, l’abbraccio del Partito socialdemocratico alle frontiere aperte e le politiche energetiche dogmatiche dei Verdi hanno cancellato ogni distinzione significativa. Di conseguenza, oggi in Germania esistono solo due partiti: l’AfD e l’Uniparty  (tutti gli altri).

È di questo che Emmanuel Macron dovrebbe parlare con Friedrich Merz. O meglio, i presidenti francesi dovrebbero smettere di andare a trovare i cancellieri tedeschi. Dovrebbero riceverli quando vengono a Parigi. E, in caso contrario, quando si tratta di andare a Berlino, inviare i loro primi ministri.

Quando la Francia non sottomette la Germania alla sua volontà politica, si sottomette da sola”.

Il punto importante dell’articolo di Hoffmeister è l’identificazione dell’occupazione americana, che non è mai cessata. Nel libro che Ulrike Reisner ed io stiamo pubblicando, sottolineiamo la differenza fondamentale tra la Germania Ovest e la Germania Est, l’ex DDR: quest’ultima si è liberata dal comunismo. All’inizio degli anni ’90 le truppe sovietiche hanno lasciato la DDR. A tutt’oggi, ci sono 25 grandi basi militari statunitensi in Germania Ovest. Come risultato della sudditanza della Germania Ovest, la Repubblica Federale è il Paese con il maggior numero di basi americane al mondo!

Nel 1989-1990, François Mitterrand commise un errore dopo l’altro. Uno di questi fu quello di non lasciare le truppe di occupazione francesi in Germania. La storia ci insegna che la Germania è stata raramente un Paese sovrano. Il più delle volte è stata occupata da altre potenze. E quando le potenze iniziano a occupare la Germania, come sappiamo almeno dal cardinale de Richelieu (1585-1642), la Francia deve essere tra gli occupanti.

Per ragioni che ho descritto in un capitolo del mio libro Parigi-Berlino: la sopravvivenza dell’Europa, la Germania ha difficoltà a vedersi in una posizione di equilibrio con i suoi vicini. O è dominata, o tende a sottometterli. Attualmente, la Germania di Merkel Scholz e Merz si è completamente sottomessa agli Stati Uniti ma, per la miopia dei nostri leader a partire da Mitterrand, ha sottomesso la Francia. Così Friedrich Merz compra gli F35 per obbedire al suo padrone americano; ma proclama che costruirà “il primo esercito d’Europa ” per sminuire la Francia.

La Francia è una potenza nucleare, ha un seggio nel Consiglio di Sicurezza, aveva truppe di occupazione in Germania, era amica della Russia. Ma per ragioni incomprensibili, i nostri leader hanno deciso che dovevamo copiare la Germania dal punto di vista economico, in particolare la sua politica monetaria e il suo rifiuto delle preferenze commerciali europee (che Maurice allais aveva dimostrato essere necessarie nell’economia globalizzata già negli anni ’70). Il risultato: abbiamo rinunciato all’indipendenza economica e stiamo finalmente abbandonando i nostri strumenti militari e diplomatici.

Ossessionati dal “modello tedesco” di economia, i nostri leader non hanno capito che non si può prendere a modello un sottomesso, a meno che non ci si sottometta ancora peggio. È ora di uscire da questa spirale deleteria.

WS: considerazioni sulla fine degli imperi

Alcune mie risposte, riprese per altro da Toynbee al recente articolo di Michael Hudson, apparso sul sito.  Il problema è infatti  ” generale”. Nessuno popolo  nasce “imperialista”   anche se  tutti lo diventano (  a proprio  danno )   alla “prima occasione”_WS

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Questo articolo solleva il tema di una evoluzione storica di ogni imperialismo: lo sfruttamento imperiale.

I popoli “vincenti” nella “lotta per l’ esistenza” certamente emergono per PROPRIO merito e perché hanno saputo “innovare” e mobilitare risorse che prima non c’erano, spesso portando apporti tanto positivi ai popoli sconfitti , al punto che questi alla fine hanno desiderato di esserne assorbiti, costituendo una “civiltà comune”.

Però altresì, in nome di questi popoli “vincenti” molto spesso si sono creati “imperi” dediti allo sfruttamento economico dei popoli sottomessi .

Ma sono veramente i “popoli” responsabili di questo e sono loro a trarne realmente vantaggio?

No, generalmente è l’esatto contrario. Sono ANCHE i popoli “vincenti” a pagare il costo del passaggio all’imperialismo , mentre sono solo le sue elites i veri profittatori dei vantaggi de “l’ imperialismo” da cui traggono le immense ricchezze con le quali corrompono e schiacciano i diritti dei propri stessi popoli e, ovviamente, di quelli “soggetti”.

Un caso classico di questa condizione, che io cito spesso, è la rottura del patto SPQR da parte del Senatus Romanus dopo la schiacciante vittoria romana nella seconda guerra punica. Una guerra che il Populus Romanus combatté solo per la propria salvezza e non certo per la gloria del Senatus e la cui vittoria alla fine fu usata dalla maggioranza della classe senatoriale, usando, badate bene, i meccanismi della loro “democrazia” (sigh!) per impadronirsi ANCHE delle terre dei cittadini romani rovinati dai debiti di guerra (contratti con chi?) per poi riempirle di schiavi fatti venire “ da fuori”. Vi ricorda qualcosa ?

In quel momento finì la civiltà romana anche se poi ci impiegò quasi sette secoli per tirare meritatamente le cuoia.

Perché quanto più grossa è “la bestia “più lunga sarà la sua agonia! Nota questa dedicata a quelli che credono che gli U$A moriranno domani.

E dove finì Roma sono finiti e finiranno tutti. “Debosciatezza e vile danaro” sono l’epilogo di tutte le elites che ereditano i propri privilegi senza proprio merito e senza il servizio dovuto alla società che hanno il privilegio di dirigere.

Ed un passaggio inevitabile verso questa fine, un marker direi, è la finanziarizzazione dell’economia.

Nelle economie moderne la “finanziarizzazione ” è un processo “normale” laddove si permette il “libero reinvestimento” del plusvalore estratto dalla economia “reale”, perché se, ad esempio, è normale che il fondatore di un impresa reinvesta gli utili per accrescere la SUA impresa, è altrettanto “normale” che i SUOI ” eredi”, che non hanno in genere né lo stesso “talento” né la stessa “passione”, vedano in quanto ricevuto solo un “capitale” da far fruttare “al meglio” e che quindi virino verso la “finanziarizzazione” alla ricerca di “rendite certe”, beni primari e servizi, piuttosto che correre l’alea di una impresa di rischio .

Rimanere “in testa al gruppo” è difficile , specie se si è tanto ricchi da potersi permettere una bella vita evitando il sacrificio personale di dover imparare a fare bene “qualcosa” e doverne farne “prova di se”.

Invece la cosa più semplice, facile e sicura è fare ” il rentier” perché, come sentenziava qualcuno, “con i soldi tutto si può comprare”, anche buoni “manager” a cui affidare le proprie aziende.

I “manager”, appunto, come i “liberti” della Roma Imperiale.

Perché, purtroppo, senza una continuità nella partecipazione popolare alla dialettica politica, è inevitabile che si formi sempre una classe di “boiardi” tutta presa ad estrarre le proprie “rendite” attraverso una gestione dello stato inteso come lo strumento del proprio potere di classe.

Questi “boiardi” possono anche giocare “alla democrazia” chiamandosi “pari”, tra loro, e definendo tutto questo “libertà”, la propria.

Ma il bene del “demos” è dei loro pensieri.

Gli esempi di ciò sono tantissimi perché tutte le dinastie economiche virano in questa direzione.

E questo “viraggio” vale ovviamente anche per gli stati non a caso spesso descritti erroneamente come “una famiglia”.

Anche gli stati un tempo “vincenti “, come “le famiglie vincenti “, virano verso “la rendita” sotto appunto la spinta dei rentiers che ne hanno preso il pieno possesso. Non è questa la fine degli USA un tempo ” fabbrica del mondo”? 

Ma gestite così, le famiglie non funzionano. Nemmeno gli stati.

Nelle famiglie che “funzionano” non viene estratto “plusvalore” affinché qualche membro più forte possa vivere da nababbo alle spalle degli altri, magari addirittura “investendo ” in altre “famiglie” da cui estrarre maggior ricchezza solo per sé. 

E che cosa impedisce che le famiglie, quelle vere, si rovinino in questo modo? Il ” pater familias” oppure, per scendere ad un esempio tanto diffuso nelle solide famiglie della vecchia “mezzadria”, “il capoccia”, non a caso il più delle volte uno ” zio” non sposato, quindi naturalmente esente da sospetti di favoritismi, a cui era affidato il potere di amministrare la famiglia “allargata” vivente sotto lo stesso tetto.

E qui veniamo al nocciolo delle questione! Cosa sono gli “autocrati”, così tanto temuti dai “boiardi” finanziari che oggi dominano “l’occidente” terminale, se non dei grossolani “pater familias”?

Gli “autocrati” infatti traggono pubblicamente la base del proprio potere dalla loro ” presa diretta” con la massa dei cittadini, limitando così il potere dei “boiardi”, gli “oligarchi”, cioè dei vari “potentati economici e consorterie varie che invece si amministrano per sé, gestendo “il bene comune” nel chiuso delle loro varie “conventicole”.

 Ed è abbastanza evidente che le autocrazie, con il loro approccio “familiare”, funzionino tanto più quanto più quando esse amministrano i vari processi sociali con mano “ferma ma leggera” evitando gli eccessi che minano la società, appunto come fa un buon “Pater familias”.

Ma tutte le autocrazie hanno due gravi problemi:

1) se al comando c’è un “gruppo”, “l’ autocrazia ” perde slancio propositivo a causa del frazionismo delle singole ambizioni personali . Questa è stata la fine del PCUS e, per rimanere ad una esempio italiano, quella della DC.

2) Se invece c’ è “un uomo solo al comando”, un “papa”, anche se costui si rivelasse un genio, non può vedere tutto e pensare a tutto; pure costui è facilmente circuibile e deviabile nell’errore, secondo le sue personali debolezze, dalla pletora di furbacchioni che inevitabilmente ne formano la “corte”.

Noi, esempi di questo tipo di ” autocrati di cartone”, ne abbiamo conosciuti tantissimi, da Mussolini a Berlusconi e passando per Craxi, in ordine di decandenza.

Ma anche se questi autocrati fossero “di acciaio ” e pure “acuminato “, di questi la Russia ne ha avuti tanti, da Ivan a Stalin passando per Pietro, il problema è che non si può governare , anche bene, con il terrore da imporre costantemente ai propri “boiardi” .

Costoro alla fine, “sopravvissuti” grazie al servilismo più bieco, Beria o Krushov “docent”, alla morte del “tiranno” riprendono comunque il potere e ritornano ai propri personali affari, così che l’ opera de “l’ autocrate” pure “valida ed illuminata” rischia di fallire completamente. 

Quindi:

1) “la democrazia” non può funzionare perché abili “boiardi”, specie gli odierni monopolisti della creazione del danaro, la corrompono per impossessarsi dello stato a proprio vantaggio.

2) “l’ autocrazia” nemmeno, perché anche il più illuminato e spietato “autocrate” non può definire da solo la propria “successione” per quanto esso sia “amato padre del popolo”.

Come se ne esce allora?

Solo ritornando al principio di “nobiltà”. Solo una “nobiltà”, provata come tale dal servizio prestato alla società, deve conseguire e sostenere l’onere e il privilegio di dirigere la società; perché solo essa ha la capacità di farlo BENE

Ma lo deve fare solo a suo onore e rischio, senza beni da lasciare a figli& parenti, salvo il lascito del “nome ricevuto” e i mezzi per costruirsene “uno proprio” attraverso un servizio al quale si può essere chiamati SOLO da chi ti ha chiesto di essere il proprio capo.

Ed in questo deve essere anche una “nobiltà” feroce verso qualsiasi debolezza propria ed altrui che possa mettere a rischio il bene di tutti.

Roma diventò grande così , partendo da un villaggio di capanne per morire “caput mundi” 1500 anni fa dopo 700 anni di agonia. Non credo che “l’ occidente”, QUESTO “occidente”, abbia prospettive minimamente confrontabili.

Ma, dirà qualcuno giunto pazientemente fin qui, allora la Cina ?

L’ unica cosa che posso dire è che la Cina è ancora ( e di nuovo) l’“ombelico del mondo” come è sempre stata fin da quando sui “colli fatali” si pascolavano pecore.

La Cina “non corre”, “non domina”; non l’ha mai fatto. Ma è difficile che possa mai essere “deviata” da dove vuole andare, dalla direzione scelta.

La retorica della NATO raggiunge nuovi livelli di ostilità con le minacce di un’invasione “rapida” di Kaliningrad_di Simplicius

La retorica della NATO raggiunge nuovi livelli di ostilità con le minacce di una “rapida” invasione di Kaliningrad

28 luglio 2025

∙ Pagato

Nell’ultima settimana si è assistito a un’elevata retorica da parte dei Paesi della NATO che accusano la Russia di prepararsi a lanciare una guerra contro l’Europa, in particolare nel 2027. Come sempre accade, queste dichiarazioni appaiono stranamente coordinate, il che di solito denota una segnalazione di intenzioni da parte dell’Occidente stesso, piuttosto che un vero e proprio allarme per i piani russi.

Questa volta è stato anche lanciato l’appello senza precedenti che Cina e Russia potrebbero attaccare insieme, lanciando un’invasione di Taiwan come la Russia fa contro l’Europa. In particolare, il nuovo Comandante supremo alleato della NATO in Europa, Alexus Grynkewich, lo ha dichiarato apertamente:

Il PM polacco Tusk approfondisce l’argomento:

Il vice premier e ministro della Difesa polacco interviene per rafforzare la segnaletica:

È strano come abbiano insistito con forza, in particolare, sul 2027 come anno del punto di infiammabilità. Una teoria è che questo potrebbe essere l’anno in cui i modelli della NATO hanno dimostrato che l’Ucraina raggiungerà il collasso e la capitolazione nei confronti della Russia, richiedendo di legare la prossima fase del conflitto per continuare il programma di destabilizzazione contro la Russia. Inoltre, potrebbe trattarsi di un ultimo piano di gioco per salvare l’Ucraina al punto di collasso: provocare e innescare un nuovo fronte russo altrove in Europa per deviare le forze e impedire all’esercito russo di saccheggiare Kiev o addirittura tutta l’Ucraina.

Il punto di snodo più ovvio sarebbe Kaliningrad, dove i funzionari della NATO hanno intensificato le minacce negli ultimi tempi.

Questo è culminato la settimana scorsa con l’alto generale della NATO Christopher Donahue che si è vantato del fatto che l’alleanza “difensiva” ha sviluppato un piano per catturare la Russia a Kaliningrad con una velocità senza precedenti:

https://kyivindependent.com/us-general-says-nato-could-seize-russias-kaliningrad-unheard-of-fast/

Il Comandante dell’Esercito degli Stati Uniti d’America in Europa e Africa (USAREUR-AF), Gen. Christopher T. Donahue, ha dichiarato di recente chela NATO ha sviluppato un piano per catturare l’exclave russa di Kaliningrad, pesantemente fortificata, “in tempi mai visti”.in caso di un conflitto su larga scala con la Russia.

La pianificazione di questa operazione segue l’attuazione di una nuova strategia alleata nota come “Linea di deterrenza del fianco orientale”, che si concentra sul rafforzamento delle forze terrestri, sull’integrazione della produzione di difesa e sul dispiegamento di sistemi digitali e piattaforme di lancio standardizzate per un rapido coordinamento sul campo di battaglia all’interno della NATO. Parlando della nuova strategia, il generale Donahue ha dichiarato: “Il dominio terrestre non sta diventando meno importante, sta diventando più importante. Ora è possibile abbattere le bolle anti-accesso e di negazione dell’area da terra. Ora è possibile conquistare il mare da terra. Tutte cose che stiamo vedendo accadere in Ucraina”.

Questo è un chiaro messaggio della NATO: le continue azioni provocatorie hanno lo scopo di spingere la Russia a sparare il primo colpo, in modo che la NATO possa gridare “aggressione”.

Ironia della sorte, il pezzo grosso della NATO, l'”ammiraglio” Rob Bauer, ha rilasciato diverse dichiarazioni contraddittorie, dimostrando quanto la NATO sia confusa e disallineata nella sua messaggistica. In primo luogo ha dichiarato alla Welt che, in realtà, un attacco russo a un piccolo Stato baltico non avrebbenonnon scatenare immediatamente una risposta armata della NATO:

https://meduza.io/en/news/2025/06/23/former-nato-military-committee-chair-says-small-russian-attack-on-estonia-wouldn-t-trigger-immediate-armed-response-by-alliance

Piuttosto, ha detto che questo avrebbe semplicemente dato il via a “consultazioni” interne alla NATO su come agire:

Il principio di difesa collettiva dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico non farebbe necessariamente scattare una risposta armata immediata nel caso di un “piccolo attacco” da parte della Russia contro un membro come l’Estonia, ha dichiarato l’ammiraglio Rob Bauer, ex presidente del Comitato militare della NATO, in un’intervista al quotidiano Die Welt del 23 giugno. Bauer ha spiegato che una piccola operazione russa che non minacci “l’integrità territoriale complessiva” di un membrolascerebbe “tempo per le consultazioni” per valutare la questione: “Vogliamo iniziare una guerra o no?”.

In una nuova intervista a TV Rain ha messo il piede in fallo in modo ancora più clamoroso, ammettendo che è la NATO ad espandersi verso il confine russo, mentre la Russia non hanondi fatto ricambiato in natura:

Per non parlare della sua prima ammissione, assolutamente da non perdere: che la Russia sta producendopiùdi hardware militare di cui ha bisogno per l’Ucraina, cioè capacità in eccesso per la riserva.

Nonostante le contraddizioni asinine di Bauer, se questi piani di attacco della NATO non fossero già abbastanza gravi, secondo L’Antidiplomatico l’Occidente sta sviluppando piani per colpire la Russia dall’interno dell’Ucraina:

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-trattato_di_kensington_gli_anglofrancotedeschi_si_preparano_ad_attaccare_la_russia/45289_62027/

Sintesi dal canale russo RVvoenkor:

Il trattato di Kensington: I paesi occidentali si preparano ad attaccare la Russia, usando l’Ucraina come testa di ponte

▪️Europe, guidato da Inghilterra, Francia e Germania, con il sostegno di Roma, Varsavia e Copenaghen, si vanta di creare il potenziale per un attacco mirato alla Russia.A questo scopo, è previsto il dispiegamento di truppe straniere e di missili a lungo raggio in Ucraina, scrive L’Antidiplomatico.

Questi ‘eredi dei nazisti’ intendono la ‘sicurezza’ come l’uso di missili dal territorio ucraino, vantando che il triangolo Londra-Parigi-Berlino delinea la difesa di tutta l’Europa”, si legge nell’articolo.

▪️The L’UE si sta preparando a un attacco nell’ambito del programma “Scudo europeo” e un ex ministro tedesco ha annunciato la creazione di “un potenziale per un attacco preciso alla Russia con armi convenzionali”.

▪️The patto prevede lo sviluppo congiunto di un nuovo sistema missilistico a lungo raggio, che sarà consegnato al regime di Kiev per “colpire in profondità la Russia”.

▪️These “ipocriti” continuano a insistere sulla “guerra iniziata tre anni fa”, chiudendo gli occhi sugli eventi precedenti al 2022. Il regime sanguinario di Kiev, creato da UE-USA-NATO nel 2014, è diventato l’esecutore dei piani militari, mandando a morire adolescenti e anziani.

L’autore di ▪️The sottolinea che il cancelliere tedesco è pronto a sostenere la “rinascita della ‘gloria’ del Reich”, inviando patrioti ai nazisti di Kiev. Il nuovo sistema di Trump non fa altro che inviare armi a Kiev e acquistarne di nuove per i profitti del complesso militare-industriale statunitense.

Questi sono gli ipocriti, i nani politici e i demagoghi filo-europei che controllano i nazisti e i banderiti di Kiev”.

RVvoenkor

Si tratta del trattato di Kensington firmato da Francia, Germania e Regno Unito poche settimane fa, il “primo patto formale tra Regno Unito e Germania dalla Seconda Guerra Mondiale”. L’accordo è destinato a portare una più stretta cooperazione in diversi ambiti, in particolare quello della difesa, e arriva subito dopo che la Germania ha annunciato l’intenzione di acquistare i sistemi missilistici americani “Typhon”. Questo sistema è essenzialmente un missile Tomahawk lanciato da terra che permetterebbe a Paesi come la Germania di lanciare missili a lunghissima gittata in grado di colpire obiettivi russi a migliaia di chilometri di distanza.

L’annuncio delle acquisizioni di Typhon è più importante di quanto sembri. Nel 1987 il Trattato INF ha vietatotuttimissili balistici e da crociera lanciati da terra con queste gittate da posizionare in Europa. Pertanto, il previsto dispiegamento di questi sistemi nel 2026 segnerebbe un cambiamento epocale e pericoloso, ponendo fine a un periodo di quasi 40 anni. Chissà se le future provocazioni includeranno la minaccia tedesca di dispiegare questi sistemi in Ucraina, che consentirebbero all’Ucraina di colpire virtualmente qualsiasi obiettivo in Russia, indipendentemente dalla distanza.

Ricordiamo che alla fine dello scorso anno,l’ammiraglio Rob Bauer aveva anche chiestoche la NATO prenda in considerazione “attacchi preventivi alla Russia” in caso di conflitto imminente.

https://www.thegatewaypundit.com/2024/11/military-chairman-nato-preemptive-attack-russia-should-be/

La retorica senza precedenti, in particolare da parte della Germania che agisce come utile idiota per l’Impero atlantista, ha raggiunto nuove vette. Oltre alle osservazioni di cui sopra, il ministro della Difesa tedesco Pistorius ha anche spiegato quanto i soldati tedeschi siano “disposti” a uccidere i russi in caso di conflitto:

https://archive.ph/aXm7y

Ci si deve semplicemente chiedere con stupore quale sia lo scopo di tali dichiarazioni. La Russia non se ne sta lì a minacciare direttamente le nazioni europee, ma per qualche motivo gli europei non riescono a resistere nel premere continuamente i tasti della Russia con minacce sempre più pericolose e ostili, in particolare quelle che risvegliano oscure memorie ancestrali; questo è un disegno.

Per la cronaca, diversi funzionari russitra cui il membro di spicco della Duma Leonid Slutskyhanno risposto alle minacce della NATO contro Kaliningrad, dichiarando apertamente che una risposta nucleare sarebbe stata necessaria:

Leonid Slutsky, presidente del Comitato per gli Affari Esteri della Duma di Stato russa, ha risposto a questi commenti nelle osservazioni riportate dai media statali russi TASS.

“Un attacco alla regione di Kaliningrad significherà un attacco alla Russia, con tutte le misure di ritorsione previste, tra l’altro,dalla sua dottrina nucleare.Il generale statunitense dovrebbe tenerne conto prima di fare tali dichiarazioni”, ha detto Slutsky.

Naturalmente, una delle principali vie di escalation è stata, come sempre, quella di prendere di mira la “flotta ombra” russa. La settimana scorsa la Grecia ha dato una grossa scossa ai piani annunciando che avrebbe continuato a trasportare il petrolio russo nonostante le lamentele dell’UE:

https://www.reuters.com/sustainability/boards-policy-regulation/greek-fleet-keep-shipping-approved-russian-oil-despite-new-eu-sanctions-sources-2025-07-18/

L’ex ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis ha rivelato che la Russia ha quasi 1.000 navi nella sua “flotta fantasma”:

Ricordate che ho riportato questo numero mesi fa, quando alcuni opinionisti occidentali sostenevano che la Russia usava solo 200-300 navi o meno, che potevano essere “facilmente” fermate dalle sanzioni. In realtà, la flotta fantasma russa ha dimensioni gargantuesche e continua a vedere nuove scorte militari nel Mar Baltico e oltre.

Nonostante la natura allarmante di tutte le minacce e i commenti discussi in questa sede, è necessario comprendere che la stragrande maggioranza dei gesti della NATO abbaia più che mordere. Praticamente tutto ciò che passa per i decrepiti corridoi di Bruxelles e oltre in questi giorni è di natura meramente performativa, tutto progettato per creare l’illusione di forza, solidarietà, iniziativa e fiducia. In realtà, l’Occidente non ha praticamente nulla di tutto ciò e la sua disperazione nell’inimicarsi la Russia in questo modo deriva interamente dalla consapevolezza interna che il tempo dell’Impero Atlantico sta per scadere. Se si permette alla Russia di vincere in Ucraina, la NATO e le politiche dell’Occidente si riveleranno futili e autodistruttive.

Detto questo, credo che i pianificatori dell’Occidente considerino il sacrificio di Paesi piccoli come i Baltici come un rischio accettabile. Li useranno come avanguardie e utili idioti in uno per fare pressione sulle risorse russe del Baltico, compresa Kaliningrad, e la possibilità che la Russia faccia un “esempio” di uno di questi paesi è una scommessa accettabile. Come ha detto lo stesso ‘ammiraglio’ Bauer, un attacco russo a questi agnelli sacrificali non scatenerebbe nemmeno una risposta della NATO, ma darebbe il via a un’utilissima propaganda di paura e a una maggiore militarizzazione che farebbe guadagnare all’Impero atlantico in disfacimento un altro mezzo decennio o più di tempo per nascondere i suoi problemi sistemici attraverso un maggiore allarmismo bellico.

Ricordate, quando una “guerra importante” è sempre alle porte, praticamente qualsiasi questione può essere messa da parte e marginalizzata come secondaria, qualsiasi disfunzione governativa viene messa al riparo – basta guardare gli indici di gradimento dei leader europei. Sotto la costante tensione della “guerra imminente”, queste cose diventano “giustificabili” in virtù della necessità da parte di una popolazione sovraccarica di paura e ansia.

L’indice di gradimento di Macron tocca il minimo storico:

Approvo: 19 % (-4)

Disapprovazione: 81 % (+4)

Ogni sorta di repressione civica e di negligenza governativa è ora coperta dalla cortina di fumo di questa “minaccia orientale”. Ma così facendo, i leader europei hanno precariamente legato la stabilità del loro intero ordine a un imperativo traballante: ecco perché, una volta che la Russia avrà forzato il suo collasso, la NATO e l’UE non avranno più alcuna base politica o strategica; sarà necessario saldare tutti i conti a lungo trascurati.

Il recente discorso psicotico di Merz sottolinea il tenore ostile degli atlantisti, sempre più disperati: non vogliono altro che le loro popolazioni impoverite e represse credano che l’unico modo per far fronte alla crisi sia quello di farli sentire in pace.unicoL’unica questione che conta nei prossimi anni è la solidarietà militarizzata contro l’Unica Grande Minaccia dall’Est:

Questa politica fatale sta portando l’UE, la NATO e l’intero carrozzone atlantista giù dal precipizio e dritto nell’abisso. L’unica domanda che resta da porsi è: fino a quando i cittadini europei sopporteranno leader così demenziali, che hanno distrutto i loro Paesi, un tempo fiorenti, e sacrificato il futuro dei loro cittadini per il mandato di un’élite di pochi?


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IlBarattolo dei suggerimentirimane un anacronismo, un arcaico e spudorato doppio gioco, per coloro che non possono fare a meno di elargire ai loro umili autori preferiti una seconda, ghiotta porzione di generosità.

La nuova strategia di alleanza_di GERMAN-FOREIGN-POLICY

La nuova strategia di alleanza

L’UE e il Giappone annunciano una cooperazione più stretta per garantire le loro catene di approvvigionamento e l’industria della difesa. L’obiettivo è una maggiore indipendenza nei confronti della Cina (terre rare) e degli Stati Uniti (difesa e settore militare).

24

Luglio

2025

TOKYO/BRUXELLES (cronaca propria) – L’UE e il Giappone vogliono intensificare ulteriormente la loro cooperazione e puntare a una maggiore indipendenza dalla Cina e dagli Stati Uniti. Questo è il risultato del vertice UE-Giappone di quest’anno, che si è tenuto ieri, mercoledì, a Tokyo. Secondo il vertice, entrambe le parti vogliono diventare indipendenti dalla Cina per quanto riguarda le terre rare e raggiungere una maggiore indipendenza economica sotto altri aspetti. Allo stesso tempo, stanno spingendo per un ambiente economico “stabile” – un chiaro posizionamento contro l’imprevedibile politica dell’amministrazione Trump, che opera anche con tariffe contro gli alleati. In particolare, l’UE e il Giappone puntano a una più stretta collaborazione tra i loro produttori di armi per espandere rapidamente la loro base industriale di difesa. L’UE punta a fare cose simili anche con altri Paesi, dal Regno Unito al Canada e alla Corea del Sud, utilizzando uno dei suoi programmi di armamento chiamato SAFE, che prevede prestiti agevolati fino a 150 miliardi di euro. In futuro, anche gli alleati non europei dovrebbero poterne beneficiare in una certa misura. I consiglieri governativi di Berlino parlano di una nuova “strategia di alleanza” – senza gli Stati Uniti.

I destinatari del vertice

L’UE e il Giappone vogliono collaborare più strettamente in futuro, in particolare nella politica militare e degli armamenti, nella creazione di catene di approvvigionamento indipendenti e nei tentativi di stabilizzare le organizzazioni internazionali. È quanto hanno deciso le due parti ieri, mercoledì, nel corso del loro incontro al vertice a Tokyo. Secondo l’accordo, è prioritario rafforzare le rispettive “basi industriali della difesa”[1]. A tal fine, sarà avviato un “dialogo sull’industria della difesa” per intensificare la cooperazione tra le industrie della difesa dell’UE e del Giappone. Inoltre, entrambe le parti si sono impegnate per un ordine economico “stabile e prevedibile” e intendono collaborare per “rafforzare e diversificare la catena di approvvigionamento dei minerali critici”. Il primo punto è chiaramente diretto contro la politica degli Stati Uniti, che utilizzano arbitrariamente le tariffe, ad esempio, per estorcere determinati servizi ad altri Paesi. La seconda mira a rendersi indipendenti dalla Cina per quanto riguarda le cosiddette materie prime critiche, in particolare l’approvvigionamento di terre rare. Anche l’UE e il Giappone si battono per un impegno alle Nazioni Unite. “I principali destinatari del vertice”, anche se non sono stati esplicitamente citati, sono stati “la Cina e gli Stati Uniti”, ha commentato seccamente un relatore tedesco[2].

“Stabilità e opportunità

Per spiegare il contesto politico, la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha affermato, in un discorso tenuto in occasione della cerimonia di conferimento della laurea honoris causa all’Università di Keio, che sebbene l’UE stia “ovviamente lavorando per riportare il nostro partenariato commerciale con gli Stati Uniti su basi più solide”,[3] è consapevole del fatto che “l’87% del commercio globale avviene con altri Paesi”, molti dei quali sono alla ricerca di “stabilità e opportunità”. Questo è il motivo per cui l’UE sta cercando di “approfondire i nostri legami” al vertice con il Giappone. È anche il motivo per cui “Paesi di tutto il mondo vengono da noi per fare affari: dall’India all’Indonesia, dal Sud America alla Corea del Sud, dal Canada alla Nuova Zelanda”. Tutti questi Paesi si preoccupano di “consolidare la propria forza e indipendenza”; tuttavia, questo obiettivo può essere raggiunto solo “lavorando insieme”. La Von der Leyen non ha esplicitamente menzionato gli Stati Uniti, il più stretto alleato dell’UE e del Giappone, in questo contesto.

Contesto ambivalente

Il contesto politico del vertice UE-Giappone è ambivalente. Negli ultimi anni, l’UE, ma anche alcuni Stati membri – tra cui in particolare la Germania – hanno cercato di rafforzare le loro relazioni con il Giappone. Il contesto è stato il tentativo di realizzare una stretta alleanza tra le potenze transatlantiche e i Paesi alleati nella regione Asia-Pacifico nella lotta tra grandi potenze contro la Cina. Di conseguenza, la NATO stava intensificando i contatti con il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia e la Nuova Zelanda (german-foreign-policy.com ha riportato [4]). L’alleanza militare continua a perseguire questo piano. Tuttavia, di recente tra gli alleati dell’Asia-Pacifico si è diffuso il malcontento per l’amministrazione Trump e la sua richiesta di un aumento eccessivo dei bilanci militari. Tra i Paesi partner della regione, tre dei quattro capi di Stato o di governo hanno annullato con poco preavviso la loro partecipazione al vertice NATO dell’Aia di giugno; solo il primo ministro del governo di destra neozelandese vi ha preso parte. Martedì il Giappone è riuscito a concludere un accordo doganale con l’amministrazione Trump, che non è stato così disastroso come si temeva. Tuttavia, l’accordo sta ancora causando danni all’economia giapponese e nessuno può essere certo che Trump sarà presto in grado di estorcere nuove concessioni ai suoi alleati aumentando arbitrariamente le tariffe statunitensi.

Ampliamento della base industriale della difesa

L’UE ha iniziato a intensificare la cooperazione con i Paesi occidentali e gli alleati della regione Asia-Pacifico a livello bilaterale, senza coinvolgere esplicitamente gli Stati Uniti. Un esempio di ciò è attualmente in corso nel campo della cooperazione in materia di difesa. Il programma dell’UE SAFE (Security Action For Europe) è il fulcro di questa cooperazione, nell’ambito della quale la Commissione europea concede prestiti agevolati per finanziare costosi progetti di armamento. Sebbene i progetti finanziati da SAFE siano in linea di principio aperti solo ai Paesi dell’UE, il programma prevede ogni tipo di eccezione, ad esempio per i Paesi dello Spazio economico europeo (SEE) come la Norvegia, nonché per i Paesi con cui l’UE ha concluso i cosiddetti accordi di sicurezza. Finora si tratta principalmente di Regno Unito, Canada, Giappone e Corea del Sud; l’Australia ha avviato colloqui per un accordo di questo tipo. Il coinvolgimento di altri Paesi è vantaggioso per l’UE perché le consente di accedere alle loro capacità industriali nella produzione di difesa. I Paesi cooperanti, a loro volta, beneficiano di prestiti favorevoli e di un’espansione del loro mercato di vendita. Bruxelles sta valutando di includere anche l’India. Un prerequisito fondamentale a tal fine sarebbe anche la rapida conclusione di un accordo di sicurezza con il Paese[5].

“Un polo a sé stante

A lungo termine, gli sforzi dell’UE per legare maggiormente a sé i Paesi non solo dell’Europa e del Nord America (Canada), ma anche della regione Asia-Pacifico, attraverso il SAFE, non mirano solo ad ampliare la base dell’industria della difesa, come hanno fatto o continuano a fare gli Stati Uniti con la coalizione F-35 o l’AUKUS. A lungo termine, il cartello europeo di Stati vuole anche “creare una nuova rete di partenariati”, secondo una recente analisi dell’Istituto tedesco per gli Affari Internazionali e di Sicurezza (SWP).[6] Tuttavia, il “prerequisito più importante per il successo” di una tale “strategia di alleanze” è “che l’UE stessa diventi attraente”, continua l’analisi: solo i Paesi che fanno grandi investimenti nelle proprie armerie, ad esempio, saranno interessanti per gli altri Paesi in termini di industria degli armamenti. Questo è uno dei motivi per cui l’UE farebbe bene a “collegare la cooperazione nei progetti di difesa con una cooperazione più ampia”, conclude il SWP, “ad esempio nella politica commerciale”. Si tratta di un aspetto strategicamente importante: “Se gli europei vogliono evitare di diventare una pedina di potenze straniere in un mondo sempre più caratterizzato da sfere di interesse, devono trovare la forza di diventare un polo proprio.”

[1] Dichiarazione congiunta del Vertice Giappone-UE 2025. Tokyo, 23 luglio 2025.

[2] Martin Kölling: Pressioni da Cina e Stati Uniti – UE e Giappone cooperano più strettamente. handelsblatt.com 23.07.2025.

[Von der Leyen: Stiamo lavorando per l’accordo con gli Stati Uniti, ma l’87% del nostro commercio è con altri Paesi. agenzianova.com 23.07.2025.

[4] Vedi NATO nel Pacifico e NATO nel mondo.

[5], [6] Nicolai von Ondarza: Contorni di una strategia di alleanza dell’UE. SWP-Aktuell 2025/A 28. Berlino, 10 giugno 2025.

Il piano di Trump per l’Ucraina: Gioco di potere o strategia di uscita?_di Sérgio Horta Soares

Il piano di Trump per l’Ucraina: Gioco di potere o strategia di uscita?

Scoprite la logica nascosta dietro il ritardo di Trump negli aiuti per le armi, le spaccature della NATO e le tattiche di realpolitik che stanno ridisegnando la politica estera degli Stati Uniti e il destino dell’Ucraina.

24 luglio 2025

∙ Pagato

A dramatic digital painting of President Donald Trump standing solemnly in a dark suit and red tie amidst a war-torn Ukrainian cityscape. The background is engulfed in flames and smoke, with a smoldering tank and a battered Ukrainian flag prominently visible, symbolizing the chaos and geopolitical weight of the Ukraine conflict.

Europe’s Military Gamble: Can Defense Spending Save Us?

Paulo Aguiar

20 lug

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Why Trump’s Russia Ultimatum Will Fail—and Backfire

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Perché l’ultimatum di Trump alla Russia fallirà e si ritorcerà contro di lui

Paulo Aguiar

16 lug

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Questo articolo è stato scritto dal collaboratore ospite Sérgio Horta Soares ed è stato revisionato e curato daPaulo Aguiarfondatore diPost-Liberal Dispatch.


Nella geopolitica non ci sono santi, ma solo attori che lottano per ottenere vantaggi, ammantando i propri interessi con il linguaggio della libertà, della democrazia e della preoccupazione umanitaria.

La recente coreografia che circonda l’apparente rientro dell’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump nel conflitto ucraino mette a nudo i meccanismi del potere così come funzionano in realtà: non attraverso imperativi morali, ma attraverso una calcolata ambiguità, la conservazione delle risorse e lo sfruttamento del tempo.

Quello che si presenta come un rinnovato sostegno all’Ucraina è, in sostanza, una performance meticolosamente architettata, progettata non per salvare Kiev, ma per liberare Washington. Le dichiarazioni di Trump di “miliardiLe sue minacce di “armi” e di tariffe contro le nazioni che acquistano il petrolio russo non sono espressioni di un impegno strategico, ma strumenti di teatro politico, segnali lanciati a un pubblico multiplo con agende concorrenti, nessuno dei quali è destinato a ricevere un messaggio chiaro.

Per capire questo gioco d’azzardo, bisogna innanzitutto comprendere la traiettoria della guerra. Dall’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, i Paesi occidentali (guidati dagli Stati Uniti) hanno fornito miliardi di armi, assistenza economica e intelligence all’Ucraina nel tentativo di respingere l’avanzata russa e prevenire il collasso dell’ordine di sicurezza europeo post-Guerra Fredda.

Inizialmente, questo sostegno è stato inquadrato in termini di valori: difesa della sovranità, della democrazia e del diritto internazionale. Ma quando la guerra si è trascinata fino al terzo anno, sono emerse delle crepe nella coalizione occidentale (costi crescenti, scorte di difesa in tensione e crescente opposizione interna a quello che molti vedono come un impegno a tempo indeterminato).



Sotto la retorica si nasconde una verità fondamentale: l’America si sta disimpegnando. Non con un ritiro decisivo, ma attraverso una forma di gioco di prestigio diplomatico. Riformulando il suo ruolo da arsenale a rivenditore di armi (insistendo sul fatto che le nazioni della NATO paghino “il cento per cento”).il cento per cento“Gli Stati Uniti trasformano il principio della difesa collettiva in una transazione commerciale.

La NATO, un tempo baluardo dell’obbligo reciproco, viene trasformata in un’agenzia di approvvigionamento. Alle nazioni europee non viene più chiesto di combattere al fianco degli Stati Uniti, ma di fare acquisti.

Il punto è che questo approccio suscita confusione e risentimento tra gli alleati. L’ambiguità strategica, da tempo un tratto distintivo della politica estera di Trump, non è un difetto ma una tattica deliberata. Mantenendo una posizione di impegno condizionato, gli Stati Uniti preservano la loro influenza, evitano un coinvolgimento definitivo e tengono in tensione sia gli avversari che gli alleati. Questa calcolata vaghezza consente una plausibile negabilità e rapide retromarce. Assicura che gli impegni possano essere revocati, che la colpa possa essere spostata e che i risultati possano essere ridenominati.

Ciò che emerge non è una politica, ma una postura, una posizione di forza slegata dagli obblighi. L’imposizione di tariffe posticipate e la promessa di armi che non arriveranno in tempo per influenzare l’attuale offensiva russa non sono errori strategici, ma espressioni di un intento strategico. Guadagnano tempo, non per l’Ucraina, ma per la Russia.

L’intelligence suggerisce che i comandanti russi ritengono di poter raggiungere obiettivi chiave sul campo di battaglia entro poche settimane, prima che il tempo e la logistica rallentino le loro operazioni. La scadenza di 50 giorni fissata da Trump per far scattare le sanzioni probabilmente non rientra in questa finestra. Non si tratta di una coincidenza, ma di complicità, velata da una deterrenza performativa.

L’Ucraina, sotto assedio e affamata di armi, deve decidere se gli aiuti promessi sono un’ancora di salvezza o un guinzaglio. Nel frattempo, Washington si copre le spalle, calibrando il suo coinvolgimento per ottenere il massimo ritorno geopolitico con la minima esposizione.



Le realtà materiali erodono ulteriormente qualsiasi illusione di un solido sostegno. Gli arsenali occidentali sono esauriti. Dal 2022, gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO hanno inviato all’Ucraina decine di migliaia di proiettili d’artiglieria, sistemi di difesa aerea e veicoli blindati. Tuttavia, la base militare-industriale dell’Occidente opera ancora con ritmi da tempo di pace, faticando a tenere il passo con le esigenze di una guerra ad alta intensità. La produzione di armi negli Stati Uniti e in Europa non è in grado di soddisfare la domanda a breve termine e i sistemi di armamento, come i Patriot promessi dalla Germania, vengonoritardatidi mesi.

Questi vincoli rivelano un crescente divario tra le intenzioni politiche e la fattibilità logistica. Senza un’urgente espansione della capacità industriale, gli sforzi occidentali rischiano di rimanere indietro rispetto all’economia di guerra della Russia, rendendo irrilevanti dal punto di vista operativo anche le strategie di sostegno ben pubblicizzate.

La frammentazione della NATO in risposta al piano Trump non è tanto un’aberrazione quanto una rivelazione.

Francia e Italiarifiutanola partecipazione, privilegiando l’industria nazionale e la restrizione fiscale. Ungheriasi astieneper motivi ideologici e la Repubblica Ceca preferisce meccanismi di aiuto alternativi. Anche le nazioni nominalmente elencate come partner (Finlandia, Danimarca, Svezia) eranosecondo quanto riferitoche si sono sentiti spiazzati dall’annuncio. Si tratta di un’improvvisazione che mette a nudo la fragile impalcatura dell’unità transatlantica, in cui ogni Stato calcola i propri interessi e prende le distanze dai fardelli che non può (o non vuole) portare.

In questo panorama fratturato, l’Ucraina non è un partner ma una merce di scambio, sfruttata tra potenze in competizione con priorità contrastanti. L’obiettivo finale di Trump non è la vittoria ucraina 

Il Kosovo nel (1981-1989):Una secessione silenziosa dalla Serbia e dalla Jugoslavia_ di Vladislav Sotirovic

Kosovo (1981-1989):

Una secessione silenziosa dalla Serbia e dalla Jugoslavia

Prefazione

Il periodo degli anni ’80 nella Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia fu caratterizzato da un governo federale impotente a Belgrado, con tutte e sei le repubbliche che esercitavano la propria politica autonoma e mostravano scarso interesse per gli interessi comuni jugoslavi. La popolazione non albanese della provincia meridionale serba del Kosovo e Metochia (KosMet, in inglese conosciuta solo come Kosovo) si trovava in una posizione isolata, senza una reale protezione politica e fisica. Va ricordato che dal 1974 al 1989 gli albanesi detenevano il potere politico-amministrativo totale nella provincia, che da un lato godeva di uno status formale di autonomia all’interno della Serbia, ma di fatto era indipendente sia dalle autorità repubblicane serbe che dal governo federale jugoslavo.

Proteste dei serbi e dei montenegrini

Nella pratica politica quotidiana, le autorità serbe comunicavano direttamente con i funzionari provinciali locali (di fatto il governo), che ignoravano le lamentele dei non albanesi, in particolare dei serbi e dei montenegrini. Gli attacchi contro serbi e montenegrini divennero sempre più frequenti e violenti, tanto che la popolazione, insicura, cominciò ad abbandonare la provincia a un ritmo costante. Ad esempio, dopo che le autorità repubblicane avevano ignorato numerose denunce, i contadini dei villaggi serbi di Batuse, Klina e Kosovo Polje (non di Pristina) decisero di trasferirsi collettivamente il 20 giugno 1986 dal KosMet alla Serbia centrale per non finire sotto l’amministrazione albanese. Tuttavia, immediatamente, Adem Vlasi, che all’epoca era segretario del partito comunista al potere per il KosMet (Savez Komunista Jugoslavije = Unione dei comunisti jugoslavi), cioè senza alcuna carica ufficiale, arrivò sul posto e fermò il convoglio diretto verso la Serbia centrale. La sua spiegazione del problema fu più che eloquente:

«Potete andarvene, ma uno alla volta, non tutti insieme!»

Allo stesso tempo, il presidente della Presidenza (governo) della Repubblica Socialista di Serbia, Ivan Stambolić (1986-1987), non poté fare assolutamente nulla, se non essere informato che persone indignate e amareggiate stavano tornando al loro “campo di concentramento” nel villaggio di Batuse, Klina e Kosovo Polje. Era davvero triste vedere la sua impotenza nel Paese di cui era il capo. Più tardi, quando Slobodan Milošević prese il potere in Serbia nel 1989, nessuno si preoccupò di ricordare questa scena paradigmatica come possibile spiegazione (se non necessariamente giustificazione) delle misure che prese riguardo agli affari del KosMet, che probabilmente sarebbero state prese in qualsiasi Stato democratico (occidentale) per proteggere i propri cittadini dal terrore inflitto da altri.

Una delegazione non ufficiale serbo-montenegrina giunse dal KosMet a Belgrado e fu autorizzata a parlare all’Assemblea federale, presieduta dal macedone Lazar Mojsov. La scena più toccante si verificò quando una donna di mezza età si alzò davanti al microfono e chiese piangendo:

«Nessuno si cura di noi nel KosMet, nessuno si cura di noi a Belgrado! A chi apparteniamo?!».

Tuttavia, sia il governo federale che quello repubblicano serbo non poterono fare nulla, vincolati dalle costituzioni jugoslava e serba. Il successivo presidente della Serbia, Ivan Stambolić (1936-2000/1986-1987) (che promosse il suo uomo di fiducia, Slobodan Milošević, alla carica di segretario del partito), si recò a Priština (centro amministrativo del KosMet) per cercare di calmare la situazione, ma invano. Iniziarono manifestazioni di massa, con serbi e montenegrini del KosMet che si radunavano sul prato davanti al palazzo del Consiglio comunale di Belgrado (proprio di fronte all’Assemblea federale), chiedendo udienza e aiuto. Ma i funzionari di Belgrado si limitarono a interventi formali nei confronti dei loro omologhi ufficiali del KosMet (di fatto, gli albanesi di etnia albanese). Questi sforzi inutili finirono come previsto: in un vicolo cieco. Poi accadde qualcosa che avrebbe deciso il destino immediato della Jugoslavia e della Serbia. Qualcosa che si sarebbe rivelato fatale sia per la Jugoslavia di Tito che per la Serbia.

Slobodan Milošević in Kosovo (aprile 1987)

Gli abitanti serbi di un villaggio del KosMet chiamato Zubin Potok (in italiano “ruscello di Zuba”) invitarono le massime autorità serbe a fargli visita nell’aprile 1987, per poter denunciare direttamente la loro situazione. Tuttavia, Ivan Stambolić, per qualche motivo, scelse S. Milošević al posto suo. A quel tempo, S. Milošević non ricopriva alcuna carica ufficiale in Serbia (era solo il presidente dell’Unione dei comunisti serbi), proprio come l’albanese Azem Vlasi nel KosMet. Probabilmente Ivan Stambolić aveva semplicemente paura di presentarsi di persona davanti a persone furibonde alle quali avrebbe pronunciato le solite parole di propaganda vuota sulla “fratellanza e l’unità” tipiche della Jugoslavia titista. Tuttavia, sapeva bene che i serbi arrabbiati richiedono molto più di un vuoto vocabolario politico.

I comunisti locali organizzarono una riunione a porte chiuse (faccia a faccia) nel municipio per “discutere la questione”. Tuttavia, naturalmente, la presenza del capo provinciale, Azem Vlasi, era inevitabile sul posto. Era in corso una lunga discussione quando si udirono grida dall’esterno che chiedevano a S. Milošević di uscire. Quando apparve davanti alla folla, che attendeva con ansia i risultati dell’incontro, vide la polizia (di etnia albanese) respingere la gente impaziente (serba). Poi qualcuno (serbo) gridò le parole fatali: “Siamo stati picchiati!”. E S. Milošević esclamò una frase altrettanto fatale, che sarebbe diventata il punto di riferimento della sua carriera:

“Nessuno può picchiarvi!”.

Il lungo incontro non portò a conclusioni immediate, ma questo incidente segnò la svolta nella carriera politica e nel destino di S. Milošević. Se dovessimo paragonarlo a un evento storico, forse il parallelo migliore sarebbe quello della mitologia cristiana, il momento in cui Giovanni Battista battezzò Gesù nel fiume Giordano, con lo Spirito Santo che scendeva dal cielo e entrava nel suo corpo. Secondo alcune interpretazioni, in particolare quelle gnostiche, fu allora che Gesù di Nazareth divenne divino, trasformandosi da uno dei tanti predicatori presenti in Palestina e dintorni in un profeta e Messia. Fantasia religiosa a parte, è ben possibile che Gesù abbia preso coscienza della sua “missione sulla Terra” e abbia iniziato la sua breve ma prolifica liturgia in Galilea.[1] Tuttavia, questo episodio gli fece capire che la questione KosMet, il vero problema del momento, rappresentava un’opportunità promettente su cui basare la sua carriera politica. E lui colse questa opportunità con tutto se stesso. Nel bene e nel male, comunque.

La politica di S. Milošević per l’unificazione della Serbia

Il suo obiettivo immediato era quello di togliere al KosMet la copertura di provincia intoccabile, dotata di tutti i diritti di uno Stato indipendente, tranne il diritto di secessione. La decisione non era facile da realizzare, sia dal punto di vista pratico che ideologico. È saggezza tradizionale che non si privi mai qualcuno dei diritti, dei privilegi, ecc. già posseduti, senza motivi validi.[2] Conoscendo la mentalità bellicosa della popolazione albanese del KosMet (originariamente montanari dell’Alta Albania), non ci si poteva aspettare un accordo molto razionale. La popolazione giovane, sovraffollata, disoccupata e insoddisfatta sotto ogni aspetto, sottoposta fin dalla prima giovinezza al lavaggio del cervello con mantra come “l’odio dei serbi”, ecc., era come un animale selvaggio da domare. E il cane era già stato sguinzagliato: il movimento secessionista.

Gli slogan secessionisti albanesi come “Repubblica del Kosovo” erano già nell’aria (anche in forma modesta fin dalle prime manifestazioni anti-jugoslave degli albanesi del Kosovo nel 1968). D’altra parte, gli attivisti locali non albanesi erano in movimento. Frequenti erano le visite ai funzionari provinciali locali, con richieste di migliori condizioni di vita per i serbi e tutti gli altri non albanesi nel KosMet. Come previsto, si rivelarono inutili, poiché i leader albanesi locali e provinciali (al potere) sapevano di possedere diritti legali, compreso quello di ignorare tutto ciò che non gradivano.

Furono pianificati e realizzati movimenti più massicci, con i serbi del KosMet che organizzarono grandi raduni fuori dalla provincia (nella Serbia centrale e settentrionale, cioè nella provincia autonoma della Vojvodina), con l’approvazione tacita e il sostegno dei leader del partito di Belgrado attorno a S. Milošević. Coloro che criticavano le sue promesse politiche, definite “facili promesse”, furono incautamente allontanati dalla scena politica (e quindi dal partito) serba. Lo stesso Ivan Stambolić fu rovesciato durante l’ottava riunione del partito nel 1987, tenutasi a Belgrado. Si dimise dalla carica di presidente e si ritirò nel settore bancario.[3] Il primo obiettivo politico di Milošević era lo status della Vojvodina come provincia autonoma, controparte serba settentrionale del Kosovo e Metochia, come territorio separatista della Serbia settentrionale. Se la provincia autonoma separatista del KosMet fosse stata abolita solo da un punto di vista politico-amministrativo (e non culturale-etnico-linguistico), ciò avrebbe colpito la Vojvodina separatista a favore dell’unificazione della Serbia, sebbene questa regione multietnica non fosse fonte di disordini e problemi in misura pari al KosMet.[4] La massiccia manifestazione tenutasi a Novi Sad nell’ottobre 1988 (capoluogo della Vojvodina), in cui i serbi del KosMet ottennero il sostegno di gran parte della popolazione locale, portò al rovesciamento del Comitato provinciale del partito e all’affermazione dell’influenza decisiva di S. Milošević (la “Rivoluzione dello yogurt”). Una manifestazione simile era stata programmata in Slovenia, ma fu vietata all’ultimo momento dalle autorità slovene (le autorità croate bloccarono il transito attraverso la Croazia dalla Serbia alla Slovenia), con grande costernazione della popolazione serba, sia sostenitrice che non sostenitrice di Milošević. Alla fine, S. Milošević riuscì a far approvare legalmente dall’Assemblea popolare serba (il Parlamento) l’abolizione di parti essenziali (politiche) delle autonomie provinciali sia del KosMet che della Vojvodina e lo smantellamento delle loro Assemblee. La Serbia tornò ad essere uno Stato unico e compatto. Almeno così sembrava a S. Milošević e ai suoi sostenitori.

La Serbia nella Jugoslavia titista

Il background ideologico della riunificazione della Serbia da parte della cerchia attorno a S. Milošević come Stato si basava sulla “teoria della cospirazione”, ovvero la politica serbofobica delle autorità jugoslave dalla fine della seconda guerra mondiale. Ciononostante, la Serbia era stata divisa dalla Costituzione federale jugoslava (dal 1945 al 1989) in tre parti per indebolirla, in quanto repubblica più grande, più popolata e più forte della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Demagogia a parte, questa divisione non era un esempio splendido di logica politica. Concedendo alla Vojvodina e al KosMet lo status di unità confederate, la Costituzione federale jugoslava lasciava la cosiddetta Serbia centrale in una situazione vaga, per non dire incredibile. La Serbia era un elemento costitutivo della federazione jugoslava, ma lo erano anche le sue due province separatamente. I parlamentari di queste ultime avevano il diritto di prendere decisioni riguardanti gli affari delle loro province, ma anche della Repubblica di Serbia nel suo complesso. Allo stesso tempo, i parlamentari della Serbia centrale potevano influenzare gli affari della Serbia centrale solo indirettamente, ma non quelli provinciali. Le province autonome avevano una propria assemblea. Pertanto, la Serbia non era divisa in tre parti equivalenti, ma aveva una struttura sia verticale che orizzontale, in cui non era possibile stabilire una gerarchia. Fu principalmente per questo motivo che lo slogan dell’epoca, «Oh, Serbia delle tre parti, tornerai ad essere un tutto unico!», guadagnò molta popolarità, non solo nei quartieri di Milošević.[5] Era opinione diffusa, a torto o a ragione, che tale divisione fosse parte di una cospirazione politico-nazionale delle altre repubbliche jugoslave contro la Serbia.

La stessa logica si rivelò operativa nel caso dell’ormai famoso Memorandum dell’Accademia Serba delle Scienze e delle Arti (SANU)[6] del 1986. I principali autori erano Vasilije Krestić, Antonije Isaković, Mihailo Marković, Kosta Mihailović, con il sostegno di Dobrica Ćosić (scrittore) e diversi altri accademici della SANU. Questo Memorandum non è mai stato accettato come documento ufficiale della SANU (era infatti incompiuto quando fu rivelato illegalmente al pubblico dai servizi segreti jugoslavi), ma è stato successivamente utilizzato come testimone chiave del presunto nazionalismo serbo (o di una cospirazione contro il resto della Jugoslavia e gli jugoslavi). In realtà, però, il Memorandum affrontava la situazione reale della Serbia in Jugoslavia, sostenendo che la Serbia era stata relegata in una posizione di inferiorità, in particolare in ambito economico. La logica tacita alla base di tale atteggiamento era la sensazione che le altre repubbliche ritenessero la Serbia troppo dominante e volessero quindi sopprimerla sotto ogni aspetto. In un certo senso, questa logica era vera e comprensibile. (Era la quintessenza, tra l’altro, della strategia britannica nei confronti dell’Europa continentale, che portò alle guerre napoleoniche e anche alla prima e alla seconda guerra mondiale). Lo slogan “Serbia debole – Jugoslavia forte!”, sebbene mai pronunciato pubblicamente, era nell’aria sin dalla fondazione del primo Stato comune jugoslavo, il 1° dicembre 1918.

La farsa del sistema educativo kosovaro

Quando entrarono in vigore le restrizioni all’autonomia delle province, la lotta tra il governo centrale di Belgrado (Serbia) e il governo provinciale di Pristina (Kosovo) acquisì nuovo slancio. Una delle prime misure adottate da Belgrado fu la soppressione della propaganda educativa filo-gran-albanese, che aveva portato a un odio viscerale nei confronti dei giovani albanesi del Kosovo, alimentato dai programmi scolastici filo-albanesi (importati persino dalla vicina Albania) e anti-serbi. La risposta immediata dei leader albanesi del Kosovo fu il ritiro delle scuole e dell’Università di Pristina dagli edifici ufficiali. Le lezioni si tenevano in case private e l’immagine complessiva suggeriva intenzionalmente uno stato di occupazione straniera, soprattutto per i media occidentali.

Un episodio di quel periodo rende bene l’idea della natura del conflitto. Gli alunni delle scuole primarie e secondarie frequentavano le lezioni negli stessi edifici, indipendentemente dalla loro etnia. Poiché i bambini non albanesi erano una piccola minoranza in molte scuole comuni[7], si sentivano a disagio nell’ambiente albanese, che non si mescolava con il resto degli alunni. Qualsiasi incidente poteva facilmente degenerare in qualcosa di grave, e le autorità di Belgrado decisero che gli alunni albanesi e non albanesi non potevano frequentare le stesse scuole contemporaneamente. La reazione degli albanesi locali fu davvero sorprendente. Dichiararono che le autorità serbe avevano intenzione di avvelenare i bambini albanesi depositando una polvere letale nelle scuole (il “veleno etnico-discriminatorio”, come lo chiamavano ironicamente i serbi). Una volta dato l’annuncio, gli alunni albanesi furono radunati e trasferiti negli ospedali vicini, dove i pazienti erano stati evacuati appositamente. Giornalisti, telecamere, ecc. furono invitati a testimoniare questo attacco contro bambini innocenti, che giacevano nei loro letti d’ospedale, quasi morti. Quando le telecamere lasciarono gli ospedali, ai bambini fu ordinato di alzarsi e tornare a casa.

I media pubblici serbi hanno dato molte interpretazioni dei veri obiettivi di questa e altre simili messinscene. Oltre alle motivazioni propagandistiche, sono state avanzate alcune interpretazioni più serie. Una di queste è stata quella di un alto ufficiale dell’esercito, secondo il quale l’intera messinscena era in realtà una prova generale per la situazione reale prevista di una ribellione armata e per la preparazione delle istituzioni mediche ad accogliere e curare i ribelli feriti. Una volta terminato il disastro di un solo giorno, la polvere mortale ha improvvisamente perso il suo potere e gli innocenti bambini albanesi sono tornati alle loro lezioni.

La farsa dello “sciopero della fame”

La farsa successiva, tuttavia, è stata molto più grave e politicamente pericolosa. I leader politici albanesi del Kosovo (Azem Vlasi in testa) organizzarono uno sciopero nella prospera (anche dal punto di vista europeo) miniera di carbone nero di “Stari Trg”,[8] vicino a Kosovska Mitrovica. I minatori albanesi scesero nei pozzi e si rifiutarono di uscire “fino a quando il Kosovo non sarà diventato una repubblica” (all’interno della Jugoslavia), annunciando uno “sciopero della fame” (etnico-politico). Le squadre mediche reagirono rapidamente, furono invitati i giornalisti, ecc. (tutto il necessario per lo spettacolo mediatico, anche all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale). Azem Vlasi, che avevamo incontrato in precedenza (di fatto un leader degli albanesi del Kosovo), si affrettò a scendere nei pozzi e ad annunciare il suo sostegno morale ai patrioti albanesi del Kosovo, ecc. La situazione è durata diversi giorni, fino a quando il governo di Belgrado ha inviato un’unità speciale di polizia che ha tirato fuori i minatori dalle loro “posizioni di sciopero”. Tuttavia, le squadre mediche erano pronte all’uscita e hanno fornito delle bende per gli occhi ai poveri minatori, privati della luce e messi in pericolo dall’oscurità, ecc. È stato sorprendente vedere minatori in condizioni evidentemente buone, che non erano preparati allo scenario e che hanno rifiutato di prendere le misure precauzionali offerte dal personale medico sul posto.

Dopo questo incidente, la situazione sulla scena politica serba si è ulteriormente aggravata. I serbi insoddisfatti della loro posizione nazionale in Jugoslavia, in particolare per quanto riguarda il KosMet, si sono riuniti davanti al palazzo dell’Assemblea federale jugoslava a Belgrado, in una protesta risoluta. Dopo qualche tempo, S. Milošević è apparso all’ingresso e si è rivolto alla folla. Ha parlato degli attuali affari del KosMet e dello sciopero dei minatori, promettendo di portare in tribunale tutti i politici (albanesi del Kosovo) coinvolti nel complotto contro lo Stato serbo. Era un chiaro riferimento ad Azem Vlasi. Continuando sulla stessa linea, S. Milošević fece dimenticare ai lavoratori presenti (parte della folla) le loro lamentele e richieste originarie. In realtà, ciò che S. Milošević fece in quella situazione fu esattamente ciò che i leader albanesi del Kosovo avevano fatto per decenni: trasformare la reale insoddisfazione sociale ed economica della provincia sovrappopolata in odio etnico, accusando i serbi e il governo centrale di Belgrado di tutti i problemi della provincia. Lo stesso è stato fatto in Croazia solo pochi anni dopo, quando le nuove autorità “democratiche” croate, guidate dal dottor Franjo Tuđman e dal suo partito nazionalista, l’Unione Democratica Croata (HDZ), hanno attribuito ai serbi la responsabilità di tutti i problemi della Croazia. Tuttavia, tutte queste manovre politiche si sono rivelate vincenti.

La farsa del processo per “alto tradimento”

La cosa fondamentale era che S. Milošević aveva mantenuto la promessa fatta alla folla di centinaia di migliaia di persone. Il leader politico albanese del Kosovo, Azem Vlasi, fu arrestato e accusato di “alto tradimento” contro l’integrità territoriale della Repubblica di Serbia. Non poteva desiderare di meglio: da apparatchik del partito comunista era diventato l’eroe nazionale (albanese del Kosovo). Mentre era in attesa di processo, in tutta la KosMet cominciarono a circolare canzoni su di lui. Quest’ultimo si è tenuto dopo un anno, a Kosovska Mitrovica, nella parte settentrionale del KosMet abitata dalla maggioranza dei serbi. Il giudice era un albanese che, dopo un lungo processo, ha assolto l’imputato. L’intera farsa è stata una beffa fin dall’inizio. L’obiettivo di S. Milošević era quello di eliminare un nemico politico pericoloso e popolare dalla scena politica sia del KosMet che del resto della Serbia. Ma il risultato fu, come prevedibile, controproducente. Azem Vlasi fu trasformato in un martire nazionale kosovaro, perseguitato dai malvagi serbi. L’intera vicenda mise in luce tutta l’incompetenza politica di S. Milošević, che alla fine avrebbe potuto costare alla Serbia la sua stessa esistenza. All’epoca di questi eventi, il boicottaggio kosovaro della Serbia e delle sue istituzioni era già quasi totale. La gente comune, soprattutto i giovani, smise di comunicare con i non albanesi, in particolare con i serbi della Serbia centrale. Si rifiutavano di parlare con i giornalisti di Belgrado, voltavano le spalle alle telecamere, ecc. L’odio era quasi palpabile nell’aria. La situazione divenne surreale, con la realtà che non corrispondeva affatto a quella ufficiale e amministrativa. C’era un bisogno urgente di risolvere questa situazione surreale. La soluzione arrivò in due fasi. Il primo fu la disintegrazione della Jugoslavia. Il secondo, la guerra del Kosovo del 1998-1999.

Dr. Vladislav B. Sotirovic

Ex professore universitario

Ricercatore presso il Centro di studi geostrategici

Belgrado, Serbia

© Vladislav B. Sotirovic 2025

www.geostrategy.rs

sotirovic1967@gmail.com

Riferimenti

[1] Un paragone più banale potrebbe essere quello con la visita del presidente degli Stati Uniti Robert Kennedy nei sobborghi poveri di New Orleans, quando vide con i propri occhi la miseria dei suoi compatrioti neri (afroamericani).

[2] È questa la logica secondo cui si preferisce sottopagare i dipendenti piuttosto che pagarli troppo.

[3] Prima delle elezioni generali del 2000, è stato rapito e ucciso sulla montagna Fruška Gora, vicino a Novi Sad.

[4] Va sottolineato che una consistente minoranza ungherese vive lì da secoli. Nel 1945, quando furono liberati dall’occupazione tedesca, gli ungheresi erano quasi numerosi quanto gli albanesi nel KosMet.

[5] Oj Srbijo iz tri dela,

ponovo ćeš biti cela!

[6] Srpska Akademija Nauka i Umetnosti (SANU).

[7] Si noti che la percentuale di bambini albanesi superava di gran lunga la media dell’intera popolazione del KosMet, poiché la distribuzione per età favorisce ancora di più i giovani albanesi.

[8] La piazza vecchia (mercato), in serbo.

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Zelensky “annulla” le modifiche anti-corruzione nonostante le pressioni, ma l’ira della mafia non si è ancora placata_di Simplicius

Zelensky “annulla” le modifiche anti-corruzione nonostante le pressioni, ma l’ira della mafia non si è ancora placata

25 luglio
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Oggi, Zelensky avrebbe fatto marcia indietro sulla sua presa ostile delle agenzie anti-corruzione “ucraine” presentando un nuovo emendamento alla legge che pretende di restituire loro “l’indipendenza”. Ma ci sono alcuni problemi.

In primo luogo, la Verkhovna Rada si è “opportunamente” fermata per una pausa di settimane subito dopo aver firmato il disegno di legge precedente diversi giorni fa, quindi resta da capire quale sia il senso delle rapide revisioni di Zelensky se non possono essere ratificate dalla Rada in tempi brevi. Potrebbe essere una tattica dilatoria, ma staremo a vedere.

In secondo luogo, non è ancora chiaro cosa Zelensky abbia modificato esattamente per “garantire” l'”indipendenza” delle agenzie SAPO e NABU. Dalle poche informazioni che ho potuto raccogliere finora, sembra che ripristinerà l’indipendenza annullando la “subordinazione” precedentemente imposta di queste agenzie al procuratore generale ucraino.

Tuttavia, scavando un po’ più a fondo, sembra che Zelensky abbia semplicemente introdotto qualche altro trojan di controllo nelle agenzie con questa revisione. Ad esempio, alcune fonti indicano la presenza di nuove “unità di controllo” interne a queste agenzie, che opererebbero secondo “metodologie approvate dall’SBU”. Possiamo solo ipotizzare cosa significhi esattamente, ma specifica anche che l’SBU avrebbe la possibilità di condurre test della macchina della verità sui membri dell’agenzia. In breve, queste misure potrebbero dare a Zelensky la possibilità di rimuovere agenti indesiderati o che hanno oltrepassato i limiti – ovvero coloro che potrebbero presumere di indagare sui crimini di Zelensky o su quelli della sua cerchia ristretta – attraverso questi “organismi di controllo interno” con apparenti legami con l’SBU. In questo modo, le agenzie potrebbero mantenere una facciata di “indipendenza” in apparenza, ma consentire comunque a Zelensky di disporre di sottili leve di controllo per garantire che non vengano mai usate come strumenti di coercizione contro di lui e la sua cricca.

Detto questo, secondo quanto riportato da Ukrinform , entrambe le agenzie avrebbero approvato le modifiche :

Sia NABU che SAPO hanno espresso il loro sostegno al disegno di legge, affermando che esso ripristina tutte le garanzie di indipendenza per entrambe le istituzioni.

“Il disegno di legge n. 13533, presentato dal Presidente dell’Ucraina come urgente, ripristina tutti i poteri procedurali e garantisce l’indipendenza di NABU e SAPO”, hanno affermato le agenzie in una dichiarazione congiunta.

La domanda è: il danno è già stato fatto? La gente continua a protestare, il popolo online è ancora in rivolta contro Zelensky e i giornali occidentali continuano a gridare richieste di rimozione:

https://www.telegraph.co.uk/news/2025/07/24/zelensky-must-go-for-sake-of-ukraine/

Nonostante la sua “correzione”, Zelensky ha comunque esaurito la sua accoglienza presso molti. Un campione del sentiment online mostra che molti ucraini credono che, nonostante questa apparente inversione di rotta, Zelensky abbia comunque “rivelato il suo vero volto” tentando persino di “sovvertire” o “indebolire” le agenzie anti-corruzione improvvisamente “cruciali”.

Le proteste sono continuate stasera:

Di conseguenza, molte persone sono implacabili e non provano più alcuna simpatia per il loro amato leader di guerra. L’articolo del Telegraph qui sopra, ad esempio, elenca una litania di lamentele: dalle repressioni di Zelensky contro gli oppositori, alla chiusura di media e aziende dell’opposizione, alla protezione dai procedimenti giudiziari di “alti membri del governo” favoriti dallo stesso Zelensky. È come una brutta rottura in cui tutti i torti accumulati iniziano finalmente a riaffiorare in superficie.

Da parte sua, il Politburo dell’UE ha rilasciato una dichiarazione “cauta” che esprime approvazione per le misure adottate “finora” per migliorare la situazione, ma dimostra che l’UE non è ancora pienamente convinta della sincerità di Zelensky:

L’UE ha riconosciuto gli sforzi dell’Ucraina per rispondere alle preoccupazioni sollevate, ma ha affermato esplicitamente la necessità di misure concrete e concrete per garantire l’indipendenza delle sue istituzioni anticorruzione: l’Ufficio nazionale anticorruzione (NABU) e la Procura specializzata anticorruzione (SAP).

Ricordatevi che la sottomissione alla dittatura dell’UE deve essere totale e inequivocabile.

Torniamo brevemente ai progressi in prima linea di cui non abbiamo parlato l’ultima volta.

Le forze russe hanno continuato ad avanzare sul fronte occidentale di Zaporozhye, oltre Kamyanske, appena conquistata:

Come si può vedere, si espansero ulteriormente a nord e a est per irrigidire la linea e attraversarono anche metà della città successiva, Plavni.

Poco più a est di lì, fecero una piccola avanzata attraverso Mala Tokmachka, conquistando nel frattempo altri campi appena a sud per coprire i fianchi dell’avanzata attraverso la città:

Sono emerse riprese del 70° reggimento russo della 42ª divisione fucilieri motorizzata che prende la parte orientale di Mala Tokmachka:

Ecco solo il filmato della battaglia:

Si può vedere un BMP colpito, ma comunque in grado di scaricare i suoi uomini sul bersaglio e ritirarsi. Geolocalizzazione del filmato qui sopra:

Sulla linea Velyka Novosilka, praticamente tutto fu ampliato con nuove conquiste per spianare l’intero fronte:

In particolare, gran parte di Voskresenka fu conquistata, così come le aree appena a nord e a sud. Gran parte di Novokhatske, a nord, e le aree intorno a Tolstoj furono conquistate, con Zeleniy Hai già sotto assedio e i suoi dintorni conquistati:

Qui sopra potete vedere che anche Dachne è stata completata e le aree circostanti sono state conquistate per rinforzare i fianchi.

Gli sviluppi più interessanti si verificarono appena a nord, nella zona assediata di Pokrovsk.

In primo luogo, è già stato confermato che i DRG russi operano in profondità all’interno della città, devastando completamente le comunicazioni e le retrovie ucraine. Le unità dell’AFU lamentano un forte aumento del fuoco amico, reagendo nervosamente a ogni vista e suono.

Il video che ha fatto il giro diversi giorni fa e che ha dato inizio al grande allarme infiltrazione era il seguente: mostrava un’unità ucraina nel profondo di Pokrovsk che veniva colta in un’imboscata mentre percorreva la strada:

Geolocalizzazione dell’imboscata del Deep State ucraino:

È emerso un altro video non confermato che mostra truppe russe, presumibilmente ancora più in profondità a Pokrovsk, mentre parlano con un civile liberato (viene persino fornita una geolocalizzazione).

Un canale televisivo di alto funzionario militare ucraino scrive quanto segue:

Un altro aspetto che la situazione denota è che Pokrovsk non ha più nemmeno una difesa completa, e in una certa misura rappresenta una zona grigia in cui i DRG o gli Spetsnaz russi sono già in grado di operare liberamente. Certo, alcuni canali ucraini continuano ad affermare che questi DRG vengono costantemente “distrutti”, eppure finora sono riusciti a pubblicare solo una foto inconcludente di un solo “soldato russo” eliminato.

Al momento in cui scrivo, l’ultimo aggiornamento afferma che le forze russe hanno catturato sia Leontovychi che Troyanda e hanno già iniziato a entrare in forze nei sobborghi di Pokrovsk:

Bisognerà attendere e vedere se ciò sarà vero, ma in tal caso si tratterà ovviamente di uno sviluppo di portata enorme che potrebbe significare l’inizio della fine di Pokrovsk.

Ciò che ha contribuito a facilitare questi successi è stato l’altro grande successo sul versante settentrionale di Pokrovsk. L’altro ieri le forze russe hanno sfondato nelle aree cerchiate in rosso, secondo alcune fonti interrompendo l’autostrada principale che porta a Nove Shakhove, o quantomeno ponendola sotto il controllo dei droni:

Alcune fonti sostengono ancora oggi che Novoekonomichne sia stata completamente conquistata e che le forze russe stiano entrando nella periferia di Mirnograd. Le informazioni sono particolarmente volatili al momento, data la natura in continua evoluzione, quindi prendete tutto con le pinze finché non ci saranno conferme concrete.

Da uno dei principali canali militari russi:

Direzione Pokrovsk (Krasnoarmeysk) Le unità del raggruppamento “Centro”, dopo aver preso Novoekonomicheskoye, sono entrate a Mirnograd (Dimitrov) da est e da sud.

Si può affermare che le forze russe hanno ormai iniziato l’assalto anche a Mirnograd.

A Pokrovsk, le forze di Kiev stanno allestendo difese direttamente all’interno della città, soprattutto nella zona dei grattacieli. Hanno persino costruito fortificazioni a forma di “denti di drago”.

La situazione in città è estremamente dinamica. Le forze di Kiev non comprendono appieno quali aree siano sotto il controllo russo, il che a volte porta a episodi di “fuoco amico”.

Le unità russe stanno attaccando le posizioni nemiche nella periferia occidentale, vicino all’autostrada T-0406. Tra le altre aree, Pershe Travnya (Leontovichi) è oggetto di lavori da parte delle unità russe. I combattimenti sono iniziati nella periferia orientale di Krasny Liman e continuano nei pressi della miniera di Krasnolimanskaya, di Suvorovo, Nikanorovka e Shakhovo. Le forze russe stanno anche avanzando verso Belitskoye.

È interessante notare che, proprio mentre ciò accadeva, è stata annunciata un’evacuazione di emergenza obbligatoria per un gruppo di città appena a nord di Pokrovsk:

Immagino si possa dire che questo non sia esattamente un buon auspicio per l’Ucraina in questo ambito.

Ci furono altre avanzate intorno a Konstantinovka, in particolare la cattura di Bila Hora, così come nella regione di Kupyansk. Ad esempio, da una fonte ucraina:

️ L’ufficiale militare ucraino Bunyatov riferisce che le forze russe sono entrate a Torske in direzione Lyman e stanno tentando di accerchiare le unità delle Forze Armate ucraine

“Il nemico si è infiltrato a Torske e ha assunto una posizione difensiva circondata: tali azioni contribuiscono a destabilizzare la nostra difesa e l’avanzata nemica in questa direzione. C’è anche un’avanzata che assomiglia a un'”appendicite” verso sud-est, quindi il nemico sta cercando di attuare un piano per “delineare” l’accerchiamento sui fianchi di Torske”, lamenta Bunyatov.

Ma per ora lasciamo perdere, perché è meglio non distogliere l’attenzione dall’escalation dello scontro a Pokrovsk, che molto probabilmente diventerà presto il fulcro della discussione.

Passiamo ora ad alcuni ultimi aggiornamenti:

Le delegazioni russa e ucraina si sono incontrate di nuovo a Istanbul. Questa volta l’incontro è sembrato ancora più banale, durando a quanto pare solo mezz’ora e non ottenendo altro che un altro scambio di prigionieri. Entrambe le parti sono più che mai radicate nelle loro posizioni e non si registra alcun progresso su eventuali “compromessi” per porre fine alla guerra. Il negoziatore russo Medinsky ha infatti evocato la Seconda Guerra Mondiale affermando che, nonostante le numerose sanzioni imposte alla Russia dal 1920 in poi, è comunque riuscita a combattere la Seconda Guerra Mondiale per anni e alla fine ne è uscita vittoriosa.

Per quanto riguarda gli scambi, si dice che la parte ucraina non abbia praticamente più prigionieri russi da scambiare, poiché persistono voci secondo cui l’Ucraina continua a offrire alla Russia di tutto, dai civili catturati ai prigionieri politici, fino ai cadaveri dissotterrati della Seconda Guerra Mondiale, in cambio di prigionieri di guerra ucraini. Nel frattempo, fonti ucraine stesse confermano che la Russia ha ancora oltre 8.000 di questi prigionieri di guerra ucraini:

https://united24media.com/war-in-ukraine/quanti-prigionieri-ucraini-sono-in-cattività-russa-e-cosa-sappiamo-di-loro-7655

Belousov supervisiona l’introduzione di un nuovo sistema di comunicazioni tattiche e di consapevolezza situazionale per i comandanti, anche se non viene specificato di quale si tratti esattamente:

Nel frattempo, i team russi presentano un nuovo sistema EW fai da te per intercettare i segnali dei droni. Per quanto possa sembrare bizzarro, ne dimostrano il funzionamento su un drone campione:

Spiegel conferma le indiscrezioni secondo cui i Patriots promessi da Trump non potranno essere consegnati prima del 2026, e la maggior parte non prima di quella data:

Nel frattempo, anche il ministro della Difesa tedesco Pistorius conferma di essere completamente confuso dalle promesse fatte da Trump a nome della Germania e di non avere idea di cosa sia stato inviato all’Ucraina:

Come sospettato, pare che Trump stesse semplicemente inventando cose al volo, come è solito fare, e altri suoi seguaci e vassalli sono costretti a fare pulizia in seguito, nel tentativo di mantenere le sue vane vanterie o promesse infondate.

Parlando di rifornimenti e munizioni, Syrsky ha dichiarato al WaPo che l’Ucraina sta di nuovo esaurendo le scorte di proiettili da 155 mm, contraddicendo i recenti pareri secondo cui l’Ucraina avrebbe finalmente raggiunto una sorta di “parità” con le capacità di artiglieria russa:

https://www.washingtonpost.com/world/2025/07/23/ukraine-syrsky-interview-war-trump/

A proposito, l’articolo sopra citato evidenzia la grottesca falsità dei resoconti occidentali sulle perdite russo-ucraine. Ci insegnano costantemente che la Russia deve subire perdite più pesanti dell’Ucraina perché la Russia è sempre all’offensiva. Eppure Syrsky afferma con faccia tosta che l’Ucraina ha subito meno perdite della Russia durante l’incursione di Kursk, cosa che il Washington Post non si preoccupa affatto di mettere in discussione, nonostante la natura farsesca della menzogna:

L’occupazione di Kursk alla fine uccise o ferì almeno 80.000 soldati russi, ha detto Syrsky. Si è rifiutato di rivelare le vittime ucraine, ma ha affermato che erano significativamente inferiori a quelle russe.

Che barzelletta! Sia la rivendicazione che il WaPo sono considerati una “pubblicazione” legittima.

Zaluzhny ha rilasciato anche interessanti dichiarazioni in una nuova intervista, tra cui quella secondo cui dalla fine del 2023 la Russia è passata completamente a una guerra di logoramento e che, a suo avviso, la guerra potrebbe durare fino al 2034:

 L’Ucraina è entrata in una nuova fase: la guerra potrebbe durare fino al 2034, – ex comandante in capo delle Forze Armate dell’Ucraina, ambasciatore in Gran Bretagna Zaluzhny

“L’Ucraina è entrata in una nuova fase. Se ci limitiamo a raggiungere un cessate il fuoco senza predisporre una difesa per il futuro, durerà a lungo. È iniziato nel 2014 e, se Dio vuole, finirà nel 2034”, ha detto Zaluzhny.

Ha osservato che la “vecchia” guerra è terminata alla fine del 2023 e ora la Russia sta utilizzando una tattica di logoramento posizionale, non per avanzare, ma per distruggere l’esercito ucraino.

Allo stesso tempo, ritiene che né l’Ucraina né la Russia abbiano abbastanza uomini per una guerra del genere.

RVvoenkor

Menziona l’attuazione di difese sistematiche. Ecco un nuovo video di una delle grandi linee difensive che si dice siano in costruzione lungo il confine di Dnipropetrovsk e oltre. Si può vedere come venga impiegato un lavoro primitivo, ma che la portata dei fossati anticarro sta comunque aumentando:


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Gli archetipi della successione, di Cesare Semovigo

Gli archetipi della successione
La scena ucraina, a metà 2025, è divenuta la sintesi cosciente della crisi del modello occidentale: mutazione accelerata, tensione tra sopravvivenza della forma e bisogno di mutamento. Dopo il ciclo delle grandi controffensive e delle narrazioni d’acciaio, il sistema di Kiev appare prigioniero della necessità archetipica di un simbolo e un garante — ma non necessariamente l’attore che lo interpreta deve essere lo stesso uomo.
Volodymyr Zelensky verso la sua consacrazione ad Archetipo
La sopravvivenza della “causa Ucraina”, agli occhi di alleati e società, passa anche dalla sua presenza — come funzione simbolica, come “capitale residuo”, come garanzia della resistenza esistenziale. Action man.
Arrivato a un consenso dimezzato e polarizzato, con pressioni ormai evidenti dagli alleati per una successione ordinata, la sua esfiltrazione (logistica o almeno politica) diventa opzione concreta oltre la sua incolumità effettiva. La necessità di mantenere intatto il simbolo — anche fosse su un altro scacchiere, in ruoli internazionali, o attraverso una “uscita alta” — viene discussa a porte chiuse, nelle ambasciate e nelle società di consulenza strategica occidentali.
In una riunione a luci basse, un consigliere occidentale avrebbe osservato: “In questa fase, Zelensky può salvare più da remoto che da vicino: l’icona funziona solo se resta intatta”.
Valeriy Zaluzhny è, nel frattempo, stato oggetto di una delle “mosse di parcheggio” più cariche di presagio della storia recente: spedito a Londra con le insegne di ambasciatore ben prima della transizione aperta, quando il suo consenso in patria superava quello del presidente.
Il sistema lo ha già scelto come “designated survivor”: una figura che resta inattiva su carta, ma pronta e in regia, circondata da reti alleate e operatori della diaspora, capace di tornare “funzionale” sia nel caso di crisi interna, sia come soluzione gradita agli sponsor euro-atlantici.
Negli incontri UE-NATO a Kiev, è circolata la battuta — “In Ucraina il più potente è quello che non parla” — parte il brindisi, per alcuni imbarazzo e per altri un sollievo.
Le profonde divergenze tra Zelensky e Zaluzhny — su strategia, mobilitazione, perfino sulla narrazione pubblica della guerra — sono state il motore segreto della recente “putsch bianco”, dove la sostituzione ha permesso, almeno per ora, di non spezzare la cornice della legittimità. La nuova fase vede Zaluzhny a Londra come garanzia di continuità, pronto a rientrare se e quando il sistema (interno o esterno) giudicherà esausta la traiettoria di Zelya.
Nel frattempo, il conflitto intraoccidentale, soprattutto tra l’asse UK-FR e la prudenza tedesca, si acuisce e modula ogni gioco ucraino: armi, tempistiche negoziali, retoriche di coesione, tutto è oggetto di scambio e bilanciamento continuo, fattore che disorienta Kiev e complica qualsiasi transizione lineare del potere, se non abilmente sceneggiata. Niente scherzi, l’imprevisto mette ansia. Meglio preparare un copione prepagato. Caro.


Sul Mar Nero, la costante presenza dei tre assetti EW (guerra elettronica top gamma e ricognizione: olandese, francese, britannico) evidenzia il massimo livello di vigilanza alleata e funge da monito operativo e politico: è sia deterrente verso Mosca che rassicurazione attiva verso i partner interni e la società civile, in modo che nessun vuoto di potere passi inosservato e nessuna crisi resti senza supervisione.
Un giovane analista della Nato ha sussurrato: “Questi aerei non scrutano solo i radar russi. Cercano anche il segnale che Kiev cambia pagina, per avvertire chi e chi di dovere”.
Macro : risonanza del futuribile
Più in generale, questa fase sancisce il passaggio dall’idea di crisi isolata a quella di sistema di crisi concatenate. Tutto il Mar Nero, il Baltico, il Caucaso risuonano della stessa incertezza: i polverieri congelati possono riattivarsi, ma il focus — come in un laboratorio da guerra fredda — rimane su Kiev, case study eurasiatico di successione archetipale pilotata.
La dialettica tra la funzione simbolica (esfiltrare e salvare Zelya, investirlo di ruolo internazionale, mantenendo così intatto il racconto della “giusta causa occidentale”) e quella “tecnico-militare” (parcheggiare e poi rilanciare Zaluzhny come erede legittimo e praticabile) è la grammatica segreta della governance ucraina odierna, e — di riflesso — della postura occidentale nei confronti dell’intero fronte euroasiatico.
A Bruxelles circola una vecchia massima diplomatica: “È bene lasciare sempre una stanza con due uscite.” In queste settimane, la frase rimbalza tra appunti riservati e messaggi cifrati, mentre la partita sui nomi tiene col fiato sospeso anche chi conta su altri tavoli.
Le crisi regionali — dalla tensione a Kaliningrad ai nuovi attriti caucasici, alla partita energetica del Mediterraneo — compongono un cortile allargato in cui ogni cambio-mossa a Kiev produce eco e riverberi: una risonanza di aspettative, sorveglianze e accelerazioni che renderà impossibile, nelle prossime settimane, separare il destino dei singoli attori da quello del sistema complessivo.


La “transizione soft” pianificata — con esfiltrazione di Zelya e riattivazione di Zaluzhny — è oggi tanto una soluzione tecnica quanto un gesto rituale, che serve a rassicurare ciascun livello (interno, alleato, mediatico) e a prolungare l’utilità agonistica e simbolica di una crisi che, nella realtà, è ormai più sistemica che internazionale.

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GUERRA D’UKRAINA:HA RAGIONE PUTIN_di Michele Rallo

Un interessante compendio storico degli articoli di Michele Rallo riguardanti il conflitto ucraino

BOMBE CONTRO LE
OLIMPIADI INVERNALI,
MA IL VERO BERSAGLIO
É PUTIN

I nostri governanti non se ne sono accorti, ma il
fondamentalismo islamico sta conquistando tutti i territori a
sud dell’Europa e si prepara a cingere d’assedio il Vecchio
Continente. Con la regìa – neanche tanto nascosta –
dell’Arabia Saudita e con la benedizione di USA e Israele.
Hanno cominciato con le “primavere arabe”, che hanno
abbattuto i regimi laici e filoeuropei dell’Africa
settentrionale: quelli di Ben Alì in Tunisia, di Gheddafi in
Libia, di Mubarak in Egitto. Hanno proseguito con l’assedio
al blocco sciita anti-Al-Qaeda: le sanzioni contro l’Iran,
l’aggressione armata alla Siria, le bombe per destabilizzare
l’Irak e il Libano. E adesso tentano il colpo grosso:
incendiare il Caucaso del Nord, cioè la regione più
meridionale della Russia europea, una regione strategica,
vitale per garantire la sicurezza della più orientale e più
grande delle nazioni europee.
Perché l’alleanza saudito-americano-israeliana vuole
attentare alla Russia? Semplice: perché, fino a quando Putin
darà continuità alla diplomazia russa (sempre la stessa, dallo
zarismo al comunismo al postcomunismo) non sarà possibile
annientare l’Iran e, con esso, la dissidenza sciita all’interno
del mondo musulmano e, in particolare, di alcuni staterelli
inzuppati di oro nero. Ma anche perché – cosa forse più
importante – fino a quando la Russia non accetterà la
leadership americano-saudita nel mercato mondiale degli
idrocarburi (petrolio e gas), tutte le nazioni d’Europa e del

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mondo intero disporranno sempre di un’alternativa per i loro
approvvigionamenti, senza essere obbligate a rifornirsi per
forza dagli sceicchi che – com’è noto – sono in società con le
multinazionali americane ed anglo-olandesi.
Ora, Putin non sembra affatto intenzionato a frenare la
produzione russa di idrocarburi. Anzi, pare proprio il
contrario. I dati della produzione 2013 – appena diffusi –
confermano che la Russia rimane al primo posto nella
estrazione complessiva di gas e petrolio, superando sia
l’Arabia Saudita che gli Stati Uniti. Le stime per il 2014 sono
di un ulteriore incremento: e non soltanto della produzione,
ma anche – cosa che immalinconisce le Sette Sorelle – delle
esportazioni. Ecco perché, da qualche tempo a questa parte,
Putin è diventato la bestia nera del circo mediatico mondiale.
Naturalmente, non potendogli contestare genocidi o crimini
di guerra, ci si accontenta di quel che offre il mercato…
Chessò, una condanna a due anni di carcere per le Pussy Riot,
o l’accusa di omofobia (per una legge contraria non
all’omosessualità ma alla sua apologia).
E vedrete cosa succederà a febbraio, quando si
apriranno i giochi olimpici invernali di Sochi, importante
città russa sul Mar Nero. Già il primo ad aprire le danze è
stato il Premio Nobel per la pace Barak Obama, il quale ha
annunziato con grande solennità di voler disertare la
cerimonia inaugurale delle Olimpiadi. Sùbito dopo – con
ammirevole sincronismo – i fondamentalisti islamici hanno
piazzato due bombe devastanti a Volgograd, a due passi da
Sochi. La stampa “democratica” di tutto il mondo, intanto,
affila le armi, pronta a riversare fiumi di fango sulla Russia e
sul suo Presidente. L’operazione è avviata: dipingere Putin
come un bieco dittatore, come un Gheddafi, come un Assad.
Certo, nessuno pensa di inviare eserciti mercenari per
abbattere il potere legittimo (e validato da regolari elezioni)
di Vladimir Putin. La manovra è riuscita in Libia, ma già in

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Siria è andata a sbattere malamente. In Russia non avrebbe
una possibilità su un milione di riuscire. Tuttavia, qualcuno
continua a soffiare sul fuoco dell’islamismo in salsa
caucasica. E noi europei, come al solito, non abbiamo capito
nulla. Così come non abbiamo capito nulla quando lo stesso
“qualcuno” ha distrutto quel pilastro di stabilità che – pur con
tutte le sue pecche – era la Libia di Muhammar Gheddafi.

[“Social” n. 86 – 10 gennaio 2014]

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Gli echi di Maidan segnano l’improvvisa caduta di Zelensky dalla grazia

Gli echi di Maidan segnano l’improvvisa caduta di Zelensky dalla grazia

Simplicius 23 luglio
 
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Sembra che le voci su un’eliminazione di Zelensky da parte di Trump abbiano avuto un senso, dato che questa sera sono usciti i coltelli per Zelensky e la sua banda. Ciò che era iniziato come una lamentela contro le spinte di alcuni organi irrilevanti gestiti da ONG si è trasformato in una sorta di “Maidan” contro l’ormai sfavorito leader ucraino.

Come sempre, i giornali dell’establishment sono stati rapidi nel coordinare la messaggistica per stimolare la spinta:

La cosa più sorprendente di questa caduta di stile è l’audacia con cui gli attori prescelti recitano le loro battute, facendo leva su alcune immaginarie “repressioni” di un paio di organizzazioni che praticamente nessuno ha mai sentito nominare o di cui non si è mai interessato fino a pochi giorni fa, in questo caso il NABU (National Anti-Corruption Bureau of Ukraine) e il SAPO (Specialized Anti-Corruption Prosecutor’s Office). Ci sono una miriade di altre preoccupazioni molto più urgenti per l’Ucraina, senza contare la guerra in sé, eppure la lotta a colpi di “anticorruzione” dell’era Biden è ciò che ha animato l’intellighenzia e la sfera degli “influencer” pagati per scendere in piazza con slogan pre-brandizzati e cartelli in lingua inglese?

Non ha senso ripercorrere l’intera storia perché è solo una copertura contorta per l’ultima rivoluzione psico-politica trasformata in colore. Ma per chi fosse interessato, il resoconto più dettagliato è stato redatto da questo commentatore ucraino, anche se probabilmente è stato copiato da Grok.

Le reali macchinazioni possono essere solo ipotizzate, ma una versione plausibile è stata delineata dall’ex deputato ucraino Artem Dmytruk, fuggito dall’Ucraina alla fine dell’anno scorso dopo aver sfidato Zelensky per la sua persecuzione dell’UOC (Chiesa ortodossa ucraina):

Ruba 10 miliardi di dollari all’anno”: il deputato Dmytruk ha spiegato agli europei perché Ze sta liquidando il NABU (National Anti-Corruption Bureau of Ukraine).

Per quanto riguarda ciò che sta accadendo ora tra l’organismo anticorruzione e il regime di Zelensky, si può dire che l’organismo anticorruzione ha avviato un’indagine, una piccola indagine sui reati di corruzione commessi da Zelensky, sul cosiddetto denaro “nero” che egli presumibilmente ruba all’Ucraina. E stiamo parlando di oltre 10 miliardi di dollari all’anno che Zelensky avrebbe rubato in Ucraina”.

In breve: alcuni ritengono che le organizzazioni anti-corruzione abbiano finalmente ricevuto dall’alto l’ordine di prendere di mira la cricca di Zelensky scavando “fango” su di loro, presumibilmente per avviare il processo di rimozione definitiva di Ze dal potere, o almeno per iniziare a esercitare una forte pressione su di lui come minaccia implicita di allinearsi.

Intuendo il piano, Zelensky si è mosso per iniziare a ostacolare preventivamente i guardiani della corruzione. Ha arrestato il “capo degli investigatori” della NABU perché sospettato di spionaggio per la Russia, non molto tempo prima di presentare alla Rada la proposta di legge per una “acquisizione ostile” di questi organi di controllo “indipendenti”, per metterli sotto il totale controllo dello Stato.

https://www.pravda.com.ua/eng/notizie/2025/07/22/7522933/

La formazione di queste istituzioni è stata richiesta come parte delle “riforme” obbligatorie dall’UE per l’ammissibilità dell’Ucraina al blocco; questo per un motivo. Come le ONG, queste organizzazioni sono progettate dall’establishment per servire come leve di potere, controllo e influenza, lavorando in modo “indipendente” dal governo eletto, il che in realtà significa che non sono responsabili e non sono elette. Questo è in stretta conformità con il classico progetto delle élite per sovvertire i governi e togliere il potere al popolo, non diverso dal sistema di riserva “federale” che è stato imposto al mondo senza alcun dibattito reale.

Questa è solo l’ultima replica dello scandalo Biden, in cui si è apertamente vantato di aver eliminato il procuratore capo Victor Shokin che aveva osato indagare sul Burisma e sui loschi affari di Hunter Biden in Ucraina. La scusa addotta allora fu che Shokin “non era riuscito a indagare correttamente sulla corruzione”, che è il modus operandi preferito dall’establishment ogni volta che ha bisogno di rimuovere un parassita scomodo. I bei idealicome la “riforma” e la “corruzione” vengono divorati dagli hoi polloi come un’infornata di brownies di protesta.

Già nel suo discorso fondamentale del 22 febbraio 2022, Putin aveva rivelato che queste organizzazioni come la NABU erano gestite dall’ambasciata statunitense a Kiev – ascoltate attentamente:

“L’ambasciata statunitense in Ucraina controlla direttamente NABU e SAPO”. – Vladimir Putin, 22 febbraio 2022

L’altra cosa a cui Putin si riferisce conferma quanto ho appena scritto sugli organismi non eletti. Quando si scava nel modo in cui queste organizzazioni sono gestite, e come vengono nominati i loro attori chiave, si scopre che il processo è controllato da una commissione di “specialisti” europei. Anche gli ucraini fanno parte della commissione, ma il voto degli europei è prevalente. Da una fontedescrivendo il processo per l’ESBU, altrimenti noto come BEB o BES, in breve, l’Ufficio di Sicurezza Economica che è stato creato con la forza per volere dell’UE, insieme a NABU e SAPO:

I candidati per l’ESBU sono selezionati da una commissione di selezione composta da tre esperti internazionali e tre esperti nominati dal governo, con i partner internazionali che detengono il voto decisivo.

Un’altra fonte ucraina scrive direttamente che il governo degli Emirati Arabi Uniti ha dovuto chiedere alla commissione internazionale di ripresentare nuovi candidati per la posizione di direttore:

Il Consiglio dei ministri ha chiesto alla Commissione per i concorsi di ripresentare i candidati per la posizione di capo dell’Ufficio per la sicurezza economica (BES).

Scrive inoltre:

Il disegno di legge prevede la ricertificazione obbligatoria dei dipendenti, e stabilisce inoltre che i partner internazionali avranno la voce decisiva nella selezione e nella ricertificazione dei dipendenti.

Quindi, proprio come nella “democrazia” del sistema UE, una commissione non eletta di estranei ha voce in capitolo nel posizionare i propri direttori preferiti di queste organizzazioni ucraine. Questi direttori prendono poi tutti i loro ordini di marcia dall’ambasciata statunitense, come da Putin.

Ecco perché oggi il capo dell’SBU di Zelensky, Vasyl Maliuk, ha negato che le organizzazioni siano state “abolite”, ma piuttosto che siano state reinserite nel “quadro” costituzionale :

“Nessuno ha abolito nulla”: così il capo del Servizio di sicurezza ucraino, Vasyl Maliuk, ha risposto al progetto di legge che eliminerebbe la Procura specializzata anticorruzione (SAPO) e l’Ufficio nazionale anticorruzione (NABU). “Si tratta semplicemente di un ritorno al quadro costituzionale. Né il SAPO né il NABU sono stati aboliti: continuano a esistere e a operare efficacemente. Stiamo collaborando con i dirigenti e gli investigatori della NABU. Credo che sarà uno sviluppo positivo per loro che il Procuratore generale porti idee nuove, basate sulla sua esperienza. A differenza loro, lui ha sostenuto l’incriminazione di Yanukovych – e loro no”, ha dichiarato Maliuk.

Non che ci sia un “bravo ragazzo” in tutto questo, ma non si può negare che le mosse di Zelensky siano in effetti corrette, nonostante abbiano evidenti secondi fini.

In ogni caso, questo potrebbe essere stato il colpo di apertura di quello che potrebbe rivelarsi un colpo di stato, o almeno un periodo di destabilizzazione e di fazioni che si contendono il potere in Ucraina, in mezzo a un grande scossone sociale. Una delle cose da tenere d’occhio sarà la possibilità che una “tempesta perfetta” si abbatta sull’Ucraina in questo momento critico.

Mi riferisco alla situazione sul fronte, dove oggi la linea di Pokrovsk si è “catastroficamente” deteriorata, come dicono le carte del DeepState ucraino. Un analista l’ha addirittura descritta come il più grande sfondamento di un giorno della guerra dopo l’offensiva ucraina di Kharkov alla fine del 2022. Si dice che le forze russe si siano spinte tra i 6 e i 10 km nella regione settentrionale di Pokrovsk, tagliando una strada fondamentale tra Nove Shakhove e Shakhove. Ma mi asterrò dall’approfondire l’argomento fino alla prossima volta, quando si saprà se le forze russe si sono effettivamente insediate in nuove posizioni o meno.

Ma si può vedere il potenziale per questo tipo di tempesta perfetta: un crollo prematuro del fronte proprio nel momento in cui Zelensky sta sopportando le sue pressioni interne più feroci – le cose potrebbero diventare molto interessanti in Ucraina presto.

SONDAGGIODove porteranno le attuali proteste?Dove? Zelensky mantiene il controlloLungo declino e destabilizzazioneRivoluzione dei colori e colpo di stato

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