Italia e il mondo

IL MONDO È DI CHI FA PROGETTI, di Pierluigi Fagan

IL MONDO È DI CHI FA PROGETTI (quindi non è nostro). Pochi mesi dopo l’inizio del conflitto russo ucraino, postai articoli con dichiarazioni molto ben argomentate di Zelensky, nei quali il nostro dichiarava che l’Ucraina sarebbe diventata “l’Israele d’Europa”.
Si riferiva all’idea che, finito il conflitto (era da poco iniziato, ma lui pensava già al “dopo”), Kiev sarebbe diventata un polo tecnologico grazie ad investimenti esteri (occidentali), lanciando così una Ucraina 2.0 nel futuro dell’info-digitale-globale. Per la verità già c’era una storia poco illuminata di fabbriche di biotecnologie soprattutto americane (con dietro storie ancora più oscure in cui si diceva coinvolto il figlio di Biden) dislocate nel paese che, prima della guerra, era noto per essere fuori dal novero dei paesi civili e democratici, come sancito dal Democracy Index del the Economist da qualche anno.
Lo stesso “inner circle” di Zelensky, di cui alcuni rappresentanti abbiamo apprezzato nei talk italici, era composto da giovani rampanti, anglofoni, poco più che trentenni, allevati nelle università anglo-americane. Giovanotti e giovanotte perfettamente in linea culturale con questa idea di una Nuova Ucraina che tramite il bagno di sangue, sarebbe transitata da “stato fallito” a punta di lancia info-tecnica dell’Occidente intero. Tanto al fronte mica ci andavano loro.
La cosa aveva senso non solo in termini di contenuto, ma anche di forma in quanto una Ucraina così importante dal punto di vista della ricerca, sviluppo e produzione strategica per l’intera Europa, sarebbe stata di fatto nell’UE e nella NATO a prescindere da quanto tempo concreto si sarebbe impiegato per ratificarlo. In un altro post, poco tempo dopo l’inizio della guerra, riferivo del noto gruppo di interesse che collettava la galassia atlantista stabilitisi a Kiev da tempo che, già ai tempi dell’elezione di Zelensky, interveniva pubblicamente dicendogli cosa doveva e non doveva fare. Zelensky è stato eletto nel 2019, ma questa gente operava massicciamente in Ucraina da anni.
Tutte cose a suo tempo del tutto note a chi segue le questioni geopolitiche non serietà ovvero non chi si sveglia la mattina e si mette a commentare fatti (o meglio articoli di giornali che danno una certa versione dei fatti) come se questi sorgessero improvvisi dal cappello magico del Mago Epifenomeno.
Per altro, occorre lettori e lettrici comprendano che chi scrive non è un giornalista ed ha poco o nulla interesse a far da cane di caccia di questi dietro le quinte. Come studioso, so perfettamente che ci sono i dietro le quinte, è nella storia, come lo sanno tutti quelli che trattano questi argomenti. Basta quindi approcciare il fenomeno del mondo facendosi le domande giuste, basta una intervista a Zelensky, basta capire cosa sta dicendo dietro ciò che sta dicendo, unirlo ad altre info e si ha il quadro senza passare la vita a scavare nella fogna degli eventi che scorre sotto le nostre strade pulite, resilienti, inclusive, innovative, sfidanti, futuro-promettenti e quanto alla galassia dei “valori” con cui si baloccano le menti ignare della realtà pensando di vivere nel migliore dei mondi possibili.
Non solo gli studiosi, anche i poeti sanno queste cose come ad esempio T.S.Eliot per il quale era noto che “Il genere umano non può sopportare troppa realtà”. Cosa arcinota anche ad ogni potere che riveste le scabrose vicende proprie di ogni potere di confezioni profumate, colorate, morbide ed attraenti ovvero ideologie, passioni, valori, identità, manifesti etici. Chi li vota e chi si sottomette al loro comando, avrebbe uno choc nello scoprire quanto è disgustosa la faccenda.
Molti studiosi abboccano anche loro alla versione parolaia delle realtà, debbono campare quindi lo fanno per lavoro o per debolezza psico-cognitiva. Altri sopportano il male del mondo, c’è, che ci vuoi fare, almeno cerchiamo di capire come funziona, magari troviamo il modo per diminuirlo un po’. I poeti, invece, poverini, ne escono con l’anima maciullata visto che di impostazione sono persone che vivono coltivando la sensibilità umana. Per questo tra i poeti c’è il più alto tasso di suicidi.
Ad ogni modo, eccoci all’approdo odierno di cotanta storia. Copio + incollo da Repubblica di stamane:
«L’Ucraina diventerà l’Israele d’Europa». Gli analisti militari più esperti usano questa immagine per spiegare il senso della cosiddetta Alleanza delle industrie della difesa, l’iniziativa lanciata dal presidente Zelensky davanti a 252 produttori di armamenti ed equipaggiamento giunti a Kiev da trenta Paesi per partecipare al primo forum internazionale del settore organizzato a conflitto in corso. «L’Ucraina nel futuro prossimo vuole essere insieme hub della tecnologia bellica occidentale più avanzata e prima utilizzatrice delle forniture realizzate nel suo stesso territorio», concordano gli analisti. Non più solo consumatrice di sistemi d’arma, quindi, ma anche produttrice ed eventualmente esportatrice. «È lo scenario più plausibile, che ricorda appunto la situazione in cui si trova Israele». C’è da apprezzare il buonsenso dell’idea, da consumatore e produttore, razionalità economica e strategica in un colpo solo.
“Zelensky ha anche un secondo scopo, però: attrarre investimenti e creare partnership con l’industria internazionale della difesa, sia pubblica che privata, finalizzando joint venture che portino alla delocalizzazione, cioè alla produzione delle armi Nato direttamente in Ucraina. “ dice Rep. Ucraina bene comune dell’Occidente ed hot spot governato da una banda di oligarchi trafficanti d’armi che è poi esattamente quello che facevano anche prima della guerra, assieme a corpi di giovani donne e traffico di droga e continuano a fare “per finanziare la propria eroica resistenza”, certificato dal rapporto 2013 del Dipartimento di Stato americano INCSR (International Narcotics Control Strategy Report che elegge lo sfortunato paese, hub internazionale di primo livello nel black-business). Oddio “per finanziare la propria eroica resistenza” magari è un po’ esagerato visto che è abbondantemente finanziata da noi e dagli americani.
Deliziosa la chiusura dell’articolo del giornale di Molinari: “Dietro la mossa di Zelensky, dietro l’Alleanza offerta all’industria della guerra (concordata con Washington assicura il giornale e sponsorizzata dall’industria delle armi britannica e tedesca che poveretti, ora hanno problemi con la loro industria metallurgica visto che gli hanno tagliato il gas), c’è anzitutto un’esigenza. Impellente e decisiva. Kiev ha percepito che l’aiuto degli alleati non sarà per sempre e non sarà per sempre a costo zero. Glielo ha ricordato, ancora due giorni fa, il ministro della Difesa francese Lecornu. «Gli arsenali francesi si stanno svuotando. La fornitura gratuita di armi deve diventare l’eccezione, la regola dev’essere la partnership industriale». Che, tradotto, significa che l’Ucraina, nel medio termine, dovrà mettere in conto di dover pagare per veder arrivare le armi che le stanno consentendo di resistere alla Russia.”. Eh cribbio, mica vorremmo passare la vita a dare soldi agli ucraini per le armi no? Che se le producano loro!
Grandioso, e con quali soldi gli ucraini dovrebbe far investimenti per diventare la Nuova Israele? Ma che sciocchini che siete, coi nostri e con quelli di tutto il complesso finanziar-militar-industrial-commerciale che è la vera punta di lancia dell’Industria 4.0 con cui gli americani sperano di evitare il tramonto occidentale con qualche app ed un po’ di intelligenza artificiale attorno.
Passano gli anni, i decenni, ma l’essenza occidentale non fa un passo avanti, amiamo le tradizioni. Sì, va be’ c’è qualche maschio che si traveste da femmina, siamo per una nuova etica con cui trattare gli animali (Nussbaum), andiamo dallo psicologo perché non sopportiamo il peso della consapevolezza della sesta estinzione di massa che avanza a grandi passi, però al fondo amiamo la nostra essenza eterna: à la guerre comme à la guerre!
Così chi può, ha deciso che affronteremo l’era complessa, meno cultura, mono-informazione, più lavoro a meno costo e diritti, democrazia di nome mai ormai non più di minimo fatto, grandi ondate di indignazione contro il Male del mondo autocratico, arabo, africano, cattivo, insensibile, infame, discriminatorio.
Il mondo è di chi fa progetti, questo è il progetto per il nostro Occidente, pensato e composto da decenni, preparato, guidato, tessuto con perizia e pazienza mentre voi vi dedicate alle pesche. Se poi qualcuno ha l’ardire di farvelo notare, sarà sicuramente un complottista, va tutto bene. L’importante è che non vi venga neanche per l’anticamera del cervello il dubbio che il mondo va, più o meno, per come qualcuno l’ha progettato, le strategie non esistono, tutto accade come lo vedete, a caso, azione-reazione.
Un tizio maligno dopo venti anni di proscenio mondiale, accorpato addirittura nei G8, con cui abbiamo fatto lingua in bocca per anni ed anni, una mattina si sveglia e si ricorda che lui è l’erede di Pietro il Grande, invade l’Ucraina e noi ci alziamo come un sol uomo al grido di “Libertà, Liberta!”. Da qui alla Nuova Israele è un attimo, segue Armageddon. Valore dei classici…
[Non so se l’articolo è a pagamento, l’essenziale però l’ho riportato nel virgolettato] Il noto gruppo di interesse citato nell’articolo è questo, 2019, avvertimento al neoeletto Zelensky (in realtà eletto anche dai russofoni, con mire anticorruzione e favorevole a gli accordi di Minsk. Dopo aver letto “Foreign Policy Issues” (ripeto 2019!), andare su About UCMC e scrollare a Donors: https://uacrisis.org/…/71966-joint-appeal-of-civil…#
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L’invasione russa è stata un atto razionale È nell’interesse dell’Occidente prendere Putin sul serio DI JOHN MEARSHEIMER E SEBASTIAN ROSATO

L’invasione russa è stata un atto razionale
È nell’interesse dell’Occidente prendere Putin sul serio
DI JOHN MEARSHEIMER E SEBASTIAN ROSATO

È opinione diffusa in Occidente che la decisione del presidente russo Vladimir Putin di invadere l’Ucraina non sia stata un atto razionale. Alla vigilia dell’invasione, l’allora primo ministro britannico Boris Johnson suggerì che forse gli Stati Uniti e i loro alleati non avevano fatto “abbastanza per scoraggiare un attore irrazionale e dobbiamo accettare al momento che Vladimir Putin forse sta pensando in modo illogico e non vede il disastro che lo attende”. Il senatore statunitense Mitt Romney ha fatto un ragionamento simile dopo l’inizio della guerra, osservando che “invadendo l’Ucraina, Putin ha già dimostrato di essere capace di decisioni illogiche e autolesioniste”. L’assunto alla base di entrambe le affermazioni è che i leader razionali iniziano le guerre solo se hanno la probabilità di vincere. Iniziando una guerra che era destinato a perdere, Putin ha dimostrato la sua non razionalità.

Altri critici sostengono che Putin non era razionale perché ha violato una norma internazionale fondamentale. Secondo questa visione, l’unica ragione moralmente accettabile per entrare in guerra è l’autodifesa, mentre l’invasione dell’Ucraina è stata una guerra di conquista. L’esperta di Russia Nina Khrushcheva ha affermato che “con il suo assalto non provocato, Putin si unisce a una lunga serie di tiranni irrazionali” e sembra “aver ceduto alla sua ossessione guidata dall’ego di ripristinare lo status della Russia come grande potenza con una propria sfera di influenza chiaramente definita”. Bess Levin di Vanity Fair ha descritto il presidente russo come “un megalomane assetato di potere”; l’ex ambasciatore britannico a Mosca Tony Brenton ha suggerito che la sua invasione è la prova che egli è un “autocrate squilibrato” piuttosto che l'”attore razionale” che era un tempo.

Queste affermazioni si basano tutte su una concezione comune della razionalità che è intuitivamente plausibile, ma in definitiva difettosa. Contrariamente a quanto molti pensano, non possiamo equiparare la razionalità al successo e la non razionalità al fallimento. La razionalità non riguarda i risultati. Gli attori razionali spesso non riescono a raggiungere i loro obiettivi, non a causa di un pensiero insensato, ma a causa di fattori che non possono né prevedere né controllare. C’è anche una forte tendenza a equiparare la razionalità alla moralità, poiché si pensa che entrambe le qualità siano caratteristiche del pensiero illuminato. Ma anche questo è un errore. Le politiche razionali possono violare standard di condotta ampiamente accettati e possono persino essere mortalmente ingiuste.

Che cos’è dunque la “razionalità” nella politica internazionale? Sorprendentemente, la letteratura scientifica non fornisce una buona definizione. Per noi, la razionalità consiste nel dare un senso al mondo – cioè capire come funziona e perché – per decidere come raggiungere determinati obiettivi. Ha una dimensione sia individuale che collettiva. I politici razionali sono guidati dalla teoria, sono homo theoreticus. Hanno teorie credibili – spiegazioni logiche basate su ipotesi realistiche e supportate da prove sostanziali – sul funzionamento del sistema internazionale, e le utilizzano per comprendere la loro situazione e determinare il modo migliore per affrontarla. Gli Stati razionali aggregano le opinioni dei principali responsabili politici attraverso un processo deliberativo, caratterizzato da un dibattito robusto e disinibito.

Tutto ciò significa che la decisione della Russia di invadere l’Ucraina è stata razionale. Si consideri che i leader russi si sono basati su una teoria credibile. La maggior parte dei commentatori contesta questa affermazione, sostenendo che Putin era intenzionato a conquistare l’Ucraina e altri Paesi dell’Europa orientale per creare un grande impero russo, qualcosa che avrebbe soddisfatto un desiderio nostalgico dei russi ma che non ha alcun senso strategico nel mondo moderno. Il presidente Joe Biden sostiene che Putin aspira “a essere il leader della Russia che ha unito tutti i russofoni”. Voglio dire… penso che sia irrazionale”. L’ex consigliere per la sicurezza nazionale H. R. McMaster sostiene che: “Non credo che sia un attore razionale perché ha paura, giusto? Quello che vuole fare più di ogni altra cosa è riportare la Russia alla grandezza nazionale. È guidato da questo”.

Ma ci sono prove concrete che Putin e i suoi consiglieri pensassero in termini di teoria dell’equilibrio di potenza, considerando gli sforzi dell’Occidente per fare dell’Ucraina un baluardo al confine con la Russia come una minaccia esistenziale che non poteva essere lasciata in piedi. Il presidente russo ha esposto questa logica in un discorso che spiega la sua decisione di entrare in guerra: “Con l’espansione della Nato verso est, la situazione per la Russia diventa ogni anno più grave e pericolosa… Non possiamo rimanere inattivi e osservare passivamente questi sviluppi. Sarebbe una cosa assolutamente irresponsabile per noi”. Ha poi aggiunto che: “Non è solo una minaccia molto reale ai nostri interessi, ma all’esistenza stessa del nostro Stato e alla sua sovranità. È la linea rossa di cui abbiamo parlato in numerose occasioni. Loro l’hanno superata”.

In altre parole, per Putin si trattava di una guerra di autodifesa volta a prevenire uno spostamento negativo dell’equilibrio di potere. Non aveva intenzione di conquistare tutta l’Ucraina e di annetterla a una grande Russia. Infatti, anche se nel suo noto resoconto storico delle relazioni tra Russia e Ucraina ha affermato che “russi e ucraini erano un unico popolo – un unico insieme”, ha anche dichiarato: “Rispettiamo il desiderio degli ucraini di vedere il loro Paese libero, sicuro e prospero… E ciò che l’Ucraina sarà, spetta ai suoi cittadini deciderlo”. Tutto ciò non significa negare che i suoi obiettivi si siano chiaramente ampliati dall’inizio della guerra, ma questo non è insolito quando le guerre si sviluppano e le circostanze cambiano.

Vale la pena notare che Mosca ha cercato di affrontare la crescente minaccia ai suoi confini attraverso una diplomazia aggressiva, ma gli Stati Uniti e i loro alleati non erano disposti ad accogliere le preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza. Il 17 dicembre 2021, la Russia ha avanzato una proposta per risolvere la crescente crisi che prevedeva un’Ucraina neutrale e il ritiro delle forze della Nato dall’Europa orientale alle loro posizioni del 1997. Ma gli Stati Uniti l’hanno respinta a priori.

In questo caso, Putin ha optato per la guerra, che secondo gli analisti avrebbe portato al dominio dell’Ucraina da parte dell’esercito russo. Descrivendo l’opinione dei funzionari statunitensi poco prima dell’invasione, David Ignatius del Washington Post ha scritto che la Russia avrebbe “vinto rapidamente la fase iniziale e tattica di questa guerra, se ci sarà. Il vasto esercito che la Russia ha schierato lungo i confini dell’Ucraina potrebbe probabilmente conquistare la capitale Kiev in diversi giorni e controllare il Paese in poco più di una settimana”. In effetti, la comunità dei servizi segreti “ha detto alla Casa Bianca che la Russia avrebbe vinto in pochi giorni travolgendo rapidamente l’esercito ucraino”. Naturalmente queste valutazioni si sono rivelate errate, ma anche i politici razionali a volte sbagliano i calcoli, perché operano in un mondo incerto.

La decisione russa di invadere è stata anche il prodotto di un processo deliberativo, non una reazione impulsiva di un lupo solitario. Anche in questo caso, molti osservatori contestano questo punto, sostenendo che Putin ha operato senza un serio input da parte di consiglieri civili e militari, che avrebbero sconsigliato la sua avventata corsa all’impero. Come ha detto il senatore Mark Warner, presidente della Commissione Intelligence del Senato: “Non ha avuto molte persone che hanno avuto contatti diretti con lui. Siamo quindi preoccupati che questo individuo isolato [sia] diventato un megalomane in termini di idea di essere l’unica figura storica in grado di ricostruire la vecchia Russia o di ricreare la nozione di sfera sovietica”. Altrove, l’ex ambasciatore a Mosca Michael McFaul ha suggerito che un elemento della non razionalità della Russia è che Putin è “profondamente isolato, circondato solo da yes men che lo hanno tagliato fuori da una conoscenza accurata”.

Ma ciò che sappiamo della cerchia di Putin e del suo pensiero sull’Ucraina rivela una storia diversa: I subordinati di Putin condividevano il suo punto di vista sulla natura della minaccia che la Russia stava affrontando e lui si è consultato con loro prima di decidere la guerra. Il consenso tra i leader russi sui pericoli insiti nelle relazioni dell’Ucraina con l’Occidente si riflette chiaramente in un memorandum del 2008 dell’allora ambasciatore in Russia William Burns, in cui si avverte che “l’ingresso dell’Ucraina nella Nato è la più brillante di tutte le linee rosse per l’élite russa (non solo per Putin)”. In più di due anni e mezzo di conversazioni con i principali attori russi, dai gorilla annidati nei recessi oscuri del Cremlino ai più acuti critici liberali di Putin, non ho ancora trovato nessuno che veda l’Ucraina nella Nato come qualcosa di diverso da una sfida diretta agli interessi russi… Non riesco a concepire nessuna confezione regalo che permetta ai russi di ingoiare questa pillola tranquillamente”.

Né sembra che Putin abbia preso la decisione di entrare in guerra da solo, come si dice che abbia complottato in un confino indotto da Covid. Alla domanda se il presidente russo si fosse consultato con i suoi principali consiglieri, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha risposto: “Ogni Paese ha un meccanismo decisionale. In questo caso, il meccanismo esistente nella Federazione Russa è stato pienamente utilizzato”. Sembra chiaro che Putin si sia affidato solo a una manciata di confidenti che la pensano come lui per prendere la decisione finale di invadere, ma questo non è insolito quando i politici si trovano di fronte a una crisi. Tutto questo per dire che la decisione russa di invadere è molto probabilmente emersa da un processo deliberativo, con alleati politici che condividevano le sue convinzioni e preoccupazioni principali sull’Ucraina.

Inoltre, la decisione della Russia di invadere l’Ucraina non solo è stata razionale, ma anche non anomala. Si dice che molte grandi potenze abbiano agito in modo non razionale quando in realtà hanno agito in modo razionale. L’elenco comprende la Germania negli anni precedenti la prima guerra mondiale e durante la crisi di luglio, nonché il Giappone negli anni Trenta e durante la preparazione di Pearl Harbor. In entrambi i casi, i principali responsabili politici si sono basati su teorie credibili di politica internazionale e hanno deliberato tra di loro per formulare strategie per affrontare i vari problemi.

LETTURA SUGGERITA
La guerra in Ucraina non è complicata
DI DOMINIC SANDBROOK
Questo non significa che gli Stati siano sempre razionali. La decisione britannica di non schierarsi contro la Germania nazista nel 1938 fu dettata dall’avversione emotiva del Primo Ministro Neville Chamberlain nei confronti di un’altra guerra terrestre europea e dal suo successo nel bloccare una deliberazione significativa. Nel frattempo, la decisione americana di invadere l’Iraq nel 2003 si è basata su teorie non credibili ed è emersa da un processo decisionale non deliberativo. Ma questi casi rappresentano delle eccezioni. Contro l’opinione sempre più diffusa tra gli studiosi di politica internazionale, secondo cui gli Stati sono spesso non razionali, noi sosteniamo che la maggior parte degli Stati sono razionali per la maggior parte del tempo.

Questo argomento ha profonde implicazioni sia per lo studio che per la pratica della politica internazionale. Nessuna delle due può essere coerente in un mondo in cui prevale la non razionalità. All’interno dell’accademia, la nostra argomentazione afferma l’ipotesi dell’attore razionale, che è stata a lungo un elemento fondamentale per la comprensione della politica mondiale, anche se recentemente è stata messa sotto accusa. Se la non razionalità è la norma, il comportamento degli Stati non può essere né compreso né previsto e lo studio della politica internazionale è un’impresa inutile. Solo se gli altri Stati sono attori razionali, i professionisti possono prevedere come amici e nemici si comporteranno in una determinata situazione e quindi formulare politiche che promuovano gli interessi del proprio Stato.

Tutto questo per dire che i politici occidentali farebbero bene a non dare automaticamente per scontato che la Russia o qualsiasi altro avversario sia non razionale, come spesso fanno. Questo serve solo a minare la loro capacità di capire come pensano gli altri Stati e di elaborare politiche intelligenti per affrontarli. Data l’enorme posta in gioco nella guerra in Ucraina, questo aspetto non sarà mai sottolineato abbastanza.

This is an edited extract from How States Think: The Rationality of Foreign Policy by John Mearsheimer and Sebastian Rosato

Blinken: eccezionalismo USA, scontro fra grandi potenze, e guerra a oltranza in Ucraina, di Roberto Iannuzzi

Già nell’ottobre scorso il sito di Italia e il mondo aveva sottolineato le novità presenti nel piano strategico NSS presentato da Biden e nelle conferenze di Sullivan. Roberto Iannuzzi offre il suo contributo di approfondimento sul tema mettendo a nudo soprattutto l’ipocrisia, le rimozioni sottese e l’istigazione al caos consapevole, presenti nel discorso di Blinken, in questo cambio di paradigma. Una critica più cogente delle scelte dell’attuale leadership statunitense avrebbe bisogno di ulteriori puntualizzazioni:

  • non si tratta di un confronto tra “deregolamentazione” e regolamentazione dell’ordine globale, quanto di diversi modelli di ordinamento e minore arbitrarietà di applicazione di questi
  • il problema fondamentale degli Stati Uniti è quello di mantenere all’interno del proprio sistema di alleanze l’esclusiva dei rapporti di conflitto e cooperazione con le potenze rivali ed avversarie. Attraverso questa chiave andrebbero lette le recenti perorazioni della Yellen, la sua flessibilità nella costruzione dei rapporti con la Cina e l’estremo rigore che al contrario si pretende dai paesi europei.
  • contrariamente a quanto sosterrebbe Blinken nel suo intervento e sulla falsa riga delle tesi del NSS, lo stesso tema della democrazia non sarebbe più il discrimine fondamentale nel determinare la natura dei rapporti internazionali e gli schieramenti, quanto piuttosto l’adesione al proprio sistema di regolamentazione delle relazioni economiche e politiche. Un approccio che stride platealmente con la attribuzione agli avversari e competitori esterni di quella visione totalitaria che si sta cercando di introdurre surrettiziamente al proprio interno. Una caratteristica che indebolisce la vena polemica e la motivazione infusa nel discorso di Blinken

Sta di fatto che l’attuale leadership sta iniziando a porsi il problema di una ricostruzione delle proprie relazioni e dei propri sistemi di alleanze all’interno di una visione bipolare che vede nel binomio sino-russo il polo avversario designato; come pure appare consapevole della necessità di ricostruire in qualche maniera al proprio interno un modello di coesione sociale che garantisca energia necessaria ai propri propositi e all’esterno una ridefinizione della divisione del lavoro circoscritta al proprio polo. Nelle more su questo si segna il destino di paesi come la Germania e l’Italia, ma anche del Giappone; all’interno di questo disegno si deve inquadrare l’azione del Governo Meloni e lo stretto sodalizio che sta costruendo con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Tornando ai centri decisori statunitensi, li attende un compito immane, difficilmente raggiungibile; ma non va sottovalutata la forza e la capacità di cui ancora dispongono. Lo stesso fatto che si pongano pur tardivamente questi termini porterà ad una ennesima scomposizione e ricomposizione degli schieramenti politici statunitensi, impossibili al momento da prevedere nelle dinamiche e nei contenuti concreti.

La vera ossessione che turba l’attuale leadership è quella di impedire il multipolarismo, il vero incubo di questa amministrazione, ma anche il tema per vari motivi sino ad ora eluso nello scacchiere geopolitico dalle forze emergenti, impegnate a perorare un sistema di regole concordate e non imposte tra i vari attori e un multilateralismo che rifugge da vere e proprie alleanze politiche stabilmente definite, se non contrapposte. Come una delle tante nemesi che avvolgono la storia, è proprio il perdurare dell’oltranzismo e dell’avventurismo statunitense a creare le condizioni del suo avvento o di una sua accelerazione contro tutto e contro tutti. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Blinken: eccezionalismo USA, scontro fra grandi potenze, e guerra a oltranza in Ucraina

Col tramonto dell’egemonia unipolare americana, il manicheismo di Washington richiede un mondo diviso, e un conflitto armato di lunga durata che perpetui questa divisione.

29 set 2023
Il segretario di Stato USA Antony Blinken (2021) (Public Domain)

“Ciò che stiamo vivendo oggi è ben più di una messa alla prova dell’ordine mondiale post-Guerra Fredda, è la sua fine”.

A pronunciare queste parole è stato il segretario di Stato USA Antony Blinken, in un discorso tenuto il 13 settembre alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies (SAIS), uno dei “templi” del pensiero strategico americano.

La SAIS fu fondata nel 1943 da Paul Nitze, considerato uno degli architetti della politica di difesa americana durante la Guerra Fredda. Nitze fu il principale autore dell’NSC 68, un documento del Consiglio per la Sicurezza Nazionale che pose le basi per la militarizzazione della Guerra Fredda dal 1950 in poi, con l’espansione del bilancio del Pentagono, lo sviluppo della bomba all’idrogeno e l’incremento degli aiuti militari agli alleati di Washington.

Settantatré anni dopo, Blinken ci pone di fronte alla prospettiva di una nuova, e forse più pericolosa, guerra fredda contro non una, ma due potenze nucleari: Russia e Cina.

Quella di Blinken non è una visione personale, ma riflette quanto già affermato nella Strategia di Sicurezza Nazionale formulata dall’amministrazione Biden nell’ottobre del 2022.

Una crisi senza cause apparenti

Di fronte alla platea della SAIS, Blinken ha decretato la fine dell’era unipolare americana, e l’inizio di una cupa fase di conflitto.

Secondo il segretario di Stato, la fine della Guerra Fredda aveva “portato con sé la promessa di una marcia inesorabile verso una maggiore pace e stabilità, cooperazione internazionale, interdipendenza economica, liberalizzazione politica, e diritti umani”.

Tuttavia, “decenni di relativa stabilità geopolitica hanno lasciato il posto a una crescente competizione con potenze autoritarie e revisioniste”.

Blinken non spiega come ciò sia accaduto, e non fa alcuna autocritica.

Trent’anni di globalizzazione all’insegna della deregolamentazione dei mercati, di ortodossia neoliberista che ha tagliato le tasse alle grandi imprese e favorito le classi più ricche, di delocalizzazione della produzione e conseguente deindustrializzazione che ha duramente colpito la classe lavoratrice, non vengono neanche marginalmente considerati nel discorso di Blinken.

La continua erosione dei salari, della produttività e della partecipazione della forza lavoro, l’aumento esponenziale delle disuguaglianze, la promozione di un’economia di consumo di massa fondata in ultima analisi sul crescente indebitamento degli USA, sono elementi che il segretario di Stato tralascia completamente.

Trent’anni di avventurismo militare, dall’Iraq, ai Balcani, all’Afghanistan, e di interventi diretti o indiretti in Libia, Siria, Yemen, hanno avuto un ruolo determinante nel delegittimare lo status di potenza egemone, e di “leader del mondo libero”, che gli Stati Uniti si attribuivano.

Blinken non fa alcuna menzione di questi fattori che hanno contribuito ad accelerare il tramonto della supremazia unipolare americana.

La sua spiegazione è molto più semplice: “Una manciata di governi che hanno utilizzato sussidi al di fuori delle regole, proprietà intellettuale trafugata, ed altre pratiche distorsive del mercato per ottenere un vantaggio sleale in settori chiave” sono citati fra i responsabili della progressiva perdita di fiducia nell’ordine economico internazionale.

Altri elementi vengono citati da Blinken – le trasformazioni tecnologiche, le disuguaglianze – ma senza in alcun modo indagarne le cause. Si ha la sensazione che si tratti di eventi ineluttabili che è superfluo approfondire.

La “minaccia delle autocrazie”

Per il segretario di Stato americano, le democrazie “sono minacciate” – non dalle scelte compiute dalle élite politiche che le hanno governate in questi decenni, dalla corruzione del processo democratico, e dalla progressiva limitazione dei diritti sotto la spinta di continue ‘emergenze’ terroristiche, economiche, e di altra natura – ma da leader “che sfruttano risentimenti e alimentano paure, erodono magistrature e media indipendenti, arricchiscono reti clientelari, reprimono la società civile e l’opposizione politica”.

Inoltre le democrazie sono minacciate dall’esterno “da autocrati che diffondono disinformazione, usano la corruzione come arma, interferiscono nelle elezioni”.

Fra questi attori, Blinken individua immediatamente i due principali responsabili:

“La guerra di aggressione della Russia in Ucraina rappresenta la minaccia più immediata e più acuta all’ordine internazionale sancito dalla Carta delle Nazioni Unite e dai suoi principi fondamentali di sovranità, integrità territoriale e indipendenza per le nazioni, e diritti umani universali e indivisibili per gli individui”.

“Nel frattempo, la Repubblica popolare cinese rappresenta la più significativa sfida a lungo termine perché non solo aspira a rimodellare l’ordine internazionale, ma sempre più dispone del potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per far proprio questo”.

Il 2 aprile 1917, il presidente Woodrow Wilson si rivolse a una sessione congiunta del Congresso americano per chiedere una dichiarazione di guerra contro la Germania, allo scopo di “rendere il mondo sicuro per la democrazia” (secondo quello che in realtà era uno slogan creato da Edward Bernays, esperto di marketing e nipote di Freud, considerato il padre delle “pubbliche relazioni”, e uno degli ideatori della propaganda americana durante il primo conflitto mondiale).

Blinken capovolge lo slogan di Wilson e Bernays, affermando che “Pechino e Mosca stanno lavorando insieme per rendere il mondo sicuro per l’autocrazia attraverso la loro ‘partnership senza limiti’”.

“Ci troviamo quindi in quello che il presidente Biden chiama un punto di svolta. Un’era sta finendo, ne sta iniziando una nuova, e le decisioni che prendiamo ora plasmeranno il futuro per decenni a venire”.

La missione “eccezionale” degli USA

Nella visione manichea del segretario di Stato USA, di fronte a questa sfida non vi è altra strada che quella della contrapposizione.

Non avendo compiuto alcuna analisi sulle ragioni della crisi americana, Blinken non ha difficoltà ad affermare che in questa sfida gli Stati Uniti partono da una “posizione di forza”.

Aderendo pienamente ai principi dell’eccezionalismo USA, egli afferma che “abbiamo dimostrato più e più volte che quando l’America si unisce, possiamo fare qualsiasi cosa”,  e che “nessuna nazione sulla Terra ha una maggiore capacità di mobilitare le altre per una causa comune”.

Tale causa consiste nella promozione di un mondo capitalistico idealizzato:

“Un mondo in cui gli individui sono liberi nella vita quotidiana e possono plasmare il proprio futuro, le proprie comunità, i propri paesi”.

“Un mondo in cui ogni nazione può scegliere la propria strada e i propri partner”.

“Un mondo in cui beni, idee, e individui possono circolare liberamente e legalmente per terra, mare, cielo, e cyberspazio, dove la tecnologia viene utilizzata per conferire potere alle persone, non per dividerle, sorvegliarle e reprimerle”.

“Un mondo in cui l’economia globale è definita da concorrenza leale, apertura, trasparenza, e dove la prosperità non si misura solo secondo il livello di crescita delle economie dei paesi, ma secondo il numero di persone che beneficiano di tale crescita”.

“Un mondo che genera una corsa verso l’alto negli standard lavorativi e ambientali, nella sanità, nell’istruzione, nelle infrastrutture, nella tecnologia, nella sicurezza e nelle opportunità”.

“Un mondo in cui il diritto internazionale e i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite siano osservati, e in cui i diritti umani universali siano rispettati”.

Che le politiche americane in questi decenni abbiano perseguito e raggiunto obiettivi spesso opposti alla visione idilliaca prospettata da Blinken non è questione che il segretario di Stato ha ritenuto utile affrontare nel suo discorso.

In questa visione in bianco e nero, gli avversari di Washington hanno naturalmente concezioni totalmente contrapposte:

“Essi vedono un mondo definito da un unico imperativo: preservazione e arricchimento del regime. Un mondo in cui gli autoritari sono liberi di controllare, costringere e schiacciare la propria gente, i propri vicini, e chiunque altro ostacoli questo obiettivo totalizzante”.

La visione americana ha valore universale. Chi la contraddice, contraddice principi assoluti:

“I nostri competitori affermano che l’ordine esistente è un’imposizione occidentale, quando in realtà le norme e i valori che lo definiscono hanno un’aspirazione universale – e sono sanciti dal diritto internazionale a cui essi hanno aderito. Costoro affermano che ciò che i governi fanno all’interno dei propri confini è di loro esclusiva competenza, e che i diritti umani sono valori soggettivi che variano da una società all’altra. Essi ritengono che i grandi paesi abbiano diritto a sfere di influenza – che il potere e la vicinanza diano loro la prerogativa di dettare le proprie scelte agli altri”.

Riaffermare il primato di Washington

Una volta appurato che sostanzialmente non vi è dialogo né mediazione possibile con gli avversari dell’America, Blinken passa ad enunciare il piano volto a far prevalere gli Stati Uniti in questa nuova competizione fra grandi potenze.

Nel far ciò, egli elabora ulteriormente i principi enunciati da due suoi colleghi all’interno dell’amministrazione Biden, il segretario al Tesoro Janet Yellen, e il Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan.

La prima aveva parlato di una forma attenuata di “disaccoppiamento” dalla Cina denominata “de-risking”, ovvero la riduzione dei rischi derivanti da una sovraesposizione delle catene di fornitura occidentali alla Cina.

Il secondo aveva per la prima volta messo in discussione alcuni dogmi neoliberisti del “Washington Consensus”, puntando a “rinnovare la leadership economica americana” attraverso l’introduzione di dazi e sussidi, ed altre misure di politiche industriale (senza tuttavia accennare ad alcuna politica sociale minimamente in grado di affrontare lo squilibrio fra capitale e lavoro in patria).

Partendo da queste basi, Blinken enuncia una strategia volta in primo luogo a rafforzare gli USA al proprio interno, attraverso le già citate misure di protezionismo e politica industriale, a cui affiancare provvedimenti finalizzati al reshoring (ritorno in patria della produzione manifatturiera) e friend-shoring (ridefinizione delle catene di fornitura in modo da riportarle nell’alveo delle alleanze americane).

A questa politica di rafforzamento interno è inscindibilmente legata una strategia di consolidamento delle alleanze all’estero (in primo luogo con gli amici storici di Washington in Europa e nel Pacifico), e di tessitura di nuovi legami con i paesi del Sud del mondo, per sottrarli all’influenza russo-cinese, ed assicurarsi le materie prime necessarie a garantire le catene di fornitura occidentali, la transizione energetica, e gli altri traguardi tecnologici della cosiddetta “quarta rivoluzione industriale”.

Strategia “a geometria variabile”

In questo quadro di rafforzamento delle alleanze, secondo Blinken gli USA devono puntare in primo luogo a rinvigorire la NATO (operazione nella quale il conflitto ucraino gioca un ruolo chiave), il G7 (da egli definito “il comitato direttivo delle democrazie più avanzate al mondo”), e l’UE, oltre a rinsaldare alcune alleanze bilaterali – in particolare con Giappone, Corea del Sud, Israele, Australia, Filippine, India, Vietnam.

In tale sforzo, gli USA devono basarsi su una diplomazia “a geometria variabile” che, nelle parole di Blinken, può essere riassunta così: “per ogni problema, stiamo mettendo insieme una coalizione adatta allo scopo”.

Per il segretario di Stato, più di 50 paesi stanno cooperando per sostenere la difesa dell’Ucraina e costruire un esercito ucraino sufficientemente forte da scoraggiare futuri attacchi.

“Abbiamo coordinato il G7, l’Unione Europea e decine di altri paesi per sostenere l’economia dell’Ucraina e ricostruire la sua rete energetica, più della metà della quale è stata distrutta dalla Russia”.

“Nel frattempo, i paesi europei, il Canada, e altri, si sono uniti ai nostri alleati e partner in Asia per affinare i loro strumenti volti a contrastare la coercizione economica della Repubblica popolare cinese. E gli alleati e i partner degli Stati Uniti in ogni regione stanno lavorando urgentemente per costruire catene di fornitura resilienti, in particolare riguardo alle tecnologie chiave ed ai materiali cruciali per realizzarle”.

Cardine di questa diplomazia a geometria variabile sono i cosiddetti “minilaterals”, accordi “minilaterali” che riuniscono pochi paesi per perseguire obiettivi limitati.

Molti di questi accordi sono in realtà intesi come strumenti che, pur operando distintamente, sono volti nel loro insieme a contenere la Cina, nell’impossibilità di costruire un unico fronte anticinese esteso.

Fra essi spiccano l’AUKUS (patto di sicurezza fra USA, Regno Unito ed Australia volto a far acquisire a quest’ultima sottomarini nucleari), il Quad (partnership diplomatica e militare fra Australia, India, Giappone e USA), e la recente intesa trilaterale fra USA, Corea del Sud e Giappone.

A questi mini-accordi si affiancano partnership più estese come la Partnership of Global Infrastructure and Investment (PGII), il Lobito Corridor in Africa, e l’IMEC, corridoio economico fra India, Medio Oriente ed Europa recentemente lanciato da Wahington al G20.

Tali collaborazioni hanno l’aspirazione di contrastare la Belt and Road Initiative (BRI) cinese, pur non avendone la portata né un equiparabile volume di finanziamenti.

La guerra ucraina come “cardine” del nuovo scontro mondiale

Cerniera essenziale di questa nuova “guerra fredda”, che (sebbene in maniera ancora confusa) vede l’emergere di un’inedita contrapposizione fra blocchi, è il conflitto ucraino.

Nelle già citate parole di Blinken, “la guerra di aggressione della Russia in Ucraina rappresenta la minaccia più immediata e acuta all’ordine internazionale sancito dalla Carta delle Nazioni Unite”.

Egli sottolinea il valore “globale” di tale conflitto, affermando che “l’invasione della Russia ha messo in chiaro che un attacco all’ordine internazionale danneggerà i popoli ovunque”.

E, per certi versi, egli riconosce che, senza questa guerra, gli USA non sarebbero stati in grado di mobilitare i propri alleati nella nuova competizione fra grandi potenze: “Abbiamo sfruttato questa presa di coscienza per riunire i nostri alleati transatlantici e dell’Indo-Pacifico nella difesa della nostra sicurezza, prosperità e libertà condivise”.

Secondo la narrazione di Blinken, “la guerra di Putin continua ad essere un fallimento strategico per la Russia”, anche grazie “al notevole coraggio e alla resilienza del popolo ucraino, e al nostro sostegno”.

La guerra ucraina ha dunque assunto un valore cruciale nella nuova narrazione di Washington.

Avendo l’amministrazione Biden annunciato un inedito scontro globale fra l’Occidente e le potenze “autocratiche e revisioniste” di Russia e Cina, una sconfitta in Ucraina rappresenterebbe un colpo durissimo per la traballante reputazione degli Stati Uniti in questa sfida appena lanciata.

Come ho scritto in un recente articolo,

gli USA hanno a tal punto investito la loro credibilità in questo conflitto, lasciandosi coinvolgere militarmente oltre ogni ragionevole cautela, che un’eventuale vittoria della Russia in Ucraina sarà devastante per il prestigio di Washington e per la coesione del fronte occidentale e della NATO.

Irruzione della realtà

Tuttavia, in Ucraina sono proprio gli eventi sul terreno a non evolvere come Washington si augurava. Pur rifiutando ogni soluzione negoziale, la Casa Bianca non ha una chiara visione di come portare avanti il conflitto.

La controffensiva ucraina estiva ha ottenuto conquiste territoriali minime a fronte di enormi perdite in termini di uomini e mezzi, in massima parte infrangendosi contro l’impressionante sistema di strutture difensive costruito da Mosca.

Se Kiev è ormai drammaticamente a corto di nuove reclute da mandare al fronte, i paesi occidentali che sostengono l’Ucraina stanno seriamente intaccando i propri arsenali, mentre i ritmi di produzione della loro industria bellica non sono al momento in grado di competere con quella russa.

Di fronte a questa realtà, i diversi esponenti dell’amministrazione Biden, da Blinken allo stesso presidente e ad altri, continuano a ripetere il medesimo vago ritornello: gli USA appoggeranno l’Ucraina “per tutto il tempo necessario”.

Dietro l’ostentata sicurezza, vi è tuttavia la crescente (seppur tardiva) presa di coscienza che le tattiche fin qui adottate non hanno funzionato, e che è necessario un cambio di strategia.

La carenza di proiettili di artiglieria e di altri tipi di munizionamento, così come la penuria di uomini, impediranno nei prossimi mesi un’offensiva su vasta scala come quella tentata quest’estate.

Le limitate disponibilità degli arsenali occidentali, e una serie di appuntamenti elettorali che culmineranno con le presidenziali americane del novembre 2024, probabilmente ridimensioneranno il flusso di aiuti militari occidentali diretti a Kiev.

Necessariamente si tornerà ad una guerra di logoramento, nella quale gli ucraini saranno costretti più a difendersi che ad attaccare. Gli strateghi americani stanno già estendendo l’orizzonte temporale del conflitto nelle loro previsioni.

Impasse strategica e rischi di escalation

Allo stesso tempo, l’attenzione dei vertici militari occidentali si sta spostando sugli attacchi con missili a lungo raggio, come gli Storm Shadow britannici, in grado di colpire le retrovie russe e scompaginare le linee di rifornimento di Mosca.

Ciò sta già avvenendo in Crimea. Simili attacchi, tuttavia, non solo vengono effettuati con armi NATO, ma con supporto logistico e di intelligence occidentale, segnando un ulteriore grado di coinvolgimento degli USA e dei loro alleati nel conflitto.

Come ha scritto Hal Brands, docente presso la stessa SAIS dove Blinken ha pronunciato il suo recente discorso, un’intensificazione degli attacchi a lungo raggio, accompagnata dalla prospettiva di una guerra a più lungo termine, comporta l’accettazione di maggiori rischi di escalation.

Tale cambio di strategia, peraltro, molto difficilmente muterà le sorti dello scontro armato. Dopo il fallimento dell’offensiva di quest’estate, Kiev vede crollare le possibilità di riconquistare i territori perduti e si avvia verso una lunga guerra difensiva, che continuerà a prosciugare le sue risorse.

Gli attacchi in profondità in Crimea e in territorio russo, a prescindere dal rischio di escalation che comportano, non altereranno in maniera significativa l’andamento di un conflitto che sta volgendo al peggio per l’Ucraina.

La guerra a oltranza che Washington vuole sostenere nel paese porterà nuove tragedie e un fardello sempre più insostenibile per Kiev, ulteriori rischi di estensione del conflitto, e un progressivo deterioramento del clima internazionale, senza tirar fuori gli USA dal vicolo cieco strategico in cui si sono cacciati.

SECONDO AGGIORNAMENTO SULLA CRISI DEL NIGER: CONTINUA LO STALLO TRA L’ECOWAS E LA GIUNTA NIGERINA, di CHIMA

SECONDO AGGIORNAMENTO SULLA CRISI DEL NIGER: CONTINUA LO STALLO TRA L’ECOWAS E LA GIUNTA NIGERINA

13 AGO 2023

Punti salienti:

  • In Nigeria permane un’opposizione interna che Tinubu avrebbe difficoltà a ignorare.Il presidente della Commissione ECOWAS, che è gambiano, sollecita l’intervento militare in Niger.In linea con i desideri degli Stati membri più piccoli, il comunicato finale emesso dall’ECOWAS sollecita l’intervento militare per ripristinare l’ordine costituzionale in Niger, citando la recalcitranza della nuova giunta militare.

    In linea con i desideri di Tinubu, in fondo al comunicato dell’ECOWAS è stata inserita una riga apparentemente contraddittoria, in cui si afferma che l’ordine costituzionale in Niger sarà ripristinato con mezzi pacifici.

    L’Unione Africana approva il comunicato dell’ECOWAS sulla situazione in Niger.

    Una discussione sfumata sul ruolo di Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Unione Europea nell’attuale situazione politica in Niger e nella più ampia subregione dell’Africa occidentale.

    Discussione sul ruolo del Niger nella produzione mondiale di uranio e sull’impatto del divieto della giunta militare di vendere uranio alla Francia.

OPPOSIZIONE INTERNA ALL’INTERVENTO IN NIGERIA

#1.

L’opposizione interna alla Nigeria per un eventuale intervento nella Repubblica del Niger continua a crescere, soprattutto nella Nigeria settentrionale, che è etnicamente simile al Niger meridionale. Anche la Conferenza episcopale cattolica della Nigeria ha espresso la propria opposizione. Un’organizzazione non governativa nigeriana si sta addirittura rivolgendo al tribunale per bloccare qualsiasi intervento nella Repubblica del Niger da parte dell’ECOWAS guidata da Tinubu, adducendo il timore di una crisi di rifugiati in caso di uso della forza militare. Alcune manifestazioni contro l’intervento si sono svolte nella città settentrionale nigeriana di Kano. I manifestanti del Nord della Nigeria sono di etnia Hausas, proprio come quelli che si trovano oltre il confine nel Sud del Niger.

Consider candidates' track record, Catholic bishops urge Nigerians
Conferenza episcopale della Nigeria durante la visita all’allora presidente Mohammed Buhari nel 2018. Buhari si è ritirato dalla presidenza nigeriana il 29 maggio 2022.
#2.La Nigeria ha creato l’ECOWAS con il Trattato di Lagos nel 1975 per integrare le economie delle nazioni dell’Africa occidentale. Tuttavia, nel corso degli anni, l’organizzazione è stata utilizzata anche per attuare gli interessi di sicurezza nazionale e regionale della Nigeria. Quindi, se il Presidente Tinubu sta sviluppando una certa freddezza a causa dell’opposizione interna alla Nigeria, l’ECOWAS non può fare molto per la situazione politica in Niger.
ECOWAS
La Guinea, il Mali e il Burkina Faso sono stati sospesi dall’ECOWAS a causa di colpi di stato militari nei loro territori. Proprio come l’Unione Africana (UA), i colpi di stato militari sono stati anatemizzati dall’ECOWAS, poiché i colpi di stato sono generalmente visti come la fonte di instabilità politica nel continente.
#3.L’opposizione all’interno della Nigeria non ha nulla a che vedere con la simpatia per i leader golpisti. Il dibattito all’interno della Nigeria non ruota attorno a questa prospettiva di “anti-imperialismo”, sempre presente su alcuni media alternativi del mondo occidentale. La questione è se l’intervento militare sia il modo migliore per affrontare il colpo di Stato militare. C’è chi pensa che l’intervento nigeriano in Niger creerà più problemi di quanti ne risolva.#4.

Al momento, il Senato nigeriano continua ad approvare misure punitive come il blocco economico in corso e la privazione dell’elettricità gratuita al Niger. Poiché la Nigeria contribuisce al 70% dell’energia elettrica utilizzata in Niger, in quel povero e arido Paese si verificano ampi blackout. Anche in Nigeria alcuni cittadini si sono opposti a queste misure punitive. Ma per ora queste voci non sono ancora diventate schiaccianti.

Il Senato nigeriano ha rifiutato di dare il consenso a Tinubu per utilizzare l’esercito e l’aviazione nazionale per intervenire militarmente nella Repubblica del Niger.
#5.I funzionari governativi in pensione del Niger hanno scritto una lettera al Presidente nigeriano Bola Tinubu, chiedendogli di ripristinare la fornitura gratuita di elettricità e di porre fine al blocco economico imposto al loro Paese. Dubito che Tinubu presterà attenzione a questa lettera. L’unica cosa che può far cambiare idea a Tinubu è che l’opposizione interna alla Nigeria al blocco e al ritiro dell’elettricità diventi massiccia. Molti nigeriani possono non sostenere il colpo di Stato, ma non sono a loro agio con le sanzioni punitive imposte al Niger, che stanno danneggiando la gente comune.SITUAZIONE NELLA REPUBBLICA DEL NIGER

#6.

Si dice che il Presidente Bazoum sia ridotto a mangiare riso essiccato datogli in pasto dai leader del colpo di Stato. Ci sono affermazioni non verificate secondo cui i leader del colpo di Stato avrebbero minacciato di ucciderlo se l’ECOWAS fosse intervenuta militarmente.

#7.

La giunta militare nigerina non sta facendo nulla per allentare le tensioni. Nemmeno le solite promesse di indire nuove elezioni entro un anno, che in passato hanno pacificato l’ECOWAS e impedito interventi militari. Invece la giunta militare ha nominato un primo ministro e alcuni altri funzionari di gabinetto nel tentativo di creare una sorta di “governo” che consolidi il loro colpo di stato militare.

L’ex capo di Stato nigeriano Abdulsalami Abubakar e il sultano di Sokoto, Muhammad Sa’ad Abubakar III, hanno visitato i membri della giunta militare nigerina per un dialogo pacifico, ma sono stati respinti. Entrambi gli emissari del presidente Tinubu sono rispettati leader della Nigeria settentrionale che condividono l’etnia, la lingua madre e la cultura dei golpisti nigerini.
I capi tradizionali della Nigeria settentrionale, guidati dall’economista e governatore della Banca Centrale nigeriana in pensione Sanusi Lamido Sanusi, hanno fatto visita al nuovo sovrano militare del Niger, il generale Abdourahamane Tiani. L’uomo vestito con abiti blu, rossi e bianchi è Sanusi, che da allora è diventato la guida spirituale dell’ordine sufi Tijaniyyah, che conta 30 milioni di fedeli musulmani sunniti, molti dei quali nella Repubblica del Niger.
Nessuno dei dignitari nigeriani del Nord giunti nella Repubblica del Niger ha scalfito l’atteggiamento dei leader golpisti del Niger. L’elenco dei dignitari comprende l’ex capo di Stato nigeriano Abdulsalami Abubakar, il sultano di Sokoto Mohammed Sa’ad Abubakar III e l’economista trasformato in leader spirituale Sanusi Lamido Sanusi (noto anche con il suo nome di battesimo, Muhammadu Sanusi II, in quanto ex emiro di Kano).I leader del Niger hanno spostato le truppe nella capitale in vista di un possibile intervento dell’ECOWAS a guida nigeriana. Ma francamente, le loro forze armate sono troppo piccole e non così ben addestrate. Quindi è dubbio che sarebbero in grado di resistere alla potenza di fuoco nigeriana, se questa dovesse arrivare contro di loro.#8.

Nel mio primo articolo ho accennato al fatto che il presidente spodestato Bazoum proviene dalla storica regione settentrionale del Niger, dove la maggior parte degli abitanti sono minoranze etniche di origine mista africana e araba. Bazoum è la prima persona appartenente alla minoranza araba Diffa a essere eletta Presidente del Niger. Come altre etnie del Nord del Niger, gli arabi di Diffa si sentono discriminati. Nel 2006 c’è stato un tentativo di espulsione dal Niger, con conseguenti proteste.

Molti cittadini del Nord del Niger di varie etnie hanno sostenuto Bazoum e hanno manifestato contro il suo colpo di Stato, ma sono stati dispersi dalla polizia. I video mostrati sui social media di persone che festeggiano il colpo di Stato sono solo quelli di cittadini del Niger meridionale nella capitale Niamey. È evidente dalla loro pelle scura e dall’Hausa che viene parlato in questi video. Gli abitanti del Nord del Niger tendono ad avere la pelle più chiara, come mostrato di seguito:

Agali Alambo e Abta Hamidine sono due esempi di leader ribelli del Nord del Niger che hanno combattuto sporadicamente i governi successivi nel corso dei decenni. Le minoranze etniche del Nord del Niger si sentono emarginate e discriminate dallo Stato nazionale del Niger, dominato dalla popolazione del Sud del Paese.
Fino a pochi anni fa, un conflitto a bassa intensità infuriava tra i ribelli del Niger settentrionale e il governo del Niger dominato dalle élite dominanti del Niger meridionale di lingua hausa. Il conflitto è stato in qualche modo congelato dopo i colloqui di pace mediati dall’ECOWAS e dall’Unione Africana. Ora uno degli ex leader dei ribelli, Agali Alambo, sta iniziando a parlare di ripresa del conflitto se l’ECOWAS non interverrà per ripristinare Bazoum, che ha la sua base di appoggio nel Nord. Naturalmente, l’ex leader dei ribelli potrebbe bluffare.Per inciso, Agali Alambo è stato uno dei numerosi leader ribelli del Nord del Niger che hanno ricevuto sostegno finanziario e militare dall’ex capo di Stato libico Muammar Gheddafi nella loro lotta contro i vari governi del Niger.#9.

Alcuni account di social media su Telegram e Twitter stanno diffondendo vecchi video del 2006, che mostrano un jet di linea russo che atterra nella capitale del Niger, Niamey, e cercano di farlo passare per mercenari wagneriani che volano in soccorso della giunta militare nigerina.

Il video è ovviamente falso, ma ciò non significa che i mercenari di Prigozhin non possano essersi introdotti in Niger passando dal Mali. Tuttavia, devo dire che il confine tra Mali e Niger è troppo lontano dal potenziale teatro di qualsiasi conflitto a cui la Nigeria potrebbe prepararsi. Detto questo, non c’è alcuna prova che Wagner sia entrato in Niger.

LA DISPOSIZIONE DI MALI, BURKINA FASO E ALGERIA

#10.

È falso che l’Algeria abbia dichiarato di voler intervenire in difesa della giunta militare nigerina. La posizione dell’Algeria è di non sostenere il colpo di Stato in Niger. Tuttavia, l’intervento della Nigeria/ECOWAS potrebbe destabilizzare la regione e l’Algeria lo ritiene inaccettabile. In realtà, se la Nigeria/ECOWAS procedesse con l’intervento, l’Algeria non interverrebbe perché non l’ha mai fatto in passato.

Il Niger è uno Stato dell’ECOWAS e un interesse fondamentale della Nigeria. L’Algeria sa che le regole dell’ECOWAS consentono all’organizzazione di intervenire negli Stati membri in crisi politica. L’Algeria non fa parte dell’ECOWAS, ma collabora con la Nigeria nella gestione delle risorse idriche e nella sicurezza regionale in quanto membro della Commissione del Bacino del Lago Ciad, controllata dalla Nigeria. Inoltre, Algeria e Nigeria stanno costruendo insieme il gasdotto Trans-Sahara.

Image
Nel novembre 2022, l’allora Presidente nigeriano Buhari convocò un vertice degli otto Stati membri della Commissione del Bacino del Lago Ciad per discutere i rapporti di intelligence secondo cui le armi della guerra russo-ucraina sarebbero state contrabbandate nell’area del bacino del Ciad. Il Presidente Buhari, ora in pensione, è il terzo da sinistra nella foto qui sopra.
#11.I regimi militari del Mali e del Burkina Faso hanno dichiarato che interverranno per aiutare la giunta militare del Niger ad evitare l’invasione della Nigeria e dell’ECOWAS. Il problema è che entrambi i Paesi non pattugliano nemmeno i propri confini o non hanno la capacità di farlo. Sia il Mali che il Burkina Faso hanno ampie porzioni di territorio sotto l’occupazione dei terroristi jihadisti. I mercenari Wagner sono quelli che impediscono agli insorti terroristi di invadere entrambi i Paesi. Nessuno di loro è in grado di inviare un aiuto significativo ai leader del colpo di stato nigerino nel caso in cui le forze armate nigeriane decidessero di attraversare il confine.SECONDO VERTICE ECOWAS AD ABUJA, NIGERIA

#12.

Il presidente nigeriano Bola Tinubu ha convocato un secondo vertice dell’ECOWAS sulla crisi del Niger nella capitale Abuja giovedì 10 agosto 2023. Durante la riunione, molto partecipata, il presidente della Commissione ECOWAS Omar Alieu Touray, ex diplomatico del Gambia, ha chiesto alla forza militare di riserva dell’organizzazione di essere pronta a entrare in Niger.

Il secondo vertice dell’ECOWAS sulla Repubblica del Niger si è svolto il 10 agosto 2023, dopo che la giunta militare nigerina ha sfidato l’ultimatum di sette giorni per riportare in carica il presidente nigerino Bazoum, che era stato spodestato.
Come ho già spiegato in precedenza, l’ECOWAS ha smesso di essere un’organizzazione puramente economica nel 1990, quando ha creato una forza militare dominata dalla Nigeria per intervenire nella prima guerra civile liberiana (1989-1997). Da allora, questa forza militare di riserva è intervenuta più volte in vari conflitti in tutta l’Africa occidentale.Dal 6 agosto 2023, l’aviazione nigeriana pattuglia i cieli appena fuori dallo spazio aereo del Niger e truppe dell’esercito nigeriano sono al confine. Queste sono le “forze di riserva dell’ECOWAS” a cui Omar Touray si riferiva obliquamente.Nel frattempo, i capi militari dei Paesi appartenenti all’ECOWAS si sono riuniti nella capitale ghanese di Accra per il loro incontro:

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#13.

Ho l’impressione che Tinubu si stia facendo prendere dalla paura, mentre altri Stati più piccoli dell’Africa occidentale, come il Senegal, il Gambia e il Benin, chiedono l’intervento militare dell’ECOWAS per ristabilire l’ordine costituzionale – un modo indiretto per dire alla Nigeria di inviare l’esercito e l’aviazione oltre il confine.

Ho letto attentamente il comunicato dell’ECOWAS. La posizione dura degli Stati membri più piccoli è stata pienamente accolta. Il comunicato sollecita la continuazione delle sanzioni dell’ECOWAS contro il Niger, che equivalgono al blocco economico della Nigeria e al ritiro dell’elettricità gratuita. La dichiarazione sollecita l’intervento militare per ripristinare l’ordine costituzionale. Ma questo è in qualche modo contraddetto dalla riga successiva, che dice che l’ECOWAS rimane impegnata a ripristinare l’ordine costituzionale con mezzi pacifici.

Credo che l’ultima riga sull’uso di mezzi pacifici per ripristinare il presidente Bazoum sia stata probabilmente inserita su insistenza di Bola Tinubu, che sta affrontando l’opposizione interna in Nigeria e sta diventando sempre più esitante sull’uso della forza militare per risolvere la crisi politica del Niger.

Di seguito il video del presidente dell’ECOWAS Omar Alieu Touray che legge alcune parti del comunicato in diretta televisiva:

 

#14.

L’Unione Africana (UA) ha rilasciato una dichiarazione in cui sostiene il comunicato dell’ECOWAS e sollecita la comunità internazionale a contribuire a salvare la vita del Presidente Mohammed Bazoum. L’UA ha pubblicato la dichiarazione completa sul suo sito ufficiale. La versione inglese della dichiarazione è disponibile cliccando qui, mentre la versione francese è accessibile cliccando qui.

L’Unione Africana – a differenza del suo predecessore, l’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) – ha adottato una posizione dura nei confronti dei colpi di stato militari, che sono stati identificati come una delle fonti dell’instabilità politica che ha afflitto il continente negli anni Sessanta, Settanta, Ottanta e Novanta.

Storicamente, i colpi di Stato militari nel continente si sono spesso verificati a causa di spaccature politiche interne a uno Stato africano o per l’ingerenza esterna di Paesi potenti come gli Stati Uniti o la Francia. In ogni caso, tra le istituzioni panafricane sta crescendo l’ostilità all’idea di colpi di Stato militari, che in passato erano comuni e avevano scatenato guerre civili in alcuni Paesi.

In altre parole, i leader dei golpe in vari Paesi africani che invocano l'”anti-imperialismo” come scusa per prendere il potere non riceveranno probabilmente ascolto da organizzazioni come l’UA, la SADC o l’ECOWAS.

La ragione di questo profondo cinismo è piuttosto semplice: la storia africana è piena di leader militari golpisti che affermano con insincerità di aver rovesciato i loro predecessori eletti per salvare i loro Paesi dalla “corruzione” e dalle “ingerenze esterne”. Il più delle volte, questi golpisti si sono rivelati peggiori dei loro predecessori. Solo due esempi, tra i tanti, sono Idi Amin in Uganda e Sani Abacha in Nigeria.

Naturalmente, non tutti i leader golpisti erano insinceri. Thomas Sankara del Burkina Faso fece il suo colpo di Stato nel 1983 per porre fine alla corruzione, all’indebitamento del FMI e all’ingerenza francese nel suo Paese. Ma si trattava per lo più di un’eccezione piuttosto che della regola.

RUOLO DI FRANCIA, UE E USA NELLA CRISI DEL NIGER

#15.

Su questo punto molti commentatori dei media alternativi, soprattutto quelli che non si trovano in Africa occidentale, sono completamente sprovveduti. Inizierò ripetendo ciò che ho detto in un articolo precedente:

La Nigeria ha una storia di interventi militari nella subregione dell’Africa occidentale. Se non fosse per l’attuale clima geopolitico, l’ultimo intervento della Nigeria sarebbe passato in gran parte inosservato da molti commentatori al di fuori della subregione, proprio come è accaduto quando la Nigeria è intervenuta in Liberia (1990, 2003), Sierra Leone (1997), Guinea-Bissau (1999, 2012, 2022) e Gambia (2017).
Molti dei commentatori nello spazio mediatico alternativo del mondo occidentale possono desiderare il meglio per il continente africano, ma, il più delle volte, non sono in grado di comprendere le sfumature insite nella complessa rete di relazioni e interessi che esistono tra i vari Stati africani.

Attraverso il loro ristretto campo visivo, questi commentatori vedono solo la lotta tra Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Russia e Cina per l’influenza in Africa e interpretano tutte le mosse degli Stati africani come a favore dell’asse Russia-Cina o dell’asse USA-Francia.

A questi commentatori non viene mai in mente che un Paese enorme come la Nigeria possa avere interessi fondamentali di sicurezza nazionale in Niger, separati dalle manovre geopolitiche di Stati Uniti e Francia, entrambi semplici intrusi e non nativi del paesaggio. Noto spesso che molti di questi commentatori hanno a malapena sentito parlare delle tre organizzazioni che la Nigeria finanzia e controlla diligentemente per garantire i propri interessi regionali e nazionali. Mi riferisco all’ECOWAS, alla Commissione del Bacino del Lago Ciad e alla Multinational Joint Task Force (MNJTF).

Il comandante della MNJTF, il maggiore generale nigeriano Ibrahim Sallau, ispeziona le truppe ciadiane. Il Ciad è uno Stato dell’Africa centrale e quindi non fa parte dell’ECOWAS, ma confina con la Nigeria. Oltre alla MNTJF, il Ciad è anche membro della Commissione del Bacino del Lago Ciad, controllata dalla Nigeria.
C’è un’iper concentrazione su Tinubu (che è senza dubbio un uomo corrotto) come se fosse l’unico decisore all’interno della Nigeria. Non è così. C’è la legislatura nazionale, i gruppi della società civile, i media locali, i capi tradizionali rispettati e molti politici influenti le cui opinioni sull’intervento militare devono essere prese in considerazione da Tinubu.Se Tinubu fosse l’unico decisore e un burattino americano-francese, allora l’intervento dell’ECOWAS guidato dalla Nigeria in Niger sarebbe già iniziato come Tony Blinken, Vicky Nuland ed Emmanuel Macron hanno ferventemente richiesto.

Invece di un intervento militare immediato, Tinubu ha lanciato un ultimatum di sette giorni, convincendo gli Stati membri più piccoli dell’ECOWAS ad assecondarlo. Poi, Tinubu ha inviato rispettabili emissari della Nigeria settentrionale alla ricerca infruttuosa di una conclusione pacifica della crisi. I leader del colpo di stato hanno respinto tutte le proposte degli emissari e la scadenza è passata senza che venisse intrapresa alcuna azione.

Visto il suo bluff, Tinubu convocò una nuova riunione dell’ECOWAS, dove gli Stati membri più piccoli insistettero sulla forza militare per ripristinare l’ordine costituzionale in Niger e si assicurarono che le loro opinioni più dure fossero scritte nel comunicato finale.

Non volendo essere spinto dagli Stati membri più piccoli a un confronto militare su cui ora stava ripensando, Tinubu ha fatto aggiungere in calce una frase contraddittoria in cui si afferma che l’ECOWAS rimane impegnata a ripristinare l’ordine costituzionale con mezzi pacifici.

Non c’è dubbio che la Francia, l’Unione Europea e gli Stati Uniti siano incredibilmente frustrati dalla mancanza di fermezza di Tinubu, ma egli non è assolutamente un loro burattino. A Nuland o a Macron può non importare nulla di una possibile crisi di rifugiati in Niger a seguito di un intervento militare, ma a Tinubu sì. Non perché sia un umanitario, ma perché ciò danneggerebbe la sua posizione politica in Nigeria, soprattutto tra i nigeriani del Nord che costituiscono una formidabile base di sostegno per il suo partito politico, l’All Progressives Congress.

A meno che Tinubu non riesca a trovare un modo per neutralizzare l’opposizione interna, non è certo che sia disposto a ordinare all’aviazione nigeriana di sorvolare i cieli e alle truppe dell’esercito nigeriano di entrare in Niger. È così semplice.

I funzionari di Francia, UE e Stati Uniti si sono ridotti a seguire i meandri del sistema politico nigeriano invece di prendere le decisioni.

#16.

Parliamo ora della produzione mondiale di uranio e del posto che occupa il Niger…

Secondo i dati dell’Associazione nucleare mondiale, nel 2022 il Niger è stato responsabile di appena il 4,1% della quantità totale di uranio prodotto nel mondo. Ci sono produttori di uranio più grandi al mondo, come il Kazakistan (43,4%), il Canada (15,0%), la Namibia (11,5%), l’Australia (8,4%), l’Uzbekistan (6,7%), la Russia (5,1%).

Per decenni, la Francia ha importato uranio principalmente da tre Paesi per il funzionamento delle sue centrali nucleari: Kazakistan (27%), Niger (20%) e Uzbekistan (19%).

Dall’anno scorso, la Francia ha ampliato il numero dei suoi fornitori includendo altri Paesi. L’uranio russo non è stato sanzionato e quindi una parte di esso è arrivata in Francia, con grande disappunto degli attivisti di Greenpeace. A seguito di questa diversificazione in Francia, le forniture del Niger erano già scese al 15% del totale prima del colpo di Stato.

I leader del colpo di Stato in Niger hanno vietato la fornitura di uranio alla Francia, ma questo non rappresenta un pericolo immediato, poiché la Francia ha scorte di uranio già acquistate nel corso degli anni. E la fornitura di uranio del Niger può essere sostituita semplicemente acquistandone altro da Kazakistan, Canada, Namibia, Australia e Uzbekistan. E in circostanze estreme, Macron potrebbe riaprire le miniere di uranio esaurite all’interno della Francia, chiuse nel 2001 perché era molto più economico rifornirsi all’estero che produrre in loco. Ma non sarà nemmeno necessario, perché nel mondo ci sono produttori di uranio molto più grandi disposti a vendere alla Francia.

Una miniera di uranio a cielo aperto nella regione di Agadez, nel Niger centro-settentrionale.
In conclusione, la Francia può fare a meno dell’uranio del Niger. Ciò che allarma il governo Macron per il colpo di stato militare in Niger non sono le forniture di uranio, ma l’ennesimo colpo all’influenza francese in un Paese africano francofono e lo spettro umiliante di un’influenza della Russia, per la quale il Cremlino non ha mai lavorato.Le truppe statunitensi nella Repubblica del Niger risalgono all’epoca della cosiddetta “guerra governativa al terrorismo” (GWOT). Mentre erano in carica, il presidente George Bush Jr. e, successivamente, il presidente Barack Obama, hanno ripetutamente offerto truppe americane per “aiutare” la Nigeria nella lotta contro i terroristi jihadisti transfrontalieri. Ogni volta, la Nigeria ha rifiutato gentilmente l'”aiuto”, preferendo utilizzare le proprie forze armate e la Multinational Joint Task Force.

Alla fine, le truppe americane non richieste, inizialmente offerte alla Nigeria, sono finite nella vicina Repubblica del Niger con l’apparente compito di “addestrare i soldati nigerini a combattere il terrorismo”.

Ai funzionari del governo statunitense non interessa il Niger, né in un senso né nell’altro. Non vedono necessariamente l’arido Paese come una risorsa strategica. Il Niger è un produttore secondario di uranio e la sua quota nella produzione mondiale supera di poco il 4%. Due terzi della produzione mondiale di uranio estratto provengono da Kazakistan, Canada e Australia.

L’unica cosa che attualmente preoccupa i funzionari americani è che la Repubblica del Niger cada sotto l’influenza della Russia. Sarebbe umiliante per loro.

Se i leader del colpo di Stato fossero percepiti come ostili sia alla Russia che alla Francia, gli americani accetterebbero volentieri la giunta militare in Niger. Ciò che la Francia vuole o di cui ha bisogno è lontano dalla mente di Tony Blinken, Jake Sullivan e Victoria Nuland. Per questi funzionari americani, tutto ruota intorno alla Russia. Non gliene può fregare di meno dei lamenti di Macron sul disfacimento della Francafrique.

#17.

Non c’è dubbio che Francia e Stati Uniti vogliano disperatamente che l’ECOWAS intervenga in Niger. Entrambi i Paesi sono frustrati e delusi dal fatto che un intervento militare non sia già iniziato. Ma il fatto è che la decisione finale di intervenire non spetta a questi Paesi della NATO. Un intervento effettivo dell’ECOWAS dipenderebbe molto dalla situazione politica interna sia in Nigeria che nella Repubblica del Niger. Fino ad allora, Nuland, Blinken, Sullivan e Macron dovranno leggere le foglie di tè come tutti gli altri.

Può sembrare controintuitivo per alcuni lettori, ma grandi Stati africani come la Nigeria, il Sudafrica e l’Egitto hanno in realtà detto “no” diverse volte ai governi statunitensi che si sono succeduti nel corso degli anni.

Nei primi anni 2000, la Nigeria ha respinto il tentativo del presidente George Walker Bush di collocare il quartier generale del Comando militare africano (AFRICOM) in qualsiasi parte dell’Africa occidentale. Quando la Liberia si disse disposta a ospitare il quartier generale, la Nigeria inviò un’immediata nota al governo liberiano, che all’epoca dipendeva dalla polizia e dall’esercito nigeriani per mantenere l’ordine pubblico nel suo territorio.

Allo stesso modo, il Sudafrica ha bloccato qualsiasi tentativo di collocare AFRICOM all’interno della più ampia subregione dell’Africa meridionale. Anche l’Egitto, l’Algeria e la Libia si sono opposti alla collocazione del quartier generale della formazione militare statunitense in Nord Africa.

Di conseguenza, AFRICOM è ancora nella sua sede “temporanea” di Stoccarda, in Germania, quasi due decenni dopo il rifiuto del continente africano.

Nel 2012, durante la presidenza Obama, gli Stati Uniti hanno esercitato forti pressioni affinché la Nigeria inviasse truppe in Somalia per combattere i terroristi di Al-Shabaab. Il governo nigeriano rifiutò perché la Nigeria non ha interessi di sicurezza in Somalia, se non quello di assicurarsi che le sue navi commerciali non vengano dirottate dai pirati del mare. Ma nello stesso anno, la Nigeria ha organizzato l’intervento delle truppe dell’ECOWAS in Guinea-Bissau, dove ha reali interessi di sicurezza regionale.

Con grande costernazione dei francesi e degli americani, la Nigeria si è anche rifiutata di usare l’ECOWAS per intervenire in Mali e Burkina Faso dopo i loro colpi di Stato militari, perché nessuno di questi Paesi condivide un confine terrestre con la Nigeria, in quanto i militari nigeriani ritenevano che sarebbe stato più destabilizzante entrare in due Paesi altamente instabili, che avevano già perso ampie porzioni di territorio a favore degli insorti jihadisti. Ad esempio, il regime militare di Traoré che governa il Burkina Faso ha il pieno controllo di appena il 60% del territorio del Paese, mentre il resto è stato reso ingovernabile dagli insorti jihadisti che attraversano il confine internazionale a malapena pattugliato che il Burkina Faso condivide con il Mali.

LA FRANCIA, GLI USA O ENTRAMBI POSSONO INTRAPRENDERE UN’AZIONE MILITARE DIRETTA CONTRO LA GIUNTA NIGERINA?

#18.

Gli Stati Uniti non hanno una storia di interventi militari diretti per rimuovere governi in Stati africani. La sua storia è il solito uso occulto di agenti della Central Intelligence Agency (CIA) per sovvertire i governi e farli rimuovere. Questo può avvenire sotto forma di sponsorizzazione di combattenti ribelli per innescare e mantenere una guerra civile, come è accaduto nelle nazioni filo-sovietiche dell’Angola e del Mozambico. Oppure potrebbe essere la vecchia strategia dell’assassinio, come è accaduto al Primo Ministro Patrice Lumumba della Repubblica Democratica del Congo nei primi anni Sessanta. Qualunque sia il metodo di sovversione scelto dagli americani, spesso può essere minuzioso e può richiedere mesi o addirittura anni per avere effetto.

Mentre la Francia ha commesso la sua buona dose di assassinii di politici nazionalisti e comunisti dell’Africa francofona negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, utilizzando il suo ormai defunto servizio segreto, lo SDECE, il metodo principale per trattare con i leader africani ostili alla Francia è stato semplicemente l’invio di truppe francesi domiciliate nelle locali basi militari francesi per rovesciarli.

Una processione di veicoli militari francesi attraversa la capitale ivoriana di Abidjan verso la residenza del professor Laurent Gbagbo, all’epoca presidente della Costa d’Avorio.
L’ultima volta che la Francia ha rimosso un leader africano è stato nel 2011, quando il governo ivoriano del presidente Laurent Gbagbo è stato rovesciato dalle truppe francesi che hanno fatto irruzione dalle loro basi militari in Costa d’Avorio e hanno raggiunto in lunghe colonne di veicoli blindati la residenza presidenziale dell’ex professore di storia per rimuoverlo dal potere nel mezzo di una guerra civile. La Francia non ha nemmeno aspettato l’ECOWAS, che aveva il diritto di intervenire, se lo desiderava, perché la Costa d’Avorio è uno Stato membro.Dopo il suo rovesciamento e l’arresto dell’11 aprile 2011, il professor Gbagbo è stato trasportato all’Aia, nei Paesi Bassi. Lì è stato processato dalla Corte penale internazionale (CPI) e poi rilasciato nel febbraio 2020 dopo che i giudici della CPI hanno respinto le accuse di “crimini contro l’umanità” mosse contro di lui.

Gbagbo è stato il primo ex capo di Stato a essere preso in custodia dalla Corte penale internazionale.

Il presidente ivoriano spodestato Laurent Gbagbo durante il suo umiliante arresto da parte delle truppe francesi l’11 aprile 2011. In seguito sarebbe stato trasportato all’Aia dove le accuse di “crimini contro l’umanità” sarebbero state ascoltate e respinte dai giudici della Corte penale internazionale.
La Francia sarebbe in grado di fare qualcosa di così sfacciato ai leader golpisti del Niger nell’anno 2023? La risposta è “no”. La Francia non è più la grande potenza di un tempo in Africa. L’ultimo presidente francese che ha avuto il potere di compiere un attacco così audace all’interno dei confini di uno Stato africano è stato Nicolas Sarkozy.Proprio come i funzionari americani Vicky Nuland e Tony Blinken, il leader francese Emmanuel Macron non oserebbe intraprendere un’azione militare diretta in Niger perché sarebbe politicamente difficile e non c’è alcuna garanzia che l’azione militare possa funzionare. La Francia non ha vere e proprie basi militari nella Repubblica del Niger. Il numero di truppe francesi attualmente presenti in Niger non è sufficiente per organizzare un’azione militare adeguata. Allo stesso modo, anche le truppe americane non sono sufficienti.

L’ECOWAS INTERVERREBBE COMUNQUE MILITARMENTE IN NIGER?

#19.

Sì, è possibile. Come detto in precedenza, l’esercito e l’aviazione della Nigeria sono già pronti a intervenire in nome dell’ECOWAS. L’unica ragione per cui non è ancora successo è che Tinubu sta affrontando pressioni interne alla Nigeria per non entrare in Niger. Ancora una volta, non è perché ci sia una simpatia diffusa per i leader del colpo di Stato.

Al contrario, molti nigeriani comuni ne sono inorriditi perché ricorda un’epoca lontana in cui la Nigeria stessa era sotto gli stivali di governanti militari cleptocratici che rubavano il Paese alla cieca e imprigionavano o uccidevano gli oppositori politici, il tutto fingendo di essere i salvatori del Paese.

L’ultima dittatura militare della storia nigeriana (1993-1998) è stata guidata dallo psicopatico generale Sani Abacha, che rubava, imprigionava e uccideva anche mentre si poneva come acerrimo oppositore del governo statunitense del presidente Bill Clinton. Gli stranieri in visita – come il controverso leader nero americano Louis Farrakhan – hanno ripetutamente difeso Abacha perché credevano alle sue affermazioni di “anti-imperialismo”.

Attualmente, i servizi di sicurezza e l’esercito nigeriano si preoccupano principalmente della sicurezza dei confini e temono che il successo della spinta dei terroristi Boko Haram, allineati all’ISIS, verso le frange più settentrionali del Paese possa essere vanificato dall’instabilità politica della Repubblica del Niger, che condivide un confine di 1.600 chilometri soggetto a infiltrazioni jihadiste.

I servizi di sicurezza e i militari nigeriani sono quelli che hanno indirizzato Tinubu verso l’intervento per eliminare la giunta militare in Niger. Gli americani, i francesi e i burocrati dell’UE si sono semplicemente aggiunti alle pressioni già esercitate su Tinubu dagli organi di sicurezza e militari della Nigeria.

Tuttavia, Tinubu è un politico civile e deve quindi considerare i sentimenti della base elettorale del Nord della Nigeria del suo partito politico prima di autorizzare qualsiasi carica militare oltre confine.

#20.

L’ECOWAS ha già emesso il suo comunicato, che presenta alcune contraddizioni al suo interno. Ma è chiaro che molti degli Stati membri più piccoli vogliono che la Nigeria intervenga al più presto in Niger.

Tinubu probabilmente interverrebbe solo se la situazione politica in Niger dovesse improvvisamente degenerare in modo tale da neutralizzare l’opposizione interna alla Nigeria.

Ad esempio, se i ribelli del Nord del Niger dovessero scatenare una ripresa dell’insurrezione congelata, ciò potrebbe mettere a tacere i critici interni dell’intervento militare in Nigeria e permettere a Tinubu di agire.

Naturalmente, se i leader del colpo di Stato seguissero la traiettoria standard della storia del Niger e lottassero tra loro per il potere, allora ciò potrebbe anche causare un’instabilità politica sufficiente in Niger per neutralizzare l’opposizione interna alla Nigeria e permettere a Tinubu di intervenire militarmente.

Se la giunta militare nigerina mette in atto la sua minaccia e uccide il presidente Bazoum, l’indignazione in Nigeria potrebbe anche disinnescare l’opposizione interna e consentire a Tinubu di intervenire e riportare al potere elementi del governo rovesciato di Bazoum.

#21.

Un’altra possibilità potrebbe essere quella che la Nigeria ceda il proprio equipaggiamento militare agli Stati membri più piccoli dell’ECOWAS che desiderano un intervento militare. La Nigeria potrebbe fornire il suo equipaggiamento militare a Senegal, Ghana, Togo e Benin. L’aviazione nigeriana potrebbe trasportare le truppe senegalesi, togolesi, ghanesi e beninesi al confine tra Nigeria e Niger e lasciarle entrare. Ma questo mi sembra un azzardo. Senza il coinvolgimento della Nigeria, l’intervento militare dell’ECOWAS potrebbe non riuscire a sradicare la giunta nigerina.

#22.

Vorrei concludere il mio articolo ripercorrendo il viale dei ricordi. Nel 2016, l’ECOWAS era alle prese con una crisi costituzionale che aveva travolto il Gambia dopo le elezioni presidenziali. Il colonnello Yahaya Jammeh, da lungo tempo governatore militare del Gambia, si era candidato contro il suo avversario civile, Adama Barrow, e aveva perso le elezioni presidenziali del 1° dicembre 2016.

Inizialmente, Jammeh aveva accettato i risultati e ammesso la sconfitta. Questo fino a quando Barrow non ha pronunciato un discorso infuocato affermando che, una volta preso il potere, avrebbe perseguito Jammeh per violazione dei diritti umani. Dopo aver ascoltato il discorso di Barrow, Jammeh ha rifiutato i risultati delle elezioni e ha fatto affermazioni vaghe sulle “irregolarità del voto”. Nel frattempo, Barrow è fuggito in Senegal per evitare di essere arrestato dal governo di Jammeh.

L’ECOWAS, l’Unione Africana e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno condannato il tentativo di Jammeh di rimanere al potere dopo aver ammesso inizialmente di aver perso le elezioni presidenziali.

La Nigeria ha lanciato l’ultimatum standard a Yahaya Jammeh affinché si dimetta e lasci che Barrow prenda il potere. Jammeh ha ignorato l’ultimatum e ha rilasciato dichiarazioni di sfida. Sono stati tentati colloqui di pace, ma non hanno portato a nulla. L’ultimatum è scaduto e il 2016 si è concluso senza che l’ECOWAS abbia dato seguito alle sue minacce.

All’inizio di gennaio 2017, sembrava che la Nigeria/ECOWAS stessero semplicemente bluffando e che non avrebbero fatto nulla. Poi, di punto in bianco, il 19 gennaio 2017 sono entrate in Gambia forze di terra dell’ECOWAS guidate dalla Nigeria, che comprendevano soldati senegalesi, ghanesi, maliani e togolesi. La Marina nigeriana ha iniziato a pattugliare le acque costiere del Gambia, mentre l’aviazione nigeriana è entrata nello spazio aereo gambiano.

La Marina del Gambia si è arresa senza combattere. L’esercito gambiano si è diviso. Alcuni sono rimasti fedeli a Jammeh. Gli altri si sono arresi alle truppe dell’ECOWAS guidate dalla Nigeria.

Alla fine, Yahaya Jammeh ha accettato di rinunciare al potere statale in Gambia e l’ECOWAS ha fatto in modo che andasse immediatamente in esilio permanente in Guinea Equatoriale, dove rimane tuttora. Le truppe dell’ECOWAS sono ancora di stanza in Gambia anche nel momento in cui scrivo.

Potrebbe accadere la stessa cosa ai leader golpisti del Niger? Solo il tempo potrà dirlo.

In Niger, signor Presidente della Repubblica, non è Trafalgar, ma Fachoda più la Berezina. Ancora una volta, complimenti a chi vi consiglia!_di Bernard Lugan

Devo ammettere un errore. Nel mio comunicato stampa del 15 agosto sul fiasco dell’Eliseo in Niger, ho scritto “oggi Trafalgar, domani Fachoda”. La realtà è diversa: in realtà è “Fachoda più Berezina”.

Fachoda appunto, perché i nostri ottimi alleati e fedeli amici laici, gli Stati Uniti, si sono ancora una volta totalmente dissociati dalla Francia. E, come sempre in questi casi con i nostri affidabili e infallibili partner anglosassoni, questi ultimi hanno “giocato d’anticipo”. Hanno negoziato alle spalle di Parigi con la giunta nigerina per mantenere la loro base ad Agadès! Di conseguenza, noi siamo stati sputati quando ce ne siamo andati, ma loro sono rimasti con i loro dollari!

È una Berezina anche perché l’arroganza, la compiacenza, l’ingenuità e soprattutto l’incompetenza dei ballerini di tip tap che consigliano l’Eliseo hanno messo il contingente francese in Niger in una situazione tale che il ritiro assumerà automaticamente la forma di una ritirata. Ora, essendo il Niger un Paese senza sbocco sul mare, ci sono due possibili opzioni, che di fatto equivalgono a una nuova Bérézina… ma senza il Corpo dei Pontonniers… :

1) Verso il Ciad. Questo comporterebbe lunghi e pesanti convogli che attraversano tutto il Niger sotto l’attacco di civili spinti sui nostri convogli per costringere le nostre forze ad aprire il fuoco, con tutte le conseguenze mediatiche che possiamo immaginare… A meno che, naturalmente, non paghiamo alla giunta un riscatto molto alto… Per non parlare del fatto che il Ciad è un vicolo cieco dove, inoltre, si pongono gli stessi problemi di base del Niger e del Mali… e poi, quando questo Paese esploderà, perché prima o poi esploderà, dove evacueranno le nostre forze? Una mappa è istruttiva a questo proposito…

2) Verso il Benin e il mare. Fortunatamente il Benin ha un confine di 266 chilometri con il Niger, una distanza relativamente breve dalle nostre basi nella regione di Niamey. Ma Cotonou dovrebbe comunque acconsentire al transito, cosa che probabilmente avverrà, ancora una volta in cambio di “denaro contante” e vari altri vantaggi…

In ogni caso, il prestigio della Francia non esiste più, quindi bisognerà pensare a ridefinire una politica africana, tema che sarà al centro del numero di ottobre de L’Afrique Réelle, che gli abbonati riceveranno il 1° ottobre.

Ma per il momento la realtà impone che i nostri futuri orientamenti strategici in Africa prevedano un ritiro dal Sahel, dove ci sono solo assi nella manica – e dove la Francia non ha interessi, come dimostra lo stesso numero di ottobre de L’Afrique Réelle – e un ritorno alla tradizione marittima del XVIII secolo, cioè facendo delle coste le nostre basi d’azione.
E, soprattutto, facendo scoprire a chi non ha ancora “bruciato le ali” le sottigliezze politiche, economiche, etniche e demografiche dell’interno di un continente che Stanley ha definito “misterioso”…

PRIMO AGGIORNAMENTO SULLA CRISI DEL NIGER: IL SENATO FEDERALE NIGERIANO RIFIUTA L’INTERVENTO MILITARE, di CHIMA

PRIMO AGGIORNAMENTO SULLA CRISI DEL NIGER: IL SENATO FEDERALE NIGERIANO RIFIUTA L’INTERVENTO MILITARE

5 AGO 2023

I senatori che rappresentano 19 Stati della Nigeria settentrionale hanno fatto pressione sui loro omologhi che rappresentano gli Stati della Nigeria meridionale affinché negassero al Presidente Bola Tinubu il permesso di usare la forza militare per annullare il colpo di Stato militare nella Repubblica del Niger.

I senatori del Nord hanno sostenuto che i loro Stati confinano con la Repubblica del Niger e che, in caso di azione militare, sarebbero colpiti da un diluvio di rifugiati.

Il Senato ha approvato tutti i metodi da utilizzare per ripristinare l’ordine costituzionale nella Repubblica del Niger, tranne l’intervento militare. In altre parole, il blocco economico e il ritiro della fornitura gratuita di elettricità al Niger rimangono in vigore. Ampie zone del Niger sono al buio totale, dato che la Nigeria contribuisce al 70% del totale dell’energia elettrica utilizzata nel Paese francofono.

Con una svolta, i capi militari nigeriani si sono riuniti con gli altri capi militari degli Stati membri dell’ECOWAS e hanno rilasciato una dichiarazione in cui affermano di non ritenere più opportuno l’uso della forza contro la giunta nigerina.

Per ora, la minaccia di una guerra si è allontanata. Gli sforzi diplomatici per cercare di convincere la giunta militare a ritirarsi continuano…

GIU’ LA TESTA, di Pierluigi Fagan

GIU’ LA TESTA. [Settanta anni di storia occidentale in versione condensata] Più l’Occidente perde potere demografico, economico, geopolitico in favore del resto del mondo, più questo “resto” reclama e reclamerà una gestione più democratica del mondo comune.
Più il resto del mondo reclama e reclamerà una condivisione maggiore dei poteri che decidono le cose del mondo, più l’oligarchia del sistema occidentale dissolverà ogni residuo di democrazia interna al proprio sistema.
Più il mondo si avvia a nuovi ordini multipolari, meno democrazia ci sarà in Occidente. Questo perché la “ricchezza delle nazioni” che ordina le nostre società, dipende spesso direttamente, altre volte indirettamente, da quanta porzione di mondo controlliamo come “sistema occidentale”. Meno controllo, meno ricchezza distribuibile, più problemi sociali, quindi meno democrazia.
L’intero movimento storico richiederebbe qui da noi una revisione molto profonda dei nostri modi di essere, dagli individuali ai sociali, dalle istituzioni sociali e giuridiche alle forme politiche, soprattutto, prima, le forme mentali, le immagini di mondo. Stiamo passando ad una nuova epoca storica, ma senza una democrazia tutto questo è impossibile.
La democrazia non è un sistema ad interruttore che c’è o non c’è. Nelle società complesse dovrebbe essere un “tendere a…” con vari gradi di intensità, il continuo rischio di regressione, una lunga scala ascensionale di espansione ed intensione da sperimentare, correggere e riproporre con passi indietro e qualcuno avanti, lungo decenni e decenni.
Quanto alle molto giovani e già appassite “democrazie occidentali”, la forma guadagnata nel dopoguerra ha avuto un certo impeto per i primi tre decenni, poi è stata sistematicamente ridotta e sabotata. La democrazia è un ordine culturale, emerge da un certo modo di essere della cultura (in senso esteso) dei cittadini di uno stato, modo che va coltivato e continuamente evoluto, solo dopo si formalizza in un ordine giuridico, non si compie perché ce l’hai scritto in Costituzione.
La sistematica ed intenzionale erosione democratica degli ultimi quattro decenni è avvenuta perché le élite del sistema occidentale, hanno compreso già da metà anni ‘70 che la triplicazione mondiale della popolazione umana che si è poi compiuta dal dopoguerra ad oggi e l’inevitabile trasferimento al resto del mondo dei modi economici moderni (ben prima della globalizzazione) avrebbero progressivamente chiuso le condizioni di possibilità del sistema di cui loro erano l’oligarchia eletta.
Hanno così varato una doppia strategia adattativa, adattativa per loro. Non vedendo alternative se non rimettendo in discussione i loro unilaterali interessi, le élite hanno stracciato il contratto sociale. Se non si capisce il punto critico, non si capisce la svolta neoliberale . Sappiamo da millenni che certe persone sono avide, non si spiega con l’epidemia di avidità la svolta anni ’80-’90, c’era una razionale.
Da una parte hanno liberalizzato la circolazione dei capitali, i loro, di modo da scommettere sulle crescite di questi nuovi spazi (soprattutto in Oriente, materie prime, scommesse sulle altrui scommesse, nuove tecnologie) ed accumulare così depositi di valore in pochissime mani come forse mai -complessivamente- prima registrato nella storia umana. Oltretutto stoccati in decine e decine di paradisi fiscali quasi tutti, invariabilmente, anglosassoni.
Lo spazio per una crescita continuata della complessiva ricchezza occidentale andava a va a restringersi oltreché per ragioni esterne, per ragioni interne di fine ciclo. Il sistema di economia moderna, come ogni cosa, ha un suo ciclo, non è un ordine eterno. Ha a che fare con umani e natura, enti finiti, difficile trarre un infinito dai finiti. Segue una curva logistica e sempre che poi non si trasformi in una a campana, è una erezione eterna solo nella metafisica economica.
Dall’altra, sapendo che l’intero movimento economico collegato alla loro “globalizzazione” avrebbe generato una pressione restrittiva verso il medio e basso sociale interno, hanno costruito teorie versione migliore dei mondi possibili per dar sostegno a quello che stava succedendo nel mentre hanno cominciato sistematicamente a ridurre quantità e qualità democratica dell’ordine interno. Questa seconda azione era in previsione del quando la narrazione si sarebbe scontrata con gli effetti della diversa realtà. Coi muscoli bolliti, quando la rana realizza che nella pentola il calore è insopportabile, non può più saltar fuori. Noi tutti, oggi, siamo quella rana, ci manca la democrazia per provar a saltar fuori, ci hanno bollito i muscoli democratici a fuoco lento. Ma adesso sono passati direttamente al cervello.
Negli ultimi quaranta anni è crollato il Politico occidentale. Vanno a votare sempre meno persone, più per abitudine che per convinzione o passione politica. La “passione” è un sentimento impossibile oggi da collegare a “politica”. E dire che viene da polis, la nostra forma di vita associata, l’essere in società con estranei e tuttavia, dipendervi, non si vede di cosa di più importante dovremmo occuparci in quanto soci di una società. La qualità della conoscenza distribuita rispetto ai problemi che abbiamo è infima, così il dibattito pubblico che la riflette in modo anche peggiore.
Il pluralismo politico ha perso interamente la sua fazione di sinistra che pure era quella che aveva spinto alla democratizzazione sin dalla Rivoluzione francese, nel movimento primo Novecento per il suffragio universale e poi nel dopoguerra. Il suo centro ha perso in Europa la sua matrice cristiana e sociale ed è diventato sempre più anglo-liberale. La sua destra, un destra che storicamente col concetto di democrazia c’entra poco visto che crede le diseguaglianze “di natura”, è cresciuta in composizione cha va da un confuso nazionalismo sovranista che però poi viene tradito non appena si ottengono posizioni di governo, ad un eterno tradizionalismo conservatore, a qualche esuberanza demagogica che però serve solo a trasformare rabbia repressa in voti per andare a gestire il sistema in nome e per conto l’élite liberale. Magari versione un po’ meno “woke” ma con non meno intenzione nel controllare lavoro, redditi, fisco, leggi, diritti sociali, cultura, democrazia imponendo diseguaglianze in favore del dominio oligarchico.
A fine anni ’70, mentre l’oligarchia americana convocava i vassalli europei e giapponesi per spiegare loro che i gravi e crescenti problemi di governabilità che si andavano a registrare negli anni ’60-‘70 erano dovuti ad un “eccesso di democrazia” (rapporto alla Commissione Trilaterale 1975, parliamo di Samuel Huntington, il “principe” della “scienza” politica di Washington), un astuto cinese dal nome Deng Xiaoping, che aveva studiato in Francia per “Imparare la conoscenza e la verità dell’Occidente per salvare la Cina”, cominciò a trapiantare semi di sistema economico moderno nel suo paese andato incontro a seriali fallimenti a seguito della applicazione delle idee marxiste-leniniste-maoiste in economia. Quel complesso teorico di audaci ambizioni era validissimo sul piano teorico e su quello critico, ma del tutto fallimentare sul piano economico. A seguire, la svolta cinese si è espansa al Sud Est asiatico e poi a tutto l’ex-Terzo Mondo. Quel Sud Globale che oggi reclama più democrazia nella conduzione dell’ordine del mondo agli stessi che negli ultimi decenni l’hanno contratta nei nostri paesi.
Quello di Deng era “capitalismo”? Purtroppo, definire “capitalismo” porta via interi boschi per trarne carta su cui scrivere definizioni poi da rivedere, collegare tra loro, precisare, ambientare in storia e geografia, con spruzzi antropo-culturali e vari tipi di distinzioni tassonomiche che si perdono nelle varie eccezioni a gran sempre più fine; quindi, alla fine, è un imprendibile ed imprecisabile concetto-saponetta e quindi la domanda non ha senso. Basta andare in libreria o biblioteca e vedere quanti si sono periti di dar la loro definizione che è sempre parziale ed incompleta, da più di un secolo e mezzo. È un ordine economico? Sociale? Politico? Geopolitico? Culturale? Storico? Religioso? Il concetto così formulato è inservibile. Ce lo scambiamo con l’aria di chi capisce bene cosa intende, ma credo non sia così, è ormai un vago “luogo comune” per giochi linguistici sociali. La diagnosi su “in quale sistema viviamo?” non è chiara, ovvio non lo si sappia gestire diversamente.
C’è una differenza fondamentale tra sistema cinese e sistema occidentale e non è nell’economia ma nella relazione tra economia e politica. Nel sistema cinese, c’è una economia di tipo moderno-occidentale, con più o meno Stato e relativo mercato, ma l’ordinatore finale della società è politico, è nel Partito Comunista Cinese, partito unico che ha in esclusiva tutte le chiavi ordinative in mano (giuridiche, militari, fiscali). Nel sistema occidentale, invece, la forma economica è solo di mercato (tutt’altro che smithiano, in realtà corrotto, manipolato, mono o oligopolista, spesso aiutato dallo Stato in vari modi), ma soprattutto la politica è decisa dall’economia, non dai cittadini. In Occidente, Il partito unico che ha tutte le chiavi in mano, è fatto dai funzionari del sistema che garantisce ad una ristretta élite di accumulare sempre più ingenti quantità di capitale e potere, qualunque cosa succeda nel mondo e nel mercato stesso. Anzi, tanto più è difficile sfruttare il mondo come è stato fatto per almeno tre secoli, tanto meno funziona il mercato interno, tanto più potere e capitale vogliono accumulare temendo l’implosione sociale o ambientale o geopolitica e quindi tanto meno democrazia possono sopportare.
I cittadini debbono veder svanire il loro peso politico democratico e subordinarsi sempre più, lavorare sempre di più, guadagnare sempre di meno, rendersi flessibili e morbidi, pensare sempre meno, discutere sempre meno, stare con la testa china su qualche device elettronico per sognare o sfogarsi. Al limite, possono scrivere contro l’ennesima ingiustizia, fare “critica culturale” o denunciare le trame oscure di quelli di Davos. Possono cioè “criticare”, così certificano che qui da noi c’è la libertà. È la democrazia “liberale” ovvero la dittatura della minoranza per evitare quella della maggioranza.
Negli ultimi due anni, abbiamo visto l’Europa, sistema storico che ha all’incirca più di due millenni ed a lungo dominante, disintegrare ogni propria autonomia in favore dell’élite americana. Tre giorni dopo l’inizio della voluta guerra in Ucraina, l’Europa si è “consegnata” ed è oggi una inerte e vassalla propaggine del sistema americano. Gente che solo fino a tre anni fa era convinta che tutto il mondo fosse un mercato post-storico destinato a sciogliere gli stati centralizzati in favore di nebulose di città-Stato profumate di innovazione, scambi senza frontiere e gobal-cosmopolitismo, ora sbava urlante per produrre più carri armati, più missili, più bombe per dar una lezione alle odiate autocrazie e difendere le nostre prerogative di “civiltà”.
Alcuni studiosi hanno scritto analisi e libri sul quanto repentino e profondo fu il cambio di mentalità tra primavera ed autunno del 1914. Speriamo sia vera quella battuta delle ripetizioni di tragedie in farse, letterariamente suona bene ma nei fatti non ne sarei così sicuro. Dopo due conflitti mondiali di origine intra-occidentale, c’è sempre la possibilità del “non c’è due senza tre”, è nella nostra poco compresa e scabrosa genetica storico-culturale.
Siccome qui in Occidente non siamo cinesi ovvero non abbiamo quella storia, geografia e cultura, da noi è impensabile un sistema politico con un partito unico per giunta socialista o addirittura comunista, almeno nelle dichiarazioni. Da noi, invertire le relazioni tra politica ed economia, avrebbe dovuto vedere una cosciente, forte e costante pressione di massa per evolvere e migliorare la nostra democrazia.
Ma le élite a partire da quelle di Washington, proprio cinquanta anni fa decisero che questa strada doveva esser percorsa al contrario. La sinistra che pure aveva contribuito a svilupparla ed un po’ se l’era trovata in atto per reazione al collasso bellico, che più di ogni altra parte politica avrebbe dovuto strenuamente difenderla, non avendone una teoria nei sacri testi tutti di economia e con un po’ di “rivoluzione” qui e lì, non si è accorta di niente. Ha continuato la sua “critica al capitale”, una sorta ormai di inoffensiva contro-religione negativa ai cui officianti non si nega una cattedra universitaria, con le sue sterili e formali dispute scolastiche che non interessano nessuno ed annichiliscono ogni fluttuazione sociale perché non conforme alle previsioni dei sacri testi. Questo nella sinistra intellettuale che sognando il superamento del capitalismo intanto s’è fatta scippare la minima democrazia.
Quella che interpreta weberianamente la politica come professione, s’è invece adeguata presto alla versione di una economia sempre più per pochi, sempre più ricchi, sempre più potenti, un modo economico sempre meno sociale e sempre più individualista ed americano. Una sinistra senza identità perché non ha un chiaro progetto sul mondo (del resto visto che i teorici s’impegnano solo in critica cosa vuoi che sappia costruire?), votata sempre meno perché se devi avere ad ordinamento il sistema di mercato allora scegli chi di quel sistema è conseguenza o al limite, la sarabanda di destra che tanto non mette certo in discussione i fondamentali e si dedica ai “valori” immateriali. Un po’ più armi e crocifissi ed un po’ meno gay e migranti.
Senza una minima forma di reale democrazia non possiamo dire niente, fare niente, decidere niente, cambiare niente. C’è gente che è morta, nella storia, per averla e darcela in eredità. Noi l’abbiamo persa come si perde il tempo, senza accorgersene. I posteri si domanderanno dove avevamo la testa…

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GLI ERRORI STORICI E STRATEGICI DELL’OCCIDENTE di Gordon Hahn

Traduciamo e pubblichiamo questa approfondita analisi storica e strategica degli errori commessi dall’Occidente che hanno condotto alla guerra in Ucraina. Buona lettura. Roberto Buffagni

 

GLI ERRORI STORICI E STRATEGICI DELL’OCCIDENTE

di Gordon Hahn[1]

17 settembre 2023

https://gordonhahn.com/2023/09/17/the-wests-historical-and-strategic-miscalculations/

 

La guerra in Ucraina è in buona parte il risultato di gravi errori di calcolo strategico-storici e storico-strategici commessi dell’Occidente alla fine della Guerra Fredda. I primi errori, strategico-storici, sono implicati da una filosofia della storia escatologicamente progressista –  progressista, cioè definita in termini puramente occidentali, non a caso conformi agli interessi dell’Occidente. Il secondo tipo di errori, quelli storico-strategici, derivano da una serie di ipotesi, generate dal primo tipo di errori, sul tipo di strategia di cui l’Occidente avrebbe avuto bisogno per assicurarsi di essere “dalla parte giusta della storia”. Nel contesto di questi errori di calcolo, l’Occidente ha anche commesso una serie di valutazioni errate sulla Russia, contribuendo a produrre il dilemma di sicurezza russo-occidentale che si sta riproducendo oggi nei campi, nei villaggi e nelle città dell’Ucraina.

 

GLI ERRORI DI CALCOLO STRATEGICO- STORICI DELL’OCCIDENTE

 

(1) L’errata filosofia della storia occidentale. Il primo errore storico-strategico successivo alla Guerra Fredda si radica nella filosofia della storia escatologica e occidentalocentrica dell’Occidente. Invece di vedere lo sviluppo della storia umana come circolare, l’Occidente lo vede lineare e progressivo. Il senso – radicato nell’escatologia cristiana dell’Anticristo, dell’apocalisse, della seconda venuta di Cristo, della salvezza dell’umanità e dell’avvento del Regno Celeste alla fine dei tempi – è che la Storia si dirige verso una particolare conclusione o esito. La storia, in questa visione, non è una serie di cicli ripetuti di ascesa e caduta, costruzione e distruzione, guerra e pace. Il punto finale della storia si sta decidendo in una lotta crepuscolare tra il bene e il male, in cui il primo vincerà. Non volendo essere perdenti in questa lotta, e non essendo meno incentrati su se stessi e orientati sui propri interessi degli altri, gli occidentali immaginano naturalmente una fine della Storia in cui il modello occidentale, essendo dalla parte giusta della Storia, alla fine trionferà. Le forze che si oppongono a questa conclusione della storia sono naturalmente “dalla parte sbagliata della Storia” e “malvagie”. Non ci può essere alcuna giustificazione per le loro azioni se violano le regole della “democrazia” nelle loro nazioni, e la legge dell’espansione della democrazia in tutto il mondo – la diffusione della “buona novella” e del Verbo dei valori democratici universali a livello globale, con l’arrivo dell’inevitabile, unica pace possibile: la pace democratica.

 

(2) La teleologia occidentale della fine della Storia nella pace democratica. Il secondo errore storico-strategico è stato quello di riempire il quadro storico-filosofico con contenuti che stabiliscono che non è tanto l’Occidente in sé a guidare la storia, ma i suoi elementi di civiltà: le libertà individuali, il governo repubblicano o, dove possibile, persino democratico, e le economie di libero mercato o il capitalismo. Francis Fukuyama in “La fine della storia e l’ultimo uomo” ha esposto questo argomento. Dopo la guerra fredda e il crollo dell’impero comunista sovietico, il repubblicanesimo capitalista era l’ultima ideologia o modello che restasse in piedi. Negli anni Quaranta, le “democrazie” occidentali (le democrazie sono poche, tutti gli Stati occidentali sono repubbliche) avevano apparentemente condotto la lotta per sconfiggere il fascismo in Germania, Italia, Giappone e, come spesso si dimentica, nell’Europa orientale. Hanno poi contenuto e superato l’altra ideologia che le sfidava, il comunismo, portandolo alla disillusione nei confronti di se stesso e provocando, in larga misura, alla sua dissoluzione. Ciò ha confermato l’escatologia dell’Occidente riguardo alla direzione e alla fine della Storia.

 

L’umanità era entrata nella fase finale della storia, che avrebbe portato a un mondo di Stati repubblicani, capitalisti e di libero mercato. Poiché, secondo la “teoria della pace democratica”, le repubbliche non si fanno guerra tra loro, il nuovo mondo di Stati repubblicani si sarebbe presto trasformato in un regno celeste di pace eterna e prosperità per tutti. L’eccitazione, in alcune comunità o sottoculture occidentali – ad esempio, nei circoli neocon – era palpabile. C’era una nuova energia ansiosa e un’impazienza intollerante verso qualsiasi resistenza oggettiva o soggettiva. Questa analisi teleologica lasciava da parte il bagaglio di centinaia di storie nazionali, di centinaia di memorie nazionali, di centinaia di culture nazionali, delle numerose religioni e civiltà che hanno generato e, di conseguenza, delle centinaia di questioni internazionali, interculturali e interconfessionali da risolvere. Inoltre, l’analisi aveva enormi implicazioni strategiche per il completamento della marcia del repubblicanesimo nel mondo.

 

GLI ERRORI STORICO- STRATEGICI DELL’OCCIDENTE

 

(1) Salvare la storia con la promozione della democrazia e l’espansione della NATO. L’origine religiosa della fede degli occidentali in una fine capitalista e repubblicana della storia non preclude necessariamente l’attività umana per accelerare lo sviluppo storico. Come alcune tradizioni cristiane ritengono che la purificazione dell’umanità e la grazia sulla terra possano contribuire ad avvicinare la salvezza finale, o come alcuni comunisti hanno revisionato il marxismo per giustificare la possibilità di un avvento del comunismo in Stati prevalentemente agricoli, soprattutto per mezzo di forze rivoluzionarie organizzate e guidate da un partito affiatato di rivoluzionari professionisti in grado di “telescopare” o contrarre il corso dello sviluppo storico tra la “fase democratica capitalista e borghese” e la rivoluzione socialista, così anche gli umanisti che credono nell’inevitabile avanzamento delle libere repubbliche in tutto il mondo si sforzano di accelerare l’avvento di una comunità globale repubblicana e della pace democratica. Ciò si è riflesso nella vasta espansione degli sforzi di promozione della democrazia dell’Occidente, in particolare degli Stati Uniti, volti a spingere le società meno mature verso la transizione democratica. A volte, le famigerate rivoluzioni colorate sono state soltanto alimentate, piuttosto che direttamente organizzate, ma il risultato è stato lo stesso: l’incorporazione degli aspiranti, e di alcuni dei non aspiranti di ogni specifico Stato, nel sistema occidentale, al fine di liberarli e salvarli dalla guerra, dalla povertà e dall’autoritarismo. Alcuni, come i russi e i cinesi, erano costernati per la curiosa correlazione tra vicinanza politica e geografica degli “Stati obiettivo” dell’Occidente, da un lato, e i propri alleati e vicini, dall’altro. Due corollari di questo proselitismo sono stati l’espansione della Comunità Europea per espandere le economie dominate dal mercato nei mondi post-sovietici e post-comunisti e – cosa più sconcertante per Mosca e Pechino – l’espansione del blocco militare più potente della storia mondiale, la NATO. Quest’ultimo corollario espansionistico è stato venduto come l’allargamento di un’alleanza puramente difensiva, in perfetta sintonia con l’imminente pace democratica. I membri della NATO vivrebbero in una zona di sicurezza e in una comunità di democrazie, e gli altri desidererebbero, naturalmente, unirsi alla pace.

 

(2) Trasformare l’Ucraina da Stato cuscinetto a dilemma di sicurezza. La sconvolgente portata della tracotanza politica e dell’errore storico di questa strategia della NATO, in particolare nel momento in cui è diventata sempre più stridente ed egoistica, è stata visibile a tutti i più esperti pensatori strategici dell’Occidente: George Kennan, John Mearsheimer, Michael Mandelbaum, tra gli altri (e compreso il sottoscritto). Altri, come Zbigniew Brzezinski, hanno visto la luce sul letto di morte.

Questi uomini navigati e ragionevoli hanno notato e avvertito fin dall’inizio che una simile politica avrebbe spinto Mosca nelle braccia di Pechino, creando un baluardo di potenza strategico anti-occidentale. È in questo errore di calcolo, di gravità storica, che l’odierno conflitto ucraino trova la sua genesi, poiché la “politica della porta aperta” della NATO ha sollevato la questione della copertura totale del confine russo da parte dei membri dell’alleanza. Tentando di far entrare l’Ucraina nella NATO – ufficialmente dal vertice di Budapest del 2008, ufficiosamente quasi di certo dal 1991 – l’alleanza si è privata di uno Stato cuscinetto tra Russia e Occidente che avrebbe in gran parte prevenuto e precluso il conflitto con la Russia, soprattutto se una strategia di buffer-building invece che di alliance-building fosse stata applicata anche al Baltico, alla Bielorussia e alla Moldavia. Fin dall’inizio, l’espansione della NATO ha screditato la democrazia e gli occidentalisti russi, e ha resuscitato la tradizionale norma di vigilanza sulla sicurezza della Russia nei confronti dell’Occidente.  I nuovi membri della NATO nutrivano forti rancori storici e animosità culturali e religiose nei confronti della Russia, e la Russia aveva una sensibilità storicamente radicata nei confronti dei suoi vicini occidentali, a causa di un modello secolare di interferenze politiche, sovversioni e interventi, animosità culturali e religiose, interventi militari e invasioni provenienti dall’Occidente, dall’Occidente e per l’Occidente.

 

L’Ucraina è stata una questione particolarmente problematica, visti gli elementi storici, culturali, religiosi ed etno-nazionali comuni tra Russia e Ucraina. Le identità nazionali ucraine e russe sono inestricabilmente intrecciate da esperienze storiche comuni e da legami politici, in parte comuni, in parte meno. Insistendo sul suo diritto di espandersi in Ucraina, la NATO ha trasformato il segno neutro sotto il quale esisteva l’Ucraina post-sovietica in un segno negativo per Mosca. Da potenziale Stato cuscinetto per l’Occidente (e per la Russia), l’Ucraina è diventata un oggetto del desiderio e di contesa tra l’Occidente e una Mosca già in uno stato di maggiore vigilanza a seguito di diverse ondate di espansione della NATO, anche ai confini con gli Stati baltici. In breve, l’Occidente ha sostituito un cuscinetto di sicurezza con un dilemma di sicurezza e un’alta probabilità di conflitto con la Russia.

 

Forse ancora più importante è il fatto che, a causa della storia spesso comune dei due Paesi, l’Ucraina era uno Stato diviso, diviso lungo linee etniche, linguistiche, identitarie, geografiche, storico-politiche e socioeconomiche. Gli sforzi della NATO per espandersi in Ucraina hanno aggravato le tensioni tra l’Ucraina occidentale e quella sud-orientale, dove queste divisioni erano pronte a esplodere, come un soldato che calpesta una mina. La rivolta di Maidan, sostenuta dall’Occidente, è stata la violenta scintilla che ha fatto esplodere questa polveriera.

 

(3) Ridimensionare la guerra convenzionale, mentre si spinge la Russia verso la guerra convenzionale in Ucraina. Allo stesso tempo, mentre l’ultima fase della presunzione storica di una pace democratica e altri fattori hanno contribuito a produrre un nuovo approccio “non convenzionale” alle dottrine militari e di sicurezza nazionale occidentali, il rivoluzionarismo cromatico dell’Occidente e l’espansionismo di NATO e UE hanno spinto la Russia verso la guerra convenzionale in Ucraina. Ma l’imminenza della pace democratica sembrava significare, almeno in Occidente, che il rischio di guerra era diminuito, e che le guerre convenzionali del tipo visto in Europa erano finite, così provando e anticipando l’avvento della pace democratica. Le vere grandi potenze erano ormai unanimi sulla superiorità dei sistemi politico-economici capitalistici e repubblicani; insieme avevano adottato i valori universali. Con una Russia indecisa, la debolezza post-Guerra Fredda, gli accordi di controllo degli armamenti dell’era della perestrojka, e la “politica assicurativa” dell’espansione della NATO erano garanzie affidabili che i timori di una minaccia russa all’Europa fossero limitati se non inesistenti. La guerra e le forze armate convenzionali potevano ancora emergere nel Terzo Mondo, ma per decenni non avrebbero rappresentato una minaccia, per le potenti macchine militari occidentali. Fuori dell’Occidente, la democrazia garantiva la pace con il Giappone e l’India, e la Cina era creduta in procinto di compiere una “transizione alla democrazia” di tipo sovietico, di cui Piazza Tienanmen era stata un presagio. Senza la minaccia di una guerra convenzionale di grandi dimensioni, le spese per la difesa e l’intelligence potevano essere ridotte, o almeno gli aumenti di bilancio potevano essere rallentati.

 

Nello stesso momento in cui i timori di una guerra convenzionale sono diminuiti, è emersa una nuova minaccia non convenzionale per la sicurezza, rappresentata dal terrorismo jihadista e dalle controinsurrezioni. La principale minaccia non convenzionale proveniva dal “Terzo Mondo”. Per questo motivo, una parte significativa delle spese per la difesa e l’intelligence è stata dirottata verso il “controterrorismo”, il nation-building e le esigenze di ingegneria sociale interna. Questo spostamento è stato particolarmente forte dopo il 2000, quando l’11 settembre ha scatenato la guerra contro il terrorismo jihadista, la guerriglia e l’insurrezione. Ma nel frattempo, le successive ondate di espansione della NATO e il conseguente ritorno all’autoritarismo più tradizionale della Russia e alla sua cultura di vigilanza sulla sicurezza stavano intensificando le tensioni con l’Occidente, facendo crescere le spese militari russe e aumentando la preoccupazione generale dello Stato riguardo alla percezione della crescita convenzionale dell’Occidente, dai Balcani al Caucaso, dalla Siria all’Ucraina, e alla necessità di una maggiore attenzione dello Stato e della società alla sicurezza nazionale. Dopo le rivoluzioni colorate in Georgia e Ucraina a metà degli anni Duemila e la guerra ossetiana Georgia-Russia dell’agosto 2008, la Russia ha intrapreso un grande sforzo di riforma e modernizzazione militare.

 

GLI ERRORI DI VALUTAZIONE DELL’OCCIDENTE NEI CONFRONTI DELLA RUSSIA E IL NUOVO CALCOLO RUSSO

 

L’errore di lettura strategica dell’Occidente è stato forse ancora più evidente quando si è trattato di sviluppare le relazioni con la Russia post-sovietica. Errori storici e strategici hanno portato a un atteggiamento accondiscendente nei confronti della Russia, a una sottovalutazione dello status di grande potenza storicamente persistente della Russia, a una sopravvalutazione del permanere della debolezza russa post-sovietica, a una tendenza a ignorare gli interessi nazionali e il senso dell’onore della Russia, e a un completo fraintendimento della determinazione –  della Russia, e non solo di Putin – a contrastare l’emergere di una minaccia militare ai suoi confini. Le grandi potenze non permettono questo tipo di dinamica, e la Russia è determinata a preservare il suo status di grande potenza per ragioni di storia, sicurezza, tradizione e onore. Numerosi studiosi occidentali hanno osservato che se l’Ucraina si unisse al campo occidentale e le facesse perdere il punto d’appoggio nel Mar Nero che le conferisce la flotta basata in Crimea, la Russia farebbe molta fatica a mantenere lo status di grande potenza.

 

Il già citato ritorno della cultura russa di vigilanza sulla sicurezza e il suo rifiuto della democratizzazione provocata dal rivoluzionarismo di promozione della democrazia e dalla militarizzazione della democrazia con l’espansione della NATO sono direttamente collegati anche all’ interpretazione occidentale completamente errata del crollo sovietico e della Russia post-sovietica in generale.  L’Occidente ha interpretato erroneamente la caduta del regime comunista sovietico come una rivoluzione dal basso o come una “transizione democratica”.  Non si trattava di nessuna delle due cose. Nel primo caso, le élite politiche sono state inclini a credere nel mito di una “rivoluzione popolare” dal basso, su ampia base sociale, perché questa era la teleologia politica dettata dal modello “fine della storia”. Nel frattempo, gli accademici inserirono il caso russo nella teoria popolare all’epoca: la teoria della transizione. In realtà, la trasformazione del regime sovietico/russo fu principalmente una rivoluzione dall’alto, con elementi secondari di una nascente rivoluzione dal basso e di “patti di transizione” o negoziati tra regime e opposizione verso una trasformazione democratica, ma questi ultimi elementi furono abortiti quasi immediatamente dopo il fallito colpo di Stato dell’agosto 1991 (cfr. Gordon M. Hahn, Russia’s Revolution From Above: Reform, Transition, and Revolution in the Fall of the Soviet Communist Regime, 1985-2000 (Transaction Publishers, 2002, Routledge, 2017).

 

Ciò significa che, piuttosto che un’ampia massa di rivoluzionari repubblicani che insorgono per cambiare il regime e prendere il potere, come in una rivoluzione dal basso, o a condividere il potere e rimanere politicamente vigili dopo una transizione negoziata dall’ancien regime, la rivoluzione è stata guidata dall’alto, all’interno dello Stato, da attori del Partito-Stato che avevano un’adesione limitata, se non addirittura una limitata comprensione, di che cosa siano governo repubblicano ed economia di mercato. Questi attori hanno dominato la leadership e l’apparato statale nella “nuova” Russia dopo il 1991. Il fatto che una parte della leadership e della burocrazia russa e una parte della società avessero un’adesione al modello repubblicano-capitalista rendeva possibile una trasformazione completa verso il regime repubblicano di mercato, che però restava un compito estremamente difficile. Ma poiché l’Occidente presupponeva che la rivoluzione avesse una base sociale più ampia di quanto fosse in realtà, non sentiva l’urgenza di fornire alla Russia un’assistenza economica che allora era, invece, assolutamente critica. L’assistenza arrivò, ma troppo poco e troppo tardi. Peggio ancora, l’Occidente iniziò a discutere e poi ad attuare l’espansione della NATO, delegittimando le forze filo-occidentali, filo-repubblicane e filo-libero mercato. La rivoluzione filo-repubblicana russa dall’alto è stata quindi messa a dura prova, con le rivoluzioni colorate e le successive ondate di espansione della NATO e dell’UE in arrivo (Hahn, Russia’s Revolution from Above, capitolo 11). All’inizio degli anni Duemila, quindi, la rivoluzione filorepubblicana russa dall’alto era morta.

 

Gli occidentali erano consapevoli, anche se forse sottovalutavano, il fatto che la rivoluzione era zavorrata dal complesso e sfaccettato fardello dell’eredità comunista sovietica: una politica totalitaria, un’economia ipercentralizzata e un’ideologia, una cultura e una politica anti-occidentali, anti-capitaliste e anti-libertarie. Ma non hanno visto arrivare la rinascita del passato tradizionalista pre-sovietico della Russia, tuttora utilizzabile. Questo sviluppo è stato il risultato diretto delle tensioni a cui l’espansione della NATO sottopose la debole base sociale e democratica della rivoluzione russa dall’alto. Con l’affievolirsi dell’influenza dei repubblicani russi, l’élite politica e intellettuale russa ha iniziato a cercare un nuovo percorso nel passato del Paese. La cultura, il pensiero, la storia e la politica russa pre-sovietica erano l’ovvia alternativa a una revanche comunista in risposta all’invasione occidentale annunciata dall’espansione della NATO e dell’UE. Nel Rinascimento religioso russo e nell’Età d’Argento durante il crepuscolo imperiale alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo, la cultura e i discorsi russi riflettevano non solo le idee che alimentarono l’ondata rivoluzionaria e la presa del potere comunista: comunismo proletario, socialismo agrario, utopismo rivoluzionario e internazionalismo comunista. Altrettanto influenti furono le idee dell’universalismo e del comunitarismo ortodosso, del messianismo russo, dell’anarchia slavofila e del “comunitarismo” agrario, del panslavismo, del liberalismo cristiano, del liberalismo occidentale, del sentimento antiborghese: in sintesi, varie forme di conservatorismo non occidentale e/o utopico. La politica, sotto l’autocrazia della Russia imperiale, era autoritaria, ma liberale per gli standard sovietici, e concedeva, occasionalmente, ulteriori liberalizzazioni. Per gli standard odierni costituisce un autoritarismo temperato, a volte morbido a volte meno, ma non era totalitaria, e quindi risponde al desiderio dei russi di libertà significative rispetto dell’esperienza sovietica. Allo stesso tempo, coincide con la sfiducia dei russi nei confronti dell’Occidente e con lo status di grande potenza del loro Paese.

 

Con il discredito del comunismo e del socialismo alla fine dell’era sovietica e quello del capitalismo e del repubblicanesimo nella depressione dei selvaggi anni ’90, sono stati questi conservatorismi russi pre-sovietici a emergere dal sedimento della memoria nazionale, scoperto dopo la liberalizzazione della perestrojka di Mikhail Gorbaciov e la debole democrazia di Boris Eltsin, che però ha permesso un discorso pubblico molto libero sul passato, il presente e il futuro della Russia. L’autoritarismo morbido con un notevole sostegno popolare e il ritorno dell’anticapitalismo o almeno dei sentimenti antiborghesi, l’universalismo e il comunitarismo russo ortodosso, il neo-eurasismo semi-universalista, il nazionalismo russo di Stato (non etnico) e la preferenza per la solidarietà nazionale rispetto al pluralismo politico sono tornati alla ribalta nella cultura russa – politica, economica e strategica. L’alternativa russa tradizionalista non è stata capita, perché l’Occidente l’ha ignorata o non l’ha mai presa sul serio. Dopotutto, la fine della storia prevista dai pensatori occidentali anticipava un futuro che si allontanava da queste tradizioni.

 

Inoltre, la recente rinascita russa ha visto il ritorno di una visione semi-messianica, neo-eurasiana, in cui la Russia è vista come una forza principale, se non la principale, in una grande alternativa eurasiatico-centrica all’Occidente, in cui Russia e Cina dovrebbero radunare il “Resto” contro l’Occidente, allo scopo di: difendere la religione contro il secolarismo; i valori tradizionali della famiglia contro il femminismo radicale, il genderismo, il transgenderismo e il transumanesimo; il comunitarismo contro l’individualismo, e il nazionalismo e la civiltà contro il globalismo. Ogni civiltà, in questa visione, è libera di determinare il tipo di sistema politico ed economico in cui vivere. Così, l’India e varie democrazie africane e latinoamericane si stanno integrando con diverse organizzazioni internazionali dell’alternativa sino-russa, dai BRICS all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, all’Unione Economica Eurasiatica e alla One Belt One Road. Il nuovo messianismo russo emergente – che ha anche radici nell’escatologia e nella teleologia di ispirazione cristiana – ritiene che la Santa Russia abbia una missione speciale, negli affari mondiali. Tale missione, al momento, si limita a quella incarnata dalla strategia neo-eurasianista, attualmente parte del partenariato sino-russo previsto da Mosca.

 

In termini di affari militari e di sicurezza, la Russia sta ancora una volta andando per la sua strada. Nonostante le guerre cecene e l’ascesa dell’Emirato del Caucaso, entrambi legati ad Al Qa`ida e poi all’ISIS, i russi non hanno mai ricevuto il promemoria sull’abbandono della guerra convenzionale, e di certo non l’hanno ricevuto i militari russi. Certo, nei depressi anni ’90 i leader civili russi sono stati costretti a tagliare i bilanci della difesa, e il jihadismo nel Caucaso ha richiesto di dirottare gli scarsi finanziamenti verso l’antiterrorismo e la contro-insurrezione. Ma questo è avvenuto solo ai margini e per necessità, a differenza che in Occidente, dove le nuove dottrine sono state accolte con entusiasmo e si sono radicate nella sua peculiare filosofia della fine della storia.

 

CONCLUSIONE

 

Tornando al 2022, vediamo che l’Occidente ha condotto, anzi trascinato l’Ucraina in una catastrofe. Con l’adesione alla NATO e all’Occidente in senso lato che le è stata prospettata per due decenni, Washington e Bruxelles hanno impegnato l’Ucraina nel tipo di ingegneria sociale che oggi spesso infligge alle proprie popolazioni, ma su una scala molto più grande. I governi sono stati rovesciati, la politica e l’economia sono state ridisegnate, l’ultranazionalismo, il neofascismo e, cosa più pericolosa, l’antirussismo sono stati non solo tollerati, ma per molti versi incoraggiati dall’Occidente in Ucraina. L’Occidente ha creato in provetta una “anti-Russia”, secondo la terminologia di Putin, ai confini della Russia, mentre ha alimentato i timori per la sicurezza in Russia soprattutto attraverso un’espansione della NATO che per l’Ucraina è rimasta temporaneamente in sospeso, ma che è risultata fin troppo reale per la Russia, con la sua memoria storica di otto secoli di interferenze, interventi e invasioni occidentali. La Russia non ha mai effettuato una transizione su larga scala da un’economia manifatturiera a una virtuale come quella occidentale. Questo, e il fatto che la Russia abbia conservato il know-how e la capacità bellica convenzionale si manifesta nella guerra provocata dal messianismo repubblicano e dalla teleologia storica dell’Occidente.

 

I numerosi errori di calcolo dell’Occidente hanno spinto l’orso russo nell’abbraccio del panda cinese. Gran parte del Resto del mondo è pronta ad abbracciare l’orso in risposta all’egemonia occidentale, alle rivoluzioni colorate, all’espansione della NATO ora anche in Asia, alle richieste dell’Occidente di sanzioni per la guerra in Ucraina, alle pesanti pressioni di FMI e Banca Mondiale. In Ucraina, il nuovo messianismo conservatore neo-eurasiatico della Russia sta cercando di proteggere le sue retrovie in Occidente, mentre si rivolge verso est. Nella sua arroganza, l’Occidente non solo ha “perso la Russia”, ma sta per perdere anche l’Ucraina e forse molto altro. I suoi calcoli sbagliati hanno creato un nuovo mondo, ma non l’utopia repubblicana del mercato che aveva immaginato profilarsi all’orizzonte tre decenni fa. Trascurando la permanenza del conflitto nella Storia, l’Occidente ha fatto rivivere sia il conflitto che la Storia, e lo ha fatto in modi che potrebbe rimpiangere.

[1] Gordon M. Hahn, Ph.D., è un analista esperto di Corr Analytics, www.canalyt.com .

 

Il dottor Hahn è l’autore del nuovo libro: Russian Tselostnost’: Wholeness in Russian Thought, Culture, History, and Politics (Europe Books, 2022). È autore di cinque libri precedenti: The Russian Dilemma: Security, Vigilance, and Relations with the West from Ivan III to Putin (McFarland, 2021); Ukraine Over the Edge: Russia, the West, and the New Cold War (McFarland, 2018); The Caucasus Emirate Mujahedin: Global Jihadism in Russia’s North Caucasus and Beyond (McFarland, 2014), Russia’s Islamic Threat (Yale University Press, 2007) e Russia’s Revolution From Above: Reform, Transition and Revolution in the Fall of the Soviet Communist Regime, 1985-2000 (Transaction, 2002).

Inoltre, il dottor Hahn ha pubblicato numerosi rapporti di think tank, articoli accademici, analisi e commenti su media in lingua inglese e russa. Ha insegnato presso le università: Boston, American, Stanford, San Jose State e San Francisco State e come borsista Fulbright presso l’Università statale di San Pietroburgo, in Russia. È stato inoltre senior associate e visiting fellow presso il Center for Strategic and International Studies, il Kennan Institute di Washington DC e la Hoover Institution.

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Dal dilemma strategico al disastro strategico (II^ parte), di Gordon Hahn_a cura di Giuseppe Angiuli

Dal dilemma strategico al disastro strategico (II^ parte)

 di Gordon Hahn

Qui la 1a parte

 (https://gordonhahn.com/2023/09/19/from-strategic-dilemma-to-strategic-disaster-parts-1-2-full/

Traduzione a cura di Giuseppe Angiuli)

 La II^ rovina dell’Ucraina.

 

La grande “rovina” cosacca, che come le stesse eredità cosacche è stata fatta propria dagli ucraini moderni per il fatto di essere avvenuta nelle terre cosacche, fu un periodo di guerra civile, anarchia, caos e devastazione alimentato dagli interventi delle potenze straniere. Per molti versi, assomiglia alla “Smuta” o Tempo dei Problemi della Russia di sette-otto decenni prima, che combinava caos, conflitti interni e interventi stranieri, soprattutto polacchi. La grande “rovina ucraina” o cosacca del XVII secolo, che durò dalla morte dell’hetman cosacco Bodgan Khmelnitskiy nel 1657 fino all’ascesa del successivo grande hetman, Ivan Mazepa, nel 1687. Khmelnitskiy portò i cosacchi dominanti di Zaporozhian a firmare il Trattato di Pereslavl del 1654, che portò molte terre cosacche sotto la sovranità russa. Ma il caos e la distruzione vennero cuciti attraverso macchinazioni politiche, violenti raid e attacchi su larga scala da parte della Polonia-Lituania, dell’Impero Ottomano e del Khanato dei Tartari di Crimea, occasionalmente sostenuti dalla Svezia per contestare la sovranità russa e cosacca. In particolare, la guerra polacco-russa (1654-1667), scatenata dal trattato di Pereslavl, generò gran parte dei conflitti e delle dislocazioni della Rovina. Altre guerre infuriarono in quella che oggi è l’Ucraina: la guerra ucraino-polacca (1666-1671), la guerra ucraino-moscovita (1665-1676) e la guerra polacco-turca (1672-1676), con vari gruppi cosacchi che si univano e cambiavano spesso schieramento.

 

Allo stesso tempo, la protezione e la presenza della Russia, combinata con la pressione di altri “Altri“, in particolare gli odiati polacchi, formarono un contraltare con il quale un’identità cosacca iniziò a consolidarsi in una più ampia fascia della popolazione su entrambe le sponde del Dniepr. Il tentativo russo di sottomettere e organizzare i cosacchi, che avevano dichiarato la loro fedeltà allo zar, violò le tradizioni cosacche di decentramento, libertà anarchica, mancanza di uno Stato di diritto, con conseguenti conflitti interni e violenza. Il malcontento e i disaccordi interni sul dominio russo alimentarono ulteriori conflitti tra coloro che lo sostenevano e coloro che vi si opponevano. Ulteriori tensioni interne furono alimentate dal conflitto tra i nobili non cattolici e la classe ufficiale cosacca o “starshina” per le nuove terre senza proprietari confiscate alla Polonia, che costituivano circa il 50% del territorio cosacco. La lotta per queste terre divideva i contadini poveri dai cosacchi ricchi e possidenti.

 

Ma la cosa più inquietante fu la lotta tra Russia e Polonia per il controllo dei territori cosacchi, con la Polonia che lottava per controllare la riva “destra” o occidentale dell’Ucraina e la Russia che di solito controllava la riva “sinistra” o orientale. Ciò costrinse hetmen, starshina e “società” cosacche a dividersi tra queste e altre forze esterne, portando a lotte di potere interne, a continui spostamenti di fedeltà che misero cosacchi contro cosacchi e cosacchi contro elementi esterni. Le conseguenze della “rovina” comportarono: la divisione delle terre cosacche (ucraine) tra Russia, Polonia-Lituania e Turchia ottomana, la riva destra controllata dai polacchi, la perdita da parte dell’Ucraina di più della metà dei suoi abitanti, molti dei quali si trasferirono sulla riva sinistra controllata dalla Russia, e la devastazione di massa degli insediamenti cosacchi. Solo alla fine del regno di Caterina la Grande, quando i cosacchi della riva sinistra persero la limitata autonomia di cui avevano goduto con il Trattato di Pereslavl, l’intera riva sinistra del territorio cosacco e gran parte delle terre della riva destra furono stabilizzate e integrate nel sistema imperiale russo.

 

In definitiva, la grande “rovina” del XVII secolo potrebbe benissimo impallidire, in termini di significato, di fronte all’attuale periodo di difficoltà che l’Ucraina ha iniziato a vivere sotto l’Operazione Militare Speciale russa. L’Ucraina, naturalmente, non è il primo Paese in questa parte del mondo a cadere vittima dell’apparentemente eterna contesa tra Russia e Occidente. Quando l’abilità nel governare fallisce da una o da entrambe le parti della cortina di ferro che divide Est e Ovest, i piccoli Paesi situati a cavallo tra Est e Ovest subiscono le conseguenze più perniciose. È il caso dell’odierna espansione della NATO in tutta l’Europa orientale fino ai confini della Russia e della risposta militare russa che ne è conseguita. Nessun Paese nell’era post-Guerra Fredda ha vissuto una catastrofe simile a quella che si sta verificando in Ucraina con la sua seconda “rovina”.

 

Per quanto riguarda il bilancio umano dell’escalation della guerra, possiamo ipotizzare almeno 120.000 morti e 220.000 feriti da parte ucraina. Questa stima è forse bassa. La maggior parte delle stime occidentali indicano un numero troppo basso di perdite ucraine e un numero troppo alto di vittime russe. Le stime occidentali e ucraine sulle perdite ucraine sono così assurdamente basse che non vale nemmeno la pena di citarle. D’altra parte, una fonte in grado di valutare le immagini satellitari dei cimiteri in almeno sette regioni dell’Ucraina e l’aumento delle loro dimensioni giunge a stimare 350.000-400.000 vittime di soldati ucraini. Inoltre, poiché in via generale il rapporto tra morti e feriti in ogni guerra è solitamente di 1 a 5 o di 1 a 7, una stima ragionevole del totale delle vittime (cioè tra morti e feriti) da parte ucraina è di circa 2 milioni. Tuttavia, a queste conclusioni si perviene utilizzando dei mezzi di calcolo piuttosto approssimativi. Ad esempio, la popolazione delle regioni occidentali dell’Ucraina è stata coinvolta in misura molto minore nella composizione degli equipaggi dell’esercito e dunque giustapporre lo stesso numero di nuove tombe realizzate nelle zone orientali del Paese ed utilizzarlo anche per i cimiteri della parte occidentale è fuorviante. E allora, volendo ridurre questa stima a 200.000 morti (piuttosto che a 350.000-400.000) e ipotizzando un rapporto tra morti e feriti di 1 a 3, talvolta ritenuto appropriato, potremmo stimare le perdite delle forze ucraine a 800.000 (https://telegra.ph/INTEL-EXCLUSIVE-08-02). Questo è il tetto-limite più elevato di quello che ritengo essere una possibile stima del numero di ucraini uccisi e feriti (se escludiamo dal computo le vittime ucraine tra i civili di entrambe le parti e tra coloro che combattono dalla parte dei separatisti). Tuttavia, se si leggono le stime del Ministero della Difesa russo sulle perdite ucraine giornaliere, si noterà che esse ammontavano a una media approssimativa di circa 600 al giorno fino alla controffensiva di quest’estate ovvero ai primi 15 mesi di guerra. Ciò significa un numero di 18.000 vittime al mese per i 15 mesi precedenti la controffensiva di quest’estate, per un totale, da febbraio 2022 a maggio 2023, di 270.000 soldati ucraini uccisi e feriti. Le cifre per la controffensiva di quest’estate sono state circa il 20% più alte, con il Ministero della Difesa russo che ha stimato circa 66.000 vittime da giugno ad agosto. Ciò significa un totale di circa 336.000 militari ucraini uccisi e feriti, secondo le fonti ufficiali russe. Tuttavia, sarebbe ragionevole sospettare che le cifre russe siano “ottimistiche”, sovrastimate e quindi elevate. Pertanto, proporrei una stima approssimativa di circa 300.000 vittime tra le forze ucraine tra il 24 febbraio 2022 e il 31 agosto 2023. D’altra parte, anche le fonti ucraine riferiscono di perdite impressionanti, suggerendo un quadro più cupo di quello che ho appena dipinto. Ad esempio, la stampa ucraina riferisce che forse l’80-90% delle forze di terra reclutate nell’autunno del 2022 sono già state perse (https://strana.news/news/445536-itohi-571-dnja-vojny-v-ukraine.html). In breve, potremmo verosimilmente avere avuto a tutt’oggi già mezzo milione di vittime militari ucraine.

 

Inoltre, in Ucraina ci sono state, molto approssimativamente, circa 50.000 vittime civili. L’organismo OHCHR delle Nazioni Unite ha registrato, dal 24 febbraio 2022 al 27 agosto 2023, 26.717 vittime civili nel Paese, di cui 9.511 morti e 17.206 feriti. Quasi un quarto di queste vittime si è registrato nel territorio controllato dalla Russia. L’OHCHR delle Nazioni Unite rileva, tuttavia, che il numero effettivo di vittime è probabilmente molto più alto (www.ohchr.org/en/news/2023/08/ukraine-civilian-casualty-update-28-august-2023). Questo porta la stima complessiva delle vittime ucraine a circa 350.000 al 1° settembre 2023. Non escludo che possano essere sostanzialmente più alte, ma se i russi riportano le cifre che ho fornito qui, sembra improbabile che siano più alte del 50% o del 100%, ma nessuno potrebbe essere in grado di confermarlo con certezza.

Non ritengo plausibile che le cifre delle vittime ucraine per il periodo qui preso in considerazione possano essere significativamente inferiori a queste. Con l’accelerazione del numero delle perdite ucraine nel mese di settembre, possiamo prevedere che, se tutto il resto rimane approssimativamente come sta andando, l’Ucraina raggiungerà 1 milione di vittime entro il tardo autunno del 2024. Le mie stime, che sembreranno elevate a coloro che si basano su fonti ucraine e occidentali, sono ulteriormente rafforzate dalle notizie di agosto – in quella che probabilmente è la coda della controffensiva – secondo cui Kiev sta costruendo un nuovo cimitero militare che ospiterà altri 400.000 caduti di guerra (https://www.youtube.com/watch?v=bs8-2xAZto0&t=26s&ab_channel=MilitarySummary). Le dimensioni dei cimiteri già esistenti sono enormi e in crescita (https://www.youtube.com/watch?v=6owz8zD6fHs&ab_channel=%D0%90%D0%BB%D0%B5%D0%BA%D1%81%D0%9C%D0%BE%D1%82%D0%BE%D1%80%D0%BD%D1%8B%D0%B9%D0%A5%D0%B0%D1%80%D1%8C%D0%BA%D0%BE%D0%B2).

Le perdite russe saranno probabilmente circa un terzo di quelle ucraine.

 

Le vittime della guerra sono determinate da un ciclo di escalation alimentato sia dalla NATO che da Mosca. Ogni escalation da una parte incontra regolarmente un’escalation dall’altra, danneggiando non solo le risorse umane e materiali di entrambe le parti, ma portando ad un’ulteriore escalation che determina una ulteriore carneficina degli ucraini, delle loro terre e di ogni tipo di infrastruttura. Ad esempio, quando gli Stati Uniti hanno deciso di inviare munizioni a grappolo all’Ucraina, che ha iniziato a farle cantare, ponendo la Russia in una situazione “peggiore“, la Russia ha annunciato che avrebbe usato e infatti ha iniziato a usare a sua volta le munizioni a grappolo, ponendo anche le forze ucraine in una condizione peggiore. Un così alto numero di vittime di questa portata lascerà una grande ferita nella vita ucraina, e basti paragonare la cicatrice lasciata negli Stati Uniti dalla guerra del Vietnam, che ha visto relativamente meno vittime – circa 210.000 – distribuite nell’arco di quindici anni e non di un anno e mezzo.

 

La popolazione ucraina sta subendo un altro logoramento: quello dell’esodo di coloro che fuggono dalla guerra, dalla mobilitazione militare, dal collasso economico e da uno Stato corrotto e predatore. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati stima che al 28 agosto 2023, dall’inizio dell'”operazione militare speciale” (SVO) della Russia nel febbraio 2022, 6.203.030 ucraini sono fuggiti dall’Ucraina (https://data2.unhcr.org/en/documents/details/103134).

Questa cifra significa che la popolazione ucraina è scesa da 42 a 36 milioni dall’inizio dell’SVO. Ma questo vale solo per la popolazione ucraina nel territorio controllato da Kiev nel periodo 1991-2014. La perdita della Crimea e della maggior parte degli Oblast di Donetsk e Luhansk nel 2014 e di gran parte degli Oblast di Zaporozhe e Kherson a causa dell’annessione o dell’occupazione russa dall’inizio dell’SVO riduce la popolazione ucraina di altri 4 milioni, il che significa che ora è di circa 32 milioni. Altri stimano che la popolazione all’interno dei confini ucraini del 1991 al 1° gennaio 2023 era di soli 37,6 milioni di persone, 32,6 milioni all’interno dei confini del 2022 (meno la Crimea) e 31,1 milioni nei territori attualmente controllati dal governo ucraino (meno la Crimea e la maggior parte degli Oblast di Donetsk, Luhansk, Zaporozhe e Kherson) (www.wilsoncenter.org/blog-post/ukraines-demography-second-year-full-fledged-war, vedi anche https://t.me/stranaua/120211). Se si aggiungono i morti di guerra e la popolazione sotto il controllo di Kiev, la popolazione del Paese scende a meno di 31 milioni.

 

Questo quadro si aggrava se si tiene anche conto degli squilibri socioeconomici causati da una massa di rifugiati interni (persone sfollate dalle loro case) di 5.088.000 persone a causa della guerra conteggiati a tutto il 23 maggio 2023 (https://data2.unhcr.org/en/documents/details/103134). Inoltre, secondo l’UNHCR, circa 17,6 milioni di persone in Ucraina necessitano di un urgente sostegno umanitario, compresi i 5 milioni di sfollati interni (www.reuters.com/world/europe/blood-billions-cost-russias-war-ukraine-2023-08-23).

 

Quindi, se fissiamo la popolazione attualmente sotto il controllo del governo di Kiev a 31 milioni, l’Ucraina ha perso più del 20% della sua popolazione dall’inizio della guerra e attualmente più del 15% della popolazione rimanente è costituita da rifugiati interni e più della metà della popolazione ha bisogno di un urgente sostegno umanitario.

Il quadro demografico è ulteriormente oscurato dal calo dei tassi di natalità causato dagli sconvolgimenti della guerra. Sebbene i tassi di natalità ucraini fossero già in calo a partire dalla rivolta di Piazza Maidan, del 7% all’anno dal 2013, nei primi sei mesi del 2023 sono nati in Ucraina solo 96.755 bambini, il che rappresenta un calo del 28% rispetto al periodo corrispondente del 2021 (135.079 bambini) e ancora meno rispetto al periodo corrispondente dello scorso anno (https://t.me/rezident_ua/19018). Se la guerra continuerà fino al 2024, è possibile che tutte queste perdite – che già costituiscono una catastrofe – vengano raddoppiate, soprattutto se le forze russe inizieranno ad avanzare più rapidamente verso est, minacciando più direttamente altre regioni come Charkiv, Sumy, Chernigov e Mikolaev.

 

In termini fisici non umani, le perdite dell’Ucraina sono altrettanto sconcertanti. Per quanto riguarda il territorio, l’Ucraina ha perso l’11% del suo territorio dall’inizio della guerra, un’area equivalente al Massachusetts, al New Hampshire e al Connecticut, secondo il Belfer Center della Harvard Kennedy School. Includendo in tale computo la Crimea, l’Ucraina ha perso circa il 17,5% del suo territorio, un’area di circa 41.000 miglia quadrate (106.000 km quadrati) dalla rivolta di Maidan (www.reuters.com/world/europe/blood-billions-cost-russias-war-ukraine-2023-08-23). Inoltre, queste regioni – che comprendono l’industria carbonifera ucraina, gran parte della costa, i porti e le località turistiche – fornivano una quota preponderante del PIL dell’Ucraina. Inoltre, villaggi e città in alcune parti del territorio controllato dall’Ucraina sono stati pesantemente bombardati fino a trasformarsi in dei paesaggi lunari. La distruzione totale delle infrastrutture è stata stimata dalle Nazioni Unite in 100 miliardi (https://news.un.org/en/story/2022/03/1114022). Sebbene si tratti probabilmente di una sovrastima, anche se la cifra fosse la metà, alla fine dell’estate 2023 l’Ucraina avrà subito danni e distruzioni alle infrastrutture per 800 miliardi di dollari. Un altro modo per valutare l’entità dei danni infrastrutturali generali del Paese è la misura dell’assistenza alla ricostruzione. La Banca Mondiale ha stimato l’entità dei danni a marzo 2023 o per il primo anno di guerra e ha concluso che Kiev avrebbe avuto bisogno di 411 miliardi di dollari di assistenza per la ricostruzione se la guerra fosse finita allora (www.worldbank.org/en/news/press-release/2023/03/23/updated-ukraine-recovery-a).

Da allora la guerra si è prolungata di altri sei mesi, quindi possiamo fare una stima approssimativa di 615 miliardi di dollari di aiuti che sarebbero necessari se la guerra finisse entro ottobre. Entro marzo 2024 la somma sarà di circa 1.000 miliardi di dollari. Ciò solleva la questione di quanti di questi arriveranno e in quanto tempo, sollevando l’ulteriore questione di un grave disastro umanitario e di un’ulteriore emigrazione dal Paese.

 

Il PIL del Paese in dollari correnti è diminuito tra il 2021 e il 2022 di circa il 15% – da 198 a 161 miliardi di dollari (https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.CD?locations=UA). Pertanto, il PIL dell’Ucraina in dollari del 2015 si è contratto del 30% nel 2022 (https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG?locations=UA). Tuttavia, il FMI sostiene che quest’anno la crescita sarà dell’1%-3% (www.reuters.com/world/europe/blood-billions-cost-russias-war-ukraine-2023-08-23). Ciononostante, una fonte conclude che l’Ucraina avrà bisogno di 50 miliardi di dollari di sostegno finanziario nel 2024 (https://t.me/rezident_ua/19017). Anche se il PIL crescesse del 3% fino a raggiungere i 166 miliardi di dollari, con un deficit di bilancio previsto per il 2024 di 40 miliardi di dollari – che è anche l’importo speso per le forze armate quest’anno e che dovrà essere coperto in buona parte dai dollari delle tasse occidentali e dagli euro – il suo rapporto bilancio/PIL si aggira su un catastrofico 25%. Tutto questo mentre l’Ucraina sta beneficiando di una moratoria sui pagamenti fino a metà giugno su 20 miliardi di dollari di debito concordata con gli obbligazionisti internazionali come MFS Investment Management, BlackRock e Fidelity Investments (www.wsj.com/world/europe/ukraine-hunts-for-cash-as-fighting-drains-coffers-a6443e9c).

 

In termini emotivi, psicologici e sociologici, la catastrofe potrebbe essere ancora più sconvolgente. La sindrome da stress post-bellico e i traumi saranno una pesante tassa a carico dell’intera società. Michael Vlahos cita una cifra di 50.000 ucraini che hanno perso uno o più arti, vicina alla cifra di 67.000 amputati patita dalla Germania per tutta la Prima Guerra Mondiale (https://compactmag.com/article/the-ukrainian-army-is-breaking). Olha Rudneva, responsabile del Centro Superhumans per la riabilitazione dei mutilati militari ucraini, stima che 20.000 ucraini abbiano subito almeno un’amputazione dall’inizio della guerra. Ma prima della guerra, in Ucraina c’erano solo cinque persone con una formazione professionale nel campo della riabilitazione di persone con amputazioni alle braccia o alle mani (www.aol.com/upward-20-000-ukrainian-amputees-060957047.html).

 

Infine, la “democrazia” che sopravviveva in Ucraina prima della guerra è ora completamente scomparsa. Solo i partiti politici approvati da Zelenskiy possono operare, le elezioni sono state cancellate “fino alla fine della guerra“, tutti i media sono pesantemente censurati e l’affiliata locale della Chiesa ortodossa russa sta subendo una dura repressione, le sue chiese e i suoi monasteri sono stati acquisiti dallo Stato e alcuni dei suoi sacerdoti orfani sono stati arrestati e processati, compreso il metropolita della Chiesa. Zelenskiy sta abbandonando il suo partito politico, pieno di corruzione e di scandali pubblici, e ha annunciato che costruirà un nuovo partito e una nuova classe dirigente basata su coloro che hanno servito in guerra. Questo, insieme alla radicalizzazione che la guerra tende naturalmente a portare con sè, rafforzerà la già troppo forte componente ultranazionalista e neofascista della politica ucraina. Le divisioni sociali saranno aggravate dai vergognosi privilegi e profitti dell’élite ucraina maturati durante la guerra. I “ricchi e famosi” sono visti sui social media mentre festeggiano sulle spiagge esotiche in ogni angolo del mondo, laddove invece i giovani privi di protezioni all’interno del Governo vengono brutalmente sequestrati nelle strade da reclutatori-mobilitatori per essere inviati al fronte. La guerra ha ampliato la corruzione in modo esponenziale, poiché il regime di Zelenskiy permette a criminali e funzionari corrotti di accumulare enormi profitti illegali, funzionali a lubrificare gli ingranaggi della macchina bellica e delle funzioni sociali della macchina statale. L’ulteriore corruzione, criminalizzazione e fascistizzazione del paese più corrotto e neofascista d’Europa renderà in futuro quasi impossibile la rinascita anche di una debole democrazia.

 

Conclusione.

Sei settimane prima dell’inizio dell’attuale guerra NATO-Russia in Ucraina, avevo proposto le misure che Putin avrebbe potuto adottare come parte di una campagna di diplomazia coercitiva intensificata (https://gordonhahn.com/2022/01/10/putins-military-technical-and-other-options-if-strategic-stability-and-ukraine-talks-fail/). Se fossero state adottate e se l’Occidente avesse accettato negoziati seri sull’architettura di sicurezza dell’Europa e su un’Ucraina neutrale al suo interno, come zona cuscinetto neutrale tra la Russia e la NATO, le cose sarebbero potute andare diversamente. La guerra avrebbe potuto essere evitata e tutte le misure russe adottate prima della guerra avrebbero potuto essere ritirate dopo la conclusione e l’attuazione degli accordi. Quelle effettivamente adottate dall’inizio della guerra e quelle attuate nell’ambito della guerra da entrambe le parti in conflitto difficilmente saranno revocate a breve, sicuramente non in questo decennio. La sicurezza degli Stati Uniti e della NATO è stata rafforzata rifiutando di negoziare con Mosca prima dell’invasione di Putin o impedendo a Kiev di portare avanti il processo di Istanbul iniziato un mese dopo l’invasione? La risposta, come ho cercato di dimostrare sopra, è chiaramente “no“.

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Analisi dell’intensificarsi della campagna di attacco alla Crimea da parte dell’Ucraina, di SIMPLICIUS THE THINKER

C’è stata una forte accelerazione degli attacchi alla Crimea, mentre l’Ucraina si concentra ancora una volta sul fornire una vittoria mediatica tangibile per coronare il grande tour nordamericano di Zelensky. Questo per evitare che faccia brutta figura quando sarà messo alle strette durante il suo importantissimo e forse ultimo circuito di elemosine.

Il teatro del Mar Nero in generale ha subito un’escalation, quindi sarebbe istruttivo scavare un po’ più a fondo e aggiornarci su ciò che sta accadendo in quel corridoio negli ultimi tempi.

Ci sono diverse categorie distinte, in particolare gli attacchi contro i mezzi navali e quelli contro i mezzi terrestri statici come i quartieri generali e le batterie di difesa aerea russa. Gli attacchi sono stati più forti e forse anche più riusciti di quanto molti filorussi vogliano ammettere, poiché ce ne sono stati un paio che sono passati sottotraccia e che il Ministero della Difesa russo ha fatto un lavoro accurato per nascondere sotto il tavolo.

Uno è stato l’attacco del 20 settembre alla parte nord di Sebastopoli:

Immagini satellitari prima e dopo l’attacco missilistico AFU Storm Shadow di ieri contro il posto di comando della Marina russa a nord di Verkhnosadove, in Crimea (44.714735, 33.704408).
Come si può vedere qui sopra, le fonti ucraine affermano che si tratta di un “posto di comando della Marina russa”, ma non c’è stata alcuna conferma di ciò che ho visto e sembra dubbio, soprattutto data la sua strana posizione. In ogni caso, qualunque cosa fosse, sembrava essere stata colpita con successo da un missile Storm Shadow.

Ci sono stati anche alcuni falsi attacchi che sono stati completamente smentiti. Per massimizzare e amplificare l’effetto propagandistico del paio di attacchi riusciti, gli account bot filo-ucraini hanno diffuso diversi altri presunti attacchi a campi d’aviazione russi in Crimea. Uno di questi è stato addirittura smentito da una nota della comunità di Twitter:

Questo è solo un promemoria per ricordare che ogni “attacco” deve essere attentamente esaminato e verificato, in quanto una gran parte, e oserei dire addirittura la maggioranza, di essi sono solitamente falsi. Ecco perché anche l’attacco al porto di Sebastopoli, che ha colpito la nave e il sottomarino Rostov e Minsk, era sospettato di essere stato falsificato, in particolare per le foto apparentemente photoshoppate del sottomarino.

Passiamo ora a questo attacco e arriviamo al recente colpo al quartier generale della Flotta del Mar Nero. Sono state colpite la nave da sbarco Minsk della classe Ropucha e il sottomarino Rostov-on-Don della classe Kilo.

Ne ho già parlato un po’. Una cosa interessante da notare è che la nave da sbarco russa Olengorsky Gornyak, precedentemente colpita da un drone navale ucraino, è già tornata in superficie dopo una riparazione più rapida del previsto:

Questo è l’enorme buco che la nave ha subito nello scafo:

E questo è stato risolto in un mese o poco più. E questo dopo che gli ucraini avevano riso e scherzato dicendo che era “fatta” e che sarebbe stato un fallimento. Anche il Ministero della Difesa russo ha dichiarato che riparerà i danni sulle navi presenti.

Per quanto riguarda la Rostov e la Minsk, la TASS ha rilasciato una dichiarazione ufficiale secondo la quale il sottomarino non ha subito alcun danno catastrofico e i suoi tempi di riparazione precedenti non sarebbero stati intaccati:

🇷🇺🚤 I danni subiti dal sottomarino “Rostov-on-Don” della Flotta del Mar Nero il 13 settembre non sono critici e non prolungheranno in modo significativo i tempi di manutenzione previsti. Questa informazione è stata fornita alla TASS da una fonte del complesso industriale della difesa: “Il sottomarino presenta danni minori che non hanno intaccato la robustezza dello scafo. L’intervistato ha precisato che è in corso una valutazione dell’entità dei prossimi lavori di riparazione per l’altra nave colpita dall’attacco ucraino, la grande nave da sbarco “Minsk” della Flotta del Baltico.
Alcuni sono scettici, ma dobbiamo aspettare e vedere. In ogni caso, il sottomarino è rimasto in quel bacino di manutenzione per circa un anno, non è che lo sciopero abbia messo fuori uso una componente attiva della flotta.

Ora l’Ucraina ha colpito il quartier generale della flotta del Mar Nero. Prima un po’ di contesto e poi entreremo nel vivo della questione: come fa l’Ucraina a fare questo?

Il Ministero della Difesa russo sostiene che sono stati abbattuti 7/10 missili. È probabile che ciò sia vero, poiché altri video di testimoni oculari, come quello sopra riportato, hanno mostrato molte esplosioni nel cielo, suoni di missili intercettati dalla difesa aerea, mentre le foto satellitari post-operatorie del BDA hanno mostrato che solo 2 o al massimo 3 colpi sono stati inflitti all’edificio stesso:

La chiave per capire come l’Ucraina sia in grado di colpire questo QN è la vicinanza alla costa:

Si può notare che l’edificio si trova quasi direttamente sull’acqua. Ecco una mappa ingrandita per capire la sua posizione spaziale:

Ciò significa che l’area è priva di una linea di difesa aerea avanzata, perché si trova proprio ai margini di quella che sarebbe considerata la linea di contatto.

Normalmente, i mezzi critici per la missione, come il quartier generale, sono posizionati nelle retrovie della linea del fronte. In questo modo, una rete di sicurezza composta da più strati di difese aeree integrate può tamponare il quartier generale, in modo che, anche se si tratta di un missile a bassa quota, veloce o furtivo, possa essere mancato dal primo strato, ma alla fine verrà rilevato mentre vola su diversi strati di copertura della rete radar sovrapposta. Per esempio, la prima linea di difesa dell’area può rilevare qualcosa, ma non essere in grado di rispondere abbastanza velocemente da abbatterlo. Ma almeno trasmetteranno le informazioni alle difese successive, che riceveranno i dati radar fusi con i loro sensori o un semplice avviso verbale dell’arrivo di un oggetto, consentendo loro di posizionarsi e prepararsi molto meglio per intercettarlo.

Ma a causa dell’ovvia impossibilità di farlo quando il vostro quartier generale si trova proprio sull’acqua, ciò significa che Sebastopoli è situata in una posizione particolarmente esposta e pericolosa, per la quale non ci può essere alcun AD o “preavviso”. Ciò significa che quando arrivano i missili, ci sono solo pochi secondi di vantaggio, e dato che si è detto che gli attacchi erano a saturazione e includevano droni da altre direzioni e i missili esca ADM-160 Mald, diventa estremamente difficile difendere tutto questo senza alcuna copertura in avanti.

Rybar ha illustrato come sono stati effettuati gli attacchi.

Sappiamo da rapporti passati che un sistema russo S-300/400 esiste da qualche parte sulla penisola di Tarkankhut in Crimea, dove si trova l’icona del drone sulla mappa qui sopra. Si tratta di un’area che “sporge” e che dovrebbe garantire una copertura in avanti del Mar Nero. Il problema è che, come ho spiegato la volta scorsa, i missili a bassa quota permettono ai radar di individuarli al massimo a circa 30-40 km. Questo a prescindere dalla potenza del sistema radar, per la semplice fisica del funzionamento degli orizzonti radar.

Puoi effettuare da solo il calcolo:

Questo esempio mostra che un sistema radar con un’altezza della parabola di 10 piedi vedrà un bersaglio che vola a 150 piedi di altitudine solo a 35 km circa. Il problema è che, come si può vedere dalla mappa di Rybar, la traiettoria aggira la copertura radar in modo tale che la distanza dal “punto di attacco” degli S-300/400 al punto in cui passerebbero i missili è di oltre 80 km:

Inoltre, lo Storm Shadow sembra volare spesso a una distanza inferiore a 150 km, il che renderebbe la distanza di rilevamento ancora maggiore.

Rapporto completo:

11 bombardieri Su-24M sono decollati dall’aeroporto di Starokostyantyniv, cinque dei quali erano portatori di missili da crociera Storm Shadow/SCALP. Dopo aver volato fino al confine tra le regioni di Odessa e Mykolaiv, i velivoli si sono divisi: nove sono rimasti nella zona, mentre un paio sono andati a sud verso Ochakiv. 8 Storm Shadows sono stati lanciati verso le 12:00 in Crimea. Allo stesso tempo, i gruppi di ricognizione di Medvedi PMC hanno notato che due Su-24M, volando a bassa quota a circa 40 m sopra l’acqua, hanno effettuato lanci sul Mar Nero. Prima di ciò, gli aerei ucraini hanno sparato tre missili AGM-160 MALD per ingannare la difesa aerea. Gli equipaggi della difesa aerea Pantsir-S1 della 31esima Forza Aerea e della Divisione di Difesa Aerea hanno abbattuto cinque missili da crociera sopra Capo Tarkhankut e l’aeroporto di Belbek. 3 Storm Shadows sono caduti nell’area di Verkhnesadovoye – l’obiettivo era probabilmente un ex impianto militare vicino al villaggio. Poche ore prima dell’attacco, da Kherson è decollato un drone da ricognizione di tipo sconosciuto che, doppiando Capo Tarkhankut, ha allestito un’area di pattugliamento a ovest di Kacha e ha diretto gli aerei. È molto probabile che sia stato abbattuto dai sistemi di difesa aerea. Questo attacco dimostra un leggero cambiamento nelle tattiche dei missili da crociera. In precedenza, questi raid di massa venivano effettuati di notte o al mattino presto, ma non di giorno. E il volo dei bombardieri a bassissima quota è qualcosa che gli equipaggi ucraini hanno praticato per molti mesi, cercando di sfruttare le lacune dei sistemi di rilevamento della difesa aerea.
Quanto sia accurato quanto sopra, è impossibile dirlo con certezza, ma il succo generale dell’attacco è probabilmente quello che è successo. Il punto più importante riguarda le basse quote di volo, particolarmente facili da raggiungere sulla superficie piatta e calma del mare, dove gli aerei e i missili non devono preoccuparsi di schivare le ostruzioni topografiche e geografiche, ecc.

Come ho detto, a causa di questa pratica, è fisicamente e scientificamente impossibile per un sistema radar rilevarli a buona distanza, perché gli oggetti che volano bassi sono semplicemente oltre l’orizzonte a causa della curvatura della terra, e i raggi radar non possono individuarli.

Se a questo si aggiunge il problema, descritto in precedenza, di non avere una zona di copertura frontale a causa della particolarità di trovarsi in riva al mare, diventa molto difficile difendersi dagli attacchi di saturazione.

Esiste tuttavia una soluzione che può fornire una copertura frontale. E questo è un settore in cui la Russia sta probabilmente fallendo: Gli AWAC. Una copertura 24/7 degli AWAC permetterà all’aereo di sorvolare la Crimea e, grazie all’altezza del suo radar, di vedere tutto ciò che vola sul Mar Nero fino a Odessa e oltre, senza problemi. Questi radar hanno la modalità “look down”, che significa che possono scansionare verso il basso qualsiasi cosa si muova sulla superficie dell’oceano, sia essa una nave o un missile.

Ma ho già detto che la Russia ha un problema di AWACS. Secondo quanto riferito, ne ha solo ~15 o meno. Tuttavia bisogna aggiungere le seguenti considerazioni:

Tutti gli aerei hanno una certa percentuale di prontezza del 30-70% al massimo, che rappresenta quanti dei velivoli sono volabili in un dato momento, rispetto a quelli che sono in riparazione, ecc.

La Russia ha bisogno di alcuni di questi aerei per tutto il suo lungo confine, anche nell’estremo est contro la NATO, così come nel nord dove si svolge un’intensa attività della NATO intorno ai Baltici, per non parlare dei distretti occidentali per proteggere il fianco occidentale di Mosca.

La Russia ne ha bisogno anche lungo l’intero confine dell’OMU, compreso il nord dell’Ucraina. Per esempio, abbiamo visto dal tentativo di sabotaggio che la Russia ne tiene alcuni in Bielorussia per sorvegliare il fianco settentrionale.

Un singolo aereo non può volare 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per ovvie ragioni. Ciò significa che anche per pattugliare una sola area senza vuoti di copertura, sono necessari diversi aerei (forse almeno 3) che possono ruotare uno dopo l’altro in turni di 8 ore, ecc.

Considerati tutti questi fattori, se assegniamo la quantità appropriata di aerei a ciascuna zona necessaria, così come i tassi di prontezza che relegherebbero una parte della flotta in uno stato di inattività – in fase di revisione, aggiornamento, riparazione, ecc – possiamo presumere che solo 1 o 2 aerei massimi saranno probabilmente disponibili per il teatro della Crimea e probabilmente risulteranno in ampi vuoti di copertura.

La Russia sta sviluppando e costruendo da molto tempo gli aggiornamenti successivi all’A-50, l’A-50U e l’A-100. Perciò è stata una grande notizia che, secondo quanto riferito, sulla scia degli attacchi di Sebastopoli, la Russia abbia annunciato il lancio di un A-50U nuovo di zecca.

Si suppone che si tratti di una variante molto più avanzata e modernizzata, con un radar migliore, in particolare per quanto riguarda le capacità di look-down. Per ora si tratta solo di un passaggio di consegne, ma se la Russia riuscirà a continuare a produrli, contribuirà notevolmente a mettere in sicurezza la regione dagli attacchi missilistici.

Si noti che, ancora una volta, l’Ucraina non è stata in grado di riprendere gli attacchi. Perché? La Rostov e la Minsk sono ancora ferme nello stesso ormeggio a Sebastopoli, facile preda di altri missili, soprattutto se si considera che la Russia intende ripararle. Sicuramente l’Ucraina sarebbe molto motivata a finire quelle navi.

È un gioco del gatto e del topo. L’Ucraina può condurre un attacco di successo solo una volta ogni tanto, quando i partner di 5-Eyes adottano tutte le misure di sorveglianza appropriate e tutto è pianificato in anticipo con un “vuoto” di copertura disponibile da qualche parte.

Per quanto riguarda il quartier generale della Flotta del Mar Nero, la Russia afferma che l’edificio era vuoto, mentre l’Ucraina sostiene il solito: centinaia di persone sono state uccise, compresi importanti generali. Non ci sono prove di questo. In realtà, sembra che la Russia sia stata avvertita direttamente dell’attacco, quindi un’evacuazione – se l’edificio fosse stato utilizzato – avrebbe avuto senso. Il motivo per cui lo sappiamo è che prima dell’attacco sono state rilevate strane cortine fumogene nell’area, di cui io stesso non conosco ancora al 100% lo scopo:

Ma se la Russia sapeva che un attacco era in arrivo e ha preso le misure di evacuazione appropriate, allora come può essere accurata la nostra precedente tesi sull’assenza di preavviso da parte delle difese aeree?

È difficile dirlo con certezza, ma le cose stanno così. La Russia dispone di altre capacità, sia di SIGINT spaziale che di HUMINT a terra (proprio come l’Ucraina), che possono notificarle i decolli di massa di mezzi d’attacco ucraini dalle loro basi. Tuttavia, una volta decollati, non è possibile tracciare in modo granulare gli effettivi lanci di missili e i loro vettori/obiettivi senza disporre di uno scudo AD più specifico.

Probabilmente la Russia dispone anche di capacità radar OTH che possono tracciare i jet ucraini da migliaia di chilometri di distanza, infrangendo apparentemente la fisica della visione “oltre l’orizzonte” che ho professato in precedenza. Tuttavia, tali radar utilizzano onde corte speciali ad alta frequenza che non sono adatte a vedere con precisione oggetti molto piccoli, come ad esempio i missili stealth. Quindi possono essere in grado di vedere gli aerei che decollano, ma non i missili o i loro vettori.

Questi radar fanno rimbalzare le loro onde speciali dalla ionosfera e le reindirizzano “oltre l’orizzonte” per vedere gli oggetti che un’onda normale non può rilevare.

Ma se la Russia è potenzialmente in grado di rilevare i jet ucraini nei propri campi d’aviazione da migliaia di chilometri di distanza, perché non li ha distrutti nei campi d’aviazione?

Perché l’Ucraina ha anche un preavviso avanzato da parte degli Stati Uniti/5-Eyes di qualsiasi lancio di aerei/missili russi, che impiegano ore per attraversare l’Ucraina verso i campi d’aviazione occidentali, dando loro tutto il tempo di far decollare i jet ed evitare il colpo.

Tuttavia, i campi d’aviazione più vicini alla linea del fronte possono non avere questo preavviso, ed è per questo che ieri abbiamo visto un colpo russo distruggere un Mig-29 nella base aerea ucraina di Dolgintsevo, vicino a Krivoy Rog, che non è lontana dalle posizioni russe di Energodar, ecc.

Questo è lo stesso campo in cui il drone Lancet della Russia è stato visto in precedenza colpire il Mig-29:

Inoltre, la cronologia non è nota. L’ultima volta ho scritto che il Ministero della Difesa russo aveva riferito di aver colpito questo campo all’inizio del mese, distruggendo diversi jet. Il nuovo video potrebbe essere semplicemente la pubblicazione di quegli attacchi.

Se vi state chiedendo perché questi jet non siano stati fatti decollare per evitare l’attacco missilistico della Russia, come ho detto si tratta di un campo vicino alla linea del fronte. Tuttavia, un’altra versione è che non è stato nemmeno colpito da un missile russo, il cui lancio può essere individuato con molto più anticipo e quindi contrastato facendo decollare i jet, dato che i missili di solito vengono lanciati dalle navi vicino al Mar Caspio o al Mar Nero, ecc. Secondo una versione, invece, l’attacco sarebbe stato effettuato con missili guidati BM-30 GMLRS Smerch, che sarebbero stati posizionati appena sopra il Dnieper, in territorio russo, e non avrebbero dato alcun preavviso.

L’Ucraina è costretta ad alloggiare i Mig-29 più vicino alla linea del fronte perché i jet hanno un raggio d’azione molto più corto e non possono combattere dall’Ucraina occidentale. Inoltre, non c’è alcuna indicazione che si tratti di jet in grado di volare e alcune fonti affermano che alcuni/molti/molti di essi sono destinati a parti di ricambio, ma è impossibile saperlo con certezza. Tutto ciò che sappiamo è che la Russia sta chiaramente contrastando tutto ciò di cui stiamo parlando. Gli aerei vengono colpiti, gli A-50U vengono lanciati per colmare le lacune di copertura. Vengono prese costantemente contromisure per combattere tutto ciò che l’Ucraina fa. Se queste contromisure vengano prese in modo tempestivo e con sufficiente urgenza è un altro discorso.

In definitiva, nonostante i fallimenti della Russia, dobbiamo dimenticare che le capacità di difesa aerea degli Stati Uniti sono di gran lunga peggiori. Solo poche settimane fa un nuovo rapporto di Taiwan ha denunciato il recente malfunzionamento del sistema Patriot durante i test:

Un ufficiale dell’aeronautica taiwanese ha affermato che un missile Patriot PAC-3 ha avuto un malfunzionamento durante una recente esercitazione a fuoco vivo, ma il produttore statunitense Lockheed Martin ha dichiarato che il missile coinvolto non era un PAC-3. Il capo di stato maggiore dell’aeronautica, generale Tsao Chin-Ping, ha confermato le notizie locali secondo cui l’arma terra-aria è esplosa prima di colpire il bersaglio.
Ora, dopo i colpi di Sebastopoli, la Russia ha sferrato un colpo devastante a Odessa, apparentemente per rappresaglia. L’hotel di Odessa avrebbe ospitato molti mercenari e fungeva da quartier generale del comando ucraino dopo che il precedente era stato distrutto:

L’area periferica aveva molti magazzini che sono stati distrutti.:

Questi magazzini portuali sono stati visti in precedenza ospitare molte attrezzature della NATO.:

Il commentatore filorusso Masno ha scritto che l’hotel era probabilmente utilizzato dai servizi ucraini, era sotto stretta sorveglianza e negli ultimi giorni le foto mostravano molte finestre aperte per la ventilazione, indicando che era occupato (anche se non da civili, dato che era chiuso all’uso civile da anni):

In effetti, negli ultimi giorni o due, la Russia ha colpito una serie di oggetti strategici e campi d’aviazione ucraini. Dolgintsevo non è stato l’unico. Il campo d’aviazione Bolshaya Kakhnovka a Kremenchug sarebbe stato cancellato. Lo Starokonstantinov di Khmelnitsky, dove l’Ucraina ospita la maggior parte dei suoi Su-24, è stato nuovamente colpito.:

Così come il campo di Kulbakino a Nikolayev, di cui sono emersi filmati che mostrano il campo in fiamme dopo gli attacchi:

🇷🇺🇺🇦 Vicino a Nikolaev ci sono due potenti arrivi nell’area dell’aeroporto di Kulbakino.A Nikolaev non si sentivano esplosioni da molto tempo e hanno avuto il tempo di rilassarsi un bel po’: I vettori Su-24M di missili da crociera hanno iniziato a fare base all’aeroporto e l’Anas ha iniziato ad atterrarvi regolarmente, trasferendovi personale e munizioni. Sebbene la linea del fronte sia a soli 40 km, i risultati dell’arrivo non sono ancora stati chiariti, ma una cavalcata di ambulanze si è precipitata lì dal centro regionale. Perché a Kiselevka, situata non molto lontano, hanno colpito un deposito di munizioni con un FAB da una tonnellata e mezza con un UMPC.
In effetti, in questo momento sono emersi nuovi filmati che mostrano gli attacchi russi che distruggono altri Mig-29 nel campo di Nikolayev, alla geolocalizzazione: 46°56’9.09 “N 32° 4’50.96 “E

Per chi si chiedesse perché, la Russia ha già colpito questa base e tutte le altre più volte in passato. Ecco le immagini che mostrano proprio questa base di Nikolayev in un precedente attacco:

Un aspetto affascinante è che a un certo punto entrambe le parti hanno lanciato missili da crociera l’una contro l’altra praticamente nello stesso momento. Mentre gli Storm Shadow sorvolavano la Crimea per raggiungere Sebastopoli (si noti come il civile russo conosca già per nome lo Storm Shadow):

I Kh-101 russi volavano verso Kremenchug quasi alla stessa ora:

Questo fatto sorprendente rappresenta forse la prima volta nella storia che si assiste a un conflitto che include due parti opposte in grado di colpirsi a vicenda con missili da crociera avanzati. Quale altro conflitto si è mai visto in cui entrambe le parti lanciano attivamente e con successo missili da crociera a lunga gittata? Di certo non si è mai visto nulla di simile alla NATO.

Ciò racchiude il fatto che questa guerra è il conflitto tra pari più tecnologico della storia.

Inoltre, l’Ucraina si è lamentata del fatto che i recenti attacchi della Russia stanno diventando sempre più complessi (e lo stesso vale per quelli ucraini). Ecco due mappe provenienti da fonti ucraine che mostrano i percorsi bizzarri e tortuosi che i missili russi sono programmati a seguire:

La prima è relativa agli attacchi di massa del 21 settembre.

:

Il secondo è di ieri sera. Sostengono che i missili Kalibr e Onyx lanciati dalla regione della Crimea hanno fatto un giro completo intorno all’oblast di Nikolayev e poi sono arrivati a colpire Odessa dalla parte posteriore, dove l’AD non si aspetterebbe di essere puntato:

In quasi tutti i casi, in particolare in quello dell’aeroporto di Dolgintsevo dove sono stati distrutti i Mig-29, la Russia ha inviato prima un contingente di droni Geran-2 per esaurire la difesa aerea ucraina. Quando questa è stata adeguatamente esaurita, sono arrivati i missili per finire il lavoro.

Il risultato è che, come sempre in questo conflitto, l’Ucraina è in grado di mettere a segno alcuni colpi, ma la Russia la supera di 5:1 o 10:1, e a volte anche di 20:1.  Per ogni “colpo al quartier generale” che l’Ucraina riesce a mettere a segno, la Russia colpisce una dozzina o più di quartier generali, campi d’aviazione e altre strutture importanti dell’Ucraina. Per non parlare del fatto che la Russia interrompe gli attacchi successivi, cosa che l’Ucraina non menziona mai. Ad esempio, dopo l’attacco a Sebastopoli, ci sono stati altri due attacchi importanti, tra cui quello di oggi che ha coinvolto gli Storm Shadows. Secondo quanto riferito, sono stati tutti abbattuti e le forze russe hanno respinto completamente l’attacco. Ma di questo non si parlerà molto.

Infine, per questa sezione, vorrei parlare brevemente del motivo per cui l’Ucraina ha aumentato così tanto i suoi attacchi alla Crimea negli ultimi tempi. In parte, come ho detto, per le apparenze con la grande visita di Zelensky a Washington, ma un’altra ragione ancora più importante ha a che fare con il grande corridoio del grano, che è una delle ultime e più significative operazioni strategico-economiche dell’Ucraina.

Da quando, due mesi fa, è scaduto l’accordo sul grano, la Russia ha iniziato a distruggere le infrastrutture portuali dell’intera costa e della regione di Odessan. L’Ucraina ha cercato disperatamente di ristabilire una parvenza di trasporto marittimo, in particolare con i divieti della Polonia (per non parlare di altri Paesi) sul grano ucraino. È l’ultima linea di vita economica per loro. Pertanto, stanno cercando di forzare un corridoio eliminando le risorse navali russe e, idealmente, bloccando la flotta russa del Mar Nero in uno stato di torpore, al fine di creare un corridoio che possa abbracciare la costa ucraina/romena.

Rybar fornisce un resoconto dettagliato dell’idea:

Rapporto RYBAR:Qual è il motivo dell’attacco di ieri alle navi della Marina russa? Oggi la nave “Puma”, battente bandiera delle Isole Cayman, ha lasciato il porto di Odessa e si è diretta lungo la rotta già collaudata lungo la costa dell’Ucraina verso sud. La nave è ancora in viaggio e si sta dirigendo lungo la Romania, probabilmente verso il Bosforo. Prima di entrare nelle acque romane, la nave è stata accompagnata da due imbarcazioni della Marina ucraina, i caccia MiG-29 hanno pattugliato lo spazio aereo sopra la regione di Odessa e i P-8A americani hanno lavorato a turno sopra la Romania (uno di loro è stato scambiato per un B-52). Nel contesto dell’uscita della nave, un quadro più completo emerge con il massiccio attacco di ieri a un distaccamento di navi da guerra (OBK) della Flotta del Mar Nero composto da “Vasily Bykov” e “Sergei Kotov” – un totale di 14 imbarcazioni senza equipaggio sono state distrutte (senza contare gli attacchi a “Samum” e “Askold”). Una di queste, come abbiamo già scritto, ha colpito la Bykov, danneggiandola, ma continuando a muoversi con le proprie forze verso Sebastopoli, mentre la Sergey Kotov opera nelle vicinanze. In altre parole, non appena la pattuglia russa si è allontanata dall’area di pattugliamento, il cargo ha lasciato Odessa. In questo modo, l’AFU non solo ha aperto una rotta per il movimento della nave portarinfuse, ma ha anche dimostrato che, se necessario, può distrarre le navi russe lanciando attacchi navali con i droni. Naturalmente l’attacco è stato respinto, ma in questo modo a Kiev stanno cercando di dimostrare la funzionalità di questo corridoio senza la partecipazione della Russia.
Tutto questo è un piano dell’Ucraina per convincere i partner marittimi a scaricare il grano da Odessa, per il quale l’Ucraina ha fatto sempre più promesse e sta disperatamente lavorando per fornire assicurazioni ai potenziali vettori:

▪️

In Ucraina è stato creato un fondo speciale dell’importo di 20 miliardi di grivne (circa 547 milioni di dollari) per assicurare le navi che trasporteranno il grano attraverso il Mar NeroPrima il Ministero dell’Economia ucraino ha riferito che lo schema di assicurazione navale potrebbe essere introdotto a settembre e che potrebbero esservi coinvolte fino a 30 navi.
Si può quindi notare che questa recente esplosione del teatro del Mar Nero ha tutto a che fare con i disperati tentativi dell’Ucraina di riattivare il suo corridoio del grano, dopo aver affrontato la completa chiusura da parte della Russia e dei suoi stessi “partner” europei.

 

Naturalmente si può dire che lo sforzo dell’Ucraina non è certo inconsistente. Hanno ottenuto grandi successi, ma temo che, a loro discapito, abbiano solo “smosso il vespaio” e indotto il Ministero della Difesa russo a concentrarsi su una parte del teatro che negli ultimi tempi aveva trascurato. Ora una serie enorme di colpi devastanti viene inferta a tutti i beni ucraini che hanno anche solo un briciolo a che fare con questa recente campagna. Oltre all’hotel e ai magazzini adiacenti, anche i porti di Odessa hanno subito gravi danni a varie infrastrutture (probabilmente legate al grano):

***

Nello spirito di questo post dedicato alle armi e alla tecnica, passiamo a un’altra notizia, ovvero il continuo tira e molla sulle consegne di ATACMS all’Ucraina. Durante la visita di Zelensky è stata negata, poi tranquillamente approvata per poi essere nuovamente negata, e ora c’è un’altra apparente approvazione.

Tuttavia, il diavolo si nasconde nei dettagli. In realtà non è stato approvato come molti pensano. L’Ucraina voleva la versione normale ad alto esplosivo, molto più devastante. Biden e i suoi collaboratori si sono opposti, ma hanno finito per approvare potenzialmente la versione DPICMS. Questo dettaglio si perderà tra i festeggiamenti che si svolgeranno.

Il DPICM è la versione con munizioni secondarie o cluster bomb dell’ATACMS. Si tratta di un compromesso: vi diamo il missile, ma nella versione più inutile, che non può colpire i compound temprati, i quartieri generali, i ponti o qualsiasi altra cosa importante. Sono fatti per colpire solo il personale, il che avrà un effetto trascurabile, dato che l’uso delle munizioni a grappolo dell’artiglieria ucraina si è già dimostrato inutile, come avevo previsto tempo fa.

Guardate la spiegazione della versione ATACMS DPICMS qui sotto

:

Le submunizioni a grappolo non possono essere utilizzate per distruggere edifici o altro. Il motivo per cui l’Ucraina desiderava fortemente questo missile era quello di poter colpire le strutture C3 russe nelle retrovie, oltre a minacciare il ponte di Kerch. Ora è irrilevante: le submunizioni sono inutili per questo. Al massimo possono abbattere un’auto civile leggera.

In secondo luogo, potete leggere questo e ridere. Secondo quanto riferito, il piccolo lotto di prova annunciato di ATACMS da inviare in Ucraina sarà di sole circa 60 unità:

Ma ascoltate ciò che Budanov stesso afferma chiaramente nella sua intervista a Washington di alcuni giorni fa. KB = Kyrylo Budanov:

Quindi Budanov stesso dice che qualsiasi cosa al di sotto dei 100 missili è praticamente inutile e non farà nulla. Biden non solo ne annuncia 60, ma nemmeno quelli distruttivi.

Tuttavia, vorrei fare una precisazione. È vero che le versioni a grappolo sono per lo più inutili, ma c’è un’area in cui potrebbero potenzialmente fare molti danni: colpire i campi di aviazione russi ricchi di obiettivi. Le submunizioni non distruggono del tutto gli aerei, ma un intero missile pieno di esse che colpisca un campo d’aviazione potrebbe mettere fuori uso decine di velivoli in una volta sola.

Quindi, per questo motivo, è sicuramente pericoloso. Ma semplicemente non ha la pericolosità strategica di un missile normale, con la capacità non solo di spazzare via interi bunker di comando in profondità dietro le linee russe, ma potenzialmente di colpire e spazzare via il ponte di Kerch.

Detto questo, è interessante notare che potrebbero essere molto più facili del previsto da abbattere per gli AD russi, in particolare i sistemi S-300/400 di prima scelta, progettati specificamente per abbattere tali missili di tipo balistico. Il motivo è che un attacco di saturazione funziona tipicamente quando ci sono molti oggetti che vengono verso di noi a un’altitudine simile. Ma quando si satura un sistema AD con un gruppo di droni (che non sono fisicamente in grado di volare in alto) e di missili da crociera a bassa quota, sarebbe molto facile per un sistema AD distinguere questi oggetti “schermati” da un missile di tipo balistico che vola molto più in alto. Ciò significa che l’AD dovrebbe essere in grado di indicare sul monitor quale sia il pericoloso missile quasi-balistico solo in base alla sua altitudine, il che consentirebbe di stabilire una priorità nel colpirlo.

Per quanto riguarda l’equipaggiamento, un altro aggiornamento che volevo proporre è il monitoraggio delle perdite di carri armati russi effettuato da un’organizzazione. Ho trovato questo dato molto illuminante

.

La parte più importante non sono i totali in sé, che possono essere esagerati o meno, ma la tendenza generale. Ad esempio, nella colonna dei totali più alti si può vedere dove sono stati i picchi e i punti più bassi. Dall’inizio di quest’anno, la Russia ha continuato a registrare una tendenza al ribasso, con l’inizio della controffensiva ucraina che ha rappresentato una piccola impennata.

50-70 carri armati persi al mese non sono affatto male. La media è di circa 2 al giorno, pari a circa 600-700 all’anno. La ragione per cui questa è una buona notizia è che è inferiore alla produzione annuale della Russia, il che significa che le perdite di carri armati sono sostenibili – questa è la parte più importante.

Come facciamo a sapere cosa producono attualmente?

In questa nuova intervista video, il capo di Uralvagonzavod, il più grande produttore di carri armati del mondo, Alexander Potapov afferma alcune cose interessanti:

Sembra che si riferisca ai motori, dato che i T-80, come dice in seguito, al momento non sono prodotti da zero ma solo ristrutturati. Ma la Russia sta già raggiungendo anni record.

A titolo di riferimento, ecco una tabella della produzione di carri armati degli anni ’70 e ’80.

Ora, diverse fonti come The Economist affermano che la Russia produce 20 carri armati nuovi al mese e fino a 90 ristrutturati:

Wallstreet Journal fornisce una cifra di 250 carri armati all’anno prima della guerra.:

In realtà, per la maggior parte degli anni intorno al 2010 e successivamente, la Russia ha prodotto circa 175-250 nuovi carri armati all’anno. Ora si dice che la produzione sia aumentata di diverse volte.

Se prendiamo i numeri dell’Economist, 110 totali (prodotti + ristrutturati) al mese = più di 1.300 all’anno, il che è almeno in linea con quanto dichiarato da diversi esponenti russi.

Tornando al grafico delle perdite, possiamo vedere che quest’anno la Russia è in procinto di perdere qualcosa come 600-800 carri armati. Questo dovrebbe essere facilmente compensato dalla produzione. E si tenga presente che molte di queste perdite sono probabilmente calcolate in eccesso. Per esempio, all’inizio della controffensiva Putin aveva fatto notare in un discorso che la Russia aveva perso un certo numero di carri armati, circa 40-60, ma aveva detto che molti di questi erano stati successivamente rimorchiati e sarebbero stati riparati. La maggior parte delle organizzazioni che contano le perdite si limita a conteggiare ogni foto sul campo come una perdita, ma ignora il fatto che molti carri armati russi che appaiono “colpiti” vengono recuperati e riparati, o subiscono solo danni minori ai cingoli. Pertanto, le 600-800 perdite annue percepite potrebbero essere in realtà qualcosa come 400-600.

Inoltre, un nuovo video ha mostrato l’uso massiccio di carri armati gonfiabili russi sul fronte di Zaporozhye. Non stupitevi quindi se Oryx e co. inizieranno ad aggiungere i gonfiabili “distrutti” al loro database di “perdite” russe reali.

Lo scorso mese Forbes ha lamentato che l’unico collo di bottiglia rimasto in Russia per la produzione di carri armati di massa è terminato:

Infine, è stato messo insieme un grafico che tenta di ricavare un senso dalle perdite di carri armati della Russia, per esempio se stavano esaurendo alcuni scafi come i primi T-72/T-80 e li stavano sostituendo con vecchi T-62 e T-55 come sostengono molti propagandisti ucraini:

Il grafico ha trovato la correlazione opposta. I T-90 russi sono passati dal 3-4% al 24%, a dimostrazione del fatto che i T-90M vengono messi in campo – e quindi prodotti – in quantità maggiore. I T-55/T-62 non solo non hanno avuto incrementi apprezzabili, ma sembrano essere diminuiti. Ecco che la narrazione è finita.

L’unico altro cambiamento degno di nota è stato che i T-80 russi sono sembrati diminuire drasticamente come quota di perdite, ma si può dire che sia ciclico, dato che in precedenza erano diminuiti in aprile/maggio per poi risalire.

La parte importante è che non c’è alcuna base scientifica che giustifichi il fatto che la Russia stia schierando i vecchi T-62/T-55 e in effetti la Russia sta schierando tre volte più T-90M di prima.

Per l’Ucraina è l’opposto. L’unica cosa che si vede ancora sono i T-64 e le cose più vecchie. Si vedono pochi T-72 e ogni volta che arriva una nuova piccola iniezione di carri armati della NATO, questi vengono prontamente annientati:

Queste sono le varianti svedesi modificate dei Leopard 2A5 tedeschi. Alcuni di essi sono già stati distrutti in un solo giorno l’altro ieri, rappresentando una grossa fetta di tutti quelli ricevuti. Ora si dice che siano arrivati i primi 10 esemplari di Abrams:

La Russia ha colpito anche treni carichi di armature ed equipaggiamento:

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Alcuni ultimi articoli vari.

Avevo dimenticato di postare questo articolo qualche tempo fa. Il giornalista ucraino Roman Revedzhuk, che in precedenza si era candidato ed era stato a lungo coinvolto nella politica ucraina, ha rivelato di aver ricevuto un rapporto dall’SBU secondo cui l’Ucraina aveva più di 310.000 KIA a luglio:

Mi risulta che sia un giornalista filo-ucraino e non filo-russo, tuttavia è critico nei confronti dell’attuale regime al potere.

Noterete che questo numero è in linea con altri rapporti recenti, come quello di wartears.org che tiene traccia dei necrologi e ha un totale attuale di 280.000 morti per l’Ucraina.

Ora, le conseguenze di tutto ciò si fanno sentire sempre di più. In un nuovo video, l’ex comandante dell’Aidar Yevgeniy Dikag ha dichiarato che l’Ucraina può vincere solo mobilitando in massa fino a 1 milione di persone in più:

Secondo l’analista militare ucraino Yevgeniy Dikag, che è stato il comandante della famigerata formazione Aydar, il presidente ucraino deve dichiarare al più presto una mobilitazione generale e radunare 500 mila soldati per rovesciare lo status quo che vigeva prima dell’inizio della controffensiva estiva.
A questo fa eco un nuovo video di Arestovich, secondo il quale presto ogni uomo in Ucraina, nessuno escluso, dovrà essere mobilitato:Ukrainian military analyst Yevgeniy Dikag, who was the commander of the infamous Aydar formation, the Ukrainian president must as soon as possible declare a general mobilization and raise 500 thousand soldiers in order to overthrow the status quo that was in force before the start of the summer counteroffensive.

And this was echoed by a new video from Arestovich who says that soon every man in Ukraine bar none will have to be mobilized:

Ricorderete che l’ultima volta ho pubblicato un analista ucraino che ha confessato che alla fine dovranno essere mobilitati non solo gli adolescenti – cosa scontata, secondo lui – ma anche i bambini..

In questa nota,Il presidente della Duma di Stato russa, Vyacheslav Volodin, ha rafforzato alcune mie recenti affermazioni, secondo cui il destino dell’Ucraina è la capitolazione totale e la resa alla Russia o… la distruzione totale:

Possiamo vedere che una parte ha accettato pienamente che una mobilitazione sociale totale di donne, bambini, adolescenti e tutti gli altri va benissimo per loro, mentre l’altra parte accetterà solo una resa totale e incondizionata. Purtroppo, questo non può che portare alla distruzione totale dell’Ucraina. Nessuna quantità di stupide armi della NATO spedite in tranche trascurabili può cambiare le cose.

Per riassumere l’ultimo giorno o due, non c’è altro che un massacro per l’AFU. Avvertenza grafica:

Video 1
Video 2
Video 3
Video 4
Video 5
Video 6
Video 7
Video 8

Il prossimo:

Una franca discussione tra commentatori militari russi sulla questione della controbatteria, di cui mi sono occupato di tanto in tanto.

Noterete che confermano praticamente tutto quello che ho detto. Sì, l’AFU dispone di alcuni proiettili, come il Vulcan, appena lanciato, con una gittata di 70 km, che supera tutto ciò che la Russia utilizza attualmente (almeno per quanto riguarda l’artiglieria pura, senza contare gli MLRS e altre cose). Ma ne hanno una piccola manciata, così come altri proiettili “speciali” come Excalibur, ecc.

Non si può usare un outlier per discutere su chi sta vincendo la guerra dell’artiglieria. Quando i sistemi russi sono più numerosi e più performanti della maggior parte del tempo, il raro utilizzo di un proiettile di questo tipo non fa pendere la bilancia a loro favore, soprattutto quando la Russia ha molti altri sistemi asimmetrici che possono neutralizzarli.

Conferma che i proiettili standard della Russia sparano a ~24 km, anche se commette un errore con i 35-40 km come standard per l’AFU, che ancora una volta conta solo altri sistemi semi-specialistici come il Caesar francese, di cui non ha molti. I comuni M777 ecc. con proiettili standard sparano meno della portata della Russia.

Ma come ho già detto, chi ha seguito i miei resoconti su questo tema noterà la conferma che i 2S5 Giatsint e i 2S7(M) Peony/Malka russi sono più che all’altezza dei sistemi dell’AFU, senza contare i proiettili speciali. Ma hanno sollevato una buona questione: la Russia ha ancora bisogno di un sistema che possa più regolarmente eguagliare tali gittate. E come hanno detto, ce l’ha con la nuova artiglieria 2S35 Koalitsiya-SV, che dovrebbe essere un 2S19 Msta-s completamente riprogettato, con una gittata di 40 km per i proiettili standard e di 80 km per i proiettili speciali assistiti da razzi, che fa vergognare tutti i migliori sistemi della NATO.

Purtroppo Koalitsiya continua a sguazzare nel buco nero del MIC russo, così come Armata, ecc. Si dice che un paio di esemplari siano stati “testati” in precedenza nell’SMO, ma nessuno sa quando inizierà esattamente la produzione di massa, anche se si dice sempre che sarà “presto”.

Alla luce di tutte le discussioni sui carri armati, ecco un nuovo rapporto dalla principale fabbrica russa di Nizhny Tagil, la Uralvagonzavod:

A seguire, un interessante sondaggio del centro di ricerca russo Levada. Mostra la crescita costante dell’orgoglio nazionale russo, il riemergere dell’identità russa dal cupo periodo del 2002 a oggi.:

Nel 2002, tanti russi consideravano più grandi gli Stati Uniti che il loro Paese, e non pensavano quasi per niente alla Cina. Ora la maggioranza considera grande la Cina e gli Stati Uniti sono stati relegati da “grandi” a “di seconda categoria”.

Infine, un’altra pubblicità militare russa in una recente serie di annunci che sembrano lasciare intendere grandi cose. Prima, giorni fa, c’è stato un annuncio che alludeva alla futura conquista di Kiev. Ora un’altra allude al ricongiungimento di Odessa con la madrepatria russa.

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