NATURA MORTA 3a parte, di Giuseppe Germinario

qui la 1a e 2a parte

NATURA MORTA (1a parte), di Giuseppe Germinario

NATURA MORTA 2a parte, di Giuseppe Germinario

 

“Vogliamo essere da stimolo affinché il Partito democratico riprenda questo cammino arrestando la sua deriva neocentrista”, così recita la parte finale del documento fondativo del Movimento dei Democratici Progressisti (http://www.huffingtonpost.it/2017/02/25/movimento-democratico-pro_n_15005420.html ). Una intenzione che rivela lo spirito gregario di una iniziativa lanciata evidentemente di mala voglia, dallo scarso respiro strategico, la cui inerzia connoterà inesorabilmente la precisa funzione del neonato soggetto politico, così come degli altri in via di formazione nella stessa area: quella di mosca cocchiera.

Ogni movimento degno di questo nome per altro indirizza la propria azione costruendosi il proprio Pantheon di numi ispiratori. Massimo d’Alema, l’incubatore del MDP (articolo I Movimento Democratico e Progressista), ancora una volta ci ha illuminati e sorpresi per il suo spirito di accoglienza, già rivelatosi per nulla schizzinoso, sin troppo generoso ed aperto alle novità di fine secolo; nel suo Olimpo in terra, nel tempio degli “illuminati” è riuscito ad assegnare un posto di prestigio niente meno che al Senatore John Mccain, il a suo dire “conservatore illuminato”, acerrimo nemico dell’apprendista stregone neopresidente Donald Trump. La ragione della inopinata ascesa al tempio sono le sue dichiarazioni sulla natura guerrafondaia delle politiche di “the Donald”. Il pulpito dal quale provengono le filippiche non potrebbe essere di certo più credibile. Si tratta proprio di quel McCain immortalato ultimamente, tra le sue innumerevoli peregrinazioni nei vari focolai di guerra nel mondo, in amabile compagnia dei più sanguinari e settari esponenti qaedisti in servizio attivo in Siria ed Iraq, nonché dei più convinti e truculenti esponenti neonazisti impegnati ad alimentare la guerra civile in Ucraina.

Verrebbe da chiedersi il motivo di cotanto spirito d’accoglienza.

Certamente al nostro Leader Maximo non difetta il realismo politico; ne consegue l’accettazione tra le proprie fila dei nemici, secondo il noto principio di Clausewitz, del suo nemico Trump, il capostipite dei populisti e dei reazionari dell’universo-mondo. Si comprende anche, dopo oltre venti anni di imbarazzi e di contorsioni sempre più inverosimili, il sollievo determinato da una situazione che consente di riproporre finalmente il vecchio schema di una sinistra democratica mondiale fautrice di diritti e di pace contrapposta ad una nuova destra razzista, divisiva e militarista. Un buon viatico per garantirsi la sopravvivenza politica ancora per qualche tempo al prezzo però della disinvolta rimozione dei misfatti bellicisti democratico-progressisti degli ultimi trenta anni. Una rimozione certamente resa più disinvolta dall’attitudine e dallo spessore della scorza acquisita nella prima mutazione del nostro dal passato originario nel Partito Comunista. A queste qualità proattive, “diciamo”, fa probabilmente però da retroterra motivazionale alle scelte politiche, una certa inguaribile provinciale sudditanza psicologica di chi ha costruito la propria ascesa politica sulla partecipazione ad una sola guerra, quella contro la Federazione Jugoslava, condotta per di più dall’alto, costruita anch’essa sulla menzogna, tanto propedeutica alla costruzione del sodalizio tedesco-americano quanto nefasta per la federazione jugoslava e deleteria per gli italici interessi; sudditanza psicologica, quella di d’Alema, al cospetto di un personaggio come McCain, al quale deve essere sfuggito persino il novero dei focolai di guerra sino ad ora fomentati. Più prosaicamente deve spingerlo all’azione politica contingente anche il rischio di rottura dello stretto sodalizio con i democratici di Clinton che tanto ha contribuito, assieme ai benefici politici legati alle privatizzazioni degli anni ’90, al successo della sua fondazione;  una incognita determinata dall’esito delle elezioni presidenziali americane e dal possibile conseguente declino della famiglia sconfitta.

Basterebbe questa sintetica rappresentazione a qualificare un movimento politico destinato a raccogliere ormai consensi residuali nel paese.

Il problema è che questa residualità potrà consentire a queste formazioni comunque di ritagliarsi un proprio peso nel processo di frammentazione politica in atto e ritardare se non pregiudicare definitivamente un qualche sviluppo di positiva maturazione politica di una parte sia pure ridotta dei suoi quadri dirigenziali e della gran parte dei militanti di questa area in via di formazione.

Da qui la necessità di sviluppare una critica più puntuale delle tesi adottate non solo dal MDP (Articolo 1 MDP), ma anche dalla costellazione di formazioni interne al PD (mozione Orlando e marginalmente mozione Emiliano), esterne ad esso ma propedeutiche alla ricostituzione del centro-sinistra (MDP di D’Alema, Bersani e Speranza; Campo Progressista di Pisapia); esterne ma intenzionalmente alternative al PD (SI- Sinistra Italiana di Fratoianni e Fassina).

Ad eccezione della mozione Emiliano, conglomerato più che altro destinato ad alimentare formazioni politiche su base civica e territoriale in particolare del Centro-Sud, il resto delle formazioni politiche citate poggia, come si vedrà dai documenti e dagli interventi prodotti, su fondamenti ed analisi politiche comuni, ma su posizionamenti politici diversi frutto di contingente opportunismo.

Ad offrire gli spunti di discussione è sempre d’Alema.

Le sue linee portanti sono le seguenti:

  • Il processo di globalizzazione non ha portato ad una spontanea condizione di pace e di sviluppo omogeneo e ad una estinzione del ruolo degli stati. Le erronee aspettative alimentate in tal senso hanno penalizzato soprattutto le sinistre
  • La globalizzazione ha accentuato le disuguaglianze e favorito quindi l’emergere del potere finanziario, l’emarginazione o la sottomissione della funzione politica a questo potere e una reazione di difesa dei ceti emarginati strumentalizzate da forze antiestablishment (antisistema) piuttosto che populiste
  • Il recupero delle prerogative degli stati nazionali e la riproposizione del nazionalismo sono un lusso consentito alle formazioni e ai paesi più grandi. In quelli medi e piccoli, come quelli europei, si risolvono in una caricatura velleitaria ed impotente
  • Il processo di globalizzazione va quindi governato; per i paesi europei rimane fondamentale ed imprescindibile costruire entità sovranazionali per assumere un ruolo politico significativo
  • La sinistra democratica e progressista deve recuperare una certa radicalità e la capacità di difesa degli interessi dei soggetti deboli assumendo come parola d’ordine il principio di uguaglianza

Inutile ricercare nei suoi interventi una qualche autocritica coerente di posizioni sostenute da lui stesso sino a pochi mesi fa.

Rimane, tra le righe, un approccio che impedisce di valutare adeguatamente la permanenza del ruolo degli stati nazionali, la composizione dei centri strategici che determinano le strategie politiche nei vari ambiti, compreso quello economico e finanziario; che nella permanenza dell’equivoco del predominio delle forze economiche consente di riproporre la solita logica di divisione tra destra e sinistra, soprattutto tra democrazia e dittatura, funzionale al mantenimento degli attuali legami di subordinazione politica nell’agone internazionale; che nella proclamata pretesa di difesa a se stante dei ceti deboli non si fa che riproporre una divisione tra destra e sinistra che assegna a quest’ultima al meglio un ruolo subordinato di redistribuzione di risorse e alla prima la funzione determinante delle scelte produttive e di organizzazione economica funzionali alle strategie geopolitiche e di controllo delle formazioni sociali. Al peggio rimane il ruolo assunto nel determinare l’attuale condizione del nostro paese.

L’analisi dei documenti congressuali consentirà un maggior approfondimento di questi spunti.

Quelle espresse da d’Alema non sono solo debolezze e carenze di analisi, delle semplici incongruenze. Sono anche l’espressione consapevole di una strategia politica da sconfiggere senza remore, oggetto di una battaglia politica. La seguente intervista lascia intravedere di cosa si tratta e di come il personaggio sia parte del meccanismo ( http://www.huffingtonpost.it/2017/04/24/massimo-dalema-spiega-ad-huffpost-la-lezione-francese-una-sin_a_22053364/  )

LE RIPERCUSSIONI GEOPOLITICHE DEL BREXIT NEL MEDITERRANEO di Antonio de Martini

LE RIPERCUSSIONI GEOPOLITICHE DEL BREXIT NEL MEDITERRANEO di Antonio de Martini

tratto da https://corrieredellacollera.com/2017/03/30/le-ripercussioni-geopolitiche-del-brexit-nel-mediterraneo-di-antonio-de-martini/#more-33036

Seguendo la logica miserabile che ha contraddistinto questo scorcio di secolo, la maggior parte degli analisti europei si è concentrata sugli aspetti mercantili del divorzio tra Gran Bretagna e l’Europa Continentale e nessuno ha affrontato i nodi geopolitici, specie mediterranei.

Non è la prima volta che l’Inghilterra sceglie la sua strada in contrapposizione al resto dell’Europa. Lo fece al tempo del Magnifico isolamento, Lo ha ripetuto al tempo di Napoleone e di Hitler.

Poiché non siamo in guerra, l’esempio più calzante da esaminare sarebbe quello del Magnifico isolamento,( non a caso i loro giornali titolano “Magnificent moment”) ma senza trascurare il vezzo tutto inglese di fomentare movimenti di secessione e guerriglia o della incentivazione della pirateria, anche con titoli nobiliari che ne hanno sempre caratterizzato le azioni di ampio respiro.

Il Carlyle scrive nel suo “Past and Present” che ” tra tutti i popoli del mondo, presentemente, gli inglesi sono i più sciocchi per la parola e i più saggi per l’azione”.

Cito autori inglesi perché essere tacciati di anglofobia oggi  è come essere accusati di antisemitismo.

In effetti, la Geopolitica inglese ha sempre lavorato sul lungo periodo e utilizzando come agenti principali geografi e antropologi.

Ian Fleming e le bravate di James Bond non hanno mai saputo farle, mentre il fratello di Ian Fleming, Victor, antropologo di valore ha sempre lavorato per l’MI6 in America Latina. Serviva ” uno di famiglia” per rincominciare a rinverdire il blasone, fin dagli anni sessanta.

Le Brigate rosse attinsero a arsenali ex inglesi, non americani. Lo scandalo P2 travolse la massoneria filo americana, ma non sfiorò nemmeno quella di obbedienza inglese.

A via Caetani, il cadavere di Moro fu ritrovato di fronte al numero civico che ospitava   una sede dell’Intelligence Service (la moglie era inglese, di questo parla il senatore Pellegrino nel suo libro su Moro, ma non lo ha detto nessuno.                                                                                                                    Hanno dirottato l’attenzione su Henry Kissinger, ma l’umiliazione di essere battuta al vertice UE di Venezia sul delicato tema palestinese la subì Margaret Tatcher, non l’americano.

Questo, per dire che quel che sto per proporre di analizzare, viene da lontano.

UN PO DI STORIA: STOCCOLMA CONTRO ROMA

Quando, nel 1956, i sei paesi europei continentali decisero di creare la Comunità Economica Europea ( CEE), l’Inghilterra non si limitò a non aderire, ma poco dopo diede vita nel 1960 a una comunità economica concorrente ( EFTA) cui aderirono originariamente Austria, Danimarca, Norvegia,Portogallo, Svezia, Svizzera e, naturalmente il Regno Unito.Furono seguiti, nel 1986, da Islanda e Finlandia. L’atto fu firmato a Stoccolma.

Nel 1961, La G.B. chiese per la prima volta di entrare nel Mercato comune assieme a Irlanda e Danimarca. Dopo un paio di anni di negoziato, nel 1963, De Gaulle espresse i suoi dubbi circa l’effettiva volontà di adesione inglese e i negoziati naufragarono.

La seconda richiesta inglese data dal 1967, anno in cui la Francia negò il suo consenso e i negoziati fallirono. ATTENZIONE: l’anno successivo si verificarono i moti del ’68 miranti a far cadere De Gaulle.

Nel 1969, L’Inghilterra reiterò la richiesta per la terza volta e, Pompidou, succeduto a De Gaulle, accettò, i negoziati durarono tre anni. Il 1 gennaio 1973 l’Inghilterra entra nel MEC e la scelta è confermata nel 1975 da un referendum.

Dopo l’adesione della Gran Bretagna alla Unione Europea, l’EFTA non si sciolse, ma alcuni paesi aderirono e altri mantennero in vita l’organizzazione che ha vivacchiato con sede in Svizzera, accettando l’adesione del granducato del Liechtenstein.

Come paventato da De Gaulle, l’Inghilterra divenne il cavallo di Troia degli USA in Europa( in questo sta la lamentela di perdita di sovranità).                 Poi, preceduta dal “Guardian” che aprì la sua redazione americana ben più grande della casa madre, l’UK iniziò a guardare sempre più agli USA.

Nei tre anni che hanno preceduto il referendum sul Brexit, è scattata l’offensiva del sorriso inglese verso il Mediterraneo  a base di film sulla famiglia reale, la guerra coi turchi ( in cui i turchi fanno sempre bella figura), la regina ormai veneranda che viene a visitare il suo vecchio amico Napolitano snobbando il Papa dove registra un inedito ritardo di mezz’ora; l’ambasciata inglese ospita in contemporanea Grillo e Renzi ecc. Insomma si pone al centro della scena.

Nel 2001 partecipa all’invasione Afgana.

Nel 2003 è lo ” sparring partner” degli USA nell’attacco all’Irak e condivide il bottino.

Nel 2011 partecipa alla campagna libica ” soffiandoci” le risorse petrolifere e ottenendo dal governo fantoccio la prospezione del mar di Cirenaica; Fa nascere il caso Regeni per impedire rapporti conclusivi tra Italia e Egitto, fino a che l’ENI non accetta di spartire la concessione che ha trovato  nelle acque profonde di fronte al delta del Nilo; assume una posizione defilata nella crisi Greca e rinnova le basi di Cipro ( una aerea e di intercettazioni, l’altra navale).

ADESSO CON LA BREXIT L’INGHILTERRA RITORNA NEL MEDITERRANEO

  1. il primo problema a porsi sarà Gibilterra: quale sarà la posizione della Unione Europea verso questo contenzioso? Si schiererà con il partner spagnolo o sosterrà Albione?
  2. La “Secessione Catalana”: sarà certamente una carta in mano agli inglesi che hanno creato e finanziato questa iniziativa condotta da gentucola, ma che rappresenta una poderosa arma di ricatto anche a fronte della possibilità che lo Spagnolo – parlato nel mondo da 440 milioni di persone- possa scalzare l’inglese, parlato da 445.                     Nel settembre 2017 la regione catalana vorrebbe fare un referendum…
  3. Il terrorismo Il TIMES di oggi ha reso chiaramente il pensiero della signora May che ha condizionato la lotta al terrorismo alla stipula di un accordo commerciale preferenziale.
  4. Israele: A Ginevra è di ieri un distinguo dell’ambasciatore inglese contro l’ONU con la dichiarazione che ” le nazioni Unite hanno un partito preso abituale ” sulla questione palestinese.
  5. Egitto e Turchia: L’Inghilterra ha accuratamente evitato di partecipare a tutte le azioni che avrebbero potuto irritare Erdogan e si sta attivando per proteggere  i suoi tradizionali alleati i ” fratelli Mussulmani”anche in Egitto, dove è di fatto alleata con Sissi e coi suoi nemici: A Sissi mostra l’esca della Cirenaica dove l’uomo forte è il suo candidato Haftar e ai fratelli mussulmani offre la mediazione col regime.                                         Ai turchi lo specchietto delle allodole è Cipro e/o le sue risorse promesse a troppi. Come al solito.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        LA PROSSIMA CRISI MEDITERRANEA SARA’ L’ALGERIA                                                                                                                                                              Gli americani non hanno dimenticato che per tutti gli anni settanta l’Algeria ha dato rifugio a Timothy Leary il professore universitario scopritore dell’LSD che sottrasse al monopolio CIA e alle Pantere Nere ( Eldridge Cleaver, Roger Holder, Melvin MCNair, tra gli altri) ricercate negli Stati Uniti  e che costituirono un serio pericolo per il governo americano.  Lo scorso anno la Russia ha minacciato di rendere pan per focaccia agli USA e sono risorte le ” Nuove Pantere Nere ” a seguito delle numerose uccisioni di gente di colore da parte delle forze dell’ordine.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              L’Algeria è il nostro ultimo rifugio di rifornimento indipendente di GAS ed è in costruzione un gasodotto bis che passi per la Sardegna e rifornisca l’Europa.  Poi saremo completamente sottomessi.                                                                                                                                                           La Francia non può partecipare all’attacco per parcellizzare l’Algeria, che è il paese più grande dell’Africa dopo che il Sudan è stato dimezzato,   a causa del gran numero si algerini sul suo territorio. Gli inglesi, si.          Un altro passo avanti nella marcia di integrazione con gli USA dove ormai regnano numerosi borsisti della fondazione Rodhes sostenitore della superiorità della razza anglosassone e del suo predominio nel mondo. Altro che quei microbi di Soros e Gates.

GEOPOLITICA-SPIETATA ( LUCIDA), ANALISI DI MARCO BERTOLINI

tratto dal sito http://www.congedatifolgore.com/it/geopolitica-spietata-lucida-analisi-di-marco-bertolini/#.WGazcU58Hep.facebook
Mi pare l’ulteriore conferma che nei centri vitali dell’amministazione del paese ci siano personaggi e forze sensibili a un recupero delle prerogative nazionali. Manca una espressione politica che possa dare loro espressione e forza

Pubblicato il 30/12/2016
GEOPOLITICA-SPIETATA ( LUCIDA) ANALISI DI MARCO BERTOLINI
Sicurezza Internazionale:
Intervento del Generale Marco Bertolini

edito da http://www.atlantismagazine.it/

Sicurezza Internazionale: Intervento del Generale Marco Bertolini – ATLANTIS

Italia e “Comunità Internazionale”

analisi di una crisi

Attorno a noi, nell’area euromediterranea della quale rappresentiamo il centro, il punto nel quale dalla società romana prima e cristiana poi è nata l’idea stessa di occidente, si stanno verificando crisi di portata epocale che consegneranno ai nostri figli un mondo diverso e molto più difficile e pericoloso di quello nel quale abbiamo vissuto noi, figli della guerra e spettatori della guerra fredda.

E’ una realtà che ormai si sta imponendo alla consapevolezza generale, anche se spesso prevale la tentazione di limitarsi a una microanalisi delle singole situazioni di crisi, nell’illusione di venirne a capo. Così facendo, però, si perde la visione d’insieme di quello che continua a riproporsi come il solito scontro tra gli interessi statunitensi e russi, di antica memoria, che non ci lascia che il ruolo rassegnato delle comparse, e spesso delle vittime, delle frizioni tra i due giganti.

Questa situazione è particolarmente pericolosa per un paese come l’Italia, esposto geograficamente come nessun altro e che nonostante questo pare avere optato entusiasticamente per il rifiuto di individuare “originali” interessi nazionali da difendere. Al contrario, preferisce di norma appiattirsi su quelli di una Comunità Internazionale (CI) volubile, volatile e difficilissima da definire.

Gioca un ruolo chiave in questo approccio passivo una impostazione costituzionale che sembra fatta apposta per tagliarci fuori dalla realtà.

L’esempio dell’inutile articolo 11 della Costituzione è emblematico: al di là dell’inconsistenza di un “ripudio” (della guerra) che non può che essere solo retorico, tale presa di posizione impedisce all’Italia di fare i conti (almeno a parole) con una costante della storia e toglie dignità agli strumenti militari dei quali continua comunque ad essere dotata (le Forze Armate). Conseguentemente, al nostro paese non resta che mettersi disciplinatamente al seguito di coloro che tali remore non nutrono e che continuano ad essere ben determinati a perseguire i propri interessi – ovviamente travestiti da interessi “comuni” – con tutti i mezzi, inclusi quelli bellici. E non parlo di qualche dispotico regime africano o centro asiatico, ma di paesi come la superpotenza statunitense, nonché di Russia, Gran Bretagna e Francia, per rimanere all’ambito europeo. Quanto alla Germania, non si pronuncia in merito per ovvie ragioni, ma continua da tempo a mantenere in salute e in esercizio uno strumento militare decisamente importante che sta ulteriormente potenziando.

Comunità Internazionale sopra tutti e prima di tutto, quindi. Ma di cosa stiamo parlando? L’idea di Comunità che nei desideri di molti illusi dovrebbe assicurare dignità a una nostra supposta vocazione alla passività in campo internazionale è quella che si dovrebbe concretare in una profonda comunanza di valori e di interessi, primo fra tutti quello della pace. Pace innanzitutto, anzi. Ma è effettivamente così? No, e lo confermano proprio le crisi che ci circondano.

Iniziamo da quella più vicina a noi e per la quale stiamo pagando un prezzo notevolissimo, la Libia. La CI fu quella che, smentendo platealmente tutte le precedenti iniziative italiane in quel paese, nella sua connotazione anglo-francese, pseudo-NATO e para-EU, nel 2011 decise unilateralmente di intervenire, prescindendo assolutamente dai nostri interessi e addirittura dal nostro parere di principale vicino a quell’area. C’è da chiedersi se si sarebbe comportata nella stessa maniera, vale a dire mettendoci di fronte al fatto compiuto, se nello Stivale ci fosse stato un altro Stato, non necessariamente uno di quelli rammentati in precedenza. Ma tant’è: in ogni caso, ci ha poi concesso la grazia di saltare sul suo carro di esportatori di democrazia e progresso fino a renderci compartecipi o complici della creazione della situazione che ci sta deliziando da oltre un lustro. In sostanza, la CI ci ha scalzato da una posizione molto favorevole nel mercato degli idrocarburi libici, ha messo a rischio molte nostre imprese che dopo decenni di buio erano riuscite a reimpiantarsi in Libia e ci espone ora ad un flusso migratorio epocale, dal quale gli ottimi rapporti con Gheddafi ci ponevano al riparo.

Oggi, nella sua rappresentazione europea (EU) ci sta supportando nella ciclopica opera di salvamento delle centinaia di migliaia di migranti economici che prendono mare clandestinamente dalla costa della Tripolitania verso le nostre coste, facendo comunque molta attenzione a farli sbarcare solo da noi e a mantenerli confinati al sud delle Alpi. Gran bella prova di solidarietà!

Quanto alla situazione politica in Libia, nella sua rappresentazione ONUsiana la CI, dopo aver supportato a lungo il parlamento di Tobruk e il suo Generale Haftar (uomo degli USA, si diceva), si è esibita nel classico salto della quaglia, passando all’appoggio di Serraj, neo Primo Ministro a Tripoli, a sua volta supportato dalle milizie simil-islamiste di Misurata. Ed è soprattutto a questo punto che la Comunità ha smesso di essere tale: si è divisa infatti in due, con una parte capeggiata da ONU e USA al fianco di Serraj puntando ad una Libia unita e presumibilmente sotto tutela ONU/USA/NATO (la EU si adeguerà), mentre un’altra parte continua ad appoggiare Tobruk. Quest’ultima non nasconde l’aspettativa di una divisione del paese che apra alla Francia la possibilità di sfruttare i giacimenti della mezzaluna petrolifera, consenta alla Russia di evitare un altro paese sotto tutela americana, magari riservandole un ulteriore sbocco mediterraneo alternativo o complementare a Tartus, e non faccia tramontare le mire territoriali egiziane nell’est del paese, almeno a livello di ingerenza. L’Italia, ovviamente e giustamente, si inquadra nel primo gruppo e c’è da chiedersi quanto questa sua collocazione strategica sia collegata alla strana ostinazione con la quale ha iniziato a cavalcare il caso Regeni dopo un lungo periodo di corte spietata all’Egitto, negandogli ora ogni possibilità di scampo onorevole, stretto come l’ha in un angolo fatto di accuse che se sono difficili da provare lo sono altrettanto da confutare.

Sul fronte europeo, la CI subisce fortemente il peso degli interessi globali degli USA che spingono NATO e conseguentemente la sua rappresentazione virtuale locale, l’EU, a una forte contrapposizione con il loro competitor russo. Da qui, il rafforzamento del fianco nord, con la scusa di tacitare le preoccupazioni delle Repubbliche baltiche e della Polonia ma soprattutto per consentire agli US di spostare molto più a destra la propria presenza in quello che vent’anni fa era il territorio del Patto di Varsavia. Poco più a sud, invece, incombe la spaventosa crisi ucraina, per la quale non si vedono ancora vie d’uscita. In questo paese, infatti, balena da un lato una ghiotta opportunità per gli statunitensi di escludere per sempre la Russia dal Mar Nero, privandola delle basi in Crimea, mentre da parte Russa al contrario continua a materializzarsi il rischio di essere tagliata fuori definitivamente dall’Europa e da ogni forma di presenza nel Mediterraneo. Quindi, uno sviluppo da non farsi sfuggire da parte americana e una opposta minaccia da evitare in campo russo che ha portato alla situazione di stallo armato attuale.

Ed ecco, a questo punto, ricomparire la stessa CI, nelle sue manifestazioni NATO ed EU, più che mai determinata a tagliare le unghie all’orso russo utilizzando uno dei più classici strumenti di pressione di sempre, le sanzioni. Peccato che con esse, che non intaccano assolutamente l’economia degli USA che le hanno fortissimamente volute, oltre alle unghie dell’orso cadano pure i denti del resto dell’Europa – e soprattutto dell’Italia – legate alla Russia da stretti vincoli economici e commerciali ora messi a rischio, nonché da una continuità territoriale che al contrario non c’è con “l’isola americana” (un oceano a ovest, uno a est e una munitissima recinzione a sud).

A ben vedere, tale situazione è strettamente collegata a quanto accade anche nel Medio Oriente, con particolare riferimento alla Siria, dove la Russia è intervenuta per mettere una pezza ai guai fatti da un’ipocrita idiosincrasia occidentale per le “dittature”, ma soprattutto per mettere al riparo le sue residue possibilità di essere presente nel Mediterraneo dopo i rischi corsi in Ucraina. La base navale di Tartus, infatti, è il punto di approdo tradizionale delle navi della Flotta russa del Mar Nero, basata a Sebastopoli in Crimea, e la sua perdita rappresenterebbe un vulnus micidiale.

Insomma, la Russia non può ritirarsi dalla Siria per buona parte delle ragioni per le quali non può lasciare la Crimea (e l’Ucraina). In tale contesto si inquadra anche l’attivismo russo volto a ricavarsi altri spazi nel bacino, dopo la richiesta statunitense al Montenegro di entrare nella NATO (il Montenegro nella NATO!), riducendole al lumicino la possibilità di trovare altri approdi in paesi non ostili nel Mare Nostrum. La recente apertura egiziana per l’uso a tal fine della base di Sidi el Barrani potrebbe rappresentare un importante punto di svolta a suo favore.

Non c’è quindi dubbio che il punto più dolente di questa epocale tensione politico-militare è rappresentato dal Medio Oriente (o meglio, Vicino Oriente, per noi), con particolare riferimento a Siria e Irak. Per la prima volta dalla crisi di Cuba, infatti, soprattutto in Siria si corre un rischio concreto di scontro diretto tra statunitensi e russi che potrebbe portare ad una conflagrazione generale. La Russia, per i motivi sopraindicati, è infatti intervenuta militarmente, bloccando l’avanzata dell’ISIS e di Jabath Al Nusra (Jabath Fatah al Sham, dopo una recente operazione di cosmesi terminologica per occultarne le antiche radici qaediste) ma soprattutto congelando il tentativo statunitense (e saudita e turco ed emiratino e qatarino e israeliano e francese e ….) di sostituire Assad con un regime favorevole. E ora, di fronte alla prospettiva di una vittoria siriana (e russa e iraniana ed Hezbollah) con la liberazione di Aleppo dai terroristi come in precedenza avvenuto a Palmira (evento importantissimo da un punto di vista non solo simbolico ma stranamente ignorato da tutti i media), compare sgradevole la prospettiva di un Mediterraneo con una forte presenza della Russia, determinata a giocare ancora alla potenza globale. La campagna mediatica (STRATCOM – Strategic Communication) tesa a presentare come crimini di guerra i tentativi russi e siriani di sgomberare Aleppo est dai terroristi e l’improvviso attivismo contro Mosul, dopo anni di souplesse militare, non possono togliere il dubbio che il tutto sia soprattutto finalizzato ad impedire che di qua a qualche mese ci sia un solo vincitore sul campo, la Russia coi suoi alleati, con le conseguenze del caso per “l’Occidente”, costretto da tempo a considerare alcuni di essi “terroristi”.

Tornando agli interessi nazionali, anche in questo caso non sussiste alcuna significativa coincidenza tra quelli italiani e quelli della Coalizione a guida US. Il regime di Assad è notoriamente molto vicino alle numerose comunità cristiane del paese, cosa che non dovrebbe essere indifferente per quella patria del cristianesimo che è ormai a torto considerata l’Italia, e alle Forze Armate siriane, con il significativo contributo di Hezbollah, si deve la liberazione e la messa in sicurezza di numerose e antichissime comunità cristiane locali. Inoltre, non c’è dubbio che la caduta di Assad ad opera dei terroristi non comporterebbe la fine della guerra ma il probabile inizio di una nuova fase, con curdi, turchi, sunniti e sciti tutti in guerra tra di loro, appassionatamente; senza contare le ovvie ingerenze statunitensi, israeliane, francesi e britanniche da mettere in conto. Le conseguenze di una situazione del genere nel vicinissimo Libano, che è appena riuscito a eleggere un Presidente della Repubblica dopo oltre due anni di crisi, sarebbero devastanti e dalla costa orientale del Mediterraneo potrebbe iniziare un traffico migratorio verso le nostre coste capace di far impallidire quello epocale in atto dalla Libia.

Insomma, è proprio un bel pasticcio.

Per concludere, una riflessione sul gran parlare che si fa in Italia di “Esercito Europeo”, trasposizione militare dell’innamoramento per l’idea stessa di Comunità Internazionale che non si capisce da cosa derivi, visti i precedenti. Si tratta di un tentativo per coinvolgere i paesi europei nei problemi di sicurezza continentale, con soluzioni valide per tutti. In realtà si limita ad una discussione sterile, priva di possibilità di realizzazione per la differente percezione che i singoli paesi hanno di se stessi, nel contesto internazionale. Come mettere d’accordo, ad esempio l’attivismo militare francese nel sud Sahara e in Medio Oriente, o quello britannico nell’ambito della Comunità “five eyes” in tutto il mondo, con l’atteggiamento ripiegato sui propri problemi interni del nostro paese?

Si tratta, a mio modesto avviso, di un tentativo ingenuo e maldestro di conferire dignità al nostro “costituzionale” disinteresse per le questioni militari e inerenti alla difesa; una specie di disperata offerta ad altri della nostra “sovranità militare”, visto il fastidio col quale per mille motivi (tutti assurdi) non ce ne vogliamo far carico da decenni. Si tratta, infine, di un modo per rinforzare una vocazione allo “stare in gruppo” che al contrario non ci possiamo più permettere, vista la pervicacia con la quale “gli altri” pensano prima di tutto ai fatti loro. Ci accontenteranno, magari, con un Comando multinazionale in Italia, come già fatto in passato a Firenze, nel quale fare svernare a rotazione qualche Generale o Colonnello a fine carriera. Ma sulle questioni sostanziali, che incidono sul futuro delle prossime generazioni, le loro generazioni, certamente tutti terranno le carte ben coperte, come sempre.

Invece, è necessaria una riflessione sulla peculiarità dei nostri interessi, selezionando attentamente i paesi in grado di condividerli, se necessario riconsiderando i dettagli di alleanze come la NATO e l’EU se si dimostreranno eccessivamente a trazione atlantica e nord europea. Ciò si renderà necessario e di vitale importanza qualora tali alleanze continuino a non dimostrarsi sensibili alle nostre particolari esigenze, come avvenuto anche nel passato recente, con particolare riferimento a Libia, Siria e Ucraina in primis, senza dimenticare i Balcani, trasformati in un coacervo di staterelli ostili tra di loro e alla mercè dei movimenti jihadisti che durante la guerra alla Serbia si sono radicati nell’area. Oggetto di particolare riflessione dovrebbero essere anche i rapporti con la Russia, come noi interessata, anche semplicemente per mere questioni geografiche, ad avere stabilità nel Mediterraneo e nel Medio Oriente e a prevenire processi migratori dall’Africa come quelli che stiamo subendo. Non si tratta di tradire l’alleanza atlantica, ma di convincerla che gli interessi del nostro continente non possono essere definiti e decisi solo da 6000 km di distanza, oltreatlantico.

Ma la vedo dura!

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