L’ultimo piano di sanzioni anti-russo dell’UE ucciderebbe la competitività delle sue stesse aziende tecnologiche…ed altro_ di ANDREW KORYBKO

L’ultimo piano di sanzioni anti-russo dell’UE ucciderebbe la competitività delle sue stesse aziende tecnologiche

ANDREW KORYBKO
27 NOV 2023

Chiunque faccia affari con queste aziende tecnologiche dell’UE si offrirebbe essenzialmente volontario per permettere al blocco di spiare le loro attività al fine di monitorare il rispetto extraterritoriale delle sue sanzioni.

Bloomberg ha riportato sabato che “Alcune nazioni dell’UE spingono per indebolire il piano di applicazione delle sanzioni alla Russia”. Bruxelles ha proposto di obbligare le aziende esterne al blocco che acquistano “articoli ad alta priorità” come i semiconduttori a depositare prima una somma su un conto vincolato. Se si presume che abbiano rivenduto questi articoli alla Russia, perderanno il contratto e almeno metà del denaro depositato andrà all’Ucraina. Secondo Bloomberg, “gli inviati diplomatici di un gruppo di grandi Stati membri” non sono contenti.

Temono che questa proposta sia inattuabile e che significhi uccidere la competitività delle aziende tecnologiche dell’UE, dal momento che i clienti potrebbero essere contrari a dover fare i salti mortali e preferire accordi senza vincoli con la Cina. Le loro preoccupazioni sono anche ragionevoli, poiché chiunque faccia affari con queste aziende tecnologiche dell’UE si offrirebbe essenzialmente come volontario per permettere al blocco di spiare le loro attività al fine di monitorare il rispetto extraterritoriale delle sue sanzioni.

Pochi in tutto il mondo si sentirebbero a proprio agio con queste condizioni, per non parlare dello scenario di perdere l’importo che sarebbero costretti a depositare per fare affari con queste aziende se venissero semplicemente accusate di aver violato le sanzioni senza nemmeno andare prima in tribunale, cosa che non si può escludere. Ha quindi senso “restringere la portata delle potenziali clausole e l’elenco dei beni che sarebbero coperti dalla misura proposta”, come Bloomberg ha riferito che gli inviati vogliono fare.

I Paesi baltici e gli altri che, secondo l’agenzia, sono a favore del mantenimento dei termini originari, non rischiano di perdere le quote di mercato lucrative dei “grandi Stati membri”, poiché non producono semiconduttori e altri “prodotti ad alta priorità”. Il loro interesse è solo quello di limitare l’accesso della Russia a tutti i costi, compresi quelli autoinflitti che rischiano di cedere quote di mercato del blocco alla Cina. È sufficiente dire che solo gli ideologi si “taglierebbero il naso per far dispetto alla faccia”, per così dire.

A dire il vero, le stesse sanzioni antirusse rappresentavano proprio una politica autodistruttiva, ma gli ideologi del blocco sono oggi meno in voga dopo che è diventato impossibile negare che l’economia russa stia effettivamente crescendo, a differenza di quella di molti membri dell’UE. Di conseguenza, c’è una possibilità credibile che i “grandi Stati membri” riescano a portare avanti con successo le riforme proposte, ma questo non può essere dato per scontato, dato che gli ideologi hanno ancora un certo ascendente sugli ambienti politici influenti.

L’Economist ha condiviso alcuni fatti sorprendenti sulla superiorità della Russia nella guerra elettronica

ANDREW KORYBKO
26 NOV 2023

L’Ucraina non è in grado di impedire alla Russia di neutralizzare gli armamenti high-tech dell’Occidente, di distruggere circa 2 milioni di dollari di droni finanziati dall’Occidente alla settimana e di schierare contro di essa i propri sciami di droni.

La scorsa settimana l’Economist ha pubblicato un articolo su come “la Russia sta iniziando a far valere la sua superiorità nella guerra elettronica”, che contiene alcuni fatti che probabilmente la maggior parte delle persone non conosce. Ad esempio, “l’Ucraina ha scoperto a marzo che i suoi proiettili Excalibur a guida GPS hanno improvvisamente iniziato ad andare fuori bersaglio, grazie al disturbo russo. Qualcosa di simile è iniziato a succedere alle bombe guidate JDAM-ER che l’America aveva fornito alle forze aeree ucraine, mentre anche i razzi a lungo raggio GMLRS lanciati dagli HIMARS hanno iniziato a mancare il bersaglio. In alcune aree, la maggior parte dei proiettili GMLRS ora va fuori bersaglio”.

Questa particolare rivelazione dimostra che la Russia ha neutralizzato gli armamenti ad alta tecnologia che l’Ucraina ha ricevuto dall’Occidente e che sono stati precedentemente spacciati dai media mainstream come “cambia-giochi”. L’Economist ha continuato a illuminare i suoi lettori informandoli che “le perdite di droni (ucraini) a causa dell’EW russo, che ne manda in tilt i sistemi di guida o inceppa i collegamenti radio con gli operatori, sono state a volte più di 2.000 a settimana”.

Considerando che il costo di ciascuno di essi si aggira intorno ai 1.000 dollari, secondo il rapporto, ciò significa che la Russia abbatte ogni settimana droni ucraini per un valore di 2 milioni di dollari, tutti probabilmente finanziati dall’Occidente. Di conseguenza, The Economist ha scritto che “I cieli sopra il campo di battaglia sono ora fitti di droni russi. Intorno a Bakhmut, i soldati ucraini stimano che la Russia stia dispiegando il doppio dei droni d’assalto di cui è capace”.

E non è tutto, perché l’Economist ha citato due esperti del RUSI, secondo i quali “il sistema (EW) (che la Russia sta impiegando) ha un raggio d’azione di 10 km e può assumere il controllo del drone, acquisendo le coordinate del luogo da cui viene pilotato, con una precisione di un metro, per trasmetterle a una batteria di artiglieria”. Ognuno dei circa 10.000 piloti di droni ucraini citati nel rapporto rischia quindi di essere ucciso poco dopo aver lanciato il proprio dispositivo sul campo di battaglia.

L’articolo si conclude citando un esperto americano che ha confermato che il suo Paese ha limitato l’esportazione delle sue apparecchiature EW in Ucraina, il che si può supporre sia stato fatto per evitare che cadessero nelle mani della Russia. Un altro esperto di un think tank tedesco ha dichiarato all’Economist che “le capacità della NATO potrebbero non essere all’altezza di quelle della Russia” e ha ipotizzato che la Russia potrebbe trasmettere alla Cina “le frequenze e le tecniche di channel-hopping utilizzate” da tali apparecchiature.

Per queste ragioni, l’Occidente è riluttante a rafforzare le capacità EW dell’Ucraina, il che lascia l’Ucraina impotente a impedire alla Russia di neutralizzare gli armamenti high-tech dell’Occidente, di distruggere una quantità di droni stimata in 2 milioni di dollari a settimana e di schierare i propri sciami di droni contro di essa. In queste condizioni sbilanciate, l’Ucraina non può realisticamente recuperare altro territorio e rischia di perderne ancora di più quanto più a lungo si protrae il conflitto. Non c’è quindi da stupirsi che l’Occidente voglia congelarlo.

Il blocco di fatto dell’Ucraina da parte della Polonia è l’ultimo gioco di potere del governo uscente

ANDREW KORYBKO
25 NOV 2023

Questa è anche l’ultima possibilità realistica per la Polonia di difendere la propria integrità territoriale di fronte alle minacce dei prossimi anni.

La Polonia è pronta a diventare il più grande Stato vassallo della Germania dopo il probabile ritorno dell’ex primo ministro e presidente della Commissione europea Donald Tusk alla presidenza dopo la vittoria della coalizione di opposizione liberal-globalista alle elezioni del mese scorso. Coloro che sono interessati a saperne di più su come si prevede che si svolgeranno le elezioni dovrebbero consultare questa analisi, che si concentra su come l’interazione tra le politiche dell’UE, della Germania e della NATO porterà probabilmente a questo risultato geopolitico.

Da quel fatidico voto, i camionisti polacchi e ora anche gli agricoltori hanno imposto un blocco de facto contro l’Ucraina che il governo uscente non ha ancora interrotto, e che può essere considerato come l’ultimo gioco di potere di quel partito, volto a dare al Paese una possibilità di preservare parte della sua sovranità. Ecco una raccolta di notizie su questo sviluppo dall’inizio del mese, per aggiornare i lettori, dato che i media occidentali non hanno prestato l’attenzione che merita:

* “EU state blocking Ukrainian vehicles – Spiegel

* “Ukrainian envoy condemns Polish trucker blockade

* “Protesters in EU state blocking aid to Kiev – Ukrainian official

* “Polish farmers to join Ukraine blockade – Bloomberg

* “Ukrainians warned of food shortages

* “Ukraine counting costs of Polish border blockade

* “Polish truckers blocking Ukraine military cargos – media

Questo scenario era stato previsto all’inizio di ottobre nel pezzo dell’autore “Morawiecki sospetta che Zelensky abbia concluso un accordo con la Germania alle spalle della Polonia”. Si prevedeva che la Polonia avrebbe potuto imporre un blocco de facto contro l’Ucraina in caso di vittoria del partito al governo, al fine di costringere il Paese a prendere le distanze dalla Germania, che cercava di sostituire la sfera di influenza desiderata dalla Polonia in quel Paese come parte del suo gioco di potere regionale contro di essa. Ecco l’estratto pertinente di quel pezzo:

“La Polonia potrebbe minacciare di interrompere il transito degli aiuti militari ed economici di Paesi terzi (soprattutto della Germania) verso l’Ucraina fino a quando Kiev non pagherà un risarcimento per [l’incidente di Przewodow] sotto forma di istituzionalizzazione della sua prevista sfera di influenza in quel Paese. Quello che viene proposto è un remix dell’ultimatum del 1938 che la Polonia diede alla Lituania, anche se questa volta senza la minaccia implicita della forza armata se l’Ucraina non avesse accettato. Tuttavia, la minaccia di tagliare la linea di vita militare ed economica del Paese sarebbe probabilmente sufficiente per costringere Kiev a rispettare le richieste di Varsavia”.

Alla fine, la Polonia ha effettivamente imposto un blocco di fatto contro l’Ucraina, anche se il partito al potere e i suoi potenziali alleati non sono riusciti a conquistare la maggioranza dei seggi parlamentari durante le elezioni del mese scorso. Tuttavia, il loro rifiuto di interrompere il blocco dei camionisti-agricoltori dell’ex Repubblica sovietica implica una tacita approvazione e nessuno dovrebbe sorprendersi se in seguito si scoprisse che hanno avuto un ruolo nell’organizzazione dietro le quinte.

Dal punto di vista del governo uscente, il ripristino della sfera di influenza della Polonia sull’Ucraina, di fronte agli aggressivi tentativi tedeschi di sostituirla, è necessario affinché il Paese abbia una possibilità di preservare la propria sovranità nei confronti della Germania durante la prossima premiership di Tusk. Anche se ci si aspetta che egli subordini la Polonia all’egemonia tedesca, come spiega l’analisi ipertestuale all’inizio di questo pezzo, questa auspicata inversione geopolitica potrebbe ostacolarla.

Per approfondire, lo scenario peggiore per la Polonia è che essa diventi il più grande Stato vassallo della Germania e che quindi faccia da secondo piano rispetto all’Ucraina nella prevista “Mitteleuropa” di Berlino, con il rischio che quest’ultima ricompensi Kiev per i prossimi contratti di ricostruzione preferenziali con l’influenza su Varsavia. In pratica, ciò potrebbe assumere la forma di costringere la Polonia ad accettare ancora più migranti ucraini di quanti ne abbia già, con l’intento di farli diventare cittadini e formare un proprio blocco elettorale.

Se queste “armi di migrazione di massa” si concentreranno lungo la regione di confine che lo Stato ucraino del dopoguerra, che ha vissuto per poco tempo, un tempo rivendicava come propria, allora queste nuove realtà demografiche e la creazione di un potente blocco elettorale sostenuto dalla Germania potrebbero un giorno minacciare l’integrità territoriale della Polonia. È quindi imperativo scongiurare questo scenario peggiore con tutti i mezzi realistici possibili, ergo perché il governo uscente sembra approvare tacitamente il blocco de facto in corso.

Se riuscirà a costringere l’Ucraina a ripristinare la sfera d’influenza della Polonia sul Paese che la Germania ha recentemente sostituito durante l’estate, idealmente istituzionalizzandola in una qualche forma legale prima che i membri in carica lascino il loro incarico, allora l’integrità territoriale della Polonia potrà essere difesa con maggiore sicurezza. Per quanto riguarda i piani di Tusk di subordinare la Polonia all’egemonia tedesca, avrà difficoltà a farlo completamente, poiché ciò richiederebbe una vera e propria epurazione della burocrazia permanente del Paese.

In particolare, dovrebbe rimuovere tutti i conservatori-nazionalisti dai rami militare, dell’intelligence e diplomatico (collettivamente denominati “Stato profondo”), un compito erculeo che potrebbe tentare ma che non sarà in grado di attuare completamente. Qualsiasi mossa seria in questa direzione potrebbe anche provocare proteste su larga scala o simili sconvolgimenti socio-economici che potrebbero essere orchestrati da quelle stesse forze, esattamente come sono sospettate di aver parzialmente orchestrato il blocco.

Proprio come lo “Stato profondo” liberal-globalista ha lavorato contro l’agenda di Trump negli Stati Uniti, anche le controparti conservatrici-nazionaliste della Polonia potrebbero lavorare contro quella di Tusk per sabotare il suo obiettivo di subordinare la Polonia all’egemonia tedesca. Per essere chiari, non saranno in grado di fermarlo del tutto nemmeno nella migliore delle ipotesi, proprio come gli oppositori del “deep state” di Trump non sono riusciti a fermare del tutto il suo programma, ma potrebbero comunque farlo deragliare in larga misura e guadagnare tempo fino alle prossime elezioni, il che è abbastanza buono date le circostanze.

Tuttavia, se non ripristinano la sfera di influenza recentemente persa dalla Polonia sull’Ucraina prima di consegnare il controllo del governo a Tusk, le minacce imminenti all’integrità territoriale della Polonia potrebbero diventare un fatto compiuto quando si terranno le prossime elezioni, nel peggiore dei casi. Ecco perché il blocco de facto dell’Ucraina può essere considerato non solo l’ultimo gioco di potere del governo uscente, ma anche l’ultima possibilità realistica per la Polonia di difendere la propria integrità territoriale di fronte alle minacce dei prossimi anni.

La proposta di “Schengen militare” della NATO è un gioco di potere tedesco sottilmente mascherato sulla Polonia

ANDREW KORYBKO
24 NOV 2023

Come è tradizionalmente accaduto nel corso della storia, la sovranità polacca è ancora una volta in procinto di essere sacrificata come parte dei giochi delle Grandi Potenze, ma questa volta i suoi confini rimarranno intatti anche se il Paese è pronto a diventare funzionalmente un vassallo della Germania nel prossimo futuro.

Il capo della logistica della NATO, il tenente generale Alexander Sollfrank, ha suggerito la creazione di una cosiddetta “Schengen militare” per ottimizzare il movimento di queste attrezzature attraverso l’UE. Attualmente, ostacoli burocratici e logistici impediscono il libero flusso di armi in tutto il blocco, il che, a suo avviso, potrebbe ostacolare la capacità dell’Occidente di rispondere a qualsiasi conflitto inaspettato lungo la sua periferia. Tuttavia, non è solo la sostanza di questa proposta a essere significativa, ma anche il suo tempismo.

“La guerra per procura della NATO contro la Russia attraverso l’Ucraina sembra essere in fase calante” per le ragioni spiegate nell’analisi precedente. Di conseguenza, il rapporto di Bloomberg sulla bozza di garanzie di sicurezza dell’UE per l’Ucraina omette vistosamente qualsiasi riferimento agli obblighi di difesa reciproca del tipo che Kiev ha cercato per anni e che ha contribuito notevolmente all’ultima fase di questo conflitto quasi decennale. Il suggerimento di Sollfrank sembra quindi contraddire queste tendenze emergenti alla de-escalation.

Riflettendoci bene, però, si rivela in realtà un gioco di potere della Germania sulla Polonia, mascherato in modo sottile. Il leader informale dell’UE ha intensificato la sua competizione regionale con la Polonia a metà agosto attraverso il promesso patrocinio militare dell’Ucraina, che i lettori possono approfondire in questa analisi ipertestuale. In breve, la Polonia aspirava a diventare il leader dell’Europa centrale e orientale (CEE) nel corso della guerra per procura tra NATO e Russia, ma la Germania si è dimostrata all’altezza della situazione per sfidare le sue ambizioni.

La vittoria della coalizione di opposizione liberal-globalista alle elezioni polacche del mese scorso, in cui il ministro degli Esteri ha accusato la Germania di essersi intromessa, porterà probabilmente al ritorno dell’ex primo ministro e presidente del Consiglio europeo Donald Tusk alla carica di premier. In tal caso, questo politico allineato con la Germania potrebbe subordinare volontariamente il suo Paese a Berlino, cedendo così a quest’ultima la sua prevista sfera d’influenza regionale e diventando il suo più grande vassallo di sempre a tempo indeterminato.

I piani di Tusk per migliorare i legami con l’UE, di fatto controllata dalla Germania, sono considerati dai conservatori-nazionalisti come un mezzo per raggiungere tale scopo, soprattutto a causa degli sforzi di tale organismo per erodere ulteriormente la sovranità polacca. Sebbene egli affermi di opporsi alle modifiche del Trattato UE, alcuni dubitano della sua sincerità e sospettano che voglia furbescamente evitare proteste su larga scala su questo tema. Se questi due scenari dovessero realizzarsi, la sovranità della Polonia verrebbe ulteriormente ridotta, anche nella sfera della difesa.

Prima delle elezioni del mese scorso, la Germania e la Polonia erano in competizione per costruire la più grande forza armata dell’UE, ma la suddetta sequenza di eventi potrebbe portare Varsavia a gettare la spugna. Anche se il prossimo potenziale ministro della Difesa ha dichiarato che il suo Paese non cancellerà alcun contratto militare, i conservatori-nazionalisti sospettano che sia poco sincero o che possa essere costretto da Berlino/Bruxelles a farlo. Tutto sommato, queste preoccupazioni sono credibili e dovrebbero essere prese sul serio.

Gli interessi nazionali della Germania, così come li concepiscono i suoi politici in carica, risiedono nel diventare l’egemone dell’UE, il che richiede la neutralizzazione delle ambizioni della Polonia di guidare lo spazio CEE, ergo il suo presunto sostegno a Tusk e gli sforzi speculativi per erodere la sovranità polacca attraverso l’UE. Queste mosse hanno preceduto di molto la proposta di “Schengen militare” della NATO, e nemmeno questa è una coincidenza. Piuttosto, hanno lo scopo di facilitare il gioco di potere senza precedenti della Germania sulla Polonia nel secondo dopoguerra.

Se Tusk migliorerà i legami con l’UE come aveva promesso, si conformerà a qualsiasi modifica del Trattato UE nonostante dichiari in modo poco convincente di opporsi ad essa, e la “Schengen militare” verrà imposta al suo Paese, allora le forze tedesche potrebbero tornare in massa in Polonia con il pretesto di difendere l’UE dalla Russia. Questo non contraddice le tendenze alla riduzione della guerra per procura tra NATO e Russia, ma le integra, poiché potrebbe essere interpretato come una compensazione per la mancanza di garanzie simili all’articolo 5 per l’Ucraina.

Da un lato, l’Unione Europea eviterebbe saggiamente di mettere in atto qualsiasi trabocchetto che Kiev potrebbe sfruttare maliziosamente per provocare un conflitto più ampio con la Russia al momento dell’inevitabile congelamento di quello attuale (quando ciò accadrà), rassicurando allo stesso tempo l’opinione pubblica sulla possibilità di rispondere adeguatamente in caso di necessità. Lo “Schengen militare” servirebbe a consentire al leader tedesco de facto del blocco di inviare rapidamente le sue forze, che dovrebbero essere le più grandi dell’UE, alla frontiera orientale in quel caso.

Va da sé che dovrebbero transitare per la Polonia e potrebbero facilmente finire schierati lì a tempo indeterminato, sia come cosiddetto “deterrente all’aggressione russa” sia come parte di una risposta pre-pianificata a un incidente di frontiera artificialmente costruito (cioè a bandiera falsa). Dopo essersi volontariamente subordinata a Berlino sotto la guida di Tusk, come ci si aspetta presto per le ragioni che sono state spiegate, la restaurazione dell’egemonia tedesca sulla Polonia sarebbe quindi completata senza sparare un colpo.

In questo scenario, che i conservatori-nazionalisti polacchi sono impotenti a prevenire e che può essere compensato solo da improbabili variabili al di fuori del loro controllo, la Germania sarebbe essenzialmente incaricata dagli Stati Uniti di “contenere” la Russia in Europa come parte dello stratagemma di Washington “Lead From Behind”. Una volta che l’egemonia continentale di questo Paese sarà pienamente assicurata attraverso i mezzi descritti in questa analisi, l’America potrà più tranquillamente “Pivot (back) to Asia” per concentrarsi sul contenimento della Cina.

Queste due superpotenze sono attualmente nel mezzo di un disgelo incipiente, come dimostrato dall’esito positivo dell’ultimo incontro faccia a faccia dei loro leader all’inizio di questo mese a margine del vertice APEC di San Francisco, ma non si può dare per scontato che questa tendenza continui. È quindi sensato che gli Stati Uniti esternalizzino le loro operazioni di contenimento anti-russo in Europa alla Germania, per liberare le risorse necessarie a contenere in modo più muscolare la Cina in Asia, se questo disgelo dovesse fallire.

Come è tradizionalmente accaduto nel corso della storia, la sovranità polacca è ancora una volta in procinto di essere sacrificata come parte dei giochi delle Grandi Potenze, ma questa volta i suoi confini rimarranno intatti anche se il Paese è pronto a diventare funzionalmente un vassallo della Germania nel prossimo futuro. Ci sono effettivamente alcune variabili al di fuori del controllo della Polonia che potrebbero controbilanciare questo scenario, ma sono molto improbabili, quindi a questo punto è probabilmente un fatto compiuto che la Polonia giocherà un ruolo di secondo piano rispetto alla Germania a tempo indeterminato.

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La gravità dei problemi economici della Germania, di Antonia Colibasanu

La gravità dei problemi economici della Germania
Ciò che sta accadendo nel Paese testimonia la ristrutturazione globale in atto.

di Antonia Colibasanu – 18 settembre 2023Apri come PDF
La scorsa settimana, la Commissione europea ha abbassato le previsioni di crescita dell’eurozona per il 2023 e il 2024, soprattutto a causa dei cattivi indicatori economici della Germania. Per Berlino, un anno di crescita significativa nel 2021 è stato seguito da due anni di declino e le stime più recenti indicano che l’economia crescerà solo di un misero 1,5% entro la fine del 2023. Il rallentamento è dovuto a una serie di fattori, tra cui i soliti sospetti di interruzione della catena di approvvigionamento e gli alti prezzi dell’energia causati dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina.

Tutto ciò ha reso l’inflazione il problema più significativo dell’economia tedesca. Il tasso di inflazione del Paese ha raggiunto il 7,6% nell’agosto 2023. Questo dato è di gran lunga superiore all’obiettivo della Banca Centrale Europea del 2% per l’eurozona – e il più alto del Paese dal 1973 – il che spiega l’ultimo rapporto della Commissione sulla performance economica dell’area. L’inflazione elevata riduce la capacità di spesa dei consumatori, rallentando la crescita economica e rendendo più difficili la pianificazione e gli investimenti delle imprese. Oltre ad aumentare il tasso d’interesse, il governo tedesco sta aiutando le imprese e i privati colpiti dall’inflazione con sovvenzioni, prestiti e agevolazioni fiscali, soprattutto per le imprese che investono nell’efficienza energetica e creano nuovi posti di lavoro. Berlino è riuscita a mantenere basso il tasso di disoccupazione negli ultimi tre anni, ma anche questo sta iniziando a cambiare, aumentando sensibilmente negli ultimi mesi, mentre il settore manifatturiero tedesco risente degli alti costi dell’energia.

Secondo la Banca Mondiale, nel 2022 il commercio internazionale rappresentava il 99% del prodotto interno lordo tedesco, con le esportazioni che rappresentavano il 50,3% del PIL e le importazioni il 48,3%. La Germania è quindi molto esposta ai cambiamenti in atto nell’economia globale. Nel 2022, il principale prodotto di esportazione della Germania sarà rappresentato dagli autoveicoli e loro parti, con il 15,6% delle esportazioni totali. I macchinari (13,3%) e i prodotti chimici (10,4%) erano rispettivamente il secondo e il terzo prodotto di esportazione più importante. Tutti questi prodotti hanno registrato un calo della produzione quest’anno. Nel 2023, la produzione dell’industria chimica tedesca, affamata di gas, è diminuita del 18% rispetto ai livelli del 2019, mentre la produzione automobilistica tedesca è scesa del 26%. Secondo l’Associazione tedesca dei costruttori di macchine utensili, la produzione di macchinari diminuirà del 2% nel 2023, mentre la produzione sarà sostenuta soprattutto dagli arretrati degli anni precedenti. Si tratterebbe del primo calo della produzione di questo settore dal 2012.

La stagnazione economica ha portato anche a un aumento delle imprese che falliscono; le statistiche ufficiali mostrano che le richieste di insolvenza sono in aumento dal 2022. Utilizzando i dati delle Camere di Commercio e dell’Industria tedesche, Trading Economics prevede che il tasso di fallimento della Germania raggiungerà il 12,9% annuo nel 2023 – il tasso più alto dal 2009.

Anche se la disoccupazione è in aumento, le soluzioni a breve termine come l’aumento del ricorso ai migranti non sono più così praticabili. Anzi, questa strategia potrebbe diventare un problema, soprattutto nelle aree in cui populismo e nazionalismo sono in costante crescita. In modo preoccupante, un recente studio condotto dall’Università di Lipsia ha mostrato che quasi un quarto degli intervistati ha affermato che il nazionalsocialismo aveva alcuni vantaggi e, secondo il 33% degli intervistati, “dovremmo avere un leader che governa la Germania con mano forte per il bene di tutti”. Questa opinione è supportata dal fatto che Alternativa per la Germania (AfD), il partito di estrema destra di maggior successo nel Paese dalla Seconda Guerra Mondiale, ha vinto due ballottaggi locali nella Germania orientale, uno nella città di Raguhn-Jessnitz e uno nel distretto di Sonneberg. Ma la Germania orientale non è certo l’unica. Il mese scorso, il quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitung ha pubblicato un rapporto che accusa Hubert Aiwanger, leader dei Liberi elettori, un piccolo ma importante gruppo conservatore in Baviera, di aver prodotto e diffuso un volantino antisemita quando era uno studente delle superiori negli anni Ottanta. Ha rifiutato di dimettersi, accusando il giornale di aver cercato di lanciare una campagna sporca contro di lui in vista delle elezioni in Baviera. Di conseguenza, il suo piccolo partito conservatore è ora il secondo partito più popolare in Baviera, con un aumento di 5 punti percentuali al 16%.

Questo tipo di populismo potrebbe guadagnare consensi anche tra i tedeschi della classe media. Un sondaggio dell’Istituto Sinus per la ricerca sociale ha indicato che la quota di elettori della classe media dell’AfD è passata dal 43% al 56% in due anni. Il sondaggio ha anche rilevato che quella che il centro di ricerca chiama “classe media moderna adattativa e pragmatica” sta aumentando, passando dal 12% della popolazione al 19%, così come la “classe conservatrice di livello superiore”, dall’8% al 12%. Entrambi i gruppi mostrano un crescente interesse per l’AfD e per il populismo. Sono generalmente aperti al cambiamento e lungimiranti, ma attualmente si trovano di fronte a richieste significative che mettono a rischio la loro capacità di soddisfare le proprie aspettative in termini di possesso di un’auto e di una casa e di crescita dei figli in un ambiente sicuro. Incolpano il governo e il sistema politico di non aver creato soluzioni e cercano quindi delle alternative. Invece di guidare il cambiamento sociale, sembrano diventare sempre più pessimisti, con preoccupazioni per la disoccupazione e altri problemi simili a quelli delle altre classi.

Berlino deve trovare una soluzione per tenere in piedi la propria economia collaborando con partner stranieri. La sua priorità assoluta è ovviamente la stabilità dell’Unione Europea, ma l’interdipendenza dell’economia tedesca dal mercato dell’UE evidenzia la fragilità dell’economia europea nel suo complesso. Secondo l’ufficio statistico tedesco Destatis, circa il 60% delle esportazioni tedesche viene venduto in altri Stati dell’UE, mentre il 52,3% delle importazioni tedesche proviene da Stati dell’UE.

Gli altri principali partner commerciali sono gli Stati Uniti e la Cina. Sebbene gli Stati Uniti siano il suo mercato di esportazione più importante, il fatturato commerciale totale con la Cina è superiore. (La Germania ha beneficiato in misura massiccia del basso costo della manodopera cinese ed è unica tra gli Stati membri dell’UE per l’ampiezza e la profondità delle sue relazioni economiche con Pechino.

Non è quindi una coincidenza che Berlino abbia recentemente pubblicato la sua prima strategia globale per la Cina. Il testo servirà come base per i politici tedeschi nei prossimi mesi, informando tutto, dalla cybersicurezza alla politica industriale. Ma è inaspettatamente poco diplomatico, arrivando a dire che la Cina mina fondamentalmente gli interessi tedeschi. La nuova strategia potrebbe portare a una delle più profonde trasformazioni della politica estera ed economica tedesca degli ultimi decenni, forse un addio definitivo al concetto di “cambiamento attraverso il commercio” che ha guidato le relazioni tedesco-cinesi per anni.

Per molti versi, la nuova strategia è un prodotto naturale delle sfide interne ed esterne che Berlino deve affrontare. Sebbene la Germania abbia beneficiato dell’ascesa economica della Cina, negli ultimi tempi le imprese tedesche sono rimaste deluse dalla Cina, dove le loro opportunità si sono lentamente ridotte a causa delle pressioni dei leader cinesi per un maggiore controllo del mercato. Per aumentare la competitività, mantenere l’occupazione in Germania e risolvere i problemi critici delle infrastrutture, Berlino deve ridurre le sue dipendenze e sviluppare le proprie capacità. Nel nuovo documento strategico, la Germania ha sottolineato la necessità di ridurre le dipendenze strategiche asimmetriche della Cina – le stesse che Pechino ha elencato come obiettivo strategico nel 2020 – anche se in linea con la cosiddetta strategia di “de-risking” proposta dall’UE all’inizio di quest’anno.

Se la Germania prende sul serio il de-risking, richiede non solo una maggiore trasparenza nel settore commerciale, ma anche un ampio dibattito sociale sulle priorità politiche e programmatiche. Ad esempio, Berlino deve valutare se i veicoli elettrici cinesi debbano essere considerati una minaccia per la competitività tedesca e attuare di conseguenza misure antisovvenzioni, anche se ciò garantirà quasi certamente una ritorsione da parte di Pechino. (Per non parlare del fatto che i veicoli elettrici cinesi rappresentano una minaccia per la sicurezza informatica o la sorveglianza). I politici tedeschi dovrebbero anche valutare se ridurre la loro dipendenza dai prodotti cinesi di tecnologia verde e concentrarsi sulla propria industria. Ma Berlino avrà anche bisogno di una narrazione convincente per giustificare la rimozione delle apparecchiature di telecomunicazione cinesi di recente installazione dalle reti 5G per migliorare la sicurezza delle infrastrutture chiave, anche se continua a lottare con i problemi di connettività ad alta velocità in generale.

Nell’attuare la sua nuova strategia, il governo tedesco dovrà probabilmente lottare per trovare il giusto equilibrio tra le varie serie di rischi che la Cina pone. E mentre si riduce una serie di rischi e dipendenze potenziali, è probabile che ne aumenti un’altra. Le realtà politiche tedesche complicheranno ulteriormente il processo.

Ciò che accade in Germania accade anche in altri Paesi europei, quindi Berlino dovrà pensare agli interessi dei suoi colleghi membri dell’UE mentre lotta per migliorare le sue relazioni con la Cina. La Germania è il motore economico dell’Europa e tutto ciò che accade in Germania si ripercuote in tutto il continente. Se (e come) la Germania implementerà la sua nuova strategia, potrebbe trovarsi in una posizione ideale per dettare il dibattito e il coordinamento sulle nuove politiche economiche volte a ristrutturare e sostenere le capacità interne tra la Germania e gli altri Stati membri dell’UE. Il fatto che stia prendendo in considerazione questa nuova strategia testimonia i profondi cambiamenti in atto nell’economia globale.

Le conseguenze dell’allargamento dell’UE all’Ucraina, di Maxime Lefebvre

Le conseguenze dell’allargamento dell’UE all’Ucraina

Maxime Lefebvre

27 luglio 2023

Dalla rivoluzione arancione del 2004 all’invasione russa del 2022, l’Ucraina ha costantemente bussato alla porta dell’Unione Europea. Ma a differenza della NATO, l’UE non ha mai offerto all’Ucraina la prospettiva di adesione, come invece ha fatto con i Paesi dei Balcani occidentali (nel 2000) e con la Turchia (nel 1963). L’UE ha riconosciuto le “aspirazioni europee” dell’Ucraina e ha accolto con favore la sua “scelta europea”, ma non le ha mai concesso una “prospettiva europea”, nonostante le pressioni del Regno Unito (che nel frattempo ha lasciato l’Unione), della Svezia e degli Stati membri dell’Europa orientale. I Paesi Bassi hanno persino subordinato la ratifica dell’accordo di associazione nel 2016 a una dichiarazione referendaria che non prevedeva alcuna prospettiva di adesione.

Tutto è cambiato con la guerra in Ucraina nel 2022. Per solidarietà con gli ucraini, è diventato impossibile negare a questo popolo martire e a questo “Paese europeo” (riconosciuto come tale in una dichiarazione UE-Ucraina del 2008 adottata sotto la presidenza francese, ma non come “Stato europeo” ai sensi dell’articolo 49 del TUE) la prospettiva di entrare un giorno nell’Unione. Per non creare divisioni sgradite in questo contesto, il Consiglio ha passato la palla alla Commissione, che si è affrettata a esprimere un parere favorevole, e il Consiglio europeo ha accettato la domanda ucraina a tempo di record, già a giugno (la Turchia aveva aspettato fino al 1999 per essere ufficialmente accettata). Contemporaneamente, è stata accettata anche la domanda della Moldavia (geopoliticamente legata al destino dell’Ucraina) e la Georgia ha ottenuto una prospettiva europea.

La questione non è più se si apriranno i negoziati di adesione, ma quando e quali saranno le conseguenze di questi nuovi allargamenti. Le cose possono accadere rapidamente, visto che sono passati appena dieci anni tra la prospettiva di adesione dei Paesi dell’Europa centrale e orientale (PECO) a Copenaghen (1993) e il grande allargamento a Est (2004).
Uno spostamento dell’Unione verso est

Supponiamo che l’allargamento alla Turchia rimanga congelato (i negoziati sono fermi dal 2020) e che l’Unione si espanda “solo” ai sei Paesi dei Balcani occidentali in attesa di adesione e ai tre nuovi candidati a Est. L’Unione passerebbe da 27 a 36 membri, la maggior parte dei quali (20) sarebbero ex “Paesi del blocco orientale” e insieme soddisferebbero uno dei criteri per la maggioranza qualificata nel Consiglio (55% degli Stati). Questo criterio numerico è importante anche per la Commissione, dove la maggioranza dei commissari proverrebbe dall’Europa orientale.

Dal punto di vista demografico, i nuovi membri non hanno molto peso rispetto ai 450 milioni di abitanti dell’Unione Europea a 27: 20 milioni per i Balcani e appena 40 milioni per l’Ucraina. L’Unione Europea non riacquisterebbe nemmeno la popolazione precedente alla Brexit. Con una maggioranza in Consiglio secondo il criterio della maggioranza numerica, i Paesi dell’Europa orientale nel loro insieme non raggiungerebbero la minoranza di blocco secondo il criterio demografico (35% della popolazione). Le decisioni dovranno quindi tenere conto degli interessi dell’Est, ma si può prevedere che l’influenza dei Paesi occidentali più popolosi e ricchi rimarrà predominante, soprattutto perché i parlamentari e i funzionari europei vengono assunti più o meno in proporzione alla popolazione degli Stati interessati.

La divisione tra Est e Ovest può tuttavia essere problematica sotto molti aspetti. Secondo il criterio religioso, che è alla base dell’approccio delle “civiltà” di Samuel Huntington (Clash of Civilisations, 1996), alcuni degli attuali PECO appartengono alla civiltà dell’Europa occidentale (caratterizzata dal cristianesimo cattolico e protestante), mentre Grecia, Bulgaria, Romania, Moldavia, Ucraina, Georgia, Serbia, Macedonia e Montenegro hanno una tradizione ortodossa e tre Paesi hanno una maggioranza musulmana (Albania, Bosnia e Kosovo). Sulle questioni migratorie, il rifiuto del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia) dell’immigrazione non cristiana e non europea potrebbe trovare un sostegno più ampio.

Il sociologo Henri Mendras (L’Europe des Européens, 1997) ha teorizzato il divario tra i Paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa orientale, i quali non hanno sperimentato, o hanno sperimentato solo con ritardo, i processi di individualizzazione, costituzione di Stati nazionali, industrializzazione e democratizzazione tipici dell’Occidente. I problemi con lo Stato di diritto in Ungheria e Polonia (e altrove), o con la corruzione endemica (in particolare in Ucraina), sono difficili da superare e potrebbero non essere mai superati.
Convergenza economica o rapporto centro/periferia?

Il divario è anche economico. L’Ucraina è un Paese povero per gli standard dell’UE: il 25% del PIL pro capite della Polonia (erano allo stesso livello nel 1990), il 10% di un Paese come la Francia. E gli altri futuri Paesi dell’allargamento non se la passano molto meglio. L’adesione di 60 milioni di poveri comporterà un maggiore bisogno di solidarietà, attraverso gli aiuti della Politica agricola comune e della politica regionale, che saranno finanziati a spese degli aiuti ricevuti dagli altri Paesi meno sviluppati della periferia orientale e mediterranea dell’UE, oppure dovranno essere finanziati dai Paesi più ricchi.

Tuttavia, la capacità redistributiva dell’UE è minata dall’uscita del Regno Unito (che rappresentava un contributo netto significativo), dalla ricaduta dei Paesi mediterranei in seguito alla crisi dell’eurozona e dalla riluttanza di diversi Paesi ricchi ad aumentare la spesa per l’UE in un contesto di debito eccessivo e di rigore di bilancio. Inoltre, come ha dimostrato il caso delle importazioni ucraine di cereali che hanno provocato richieste di salvaguardia da parte di alcuni Paesi dell’Europa orientale, il libero scambio con l’Ucraina ha effetti problematici anche per l’UE.

È possibile ipotizzare uno scenario ottimistico di convergenza in cui l’Ucraina seguirebbe lo sviluppo economico della Polonia e di altri Paesi dell’Europa centrale e orientale, il che ridurrebbe a lungo termine la necessità di solidarietà. Tuttavia, il caso della Grecia dopo il 2010 dimostra che non si possono escludere arretramenti in Paesi in cui lo Stato di diritto non è ben consolidato, e il caso dell’Italia dimostra che il Mezzogiorno non è mai stato in grado di recuperare il ritardo rispetto al Nord del Paese.

È ipotizzabile un altro scenario in cui la periferia orientale e mediterranea dell’Unione rimarrebbe permanentemente sottosviluppata. Ciò si accompagnerebbe a un esodo delle forze vitali di questi Paesi verso un futuro migliore in Germania o in altri Paesi dell’Europa occidentale, come abbiamo visto dopo l’adesione dei Paesi dell’Europa orientale, che si stanno spopolando drammaticamente (cfr. Ivan Krastev, Le Destin de l’Europe, 2018). Creando 8 milioni di rifugiati (il 20% della popolazione), la guerra in Ucraina ha accelerato un processo che era già iniziato.

L’Unione Europea sarà abbastanza forte da imporre profondi cambiamenti strutturali allo Stato di diritto nel lungo periodo? Nessuno ha la risposta. È possibile che si debba tornare all’idea di un’integrazione a più velocità, con una zona euro più integrata che deve essere strutturata all’interno di un’Unione europea più grande che non sarebbe in grado di applicare le sue politiche più ambiziose (unione monetaria, zona Schengen senza controlli alle frontiere) a tutti i suoi membri. È anche possibile che un rafforzamento dei partiti nazionalisti in tutta Europa finisca per mettere a repentaglio l’intero progetto europeo.
Effetti sulla politica estera dell’Unione

L’adesione dell’Ucraina all’UE confermerebbe lo sviluppo auspicato dal politologo americano Zbigniew Brzezinski (Le Grand échiquier. L’Amérique et le reste du monde, 1997): il consolidamento di una “spina dorsale geostrategica” comprendente Francia, Germania, Polonia e Ucraina. Questo scenario prevede l’unificazione dell’Europa contro la Russia, con tutte le istituzioni europee più o meno geopoliticamente allineate (UE, NATO, Consiglio d’Europa, Comunità politica europea avviata nel 2022). La guerra in Ucraina ha spinto l’Europa verso questo scenario e oggi è difficile capire come si possa tornare al progetto di un’architettura di sicurezza europea che includa la Russia.

Ma garantire la sicurezza a lungo termine dell’Ucraina in un confronto senza fine con la Russia è una sfida importante. Come ha dimostrato il recente vertice di Vilnius, non è facile estendere la NATO all’Ucraina, un Paese in guerra con la Russia e in parte occupato da quest’ultima, senza scontrarsi con il dilemma della garanzia dell’articolo 5 (assistenza nel quadro della difesa collettiva): o questo articolo non sarà applicato e sarà demonetizzato, o sarà applicato e la NATO sarà trascinata in una guerra potenzialmente nucleare. L’UE non si trova di fronte allo stesso dilemma, in quanto la propria clausola di difesa collettiva (articolo 42-7 del TUE) non ha la portata operativa dell’articolo 5 del Trattato di Washington: inoltre, l’adesione di una Cipro divisa non ha portato a un conflitto con la Turchia.

Qualunque sia la soluzione alla questione delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina (attraverso la NATO, l’UE o il sostegno bilaterale come avviene oggi), un’UE allargata all’Ucraina sarà ancora più anti-russa e dovrà inquadrare maggiormente la sua politica estera in un quadro transatlantico e occidentale, con il rischio che l’UE non emerga più autonoma e più capace di far valere i propri interessi, in particolare nelle relazioni con gli Stati Uniti.

L’adesione dell’Ucraina e degli altri Paesi attualmente candidati potrebbe quindi portare a un’Unione più eterogenea, la cui unità dipenderebbe dall’unità e dalla forza del quadro liberale occidentale guidato dagli Stati Uniti e incarnato in particolare dalla NATO. Se questo quadro dovesse indebolirsi, anche a causa degli sviluppi oltre Atlantico, e se le forze nazionaliste centrifughe dovessero continuare a rafforzarsi all’interno dell’Unione, il progetto europeo potrebbe essere pericolosamente indebolito. Ciò rende ancora più urgente e necessaria la riscoperta di un asse franco-tedesco forte e trainante al centro dell’Unione.

https://www.telos-eu.com/fr/les-consequences-dun-elargissement-de-lue-a-lukrai.html

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BALTENDEUTSCHE (1 e 2 di 4), di Daniele Lanza

BALTENDEUTSCHE
(tedeschi del Baltico*) (cap. 1 di 4).
[visto l’interesse riscosso dalle note sulla storia di Prussia aggiungo questo in merito all’elemento germanico nel Baltico]
Premessa essenziale : se anche al profano (penso) è nota la presenza e profonda influenza storica dell’elemento tedesco nel continente russo, è necessario sottolienare che l’espressione “origini tedesche” può significare cose assai differenti.
Il punto è che storicamente la presenza germanica in terra russa è il risultato, sintesi di fenomeni migratori avvenuti in epoche differenti ed in circostanze del tutto differenti il che da vita a gruppi sociali ed identità divergenti nonostante l’apparentemente comune ascendenza etnica. Nella sostanza i due nuclei più importanti sono i “Tedeschi del Volga” (universalmente noti, credo) e quelli del Baltico : di questi ultimi offro una breve descrizione oggi.
Signori e signore…………i più attenti tra voi avranno più o meno seguito le mie scanzonate sintesi sulla storia di PRUSSIA : ebbene, torniamo là al principio di tutto, facciamo un lunghissimo passo indietro fino agli albori…………
Ancora PRIMA della conquista vera e propria delle tribù prussiane da parte dell’ordine teutonico era già iniziata una penetrazione germanica nel Baltico, in forma di iniziativa militare : per esser esaurienti, Papa Innocenzo III assai prima che il suo successore (una generazione dopo) autorizzasse l’impresa teutonica, aveva già emesso a sua volta una bolla a proposito della cristianizzazione della terra LIVONICA (o patria dei “livi”. Con “livonico” allora si intendeva tutto l’elemento umano che oggi conosciamo come “estoni” e “lettoni”, grossomodo…..) : all’appello risponde un ordine cavalleresco germanico, nato come lontana branca dell’ordine templare inizialmente, ma poi divenuto entità indipendente sotto il nome di “FRATELLI DELLA SPADA”. Più precisamente “Fratres militiæ Christi Livoniae”, ossia fratelli livonici della spada (varianti in diverse lingue). Quando il pontefice riconosce quest’ordine guerriero, corrono gli stessi anni dell’organizzazione della 4° crociata….ossia 1202-1204. Le cose sono fatte in contemporanea.
I fratelli della spada, iniziano la loro piccola crociata da Riga e per una generazione mietono successi, arrivando a fondare laddove si trovavano le popolazioni livoniche pagane (la vecchia Livonia) un proprio territorio autonomo che assumerà il nome di “TERRA MARIANA” (Maarjamaa, l’appellativo estone romantico del XIX°-XX° sec., di questo antico potentato).
Questa “Terra mariana” verrà poi ancora gradualmente ingrandita da provincie limitrofe fino a comprendere uno spazio geografico che corrisponde più o meno alla Lettonia ed Estonia di oggi.
Insomma, decadi prima che i teutonici si mettessero all’opera, i fratelli livonici della spada si erano già costruiti una propria Terrasanta un po più a nord, ponendo le fondamenta di una duratura penetrazione germanica nella regione : nel 1215 è dichiarato territorio sotto il controllo di Roma e della Santa sede (nominalmente, chiaro).
D’altra parte tuttavia grava il fatto che i fratelli della spada non possiedono i numeri e le risorse per attuare una politica di germanizzazione su grande scala (paragonabile a quella teutonica in Prussia), rimanendo in tal modo l’elemento germanico una sottilissima presenza su una massa nativa sempre sul piede di guerra : in effetti a 30 anni dall’inizio dell’impresa la nostra cosiddetta Terra mariana è un territorio ancora NON del tutto pacificato.
Una battaglia dall’esito infelice (Saule) contro i lituani ancora pagani, rischia di annientare l’ordine e tutto quanto ha tentato di costruire : a questo punto il contesto storico offre loro una sola via di salvezza, che pare essere la più congeniale………..
I fratelli della spada accettano di fondersi nel più fortunato alveo dell’ordine teutonico : in breve, l’ordine livonico dei frateli della spada, sconfitto e morente si “salva” trasformandosi in una branca autonoma (conservano il nome , come un marchio) dell’ordine teutonico e portando in dote quanto sono riusciti a creare in una generazione ; la Terra mariana per logica conseguenza diventa parte della sfera di influenza teutonica, come una vicina colonia che diverrà presto parte dello stato monastico teutonico (pur mantenendo la propria denominazione). Correva l’anno 1236.
Da questo punto in avanti i fratelli della spada e la loro culla in terra mariana divenuti un sottoinsieme della potenza teutonica ne seguono fortune e cadute nel corso dei secoli successivi, fino alla conclusione storica di quest’ultima, ovvero il suo tracollo geopolitico nel tardo medievo a seguito delle sconfitte contro i monarchi polacchi nel corso del 400.
Attenzione ! La fine della potenza teutonica (e la scomparsa dello stesso ordine livonico della spada) NON comporta tuttavia la scomparsa dell’elemento germanico ormai insediatosi nel Baltico, anzi…………
(prosegue).
 
BALTENDEUTSCHE
(tedeschi del Baltico*) (cap. 2 di 4).
[visto l’interesse riscosso dalle note sulla storia di Prussia aggiungo questo in merito all’elemento germanico nel Baltico]
Ricapitoliamo : dopo 200 anni di successi, lo stato monastico dell’ordine teutonico collassa nel giro di una cinquantina di anni (secolo XIV°).
Nel suo disfacimento e declassamento a ducato vassallo dei re di Polonia, esso perde tutti i territori aggregati alla Prussia nel corso dell’età d’oro…..in primo luogo la nostra vecchia Livonia (o terra mariana). Se l’esistenza di una potenza germanica è (per il momento) tramontata sullo sponde del Baltico, non lo è tuttavia la presenza fisica e sociale di un elemento germanico sul territorio…….proviamo a spiegarne per quanto possibile questa dinamica.
Nel corso di 2 secoli sotto l’ombrello teutonico, era andata rafforzandosi una presenza tedesca nel territorio mariano : nulla di impressionante su un piano prettamente numerico, giusto una scarsa minoranza in mezzo alla massa autoctona (paragonabile ad un sottile foglio di carta appoggiato ad uno spesso tavolo), ma dotata di TUTTO il potere che la compagine socioculturale medievale può loro dare. I tedeschi nella Livonia costituiscono l’elite, la classe dominante (etno-culturalmente ben demarcata) la cui durata supererà il mezzo millennio (700 anni, tutti).
Dedico giusto una riga in più solo per sottolineare la particolarità di questa “durata”.
La minoranza tedesca del Baltico pur mantenendo salda coscienza della propria origine si fonde gradualmente con la massa autoctona. ATTENZIONE : “fondersi” in questo caso non significa “sciogliersi” all’interno di tale massa, bensì più cautamente appoggiarvisi sulla superficie, aderirvi fino ad apparire una cosa sola (l’elemento germanico non si preclude di cooptare ed aggregare elementi nativi laddove serva) : i tedeschi, per così dire, diventano parte integrante delle terre che abitano, parte dell’ecosistema (!) assieme (quasi in “armonia”, perlomeno nella compagine pre-moderna) all’elemento nativo estone/lettone preesistente a loro, pur mantenendo una linea di divisione.
Riformulo in modo ancor più essenziale : l’elemento tedesco anzichè mantenersi del tutto “straniero” (cosa che l’avrebbe condannato), diventa tutt’uno col proprio territorio e quindi col substrato etnico estone/lettone, senza tuttavia rinunciare al proprio status etno/sociale, configurandosi pertanto come un lenzuolo che va a ricoprire il mobile (…). In pratica essi diventano “lo strato superiore del substrato” (passatemi il gioco di parole).
I tedeschi diventano “baltici” tanto quanto gli autoctoni (questi ultimi tuttavia ridotti al duro servaggio della gleba) rispetto ai quali esiste una divisione sociale che tra l’altro, parla anche un’altra lingua (pare una contraddizione in termini…..”unità nella divisione”). Ritengo che sia il cuore dell’etnogenesi del “tedesco del baltico”.
Tale processo porta un vantaggio storico non calcolabile.
Divenendo i tedeschi “parte integrante” del territorio, la loro presenza NON è più dipendente dalle fortune di una specifica potenza dominante o da una particolare congiuntura storico-politica, bensì è un elemento FISSO che trascende le sorti del dominatore di turno : non importa CHI il turbine della storia designi come vincitore del momento (che sia il re di Polonia o lo zar di Russia o i monarchi svedesi)………i tedeschi del Baltico rimangono sempre lì, inamovibili, in fin dei conti al servizio di chi prevarrà nella determinata situazione.
L’artistocrazia baltica (totalmente tedesca), slegata dalle mutevoli sorti dei regnanti russi, svedesi o polacchi, naviga senza troppe scosse i flutti della storia, in privilegiata beatitudine……
Ragion per cui, il collasso dello stato teutonico, tanto quanto i cambiamenti di bandiera e gli assestamenti geopolitici dei 250 anni che seguono NON alterano la struttura fondamentale della società baltica.
Nessuno tuttavia è del tutto immune alla storia, naturalmente, in quanto le dinamiche che si mettono in moto a partire da Pietro il grande porteranno novità di grande rilievo nella vita di questa piccola comunità…
(prosegue).

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IL SABOTAGGIO DEL NORD STREAM: UN ATTO DI GUERRA CONTRO LA RUSSIA E L’EUROPA NELL’INTERESSE DI WASHINGTON E DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI? di PIERRE-EMMANUEL THOMANN

Il sabotaggio del gasdotto Nord Stream e il dibattito su chi ne sia responsabile rimarranno uno dei grandi episodi di disinformazione del campo atlantista nel conflitto in Ucraina. Probabilmente non ci sarà mai una conferma ufficiale di chi ha ordinato questo atto di terrorismo di Stato, perché si sta facendo di tutto per insabbiare il tutto.

I governi interessati, Berlino e Parigi in particolare, sono in uno stato di complice stupore. Il loro silenzio su questa vicenda, o il rimescolamento delle tracce, sostenuto dai media dominanti e dagli pseudo-esperti che passano in loop sulle televisioni per trasmettere le narrazioni atlantiste, si spiega facilmente. Non possono rivelare al loro popolo che il loro cosiddetto principale alleato, Washington, ha commesso un atto di guerra contro i suoi stessi alleati, poiché ciò dimostrerebbe che il conflitto in Ucraina è una guerra provocata e mantenuta da Washington, non solo contro la Russia, ma contro l’intera Europa. L’intero discorso della cosiddetta unità occidentale e transatlantica verrebbe irrimediabilmente incrinato.

Non appena i gasdotti sono esplosi nel settembre 2022, mentre la Russia è stata immediatamente additata dagli esperti al servizio del campo atlantista, Mosca ha accusato Washington di essere dietro questo atto terroristico. Le rivelazioni del giornalista investigativo americano Seymour Hersh[1] sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream hanno tuttavia rafforzato la tesi della responsabilità di Washington. Non sorprende che questa versione sia stata messa al bando dai media mainstream, portavoce dei governi degli Stati membri dell’UE e della NATO. Il maldestro tentativo di diversione di Washington attraverso il New York Times[2], che indicava la responsabilità di un gruppo filo-ucraino, non ha convinto nessuno e il Ministro della Difesa ucraino è stato costretto a smentire, un raro episodio in cui il regime di Kiev è stato costretto a contraddire il suo mentore[3].

Va inoltre ricordato che Washington aveva esplicitamente annunciato l’intenzione di sbarazzarsi dei gasdotti per voce del presidente Biden[4]. Gli Stati coinvolti nell’inchiesta hanno anche sottolineato che i risultati delle indagini sarebbero rimasti confidenziali, poiché la verità non è ovviamente bella da raccontare[5]. L’ipotesi che Washington sia responsabile del sabotaggio dei gasdotti Nord Stream è quindi la pista più probabile, e di fatto l’unica credibile.

La mancanza di reazioni da parte dei governi degli Stati europei interessati, Germania, Francia e Paesi Bassi, che sono stati direttamente presi di mira da questo atto terroristico assimilabile a un asso di guerra, rivela il grado di sottomissione geopolitica senza precedenti di questa classe politica a Washington,

E se analizziamo questo evento da un punto di vista geopolitico, arriviamo alla stessa conclusione: la responsabilità di Washington. Se si inserisce questo atto di guerra nel contesto del progetto geopolitico “Iniziativa dei tre mari”, avviato da Varsavia con il sostegno di Washington, ma immaginato da un think tank americano, si scopre il rovescio delle carte geopolitiche.

L’INIZIATIVA DEI TRE MARI

Il progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari (STI) riunisce dodici Paesi dell’Europa centrale e orientale situati tra i mari Baltico, Nero e Adriatico: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Lituania, Estonia, Lettonia, Croazia, Slovenia e Austria. Altri quindici partecipanti hanno scelto di aderire ad alcuni progetti, tra cui l’Ucraina. Lo scopo dell’iniziativa è rafforzare la connettività all’interno di quest’area geografica attraverso lo sviluppo di infrastrutture di trasporto stradale, ferroviario e fluviale, infrastrutture energetiche come gasdotti e reti elettriche e infrastrutture digitali. Gli obiettivi dichiarati sono il rafforzamento dello sviluppo economico, la coesione all’interno dell’Unione Europea e i collegamenti transatlantici[6].

 

 

Carte 1

 

L’idea centrale è quella di sviluppare le infrastrutture energetiche e di comunicazione lungo un asse nord-sud, poiché le attuali infrastrutture sono orientate in direzione est-ovest dalla Russia. Questa infrastruttura ereditata storicamente è vista come una dipendenza geopolitica da Mosca, ma promuove anche il dominio economico della Germania dopo l’allargamento dell’UE ai Paesi dell’Europa centrale e orientale. L’Iniziativa dei Tre Mari è stata inaugurata congiuntamente nel 2016 da Polonia e Croazia. Formalizzata in occasione del primo vertice tenutosi a Dubrovnik il 25-26 agosto 2016, un secondo vertice si è tenuto a Varsavia il 6-7 luglio 2017. Il progetto ha iniziato ad attirare l’attenzione di altri membri dell’UE, non da ultimo per la presenza di Donald Trump.

Il presidente austriaco Alexander Von der Bellen ha sottolineato che il progetto ha avuto origine dai think tank americani[7] ed è stato fin dall’inizio attivamente promosso dal think tank atlantista Atlantic Council. Ian Brzezinski, figlio di Zbigniew Brzezinski, sostiene attivamente l’Iniziativa dei Tre Mari come consulente strategico dell’Atlantic Council[8] Una pubblicazione di questo think tank prefigura l’Iniziativa dei Tre Mari in modo molto preciso già nel 2014[9], ossia durante la presidenza Obama. Essa promuove un corridoio di trasporto nord-sud, in linea con gli interessi geopolitici degli Stati Uniti, al fine di garantire la resistenza dei Paesi dell’Europa centrale e orientale alla Russia.

LE ORIGINI GEOPOLITICHE DEL PROGETTO E IL SUO ATTUALE RILANCIO

Le origini dell’Iniziativa dei Tre Mari risalgono a molto tempo fa. La TMI è l’erede delle rappresentazioni geopolitiche polacche emerse dopo la Prima guerra mondiale, più precisamente del progetto Intermarium (traduzione latina di Międzymorze in polacco) del generale Josef Pilsudski. Le idee chiave di questo vecchio progetto sono riemerse nell’attuale configurazione geopolitica. Poiché la Polonia era stata fatta a pezzi più volte nel corso della sua storia a vantaggio dell’Impero tedesco e della Russia, il generale Pilsudski cercò, già negli anni Venti, di promuovere un’Europa centrale e orientale al riparo dagli appetiti geopolitici dei suoi vicini, creando una federazione di Stati situati tra il Mar Baltico, il Mar Nero e il Mar Adriatico – l’Intermarium – per proteggersi dall’URSS e dalla Germania. Il progetto del generale Pilsudski doveva garantire la sopravvivenza della Polonia, ma fu abbandonato alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Tuttavia, l’idea sopravvisse nella diaspora polacca negli Stati Uniti, vicina agli strateghi americani. Questo ha portato a una forte sinergia tra le visioni geopolitiche americane e polacche dalla Guerra Fredda a oggi[10]. L’Iniziativa dei Tre Mari è quindi una rivisitazione polacco-americana dell’Intermarium. Inizialmente, per Varsavia, l’Intermarium mirava a promuovere una terza via tra l’impero russo e quello tedesco. Ma oggi la configurazione geopolitica è diversa perché Polonia e Germania, entrambe membri dell’Alleanza Atlantica, sono ormai alleate. Non c’è quindi più la volontà di formare un’Europa di mezzo indipendente dall’UE e dalla NATO. Oggi il progetto viene proposto con argomenti geoeconomici, come la necessità di ridurre la dipendenza dal gas russo e l’egemonia economica e politica tedesca nell’UE. Tuttavia, la posta in gioco geostrategica è molto reale e rimane implicita: dal ritorno della rivalità tra le potenze europee e mondiali – Russia, Stati Uniti, Cina e Stati membri dell’UE – è riemerso il dilemma geopolitico dell’Europa centrale e della sua sicurezza. I Paesi dell’UE dell’Europa centrale e orientale e la NATO sono ora visti come poli geopolitici. Sebbene la configurazione internazionale sia cambiata, la geografia e le costanti geopolitiche rimangono e la percezione che la Polonia ha della propria sicurezza deriva da rappresentazioni storiche che persistono indipendentemente dai governi. La sfiducia di Varsavia nei confronti della Russia ha ricevuto nuovo impulso dalla crisi ucraina del 2014 e i polacchi sono desiderosi di consolidare la propria sicurezza. Ai loro occhi, la coppia franco-tedesca non è considerata del tutto affidabile, in quanto troppo accomodante nei confronti della Russia, e l’UE è troppo divisa per affermarsi. Il progetto mira quindi a svilupparsi in sinergia con l’UE e la NATO. Il primo obiettivo dei polacchi è quello di contenere la Russia, percepita come la principale minaccia, ma anche di bilanciare la Germania, con la quale si sono accumulati disaccordi. L’Iniziativa dei Tre Mari è quindi, per la Polonia, un progetto volto a ridurre la dipendenza da Mosca e a mantenere il legame transatlantico. Per Varsavia e i suoi alleati nella TMI, l’alleanza privilegiata con gli Stati Uniti è ritenuta necessaria per aumentare il loro margine di manovra nell’UE. L’attenzione alla minaccia russa consente alla Polonia di posizionarsi come perno geopolitico regionale sul fianco orientale della NATO. Le viene assicurato il sostegno degli Stati Uniti per diventare il leader regionale dell’UE e della NATO. Varsavia è coinvolta in molti progetti di difesa con gli Stati Uniti[11], un settore in cui l’UE rimane secondaria nonostante i recenti progressi. L’UE è tuttavia un’organizzazione utile per ottenere finanziamenti – fondi strutturali e di coesione – per le infrastrutture[12].12 La diffidenza nei confronti della Germania si è inoltre cristallizzata in seguito alla messa in funzione del gasdotto Nord Stream I[13], inaugurato nel 2001, che rifornisce Berlino di gas russo attraverso il Mar Baltico e che doveva essere raddoppiato dal Nord Stream II. Questo progetto è stato descritto in modo fuorviante da Varsavia come il “secondo patto Molotov-Ribentrop”. Vecchie rappresentazioni storiche sono state riattivate in questa occasione, illustrando la permanenza delle paure storiche dei Paesi dell’Europa centrale nei confronti delle potenze vicine che li hanno sempre dominati.

LA SINERGIA TRA NATO, PARTENARIATO ORIENTALE DELL’UE, PESCO
E L’INIZIATIVA DEI TRE MARI

I polacchi sono riusciti a far convergere a loro vantaggio le varie iniziative prese a livello europeo, come il Partenariato orientale dell’UE, ma anche il nuovo programma PESCO[14] lanciato da Bruxelles nel campo della difesa. Il loro obiettivo è attrarre il massimo dei finanziamenti europei per le loro priorità. – La componente principale del programma PESCO è il progetto “Mobilità”[15], che mira a potenziare e sviluppare le infrastrutture per migliorare la mobilità delle forze armate della NATO. Questa priorità è anche un obiettivo dei dipartimenti per le infrastrutture della Commissione europea[16], sottolineato nella Dichiarazione congiunta NATO-UE[17]. Il legame tra l’Iniziativa dei Tre Mari e gli interessi dell’Alleanza Atlantica è quindi evidente. Il generale americano Ben Hodges, ex comandante delle forze americane in Europa (EUCOM), ha dichiarato che l’infrastruttura del progetto PESCO corrispondente alle priorità dell’Iniziativa dei Tre Mari – in particolare la Ferrovia Baltica e la Via Carpatia – era una priorità[18]. Il Partenariato orientale dell’UE è stato concepito dai polacchi e promosso con gli svedesi. Nasce dalla dottrina Sikorski, che mira a creare una zona cuscinetto contro la Russia[20]. Pertanto, il Partenariato orientale, l’Iniziativa dei tre mari e il progetto PESCO fanno parte della strategia di sicurezza di Varsavia nei confronti di Mosca. Il desiderio del governo polacco di ospitare una base militare della NATO sul proprio territorio è un’altra prova della coerenza delle intenzioni polacche. Questa convergenza di progetti a livello regionale permette di percepire che la Polonia sfrutta l’Iniziativa dei Tre Mari come strumento di influenza e sviluppo economico, ma anche come strumento per garantire la propria sicurezza. Varsavia si affida anche agli Stati Uniti, impegnati in una manovra a livello europeo – soprattutto per contenere la Germania e mantenere l’UE sotto la propria influenza – ma anche su scala globale nei confronti di Russia e Cina. Esaminiamo questi aspetti.

LA SINERGIA TRA L’INIZIATIVA DEI TRE MARI E IL PROGETTO GEOPOLITICO STATUNITENSE :
LA RIVALITÀ CON RUSSIA E GERMANIA

Se ci riferiamo alla posta in gioco geopolitica su scala globale, l’Iniziativa dei Tre Mari è un progetto che è anche in linea con le priorità geopolitiche degli Stati Uniti. Il loro coinvolgimento nel progetto, fin dal suo inizio, è coerente con la loro manovra strategica nei confronti dell’Eurasia per contrastare Russia e Cina, ma anche con la loro ambizione di diventare un grande esportatore di gas di scisto.

 


Carte 2

 

L’obiettivo prioritario di Washington è infatti il controllo dell’Eurasia. Questa preoccupazione di lunga data viene ora esplicitamente riaffermata per preservare la propria leadership globale e rallentare l’emergere di un mondo multipolare[21]. 21] Con notevole continuità, la strategia degli Stati Uniti è quindi quella di opporsi alla Russia e di allargare il Rimland (secondo la dottrina geopolitica di Spykman), ma anche di frammentare l’Eurasia (secondo la dottrina di Mackinder) e di staccare l’Ucraina dalla Russia (dottrina di Brzezinski). Questa costante geopolitica è stata riaffermata alla fine della Guerra Fredda con la dottrina Wolfowitz (1992). Egli sottolineò che la missione dell’America nell’era post-Guerra Fredda sarebbe stata quella di garantire che nessuna superpotenza rivale emergesse in Europa occidentale, in Asia o nel territorio dell’ex Unione Sovietica[22]. Anche la rappresentazione strategica di Zbigniew Zbrezinski[23] – che pone come obiettivo la frammentazione geopolitica del continente eurasiatico per realizzare una maggiore integrazione degli Stati dell’Europa occidentale nello spazio euro-atlantico su un asse Parigi-Berlino-Kiev – ha avuto un’importante influenza[24] sull’amministrazione statunitense. Questo obiettivo è stato esplicitamente ripreso da Wess Mitchell, assistente segretario di Stato per l’Europa e l’Eurasia presso il Dipartimento di Stato sotto il presidente Donald Trump. Egli sostiene un ulteriore consolidamento degli Stati Uniti nel Rimland europeo[25]. 25] Questa strategia, combinata con quella nella regione indo-pacifica, garantisce che gli Stati Uniti circondino il continente eurasiatico. L’Iniziativa dei Tre Mari si inserisce perfettamente in questa visione ed è uno degli strumenti di Washington. Gli Stati Uniti stanno nuovamente reinvestendo nell’Europa centrale e orientale come parte della loro manovra verso l’Eurasia. La Polonia è il punto di riferimento per gli Stati Uniti per mantenere il proprio dominio sul progetto europeo, ed è per questo che gli Stati Uniti stanno cercando di rafforzare il peso di Varsavia nell’UE. Anche l’Ucraina era destinata a diventare più importante nell’ambito dell’Iniziativa dei Tre Mari. In effetti, il collegamento di Kiev con l’Europa occidentale era già nei piani iniziali e conferma il carattere geopolitico di questo progetto. Il ruolo dell’Ucraina è quello di territorio di transito per i corridoi energetici che evitano la Russia attraverso l’asse dell’Asia centrale.

L’intervento russo in Ucraina a partire dal 2023 ha vanificato questi piani, almeno per quanto riguarda l’inclusione di Kiev nel progetto, opzione che rimane dipendente dall’esito del conflitto. È in questo contesto che l’Iniziativa dei Tre Mari è stata sostenuta da Donald Trump durante la sua partecipazione al vertice di Varsavia[26] nel 2017. Il forte sostegno del presidente alla TMI statunitense rientra ovviamente nella rivalità geopolitica tra Stati Uniti e Russia. Ma è anche legato al desiderio di Washington di esportare il suo gas di scisto, che è diventato un’arma geopolitica per gli Stati Uniti.[27] Questo sostegno può essere compreso anche nel contesto di una rivalità che è diventata esplicita tra Stati Uniti e Germania. La politica “America First!” di Donald Trump – un obiettivo che un tempo era più implicito che esplicito – ha comportato un’intensa pressione politica sulla Germania, dando maggior peso alle critiche della Polonia. Collegando energia e sicurezza[28], Trump ha accusato Berlino di importare gas russo, di aggravare il deficit commerciale degli Stati Uniti e di non contribuire abbastanza finanziariamente alla NATO. Queste pressioni hanno spinto Berlino a importare gas di scisto statunitense e ad aprire un porto per il gas naturale liquefatto (LNG) nel nord della Germania. Tuttavia, Berlino ha continuato a difendere strenuamente il progetto del gasdotto Nord Stream II contro il parere di Washington e Varsavia, fino all’avvio dell’operazione speciale russa nel febbraio 2022.

IL SABOTAGGIO DI WASHINGTON AL NORD STREAM: UN ATTO IN SINERGIA CON GLI OBIETTIVI DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI
DELL’INIZIATIVA DEI TRE MARI

L’arma energetica come strumento geopolitico è particolarmente importante per Washington. Il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, un’infrastruttura che evitava l’Ucraina ma favoriva la Russia e la Germania, deve essere visto nel contesto dell’attuale conflitto, dove alza la posta in gioco e fa salire la posta in gioco. Lo scoppio del conflitto in Ucraina provocato da Washington e Londra – in particolare a causa del progetto di allargamento della NATO – è stata l’occasione per prendere decisioni radicali per indebolire la Russia e gli Stati europei, in particolare la Germania, ma anche la Francia, allo stesso tempo. Gli Stati Uniti hanno l’ambizione di esportare il loro gas di scisto a scapito delle compagnie energetiche europee coinvolte nell’esplorazione delle risorse in Siberia (Russia) e nel progetto del gasdotto Nord-Stream II. Fin dall’inizio dell’operazione speciale russa in Ucraina, gli Stati Uniti hanno fatto pressione sugli alleati della NATO affinché bloccassero le importazioni di gas dalla Russia attraverso i gasdotti Nord Stream, ma non quelle attraverso i gasdotti che attraversano l’Ucraina, per dare risorse e leva a Kiev. Washington ha ottenuto questo risultato e il sabotaggio del Nord Stream nel settembre 2022 le ha permesso di assicurarsi questo guadagno, chiarendo alla Germania e ai suoi partner che non ci sarebbe stato alcun problema a utilizzare questi gasdotti una volta terminato il conflitto, poiché la Russia ha pianificato di ripararli[29], gli Stati Uniti costringono così gli europei a un radicale riorientamento geopolitico in direzione degli obiettivi dell’Iniziativa dei Tre Mari, che mira in ultima analisi a staccare la Russia dall’Europa occidentale riorientando le infrastrutture energetiche e di trasporto e rendendole più dipendenti dal gas di scisto americano. L’Unione Europea è così ridotta al rango di zona cuscinetto nella manovra americana in Eurasia, di cui sta diventando una periferia sempre più divisa e strumentalizzata da Washington.

COSTRINGERE LA GERMANIA A SCEGLIERE DA CHE PARTE STARE E A STACCARSI DALLA RUSSIA

Vale la pena sottolineare la posizione di Berlino nel progetto. Oggi la Germania è una potenza centrale che persegue la sua espansione verso i Paesi dei Balcani, dell’Europa orientale e delle repubbliche dell’ex URSS (Ostmitteleuropa). L’ideologia che sta alla base di questa espansione è diversa da quella pangermanista della vigilia della Prima guerra mondiale, in quanto viene ora portata avanti in nome dell'”occidentalizzazione” e dell'”europeizzazione” del suo fianco orientale, da cui la crescente rivalità geopolitica con la Russia. Ma se l’ideologia cambia, i tropismi geografici restano. Da un punto di vista geopolitico, la Germania cerca di portare i Paesi dell’Europa centrale e orientale – compresa l’Ucraina – nello spazio euro-atlantico. Il sostegno degli Stati Uniti all’Iniziativa dei Tre Mari, nel contesto di crescenti disaccordi con Donald Trump, ha indubbiamente spinto Berlino a partecipare al TMI per evitare che diventi troppo antitedesco e per contrastare la politica statunitense di sostegno alle iniziative della Polonia. I governi tedeschi che si sono succeduti stanno quindi perseguendo la costruzione di una zona cuscinetto a est, di fronte alla Russia, attraverso il Partenariato orientale dell’UE, che il GTI completa.

Dal punto di vista economico, la Germania conta anche sull’apertura dei mercati dei Paesi del Partenariato orientale, in particolare dell’Ucraina. Berlino si considera responsabile della traiettoria geopolitica di questo Paese e utilizza la narrativa euro-atlantica per raggiungere il suo obiettivo. Tuttavia, fino allo scoppio dell’offensiva russa, la Germania riteneva di aver bisogno del gas e del petrolio russo per mantenere il suo status di potenza economica. Tuttavia, rimane ancora sotto la protezione militare degli Stati Uniti, con l’ombrello nucleare statunitense come ultima difesa del territorio tedesco. Il sostegno al progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari e l’accettazione delle importazioni di gas di scisto dagli Stati Uniti sono stati probabilmente visti da Berlino come il prezzo da pagare per preservare il Nord Stream II e la sua posizione di potenza centrale nell’UE, stando attenta a contenere l’atteggiamento ostile degli Stati Uniti verso Mosca[30]. Tuttavia, il sostegno della Germania all’ITM non ha cancellato la sfiducia di Varsavia nei confronti di Berlino, molto pronunciata negli ambienti conservatori e filoamericani[31] in Polonia e nella diaspora statunitense. Varsavia si trova quindi di fronte al dilemma di mantenere la presa sull’Iniziativa dei Tre Mari, ma allo stesso tempo di attrarre i finanziamenti dell’UE con il sostegno tedesco.

Con l’aggravarsi della crisi ucraina nel 2022, Washington ha deciso che non avrebbe più tollerato l’equilibrismo tedesco di combinare un’alleanza strategica con la NATO e un’alleanza energetica con la Russia. Il sabotaggio del Nord Stream da parte degli Stati Uniti costringe Berlino a scegliere definitivamente il campo occidentale contro la Russia e ad abbandonare la politica di equilibrio a favore dell’egemonia geostrategica e geoeconomica americana.

Il dominio indiviso di Washington è reso possibile anche dall’incapacità di francesi e tedeschi di trovare un accordo su un’architettura di sicurezza europea che dia all’UE una maggiore indipendenza dagli Stati Uniti, come sulle questioni energetiche in cui rimangono rivali. La decisione della Germania di abbandonare l’energia nucleare e di affidarsi pesantemente alle importazioni di gas russo, senza consultarsi con la Francia, spiega probabilmente la mancata reazione di Parigi al sabotaggio americano, secondo un sentimento di schadenfreude (“gioire delle disgrazie altrui”), anche se anche gli interessi di Parigi sono colpiti. Anche il campo atlantista francese, che aveva sempre temuto l’asse russo-tedesco, si è rafforzato. La rivalità geopolitica franco-tedesca è una falla del progetto europeo che gli americani hanno sempre sfruttato per indebolirlo e orientarlo a proprio vantaggio.

IL SUCCESSO DELLA STRATEGIA AMERICANA E LO SPOSTAMENTO DEL BARICENTRO DELL’UE

Il sabotaggio del Nord Stream da parte degli Stati Uniti rientra nella strategia geopolitica di frammentare il vecchio continente per silurare qualsiasi accordo europeo – ma anche eurasiatico – e la costituzione di un asse Parigi-Berlino-Mosca. Inoltre, Washington è determinata a continuare il suo accerchiamento dell’Eurasia contro la Russia e la Cina, al fine di preservare la sua supremazia in Europa e nel mondo. L’Iniziativa dei Tre Mari è uno degli strumenti di questa strategia. In questo contesto, il sabotaggio del gasdotto Nord Stream è un atto di guerra contro la Russia, ma anche contro la Germania, la Francia e i Paesi Bassi, e un attacco alla loro sovranità. È un atto di ostilità contro l’idea di un progetto europeo indipendente che includa la Russia, secondo la visione gollista di un'”Europa europea” che si oppone all'”Europa americana”.

L’UE è l’ultima area del mondo in cui gli Stati Uniti possono ancora esercitare la loro egemonia senza alcun ostacolo reale. Ma a lungo termine possono mantenere la pressione sulla classe politica del vecchio continente solo terrorizzando gli europei con atti come il sabotaggio dei gasdotti. La politica di Washington, dettata da ideologi neoconservatori spinti a preservare la supremazia americana a tutti i costi, rappresenta una grave minaccia geopolitica per le nazioni europee, in particolare per Francia e Germania. La loro mancanza di reazione si spiega con l’asservimento geopolitico dei loro governi, la cui legittimità si basa unicamente sull’appartenenza al campo atlantista sotto la guida di Washington, a cui hanno giurato fedeltà, e non più sui loro popoli, che sono incapaci di proteggere. Parigi e Berlino sono così impegnate in una corsa a perdifiato che le pone in una situazione di cobelligeranza con la Russia, a tutto vantaggio degli interessi americani e del loro strumento, il regime di Kiev. Le conseguenze prevedibili per gli europei sono una nuova crisi economica, una deindustrializzazione a vantaggio degli Stati Uniti, un abbassamento del tenore di vita e una destabilizzazione duratura del continente attraverso un conflitto militare che potrebbe portare a una terza guerra mondiale.

Il progetto dell’Iniziativa dei Tre Mari, che attrae sempre più investimenti dall’UE e dalla Germania, sta spostando il baricentro geopolitico dell’Unione Europea verso est. Il consolidamento della Germania in una posizione centrale e la conferma di una spaccatura tra la Russia e un’UE dominata dalle priorità tedesche e polacche, sostenute dagli Stati Uniti, rafforzeranno gli squilibri geopolitici in Europa. Tale sviluppo va a scapito dell’asse franco-tedesco e aggrava la rivalità con la Russia. Tuttavia, il possibile indebolimento economico della Germania – il cui accesso al gas e al petrolio russo a basso costo è ora più limitato – potrebbe ridurre il suo vantaggio geopolitico.

Dopo la riunificazione tedesca e l’allargamento dell’UE in Europa centrale e orientale, sta emergendo una nuova rivalità geopolitica tra Germania e Francia[32]. 32] In effetti, il rafforzamento dello status di potenza centrale della Germania contraddice il progetto d’avanguardia franco-tedesco e il progetto di un’Europa a più cerchi difeso dalla Francia. In passato, Parigi ha cercato di riequilibrare l’UE verso il Mediterraneo per contrastare lo spostamento del suo baricentro geopolitico verso est, provocando a sua volta iniziative come il Partenariato orientale[33] .

La crisi economica può rallentare l’ascesa dell’Iniziativa dei Tre Mari, ma se i flussi energetici dalla Russia si prosciugheranno, il suo obiettivo geopolitico sarà raggiunto. Il suo consolidamento si tradurrà in una politica di compensazione nei confronti della Francia, come è stata praticata dopo la riunificazione tedesca? Secondo i piani di Washington, l’ITM dovrebbe consentire di trasformare gli Stati membri dell’UE in “Stati di facciata” contro la Russia, perché l’Europa sarebbe tagliata fuori dal suo spazio orientale, come durante la Guerra Fredda, il che le impedirebbe di condurre una politica di equilibrio.

Berlino e Parigi oseranno mai reagire al sabotaggio dei gasdotti? La Francia sfiderà finalmente la corsa a capofitto dell’UE verso est? Per quanto riguarda l’Iniziativa dei Tre Mari, non c’è motivo per Parigi di partecipare, attraverso l’UE, al finanziamento di un progetto che porta alla sua emarginazione geopolitica. Se la costruzione di infrastrutture tra i Paesi dell’Europa centrale e orientale è legittima, l’interruzione dei flussi in direzione est-ovest deve essere evitata. È nell’interesse della Francia che gli Stati che partecipano alla GTI si pongano come ponti tra la Russia e l’UE, come l’Ungheria, e non come un sottoinsieme ferocemente opposto a Mosca, che frattura l’Europa.

Nel 2014, la Russia aveva offerto all’Ucraina di aderire al suo progetto di Unione eurasiatica, ma il colpo di Stato a Kiev ha riorientato il Paese verso lo spazio euro-atlantico e un accordo di libero scambio con l’UE. La Russia ha poi sviluppato nel 2016 il progetto della Grande Eurasia, che non era chiuso alla partecipazione dell’UE perché la sua visione era quella di una convergenza di interessi geopolitici comuni a tutto il continente[34]. L’Iniziativa dei Tre Mari, che tende a favorire le relazioni Nord-Sud, è in contraddizione con la visione Est-Ovest che la Russia cerca di mantenere. Dal febbraio 2022 si è diffusa l’isteria di una minaccia russa, che in realtà non esiste per i membri della NATO[35], anche se il conflitto attuale è dovuto principalmente alla mancata considerazione degli interessi di sicurezza della Russia. Mosca reagisce in base alle proprie percezioni, che derivano dal senso di accerchiamento da parte della NATO a causa del suo allargamento, dell’installazione di basi statunitensi in Europa orientale e del nuovo progetto di difesa missilistica. Le crisi georgiana (2008) e ucraina si inseriscono in questo contesto[36].

È necessario un migliore equilibrio geopolitico in Europa per evitare l’egemonia di Washington, che trascina la Francia e gli europei in conflitti contro la Russia e la Cina, a scapito dei loro interessi e ad esclusivo vantaggio dei neoconservatori di Washington e delle burocrazie allineate della NATO e dell’UE. Un confronto a lungo termine con Mosca deve essere evitato, in quanto si ripercuoterebbe su tutta l’Europa e sulla sua vicinanza geografica.

Al termine dell’attuale conflitto, la politica migliore per la Francia sarebbe quella di affermarsi come potenza equilibratrice attraverso un riavvicinamento franco-russo per controbilanciare l’asse euro-atlantico sotto l’egemonia americana. Praticare l’equilibrio non è neutralità, ma permette di controbilanciare il polo troppo dominante con un altro. Sarebbe saggio per la Francia e gli Stati aperti a una ripresa delle relazioni con la Russia – Italia, Spagna, Grecia, Cipro, ma anche Ungheria e Croazia, e auspicabilmente la Germania, se si stacca dalle sue illusioni atlantiste – promuovere un nuovo equilibrio più favorevole ai loro interessi.

Se Mosca rimane in conflitto con quello che chiama “Occidente collettivo”, la cooperazione con i Paesi occidentali – quelli dell’era della Guerra Fredda – rimarrà comunque rilevante, secondo il Cremlino. 37] Su scala globale, la sfida per gli europei è evitare un possibile condominio americano-cinese e la Russia può giocare un ruolo importante in questa prospettiva. Una nuova architettura di sicurezza europea, spesso citata ma mai attuata, che includa la Russia e l’Ucraina, rimane la condizione non solo per la pace in Europa, ma anche per il rilancio del progetto europeo verso un’Europa di nazioni sovrane, alleate e interdipendenti su scala continentale.

 


 

[1] https://seymourhersh.substack.com/p/how-america-took-out-the-nord-stream

[2] https://www.nytimes.com/2023/03/07/us/politics/nord-stream-pipeline-sabotage-ukraine.html

[3] https://www.reuters.com/world/europe/zelenskiy-aide-kyiv-absolutely-not-involved-nord-stream-attack-2023-03-07/

[4] https://www.youtube.com/watch?v=k93WTecbbks

[5] https://www.epochtimes.fr/la-suede-quitte-lenquete-conjointe-sur-la-fuite-du-nord-stream-et-refuse-de-partager-ses-conclusions-invoquant-la-securite-nationale-2135764.html

[6] « The overarching pillars of the Three Seas Initiative are threefold – economic development, European cohesion and transatlantic ties. The changing nature of global environment calls for their strengthening in order to be able to face new challenges and overcome dynamic threats.

Firstly, the Initiative seeks to contribute to the economic development of the Central and Eastern Europe through infrastructure connectivity, mainly, but not only on the North-South axis, in three main fields – transport, energy and digital.

The second objective is to increase real convergence among EU Member States, thereby contributing to enhanced unity and cohesion within the EU. This allows avoiding artificial East-West divides and further stimulate EU integration.

Thirdly, the Initiative is intended to contribute to the strengthening of transatlantic ties. The US economic presence in the region provides a catalyst for an enhanced transatlantic partnership. » (https://www.three.si/2019-summit).

[7] https://www.bundespraesident.at/aktuelles/detail/drei-meere-initiative-2018

[8] http://www.atlanticcouncil.org/blogs/new-atlanticist/the-three-seas-summit-a-step-toward-realizing-the-vision-of-a-europe-whole-free-and-at-peace

[9] http://www.atlanticcouncil.org/images/publications/Completing-Europe_web.pdf

[10] Laruelle Marlène, Riviera Ellen, Imagined Geographies of Central and Eastern Europe: The Concept of Intermarium, Institute for Russian European, and Eurasian studies, The Georges Washington University, IERES Occasional Papers, March 2019 (https://www.ifri.org/sites/default/files/atoms/files/laruelle-rivera-ieres_papers_march_2019_1.pdf).

[11] Montgrenier Jean-Sylvestre, Dubois-Grasset Jeanne, La Pologne, acteur géostratégique émergent et puissance européenne, http://institut-thomas-more.org/2018/06/30/la-pologne-acteur-geostrategique-emergent-et-puissance-europeenne/

[12] https://www.ft.com/content/2e328cba-c8be-11e8-86e6-19f5b7134d1c

[13] https://www.ft.com/content/eb1ebca8-9514-11e5-ac15-0f7f7945adba

[14] « Permanent Structured Cooperation ». Ce projet a pour objectif de rendre la politique de sécurité et de défense européenne plus contraignante. Les États membres s’engagent à mettre en œuvre ensemble des projets de défense sélectionnés.

[15] https://www.consilium.europa.eu/media/32079/pesco-overview-of-first-collaborative-of-projects-for-press.pdf

[16] https://ec.europa.eu/transport/themes/infrastructure/news/2018-03-28-action-plan-military-mobility_en

[17] https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2016/07/08/eu-nato-joint-declaration/

[18] https://biznesalert.pl/hodges-centralny-port-komunikacyjny-mobilnosc-nato/

[19] https://www.politico.eu/article/dont-put-us-bases-in-poland/

[20] https://wikileaks.org/plusd/cables/08WARSAW1409_a.html

[21] Foucher Michel, La bataille des cartes, Analyse critique des visions du monde, Françoise Bourin, 2011.

[22] https://www.nytimes.com/1992/03/08/world/us-strategy-plan-calls-for-insuring-no-rivals-develop.html

[23] Brzezinski Zbigniew, The Grand Chessboard: American Primacy and its Geostrategic Imperatives, Basic Books, 1997.

[24] Justin Vaïsse, Zbigniew Brzezinski, stratège de l’empire, Odile Jacob, 2016.

[25] Selon Mitchell, l’objectif des Etats-Unis est d’éviter la domination des masses eurasiennes par des puissances hostiles. Ainsi, il précise que « lors de trois guerres mondiales, deux chaudes et une froide, nous avons aidé à unifier l’Occident démocratique pour empêcher nos opposants brutaux de dominer l’Europe et le Rimland à l’ouest de l’Eurasie »[25]. Sans surprise, la Russie et la Chine sont désignées comme les adversaires stratégiques des Etats-Unis alors que la Guerre froide est terminée depuis plus d’un quart de siècle, car ils « contestent la suprématie des USA et leur leadership au XXIe siècle.» On retrouve donc avec constance l’objectif des Etats-Unis de contrôler l’Eurasie afin d’empêcher un rival géopolitique d’y émerger à nouveau et de relativiser leur propre puissance mondiale (https://ee.usembassy.gov/a-s-mitchells-speec).

[26]  Le Président Donald Trump a déclaré lors du sommet de l’Initiative des trois mers le 6 juillet 2017 à Varsovie que « L’Initiative des Trois Mers transformera et reconstruira l’ensemble de la région et veillera à ce que vos infrastructures, tout comme votre engagement en faveur de la liberté et l’état de droit, vous lient à toute l’Europe et, en fait, à l’Occident. (…) L’Initiative des trois mers permettra non seulement à vos peuples de prospérer, mais aussi à vos nations de rester souveraines, sûres et libres de toute coercition étrangère. Les nations libres d’Europe sont plus fortes et l’Occident l’est aussi. Les États-Unis sont fiers de constater qu’ils aident déjà les pays des trois mers à atteindre la diversification énergétique dont ils ont tant besoin. L’Amérique sera un partenaire fiable et sûr dans la production de ressources et de technologies énergétiques de haute qualité et à faible coût. »

[27] Le Financial Times a souligné que « Donald Trump est en train d’opérer un changement radical dans la politique énergétique américaine en utilisant les exportations de gaz naturel comme un instrument de politique commerciale, en se faisant le champion des ventes à la Chine et à d’autres régions d’Asie dans le but de créer des emplois et de réduire les déficits commerciaux américains. Dans une tentative de libérer les ressources énergétiques américaines, M. Trump essaie de promouvoir davantage d’exportations de gaz naturel liquéfié et pas seulement d’utiliser le GNL comme une arme géopolitique visant des nations telles que la Russie, comme c’était la position de son prédécesseur Barack Obama. ». « Trump looks to lift LNG exports in US trade shift », Financial Times, June 22, 2017 (https://www.ft.com/content/c5c1958c-5761-11e7-80b6-9bfa4c1f83d2).

[28]https://www.euractiv.com/section/energy/news/kremlin-accuses-trump-of-trying-to-bully-europe-into-buying-us-lng/

[29] https://www.lalibre.be/economie/conjoncture/2022/10/14/nord-stream-une-grande-section-du-tuyau-doit-etre-coupee-et-remplacee-G6ROQC3BGZF4RLFWETGX7NQ6Q4/

[30] Les sanctions allemandes contre la Russie étaient toujours calibrées afin de ne pas mettre en danger les intérêts fondamentaux de sa puissance économique, tout en satisfaisant les Etats-Unis mais aussi les pays d’Europe centrale et orientale, méfiants vis-à-vis de Moscou. Il s’agissait à la fois d’une politique d’équilibre, de réassurance, et d’endiguement de la Russie sur le plan géostratégique.

[31] https://www.tysol.pl/a23593-Najnowszy-numer-%E2%80%9ETygodnika-Solidarnosc%E2%80%9D-Po-co-Niemcom-Trojmorze-

[32] Thomann Pierre-Emmanuel, Le couple, franco-allemand et le projet européen, représentations géopolitiques, unité et rivalités, L’Harmattan, Paris, 2015.

[33] Le partenariat oriental avait été promu par la Pologne et la Suède pour contrer le tropisme euro-méditerranéen de la France, dans le contexte de la crise provoquée par le projet d’Union méditerranéenne de Nicolas Sarkozy en 2007/2008. L’Allemagne a toujours soutenu le partenariat oriental, mais en agissant dans les coulisses de l’Union européenne. Berlin a bloqué le projet d’Union méditerranéenne de la France pour éviter une division de l’UE et contrer l’émergence de Paris comme chef de file des pays méditerranéens en contrepoids de l’Europe allemande, afin d’éviter une fragmentation de l’Europe en alliances variables, et maintenir la France et les pays du sud de l’Europe dans le giron de l’UE.

[34] Glaser Kukartseva, M. et Thomann, P.-E., “The concept of “Greater Eurasia”: The Russian “turn to the East” and its consequences for the European Union from the geopolitical angle of analysis”, Journal of Eurasian Studies13(1), 3-15, 2022, (https://doi.org/10.1177/18793665211034183).

[35] Aucun État membre de l’OTAN protégé par l’article V n’a pourtant eu de différend militaire avec la Russie.

[36] Thomann Pierre-Emmanuel, « Guerre Russie-Géorgie : première guerre du monde multipolaire », Défense nationale, n°10, octobre 2008 (http://www.ieri.be/fr/node/329).

[37] Vladimir Putin Meets with Members of the Valdai Discussion Club. Transcript of the Plenary Session of the 19th Annual Meeting, october 27, 2022

https://valdaiclub.com/events/posts/articles/vladimir-putin-meets-with-members-of-the-valdai-club/

https://cf2r.org/tribune/sabotage-de-nord-stream-un-acte-de-guerre-contre-la-russie-et-leurope-dans-linteret-de-washington-et-de-linitiative-des-trois-mers/?fbclid=IwAR3FBpQos8PBHZ4c_XXbMi4jE30ZDTTD00jGgXv6DZEJuXWF5Haq6Kj7yqc

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PRUSSIA (note storiche) – cap.1, 2 e 3 di 5_di Daniele Lanza

PRUSSIA (note storiche) – cap.1 di 5
(provocato dall’iniziativa polacca in merito a Kaliningrad, ripropongo questa serie sulla storia della regione che la ospita).
Età antica*
Un mattino (forse le 9, secondo il vangelo di Marco) di tanto, tantissimo tempo fa in terra di Giudea l’autorità giudiziaria del luogo con quasi un kg di chiodi appende tre individui ad altrettante croci di legno di olivo, poco fuori la città : un paio sono disgraziati qualsiasi, il terzo che sta in mezzo….è un caso particolare (si dice sia un messia).
In quelle stesse ore, ad una incredibile distanza, in una landa altrettanto desolata, ma di aspetto diverso ed assai più fredda, un uomo della stessa età (chiamiamolo Kovikas) assieme ai suoi figli è all’opera dall’alba assieme ai cacciatori dei villaggi : altri volti, altri occhi, altro idioma……ed anche altra fauna e flora. Un’umanità bionda come il miele e ingenua come un fanciullo (a paragone dei suoi contemporanei nella luna fertile), immersa nel rigore di madre natura : nemmeno possono immaginarsi cosa accade al di fuori della mura di Gerusalemme quella mattina…..ma cosa diciamo, non sanno nemmeno che esiste una città con questo nome su una sponda orientale di un mare molto più ricco ed esteso di quanto immaginano, che chiamano Mediterraneo.
Per Kovikas questa è l’ultima delle preoccupazioni, mentre trasporta sulla schiena il cervo abbattuto per un pelo : lui sa solo quello che serve sapere e per prima cosa che è del popolo dei Prūsai (prussiani), in secondo luogo che deve tornare entro sera al proprio lauks (“comunità”) di appartenenza.
No, loro ,le tribù baltiche, sanno poco o NULLA di cosa accade a più di 50 km in linea d’aria di propri confini (confini di villaggio ovvero) in una beatitudine data dall’assenza di predatori naturali nell’arena geopolitica di ogni secolo (ma chi lo vuole il Baltico ?!).
Da quel mattino la terra gira attorno al sole circa 1200 volte…..e ancora poco è mutato. Il centinaio di tribù (aggregati di migliaia di clan), sono sempre al loro posto, e tuttora ignorano di Gerusalemme, Ponzio Pilato e tutto il resto. A chi può interessare ?
Esiste solo un macroscopico problema….se pure a loro non interessa, le vicende dei vangeli sono divenute legge divina per TUTTO il continente attorno a loro, ed ora si stanno avvicinando, metro dopo metro, impossessandosi d fiumi, laghi, colline. Tutta la madre terra dovrà ascoltare il nuovo testamento, loro, gli innocui abitanti del Baltico non costituiscono eccezione.
UNA di queste tribu’ chiama se stessa…..Prūsai (torniamo a noi).
Inizialmente un geografo del IX° secolo li aveva chimati “Brus”, ma alla fine verranno chiamati Prußen dall’elemento germanico che li invaderà : oggi la storia antica li ha catalogati “Prussiani antichi”. Una tribù baltica come altre che la circondano, ma con un privilegio storico : il proprio territorio ancestrale verrà scelto dall’ordine teutonico come base principale dell’espansione ad oriente, anzi diverrà…..il cuore e la carne della teutonicità. Questo territorio ha due vaghe delimitazioni : ad ovest la VISTOLA e ad est fino alla fascia costiera dell’odierna Lituania. Sono organizzati in LAUKS, micro-comunità senza forti legami tra loro, quasi come i “pagi” degli antichi liguri in Provenza al tempo di Roma : abbastanza per approntare una basilare difesa, ma non per superare il livello tribale e darsi alcuna struttura centralizzata.
Proprio questo è il problema : alle soglie del medioevo tardo i prussiani (quanto i propri cugini baltici), rimangono cristallizzati all’età delle denominazioni etno-tribali con le quali aveva a che fare la Roma antica, tra gruppi, sottogruppi e i rispettivi re e principi barbarici.
(CONTINUA)
 
PRUSSIA (note storiche) – cap. 2 di 5
Medioevo, ferro e fuoco*.
Siamo rimasti ai LAUKS e i racconti di caccia attorno al fuoco per i nostri amici prussiani dell’antichità.
Metà dei monarchi d’Europa vola (naviga) fino a Gerusalemme per liberarla dalle orde di Maometto e questi simpatici abitanti del Baltico nemmeno sanno cosa sia la Palestina (tantomeno perchè occorra liberarla).
Che connessione può esservi con le loro esistenze ? A prima vista nessuna (ma la “prima vista” in ottica storica è ASSAI ambigua, fuorviante).
Il problema è che l’innocenza inevitabilmente reca con sè un fondo di ignoranza, la quale, purtroppo è una colpa, o ne ha i medesimi effetti : i nostri allegri amici non conoscendo bene la mentalità e le regole delle dimensione cristiana del loro tempo, non ne vedono la pericolosità. Cosa principale, non realizzano il proprio status rispetto a questa nuova dimensione, come sono percepiti : una massa informe di infedeli pagani che brulica silenziosamente le valli che si stendono verso il Baltico, bisognosa di vedere la LUCE (veramente si potrebbe dire che “il resto è storia”).
In breve in prussiani godono di una triplice ignoranza : ignorano cosa avvenga in Terrasanta (passabile). Ignorano cosa sia una “crociata” (più grave). Ignorano….che saranno essi stessi oggetto, obiettivo della prossima d queste (FATALE).
Tutto si sviluppa naturalmente in tempi storici, ovvero è percepito appena dai contemporanei nel corso delle loro vite salvo eventi eccezionali che toccano l’animo, ma una sintesi brutale del processo può descriversi grossomodo così :
Verso l’anno 1000 un missionario (tal Adalberto) inviato dai re di Polonia finisce decapitato nel tentativo di convertire…il vangelo è respinto e segue un relativo vuoto di quasi un secolo e mezzo nel corso del quale i prussiani sono solo menzionati. In questa fase esiste una sola entità minacciosa ed è il regno medievale di Polonia più a sud, ansioso di cristianizzare le regioni mai civilizzate fino alle coste baltiche che ancora non possiede.
I monarchi polacchi nonostante un susseguirsi di iniziative militari dalle alterne fortune lungo il corso del XII° secolo, non alterano fondamentalmente la situazione, salvo render coscienti i prussiani che il mondo esterno esiste e che bisogna prepararsi alla difesa. Dopo questa animata interazione (1150-1200 grossomodo), agli inizi del 13° sec. la situazione prende una piega che dissolve lo stallo esistente : il pontefice Innocenzo III (quello della crociata andata stranamente a finire a Bisanzio anzichè in Palestina..[1204] ), commissiona ad un monaco della Pomerania la cristianizzazione della regione : si avrà quindi il primo vescovo di Prussia, sostenuto da principi polacchi e danesi. Costui tuttavia si ritrova de facto in territorio ostile con una popolazione prussiana ormai in assetto di guerra contro l’invasore cristiano……….
Si chiede aiuto ovunque, fino al giorno in cui appare la bolla papale (di Onorio III) che dichiara la cristianità in guerra contro i prussiani e tutti i loro fratelli del Baltico : la risposta dei pagani sono centinaia di monasteri e conventi bruciati nel giro di un anno. E’ l’inizio di quella che i nostri manuali oggi chiamano la “CROCIATA DEL NORD” (corre l’anno 1217).
Dopo un primo decennio di insuccessi viene assunto per l’alta opera niente meno che l’ordine teutonico, temprato da un trentennio di sangue e fuoco in terrasanta, agli ordini del grande maestro Hermann Von Salza.
I prussiani, direbbe il cinico, non avevano bisogno di sapere di Acri o Gerusalemme, dei cavalieri o dei loro ideali : erano destinati a ritrovarseli davanti a casa comunque.
La marcia teutonica verso oriente (seconda solo alla “Germania” di Tacito, per ispirazione romantica ai pangermanisti della modernità), inizia così, sulla base “legale” di una bolla papale (Rieti, 1234), una imperiale – Sacro romano impero (Rimini, 1226) e di un accordo preso coi polacchi nel 1230 : interpretati a posteriori (molto a posteriori) come ad ognuno fa comodo : ai principi di Polonia l’illusione di usare l’efficiente ordine teutonico come ariete per cristianizzare il Baltico e poi liberarsene con discrezione in cambio di una castagna secca (passatemi l’espressione). Al Papa l’illusione di ritrovarsi un territorio vergine direttamente sotto il controllo della santa sede sfruttando (….). All’imperatore della nazione germanica la lusinghiera speranza di veder estesi magicamente i propri confini ad est da questi battaglieri cavalieri in fondo tedeschi (forse vedevano i teutonici una propria estensione come fratelli di lingua ?).
Le leggi della storia (della geopolitica di ogni era) sono implacabili ed il possesso di qualsiasi cosa che valga è destinato a chi si è sporcato le mani per strapparla al precedente proprietario………ERGO, tutti gli scaltri dalle sacre vestigia sopramenzionati si ritroveranno splendidamente coglionati (passatemi di nuovo l’espressione), e nell’intrigo d’alto livello tra papato, impero e monarchi polacchi…..l’ordine teutonico (che si supponeva esser utilizzato, diciamo), dribbla tutti e crea il PROPRIO stato : un “regno” indipendente.
A parte questa personalissima interpretazione storica che condivido con chi mi legge, la conquista non sarà facile : a partire dal 1230 seguono oltre 30 anni di massacri e violenze….
(CONTINUA)
PRUSSIA (note storiche) – cap. 3 di 5
(provocato dall’iniziativa polacca in merito a Kaliningrad, ripropongo questa serie sulla storia della regione che la ospita).
Dunque : l’ordine teutonico, reduce della Terrasanta parte alla volta della pagana Prussia (1230). Quest’ultima è demograficamente meno popolata di quanto si pensasse (gli esperti di demografia antica affermano poco più di 150’000 unità alla vigilia del conflitto) e i cavalieri optano strategicamente di iniziare la penetrazione da occidente anzichè da sud come avevano tentato i polacchi, ovvero dalla Prussia occidentale (già parzialmente cristianizzata) patendo quindi da posizioni più stabili.
Seguono 15 anni di conflitto diretto, durante i quali inesorabilmente, villaggio dopo villaggio l’intero paese viene conquistato : quelli che chiamiamo “prussiani” (rammentiamolo), non sono nemmeno un insieme unito quanto un termine ombrello ad identificare una decina di tribù sprofondate nella natura vergine tra i llaghi Masuri ed il Baltico. E’ come una guerra tra pionieri armati e gli indiani del vecchio west : i primi avanzano passo a passo, i secondi si nascondono passano al contrattacco quando meno ce li si aspetta, sono capaci di brutalità anche superiori a quelle (già orrende) dell’occupante germanico….lo stadio barbarico in cui sono, non rende le tribù prussiane differenti dai capi celti, avanti Cristo, che tenevano le teste dei nemici appese davanti all’abitazione.
I teutonici si avvalgono anche dell’aiuto di un ordine defunto di cavalieri (“Milizia di Cristo della Livonia”) quasi distrutto nella lotto contro baltici e finni pagani, che diventa una branca autonoma dei teutonici sotto il nome di ordine livonico….o “Fratelli livonici della spada”.
Dopo una prima rivolta risalente al 1245 i prussiani occidentali sono sostanzialmente pacificati per gli anni 50, consentendo quindi la seconda fase dell’avanzata verso oriente….la più densamente popolata Samland viene conquistata in brevissimo tempo e porta alla fondazione di KONIGSBERG (futura capitale dello stato prussiano).
Segue una seconda GRANDE rivolta negli anni 60 del secolo, che rischia di cancellare tutto ciò che l’ordine teutonico ha costruito e sarà domata definitivamente dopo una dozzina di anni di lotta : il culto dei padri (o paganesimo) è ormai percepito dagli autoctoni come simbolo dell’antica libertà, contrapposta alla sottomissione che il cristianesimo portato da invasori alieni impone, ma le sorti della lotta sono ormai decise.
Risultato (sorvolando peripezie inenarrabili) : dopo 60 ANNI di conflitto continuo, sebbene a differenti intensità, la regione chiamata “Prussia” è definitivamente conquistata dall’ordine teutonico, che vi si insedia per i secoli a venire quasi fosse un nido ideale, una culla, sito della cellula embrionale di una nuova cultura….e così sarà.
Nasce il Deutschordensstaat, o Civitas Ordinis Theutonici. Lo stato monastico da loro fondato ; come si può intendere più che una guerra in senso convenzionale, delimitata cronologicamente ad un certo numero di anni, si tratta di un processo storico di medio corso che porta ad un fenomeno di sostituzione etnica.
I prussiani cessano di esistere come erano sempre esistiti : una parte è stata annientata dal calo demografico dovuto al conflitto, un’altra migrerà verso altri territori. I superstiti, presumibilmente ancora consistenti, verranno integrati a forza nel nuovo stato ovvero cristianizzati e germanizzati. Col tempo il vecchio idioma prussiano (appartenente al ceppo baltico occidentale), scomparirà lasciando traccia solo nelle annotazioni dei monaci che si occupavano della conversione della popolazione e dovevano occuparsene.
Al termine del medioevo il termine “prussiano” rimane ma mutando significato : da allora in poi non starà più ad indicare tribù baltiche e pagane, ma un’etnia germanica e cristiana (più tardi luterana). A ricordare la prussianità dell’antichità qualche fisionomia squadrata e innocente (tipica dei lituani..), e qualche forma di folclore negli spazi rurali (un po di streghe in Prussia, fino al 700).
In questa nuova forma, estremamente disciplinata ed inquadrata faranno parlare di sé nei secoli a venire…..
(nella carta, la massima espansione dello stato monastico)
(CONTINUA)

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È prematuro concludere che la Polonia abbia sostituito il ruolo della Germania nella guida della politica estera dell’UE_di ANDREW KORYBKO

È prematuro concludere che la Polonia abbia sostituito la Germania nel ruolo di guida della politica estera dell’UE

ANDREW KORYBKO
9 MAG 2023

La Polonia ha un’importanza senza precedenti al giorno d’oggi, ma la Germania continua a controllare la politica estera dell’UE. Ciò che è cambiato nell’ultimo anno, tuttavia, è che Berlino ha finalmente deciso di salire sul carro russofobico di Varsavia nel tentativo di guidare questa tendenza. I suoi politici hanno deciso di farlo per promuovere nel modo più efficace gli interessi nazionali del loro Paese, così come li intendono ora in questo nuovo ambiente. Il Cremlino deve riconoscere con urgenza questa realtà e formulare la politica di conseguenza.

L’ultima serie di analisi del Valdai Club per RT

Il direttore del programma del Valdai Club, Andrey Sushentsov, ha appena pubblicato su RT un articolo che spiega “Come i “nuovi” membri orientali dell’UE hanno preso il controllo del blocco”. Si tratta della terza analisi sulla Germania da parte di esperti del Valdai in due settimane, dopo quelle di Fyodor Lukyanov e Timofey Bordachev, che trattavano rispettivamente di “Come il Partito Verde ha trasformato la Germania in un Paese dell’Est” e di “Gli Stati Uniti stanno umiliando la Germania, e i russi sono profondamente delusi per la mancanza di spina dorsale delle élite di Berlino”.

Il filo conduttore che lega la serie di articoli è che la Germania ha perso la sua posizione di leader nella formulazione della politica estera dell’UE dall’inizio dell’operazione speciale della Russia. Lukyanov attribuisce questo fenomeno alla sproporzionata influenza politica esercitata dai Verdi radicali allineati agli Stati Uniti, Bordachev incolpa direttamente l’ingerenza degli Stati Uniti, mentre Sushentsov sostiene che la responsabilità è da attribuire alla rapida ascesa regionale della Polonia, alleata degli Stati Uniti. Come si può notare, tutte e tre le spiegazioni, in un modo o nell’altro, sono riconducibili agli Stati Uniti.

Critiche costruttive delle menti più brillanti della Russia

Per quanto perspicaci siano le analisi di questi esperti, ognuna di esse è tuttavia incompleta. Lukyanov non ha affrontato il ruolo della rapida ascesa regionale della Polonia, Bordachev sminuisce l’impatto a lungo termine del nuovo approccio regionale della Germania alla Russia (indipendentemente da ciò che c’è dietro), mentre Sushentsov ha concluso prematuramente che la Polonia ha già sostituito il ruolo della Germania nel guidare la politica estera dell’UE. Le analisi dei primi due esperti sono già state criticate a lungo in modo costruttivo nelle seguenti risposte:

* “Il nuovo ruolo anti-russo della Germania è parzialmente dovuto alla competizione regionale con la Polonia”.

* “La Russia deve ancora una volta prepararsi a una prolungata rivalità con la Germania”.

Il presente articolo intende quindi criticare costruttivamente la valutazione di Sushentsov per integrare le risposte sopra citate, il cui scopo è quello di articolare in modo esaustivo un’interpretazione contraria dell’attuale ruolo della Germania nella formulazione della politica estera dell’UE. Questa risposta in particolare sostiene che la sua conclusione secondo cui la Polonia avrebbe sostituito il ruolo della Germania in questo ambito è prematura, evidenziando al contempo alcune lacune nella spiegazione fornita nel suo articolo.

La fallacia ideologica delle élite occidentali

Per cominciare, Sushentsov ha ragione nell’osservare che “il conflitto mostra l’emergere di un nuovo equilibrio di potere in Europa”, guidato dalla rapida ascesa regionale della Polonia, ma è rispettosamente fuori strada nell’insinuare che questo avrebbe potuto essere evitato se l’UE non si fosse espansa a est. Il modello economico tedesco non è stato costruito solo sul carburante russo a prezzi accessibili, come ha giustamente osservato, ma anche sull’accesso ai mercati emergenti dell’ex blocco orientale, tra i quali quello polacco è di gran lunga il più grande in questa parte d’Europa.

La securizzazione dei legami con la Russia, storicamente determinata da questo Paese e dai suoi partner baltici, li ha spinti a dare priorità all’integrazione nell’UE a guida tedesca e nella NATO a guida statunitense, strutture egemoniche occidentali complementari che si sono espanse verso est parallelamente l’una all’altra. Berlino le ha accettate per motivi economici, mentre Washington è stata motivata da fattori militari, che sono serviti entrambi a far progredire la loro comune visione del mondo unipolare liberale-globalista, descritta nei due collegamenti ipertestuali precedenti.

L’Europa centrale e la Cina hanno screditato la visione liberale-globalista del mondo

Di rilievo per questo articolo è la convinzione dogmatica dell’ideologia dell’inevitabile erosione delle identità etno-nazionali a favore di quelle sovranazionali, come l’associazione con l’Europa o con l’Occidente in senso più ampio, ma questo assunto è stato screditato dalle tendenze socio-culturali interne in Polonia e negli Stati baltici. Questi Paesi si sono mossi nella direzione opposta, facendo dell’identità etno-nazionale il pilastro dei loro Stati post-comunisti, pur continuando a integrarsi in quelle strutture politico-militari sovranazionali.

Questo è simile a ciò che è accaduto dopo che l’Occidente ha integrato la Cina nelle sue strutture economiche sovranazionali come l’Organizzazione Mondiale del Commercio. I loro leader pensavano che questo avrebbe inevitabilmente portato all’integrazione politica del Paese nel loro previsto ordine mondiale liberal-globalista, ma la Cina ha mantenuto il pilastro economico della sua statualità post-rivoluzionaria, proprio come la Polonia e gli Stati baltici hanno mantenuto l’identità etno-nazionale dei loro Stati post-comunisti. Entrambi i progetti di costruzione della nazione sono quindi falliti.

L’influenza delle tendenze russofobiche e del multipolarismo finanziario

Di conseguenza, ognuno di loro ha cercato di portare avanti gli interessi allineati con i rispettivi pilastri dei loro Stati all’interno delle strutture in cui si sono integrati con successo. La Polonia e gli Stati baltici hanno spinto la russofobia all’interno dell’UE-NATO, mentre la Cina ha spinto il multipolarismo finanziario all’interno dell’OMC. Ognuno di essi ha finito per avere un successo strepitoso, anche se in gran parte dovuto a circostanze al di fuori del loro diretto controllo: la guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina e la crisi finanziaria del 2008.

Non è compito di questo articolo spiegarne le origini, ma la presente analisi si occupa della prima, mentre la seconda è dovuta principalmente alla dilagante finanziarizzazione dell’economia globale. La guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina ha creato il contesto narrativo in cui la Polonia e gli Stati baltici hanno potuto spingere con successo la russofobia in Occidente, mentre la crisi finanziaria del 2008 ha creato le condizioni in cui la Cina ha potuto spingere con successo il multipolarismo finanziario nel Sud globale.

La russofobia e il multipolarismo finanziario sono stati quindi abbracciati da molti in Occidente e nel Sud globale, il che ha messo in moto una serie di eventi in rapida evoluzione che hanno rimodellato le politiche di paesi diversi da quelli che erano stati i primi responsabili di queste tendenze. Ciò ha portato la Germania, economicamente pragmatica e amica della Russia, a formulare una grande strategia russofoba, proprio come l’Arabia Saudita, detentrice del dollaro e alleata degli Stati Uniti, sembra pronta a formularne una basata sul multipolarismo finanziario.

I ruoli di Germania e Arabia Saudita nell’ordine mondiale emergente

In ciascuno di questi due esempi, coloro che in precedenza erano molto indietro rispetto a queste tendenze hanno cercato di recuperare il tempo perduto e di svolgere un ruolo di primo piano in esse, da quando hanno capito che non si può tornare allo status quo precedente alla guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina e alla crisi finanziaria del 2008, rispettivamente. La tendenza russofoba di cui sono responsabili la Polonia e gli Stati baltici non può essere sostenuta senza la Germania, così come la tendenza al multipolarismo finanziario della Cina non può avere successo senza l’Arabia Saudita.

Entrambi avrebbero preferito mantenere tutto com’era per quanto riguarda i legami economici tra Germania e Russia e quelli finanziari tra Arabia Saudita e Stati Uniti, ma ognuno di loro riconosce anche che le circostanze al di fuori del loro controllo sono responsabili del cambiamento di questi legami. Berlino si è avvicinata molto agli Stati Uniti, mentre Riyadh si sta avvicinando molto alla Cina, poiché ognuna di queste superpotenze è responsabile dell’avvio delle tendenze russofobiche e del multipolarismo finanziario che hanno ridisegnato questi assi.

Simbiosi strategica tra Germania-Polonia e Arabia Saudita-Cina

Gli Stati Uniti sono responsabili della guerra per procura NATO-Russia che ha portato la russofobia della Polonia e degli Stati baltici a diventare la norma in tutto l’Occidente, mentre la Cina è responsabile del radicamento della de-dollarizzazione in tutto il Sud globale nel decennio e mezzo successivo alla crisi finanziaria del 2008. La Polonia è ancora il maggior beneficiario dei programmi economici dell’UE a guida tedesca, mentre il petroyuan, da cui dipendono i piani di multipolarità finanziaria della Cina, non può avere successo senza il sostegno saudita.

Invece di sfruttare queste relazioni per frenare queste tendenze, la Germania e l’Arabia Saudita hanno deciso di svolgere ruoli di primo piano in ognuna di esse, poiché hanno concluso che non è possibile tornare allo status quo precedente ed è quindi nel loro interesse nazionale non essere lasciati indietro. La Germania ha quindi deciso di guidare il contenimento della Russia in Europa, le cui origini spirituali nel continente risalgono più recentemente alla Polonia e agli Stati baltici, alleati degli Stati Uniti, mentre l’Arabia Saudita è pronta ad accelerare la de-dollarizzazione guidata dalla Cina.

Spunti analitici

Da queste osservazioni si possono trarre diversi spunti analitici per quanto riguarda il ruolo della Germania nel guidare la politica estera dell’UE, su cui tre esperti del Valdai Club si sono già espressi per RT nell’arco di appena mezzo mese. In primo luogo, la cosiddetta “fine della storia” che l’élite liberal-globalista a guida tedesca dell’UE e americana della NATO si aspettava dopo il 1991 non si è realizzata nemmeno all’interno dello stesso Occidente, come dimostra la priorità data dalla Polonia e dagli Stati baltici alle politiche etno-nazionali.

In secondo luogo, lo status di queste politiche come pilastro degli Stati post-comunisti di questi Paesi li ha influenzati a spingere i relativi interessi politici all’interno delle strutture egemoniche occidentali in cui si sono integrati con successo. In terzo luogo, la guerra per procura tra NATO e Russia in Ucraina, scoppiata per ragioni al di fuori del loro controllo, ha creato il contesto narrativo all’interno del quale la Polonia e gli Stati baltici hanno potuto spingere con successo la russofobia in tutto l’Occidente, come hanno già cercato di fare per decenni.

In quarto luogo, la sequenza di eventi che ne è derivata ha portato altri Paesi, come la Germania, a concludere che è impossibile ripristinare lo status quo precedente e a cercare quindi di salire sul carro dei vincitori per perseguire i propri interessi nazionali, così come i politici li intendono ora in questo nuovo ambiente. E in quinto luogo, lungi dal cedere il controllo della politica estera dell’UE alla Polonia, la Germania sta attivamente competendo con essa per stabilire quale delle due possa contenere più efficacemente la Russia in Europa.

Riflessioni conclusive

Applicando la visione di cui sopra all’ultima serie analitica del Valdai Club per RT, tre delle menti più brillanti della Russia possono essere criticate in modo costruttivo per quanto segue: Lukyanov ignora il ruolo della Polonia, Bordachev minimizza quello di politica interna e Sushentsov esagera il ruolo della Polonia. Tutti hanno ragione nel ricondurre questa tendenza agli Stati Uniti, ma faticano a valutare con precisione il ruolo della Polonia e l’influenza che ha avuto sui politici tedeschi.

La Polonia ha un’importanza senza precedenti oggi, ma la Germania continua a controllare la politica estera dell’UE. Ciò che è cambiato nell’ultimo anno, tuttavia, è che Berlino ha finalmente deciso di salire sul carro russofobico di Varsavia nel tentativo di guidare questa tendenza. I suoi politici hanno deciso di farlo per promuovere nel modo più efficace gli interessi nazionali del loro Paese, così come li intendono ora in questo nuovo ambiente. Il Cremlino deve urgentemente riconoscere questa realtà e formulare la politica di conseguenza.

La Russia deve ancora una volta prepararsi a una prolungata rivalità con la Germania

ANDREW KORYBKO
27 APR 2023

Prima la comunità degli esperti russi abbandonerà le speranze di un riavvicinamento con la Germania, prima il Cremlino potrà promulgare le politiche appropriate per contenere questa minaccia latente prima che sia troppo tardi.

I massimi esperti russi Fyodor Lukyanov e Timofey Bordachev hanno pubblicato su RT due analisi consecutive sulle relazioni del loro Paese con la Germania, che suggeriscono entrambe un certo wishful thinking. Il primo è stato criticato in modo costruttivo in questa sede, in quanto ha omesso di menzionare la competizione regionale della Germania con la Polonia come fattore alla base del suo nuovo ruolo anti-russo. Al secondo, invece, si risponderà nel presente pezzo che si rivolgerà anche alla comunità degli esperti russi in generale.

L’estate scorsa, il Presidente Putin ha messo in guardia gli analisti del suo Paese dall’indulgere in pensieri velleitari, parlando al personale in servizio e ai veterani del Servizio segreto estero (SVR) in occasione del centenario della fondazione della struttura da parte dell’URSS. Ha consigliato che “l’analisi deve essere realistica, obiettiva e basata su informazioni verificate e su un’ampia gamma di fonti affidabili. Non si deve indulgere in pensieri velleitari”, che è esattamente ciò che si deve tenere a mente riguardo alle relazioni della Russia con la Germania.

Nel loro insieme, gli articoli di Lukyanov e Bordachev lasciano intendere che i legami potrebbero migliorare nel caso in cui i Verdi non influenzassero la formulazione della politica estera del Paese. Se è vero che la destra e la sinistra tedesche condividono la necessità di migliorare i legami con la Russia per ripristinare l’accesso affidabile del Paese all’energia a basso costo, che ha costituito la base del suo modello economico di grande successo per decenni, non si può dare per scontato che una delle due guiderà la Germania a breve.

Invece di sperare che questo scenario si realizzi nel prossimo futuro, la Russia deve prepararsi ancora una volta a una rivalità prolungata con la Germania. A differenza degli anni Trenta, questa non è predestinata a sfociare in un’altra guerra mondiale, ma evoca effettivamente le sfumature della guerra per procura nazi-sovietica in Spagna quando si tratta del crescente ruolo militare di Berlino nella guerra per procura della NATO contro la Russia attraverso l’Ucraina. Gli esperti russi dovrebbero considerare questo sviluppo come un punto di svolta nelle relazioni bilaterali con la Germania.

Non si può tornare indietro dopo quello che Berlino ha appena fatto, poiché la sua leadership ha chiaramente segnalato alla Russia che si considera davvero in una Nuova Guerra Fredda con Mosca sul futuro dell’ordine mondiale emergente ed è disposta a uccidere indirettamente i russi in Ucraina per far avanzare la propria agenda. Il Cancelliere Scholz è un “leader debole”, esattamente come ha valutato Bordachev nella sua analisi per RT, ma il manifesto che ha svelato negli Stati Uniti all’inizio di dicembre a nome della sua burocrazia permanente dovrebbe essere preso sul serio.

È stato analizzato a lungo qui, ma può essere riassunto come la Germania che finalmente dichiara le sue ambizioni egemoniche, già percepibili durante l’era della Merkel. A metà marzo, il segretario del Consiglio di sicurezza nazionale russo Nikolai Patrushev ha dichiarato che “per anni la Casa Bianca ha controllato [l’ex cancelliere] Angela Merkel”, il che ha indotto a rivalutare la sua eredità dopo che molti, sia nella comunità degli Alt-Media che in quella degli esperti russi, l’avevano erroneamente considerata amichevole.

La sua candida ammissione, all’inizio di dicembre, che gli accordi di Minsk erano solo un espediente per riarmare Kiev in vista di un’offensiva finale contro il Donbass sostenuta dalla NATO, ha dimostrato che la Germania ha sempre cospirato contro la Russia, ma la sua stretta relazione con il Presidente Putin ha fuorviato il Cremlino. È comprensibile, col senno di poi, che la comunità di esperti russi abbia creduto alle sue operazioni di influenza ad alto livello, ma i pezzi di Lukyanov e Bordachev suggeriscono che essa è ancora aggrappata alle speranze di un riavvicinamento.

Con il massimo rispetto per entrambi, si tratta di esperti razionali che faticano a riconoscere che i loro colleghi tedeschi non vedono più le relazioni con la Russia come reciprocamente vantaggiose, ma come un peso per ragioni ideologiche e geopolitiche. Il primo si riferisce alla loro visione del mondo liberal-globalista, completamente in contrasto con quella conservatrice-sovranista della Russia, i cui dettagli possono essere letti nei precedenti collegamenti ipertestuali, mentre il secondo è stato trattato nella precedente risposta a Lukyanov.

La visione del mondo polarmente opposta della Germania e la competizione regionale con la Polonia per l’influenza sull’Europa centrale e orientale (CEE), in particolare sull’Ucraina ma anche sulla Bielorussia, rendono inevitabile la sua prolungata rivalità con la Russia. Tutto si è già spostato troppo avanti su questa traiettoria per essere invertito, soprattutto dopo che Scholz ha presentato il suo già citato manifesto egemonico all’inizio di dicembre, che può essere considerato come una promulgazione della prolungata rivalità della Germania con la Russia nella politica ufficiale.

Non si può tornare indietro dopo che il proverbiale Rubicone è stato appena attraversato, e aggrapparsi alla speranza che tutto possa presto cambiare è solo un meccanismo di coping per coloro che sono ancora sotto shock dopo ciò che è appena accaduto. Invece di rimanere nella fase di negazione o di attribuire tutto a un singolo partito politico, gli esperti russi devono riconoscere con urgenza questo stato di cose, approvato dalla burocrazia permanente della Germania. Poiché la Germania si sta preparando a una prolungata rivalità con la Russia, quest’ultima non ha altra scelta che fare altrettanto.

Di conseguenza, la Russia dovrebbe porre la Germania nella stessa categoria degli Stati Uniti e del Regno Unito, percependola come un rivale interminabile invece che come un possibile partner. Tutti e tre funzionano come parti complementari dell’egemone liberal-globalista che si contende il dominio del mondo nella nuova guerra fredda. A meno che non si verifichi l’evento del cigno nero dell’assunzione del cancellierato da parte dell’AfD o di Die Linke, che l’élite al potere in Germania cospirerà con i suoi alleati anglo-americani per fermare con le buone o con le cattive, questa è la “nuova normalità”.

Qualsiasi segnale di dissenso interno dovrebbe essere ignorato dagli esperti russi, poiché è molto improbabile che rappresenti una tendenza emergente. I gestori della percezione della Germania potrebbero addirittura maliziosamente ritrarli per fuorviare Mosca, soprattutto se le sue agenzie di intelligence valutano che i politici rimangono illusi sulla possibilità di un riavvicinamento, come suggeriscono gli ultimi articoli di Lukyanov e Bordachev, il che potrebbe ritardare ulteriormente la formulazione di una risposta appropriata da parte del Cremlino.

In prospettiva, si prevede che la rivalità russo-tedesca definirà il fronte europeo della nuova guerra fredda, in particolare la sua dimensione ideologica, dal momento che entrambi sposano visioni del mondo completamente diverse. Attualmente, le ambizioni continentali della Germania sono in parte tenute sotto controllo dall’ascesa della Polonia come Grande Potenza nello spazio CEE, ma la potenziale sconfitta del partito di governo “Diritto e Giustizia” (PIS) alle elezioni di quest’autunno potrebbe trasformare il Paese in uno Stato cliente se l’opposizione sostenuta da Berlino andasse al potere.

Anche se il PIS manterrà la sua posizione di leader, indipendentemente dal fatto che entri in coalizione con il partito anti-establishment Confederazione, la Germania rimarrà il principale rivale della Grande Potenza russa in Europa per le ragioni geopolitiche e ideologiche che sono state spiegate in questa analisi. Quanto prima la comunità di esperti russi abbandonerà le speranze di un riavvicinamento con la Germania, tanto prima il Cremlino potrà promulgare le politiche appropriate per contenere questa minaccia latente prima che sia troppo tardi.

Il nuovo ruolo anti-russo della Germania è in parte dovuto alla competizione regionale con la Polonia

ANDREW KORYBKO
25 APR 2023

Le motivazioni ideologiche e le oscure reti di influenza degli Stati Uniti sono sufficienti a spiegare il passaggio della Germania da primo partner della Russia in Europa a uno dei suoi principali avversari. L’ultima analisi di Fyodor Lukyanov, esperto russo di primo piano, avrebbe probabilmente beneficiato dell’inserimento di una dimensione geopolitica per quanto riguarda la competizione regionale della Germania con la Polonia.

Il presidente del Consiglio per la politica estera e di difesa e direttore di ricerca del prestigioso Valdai Club Fyodor Lukyanov, le cui posizioni lo rendono uno dei principali influencer politici russi, ha osservato nella sua ultima analisi per RT che “il Partito Verde ha trasformato la Germania in un Paese dell’Est”. Secondo Lukyanov, “la Germania si è ora spostata verso una posizione convenzionale dell’Europa orientale (nei confronti della Russia), così come in precedenza era stata un pilastro del normale posizionamento dell’Europa occidentale”.

Lukyanov ritiene che ciò sia principalmente attribuibile all’influenza che i Verdi stanno esercitando sulla grande strategia della Germania, alla quale, a suo dire, vengono ora promesse ulteriori garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti in cambio dell’abbandono del precedente pragmatismo e dell’autonomia economica strategica nei confronti della Russia. Questa è una spiegazione ragionevole di come gli Stati Uniti abbiano affermato con successo la loro egemonia, precedentemente in declino, sul leader de facto dell’UE, ma c’è dell’altro, con tutto il rispetto per questo esperto.

Le motivazioni ideologiche e le oscure reti di influenza degli Stati Uniti possono spiegare solo in parte il passaggio della Germania da primo partner della Russia in Europa a uno dei suoi principali avversari. L’analisi di Lukyanov potrebbe trarre vantaggio dall’inserimento di una dimensione geopolitica nella competizione regionale della Germania con la Polonia, la quale intende ripristinare la sua “sfera d’influenza”, da tempo perduta, e persino ampliarla. A tal fine, nell’ultimo anno la Polonia ha enfatizzato la minaccia tedesca all’Europa centrale e orientale (CEE).

Ha sfruttato la percezione della visibile riluttanza di Berlino, fin dall’inizio dell’operazione speciale della Russia, a svolgere un ruolo di primo piano nella conseguente guerra per procura della NATO lungo le linee di Varsavia e degli Stati baltici, per temere che la Germania potesse essere segretamente in combutta con il Cremlino. Dopo aver fatto leva su ricordi storici estremamente delicati legati al Patto Molotov-Ribbentrop, la Polonia è stata in grado di esercitare la massima pressione sulla Germania affinché abbandonasse il suo precedente pragmatismo nei confronti di Mosca.

I fattori precedentemente identificati dell’ideologia liberal-globalista e dell’influenza oscura degli Stati Uniti hanno fatto sì che il timore a somma zero di alcuni politici tedeschi che la Polonia sia pronta a sostituire l’influenza del loro Paese sui Paesi dell’Europa centrale e orientale nel corso di questo conflitto abbia portato al previsto pivot anti-russo degli Stati Uniti. Se non fosse stato per i due fattori sopra citati, questo stesso timore non sarebbe stato messo in atto, ma si può anche dire che questo timore ha influenzato la politica che questi due fattori hanno influenzato.

Invece di esserci due ragioni primarie per cui la Germania ha iniziato il suo pivot anti-russo, ce ne sono in realtà tre, con le prime due che Lukyanov ha identificato che hanno una relazione simbiotica con la terza che è stata introdotta in questa analisi. I timori geopolitici nei confronti della Polonia hanno portato alla preventiva creazione di un quadro di contingenza che è stato poi messo in atto grazie a catalizzatori ideologico-influenzali interconnessi. Se uno di questi fattori non fosse stato presente, probabilmente la Germania non avrebbe fatto perno sulla Russia.

Per stessa ammissione dell’ex Cancelliere Merkel, è ormai noto che Berlino non ha mai avuto alcuna intenzione di rispettare gli accordi di Minsk, cercando invece di sfruttarli per riarmare Kiev in vista di un’offensiva finale contro il Donbass. Ciò dimostra che la Germania ha cercato di espandere la propria influenza fino alle regioni più lontane della CEE per tutto questo tempo, ma questo grande obiettivo strategico è stato bruscamente messo in discussione dall’operazione speciale della Russia e dal ruolo di primo piano che la Polonia si è assegnata nel combattere la guerra per procura della NATO.

Nonostante i fattori ideologici e di influenza che già esercitavano un’influenza sulla politica tedesca all’inizio di questo conflitto, non erano abbastanza potenti da soli per far sì che la Germania giocasse un ruolo uguale a quello della Polonia. I politici potrebbero aver pensato, a torto, che sarebbe finita in poche settimane o al massimo in un mese, scommettendo così che fosse meglio mantenere una politica relativamente più pragmatica nei confronti della Russia, nonostante la sua adesione alle richieste di sanzioni degli Stati Uniti.

È stato solo dopo che è apparso evidente che il conflitto si sarebbe probabilmente protratto nel tempo che hanno iniziato a valutare se cambiare la loro posizione assumendo un qualche ruolo militare in risposta all’immensa pressione di competere con la Polonia per i cuori e le menti nella CEE. Dal punto di vista degli Stati Uniti, era utile incoraggiare queste dinamiche per evitare di dipendere troppo dalla Polonia come primo partner europeo dopo la fine del conflitto e per far sì che la Germania rovinasse i suoi legami con la Russia.

La confederazione de facto annunciata da Polonia e Ucraina dopo il viaggio del presidente Duda a Kiev a fine maggio 2022 ha fatto temere alla Germania che il suo vicino potesse batterla nella competizione per diventare il più importante partner dell’Ucraina dopo il conflitto. Questo sviluppo, unito alle crescenti pressioni di soft power esercitate dalla Polonia nei Paesi dell’Europa centrale, ha fatto sì che la Germania prendesse finalmente in considerazione un ruolo maggiore in questa guerra per procura, culminata con il manifesto egemonico del Cancelliere Scholz, presentato negli Stati Uniti lo scorso dicembre.

Tutto ciò che è seguito riguardo al crescente ruolo della Germania come Grande Potenza anti-russa può essere collegato a quel precedente manifesto, che è stato analizzato a lungo nel collegamento ipertestuale incorporato per quei lettori intrepidi che desiderano saperne di più. Questa grande strategia non sarebbe stata condivisa con il pubblico se non fosse stato per la confluenza di fattori ideologici, di influenza e geopolitici, dimostrando così l’importanza di tutti e tre e in particolare dell’ultimo.

Tornando all’analisi di Lukyanov, essa è ovviamente molto perspicace, ma rimane incompleta in quanto manca il fattore polacco, che spiega perché gli altri due hanno portato alla fine dell’anno scorso a una svolta antirussa della Germania e non subito dopo l’inizio dell’operazione speciale. In ogni caso, la sua conclusione che la Germania è oggi uno dei principali oppositori della Russia è significativa perché si può intuire che rifletta le opinioni dei suoi colleghi influenti in materia di politica, il che non lascia presagire nulla di buono per il futuro dei legami bilaterali.

https://korybko.substack.com/p/its-premature-to-conclude-that-poland

https://korybko.substack.com/p/russia-needs-to-once-again-brace

https://korybko.substack.com/p/germanys-new-anti-russian-role-is

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OLAF SCHOLZ: L’ALTRA EUROPA GEOPOLITICA_di Olaf Scholz

Il discorso del cancelliere tedesco Olaf Scholz, qui tradotto, tenuto il 9 maggio al Parlamento Europeo, preceduto da un saggio-manifesto sulla rivista statunitense “Politico” a dicembre, anch’esso a suo tempo tradotto, rivela sostanzialmente due aspetti più volte rimarcati su questo sito: in Europa le spinte all’autonomia e all’indipendenza politica, sia pure flebili, esistono ma non riescono a trovare una espressione politica compiuta e matura; l’attuale compagine governativa tedesca, di fatto il ceto politico nella sua quasi totalità, si pone comunque agli antipodi di questa aspirazione. Li si coglie in ogni punto di questo discorso nel momento in cui:

  • definisce imperialistica la politica estera russa, quando il suo carattere prevalente è nazionalista. Un carattere alimentato soprattutto dalla natura espansionista della NATO, ben assecondata dal processo di allargamento della Unione Europea e dagli atti di aperta discriminazione delle popolazioni russe rimaste intrappolate nei nuovi stati scaturiti dall’implosione della Unione Sovietica;
  • ripropone una funzione ancillare alla Unione Europea quando definisce nella mera regolazione e normazione in punta di diritto dei rapporti e delle relazioni internazionali, siano esse di natura economica che diplomatica, la ragione di esistenza delle istituzioni europee, delegando con ciò ad altri la riserva di potenza necessaria a supportare autorità ed autorevolezza; una riproposizione della coltre di ipocrisia tesa che ha coperto per decenni la reale ragione d’esistenza della UE, consistita nello scindere il nesso tra forza e diritto e nel nascondere con sempre più ridotta efficacia sotto l’aura della forza propria del diritto la propria condizione di sudditanza.

Aspetti, quindi, dalle implicazioni politiche ormai evidenti e stridenti con una postura dignitosa nell’attuale contesto geopolitico. 

Di fatti, dopo qualche timido tentennamento iniziale, il leader tedesco non fa che traslare pedissequamente il peccato d’origine e la ragione d’esistenza antisovietica e filostatunitense della Unione Europea in quella antirussa, per meglio dire russofobica.

Una vera e propria, formale abdicazione da un ruolo autonomo compiuto, mai realmente considerato ed acquisito in questi ottanta anni.

Tre sono gli obbiettivi politici posti da Scholz:

  • l’accelerazione del processo di allargamento della UE, in particolare nei Balcani e ai confini della Russia. Il risultato sarà quello di accompagnare il ben più importante e strategico allargamento della NATO all’ulteriore indebolimento politico di una Unione incapace di formare un polo politico autonomo realmente coeso, magari più ristretto, però più efficace; in grado, quindi, di aggregare o quantomeno influenzare il resto del continente senza cercare contrapposizioni forzate con la Russia e la Cina;
  • una maggiore coesione ed efficacia decisionale interna con il voto a maggioranza in politica estera, di difesa e di immigrazione. L’assenza della rivendicazione di una politica industriale e finanziaria comune, come pure il mancato inserimento del contenzioso commerciale con gli Stati Uniti la dice lunga sul reale afflato unitario del suo proclama. Riguardo alla politica estera, la vera natura della UE, ossia la mancanza di una visione statuale unitaria del continente, emerge dal continuo strattonamento sulle priorità da definire e sull’assenza di definizione politica unitaria rispetto ai tutti e quattro i quadranti geografici che contornano il continente. Una definizione cui non si può pervenire con un voto a maggioranza, ma con una sintesi unitaria che al momento e nel futuro solo gli Stati Uniti sono in grado di garantire. Quanto alla politica di difesa e di sviluppo del complesso militare-industriale europeo, parlano da soli l’assenza di citazione dei progetti industriali comuni europei e il veto tedesco alla proposta francese di garantire all’industria europea l’esclusiva delle forniture ai propri eserciti;
  • il ripristino e il mantenimento della apertura e della cooperazione globale. Delle due l’una: siamo alla totale incomprensione della nuova fase geopolitica e geoeconomica verso cui ci si sta avviando nell’aspettativa illusoria del ritorno agli antichi fasti che hanno consentito alla Germania di lucrare copiosamente sulla propria posizione ancillare verso gli Stati Uniti e sub-egemonica in Europa; oppure siamo alla riproposizione di una funzione messianica e universalista del liberalismo occidentale, di fatto a guida statunitense, contrapposta anche fisicamente nelle varie parti del globo ai poli in formazione in un contesto multipolare ormai esplicitamente riconosciuto dallo stesso Scholz. Si tratta certamente, con questa considerazione, di allettare con un miraggio la stessa Cina per allontanarla dalla crescente tentazione di una alleanza stretta con la Russia capace di attrarre larga parte del mondo circostante. Lo sguardo di Scholz è però rivolto soprattutto all’interno dell’Europa. La sua visione ecumenica tende a contrastare l’emersione di rivali interni, in particolare la Polonia, con il corollario dei paesi scandinavi da una parte e dei paesi baltici e la Romania dall’altra, altrettanto e più congeniali agli attuali disegni statunitensi, i quali paesi hanno fondato sul nazionalismo straccione le proprie profferte di fedeltà atlantica.

L’ambizione ancillare di Scholz, della sua compagine e di gran parte della opposizione politica è certamente fondata. Posta di fronte ad un bivio, la Germania ha scelto la strada più facile ed apparentemente meno impegnativa. Tra il recupero dei cocci della sua sfera di sub-influenza nel vicinato e la prospettiva di rapporti più intensi con Russia e, presumibilmente, Cina ha scelto la prima pur di non contrariare l’attuale leadership statunitense. Con questo ha posto una pietra tombale sul timido tentativo di impostare una propria politica di influenza sull’Europa Orientale e la Russia, naufragata miseramente e tragicamente a cavallo degli anni 80/90 con l’assassinio di Herrhausen e Roewedder. Sholz dovrà passare, però, per il nodo scorsoio del campo d’azione geopolitico più ristretto e competitivo e per le crescenti e rapaci richieste, di fatto un vero e proprio saccheggio, esatte dagli Stati Uniti, ben lontane dai lauti margini concessi nei gloriosi trenta (quaranta) anni succeduti al secondo conflitto mondiale. Il nostro corre il rischio da un lato di agevolare la formazione di un cappio in grado di stringere il proprio paese da ovest con il Regno Unito, da Nord con gli scandinavi, da est con Polonia e soci e di alimentare dall’altro le rivalità interne al continente anche tra i paesi più importanti. L’esito prevedibile consisterà nell’innescare una gara convulsa al riconoscimento del proprio ruolo ancillare verso la nazione egemone; Giorgia Meloni e il suo governo ne sono l’ultimo esempio. La leadership statunitense sino a quando sarà in grado di tenere le redini e condurre il gioco, riuscirà a contenere e ricondurre ai propri disegni ambizioni e rivalità; dovesse implodere rischieremo il ritorno a scenari tragici già vissuti due volte nel secolo scorso, ma in condizioni peggiori di disfacimento. Buona lettura, Giuseppe Germinario

OLAF SCHOLZ: L’ALTRA EUROPA GEOPOLITICA
Scholz sta diventando il nuovo think tank del continente? Nel suo discorso al Parlamento europeo del 9 maggio, il Cancelliere tedesco ha proposto una formulazione alternativa dell’Unione geopolitica, opposta a quella di un’Europa potenza immersa nel mito della civiltà. Lo traduciamo e lo commentiamo riga per riga per la prima volta.
AUTORE PIERRE MENNERAT

Il discorso di Olaf Scholz per la Giornata dell’Europa prosegue una serie di interventi iniziata a Praga nel settembre 2022 e guarda già alle prossime elezioni europee del 2024. Questo discorso commemorativo non è una dichiarazione politica generale, ma ci permette di cogliere alcuni dei punti chiave della politica europea della coalizione tricolore in carica dal novembre 2021: il Cancelliere elogia l’Unione e ne presenta anche una concezione specificamente tedesca.

Si tratta indubbiamente di una volontà di “occupare spazio” in Europa e di sottrarre al presidente francese – indebolito dalla crisi sociale in Francia – una forma di leadership nell’agenda. Lo stile non è dissimile da quello di Emmanuel Macron. Come lui, Olaf Scholz fa largo uso di riferimenti, mescolando citazioni politiche (Robert Schuman e Willy Brandt) e letterarie (Paul Valéry e Oscar Wilde) per arricchire il suo discorso.

Il Cancelliere pronuncia un discorso che è una variante dello slogan socialdemocratico “L’Europa è il nostro futuro”, messo in prospettiva rispetto alla frattura civile rappresentata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Tuttavia, l’Europa che Scholz descrive non deve essere una “potenza vecchio stile”, ma deve essere “aperta” – geograficamente ai nuovi Stati membri, economicamente agli accordi di libero scambio e all’innovazione, e geopoliticamente all’alleanza transatlantica.

Signora Presidente,

Signore e Signori,

Vi ringrazio per l’opportunità di parlare con voi in questo luogo speciale oggi, nella Giornata dell’Europa. Sono onorato e commosso dal vostro invito. Mi onora perché voi, deputati liberamente eletti, rappresentate 450 milioni di europei – i cittadini d’Europa.

E mi commuove perché il 9 maggio è l’unica risposta valida per il futuro alla guerra mondiale scatenata dalla Germania, al nazionalismo distruttivo e alla megalomania imperialista.

Oggi, 73 anni fa, il ministro degli Esteri francese Robert Schuman propose di creare una nuova “Europa organizzata e viva”.

All’inizio c’era la collettivizzazione del carbone e dell’acciaio, i beni che per decenni erano stati utilizzati per produrre armi, armi che i nostri nonni e bisnonni hanno messo gli uni contro gli altri. Il sogno dei padri e delle madri d’Europa era quello di porre fine a questa uccisione reciproca. Per noi questo sogno si è avverato: la guerra tra i nostri popoli è diventata inconcepibile, grazie all’Unione Europea e per la felicità di tutti noi.

Ma se vi guardate intorno, vedrete che questo sogno non è una realtà in tutti i Paesi europei. A costo di molte vittime, gli ucraini difendono ogni giorno la loro libertà e democrazia, la loro sovranità e indipendenza contro la brutalità dell’esercito russo invasore, e noi li sosteniamo in questo.

I padri e le madri dell’Europa hanno già attribuito all’Europa una missione che va ben oltre la pacificazione dei suoi confini. Per loro era ovvio: l’Europa ha una responsabilità globale, perché il benessere dell’Europa non può essere separato dal benessere del resto del mondo.

La Dichiarazione Schuman afferma: “Questa produzione”, cioè il carbone e l’acciaio, “sarà offerta al mondo intero senza distinzioni o esclusioni, per contribuire all’innalzamento del tenore di vita e allo sviluppo di opere di pace. L’Europa sarà in grado, con maggiori mezzi, di perseguire uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano.

Lo “sviluppo del continente africano” era allora contrapposto allo sfruttamento coloniale perpetrato dall’Europa sul nostro vicino continente.

Ecco perché affrontare le conseguenze del colonialismo deve essere parte integrante di ogni partenariato con i Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Un partenariato che scarti la visione eurocentrica del passato. Un partenariato che non si limiti a proclamare l’uguaglianza, ma la metta in pratica. Costruire tali partenariati è più importante che mai.

Nell’Unione vivono 450 milioni di cittadini, forse 500 milioni dopo il prossimo allargamento. Si tratta solo del 5% della popolazione mondiale. In Asia, Africa e Sud America stanno emergendo nuovi pesi massimi economici, demografici e politici – un successo, tra l’altro, della divisione del lavoro tra Paesi e continenti che ha fatto uscire dalla povertà un miliardo di persone. Non si accontenteranno di un mondo bipolare o tripolare, e giustamente. Per questo sono convinto che il mondo del XXI secolo sarà multipolare – e lo è già da molto tempo.

Cosa significa questo per noi in Europa? “L’Europa diventerà”, per citare lo scrittore francese Paul Valéry, “ciò che realmente è: un piccolo promontorio del continente asiatico?”. Non possiamo trovare la risposta a questa domanda guardando al passato. Vivere nel passato significa aggrapparsi al ricordo nostalgico della potenza mondiale dell’Europa, illudersi con l’illusione nazionale di essere una grande potenza. Ma anche coloro che avvertono costantemente il declino dell’Europa non vincono il futuro, soprattutto perché sottovalutano la capacità dell’Europa di trasformarsi e di agire.

Lo abbiamo dimostrato più volte nelle crisi degli ultimi anni e nel presente. Ricordiamo solo come abbiamo superato lo scorso inverno insieme, in solidarietà e unità con i nostri partner in tutto il mondo.

Ma ne traggo tre lezioni:

Primo: il futuro dell’Europa è nelle nostre mani.

Secondo: più rafforziamo l’unità dell’Europa, più facile sarà assicurarci un buon futuro.

E terzo: ciò di cui abbiamo bisogno ora non è meno, ma più apertura e cooperazione.

Per garantire che l’Europa abbia un buon posto nel mondo di domani, non al di sopra o al di sotto di altri Paesi e regioni, ma su un piano di parità con loro, al loro fianco.

Il discorso si apre con una panoramica commemorativa della storia dell’Unione come risposta all’imperialismo e al nazionalismo guerrafondaio. Inoltre, Scholz presenta la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) come un progetto concepito fin dall’inizio con una vocazione esterna e una responsabilità per il mondo extraeuropeo, citando la Dichiarazione Schuman che assegnava alla CECA il compito di “sviluppare il continente africano”. Il contesto coloniale di questa dichiarazione non sfugge a Olaf Scholz, che tuttavia sostiene che il lavoro dei “padri e delle madri d’Europa” è un antidoto alle illusioni di grandezza e implica oggi la ricerca di partenariati tra pari. In ogni caso, l’Europa non può più permettersi di essere una potenza mondiale dominante, ma deve essere un attore con un’influenza globale positiva.

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Un’Europa geopolitica
Perché questo accada, l’Europa deve cambiare. Abbiamo bisogno di un’Europa geopolitica, di un’Europa allargata e riformata e infine di un’Europa lungimirante. Vedo il Parlamento europeo come una forza trainante e un alleato in tutto questo. Prendiamo la creazione di un’Europa geopolitica. Willy Brandt ne sottolineò la necessità esistenziale qui al Parlamento europeo cinquant’anni fa. “L’unificazione dell’Europa”, scriveva nel vostro libro degli ospiti, “non è solo una questione di qualità della nostra esistenza. È una questione di sopravvivenza tra giganti e nel mondo incrinato di nuovi e vecchi nazionalismi.

Il Parlamento europeo ha sempre agito secondo questa massima e per questo gli sono molto grato. Lo fate quando onorate il potere della legge e quando ricordate a tutti noi che l’Europa può essere ascoltata solo quando parla con una sola voce. La brutale guerra d’invasione della Russia contro l’Ucraina ci ha mostrato proprio di recente quanto ciò sia necessario, e di conseguenza, dopo questa infame violazione della pace internazionale, l’Unione si è riunita come raramente prima. Questa esperienza ci porta alla fondazione di un’Europa geopolitica, come ho proposto durante la mia visita all’Università Carlo di Praga la scorsa estate.

Ciò include un coordinamento molto più stretto dei nostri sforzi di difesa e la costruzione di un’economia di difesa integrata in Europa. Il Fondo europeo per la pace, l’acquisto congiunto di munizioni per l’Ucraina, la più stretta cooperazione tra i nostri Paesi in materia di difesa aerea, la nostra bussola strategica, la stretta collaborazione tra l’Unione e la NATO: sono tutti passi positivi che dobbiamo approfondire e accelerare.

Ora dobbiamo gettare le basi per la ricostruzione dell’Ucraina. Naturalmente, questo richiede un capitale politico e finanziario a lungo termine. Ma è anche una grande opportunità, non solo per l’Ucraina, ma anche per l’Europa nel suo complesso. Un’Ucraina prospera, democratica ed europea è la risposta più chiara alla politica imperialista, revisionista e illegale di Putin.

L’Europa deve anche ottenere buoni risultati nella competizione internazionale con le altre grandi potenze. Gli Stati Uniti restano il più importante alleato dell’Europa. Ciò significa che saremo alleati migliori per i nostri amici transatlantici quanto più investiremo nella nostra sicurezza e difesa, nella nostra resilienza civile, nella nostra sovranità tecnologica, nella sicurezza degli approvvigionamenti, nella nostra indipendenza dalle materie prime critiche. Il nostro rapporto con la Cina è giustamente descritto dal trittico “partner, concorrente, rivale sistemico”, anche se la rivalità e la competizione sono indubbiamente aumentate. L’UE se ne rende conto e sta reagendo. Sono d’accordo con Ursula von der Leyen: il nostro motto non è “de-coupling”, ma “intelligent de-risking”!

Come a Praga in settembre e alla Sorbona in gennaio durante la commemorazione del 60° anniversario del Trattato dell’Eliseo, il Cancelliere ha adottato l’idea di una “Europa geopolitica”. Tuttavia, riprendendo questo concetto, gli ha dato un significato “più tedesco”, dove non si tratta tanto di autonomia quanto di efficienza. I suoi principali elementi concreti riguardano aspetti logistici ed economici: l’integrazione dell’industria europea della difesa, l’acquisto congiunto di armi e munizioni per Kiev, gli aiuti per la ricostruzione dell’Ucraina. Per quanto riguarda i progetti strutturanti di questa Europa geopolitica, Olaf Scholz cita il progetto di difesa aerea europea, lanciato nell’ottobre 2022 dalla Germania all’insaputa della Francia, ma ancora una volta omette di menzionare lo SCAF e il MGCS. Anche la concezione delle alleanze del Cancelliere tedesco rimane fondamentalmente atlantista: la sua Europa geopolitica esiste solo nella NATO, dove è un partner migliore per gli Stati Uniti. Per Olaf Scholz, tuttavia, il mondo non è né “bi-” né “tripolare”, ma multipolare. La delicata questione dell’allineamento all’uno o all’altro polo è quindi sostituita da quella della necessaria diversificazione di alleanze e accordi. Per quanto riguarda la Cina, il Cancelliere tedesco sostiene la formula del “de-risking” promossa dalla Commissione europea, un’opzione meno radicale del “de-coupling” che egli rifiuta.

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I Paesi del Sud globale sono nuovi partner di cui prendiamo sul serio le preoccupazioni e gli interessi. Per questo è fondamentale che l’Europa si impegni con forza e solidarietà per la sicurezza alimentare e la lotta alla povertà, che mantenga le promesse fatte sulla protezione internazionale del clima e dell’ambiente.

E, poiché anche questa è una questione geopolitica dell’Europa, è più che ragionevole concludere nuovi accordi di libero scambio: con il Mercosur, il Messico, l’India, l’Indonesia, l’Australia, il Kenya e in prospettiva con molti altri Paesi, accordi equi, che incoraggino anziché ostacolare lo sviluppo economico dei nostri partner! Equo significa, ad esempio, che la prima lavorazione delle materie prime avvenga in loco, non in Cina o altrove. Se ancoriamo queste idee alle nostre relazioni commerciali, diamo anche un importante contributo alla diversificazione delle nostre filiere produttive.

L’Europa deve guardare al mondo, perché se continuiamo a negoziare per anni nuovi accordi di libero scambio senza risultati, saranno altri a dettare le regole, con standard ambientali e sociali più bassi.

Un’Europa allargata e riformata
L’anno scorso abbiamo preso una decisione centrale sulla forma dell’Europa geopolitica. Abbiamo scelto un’Europa più grande. Abbiamo detto ai cittadini dei Paesi dei Balcani occidentali, dell’Ucraina, della Moldavia e, in prospettiva, anche della Georgia: voi appartenete a noi. Vorremmo che diventaste membri della nostra Unione europea. Non si tratta di altruismo, ma di credibilità e senso economico. Si tratta di garantire la pace in Europa dopo il cambiamento epocale causato dalla guerra di aggressione della Russia. L’Europa geopolitica sarà giudicata anche in base alla misura in cui manterrà le promesse fatte ai suoi vicini più prossimi. Una politica di allargamento mantiene le sue promesse, in primo luogo nei confronti degli Stati dei Balcani occidentali, ai quali abbiamo fatto balenare la prospettiva dell’adesione negli ultimi vent’anni. Naturalmente, il processo di normalizzazione tra Serbia e Kosovo e le riforme nei Paesi candidati devono continuare. Naturalmente, dopo il coraggio politico della Macedonia del Nord, il suo processo di ammissione deve progredire rapidamente. Tali progressi devono essere onorati da parte nostra, altrimenti la politica di allargamento perderà il suo appeal e l’Unione perderà la sua influenza e il suo peso.

Siamo onesti: un’Unione allargata deve essere un’Unione riformata.

Va sottolineato che l’allargamento non deve essere l’unico motivo di riforma, ma l’obiettivo. Sono lieto che il Parlamento europeo stia lavorando su proposte di riforma istituzionale, comprese quelle che non si fermano al Parlamento stesso. Continuerò a lavorare in seno al Consiglio europeo per garantire che queste idee vengano accolte.

C’è molto da fare: più decisioni del Consiglio a maggioranza qualificata in politica estera e fiscale. Continuerò a impegnarmi per convincere i cittadini di questo e vi ringrazio per l’ampio sostegno dei vostri ranghi. Vorrei dire agli scettici: l’unanimità, l’accordo al 100% su tutte le questioni non crea la massima legittimità democratica. Al contrario! È la persuasione, la lotta per costruire maggioranze o alleanze che ci contraddistingue come democrazia, la ricerca di compromessi che rendano giustizia anche agli interessi delle minoranze. Questo è il nostro concetto di democrazia liberale!

Le riforme europee auspicate dal Cancelliere sono simili alle proposte francesi sotto diversi aspetti. A livello istituzionale, Olaf Scholz rimane favorevole all’estensione del voto a maggioranza qualificata. Il Cancelliere si definisce in più occasioni un alleato del Parlamento europeo in seno al Consiglio europeo e promette di difendere le loro proposte. Per quanto riguarda la riforma del diritto europeo in materia di asilo e migrazione, esorta le istituzioni europee e gli Stati membri a compiere rapidi progressi. Tuttavia, un punto ricorrente nei discorsi europei di Olaf Scholz rimane la richiesta di maggiore apertura commerciale, che lo differenzia da Emmanuel Macron, più critico nei confronti della globalizzazione. Nella tradizione della Repubblica Federale, il Cancelliere vede questi accordi di libero scambio “equi” come fattori di stabilità, di diffusione del progresso socio-economico e di creazione di nuove alleanze nel resto del mondo.

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Mi sembra inoltre essenziale per il futuro rimanere fermi sul rispetto dei principi democratici e dello Stato di diritto, e so che una grande maggioranza di voi è qui con me. Perché non sfruttare l’imminente discussione sulle riforme dell’UE per incoraggiare la Commissione europea ad avviare un processo di violazione dei trattati ogni volta che i nostri valori fondamentali di libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto e protezione dei diritti umani vengono violati?

Questo discorso è caratterizzato da un forte sostegno all’allargamento, insistendo su un calendario e su rapidi progressi per onorare le promesse fatte dopo l’invasione dell’Ucraina. Per Olaf Scholz, l’urgenza è nei Balcani, dove chiede impegni seri per mantenere il ritmo del riavvicinamento. L’allargamento “non è altruistico”, ma al contrario un interesse ben compreso e un’opportunità “di buon senso economico”. Tuttavia, il Cancelliere non ha menzionato l’iniziativa francese per una comunità politica europea.

L’impressione di un confronto di vedute con il presidente francese è stata tuttavia accompagnata da un apparente riavvicinamento tra Berlino e Parigi, con un aumento degli eventi bilaterali: La presenza del ministro degli Esteri Annalena Baerbock a Parigi il 9 e 10 maggio, la visita di Emmanuel Macron al collegio elettorale di Olaf Scholz a Potsdam prevista per il 6 giugno – che ricorda il viaggio di François Hollande da Angela Merkel a Rügen nel maggio 2014, per discutere già allora della guerra in Ucraina) -, prima della prima visita di Stato di un presidente francese in Germania dal 2000, dal 2 al 4 luglio.

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Un’Unione aperta al futuro
Signore e signori, vorrei aggiungere un elemento che ho appena citato. Noi europei dobbiamo essere aperti al futuro senza esitazioni. Questo significa affrontare i problemi che ci hanno ostacolato per anni e che rendono così facile per altri Paesi dividerci e metterci l’uno contro l’altro.

Penso, ad esempio, al nostro rapporto con la migrazione dei rifugiati. Certo, dobbiamo trovare una soluzione all’altezza della domanda di solidarietà europea, ma non possiamo aspettare che questa solidarietà scenda su di noi come lo Spirito Santo. L’Europa, come disse Robert Schuman 73 anni fa, si concretizza in realtà concrete, in una “solidarietà di fatto”. Per questo motivo sostengo con forza che i progressi compiuti sulla riforma del diritto d’asilo europeo dopo lunghi e difficili negoziati devono essere resi permanenti prima delle elezioni europee. Il vostro accordo su una posizione negoziale per parti centrali della riforma il mese scorso è stato un passo molto importante in questa direzione. Ora dobbiamo completare questo lavoro con tutte le nostre forze.

Siamo uniti dall’obiettivo di gestire e organizzare meglio la migrazione irregolare, senza tradire i nostri valori. Tuttavia, possiamo trarre molti più vantaggi di prima: in molti luoghi d’Europa c’è bisogno di manodopera, anche da Paesi extraeuropei. Se colleghiamo saldamente queste opportunità di migrazione regolare con il requisito che gli Stati di origine e di transito riprendano anche coloro che non sono autorizzati a risiedere qui, tutte le parti possono trarne vantaggio. A ciò si aggiungono le misure per un’efficace difesa delle frontiere, come abbiamo deciso al Consiglio europeo di febbraio. In questo modo, aumenterà l’accettabilità di un’immigrazione intelligente, mirata e controllata nei nostri Paesi e saremo in grado di indebolire gli sforzi di chi fa politica con la paura e il risentimento.

Aprirsi al futuro significa anche affrontare quella che probabilmente è la sfida più importante del nostro tempo. Mi riferisco alla trasformazione dei nostri Paesi e delle nostre economie verso la neutralità climatica. La prima rivoluzione industriale è iniziata in Europa. Perché non avere l’ambizione che anche il prossimo grande cambiamento sia influenzato dall’Europa, per il bene di tutti?

L’apertura auspicata da Scholz si esprime anche nell’espressione “aperti al futuro”, che il Cancelliere utilizza tre volte. Egli individua due grandi progetti per l’Europa: a breve termine, la gestione equa e intelligente dei flussi migratori e, a lungo termine, la trasformazione ecologica delle nostre economie.

Anche se espone in termini abbastanza chiari la visione tedesca di un’Unione che sia soprattutto al servizio del benessere economico e svincolata da ambizioni di potere, il discorso non è strettamente polemico. Così il Cancelliere ha evitato alcuni temi caldi che sono comunque essenziali a livello europeo: i dibattiti sui criteri di bilancio, la politica industriale e l’atteggiamento commerciale da adottare nei confronti degli Stati Uniti.

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Non è necessario che vi spieghi le opportunità che questa trasformazione offre all’Europa. È importante che i cittadini dei nostri Paesi le percepiscano nella loro vita quotidiana. Per esempio, perché il prezzo dell’elettricità da fonti rinnovabili sta scendendo, perché ci sono abbastanza stazioni per auto e camion elettrici, perché si stanno creando nuovi posti di lavoro per il futuro nel settore dell’energia, nel settore dei microchip, perché stiamo sviluppando e commercializzando in Europa le tecnologie di cui il mondo intero ha bisogno per la transizione ecologica. Dare forma a questo cambiamento con ambizione e non lasciare indietro nessuno: questo è il grande progetto per il futuro dietro il quale noi europei dovremmo ora riunirci.

Conclusione
Come disse Oscar Wilde: “Il futuro appartiene a coloro che riconoscono le possibilità prima che diventino ovvie”, e non appartiene certo ai sogni nostalgici e revisionisti di gloria nazionale e di potere imperialista. Gli ucraini stanno pagando con la vita questa follia del loro potente vicino. 2200 chilometri a nord-est di qui, a Mosca, Putin sta ora facendo sfilare i suoi soldati, i suoi carri armati e i suoi missili. Non lasciamoci impressionare da una tale dimostrazione di forza. Restiamo fermi nel nostro sostegno all’Ucraina, finché sarà necessario! Nessuno di noi vuole tornare ai giorni in cui in Europa vigeva la legge del più forte, in cui i piccoli Paesi dovevano sottomettersi ai grandi, in cui la libertà era un privilegio di pochi e non un diritto fondamentale di tutti. La nostra Unione Europea, unita nella sua diversità, è la migliore garanzia che questo passato non tornerà, ed è per questo che il rumore di Mosca non è il messaggio di questo 9 maggio, ma il nostro messaggio: il passato non trionferà sul futuro. E il futuro – il nostro futuro – è l’Unione europea.

https://legrandcontinent.eu/fr/2023/05/10/la-geopolitique-europeenne-ouverte-dolaf-scholz/

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IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 5-7], di Daniele Lanza

IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 5 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco e non solo. Da leggere senza impegno)
Dunque, ora andiamo avanti – coi piedi di piombo – e cerchiamo di riordinare il discorso originario tornando ai due interrogativi lasciati in sospeso dal CAP. 2 :
1) “In che misura il nazional-socialismo coincideva col corpo del paese in generale” – Soluzione in 2 punti (A – B)
[- A ] SOSTEGNO DIRETTO.
L’NSDAP al momento dell’avvento al potere nel 1933, contava 2 milioni di membri*(dato confermato).
Lo stesso partito alla data dello scioglimento legale (che avviene 5 mesi dopo la fine della guerra per essere precisi, il 10 ottobre 1945, per iniziativa dell’amministrazione alleata e non spontanea) conta 8 milioni di iscritti*(dat.c.) : una proporzione pari a 1/10 della popolazione complessiva del reich. Comparativamente sottolineerei che in Unione Sovietica il PCUS arrivò a contare la medesima proporzione rispetto ai propri abitanti a circa una generazione dopo la fine della guerra (10% della pop. adulta nel 1986, sebbene – ricordiamo – modalità di accesso partito comunista sovietico variano, nei decenni d’esordio erano più selettive e per l’appunto occorrerà un addolcimento della “griglia selettiva” nella tarda Cccp per raggiungere il livello riportato. Chi è più esperto mi corregga prontamente).
In altre parole il nazional-socialismo demoltiplica le dimensioni della propria membership a ritmo assai sostenuto e questo anche nonostante una guerra che investe direttamente il paese : non un remoto conflitto coloniale che al massimo drena le tasche, ma un conflitto TOTALE che vede sirene della contraerea che vanno in azione a giorni alterni quasi, sia di notte che di giorno e -nella fase finale – combattimenti terrestri (dalla Renania a Berlino) fin letteralmente nell’anello urbano, sotto la soglia di case ed appartamenti. Ebbene anche dopo tutto questo….la membership nazional socialista è SEMPRE di 8 milioni (…8’400’000 pare, per essere più zelanti).
A spiegazione di questo fatto, altro non vi è se non una vittoria totale del nazional socialismo sul piano dell’autoidentificazione : il partito era oramai identificato/confuso con il concetto di patria (ad esso anteriore) per giunta in pericolo. Seguendo quindi un semplice percorso psicologico si può intuire come il cittadino medio del reich non imputasse la colpa del conflitto ad un attore interno (l’Nsdap ed Hitler), bensì riversasse rancore e incomprensione verso l’esterno….ovvero il nemico straniero che bombarda con accanimento. La distinzione tra dimensione “interna” ed “esterna” è essenziale : il tedesco, politicizzato e non, localizza il nemico nella dimensione “esterna” e MAI in quella “interna”. Non ci si può scagliare contro il partito nazional socialista perchè quest’ultimo non è più un partito, ma l’intera patria al tempo medesimo (importante per mobilitare anche chi non fosse politicizzato, il che ci porta al punto B qui di sotto)
[-B] SOSTEGNO INDIRETTO
(avvertenza : tediosa analisi politologica).
…..secondo la forma mentis democratica che costituisce lo schema ragionativo della maggior parte di noi, un partito altro non è che sé medesimo ossia un mezzo finalizzato al perseguire di determinati interessi. Un partito è l’opinione di chi lo vota, nulla di più : è una rappresentazione della realtà, l’interfaccia formale traverso la quale una frazione di utenza (la società) si esprime. Un mero strumento dell’azione, se vogliamo spogliarlo di tutto il suo apparato scenografico atto ad impreziosirlo ed ampliarne la base.
Tale schema di fondo NON si applica a un partito come quello nazional-socialista : il partito nazional-socialista non concepiva sé stesso come rappresentanza di una frazione di elettorato nella compagine del sistema vigente (democratico), bensì aveva l’ambizione di diventare esso stesso sistema vigente : FARSI SISTEMA e sostituire quello in carica. L’NSDAP non aveva l’ambizione di diventare il primo partito dello stato, ma di diventare LO stato…uno stato alternativo a quello esistente.
Bene, una forza politica di questo stampo non è pertanto un “partito” nel senso in cui convenzionalmente lo si concepisce (malgrado paradossalmente si presenti all’elettorato con tale appellativo), quanto una forza la cui aspettativa è letteralmente in antitesi : superare, porsi al di sopra del vile limite del “partito” e del suo inconcludente ciarlare in aula e espandersi fino a inglobarli tutti, dall’alto (…). configurandosi quindi come sistema completo e autonomo che non si mescola ad altri partiti……..bensì li contiene (!). Il nazional socialismo aspira ad un differente ordine di grandezza – nella sua filosofia esistenziale – che non la semplice rappresentazione dei desideri dell’elettore : esso pretende di interpretare anche e soprattutto ciò che l’elettore nella sua limitata visione NON può vedere (per il proprio bene !), assumendo quindi un ruolo doppio : rappresentativo da un lato (usuale), e propositivo(/-divino) dall’altra. Il nazismo non intende servire il sistema, non intende mantenere ordine nel sistema, non intende primeggiare nel sistema, non intende governarlo o esserne permanentemente al governo (come una dittatura standard farebbe)……intende ESSERE il sistema : un ruolo sovra-ordinario la cui eccezionalità ripristina in veste aggiornata il fondamento divino, oltre-umano, delle monarchie premoderne (…). L’ampiezza del disegno è chiaramente tale da far catalogare l’Nsdap nella sezione “rivoluzionari” delle forze politiche del XX° sec. : si propone come via alternativa allo status quo della democrazia occidentale tanto quanto il marxismo-leninismo nella coeva Russia rivoluzionaria.
Parliamo quindi di un fondamento divino (senza Dio, ossia secolarizzato).
Assiomatico che ad obiettivi in questa unità di misura (si ambisce ad un ruolo “divino”) non si può ambire se non con dottrine e parole d’ordine estreme, rivoluzionarie, mistici idealismi e immense visioni da offrire all’umanità in ascolto (vale tanto per il reich quanto per la Cccp). Qualsiasi forza che voglia trasformarsi in sistema deve per forza di cose avere un’identità la cui natura profonda è messianica e che punti a un assoluto.
Morale : il nazismo NON è un partito (anche se ne porta nome e sembianze), ma è un SISTEMA. Il nazismo è (era) lo stato stesso – tanto da donargli inno e bandiera – per la generazione di tedeschi che lo attraversò. Di conseguenza sul piano della percezione individuale e collettiva è completamente confuso ciò che sia del “partito” e ciò che sia dello “stato” in quanto le due cose erano diventate una cosa sola, un sinonimo. Non si vuole affermare con questo che la società tedesca fosse integralmente nazista (erroneo) o che seguisse ciecamente e passivamente le direttive del partito (non vero) , ma è dato di fatto che lo stato in cui vivevano e che servivano era diventato sinonimo di quella forza politica. Di amalgama ontologica parliamo (mi esprimo correttamente ?), su un piano politologico : che poi su un piano umano e psicologico – individuale o collettivo – la cittadinanza del III° reich non si ritrovasse in tutto e per tutto con le direttive dei suoi gerarchi, con la sub-cultura nazista fatta di antropologia fisica e crani vari (!), con i messaggi del ministro della propaganda o con i sermoni dello stesso leader supremo…….è un altro discorso. Un italiano può anche non ritenersi soddisfatto dell’organizzazione dello stato italiano o trovare stucchevole il discorso del presidente della repubblica a Capodanno, ma con tutto ciò sul piano dell’identificazione rimangono sempre il SUO stato e il SUO presidente, che in caso di emergenza (guerre) vanno protetti.
Ergo, anche in assenza di un’adesione diretta al partito (tesseramento), la maggioranza della popolazione vi era comunque a sostegno in forma indiretta, nella misura in cui rimaneva fedele alle istituzioni statali e alla macchina amministrativa (con le quali il nazismo è diventato tutt’uno) cui ci si appoggiava normalmente per la vita quotidiana. Non si parla di “colpa”, ma semplicemente di struttura della realtà in cui si vive, anche senza accorgersene. Questo punto [A ] Sarà banale per molti….ma la tragedia sta spesso nella banalità.
————–
MORALE : insomma, assommando la fedeltà indiretta ossia quella de facto (fisiologica) del cittadino tedesco, anche apolitico, alle istituzioni del proprio stato [A] con quella diretta dei sostenitori di partito (che comunque ha dimensioni da statistica demografica) [B]…allora sì, se assommiamo A eB purtroppo la coincidenza tra il tedesco e il proprio stato c’è.
NO, non ci sono santi : il nazionalsocialismo NON si presenta all’analisi come una tirannide mal sopportata, un semplice sistema gerarchico e autoritario. Se così fosse stato…..se fosse stata una fredda dittatura militare da parte di una elite dispotica, reazionaria e insensibile (Ludendorff e il Kaiser, tanto per semplificare), allora atti di resistenza attiva e passiva sarebbero divampati su larga scala, tanto più in circostanze di estrema crisi come si verificarono. In un contesto che vede fronti aperti a ogni punto cardinale con perdite per milioni di giovani vite e le proprie città rase al suolo (!)…..qualsiasi regime autoritario (da “colonnelli”) collasserebbe in pochi mesi. La vecchia Germania kaiseriana resse a malapena (anzi, non lo resse) un conflitto mondiale come il primo…..mai e poi mai ne avrebbe retto uno come il secondo : nemmeno lo strumento militare sarebbe rimasto stabile di fronte a un distruzione su questa scala e si sarebbero aperte le porte a diserzioni di massa che di fatto sono l’anticamera di una RIVOLUZIONE (…). Questo nel III° reich non avvenne. Nessuna rivolta, nessuna rivoluzione. Sapete perché ? ……..perchè una “rivoluzione socialista” vi era GIA’ stata. L’ NSDAP era stato questa rivoluzione, molto tempo prima.
L’Nsdap è la sembianza fisica con cui il socialismo si afferma nell’areale germanico d’Europa : certo il “socialismo” di cui parliamo non è certo socialismo storico ossia non nasce dall’alveo canonico del marxismo-leninismo, ma è piuttosto una creatura chimerica il cui Dna fonde il più feroce etno-nazionalismo Volkish con una dottrina e uno stile di stampo sociale…diverge, fuoriesce dal socialismo canonico assai più di quanto un’eresia medievale fuoruscisse dalla cristianità, eppure il ruolo che svolse fu il medesimo (questo è fondamentale). L’Nsdap svolse in Germania un ruolo analogo a quello che il Pcus ebbe in Russia (ciascuno con tempi e modalità proprie si intende). Goebbels stesso (o chi altro) inclini ad avvicinamenti ed alleanze con la CCCP non esitarono ad affermare che il bolscevismo in Russia in fondo non era che la versione locale di quanto fosse il nazionalsocialismo nel reich. I nazionalsocialisti hanno represso i comunisti, ma NON tanto per reprimerli e basta (come un regime reazionario avrebbe fatto) : li hanno repressi con l’intento di SOSTITUIRSI a loro (!). Il nazional-socialismo non poteva cedere il proprio ruolo “rivoluzionario” ad altri…per i popoli di lingua tedesca dovevano avere l’esclusiva (…).
(CONTINUA…)
IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 6 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco e non solo. Da leggere senza impegno)
Ricapitolando il tutto : SI’, la vecchia patria kaiseriana era morta ad analisi onesta e morta ben prima della fatidica firma di Keitel davanti agli alleati il 9 maggio.
Era morta con la deposizione dell’imperatore, sopravvivendo tuttavia di fatto nel costume e nella cultura, costituendo quello strato vetero conservatore che caratterizzava lo stato tedesco anche se ora era repubblicano. Uno spirito “tradizionalista” per dire, relativizzato dalla democratizzazione della statalità tedesca dopo il 1918 e destinato ad pervadere parte dell’atmosfera politica, senza tuttavia aver reali possibilità di alterare lo status quo (il “Dnvp” principale partito nazional-conservatore della compagine weimariana con epicentro in Prussia, nonostante una discreta affermazione elettorale – nel 1924 il massimo – non ebbe mai il potenziale per varcare una determinata soglia : in particolare irraggiungibili gli strati più popolari della società o aree a forte tradizione socialista).
A questo punto si verifica un fenomeno imprevisto che complica il quadro : non avviene la temuta rivoluzione marxista-leninista del KPD, ma piuttosto la più atipica rivoluzione del Nsdap (…). Il successo nazista ingarbuglia le carte : quest’ultimo si era fisicamente sostituito nell’identificazione collettiva allo spirito repubblicano di Weimar, colmandone il vuoto con uno spirito imperiale che tuttavia non era esattamente quello prussiano, ma gli somigliava : lo MIMAVA, ne prendeva a prestito l’estetica tradizionale ed elegante, se ne serviva per veicolare con efficacia determinati messaggi….ma non erano gli stessi di prima. Siamo alla confusione di forma e sostanza (che è fatale ancora oggi alla prussianità).
L’Nsdap a differenza di altri partiti monarchici e nazionalisti come il Dnvp (lo utilizzo come termine di paragone) non soltanto non intendeva servire lo status quo di allora (democrazia repubblicana), ma in realtà non intendeva nemmeno ripristinare il sistema anteriore : non voleva indietro il Kaiser !
C’è persino da dubitare che la base “quasi-socialista” del nazional socialismo volesse indietro il ciarpame targato Hohenzollern (!) : nello sterminato repertorio propagandistico nazista non esiste traccia alcuna di sostegno alla tradizione monarchica (ipotesi di eventuale restaurazione poi sono pura utopia). Malgrado tutto questo i nazisti adorano indossare la perfetta uniforme JUNKER (da ora in avanti userò solo questo termine per indicare lo strato vetero-conservatore, filomonarchico, e “prussiano”).
Dunque, siamo di nuovo di fronte ad un nodo intrigante fondato su un sottile intreccio di fattori psico-sociologici, politici e territoriali. Alla base di questo intreccio vi è un potente collante che è il nazional socialismo stesso : la proprietà più esplosiva che questo movimento abbia mai avuto è stato quello di superare la canonica e convenzionale demarcazione destra/sinistra nella percezione dell’elettorato con cui aveva a che fare….raggiungendo le frange più violentemente conservatrici quanto quelle più ferreamente rosse e rivoluzionarie. Non si vede spesso in effetti un partito appoggiato dagli Junker, ma dove al tempo stesso il 70% degli iscritti nei dintorni di Berlino sono ex-comunisti (dati della polizia di Prussia). Il nazionalsocialismo – mia opinione – è il vero antesignano di tutti i rossobruni che verranno.
Junker e nazisti si somigliavano ? Erano la medesima cosa in sembianze differenti ? Che rapporto c’è tra loro ?
Le risposte sono più di una e molto dipende dall’osservatore (dal punto di vista di chi sia molto a sinistra politicamente e non specificamente interessato all’argomento in questione, si tratta di un gioco di sfumature : “junker” e “nazista” sono due volti della stessa medaglia e non serve ulteriore analisi. Io personalmente non sono d’accordo invece e proseguo).
Sia lo Junker che il nazista (facciamo siano due persone), condividono una visione NON occidentale dell’esistenza : sono figli di una cultura continentale europea – di stampo germanico – che si sviluppa in modo divergente rispetto alle grandi correnti liberali dell’universo anglosassone che prendono rapidamente piede in tutto l’occidente (il comunismo sovietico non è differente su questo).
Lo junker ha dei limiti ad affermarsi in un’arena dove debba conquistarsi accoliti, per ragioni di ordine a) geografico – b) sociale. I
In parole altre lo spirito junker è troppo dipendente da un’identità (a) TERRITORIALE : la “Prussia ideologica” ultraconservatrice degli junker non corrispondeva – in termini di geografia elettorale del tempo – a tutta la Prussia tedesca che vediamo sulle carte del 1919, ma ad un nebuloso e frastagliato estendersi di “ridotte” elettorali, a ridosso del Baltico fino alla Prussia orientale. Cassaforte solida di voto, ma lontana dai nodi nevralgici della società tedesca, dalle masse, assumendo involontariamente una connotazione meramente territoriale senza il potenziale di imporsi sull’intera galassia di regionalità tedesche. In ed in secondo luogo troppo dipendente da un’identità di (b) CLASSE : l’elite del “partito” Junker è fatta da gente ferreamente legata ad una visione anacronistica (reazionaria) della vita – aristocrazia latifondista, medi-alti ufficiali e medi-alti funzionari – col risultato di alienarsi qualsiasi simpatia che non sia per ragioni diverse rispetto ad un attaccamento territoriale (punto precedente).
Come detto sin dal principio, questi Junker pur dall’identità così caratteristica, NON avevano reali possibilità di imporsi : le ragioni sono quasi fisiologiche, diciamo.
Per i nazisti al contrario questi due limiti NON esistevano : il nazional socialismo, sebbene molto forte proprio in Prussia inizialmente, non ha in teoria alcuna connotazione geografica di suo…è trasversale (bavaresi, austriaci e renani saranno suoi sostenitori). In secondo luogo, l’elite riflette una base elettorale assai più “terrena”, fondamentalmente popolare, in grado di penetrare in aree tanto rurali quanto metropolitane sfidando socialisti e comunisti sul medesimo terreno, strada per strada, “pugno contro pugno” (cosa impensabile per il più signorile junker, per intendersi).
A scanso di queste differenze, per tornare alle affinità, entrambi condividono una predilizione per la simbologia di tradizione e potenza – anche se ognuno a modo suo – e questo è fondamentale.
Il nazionalismo junker è più tradizionale, ingessato, di sapore aristocratico, flemmatico mentre quello nazista comparativamente una palla di fuoco (!) senza sosta : di massa, sociale, rivoluzionario e violento. Mentre i primi tendenzialmente cercano di conservare staticamente un primato (sociale) che già hanno da sempre…..i secondi (in maggioranza di estrazione piccolo borghese e anche proletaria) sognano un primato che NON hanno mai avuto. Semplificando criminalmente un densissimo discorso sul rapporto psicologico tra queste due “destre” (non uso il termine “destra/sinistra” in genere, ma faccio uno strappo), lo “junker” ha la potenza (economica/sociale) e se la conserva gelosamente…..il “nazista” non ce l’ha ma la vorrebbe molto, finendo con l’emulare il primo in tanti aspetti esteriori : e qui siamo alla famosa uniforme di taglio prussiano, mostrine e tutto il resto (…)
Sorvolando queste soggettive interpretazioni (che invito chiunque a sfidare prontamente correggendomi dove vado errato) sulla natura antropologica del rapporto Junker/nazismo e della demarcazione che io traccio………va detto che secondo molti altri il prussianesimo è comunque, in ogni caso, l’antesignano, il precursore del nazionalsocialismo : la base popolare nazista si impossessa dei simboli prussiani (vestigia), li fa suoi, infondendovi tuttavia il proprio spirito. Ne viene fuori una “popolarizzazione” una socializzazione della prestigiosa e austera cultura junker/prussiana, facendone un fenomeno di massa assai più di quanto non fosse riuscito a fare lo stato kaiseriano a suo tempo (…)
Un’interpretazione non felice per il prussianesimo potrebbe essere che il nazionalsocialismo altro non è che il medesimo concetto, semplicemente migrato dalla dimensione aristocratica del XIX° sec. per passare a quella di massa del XX°. La prussianità (volendo conferirgli un’unica mente…) potrebbe aver pensato che non aveva più bisogno di un kaiser e che l’Nsdap e il suo leader supremo assolveva analogamente il compito “imperiale” in modo più moderno (…).
Su questa linea abbiamo un nome che spicca tra tutti : OSWALD SPENGLER.
Per lo studioso il nome non ha bisogno di presentazioni. Pur mai stato nazista formalmente, ne è considerato intellettualmente uno dei precursori. Il suo Preussentum und Sozialismus, del 1919, non si sofferma affatto sulla componente aristocratica della Prussia, ma al contrario ne sottolinea una ancestrale e naturale tendenza ad un socialismo autoctono, alternativo a quello marxista quanto opposto al liberalismo occidentale : una terza via in tutto e per tutto, di matrice nazionale. Tutto ciò che il nazionalsocialismo fu……….
(CONTINUA…)
 
IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 7 di 7]
Identità, ieri e oggi
– andiamo verso l’epilogo (K. Adenauer in copertina)
1945 – 1945 – 1945
Ci siamo finalmente…..partendo dal lontano 1918 con una fiumana di considerazione psicologiche politiche e sociali, ritorniamo al nostro 9 maggio del 1945.
Non è una sconfitta qualsiasi, non un armistizio ordinario come se ne contano nella storia dei conflitti : è una resa totale, nemmeno firmata dalle superstiti autorità del reich (che gli alleati han già chiarito, NON riconoscono come soggetto di dialogo). “Resa senza condizioni” nel linguaggio del diritto internazionale ha un significato forte, assoluto….sta a dire che l’entità perdente è completamente alla mercè di quella vincitrice che può anche deciderne la continuazione dell’esistenza o meno (e così sarà).
Lo stato tedesco il 9 maggio 1945 cessa giuridicamente di esistere.
Ne nascerà un altro pochi anni dopo che non ha alcuna attinenza col primo.
Molte considerazioni è obbligatorio fare su questo. Come premessa a scanso di equivoci (che i miei interventi non diano l’idea di un nostalgia per il III° reich) : Il reich hitleriano nei 6/7 anni passati aveva dato inizio ad una politica di aggressione e quindi conquista armata ai danni degli stati vicini, degenerata in un conflitto globale che coinvolse i 5 continenti. Il conflitto , da parte tedesca, fu condotto senza esclusione di colpi : attacchi a sorpresa, mancato rispetto delle leggi di guerra, aggressione ai danni di paesi NEUTRALI (Olanda) e anche ai danni di paesi con cui vigevano accordi o quasi alleati, come l’Urss. Nei confronti di quest’ultimo soggetto, la guerra non ebbe carattere convenzionale, bensì di annientamento : una crociata messianica al di fuori (al di sopra) di qualsiasi legge terrena, ma solo al verbo del leader supremo del reich, che porta alla scomparsa del 10-12% della popolazione sovietica (25 milioni di caduti tra militari e civili).
Ovunque si pretendevano rese incondizionate, seguivano diktat e deportazioni….questo l’ultimo reich fece ai propri nemici (reali o presunti).
I capi del III° reich per primi diedero vita ad una guerra TOTALE : quando è così allora bisogna spettarsi altrettanto dai propri avversari. La resa incondizionata che gli alleati impongono alla Germania è la conseguenza naturale ed inevitabile di come Hitler per primo impostò il conflitto : il reich nel 1945 semplicemente subisce la stessa cosa che ha spietatamente dispensato ai propri vicini per i 6 anni precedenti. Come ho già detto tante altre volte, a scanso di qualsiasi considerazione morale (che riempie volumi), chi al casinò punta TUTTO sul tavolo……….può vincere moltissimo come può rimetterci tutto, per l’appunto. Hitler si è giocato un intero paese.
Hitler è il principale responsabile dell’annullamento dello stato tedesco.
Con questa premessa obbligata io andrei al punto sostanziale di tutta la serie, oramai stanco di scrivere tanti capitoli da bacheca di un social (…)
Il dramma di chi fa pazzie nell’alpinismo – analogia efficace – è che non finisce solo LUI nel precipizio, ma tira giù con sé tutti coloro che sono in cordata con lui. Questo è quanto accaduto nella Germania del 1945 : Adolf Hitler e il suo partito non hanno solo distrutto sé stessi, ma hanno tirato giù con loro l’intero paese, la sua identità che ancora oggi è oggetto di dibattito, contestazioni, problematiche irrisolte.
Gli alleati infatti (ed è anche comprensibile fino ad un certo punto) NON si limitano a mettere fuorilegge l’NSDAP e i suoi rami, SS in primo luogo. No, attuano una misura enormemente più drastica che è la scomparsa della PRUSSIA come regione storica dello stato tedesco.
Attuano un intervento chirurgico geo-culturale, per esprimersi così, decostruendo lo stato tedesco e la sua identità così come erano concepite sino a quel momento. Qualcosa che è arduo da immaginare per le generazioni successive che vedono lo stato tedesco per quel che è oggi sulle carte e nell’immaginario : io dubito che la maggior parte (anche di chi mi legge) riesca a realizzare sino in fondo l’entità del cambiamento.
Massima parte della storiografia sull’immediato dopoguerra tedesco si concentra comprensibilmente su nazionalsocialismo e denazificazione tra 1945 e 1949, facendo sì che in tal mondo passi inosservato un ALTRO processo , assai più indiretto e silenzioso, che è quello della de-prussianizzazione dell’identità germanica. Questo passaggio vitale nella palingenesi dell’odierna identità tedesca viene quasi completamente obliato, saltato o dato per scontato…..non merita l’onore della cronaca.
La mia opinione di storico della cultura è la seguente : con l’alibi (di per sé del tutto comprensibile in quel momento) di eradicare il nazionalsocialismo dalla Germania sconfitta, si è parallelamente e silenziosamente messo in atto qualcosa di assai più importante. Bandendo il prussianesimo (non ufficialmente poiché non è di un partito che parliamo ma di una sub-cultura) si è andati ad operare sul piano più profondo della psiche collettiva e dei processi di identificazione coinvolti sin dalla genesi dello stato unitario tedesco di un secolo prima.
Per usare un’analogia della medicina futuristica, si opera a livello di DNA (culturale), modificandone la trascrizione in modo da far regredire il soggetto a uno stadio embrionale e da lì in poi direzionarne lo sviluppo in una nuova forma. La Società tedesca “azzerata” moralmente dalla guerra mondiale sarebbe il soggetto regredito…..mentre il chirurgo è l’autorità alleata che sottrae dal Dna il prussianesimo, senza sostituirlo, ma piuttosto bilanciandolo con un aggiunta in altro settore (ossia il liberalismo anglosassone veicolato da Konrad Adenauer, primo presidente della Germania federale).
Il procedimento di politogenesi è praticamente riformulato dalle sua fondamenta, come se fino a quel momento uno stato tedesco non fosse esistito (si mise in effetti in dubbio se dovesse o meno esistere dopo la guerra, uno stato unitario tedesco, con varie ipotesi di Renania indipendente ed altro ancora). L’unica ragione che impedisce una parcellizzazione politica dell’areale tedesco è il bisogno (soprattutto angloamericano) di avere un baluardo contro l’est-Europa.
Come si procede dunque ? Beh, è dominio pubblico : le 3 aree di amministrazione alleata occidentale (Gb, Francia e Usa) si fondono per creare la repubblica federale tedesca nel 1949. Il primo presidente e co-fondatore culturale – K. Adenauer – è un esponente di primissimo piano del liberalismo (in chiave “bianca” e cattolica) per tutta la prima metà del XX° sec. , sin da prima del primo conflitto mondiale : acerrimo nemico del prussianesimo che egli da cattolico di Renania, pianifica di escludere dal plasma dell’identità tedesca (già molto prima del nazionalsocialismo, alla conferenza di Versailles del 1919, Adenauer – allora consigliere – pregò i vincitori inglesi e francesi di fare in modo di dissolvere la Prussia tra la clausole della resa tedesca). Adenauer più che in termini di “destra-sinistra” ragionava in termini di “occidente-oriente” facendosi campione in tale polarizzazione, dell’OCCIDENTE : tanto prussianesimo germanico quanto comunismo sovietico sono veleno (in quest’ottica), figli dell’oriente contrapposto al “positivo” liberalismo occidentale.
Su queste fondamenta nasce la Germania occidentale del 1949 : una Germania “bianca” (regnerà per decenni la CDU, analoga della nostra democrazia cristiana, sintetizzo molto scusate), liberale, saldamente schierata con la NATO e quindi al tempo stesso fortemente antinazista e ferocemente anticomunista e………del tutto antiprussiana (non viene espressamente detto, viene lasciato implicito).
E’ la concretizzazione della visione che Adenauer ha inseguito per mezzo secolo. Questa creatura dopo il 1989 ingloba anche i lander della defunta Germania orientale e abbiamo lo stato che vediamo oggi. Uno stato che ripudia la guerra e il possesso di armi nucleari, ma che al tempo medesimo accetta e giustifica apertamente la presenza di missili atomici statunitensi collocati sul proprio territorio assieme ad altre della Nato (de facto comunque controllate da Washington).
Uno stato talmente pacifista che per effetto collaterale crea problemi alla stessa Nato (!) , quando rifiuta di alzare le spese militari a sostegno della difesa comune (Washington ha voluto una società tedesca pacifista e dall’identità nazionale NON marcata : ebbene adesso li dovranno proteggere a spese del contribuente americano…..ben gli sta).
Fermo qui il mio sproloquio per ora, che evidentemente mescola fatti storici oggettivi alla mia opinione personale sugli stessi (in questo caso lo sto ammettendo apertamente tuttavia : indicatemi uno storico che NON lo faccia. Attendo, prego).
Come storico della cultura tuttavia affermo (mi ne assumo la responsabilità) : l’eliminazione del “prussianesimo” durante la palingensi dello stato tedesco post secondo conflitto mondiale ha pesato assai di più che non la denazificazione, sul lungo termine.
Il processo di denazificazione si libera di una cultura politica totalitaria e pervasiva…ma che aveva regnato in fondo solo 12 anni : eliminare il prussianesimo……ha significato metter fine a una cultura nazionale che durava da quasi un secolo, quella fondativa dell’unità pan-tedesca del XIX° sec.
Forse esagero ? Forse interpreto male ? Forse gli alleati l’hanno fatto involontariamente ? o forse era un male necessario ? (tutte queste ipotesi sono valide), perché ho come l’impressione che assieme ad Hitler…abbiano gettato via una frazione di Bismarck.

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IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 3 e 4 di 7]_di Daniele Lanza

IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 3 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco e non solo. Da leggere senza impegno)
Un aquilotto spennato e imbarazzante – simboleggiante lo stato di Weimar – che impallidisce, sfigura dinnanzi alla VERA aquila tedesca (kaiseriana). L’immagine in basso (manifesto per le elezioni legislative al reichstag del 1924) rappresenterebbe il sentire del partito nazionalista Dnvp, ma in fondo proietta un’immagine diffusa nell’animo tedesco di quell’era, assai aldilà del sostegno o meno a partiti nazionalisti coevi.
Tempo addietro, un conoscente di estrazione comunista (di accademico livello) paragonò distrattamente – quasi propose un parallelo – tra lo stato sovietico e la repubblica di Weimar.
Nel senso che erano entrambe entità nuove, entrambe entità che rovesciavano ognuna a suo modo un precedente sistema reazionario e antiquato, detto a grandi linee (…).
Come tanti altri miei amici e conoscenti della medesima provenienza – mi dispiace dirlo – la sua ferrea impostazione tradizionale fatta di insuperabile (psicologicamente), inalterabile dicotomia destra/sinistra – gli inibisce, oscura, confonde la percezione di elementi che trascendono tale demarcazione dogmatica. Accettando un prisma simile si può tracciare un parallelo tra le due realtà : elemento moderno di rottura che “rottama” il ciarpame oscurantista ed elitario del passato….questa sarebbe la logica.
La verità tuttavia è che anche solo accostare casualmente due casi del genere è pura cecità intellettuale. Perché la logica (binaria) in questione sorvola sul fattore PATRIA, lo sottovaluta, lo mette in secondo piano in quanto non rilevante per essa : nega il potere profondo dell’autoidentificazione e la sua capacità insondabile di sfuggire alla categorizzazione vista sopra, aldilà (protesterebbe il sincero comunista) di qualsiasi razionalità.
Il fattore PATRIA decretò per molti versi la sopravvivenza della Russia sovietica, come all’opposto, l’implosione della Germania weimariana. Perché ? Come ? Le verità più basilari ed ineludibili dell’animo umano stanno in formule strabiliantemente semplici e quindi non sciorinerò elucubrazioni storico-politologiche, vado al punto : perché lo stato rivoluzionario sovietico pur sbarazzandosi del sistema ad esso anteriore, vi si sostituì efficacemente in tutto…..anche in quella necessità patriottica della società nel suo insieme. La rivoluzione d’ottobre (anche nonostante l’inenarrabile guerra civile che ne seguirà) si fa sistema, sulle ceneri di quello precedente, ed anche più forte di esso : diventa punto di riferimento per il multiforme sentire della parcellizzata umanità che deve governare, cooptando anche e soprattutto le fasce conservatrici/nazionaliste della “russità” , a partire da coloro che sin dal principio decidono di militare tra i rossi (bolscevichi di stampo “patriottico”, per intendersi), quanto, dopo la fine della guerra, gli sconfitti bianchi che vorranno rientrare, infondendo l’idea che l’evento cataclismatico è stato una VITTORIA nazionale (si presti attenzione doppia da questo punto in avanti perché è il perno di tutto).
Gli eventi che vanno dall’ascesa al potere di Lenin sino alla fondazione ufficiale del nuovo stato, passando traverso 4 anni di conflitto interno, sono subito storia ed entrano in brevissimo tempo a costituire il fulcro di un colossale processo di “nation-building” in seno alla società, malgrado ciò possa essere controintuitivo vista la cesura traumatica col sistema zarista e il successivo sviluppo di una divisiva e devastante guerra civile : questo perché in fondo…….tali eventi sono percepiti come un successo, in un contorto meccanismo psicologico che vede tutti, incluse le fasce conservatrici/nazionaliste – e tra queste anche gli sconfitti veri e propri – entrare a far parte di un’entità vincente.
Ma come è possibile un capovolgimento percettivo in quest’ordine di grandezza ?! Abbozzo una ragione (non è certo l’unica, nè quella scientificamente più dimostrabile, ma forse la più viscerale) : perché in fondo quanto accadde dal 1917 al 1921 era…LORO (a prescindere dalle parti). La rivoluzione era…LORO (a prescindere dalle parti).
Si intende che la consecutio di fatti che si snoda da ottobre in poi è un fenomeno INTERNO, pertinente cioè ad uno spazio profondo del paese (in senso fisico quanto morale) irraggiungibile ed inconoscibile all’”alieno”, allo straniero : una “sacra” arena che non cessa di esistere malgrado il collasso del secolare zarismo e quindi trascende il cromatismo (rosso/bianco) delle parti in causa e laddove i destini di un popolo – ed altri ad esso annessi – vengono stabiliti a prescindere da cosa avvenga al di fuori del proprio “umland” : in parole più chiare, alla storica/oggettiva polarizzazione “Rivoluzione – Reazione”, si fa concomitante su un piano inafferrabile della psiche, la polarizzazione “Russia – mondo esterno” (che sta per “occidente” in realtà, quest’ultimo effettivamente coinvolto nella lotta dai bianchi).
Se pure è vero che una parte in lotta nella guerra civile è stata sconfitta sul piano storico/oggettivo, altresì vero che su un piano più metastorico offerto dalla psiche, l’evento rivoluzionario in sé non viola un canone assai più remoto della civiltà russa (o “rossiskaya” concetto più ampio) : la propria autoctonia, la propria indipendenza dall’occidente o altre forze (queste in effetti sconfitte nel loro tentativo di penetrazione approfittando del confronto rosso/bianco), la sicurezza che dà il proprio impermeabile spazio interno (…). Questo schema delle cose permette l’innesco di una valvola di salvataggio nei meccanismi delicati dell’autoidentificazione : alla psiche del russo (anche se di parte sconfitta) viene offerta come una scialuppa che consente lui di rivedere, in linea di principio, ancora lineamenti familiari, una continuità metapolitica in quel contenitore di popoli che prima si chiamava impero ed ora si chiamava CCCP (la quale tra l’altro nonostante la cesura col passato rivendicava anzi ancor più di prima – in vesti mutate – un ruolo geopoliticamente attivo, influente, sotto il vessillo assai più messianico e patriottico di quanto potesse esserlo la corona dei Romanov).
I “bianchi” avevano perso sì, ma in fondo era anche vero che la RUSSIA, la sua dimensione peculiare contrapposta allo spazio esterno (occidente) aveva vinto a prescindere dai cromatismi delle parti in causa, riaffermando la sua potenza che anzi prima sotto gli zar era in declino….quindi alla fine (col tempo che fosse occorso per abituarsi), tutti – anche i bianchi “volenterosi” o altre fasce conservatrici potevano chiamarla degnamente patria. In definitiva sia bianchi che rossi erano ugualmente nazionalisti (si può a buona ragione discutere su chi lo fosse di più tra loro)…..esisteva un comune fondo di attaccamento a una “potente patria” : che questa non fosse più una cosmopolita aristocrazia dall’aquila a due teste, ma una coesa unione multinazionale sotto bandiera rossa forse non era poi un male, no ? Anzi….chi dice che non fosse quest’ultima la VERA patria (e l’altra un abbaglio) ?? A questo punto i colori finora menzionati cessano di esistere : i rossi bolscevichi sono patrioti che da subito hanno capito questo fatto, mentre i bianchi (quelli pentiti) sono ugualmente patrioti con l’unico peccato di aver capito più in ritardo lo stesso fatto (…)
Interrompo d’autorità questa caotica e estesa digressione (che agli occhi di molti – professionisti in primis – apparirà cervellotica, sconclusionata o peggio – agli occhi del comunista ortodosso – una litania dozzinale nel novero eretico dell’interpretazione in chiave nazionalista e slavofila della rivoluzione socialista, la quale invece “esce fuori della storia” (..)….tuttavia io replico a costoro (nel caso ci fossero) che la mia riflessione presuppone che sia proprio QUESTO il problema : un limite di comprensione di molti studiosi del passato (non essendo “national-konservativ” stentano ad entrarne nella dimensione e quindi a valutarne percorsi e forza reale).
E da qui quindi torniamo – ma con una serie di punti in mente che ci consente di intenderci e quindi di accorciare il discorso (il tempo perso in Russia ce ne fa risparmiare qui)– sul vero tema del ciclo che è il caso tedesco : tutto era iniziato con un vago accostamento tra Weimar e la CCCP giusto ? Bene, la domanda è : perché WEIMAR in fondo non fu mai considerata una vera patria ?
Risposta essenziale : perché era figlia di una sconfitta. Fattore banale, ma insuperabile.
A scanso di quali ideali sinceri potessero esservi alle spalle, a scanso della costituzione democratica (mi si ricorderà) che finalmente aveva, a scanso di tutto…..era il risultato di un’umiliazione sul campo di battaglia. La prima democrazia tedesca, per quanto democrazia, violava lo stesso principio eonico che vuole gli stati (o qualsiasi aggregazione umana, contratto sociale di qualsiasi dimensione) fondati sui SUCCESSI, sulle vittorie. Non – come in questo caso – su un “infamante” (percepito come tale sia a destra che a sinistra in fondo) trattato di pace a Versailles.
Weimar nasce dal collasso della patria kaiseriana “legittima”…senza riuscire in alcun modo a sostituirla con qualcosa che nell’immaginario possa tenervi testa. Ne occupa semplicemente lo spazio vacante in attesa che QUALCOSA di maggiormente degno e supremo la rimpiazzi (e questo qualcosa disgraziatamente arriverà). Oserei affermare che il percorso di autoidentificazione per i neo-cittadini di Weimar e quelli sovietici sia esattamente opposto : mentre quelli sovietici, come visto, trovano una dimensione comune aldilà delle parti (anche belligeranti), nella società tedesca weimariana questo è infattibile. Se la Russia zarista passa il testimone alla CCCP sul piano ideale della “patria potenza” (in fondo condivisa tanto da progressisti che da conservatori), la nuova repubblica tedesca NON riceve alcun testimone dal prestigioso predecessore ! La “patria potenza” è sostituita da un’imbarazzante “ex patria” (tanto nella percezione dei conservatori quanto in quella – non espressa apertamente – di molti progressisti).
Insomma : lo stato sovietico UNISCE nel rispetto delle sue solide istituzioni – nella sua dimensione patriottica – tanto sinistra quanto in fondo anche una buona parte di destra (anche se non ufficialmente). Lo stato weimariano UNISCE, ma nel disprezzo delle istituzioni, sia la destra quanto in fondo anche la sinistra (anche se non ufficialmente).
Eccovi l’antitesi dei casi. Sintetizzo all’estremo :
La Cccp è un EREDE di qualcosa
Weimar è un SURROGATO di qualcosa.
La formula sopra è volutamente esagerata, ma esprime – sempre su un piano psicologico – come vennero percepite le due realtà dalle rispettive società a prescindere (questo è importante) dalla demarcazione classica destra/sinistra.
(CONTINUA…)
IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 4 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco e non solo. Da leggere senza impegno)
L’affermarsi del “SUPER-STATO” nella prima metà del XX° secolo (ovvero sistemi politici che si presentano non come semplici edifici politico-amministrativi regolati da un diritto civile, bensì come energie messianiche che si prefiggono di uscire al di fuori della storia e regolarla anziché esserne regolati) – o anche “totalitarismo” (!) a seconda di come si vuole definire – è una reazione fisiologica al bisogno del cittadino stesso di 100 anni orsono a quest’epoca…della sua profonda incoerenza, scarsa conoscenza di sé.
Da un lato si strillava in piazza per per uno stato più umano, più civile…..dall’altro – una volta ottenuto – questo stato “civile ed umano” era un gradino meno rispettato di quello passato. Si odiavano i preamboli delle vecchie costituzioni liberali (“per grazia di Dio e volontà della nazione”), ne si voleva smorzare il tono un tantino ultraterreno e riportarle coi piedi a terra, a misura d’uomo, umanizzarne forma e contenuto senza tante investiture celesti e giuramenti alla corona………beh, ecco fatto. Anziché una guida speciale, lo stato diventa – per l’appunto, perché ciò si voleva – un semplice contenitore, un’arena civile (de-divinizzata) all’interno della quale muoversi. Ci volle poco perché l’agognata agorà moderna divenisse invece un parco giochi (…)
Tanti abitanti di Weimar erano in realtà nel profondo delle loro menti, più “ex-sudditi” che non “neo-cittadini”. Il parlamentarismo carnevalesco dal 1919 in poi non si poteva prestare allo stesso rispetto che poteva suscitare l’incedere del Kaiser un decennio prima e questo psicologicamente è verosimile. L’illuminismo ingenuo di quella breve repubblica non teneva conto – tanti dei migliori illuministi cadono in questo, ahimè – dei bisogni più primitivi e imponderabili dei governati.
Tanti volevano sinceramente la democrazia…..ma tutti esigevano – e subito – un comandante in capo, una forza unificante che garantisse forza e sicurezza (che sono sinonimi). Per metterla in filosofia occorreva il ripristino di quel perfetto ingranaggio, quel punto di congiunzione tra cielo e terra (o tra regno delle idee e quello materiale) che è lo stato prussiano di hegeliano conio (…). Quanto l’effimera Weimar non era. Lo si vede dai manifesti elettorali dell’era…pittoreschi, teatrali lo erano tutti, ma c’è qualcosa di più : nella maggioranza (a partire naturalmente dai più estremisti, ma arrivando anche a quelli moderati) si nota una ricerca di qualcosa di perduto, un’armonia arcadica irrecuperabile che lascia dinnanzi a sé o la difesa di quel poco che si ha ancora (le “heimat” locali in genere ad appannaggio di partiti centristi) ossia la logica “bastione contro l’orda barbara” oppure soppressione dell’esistente per rifondare una nuova “grande patria”.
Detto fatto, nel giro di 15 anni circa un sostituto lo si trova (anzi si fa avanti lui) : è un po meno aristocratico rispetto alla casta JUNKER in verità, anzi decisamente più proletario e ruspante, senza tanti galloni e mustacchi, quanto in più moderna e sportiva camicia bruna + baffetto, ma questo è anche meglio (“…a pensarci non sono in fondo anche quegli spocchiosi latifondisti della Prussia orientale con la loro flemma ad averci condotto al fallimento sul fronte occidentale e inguaiato la nostra PATRIA ?” p.s. = pensiero possibile dell’elettore popolare, Nsdap).
Siamo ad un punto critico : ho inaugurato questo ciclo di libere riflessioni al primo capitolo sottolineando come la vecchia identità prussiana sia stata distrutta e gettata via arbitrariamente assieme al nazional socialismo. Ebbene si potrebbe controbattere (tanti lo fanno) che in realtà tale retaggio era GIA’ stato distrutto e superato in due fasi : dalla deposizione del kaiser in primo luogo – cui la prussianità era legata per ragioni “memetiche” e dalla successiva affermazione nazista, la cui ascesa vertiginosa a cavallo tra anni 20/30 de facto assimila, inghiotte letteralmente tutto l’elemento vetro-conservatore (chiamiamo così la prussianità junker in politica) strappandolo ai contemporanei partiti nazional-conservatori più convenzionali dell’era Weimar che surclassa quanto a violenza e audacia (…).
Il nazional socialismo nel contesto in cui si trovò ad operare, devo ammettere, costituì un catalizzatore formidabile : da un lato arrivava a quegli strati popolari refrattari ai tradizionali partiti monarchici e vetro-conservatori…..mentre dall’altro riusciva a raccogliere l’elettorato proprio di questi ultimi, fisiologicamente irraggiungibile per socialisti e comunisti. Una creatura chimerica il nazismo, essere mutaforma “capace di assumere l’aspetto che l’osservatore voleva dargli” (se non ricordo male furono più o meno le parole di A.Speer al processo di Norimberga, nel descrivere il nazional socialismo).
(CONTINUA…)

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