Il saggio potrebbe in alcuni passi risultare ostico alla comprensione ai non addetti. La ratio e il contenuto assumono comunque straordinaria importanza quanto più i termini dell’accordo prossimo futuro in sede comunitaria sono gelosamente e misteriosamente custoditi sino a portarci all’ennesimo fatto compiuto. Si cercherà con qualche intervista di chiarire gli aspetti più complessi di quanto esposto. Il senso dell’operazione in corso appare comunque nel testo in maniera cristallina_Giuseppe Germinario
IL “NUOVO” ESM: TRA LA VECCHIA SOLUZIONE DEL “TRATTAMENTO GRECIA” E LA SFIDA TEDESCA ALL’ITAL€XIT_di Luciano Barra Caracciolo
- Il quadro generale della congiuntura italiana nei suoi possibili sviluppi di breve e medio termine.
Cerchiamo di approfondire l’evoluzione della situazione italiana dentro l’eurozona all’incirca nei prossimi due anni (indicativamente). E cioé, appunto, entro un breve periodo in cui si acutizzino i fattori recessivi esogeni (crisi strutturale e geopolitica, – cioè neo-multilaterale-, della globalizzazione asimmetrica) e endogeni all’eurozona (ulteriore consolidamento fiscale, pro-ciclico, determinato dagli obiettivi di pareggio strutturale di bilancio derivanti dal modo in cui viene calcolato l’output-gap dal working group che supporta le prescrizioni impartiteci dalla Commissione Ue).
Nell’appunto sull’applicazione dell’art.65 TFUE, la situazione italiana (attuale) viene riassuntivamente così descritta :
L’Italia attualmente si trova:
- a) impossibilitata comunque a promuovere politiche di crescita di c.d. “piena occupazione” (effettiva), e anzi obbligata, dal fiscal compact e dalle sue linee guida applicative (qui, p.3), a perseguire un aggiuntivo e forte consolidamento fiscale, induttivo di una probabile recessione che si aggiunge alla forte stagnazione “esogena” attualmente in corso;
- b) impossibilitata, di conseguenza, anche a svolgere le politiche anticicliche (qui, pp. 5-8) la cui necessità e urgenza si manifesta a causa della fase di stagnazione-recessione in cui, anzitutto, la Germania si trova, “trascinando”, di conseguenza anche il nostro sistema produttivo che ne è divenuto, per notori motivi, strettamente dipendente;
- c) vincolata, entro breve tempo, (dato l’atteggiamento, ormai da considerare negozialmente tanto irreversibile quanto improvvido, assunto dai vari livelli di rappresentanza italiani), al “nuovo” trattato ESM che implica, in caso di crisi economica in un singolo Stato-membro, che l’intervento del fondo di salvataggio ci sia precluso a priori dal mancato rispetto della regola del debito (limite del 60% su Pil ovvero riduzione significativa negli ultimi esercizi); e ciò, si noti, tranne il caso di previa ristrutturazione dei titoli del debito pubblico nazionale, agevolata, anzi “incentivata”, nella stessa riforma dell’ESM, dall’estensione operativa delle clausole CACS (cioè relative ai poteri dei creditori, in maggioranze ora semplificate, di prescegliere una certa forma, ampiezza, e un certo livello di sostanziale default).
- La portata e gli effetti “sistemici” della riforma del trattato ESM.
In questa sede si ritiene di approfondire il punto c), poiché emerge come di primaria importanza per definire in concreto l’ulteriore aggravamento della traiettoria inerziale (quindi in assenza dell’adozione di rimedi “difensivi” da parte delle autorità di governo nazionale), di stress economici, recessivi e distruttivi, cui verrà sottoposta l’intera società italiana, portando alle estreme conseguenze l’ingestibilità e l’instabilità politico-istituzionale.
L’entrata in vigore del “nuovo” trattato ESM (complementare ai trattati Ue, ma sostanzialmente intergovernativo e diretto ai soli membri dell’eurozona, e quindi costituente un vincolo aggiuntivo ed autonomo rispetto al regime dei trattati stessi), nel corso del 2020 può essere dato per scontato: appare infatti ormai impensabile, – date le posizioni favorevoli “in blocco” finora espresse dall’Italia e l’aperta adesione (acritica) dell’attuale governo-, che tale trattato “complementare” non sia definitivamente approvato, come previsto, entro dicembre 2019. La successiva ratifica (che dovrà essere adottata ai sensi dell’art.80 Cost., essendo appunto la sostanziale modifica di un trattato, e non di una fonte di diritto europeo tipizzata, a suo tempo soggetto a ratifica, promulgata nel luglio del 2012), risulta del pari prevedibile ed entro lo stesso anno (salva crisi di governo subentrante prima del compimento di entrambe le deliberazioni delle due camere…). [1]
Schematizziamo il clou delle novità, – di regime dell’eurozona e di gestione delle crisi che possono (asimmetricamente) colpire uno degli Stati ad essa aderenti-, che scaturiscono da questa “riforma”.
Le nuove linee condizionali precauzionali (PCCL- precautionary conditioned credit line), mostrano criteri di ammissibilità agli aiuti impossibili, ove dovesse intervenire a favore di uno Stato che versi nelle condizioni di debito/PIL e di “spazio” di indebitamento annuale dell’Italia (in neretto le condizioni ostative più rilevanti):
(1) non essere in procedura di infrazione,
(2) da due anni non avere deficit superiore al 3%,
(3) anzi, inferiore, come definito da un ‘indice strutturale’ diverso da paese a paese,
(4) da due anni, avere un debito inferiore al 60% ovvero averlo dibotto di almeno 1/20 della distanza dal 60%,
(5) non avere alcun disequilibrio macroeconomico,
(6) avere accesso ai mercati dei capitali ‘a termini ragionevoli’ (ma sconosciuti nei loro esatti termini definitori),
(7) un debito estero sostenibile,
(8) un settore finanziario non vulnerabile.
Criteri che il Consiglio dello ESM è libero di applicare discrezionalmente, secondo linee di “aggiustamento” interpretativo non ragionevolmente preventivabili e, anzi, potenzialmente discriminatorie (come s’è già visto in tema di unione bancaria e discrezionalità relativa ai presupposti di ammissione dei vari tipi di ricapitalizzazione pubblica preventiva e di burden sharing a carico degli obbligazionisti, non evitato a causa di una decisione della Vestager poi ritenuta illegittima dal giudice europeo di primo grado; “caso Tercas”).
Infatti queste linee di intervento ordinario sono pensate, per così dire, per Paesi che cadano in crisi…nonostante sé stessi: cioè che, – nonostante siano in condizioni di osservanza dei criteri complessivi del Fiscal Compact e, peraltro, essendovi riusciti pur in vigenza del regime dell’unione bancaria nonché, per la verità, grazie alla “misteriosa” pregressa tolleranza sul deficit (es; casi di Francia, Spagna, Portogallo nel periodo 2009-2017), riescano, allo stato attuale, ancora a registrare una situazione di equilibrio macroeconomico (secondo gli indicatori che accompagnano le regole del Fiscal Compact sugli squilibri macroeconomici); ciò in specie nei conti con l’estero, nonché per quanto concerne le condizioni di accesso “sostenibile” ai mercati per il finanziamento del debito pubblico.
In pratica, il nuovo ESM ammette il salvataggio “ordinario”, dedicato ad un singolo Stato dell’eurozona, come “caso impossibile”, al punto da rendere i suoi strumenti di intervento anti-crisi in concreto del tutto irrilevanti (tranne forse che per un salvataggio rivolto alla Germania o all’Olanda, caso della cui verificazione, stante l’attuale pseudo-equilibrio dell’eurozona, ci sarebbe da molto dubitare; peraltro, già per la Francia, l’attuale linea di deficit perseguita dal governo Macron, risulterebbe escludente, – il condizionale è d’obbligo, nel caso della Francia-, restringendo ulteriormente l’utilità concreta dello strumento).
In difetto di queste condizioni “ideali”, e concretamente paradossali, di concessione dell’intervento, viene poi previsto un “ESM loan”, o linea di credito a condizioni rafforzate, sul modello d’azione tipico del FMI (ECCL- Enhanced Conditions Credit Line), per l’acquisto di titoli del debito pubblico del paese in crisi (da spread, e quindi di rifinanziamento), sia sul mercato primario che sul secondario: e questo, però, solo se venga valutato, sempre con fortissima discrezionalità, che “la generale situazione economica e finanziaria rimane forte ed il debito pubblico sostenibile”.
Infatti, lo ESM è tenuto ad espletare, preliminarmente, una analisi di sostenibilità del debito.
Complessivamente e senza dettagliare la farraginosa disciplina in ogni sua ipotesi, – considerate, appunto, le eventualità effettive di intervento “utile” del Fondo – il Paese che chiede il sostegno dello ESM, deve sapere in partenza che gli verrà chiesta preliminarmente una ristrutturazione del debito.
Per rendere ancora più agevole l’imposizione di questa pregiudiziale fase di condizionalità (fortemente traumatica, nell’ordine degli eventi che concernono la vita di uno Stato appartenente all’OCSE…), col Trattato, le parti contraenti si impegnano a inserire, sin da subito, ed a prescindere dal manifestarsi di prevedibili condizioni di crisi, in tutte le proprie nuove emissioni, le clausole CAC (CAC-Collective Action Clauses) Single Limb (estensive dell’attuale capacità dei creditori di deliberare una ristrutturazione, tra i cui eventi presupposti, va rammentato, è previsto anche il cambio di valuta del paese emittente).
Ma non è finita qui; solo dopo tale ristrutturazione, lo ESM potrà offrire un prestito, “soggetto a stretta condizionalità (…) un programma di aggiustamento macroeconomico”, d’intesa con Commissione, Bce, IMF, dunque “duro” come sempre, per capirsi, come nel caso della Grecia. Il credito così concesso, inoltre, darà luogo a un congruo utile, per livello di interesse previsto, allo ESM, (evidentemente a compensare le perdite del resto del portafoglio, investito in Titoli di Stato tedeschi e francesi). Mentre lo ESM ed i suoi direttori si appropriano di piena immunità legale e penale.
- Il riassetto “estremo” che l’ESM determinerà nel funzionamento dell’eurozona.
Vediamo dunque quali saranno le novità essenziali che deriveranno da questa nuova disciplina nel funzionamento, già di per sé difficoltoso, dell’eurozona:
- a) le difficoltà di collocamento del debito pubblico determinate dagli spread, e la quasi totale soppressione di ogni spazio di intervento fiscale anti-recessivo degli Stati, potrebbero essere ovviate solo attraverso il prestito del nuovo ESM, previa ristrutturazione/default, e non più tramite l’OMT (Outright Monetary Transaction): cioè l’effetto, essenzialmente “psicologico”, sui mercati finanziari, del whatever it takes pronunciato da Draghi nell’estate del 2012. Quest’ultimo strumento, infatti, – nella sua forma di implicita e pura garanzia del debito pubblico apprestata dalla banca centrale (come accade nel rapporto tra banca centrale e emissioni del tesoro in ogni normale Stato dotato della propria moneta sovrana) -, non esiste più da anni, (ove mai la “creatività” di Draghi gli avesse dato una effettiva esistenza…non mediatico-comunicativa), poiché, su rimessione della Corte costituzionale tedesca, la Corte di giustizia europea, con sentenza del giugno 2015, ha chiarito definitivamente che “l’attuazione del programma OMT è subordinata al rispetto integrale, da parte degli Stati membri interessati, di programmi di aggiustamento macroeconomico del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) o del Meccanismo europeo di stabilità (MES)”.
Ora, non sfugga che, in virtù del nuovo regime dell’ESM, i programmi di aggiustamento macroeconomico vengono ancor più inaspriti, erigendo a ipotesi unica, vincolante ed effettivamente applicabile, il “metodo” utilizzato con la Grecia.
Appare perciò del tutto evidente che i problemi di crisi del debito pubblico, entro l’eurozona, – determinati anzitutto da evidenti difficoltà di ottenere un adeguato livello di crescita nonché di risolvere una crescente disoccupazione strutturale (e i suoi ovvii effetti di gettito tributario calante e di pressione all’aumento della spesa pubblica per “ammortizzatori sociali”), sono, (dal 2020 in modo ancor più vincolante), risolvibili solo attraverso il trauma della ristrutturazione del debito pubblico e con la sostanziale abrogazione dei già ristretti margini di intervento autonomo della banca centrale, a differenza di quanto accade per ogni altro Stato dotato di un proprio potere di emissione monetaria.
Va infatti rammentato che gli spread sono dipendenti da una condizione strutturale dell’eurozona: cioè costituiscono il “premio”, crescente, di rischio relativo alla uscita di uno Stato-membro, a causa dell’insostenibilità macroeconomica della moneta unica, a sua volta dovuta alle condizioni permanentemente punitive, per la crescita (e quindi per il calo del rapporto debito/PIL) implicite nel divieto di bail-out degli Stati aderenti (ovverosia, divieto di “solidarietà” fiscale dentro l’eurozona; artt.124 e 125 TFUE), nonché nel divieto della BCE di acquisto diretto dei titoli di debito pubblico (art.123 TFUE).
A seguito della crisi del debito pubblico, del salvataggio “psicologico” determinato dalla mera prospettazione dell’OMT, e poi, decisivamente, del primo programma di acquisto dei titoli del debito pubblico lanciato nel 2015 dalla BCE (QE), gli spread appaiono inoltre strettamente collegati al permanere di un atteggiamento “attivo” della stessa BCE, cioè legati al suo intervento (tramite banca centrale nazionale) negli acquisti sul mercato secondario (in particolare per l’Italia), mediante l’utilizzazione della liquidità, già immessa nel sistema, e riveniente dal rimborso alle scadenze dei titoli detenuti in forza di tale QE (e di altri precedenti facoltà di acquisto consentite alla BCE).
- Riforma ESM, orientamento privilegiato alla ristrutturazione del debito pubblico, e suoi effetti sul sistema bancario e sul risparmio nazionale nel quadro dell’Unione bancaria.
In complemento a questo scenario di ulteriore irrigidimento delle condizioni fiscali dell’eurozona, occorre considerare la contemporanea vigenza della c.d. Unione bancaria e gli effetti collaterali, di propagazione recessiva, che conseguirebbero, perciò, all’intreccio tra le due discipline, quella dello ESM e quella, già applicabile, dell’unione bancaria.
Detto in estrema sintesi: con il vincolo di (paradossale salvataggio previa) ristrutturazione del debito pubblico, ovvero con la partecipazione del settore privato, detentore dei relativi titoli, alle perdite, tutte le banche italiane andrebbero in default, con prevedibili conseguenze sistemiche.
La sequenza è: a) perdita vistosa dei corsi dei titoli, b) perdita conseguente di bilancio degli istituti bancari, c) esigenza di ricapitalizzazione a livelli impensabili, e non appetibili, per qualsiasi investitore privato, d) contemporanea preclusione di qualsiasi forma di ricapitalizzazione pubblica, non finanziabile sui mercati (ancorché susseguente a burden sharing a carico di azionisti e obbligazionisti…spesso piccoli risparmiatori), ergo: e) inevitabile bail-in di massa dei correntisti e ondata recessiva (aggiuntiva a quella che avrebbe, in assunto, giustificato il ricorso all’ESM!) di dimensioni epocali; ciò a causa della massiccia distruzione di risparmio e, dunque, di investimenti e degli stessi consumi (occorre infatti considerare la c.d. propensione al consumo del risparmio liquido e persino, sebbene inferiore, della ricchezza immobiliare, a valori drammaticamente descrescenti: tali asset infatti sono sempre più divenuti una riserva di consumo “eventuale”, legata all’incertezza e al calo dei redditi delle famiglie).
4.1. Riassumendo:
- a) la BCE assume sì un ruolo sempre più centrale nell’eurozona, ma ancor più di prima, “in negativo”: cioè divenendo, in modo estremo, assolutamente neutrale nelle sue (peraltro giuridicamente vietate) funzioni di garanzia dell’azione fiscale degli Stati. L’indipendenza pura (cioè estesa non alla mera “libertà” della BC dall’’indicazione governativa di intervento sul mercato dei titoli al collocamento, ma come espresso “divieto” di tale acquisto in, eventuale, “monetizzazione” del debito pubblico stesso; v.art.123 TFUE) e dunque l’adesione all’idea neutrale della moneta, confinano la BCE ad effettuare la vigilanza bancaria ed il (mero) finanziamento del relativo settore secondo le pratiche di regolazione della massa monetaria fisiologicamente legate a tale neutralità (in pratica, l’emissione di moneta di banca centrale sarebbe assolutamente sigillata in un circuito che escluderebbe qualsiasi diretta o indiretta connessione con la “dazione” a soggetti dell’economia reale);
- b) non a caso appare altamente improbabile, e anzi complementare alla riforma dell’ESM, che, – in questa direzione impressa all’assetto dell’eurozona -, il nuovo QE sia effettivamente portato a compimento…il che, tra l’altro, equivale anche a una sostanziale rinuncia al vano tentativo di riportare l’eurozona al target inflattivo del 2%, compito già obiettivamente fallito col primo QE, e che risulta ora ostacolato dall’intento aggiuntivo di vietare, col nuovo ESM, i suoi effetti formalmente “secondari” (del QE): cioè quello di sostegno economico-fiscale agli Stati (che tante opposizioni ha suscitato e, ancor più suscita ora, nella Germania e nei suoi satelliti), nonché quello di effetto svalutativo nei confronti del dollaro (effetto che potrebbe essere rinunziato da Francia e Germania, come risulta dall’attuale decisa opposizione delle rispettive banche centrali, per evitare uno scontro commerciale e valutario con gli Stati Uniti);
- c) tutto il peso del riequilibrio interno all’EZ ricade sul finanziamento dell’ESM, che si profila anticipatamente come: a) meramente teorico in via di intervento ordinario, in condizioni fisiologiche; b) acutamente pro-ciclico, in caso di intervento residuale e concretamente applicabile, determinando una punizione “estrema” del paese che non reggerà la duplice condizione del pareggio di bilancio e di una crescita priva di squilibri macroeconomici;
- d) per l’Italia, a cui appare “mirato” il nuovo regime dell’ESM, questa situazione complessiva equivale a vincolo legale, fortemente sanzionato, a seguire una rigida politica fiscale pro-ciclica e, in prospettiva resa inevitabile, a sottoporsi alla ristrutturazione del proprio debito pubblico con conseguenze bancarie sistemiche e un bail-in di massa disastrosamente recessivo;
- e) questo scenario di imminente riforma rende perciò, va sottolineato, quasi obbligato, per l’Italia, un intervento precauzionale di imposizione patrimoniale sul risparmio privato nei depositi bancari, – ovvero un insieme di misure tributarie equivalenti (quanto a gettito)- nonché una ulteriore accelerazione nel progressivo smantellamento del sistema pensionistico e sanitario pubblico, che, ai fini del pareggio strutturale di bilancio, risultano infatti i maggiori aggregati della spesa pubblica (e la cui “incomprimibilità” politica viene considerata il principale ostacolo ad una virtuosa appartenenza all’eurozona). Ma anche questa serie di politiche “precauzionali”, accelerate dalla minaccia…del salvataggio ESM (!), risultano fortemente recessive, se non esiziali per la nostra economia e per il minimo di coesione sociale che caratterizza un paese democratico.
- La segregazione nel sistema Target2: una “quasi mediazione” per conservare l’euro e creare un ibrido che potrebbe preparare alla sua dissoluzione concordata.
Di fronte ad una tale ricetta per una fine disastrosa dell’eurozona, rimane sul tappeto un’ipotesi, come dire, di “mediazione” (come vedremo non meno penalizzante, a seconda dei suoi tempi e circostanze di adozione).
Il meccanismo in pratica è stato già ventilato “sottovoce” da più parti.
Nella fase attuale, la spinta di partenza sarebbe così riassumibile: se. in virtù del “nuovo” Trattato ESM, le regole tedesche non reggerebbero alla prova dei fatti (inducendo un collasso dell’EZ, proprio perché volutamente troppo costrittive), in realtà, l’introduzione di una riforma così “minacciosa”, potrebbe essere il modo migliore per costringerci ad accettare la c.d. segregazione.
La segregazione consiste (sulla traccia di quanto sperimentato dalla BCE nei confronti di Cipro e della Grecia) nella imposizione, all’interno del sistema di pagamenti Target2, di un obbligo di preventiva prestazione di cauzione per ogni pagamento in uscita proveniente da uno Stato considerato “debitore a rischio” (verso il rimanente sistema delle banche centrali dei singoli paesi-membri e, per riflesso, verso i sistemi bancari di tali paesi “creditori”). Tale cauzione può assumere la forma di un deposito (presso la BCE) di una certa quantità di riserve della banca centrale nazionale, in oro o valute “forti”. Ma preso nella sua rigida forma giustificativa, avrebbe un limite (l’ammontare di tali riserve, comparato con il volume dei pagamenti verso l’estero dei residenti italiani), relativo all’onere sostenibile da parte della Banca d’Italia, che sarebbe presto raggiunto (in pochi mesi).
Infatti, per un paese che comunque presenta una forte componente di esportazioni, ma anche di connesse importazioni per rifornire il proprio sistema di trasformazione industriale, si avrebbe quasi certamente la concreta traslazione, da parte delle autorità bancarie nazionali, dell’onere di prestazione della garanzia a carico delle banche commerciali che eseguono gli ordini di pagamento in uscita. Queste, a loro volta, agendo come mandatarie degli operatori economici che importano, chiederebbero agli stessi o di sopportare il costo della garanzia, ovvero, in termini più pratici, un sovrapprezzo rispetto a quello corrispondente all’ordine di pagamento derivante dalla transazione di importazione.
Analogamente, nel sistema della segregazione, l’operatore nazionale esportatore, maturando un credito con un profitto (al netto dell’imposizione fiscale), che determina un attivo nelle partite correnti commerciali, non potrebbe poi più generare un pagamento in uscita nel sistema Target2 corrispondente all’investimento, per lo più finanziario, di tale profitto netto: e ciò, appunto, senza doverne sopportare una forte decurtazione a seguito della disposizione di “segregazione” (in sostanza, per l’investitore italiano verso l’estero ciò comporta un aumento del prezzo dello strumento finanziario estero prescelto; all’interno della sola eurozona, peraltro). L’effetto pratico sarebbe che, pur rimanendo l’Italia formalmente nell’eurozona, per gli acquisti dall’estero e per le esportazioni di capitale (all’interno della sola eurozona), l’euro “italiano” risulterebbe de facto svalutato nella misura percentuale corrispondente all’ammontare della cauzione/costo della garanzia imposta per un pagamento verso altri paesi dell’eurozona.
Ciò avrebbe un vantaggio, sia pure costrittivo, consistente in una misura equivalente alla restrizione delle importazioni (componente negativa del PIL), – vietata dall’art.34 TFUE ma consentita dalla supposta specialità delle regole applicabili dalla BCE -, nonché determinante un vincolo all’investimento nazionale dell’eventuale surplus delle partite correnti: tale investimento “nazionale” del surplus (aderendo all’idea che, tendenzialmente, importazioni più costose avrebbero perciò un minor volume, e, sempre tendenzialmente, il surplus commerciale medesimo potrebbe addirittura risultare aumentato) sarebbe, in ipotesi, destinato a rivitalizzare sia la domanda di titoli del debito pubblico che di beni immobiliari.
In altri termini, poiché l’Italia non è Cipro, ma un forte paese industriale manifatturiero, con una consolidata vocazione esportativa, si avrebbe una sorta di ibrido “lira-euro”, ragionevolmente svalutato e, come vantaggio ipotizzato dai tedeschi, una correzione abbastanza rapida del loro saldo attivo Target2, che la Germania considera, in modo unilaterale e controverso, come un attivo di riserve (in euro) della propria banca centrale.
- Osservazioni conclusive concernenti le prospettive vincolate dell’evoluzione della situazione politica e di governo italiane.
Qualche osservazione finale che aiuti a comprendere appieno la “svolta” che, senza apparente reazione alcuna da parte del governo nazionale, si sta così profilando:
1) La riforma dell’ESM risulta come una plateale accelerazione della “germanizzazione” dell’eurozona: infatti, si tratta di regole tedesche che non reggerebbero alla prova dei fatti per un debito pubblico e un’economia delle dimensioni di quella ITA. La stessa entità della provvista di cui è dotato l’ESM appare insufficiente a un salvataggio di tali dimensioni. Oltretutto, l’ESM si risolve nella “segregazione”, ovverosia in un vero e proprio sequestro “escludente” della (notevole) contribuzione italiana all’ESM (che assommandosi a quella già erogata all’incorporato ESFS, arriva a oltre 120 miliardi…).
2) Insomma, politicamente, ormai, la decisione finale sulla sopravvivenza o meno dell’€urozona spetterà alla Bundesbank che, certo, potrà invocare il mancato rispetto delle ‘regole’, ma dovrà assumersi l’onere della fine di un meccanismo che, allo stato dei fatti, favorisce l’espansionismo francese (dato che, vale la pena di rammentarlo, lo Stato francese e le banche francesi hanno accesso “non sindacato” al credito BCE);
3) l’alternativa alla segregazione, o, prima ancora, all’applicazione “punitiva” del trattato ESM (pressione tedesca), è costituita dall’ottenimento di saldi primari, pluriennali, del bilancio pubblico, dell’ordine di 3,5 – 4% del PIL (pressione francese), economicamente insostenibili (per crescita e occupazione), ma pienamente compatibili con uno sfruttamento coloniale, ovvero la via €uropea, di trasformazione definitiva del sistema italiano: prima di tutto costituzionale, secondo l’indicazione, ormai insistita da circa tre decenni, data dalla tecnocrazia italica (e dall’insieme di forze economiche e mediatiche che sostengono la permanenza nell’eurozona “ad ogni costo”);
4) il perseguimento di saldi primari di tale entità presupporrebbe, piuttosto, una situazione di, almeno, moderata crescita (sebbene, nell’eurozona, nell’accezione solowian-Barro-sargentiana, cioè praticamente una lunga stagnazione). Per contro, come dovrebbe ormai essere evidente a tutti, la globalizzazione, come s’è detto, si è inceppata, e pare vicina al collasso nella sempre più paventata evenienza della prossima crisi finanziaria globale (è, in estrema essenza, un problema di asimmetrie istituzionali nell’applicazione del WashingtonConsensus, v. pp. 1-2, a cui sono soggetti i paesi OCSE, in primis USA e eurozona, ma non altrettanto i paesi emergenti maggiori, come Cina e India, che hanno eroso crescita, capacità produttiva e occupazione nei paesi OCSE, ricorrendo a uno sviluppo caratterizzato da un forte intervento statale e da un incontrollato dumping sul costo e sulla tutela del lavoro).
Ergo, l’aspirazione francese, a prendere il controllo del sistema (finanziario, industriale e dei servizi) italiano, già nel medio periodo, se rapportata alla congiuntura economica globale, risulta velleitaria (può risolversi in un boomerang, con una recessione che contagi l’intera eurozona); così come appunto velleitaria è l’ostinazione dello spaghetti €stablishment nell’assecondare l’espansionismo francese, promettendo (da decenni), una crescita futura “competitiva”, senza potersi basare su alcun ragionevole motivo macroeconomico che gli consenta di mantenere tale promessa…pagandone appunto il costo in termini elettorali;
5) in questo quadro globale, peraltro, trova spiegazione anche l’opposizione francese (cioè della banca centrale di Francia: un fatto considerato “sorprendente”…) al “nuovo” Quantitative Easing lanciato da Draghi.
Tale opposizione è ragionevolmente dovuta (v. qui, p. 8.1.): a) ai rendimenti negativi sulla gran parte dei loro titoli del debito pubblico che gli stessi francesi stanno subendo (permanendo in parallelo anche l’impossibilità politica per Macron di realizzare le riforme strutturali alla “tedesca”, e quindi di sopportare il costo politico-sociale di politiche di (ulteriore) svalutazione interna; b) all’effetto svalutativo sul dollaro del QE, e alla conseguente guerra daziaria (e anche valutaria) che ne deriverebbe (Trump deve aver parlato chiaro a Macron all’ultimo G7 di settembre), che i francesi commercialmente e geopoliticamente non possono permettersi (essendo gli Usa il primo paese di destinazione, per volume, delle loro esportazioni).
6) Volendo accreditare di una certa sostenibilità le politiche di perseguimento del pareggio strutturale di bilancio, che l’attuale governo persegue con molte incertezze, si renderebbe indispensabile un intervento “di riserva” della BCE alternativo al QE (come abbiamo visto sopra parlando degli spread)…ma sarebbe sufficiente a compensare l’entità della recessione fiscalmente indotta? L’esperienza “Monti” e governi seguenti ci dice di no.
E qui giunge al pettine un nodo nevralgico: l’ESM “punitivo”, tedeschizzato, fondato appunto sulla definitiva neutralizzazione di ogni possibilità di intervento della BCE, porterebbe al riacutizzarsi entro breve di un conflitto franco-tedesco. Ed infatti, la Germania ha interesse a minacciare la (imminente) ristrutturazione del nostro debito pubblico, se non altro (nella migliore delle ipotesi), per consentire di imporci la “segregazione” e assicurarsi un riequilibrio dei saldi Target2, (che, in controluce, prepara in realtà o una German-exit o un’Ital-exit); vale a dire: la Francia ha bisogno di tempo e di politiche di consolidamento fiscale che diluiscano nel tempo, in Italia, un effetto equivalente alla ristrutturazione del debito italiano (come abbiamo visto), per assicurarsi (in forza della tradizionale “cooperazione” politica del PD) il completo controllo finanziario e industriale della penisola.
7) Insomma: il valore operativo dell’ESM sta nell’imporlo (all’Italia), come minaccia “estrema”; consiste cioè, in un certo senso, in una sfida tedesca a imporci l’uscita. Però, prima regolando, a loro favore, i saldi Target2 (cioè vogliono la liquidazione per rimpinguare di riserve la loro moneta forte futura: possibilmente, per loro, un euro senza l’Italia).
[1] Questa la configurazione originaria dell’ESM: Il Meccanismo europeo di stabilità (MES), detto anche Fondo salva-Stati (in inglese European Stability Mechanism; ESM), è un’organizzazione internazionale a carattere regionale nata come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro (art. 3); è istituita dalle modifiche al Trattato di Lisbona (art. 136) approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo[1] e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles il 25 marzo 2011[2][3]. Esso ha assunto però la veste di organizzazione intergovernativa (sul modello del FMI), a motivo della struttura fondata su un consiglio di governatori (formato da rappresentanti degli stati membri) e su un consiglio di amministrazione e del potere, attribuito dal trattato istitutivo, di imporre scelte di politica macroeconomica ai paesi aderenti al fondo-organizzazione.[4]
Il Consiglio Europeo di Bruxelles del 9 dicembre 2011, con l’aggravarsi della crisi dei debiti pubblici, decise l’anticipazione dell’entrata in vigore del fondo, inizialmente prevista per la metà del 2013, a partire da luglio 2012.[5] Successivamente, però, l’attuazione del fondo è stata temporaneamente sospesa in attesa della pronuncia da parte della corte costituzionale della Germania sulla legittimità del fondo con l’ordinamento tedesco.[6] La Corte Costituzionale Federale tedesca ha sciolto il nodo giuridico il 12 settembre 2012, quando si è pronunciata, purché vengano applicate alcune limitazioni, in favore della sua compatibilità con il sistema costituzionale tedesco[7].
Il MES sostituisce il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) e il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF), nati per salvare dall’insolvenza gli stati di Portogallo e Irlanda, investiti dalla crisi economico-finanziaria.[8] Il MES è attivo da luglio 2012 con una capacità di oltre 650 miliardi di euro, compresi i fondi residui dal fondo temporaneo europeo, pari a 250-300 miliardi.[9][10][11]
Il MES è regolato dalla legislazione internazionale e ha sede a Lussemburgo. Il fondo emette prestiti (concessi a tassi fissi o variabili) per assicurare assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà e acquista titoli sul mercato primario (contestualmente all’attivazione del programma Outright Monetary Transaction), ma a condizioni molto severe. Queste condizioni rigorose “possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite” (art. 12). Potranno essere attuati, inoltre, interventi sanzionatori per gli stati che non dovessero rispettare le scadenze di restituzione i cui proventi andranno ad aggiungersi allo stesso MES.[12] È previsto, tra le altre cose, che “in caso di mancato pagamento, da parte di un membro dell’Esm, di una qualsiasi parte dell’importo da esso dovuto a titolo degli obblighi contratti in relazione a quote da versare […] detto membro dell’Esm non potrà esercitare i propri diritti di voto per l’intera durata di tale inadempienza” (art. 4, c. 8).
Il fondo è gestito dal Consiglio dei governatori formato dai ministri finanziari dell’area euro, da un Consiglio di amministrazione (nominato dal Consiglio dei governatori) e da un direttore generale, con diritto di voto, nonché dal commissario UE agli Affari economico-monetari e dal presidente della BCE nel ruolo di osservatori. Le decisioni del Consiglio devono essere prese a maggioranza qualificata o a maggioranza semplice (art. 4, c. 2).[12] Il MES emette strumenti finanziari e titoli, simili a quelli che il FESF emise per erogare gli aiuti a Irlanda, Portogallo e Grecia (con la garanzia dei paesi dell’area euro, in proporzione alle rispettive quote di capitale nella BCE), e potrà acquistare titoli di stati dell’euro zona sul mercato primario e secondario. Il fondo potrà concludere intese o accordi finanziari anche con istituzioni finanziarie e istituti privati. È previsto l’appoggio anche delle banche private nel fornire aiuto agli stati in difficoltà. In caso di insolvenza di uno Stato finanziato dallo MES, quest’ultimo avrà diritto a essere rimborsato prima dei creditori privati.
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