l’Occidentalismo a Gaza, di Dominique de Villepin

Traduciamo in italiano questa magistrale intervista[1] sulla situazione a Gaza di Dominique de Villepin[2], ex diplomatico, ex primo ministro francese. Nel 2002-2003, da ministro degli esteri del governo francese, presidenza Chirac, fu il capofila dell’opposizione alla guerra statunitense contro l’Irak.

La “vecchia Europa” (così i neoconservatori americani chiamarono, sprezzantemente, gli oppositori del loro progetto di ridisegno del Medio Oriente) ha ancora qualcosa da dire.

Buona lettura.

 

Hamas ci ha teso una trappola, la trappola del massimo orrore, della massima crudeltà. E quindi rischia di esserci un’escalation di militarismo, di ulteriori interventi militari, come se potessimo risolvere con gli eserciti un problema così grave come la questione palestinese.

C’è anche una seconda grande trappola, che è quella dell’Occidentalismo. Ci troviamo intrappolati, con Israele, in questo blocco occidentale che oggi è messo in discussione dalla maggior parte della comunità internazionale.

[Presentatrice: Cos’è l’Occidentalismo?]

L’occidentalismo è l’idea che l’Occidente, che per 5 secoli ha gestito gli affari del mondo, potrà continuare tranquillamente a farlo. E possiamo vedere chiaramente, anche nei dibattiti della classe politica francese, che c’è l’idea che, di fronte a ciò che sta accadendo attualmente in Medio Oriente, dobbiamo continuare a lottare ancora di più, in direzione di quella che potrebbe assomigliare a una guerra religiosa o di civiltà. Vale a dire, isolarsi ancora di più sulla scena internazionale.

 

Non è questa la strada, soprattutto perché c’è una terza trappola, quella del moralismo. E qui abbiamo in un certo senso la prova, attraverso quanto sta accadendo in Ucraina e in Medio Oriente, di questo doppio standard che viene denunciato ovunque nel mondo, anche nelle ultime settimane quando mi reco in Africa, in Medio Oriente o in America Latina. La critica è sempre la stessa: guardate come vengono trattate le popolazioni civili a Gaza, denunciate quello che è successo in Ucraina e siete molto timidi di fronte alla tragedia che si sta consumando a Gaza.

 

Consideriamo il diritto internazionale, la seconda critica che viene mossa dal Sud globale. Sanzioniamo la Russia quando aggredisce l’Ucraina, la sanzioniamo quando non rispetta le risoluzioni delle Nazioni Unite, e sono 70 anni che le risoluzioni delle Nazioni Unite vengono votate invano e che Israele non le rispetta.

 

[Presentatrice: Crede che attualmente, gli occidentali siano colpevoli di hybris?]

 

Gli occidentali devono aprire gli occhi sulla portata del dramma storico che si sta svolgendo davanti a noi per trovare le risposte giuste.

 

[Presentatrice: Qual è il dramma storico? Voglio dire, stiamo parlando innanzitutto della tragedia del 7 ottobre, giusto?]

 

Certo, ci sono questi orrori che stanno accadendo, ma il modo di rispondere ad essi è cruciale. Uccideremo il futuro trovando le risposte sbagliate…

 

[Presentatrice: Uccidere il futuro?]

 

Uccidere il futuro, sì! Perché?

 

[Presentatrice: Ma chi sta uccidendo chi?]

 

Vi trovate in un gioco di cause ed effetti. Di fronte alla tragedia della storia, non si può prendere questa griglia analitica della “catena di causalità”, semplicemente perché se lo si fa non se ne può uscire. Una volta capito che c’è una trappola, una volta capito che dietro questa trappola c’è stato anche un cambiamento in Medio Oriente per quanto riguarda la questione palestinese… La situazione oggi è profondamente diversa [da quella del passato]. La causa palestinese era una causa politica e laica. Oggi ci troviamo di fronte a una causa islamista, guidata da Hamas. Ovviamente, questo tipo di causa è assoluta e non ammette alcuna forma di negoziazione. Anche da parte israeliana c’è stata un’evoluzione. Il sionismo era laico e politico, sostenuto da Theodor Herzl alla fine del XIX secolo. Oggi è diventato in gran parte messianico, biblico. Ciò significa che anche loro non vogliono scendere a compromessi, e tutto ciò che fa il governo israeliano di estrema destra, continuando a incoraggiare la colonizzazione, ovviamente peggiora le cose, anche dopo il 7 ottobre. In questo contesto, quindi, bisogna capire che in questa regione siamo già di fronte a un problema che sembra profondamente insolubile.

 

A questo si aggiunge l’indurimento degli Stati. Dal punto di vista diplomatico, guardate le dichiarazioni del re di Giordania, non sono le stesse di sei mesi fa. Guardate le dichiarazioni di Erdogan in Turchia.

 

[Presentatrice: Precisamente, sono dichiarazioni estremamente dure…]

 

Estremamente preoccupanti. Perché? Perché anche se la causa palestinese, la questione palestinese, non è stata portata in primo piano, non è stata messa in scena [per un po’ di tempo], e se la maggior parte dei giovani di oggi in Europa spesso non ne ha mai sentito parlare, per i popoli arabi rimane la madre di tutte le battaglie. Tutti i progressi fatti per tentare di stabilizzare il Medio Oriente, dove si potrebbe credere…

 

[Presentatrice: Sì, ma di chi è la colpa? Faccio fatica a seguirla, è colpa di Hamas?]

 

Ma signora Malherbe, io ho una formazione da diplomatico. La questione della colpa sarà affrontata da storici e filosofi.

 

[Presentatrice: Ma lei non può rimanere neutrale, è difficile, è complicato, non è vero?]

 

Non sono neutrale, sono in azione. Vi dico semplicemente che ogni giorno che passa possiamo fare in modo che questo ciclo orribile si fermi… Ecco perché parlo di trappola ed ecco perché è così importante sapere che risposta daremo. Oggi siamo soli davanti alla storia. E non trattiamo questo nuovo mondo come facciamo attualmente, sapendo che oggi non siamo più in una posizione di forza, non siamo in grado di cavarcela da soli, come poliziotti del mondo.

 

[Presentatrice: Allora cosa facciamo?]

 

Esattamente, cosa dobbiamo fare? A questo punto è fondamentale non tagliare fuori nessuno sulla scena internazionale.

 

[Presentatrice: Compresi i russi?]

 

Tutti.

 

[Presentatrice: Tutti? Dovremmo chiedere aiuto ai russi?]

 

Non sto dicendo che dovremmo chiedere aiuto ai russi. Dico che se i russi possono contribuire a calmare alcune fazioni in questa regione, allora sarà un passo nella giusta direzione.

 

[Presentatrice: Come possiamo rispondere in modo proporzionale alla barbarie? Non è più esercito contro esercito].

 

Ma ascolti, Apolline de Malherbe, le popolazioni civili che stanno morendo a Gaza, non esistono? Quindi, poiché l’orrore è stato commesso da una parte, l’orrore deve essere commesso dall’altra?

 

[Presentatrice: Dobbiamo davvero equiparare le due cose?]

 

No, è lei che lo sta facendo. Non sto dicendo che equiparo le colpe. Cerco di tenere conto di ciò che pensa gran parte dell’umanità. C’è sicuramente un obiettivo realistico da perseguire, che è quello di sradicare i leader di Hamas che hanno commesso questo orrore. E non confondere i palestinesi con Hamas, questo è un obiettivo realistico.

 

La seconda cosa è una risposta mirata. Definiamo obiettivi politici realistici. La terza cosa è una risposta combinata. Perché non esiste un uso efficace della forza senza una strategia politica. Non siamo nel 1973 o nel 1967. Ci sono cose che nessun esercito al mondo sa fare, ovvero vincere in una battaglia asimmetrica contro i terroristi. La guerra al terrorismo non è mai stata vinta da nessuna parte. E invece scatena misfatti, cicli ed escalation estremamente drammatici. Se l’America ha perso in Afghanistan, se ha perso in Iraq, se noi [francesi] abbiamo perso nel Sahel, è perché si tratta di una battaglia che non può essere vinta semplicemente, non è che basta un martello che batte un chiodo e il problema è risolto. Dobbiamo quindi mobilitare la comunità internazionale, uscire da questa trappola occidentale in cui ci troviamo.

 

[Presentatrice: Ma quando Emmanuel Macron parla di una coalizione internazionale…]

Sì, e qual è stata la risposta?

 

[Presentatrice: Nessuna.]

 

Esattamente. Abbiamo bisogno di una prospettiva politica, e questa è una sfida perché la soluzione dei due Stati è stata rimossa dal programma politico e diplomatico israeliano. Israele deve capire che per un Paese con un territorio di 20.000 chilometri quadrati, una popolazione di 9 milioni di abitanti, di fronte a 1,5 miliardi di persone… I popoli non hanno mai dimenticato che la causa palestinese e l’ingiustizia commessa nei confronti dei palestinesi è stata una fonte significativa di mobilitazione. Dobbiamo considerare questa situazione, e credo che sia essenziale aiutare Israele, guidare… alcuni dicono imporre, ma io penso che sia meglio convincere, muoversi in questa direzione. La sfida è che oggi non c’è un interlocutore, né da parte israeliana né da parte palestinese. Dobbiamo far emergere degli interlocutori.

 

[Presentatrice: Non sta a noi scegliere chi sarà il leader della Palestina].

 

La politica israeliana degli ultimi anni non ha voluto necessariamente coltivare una leadership palestinese… Molti sono in prigione, e l’interesse di Israele – perché ripeto: non era nel loro programma o nell’interesse di Israele in quel momento, o almeno così pensavano – era invece quello di dividere i palestinesi e fare in modo che la questione palestinese svanisse. La questione palestinese non svanirà. Dobbiamo quindi affrontarla e trovare una risposta. È qui che abbiamo bisogno di coraggio. L’uso della forza è un vicolo cieco. La condanna morale di ciò che ha fatto Hamas – e non c’è un “ma” nelle mie parole riguardo alla condanna morale di questo orrore – non deve impedirci di andare avanti politicamente e diplomaticamente in modo illuminato. La legge della ritorsione è un ciclo senza fine.

 

[Presentatrice: “Occhio per occhio, dente per dente”].

 

Sì. Ecco perché la risposta politica deve essere difesa da noi. Israele ha il diritto all’autodifesa, ma questo diritto non può essere la vendetta indiscriminata. E non può esserci una responsabilità collettiva del popolo palestinese per le azioni di una minoranza terroristica, di Hamas.

 

Quando si entra in questo ciclo di ricerca delle colpe, i ricordi di una parte si scontrano con quelli dell’altra. Alcuni contrappongono i ricordi di Israele a quelli della Nakba, la catastrofe del 1948, che è una catastrofe che i palestinesi vivono ancora ogni giorno. Quindi non si possono spezzare questi cicli. Dobbiamo avere la forza, ovviamente, di capire e denunciare ciò che è successo, e da questo punto di vista non ci sono dubbi sulla nostra posizione. Ma dobbiamo anche avere il coraggio, e la diplomazia è questo… la diplomazia è la capacità di credere che ci sia una luce alla fine del tunnel. E questa è l’astuzia della storia: quando si è toccato il fondo, può accadere qualcosa che dà speranza. Dopo la guerra del 1973, chi avrebbe pensato che prima della fine del decennio l’Egitto avrebbe firmato un trattato di pace con Israele?

 

Il dibattito non dovrebbe riguardare la retorica o la scelta delle parole. Il dibattito oggi riguarda l’azione; dobbiamo agire. E quando si pensa all’azione, ci sono due opzioni. O si tratta di guerra, guerra, guerra. Oppure si cerca di andare verso la pace, e lo ripeto, è nell’interesse di Israele. È nell’interesse di Israele!”.

 

 

[1] https://youtu.be/Mpq5IxdDeqA

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Dominique_de_Villepin

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DEGENERAZIONE DELLE CLASSI DIRIGENTI OCCIDENTALI, UN ESEMPIO MICA MALE, di Roberto Buffagni

DEGENERAZIONE DELLE CLASSI DIRIGENTI OCCIDENTALI, UN ESEMPIO MICA MALE.

Sulla guerra in Ucraina i commentatori, gli esperti geopolitici e militari ufficiali dell’Occidente INTERO non hanno imbroccato MAI una previsione. Hanno inanellato errore di analisi su errore di analisi, stupidaggine tecnica su stupidaggine tecnica, e possono persino permettersi di fare nuovi errori di analisi DIVERSI e magari opposti ai precedenti, dire stupidaggini DIVERSE e magari opposte alle precedenti, previsioni sballate DIVERSE e magari opposte a quelle del giorno prima senza che nessuno glielo faccia MAI notare. L’unica coerenza indefettibile che mostrano è che non CI IMBROCCANO MAI.

Poi si danno pacche sulle spalle, si assegnano a vicenda premi, medaglie, pensioni, sinecure, ricchi premi e cotillons. Non faccio nomi perché c’è il codice penale e le cause per diffamazione costano, anche se le vinci.

In compenso, le analisi più accurate e realistiche, le previsioni che si dimostrano più azzeccate provengono da commentatori confinati sui social media, di solito militari pensionati e dilettanti appassionati di storia e cose militari: per nominarne qualcuno e scusandomi con chi non menzionassi, “Big Serge”, Bernhard Horstmann del blog MoonofAlabama, Simplicius the Thinker, Lee Slusher di Deepdive; in Italia, il gen. Fabio Mini (in pensione), il gen. Marco Bertolini (in pensione), Enrico Tomaselli (un designer e curatore di arte contemporanea, dilettante di storia e di cose militari, che scrive sul blog “Giubbe Rosse”), Francesco Dall’Aglio (un medievista dell’Accademia bulgara delle Scienze, appassionato di cose militari, che scrive su Facebook) e se mi è consentito, il sottoscritto (un dilettante di storia e cose militari, di professione drammaturgo,  che scrive sul blog italiaeilmondo.com).

C’è poi il caso clamoroso e assurdo, fino a ieri inconcepibile, di John Mearsheimer, il decano degli studi geopolitici dell’Occidente, per giunta anche diplomato a West Point, le cui opere sono testi obbligatori in tutti i corsi universitari di International Relations occidentali, che in passato ha, logicamente, scritto su tutti i più importanti periodici statunitensi e occidentali, da “Foreign Affairs” al “New York Times”; e che oggi, invece, è costretto anche lui a diffondere le sue analisi (corrette) e le sue previsioni (azzeccate) sui social, con il suo substack https://mearsheimer.substack.com/ , con interviste a blogger, eccetera. Essendo un luminare, perlomeno può fare capolino nell’ufficialità fuori dall’Occidente, si veda la recente intervista a una giornalista televisiva di Hong Kong.

In sintesi la situazione è la seguente. C’è il geometra pensionato (nel caso di Mearsheimer, il celebre architetto) che osserva i lavori nel cantiere di un grattacielo di trecento metri, e si accorge che nel progetto e nell’esecuzione ci sono gravi errori strutturali. Allarmato chiama il capocantiere, glielo fa notare, cerca di spiegarglielo con abbondanza di argomentazioni tecniche e analogie con l’esperienza del passato, si accalora, si sbraccia, rischia l’incidente cardiaco: ma il capocantiere dopo un minuto e mezzo si stanca di questo vecchio che parla a vanvera e se ne va. Se il vecchio insiste lo prende a male parole, se persiste chiama i vigili urbani e lo fa accompagnare a casa, a cucinarsi una minestrina di dado e a bersi la camomilla davanti alla TV.

Però l’anno dopo il grattacielo viene giù, con tutta la gente dentro che ci rimane sotto. That’s all folks.

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Il disadattamento delle élites occidentali. Intervista a Massimo Morigi

Il sito italiaeilmondo.com ha iniziato a rivolgere quattro domande a Aurelien[1], e continua a proporle, identiche, a diversi amici, analisti, studiosi italiani e stranieri.

Oggi risponde il nostro collaboratore Massimo Morigi

Qui il collegamento con la raccolta di tutti gli articoli sino ad ora pubblicati_Giuseppe Germinario, Roberto Buffagni

DA MASSIMO MORIGI RISPONDENDO ALLE DOMANDE GIÀ POSTE AD Aurélien E POI AGLI ALTRI AMICI DE “l’ITALIA E IL MONDO”

  1. Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

La domanda n.1 deve essere necessariamente diversamente formulata, e la corretta formulazione è «Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori anglo-americani nella guerra in Ucraina?», in quanto nella vicenda specifica (come in tutte quelle che riguardano le decisioni veramente strategiche del c.d. occidente) di decisori europei – escludendo ovviamente dal novero degli c.d. europei quei paesi dell’est e del nord-Europa di nuova aggiunta all’UE o di prossima unione alla stessa che per ragioni storiche hanno il dente avvelenato contro la Russia e che vedono nella NATO come il suo logico antemurale – non s’è vista traccia. Sotto questo punto di vista, penoso l’atteggiamento che ha assunto la Francia. Se per quanto riguarda l’Italia e la Germania il servilismo verso la NATO è del tutto scontato vista il progressivo dileguarsi in seguito alla caduta del muro di Berlino di una qualsivoglia politica estera autonoma da parte di questi due paesi (torneremo sull’Italia), per quanto riguarda la Francia si è trattato di barattare la schiena curva ai diktat angloamericani in cambio di una sorta di mano libera (ma libera si fa per dire, perché il margine di azione della Francia lasciato dagli angloamericani è assai stretto e condizionato) in Africa. All’Esagono, auguri e figli maschi!, come si suol dire.

2) Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

Alla domanda due si è già risposto in parte con la risposta n.1, nel senso che se la guerra di Ucraina è stata un errore di una classe dirigente, di un eventuale errore della classe dirigente statunitense (e in subordine di quella britannica) si deve parlare, tenendo ovviamente presente che quando si parla di classi dirigenti non le si deve mai intendere come blocchi monolitici che prendono questa o quella decisione. Il termine classe dirigente è una drastica semplificazione creata per dare un senso apparentemente logico e con una teleologia ispirata alla logica aristotelica a decisioni che in realtà sono il frutto di fortissimi scontri fra gruppi ferocemente contrapposti. A questo proposito è di tutta evidenza che per comprendere appieno queste dinamiche e per una riscrittura delle categorie della politica ci sarebbe anche la necessità di adottare paradigmi logico-filosofici diversi, uno dei quali è il paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico, ma non è questa la sede specifica per discuterne, mentre su un piano più strettamente storico, è ovvio che si risponde di sì, cioè che siamo di fronte per il c.d. occidente al fallimento della cultura liberal-illuministica che se, sul piano delle élite porta a non capire le reali dinamiche storico-sociali di un mondo che va verso sempre un maggiore multipolarismo, sul piano del popolo tende a creare delle masse culturalmente abbruttite ed economicamente disperate sulle quali si possono svolgere le più cupe e criminali operazioni, una delle quali, mi preme particolarmente sottolineare questo punto, è favorire in tutti i modi possibili ed immaginabili la denatalità delle popolazioni. È di tutta evidenza che con l’attuale denatalità dell’occidente e con la conseguente composizione per età di queste popolazioni dove i vecchi sormontano i giovani, non sono assolutamente concepibili né rivoluzioni più o meno violente né rivoluzioni più o meno culturali. Con i vecchi non si può fare nessun tipo di rivoluzione, in essi prevale la paura di vivere male gli ultimi anni della loro vita e tutto il resto può ben andare al diavolo, il massimo che ci si può aspettare da costoro è qualche – giustissima, per carità! – protesta per innalzare le misere pensioni.

3)La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

Discende logicamente dalle prime due risposte che la crisi di questo occidente è assolutamente irreversibile, sarebbe necessario, per farla breve, più cultura, politica e non, e più popolo e per essere assolutamente chiari, le ondate migratorie che assaltano il c.d. occidente sono assolutamente inadeguate sia per creare più cultura che per creare più popolo per il semplice fatto che questa sostituzione culturale (non etnica, i poveretti di destra che usano quest’ultima terminologia non fanno altro che dimostrare la loro inadeguatezza nel definire il fenomeno, anche se unita all’intuizione del pericolo, ma una intuizione che non trova le parole per esprimersi vale meno di niente ed è anzi dannosa) non sprigiona alcuna contraddizione all’interno della società ma solo maggiori richieste securitarie da parte degli autoctoni, per giunta per lo più pensionati o in via di, e il giochetto del divide et impera (fra chi vuole più sicurezza, la destra, e chi vuole più libertà, la sinistra, stanca erede della tradizione illuministico-liberale, entrambe gabbate nei loro rispettivi elettorati perché il problema vero è il sempre maggior restringimento degli spazi di libertà diffusa e condivisa, perché vera libertà, come ha più volte sottolineato la dottrina del Repubblicanesimo Geopolitico, altro non è che un concreto potere cellularmente diffuso in tutti gli strati della società) è fatto.

4) Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

Certo, sì, sono ricollegate alle loro tradizioni premoderne ma, sinceramente, la mobilitazione – o l’addormentamento – delle masse richiede sempre qualche slogan, il fatto veramente importante è che questi slogan di stampo premoderno permettono di contrapporsi con successo alla narrazione illuministico-liberale che fa il gioco del c.d.blocco occidentale, cioè degli Stati uniti e del suo reggicoda Gran Bretagna, seguiti dalla attuale compagnia cantante dove l’Italia è l’ultima ruota del triste e sgangherato carro. Importante sottolineare che di narrazioni premoderne si tratta e di narrazioni illuministico-liberali si tratta, cioè che in entrambi i casi si tratta di retoriche di mobilitazione e/o smobilitazione delle masse, con una differenza però. Le retoriche atavistiche tendono comunque a far emergere un mondo multipolare e a far prevalere le mobilitazioni popolari, la qual cosa se contiene dei pericoli di totalitarismo favorisce l’irrobustimento e la fiducia in sé dei vari popoli verso il quali sono indirizzate queste retoriche, mentre le retoriche liberal-illuministiche vanno non solo interamente nella direzione di un disegno imperialistico, ça va sans dire, ma soprattutto alla disintegrazione culturale ed anche demografica del popolo. Se proprio vogliamo tenerci per buono il termine ‘democrazia’ (vi prego non ridete per il mio uso di questa parola che più sputtanata non potrebbe essere), si può dire che il c.d. occidente va verso una democrazia senza popolo, inteso questo ‘senza’ nel senso sia dal punto di vista culturale, cioè un popolo sempre più abbruttito, ma anche un popolo sempre più in decrescita demografica. E così questo nuovo tipo di dominio totalitario è servito. Un’ultima parola per quanto riguarda l’Italia, non per niente il nostro blog si chiama “L’Italia e il Mondo”. L’Italia è il paese dove quanto detto finora riguardo la crisi dell’occidente è più evidente che in tutti gli altri paesi investiti da questa degenerazione cultural-demografica (e per essere veramente realisti riguardo il suo ruolo nello scenario del c.d. occidente, esso è direttamente condizionato dalla sua dipendenza culturale ed economica dalla sfera angloamericana; detto brutalmente: nel suo attuale stato delle cose l’Italia altro non è che un paese costretto a comportarsi come un vile soldato di ventura che arruolatosi per la paga e/o per sfuggire ai suoi debiti, deve rispondere signorsì ogni qual volta viene chiamato a combattere. Situazione plasticamente rappresentata nella sua scriteriata ma anche ineluttabile partecipazione alla guerra di Ucraina e tutto il resto sono racconti di fate).

Condivido però con Machiavelli, tramite il sempre ottimo Teodoro Klitsche de la Grange «che per rigenerare una repubblica occorre “ritornare” al principio.» E su questo sarò breve. Questo principio non è certo la costituzione del ’48 dove, dettaglio più comico non si potrebbe immaginare alla luce dell’attuale situazione, l’Italia ripudia la guerra (se mi si passa la battuta, ripudiare la guerra ha lo stesso valore etico ed operativo di ripudiare il mal di denti, ma ad una nazione che ha perso la guerra ed è ridotto allo stato di colonia degli Stati uniti questo ed altro bisogna perdonare!), ma il nostro Risorgimento e non tanto il Risorgimento oleografico (Cavour voleva l’unità d’Italia?, manco per idea, egli voleva solo allargare il regno del Piemonte fino all’Italia centrale e oleografia che fra l’altro tralascia il piccolo dettaglio che l’unità d’Italia, oltre alla Francia che palesemente aiutò l’espansionismo del Piemonte, ebbe dietro le quinte la Gran Bretagna per sostituirsi al dominio nella penisola italica dell’impero austroungarico e per far fuori il Regno delle due Sicilie che non voleva uniformarsi alla sua politica imperialista nel Mediterraneo e contro la Russia: il Regno delle due Sicilie aveva proclamato la sua neutralità nella guerra di Crimea, una neutralità de facto favorevole alla Russia, uno sgarro che la Gran Bretagna non gli poteva certo perdonare, corsi e ricorsi…, si veda in proposito “Eugenio di Rienzo, Il Regno delle due Sicilie e le Potenze Europee, Rubettino, 2012” ed anche la mia conferenza tenuta il 10 marzo 2023 alla Casa Matha di Ravenna, “Lo Stato delle Cose della Geopolitica Italiana nei Conflitti Mazzini/Garibaldi”, all’URL https://www.youtube.com/watch?v=KwA00IOPCsM , dove affermo con la massima chiarezza che la spedizione dei Mille senza l’appoggio della flotta britannica non sarebbe stata possibile e i garibaldini sarebbero finiti in pasto ai pesci) ma proprio quel Risorgimento sconfitto dalla storia perché in totale antitesi col progetto imperialistico sabaudo che non poteva accettare la nascita e la costruzione di un vero ed autentico popolo italiano come avrebbe voluto Giuseppe Mazzini (il sud, in poche parole, una volta conquistato dalla dinastia sabauda tramite la spedizione dei Mille, svolse egregiamente il ruolo di un territorio da sfruttare con tecniche di prelievo delle risorse economiche ed umane tipiche delle metropoli del Vecchio continente verso le colonie extraeuropee). E quindi, oltre ad un ritorno a Mazzini, bisogna tornare a pensare a Gramsci e al suo moderno principe centro unificatore e di irradiazione di pedagogia e politica popolar-proletaria, il cui compito, con profonde similitudini con l’azione mazziniana di educazione nazionale sotto l’insegna di Dio e Popolo, sarebbe stato quello di costruire un popolo rivoluzionario. Quindi il realismo politico di Machiavelli e poi Mazzini e poi Gramsci che seppur del Risorgimento critico senza sconti e del secondo non certo un grande estimatore ma che entrambi avevano ben capito che senza un popolo, e non una massa anomica e dispersa sul modello liberal-illuminista, nessuna azione politica realmente progressiva e di autentica libertà ed anche rivoluzionaria è possibile. Penso che da costoro sia assolutamente necessario ripartire e, per quanto ci riguarda come “L’ Italia e il Mondo”, indirizzare i nostri sforzi. 

Massimo Morigi, settembre 2023

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