Il cinismo supera il sacro, mentre l’Occidente mostra il suo vero volto, di Simplicius

Il cinismo supera il sacro, mentre l’Occidente mostra il suo vero volto

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Non ci si può più credere. L’Occidente ha abbandonato ogni pretesa della sua vacca sacra, la “democrazia”, usata per generazioni come strumento di superiorità morale con il quale intimorire il resto del mondo.

Il politico rumeno Calin Georgescu ha battuto il suo avversario al primo turno delle elezioni presidenziali, solo che l’intero risultato è stato “annullato” da un tribunale rumeno, citando assurdamente “interferenze russe su TikTok” – senza alcuna prova reale. (Si veda qui per un approfondimento su tali “prove”.)

Alcune reazioni di contesto:

Inoltre, l’attuale presidente rumeno Klaus Iohannis ha dichiarato che rimarrà illegalmente oltre la scadenza costituzionale del suo mandato, senza che i suoi partner occidentali si siano assolutamente indignati, abbiano invitato all’azione o abbiano criticato:

Come l’Occidente si sta finalmente disfacendo, siamo testimoni di una vera e propria striscia di sconvolgenti perversioni del cosiddetto processo “democratico”. Qualche tempo fa Imran Khan aveva vissuto la stessa esperienza, venendo prontamente incarcerato e messo al pascolo per aver osato guardare a est verso Russia e Cina. In tempi più recenti, le elezioni venezuelane sono state considerate “rubate” in modo antidemocratico, senza alcuna prova, dalle stesse persone che si celano dietro l’immacolato “Stato di diritto”.

Le stesse elezioni di Moldova sono state poi effettivamente truccate dopo che Sandu è stato salvato solo da un discutibile voto della diaspora dall’estero, un fatto ammesso anche dal presidente globalista della Georgia:

L’accettazione da parte dell’UE dei risultati in Moldavia ma non in Georgia è la continuazione di una politica consolidata di due pesi e due misure e dell’uso palese della democrazia come slogan solo quando fa comodo”, ha dichiarato Ivan Katchanovsky, professore all’Università di Ottawa e autore di The Maidan Massacre in Ukraine. -Source

La realtà è stata l’opposto di quanto lei sostiene: nelle elezioni moldave hanno prevalso una serie di “irregolarità” e altre tattiche di imbroglio, come ad esempio l’esclusione della diaspora moldava che vive a Mosca, concedendo loro solo un piccolo seggio elettorale, con il risultato che molti non hanno potuto votare per l’avversario filorusso di Sandu.

Seguono l’Abkhazia e la Georgia, con massicce interferenze occidentali per sovvertire la democrazia reale, con folle comprate da ONG che tentano di creare nuovi Maidan per intimidire la leadership e sovvertire il processo politico.

Anche in Corea del Sud, il presidente Yoon Suk Yeol, sostenuto dall’Occidente, ha dato vita a un improvviso colpo di stato militare che ha visto forze speciali armate prendere d’assalto il palazzo del Parlamento.

In Francia, intanto, Macron ha annunciato ieri il suo rifiuto di dimettersi dopo il crollo del suo governo e le dimissioni del suo premier Barnier, scatenando una crisi politica storica. Proprio come nel caso del tedesco Scholz: i leader europei hanno perso il mandato del popolo.

L’Occidente ossessionato dal breve termine considera “vincenti” i vari sovvertimenti dei processi democratici sponsorizzati dalla CIA: ma queste persone hanno pensato a quale precedente stanno creando? Stanno bruciando le loro fondamenta, dando fuoco a tutta la loro casa. Nella speranza di stanare qualche apparente “vespa”, ora rischiano di distruggere il loro intero ordine nel giro di una generazione.

La percezione del misero “Ordine basato sulle regole” dell’Occidente non sarà mai riparata dopo questo: il resto del mondo libero sta osservando e imparando esattamente come lo “Stato di diritto” si attenga ai principi; l’Occidente non riacquisterà mai la loro fiducia e le sue istituzioni porteranno per sempre con sé il fetore e la macchia dell’interferenza politica e dell’odio nascosto per la vera democrazia, che è sempre stata una parola d’ordine destinata a giustificare la tracotanza imperialistica dell’ordine occidentale.

L’ordine occidentale si è trasformato in un odore, e il sud globale non riesce a pizzicarne le narici abbastanza forte.

Sotto lo sfarzo ipnotico dello “spettacolo magico” dell’egemone è stato a lungo nascosto il fatto che l’idolo “indivisibile” della democrazia è sempre stato suddiviso in forme “buone” e “cattive”, a seconda delle necessità. Un tempo era nascosto bene, con i leader occidentali che almeno facevano dei tentativi di finzione, mantenendo la favola. Ora le cose sono precipitate così rapidamente che è necessario prendere misure disperate, buttando via tutte le precauzioni insieme all’acqua del bagno, per rivelare il brutto volto del sistema politico occidentale, rimasto a lungo sepolto nella cenere delle sue conquiste.

In breve: non hanno più il tempo di costruire miti e schemi elaborati, ma sono costretti a limitarsi ad agire d’istinto per salvare il loro impero in rovina. Ma così facendo, hanno accelerato il suo declino rivelando quanto illiberale e dispotico sia stato tutto questo tempo.

Un esempio illuminante di come le cose siano arrivate a questo punto è dato dal thread X dell’autore Peter Herling, che utilizza la sua esperienza della situazione particolare della Francia per dare un’idea di come l’apparato globalista sovverta i processi politici in ogni paese. La versione più digeribile per i lettori di thread.

La politica estera della Francia non è mai stata così superficiale, riflessiva e incoerente, distaccata da qualsiasi interesse nazionale, schiava del ciclo delle notizie.

Ho assistito a questa evoluzione in 25 anni, durante la mia carriera. E porta con sé lezioni sulla diplomazia in senso più ampio .

Notate cosa dice dopo, accostandolo agli Stati Uniti e al loro famigerato Dipartimento di Stato che ha preso il controllo della politica:

Il cambiamento più evidente è: la presidenzializzazione. La politica prendeva forma all’interno del ministero (il Quai d’Orsay), sede di solide tradizioni intellettuali, di un robusto corpo di funzionari e di forti figure dirigenziali.

Poi, gradualmente, si è spostata nel palazzo presidenziale (l’Eliseo).

All’interno dell’Eliseo, la politica è stata formata in un primo momento da un piccolo gruppo di consulenti tecnici che provenivano dal Quai d’Orsay e che si coordinavano strettamente con esso.

Anche questo è cambiato, quando il personale politico del presidente e il presidente stesso hanno preso il sopravvento.

Questo ha anche aperto la porta a tutti i tipi di sussurratori “notturni” e agli impulsi, alle intuizioni e alle influenze provenienti dalle reti personali del presidente.

In breve, possiamo intendere questo come una sorta di sottile sistema di pesi e contrappesi interni, che vedeva gli esperti al di fuori del controllo diretto del presidente mantenere un forte peso nella definizione delle politiche. Ma a poco a poco, con l’aumentare delle richieste della fazione globalista di Davos di maggiori manipolazioni, soppressioni e politiche più rigide in generale, ha preso forma un processo naturale che ha visto il graduale declassamento di questo sistema di contrappesi, prima efficace, a favore del presidente e della sua piccola cerchia di eminenze grigie.

Questo è lo stesso processo che ha visto la presidenza degli Stati Uniti diventare totalmente cooptata da un pugno di potenti agenti globalisti che lavorano nel Dipartimento di Stato e nel Gabinetto, che essenzialmente hanno iniziato a gestire direttamente la presidenza, controllando tutti i flussi di informazioni dirette a lui dentro e fuori.

Questo porta a decisioni brusche e mistificatorie che i professionisti della politica estera a volte apprendono attraverso i notiziari.

In questo processo sempre più ad hoc, si è perso proprio ciò che fa la politica estera: quadri intellettuali, memoria istituzionale, strategie a lungo termine, esperienza tecnica faticosamente acquisita.

Sussistono, ma troppo spesso in modalità catch-up.

I circoli diplomatici formali non sono solo rimasti indietro.

Questo significa che ciò che strutturava la politica estera si è degradato. Quello che rimane è l’armamentario della diplomazia: dichiarazioni, inviati e conferenze con poca sostanza e ancora meno consistenza.

Per le stesse ragioni per cui la Francia, gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Germania e altri mostrano politiche estere modellate da pregiudizi ordinari.

Poiché i politici sono liberi da strutture professionalizzate, i loro capricci e pregiudizi personali, e quelli della loro coterie di consiglieri, vincono il giorno.

Questa è la quintessenza della centralizzazione del potere da parte di oscure strutture interne globaliste.

Questo può aiutare a spiegare il continuo collasso delle norme internazionali ispirate dall’Occidente, nel contesto di Gaza.

Fa anche luce su ciò che queste norme vengono sostituite: gli istinti di base, attraverso i quali riemerge molto del nostro passato irrisolto.

Tornare indietro:

L’ultimo esempio di questo grande declino arriva attraverso l’improvvisa sbianchettatura da parte dell’Occidente del deputato dell’ISIS e leader di Al-Qaeda Al-Joulani. La sconcertante intervista softball della CNN è una di quelle da non dimenticare:

Le domande pre-scritte sono state concepite solo per offrire al leader terrorista una piattaforma per presentare il suo nuovo marchio a un pubblico occidentale. Si tratta di un classico gioco di incastri e di colpi di scena: il conduttore finge di “sfidare” il leader terrorista solo per dargli in pasto esattamente la domanda che gli consente di inquadrare il suo lifting di pubbliche relazioni con la risposta preparata.

Tra i momenti più incredibili c’è l’affermazione di essersi lasciato alle spalle il passato nell’ISIS, visto che era un giovane uomo e che le persone “cambiano” quando attraversano le fasi mercuriali della vita: tutti possiamo capirlo, no?

Basta dare un’occhiata al curriculum di questo tizio, per carità:

Al-Qaeda, i ragazzi che avrebbero ucciso migliaia di americani l’11 settembre, secondo l’agiografia ufficiale del GWOT? Il tizio che in questo momento mantiene una taglia di dieci milioni di dollari presso l’FBI?

Sì, quello viene corteggiato dalla CNN, gli vengono lanciate palle morbide e gli viene offerta nessuna sfida alle rapsodie liriche della sua fase di angoscia adolescenziale dell’ISIS. Che dire, la CIA ha costruito il suo perfetto archetipo di ‘eroe popolare terrorista redento’.

Democrazia per il Nuovo Mondo – la via occidentale!

La complicità dei media nasce dal fatto che non viene lanciata alcuna sfida a nessuna delle circostanze illiberali o antidemocratiche descritte finora. Se si trattasse della Russia, della Cina, della Corea del Nord o dell’Iran, il linguaggio sviluppato appositamente per la causa viene immediatamente utilizzato per sfidare, contestare e incriminare questi Paesi attraverso titoli di giornale ad hoc. Ma quando una serie di Paesi sostenuti dall’Occidente annullano del tutto le loro elezioni presidenziali, il MSM torna a fare finta di niente, pubblicando titoli “neutrali” con un linguaggio passivo che non puntano il dito né insinuano alcun illecito. Dove sono le proteste isteriche per un Paese della NATO e dell’UE che letteralmente annulla le proprie elezioni presidenziali per puro capriccio? Per non parlare della mancanza di due diligence e di ricerche giornalistiche sulle voci secondo cui un misterioso Bombardier americano sarebbe volato in Romania alla vigilia dell’annullamento:

Come detto all’inizio, la nuda ipocrisia dell’Occidente è stata testimoniata da tutto il mondo e riecheggerà nelle generazioni future. I leader occidentali vedono solo i guadagni a breve termine e sono disposti a fare qualsiasi cosa in loro potere per sostenere il loro sistema in decadenza, dando un calcio al barattolo, il che non fa che aumentare la “bolla” catastrofica che prima o poi dovrà inevitabilmente scoppiare. Non è diverso dall’utilizzo del dollaro USA come arma economica, che ora sta portando alla dedollarizzazione globale e alla creazione di sistemi finanziari paralleli nel Sud del mondo.

L’UE, in particolare, ha raggiunto un punto di non ritorno, diventando la “prigione delle nazioni” di cui parlava l’arguto commentatore precedente. Più i tecnocrati globalisti dell’UE spingono, più la crescente opposizione e la classe degli scettici dell’UE diventano ostinati. Per ogni Georgescu che distruggono e sopprimono illegalmente, aprono gli occhi su molti altri che sorgeranno nel prossimo futuro. I tecnocrati non pensano mai a fondo, ma cercano sempre la spada più veloce e conveniente. Questa mancanza di lungimiranza li ha portati a potenziare enormemente il complesso di censura del blocco, provocando trasgressioni inaudite contro i diritti dei cittadini. Storie recenti dal Regno Unito e dalla Germania testimoniano di persone ripetutamente arrestate per post innocui come meme o battute politiche rivolte a funzionari.

Dopo che un pensionato di 64 anni ha retwittato un meme del ministro dell’Economia verde Robert Habeck, in cui Habeck veniva descritto come un “idiota”, la polizia bavarese ha fatto irruzione nella casa dell’uomo e lo ha arrestato. Il crimine è stato addirittura registrato come “crimine di destra politicamente motivato”.

In breve: blocco totale dell’informazione o fallimento.

Ora, sulla scia del “blip” elettorale rumeno, naturalmente gli unici appelli che vengono fatti sono per un’ulteriore censura, con diverse figure europee di spicco che non solo militano per un'”azione” contro i social media, ma apertamente condonano la capricciosa abrogazione delle elezioni sulla base di dicerie. Un membro del Parlamento europeo in carica:

Ora la disinvoltura con cui la cancellazione di un’elezione presidenziale viene data per scontata, come se non si trattasse di qualcosa che ha scosso il fondamento stesso della fiducia politica e del patto sociale con la società. Il precedente stabilito è che qualsiasi elezione può ora essere interamente liquidata sulla base di semplici voci circostanziali di “interferenze russe”. Né molti si sono preoccupati di riflettere sul fatto che l'”interferenza dei social media” è un pendio fallace e scivoloso, tanto per cominciare:.

Ancora una volta, la rivoltante ipocrisia dell’AIPAC fa capolino: L’AIPAC si vanta apertamente di finanziare i suoi candidati preferiti al Congresso per ottenere la vittoria. Pochi giorni fa, il deputato tedesco del Bundestag Michael Roth, del partito SPD, si è recato a Tbilisi per partecipare apertamente a un tentativo di colpo di stato, tenendo persino un discorso per incitare i manifestanti:

Nel discorso, egli si fa persino beffe delle accuse di “interferenza”, mostrando la tipica arroganza occidentale, ostentando volontariamente la stessa ipocrisia che sarà la loro rovina.

Immaginate se il defunto deputato russo della Duma Zhirinovsky si fosse recato al Campidoglio sul J6 per incitare le folle contro il Congresso con una retorica infuocata da un palco. Come sarebbe stato accolto?

L’Occidente si sta mangiando come un serpente con la coda in bocca. L’ultima serie di politiche disperate dell’ultimo respiro sono esattamente questo: stanno solo accelerando il contraccolpo. Le élite occidentali stanno cercando di guadagnare tempo per evitare che l’intero ordine, compresa l’UE, si sgretoli. Come un uomo ferito che si dissangua lentamente tracannando un bicchiere d’acqua dopo l’altro, l’Europa e la NATO si accaparrano di riflesso nuove nazioni a un ritmo record, come se l’ingordigia pura e semplice del loro impero malato potesse compensare la decadenza che si sta diffondendo al suo interno.

Ma l’intero sistema cammina su una linea sottile, perché la gente l’ha capito lentamente e la doppiezza politica dei tecnocrati globalisti è già al massimo; semplicemente non possono permettersi di rubare ogni futura elezione senza che il sistema crolli sotto il peso della sua tirannia in fuga. Il sistema sta già cedendo e un manipolo di burattini globalisti dal dito ruvido si affanna a mettere in piedi una sorridente facciata di normalità davanti alle telecamere, mentre le fondamenta gemono sotto di loro.

Questo ordine politico non è solo il malato d’Europa, ma il vero e proprio malato del mondo, che sputa la sua spuma infettiva su tutte le persone vicine. Questo è il cinico crepuscolo dell’Occidente, che ha scelto il terrore, l’oppressione e la manipolazione politica contro i propri cittadini come modo per far fronte alla lenta perdita dei propri diritti imperiali. È inevitabile che la marea montante dei partiti politici anti-establishment continui a spazzare via questa piaga. Ma prima che questo accada definitivamente, l’Europa vedrà probabilmente una paralisi politica destabilizzante per diversi anni, come una sorta di morte finale degli oppositori globalisti e dei politicanti come Starmer, Macron, Scholz e altri, il cui unico compito sarà quello di ritardare la caduta il più a lungo possibile.

 


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DEMOCRAZIE LIBERALI, “ILLIBERALI” E IN VIA DI IMPLOSIONE, di Teodoro Klitsche de la Grange

DEMOCRAZIE LIBERALI, “ILLIBERALI” E IN VIA DI IMPLOSIONE

È un classico del pensiero politico liberale il discorso di Benjamin Constant su “La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni” dove il pensatore svizzero distingueva i due generi di libertà “le cui differenze sono passate sino ad ora inosservate, o per lo meno non sono state rimarcate a sufficienza. La prima libertà è quella il cui esercizio era così sentito presso i popoli antichi; l’altra è quella il cui godimento viene considerato particolarmente prezioso all’interno delle nazioni moderne”. La prima “libertà” “consisteva nell’esercizio, in maniera collettiva ma diretta, di molteplici funzioni della sovranità presa nella sua interezza, funzioni quali la deliberazione sulla pubblica piazza della guerra e della pace” ed aveva il grave difetto che gli antichi “ammettevano come compatibile con questa libertà collettiva l’assoggettamento completo dell’individuo all’autorità dell’insieme” di guisa che “In tal modo, presso gli antichi, l’individuo, praticamente sovrano negli affari pubblici, è schiavo all’interno dei rapporti privati”. Mentre “Tra i moderni, al contrario, l’individuo, indipendente nella vita privata, anche negli Stati più democratici non è sovrano che in apparenza” e nel mondo moderno “la libertà è il diritto di essere sottoposti soltanto alla legge, il diritto di non essere arrestati, detenuti, condannati a morte, maltrattati in alcuna maniera, per effetto della volontà arbitraria di uno o più individui”, di esprimere il proprio pensiero, scegliere la propria occupazione, disporre dei propri beni, di andare dove si vuole, di culto religioso (e così via). Ed è anche il diritto “di influire sull’amministrazione del governo, sia nominando per intero o in parte certi funzionari, sia attraverso rappresentanze, petizioni, domande”.

Tale distinzione ha influito sul pensiero politico e giuridico moderno, tra gli altri su quello di I. Berlin e Carl Schmitt.

È interessante riprendere tale concezione in ispecie quando si riaccende il dibattito sullo “Stato di diritto” made UE e la concezione di Orban sulla “democrazia illiberale”; che tanto scandalizza la stampa mainstream. È vero che senza un certo rispetto di principi di libertà, lo stesso formarsi della volontà pubblica negli organi di governo viene ad essere falsata, se non in tutto, almeno in parte. Ma è anche vero che se poi questa una volta espressa ha un chiaro senso, ma viene corretta in senso contrario, come capitato in Italia nell’ultimo decennio (se non prima), è la democrazia ad essere mistificata. Prendersela con Orban perché controllerebbe buona parte della stampa e della televisione ungherese, avrebbe la mano pesante con gli immigrati e così via, può avere qualche ragione; resta il fatto che, con le elezioni della passata primavera, Orban ha ottenuto per la quarta volta la maggioranza. In quest’ultima, assoluta.

Scrivo questo perché Constant, pur avendo evidenziato la distinzione tra le due “libertà” e come potessero, in certi casi, contrapporsi (in particolare durante la Rivoluzione e la dittatura giacobina) non ebbe un concetto negativo della Rivoluzione, definendola provvida “malgrado i suoi eccessi perché guardo ai risultati”, ancor più trovava il punto di mediazione tra le due libertà nel governo rappresentativo.

Proprio per permettere ai cittadini di dedicarsi alle attività private, occorreva che avessero il diritto di delegare quelle pubbliche. Cioè il sistema rappresentativo. Il quale “altro non è che un’organizzazione per mezzo della quale una nazione scarica su alcuni individui ciò che non può e non vuole fare da se”. Ma il pericolo che incombe, secondo Constant “è che, assorbiti dal piacere della nostra indipendenza privata e dall’inseguimento dei nostri interessi particolari, noi rinunciamo troppo facilmente al nostro diritto di partecipare al potere politico”. Per cui occorreva che fosse garantito dalle istituzioni il diritto dei “cittadini a concorrere con le loro decisioni e i loro suffragi all’esercizio del potere; esse devono garantire loro un diritto di controllo e di sorveglianza con la manifestazione delle loro opinioni”.

Qual è la conclusione che si può ricavare da queste considerazioni del pensatore svizzero nell’attuale situazione italiana? Se è vero quanto dicono i sondaggi che, malgrado la crisi degli ultimi due anni, gli astensionisti domenica prossima saranno circa il 40% degli elettori, significa che la democrazia italiana non è né liberale né illiberale: semplicemente è in via di estinzione. Votare sarà pure un diritto, ma inutile: tanto poi le decisioni vengono prese altrove. È questo a costituire la maggiore preoccupazione per la tenuta del “sistema rappresentativo” (come, mutatis mutandis di ogni regime politico) assai più del “tasso di Stato di diritto”. Perché anche gli Stati di diritto possono finire per inedia, come il comunismo è cessato per implosione.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

SOSPENDERE L’USO PUBBLICO DELLA RAGIONE, di Pierluigi Fagan

SOSPENDERE L’USO PUBBLICO DELLA RAGIONE.

La “società aperta” ha deciso di chiudersi. La società liberale va a polarizzarsi nella contraddizione delle sue stesse premesse.

L’ambasciatore italiano a Mosca, lì col chiaro mandato di favorire le relazioni commerciali bilaterali, ha avuto l’ardire di segnalare in una audizione parlamentare, il costo delle sanzioni per le nostre imprese su dati FMI. Un argomento che dovrebbe interessare una democrazia di mercato visto che parla di mercato, no? Dire questo è dire che non si dovevano elevare sanzioni? Credo che un ambasciatore navigato come Starace con un passato in Cina, USA, Giappone sappia qual è il suo limite ovvero dare informazioni, non suggerire decisioni. Ma la società aperta che amava definirsi anche società dell’informazione, ora scopre che le informazioni non piacciono, le informazioni disturbano le decisioni o per lo meno ne ricordano il prezzo. Non c’è nulla di male a sapere il costo delle decisioni, aiuta ad organizzarsi per poterle pagare o si pensa o si vuol far pensare che le decisioni ideali siano libere e gratuite?

Il direttore dell’unico quotidiano di informazioni sulle relazioni internazionali, Sicurezza internazionale, edito dalla LUISS Guido Carli, collegata in vari modi a Confindustria, diretto da un professore ricercatore affiliato al MIT di Boston e che pubblica in USA con la Cornell University, A. Orsini, ha l’ardire di invitare in tv ad inserire ciò che sta avvenendo in Ucraina in una inquadratura più ampia, nello spazio (geografia) e nel tempo (storia). Bassanini domanda nervosamente su twitter se Orsini esprime il pensiero della LUISS o personale di modo che LUISS sia obbligata a ribadire la sua stretta osservanza atlantista facendo una ramanzina al suo professore in pubblico sul fatto che questi si doveva attenere ai fatti e non dare interpretazioni. Già, “i fatti”.

Il giornalista RAI Marc Innaro, una prima volta a Mosca per sette anni, poi di nuovo negli ultimi otto, per aver riferito cosa i russi dicono dei fatti (se sta a Mosca cosa deve fare, riferire cosa dice Zelensky? Quello già lo riferiscono 7/24 sette-reti-sette+stampa e radio) è ora richiesto a gran voce esser spostato ad altro incarico. Magari come mi è capitato di sentire l’altro giorno su RAI News riferisce che i russi affermano di aver convocato l’ambasciatore della Croazia perché i russi avrebbero pizzicato 200 neo-nazi con passaporto croato ed avrebbero affermato che ve ne sono da ogni parte d’Europa e quindi hanno poi affermato che non tratteranno gli stranieri come prigionieri di guerra (il che ha un brutto significato come potrete intuire). O come ieri ha riferito che i russi sostengono che non sono così deficienti da sparare ad una centrale nucleare: 1) perché la vogliono prendere intatta; 2) perché la Russia dista dalla centrale meno che la Moldavia; 3) perché Mosca dista meno di Vienna. Così i russi sostengono che la controllano da giorni e che l’incidente è organizzato dagli ucraini per mandare in mondovisione la fake news. Siamo tutti adulti e dovremmo sapere tutti che la guerra delle informazioni e controinformazioni è norma, ma quando la fa Zelensky è verità, quando la fa Mosca è falsità sempre e comunque. Ma poi, non si capisce cosa altro dovrebbe fare Innaro se non riferire cosa dicono lì, cosa significa “corrispondente”?

Così, nell’uso pubblico della ragione, non puoi avanzare qualche dissonanza se prima non reciti il Credo nella Verità della Chiesa Unitariana del Bene contro il Male e del Vangelo della Marvel Comics, ma pare che ormai non basti più neanche quello. Non vogliamo nessun mondo multipolare, quindi ci polarizziamo, noi Bene, altri Male, tertium non datur e chi lo dà è collaborazionista suo malgrado. Il mondo crede a quel Vangelo, l’ha celebrato anche all’ONU. Peccato che tra astensioni e contrari, abbiamo votato paesi con metà della popolazione terrestre e poiché quel voto non comportava alcuna sanzione, è pure dubitabile che chi ha votato per la risoluzione voglia mai andare oltre alla semplice dichiarazione. Io non sono un paese ONU, ma se fossi stato lì l’avrei votata anche io quella dichiarazione, chi mai può difendere il “diritto” si un paese a varcare armato il confine di un altro? Siamo all’ovvio. Com’è ovvio che a tutt’oggi solo un quarto del mondo, l’Occidente polarizzato su Washington con il senior partner UK, ha elevato sanzioni, sebbene secondo la strana geografia surrealista della von der Leyen, questa sia la “comunità globale”.

Cos’è l’Illuminismo? Pensare con la tua testa. Avere il coraggio, pagarne il prezzo. Non pagare chi pensa per te tenendoti nell’infanzia eterna deresponsabilizzata, assumerti le tue responsabilità davanti al mondo. “Senonché a questo illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. Ma io odo da tutte le parti gridare: – Non ragionate! – L’ufficiale dice: – Non ragionate, ma fate esercitazioni militari. – L’impiegato di finanza: – non ragionate, ma pagate! – L’uomo di chiesa: – Non ragionate, ma credete!” diceva Kant in quel del 1784. Comprendere è prender assieme quanti più fatti ci è possibile, giudicare viene solo dopo che hai ben compreso, comprensione e giustificazione sono atti separati e con fini diversi.

Così oggi sembra che la società aperta-chiusa, la Wide-Shut-Society, la società spalancate ad alcune cose ma chiusa ad altre, necessiti di spegnare la luce, non è epoca di illuminismi. La società aperta mi sembrava dovesse esser liberale, ma si sa i liberali annunciano principi universali, ma con applicazioni particolari. Sono come i contratti assicurativi, la fregatura è a corpo 5. Locke annunciava la totale libertà di credenza, ma il totale era dentro il protestantesimo, se eri cattolico o ateo andavi al gabbio e buttavano via la chiave, se non di peggio.

Quando s’impone il buio, vuol dire che si vuol nascondere qualcosa?

DEMOCRAZIE ILLIBERALI?, di Teodoro Klitsche de la Grange

DEMOCRAZIE ILLIBERALI?

1.0 Dall’ascesa del populismo va di gran moda – dall’altra parte della “barricata” – parlare di democrazie illiberali.

Si è scoperto che “democrazia”, questo termine dalle molte definizioni, non è solo quella conosciuta nell’Occidente moderno: ma ve ne sono altre. Talk-show e commentatori, insomma, hanno ri-scoperto Benjamin Costant che, paragonando la libertà degli antichi a quella dei moderni ne evidenziava le differenti caratteristiche[1].

  1. Per lo più tale illiberalismo dei vari Orban, Trump (?), Erdogan, Putin (scusate qualche omissione) e soprattutto Salvini-Di Maio è giudicato tale perché tende a promuovere una forma democratica di governo senza quelle garanzie che fanno parte della cultura liberale (libertà di manifestazione del pensiero, di associazione, di eguaglianza giuridica, in taluni casi di libertà personale). Secondo Orban il modello è quello di una “democrazia cristiana illiberale” questa si propone “di difendere i principi originati dalla cultura cristiana, quali la dignità umana, la famiglia, la nazione. E, pertanto, mentre la democrazia liberale è a favore del multiculturalismo, è pro-immigrazione e accetta diverse forme di unione familiare, al contrario, la democrazia illiberale dà priorità alla cultura cristiana, è anti-immigrazione e poggia sui fondamenti del modello familiare cristiano”. A giudizio di Sabino Cassese “Il primo ministro ungherese ha dichiarato più volte di voler realizzare una “democrazia illiberale”. Questo è un disegno impossibile perché la democrazia non può non essere liberale, La democrazia non può fare a meno della libertà perché essa non si esaurisce, come ritengono molti, nelle elezioni. Se non c’è libertà di parola, o i mezzi di comunicazione sono nelle mani del governo, non ci si può esprimere liberamente, e quindi non si può far parte di quello spazio pubblico nel quale si formano gli orientamenti collettivi. Se la libertà di associazione e quella di riunione sono impedite o limitate, non ci si può organizzare in partiti o movimenti, e la società civile può votare, ma non organizzare consenso e dissenso. Se i mezzi di produzione sono concentrati nelle mani dello Stato, non c’è libertà di impresa, e le risorse economiche possono prendere soltanto la strada che sarà indicata dal governo. Se l’ordine giudiziario non è indipendente, non c’è uno scudo per le libertà. Se la libertà personale può essere limitata per ordine del ministro dell’interno (come è accaduto nei giorni scorsi in Italia), i diritti dei cittadini sono in pericolo. Insomma, come ha osservato già nel 1925 un grande studioso, Guido De Riggiero, nella sua Storia del liberalismo europeo. I principi democratici sono «la logica esplicazione delle premesse ideali del liberalismo»: estensione dei diritti individuali a tutti i membri della comunità e diritto del popolo di governarsi”.

Il tutto prefigura uno scontro di civiltà; come si legge sul Foglio (P. Peduzzi) del 28/08/2018 “la democrazia è diventata un patrimonio delle élite liberali, un privilegio acquisito di qualcuno a danno di altri. Se parli e difendi la democrazia sei figlio delle élite, della globalizzazione, dell’apertura, di quella cultura di mobilità e occasioni che fa parte dell’occidente: le nostre libertà non sembrano più un patrimonio comune, ma un ammennicolo di chi non comprende, o addirittura ignora e rifiuta, la volontà del popolo, la sua pancia… la democrazia liberale è un’equazione formata da due elementi principali. Uno riguarda la protezione delle persone da varie forme di tirannia – è il sistema istituzionale di divisione dei poteri. Il secondo riguarda il potere del popolo, la maggioranza che segnala qual è il proprio miglior destino” ma attualmente “lo scontro culturale si è trasformato del tutto. Da una parte ci sono dei democrati illiberali, una democrazia con pochi diritti, dall’altra c’è il liberalismo non-democratico, molti diritti senza democrazia, entità sovrazionali come l’Unione europea. In mezzo gli elettori che tra rabbia, malcontento, solitudine, intolleranze di vario tipo si muovono contro il sistema dei partiti tradizionali”. Al punto in cui siamo “la vittoria di Viktor Orban in Ungheria è la rappresentazione di questo scivolamento e della dicotomia tra democrazia e liberalismo… Il premier ungherese ha farcito la sua retorica elettorale e di governo con un piano preciso, che ha delineato lui stesso nel discorso che ha tenuto il 16 marzo scorso, in occasione del 170esimo anniversario della rivoluzione ungherese del 1848: “L’Europa, e al suo interno anche noi ungheresi, è arrivata a un punto di svolta della storia mondiale. Le forze nazionali e globaliste non avevano mai regolato i conti in modo così palese e pubblico prima d’ora. Noi, milioni di persone con forti sentimenti nazionali, siamo da una parte; le élite dei ‘cittadini del mondo’ sono dall’altra. Noi che crediamo negli stati-nazione, nella difesa dei confini, della famiglia e del valore del lavoro siamo da una parte. Contro di noi ci sono quelli che vogliono le società aperte, un mondo senza confini e senza nazioni, nuove forme di famiglia, lavori poco considerati e lavoratori a buon mercato – e sono tutti sovrastati da un esercito di burocrati nell’ombra che non devono rendere conto a nessuno. Da una parte ci sono le forze nazionali e democratiche; dall’altra le forze sovranazionali e antidemocratiche”. Tale scontro di civiltà anni fa ho pensato che fosse meglio riconducibile ad un nuovo contenuto della prevalente opposizione amico/nemico, che ha ridisegnato sia il “campo” della contesa che gli avversari[2].

La concezione della successione dei diversi discriminanti del politico e dei relativi “campi” è stata esposta da Carl Schmitt[3].

  1. Sul piano concettuale democrazia e liberalismo sono stati distinti. La prima è un regime politico, che individua nel popolo il titolare della sovranità e quindi del potere politico; il secondo una “tecnica” per la limitazione del potere. In questo senso il liberalismo può accedere a qualsiasi regime politico “puro”: monarchia, aristocrazia, democrazia e loro “combinazioni” (status mixtus); nella storia ha generato sempre degli status mixtus, ma è prevalentemente associato alla democrazia.

Secondo la critica di Schmitt all’ideologia liberale manca un qualcosa che costituisca l’unità politica; dall’altro che il liberalismo è, a intenderlo in senso ideale, non un modo di costituire il potere, ma quello di limitarlo. Onde aspettarsi di costituire una sintesi politica senza un principio politico costitutivo è vano. Come ricorda Schmitt citando Mazzini “sulla libertà non si costituisce nulla”.

Ne consegue, come scrive Schmitt nella Verfassungslehre, che “i principi della libertà borghese possono ben modificare e temperare uno Stato, ma da soli non fondano una forma politica […] Da ciò consegue che in ogni costituzione con l’elemento dello Stato di diritto è connesso e misto un secondo elemento di principi politico-formali” (il corsivo è mio).

Il liberalismo può modificare qualsiasi forma di Stato, facendolo diventare una monarchia o una democrazia liberale, ma non può eliminare il principio di forma politica su cui necessariamente lo Stato si basa. La costituzione dello Stato liberale è così necessariamente mista “nel senso che l’elemento in sé autonomo e concluso dello Stato di diritto si unisce con elementi politico-formali”.

L’errore di credere che possa esistere una costituzione liberale “pura” senza politica, né soprattutto senza elementi di forma politica era già espresso nell’art. 16 della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del Cittadino del 1789: “Toute Sociétè dan laquelle la garantie des Droits n’est pas assurée, ni la séparation des Pouvoirs déterminée, n’a point de Constitution” (il corsivo è mio). Fu stigmatizzato già da de Bonald, che lo criticava nelle (entusiastiche) parole di adesione di M.me De Stael. Scriveva de Bonald che chiedersi se uno Stato esistente da secoli come la Francia, non avesse una costituzione, è come comandare a un arzillo ottuagenario se è costituito per vivere. Ciò perché, come avrebbero affermato circa un secolo dopo altri eminenti giuristi come Santi Romano, uno Stato esistente non ha, ma è , una costituzione. E lo stesso faceva Schmitt nel distinguere il concetto assoluto di costituzione come “concreto modo di esistere che è dato spontaneamente con ogni unità politica esistente” e la cui forma “indica qualcosa di conforme all’essere, uno status, e non qualcosa di conforme ad un principio giuridico o di normativamente dovuto”. Tuttavia “per motivi politici è spesso indicata come “vera” o “pura” costituzione solo ciò che corrisponde ad un determinato ideale di costituzione”. Ma ritiene il giurista di Pewttenberg “una costituzione che non contenesse altro che queste garanzie dello Stato borghese di diritto, sarebbe impensabile; giacché lo Stato stesso, l’unità politica, ossia ciò che è da controllare, deve pur esistere ovvero al tempo stesso essere organizzato”[4].

Pertanto è evidente che nell’espressione “democrazia liberale” il sostantivo designa la forma politica (del potere), l’aggettivo le limitazioni introdotte al medesimo potere (i principi dello Stato borghese). Onde ben può esistere una democrazia – e in effetti ne sono esistite tante – che non sia limitata dall’aggettivo. Per la precisione alcuni dei diritti, garantiti della Costituzione, non sono solo necessari alla tutela del diritto del singolo, ma anche allo stesso esercizio libero e reale delle procedure democratiche – elezioni in primo luogo – come sottolinea Cassese.

L’ “illiberalismo” non consisterebbe nella mancanza  di protezione dei diritti fondamentali, ma specificamente di alcuni di essi,  particolarmente incidenti sulla formazione dell’opinione pubblica e sulla (concreta) libertà di decisione dei componenti il corpo elettorale.

Nella tipologia dei regimi democratici descritti da Norberto Bobbio nella voce “democrazia” del Dizionario di politica, le democrazie illiberali andrebbero ricondotte alla terza specie delineata dallo studioso torinese[5].

Quindi democrazie non liberali esistono, ma sono democrazie un po’… farlocche.

Nel notissimo discorso di Gettysburg, Lincoln chiese, nel luogo dove le cannonate nordiste avevano (da poco) autorevolmente interpretato a chi appartenesse la sovranità, una “definizione” di democrazia che è il caso di considerare.

Il Presidente dopo aver esordito “i nostri avi diedero vita, su questo continente, ad una nuova nazione, concepita nella Libertà e consacrata al principio secondo cui tutti gli uomini sono creati uguali” e ritenuto che il suolo della battaglia era consacrato dagli uomini che vi erano morti, cui nulla potevano aggiungere i vivi, concludeva così “Siamo piuttosto noi a dover essere consacrati al gran compito che ci rimane di fronte: che da questi nobili caduti ci venga un’accresciuta devozione a quella causa per la quale essi diedero l’ultima piena misura della devozione; che noi qui solennemente ci si impegni a che questi morti non siano morti invano; che questa nazione, a Dio piacendo, abbia una rinascita di libertà; e che l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non scompaia dalla terra”.

Lincoln ribadiva così il legame tra Nazione e democrazia, già istituito da Sieyes. Una nazione di liberi ed uguali, che proprio perché tali hanno pari opportunità di accedere a (tutte) le funzioni pubbliche ed uguali diritti politici, il cui governo doveva essere sorretto dalla volontà e dal consenso popolare, e l’attività del quale doveva essere indirizzata e perseguire l’ “interesse generale” del popolo. A cui ovviamente, apparteneva la sovranità che così costituiva un potere eminente (anche “costituente”) al di sopra la legislazione e l’apparato pubblico e il cui esercizio era inalienabile ed inappropriabile (v. anche l’art. 3 della dichiarazione dei diritti francese del 1789 “Nul corps, nul individu ne peut exercer d’autorité qui n’en émane expressément”.

L’espressione di Lincoln, nella sua icasticità, non si presta a includere i principi dello Stato borghese (anche se non li esclude): al concetto di democrazia che se ne ricava, il liberalismo accede, come scritto, quale aggettivo.

  1. Comunque è un fatto che la lotta della borghesia per il potere, si basava su due richieste fondamentali congiunte: la partecipazione alla direzione politica (elemento democratico) e garanzie dal potere politico (distinzione dei poteri e tutela dei diritti): tra i due c’è un evidente contraddizione poiché, almeno in determinate condizioni, la direzione politica, o meglio la sovranità, richiede la deroga della distinzione dei poteri che dalla tutela dei diritti fondamentali, come nello stato d’eccezione.

E, indipendentemente dallo stato d’eccezione vi sono zone del diritto pubblico in cui conciliare democrazia e tutela nei confronti del potere richiede il discostarsi da un’attuazione coerente del “compromesso” democratico-liberale: così per la giustizia politica, come anche per la giustizia amministrativa, perché a tacer d’altro, determinati atti, detti “politici” sono da sempre sottratti al sindacato giurisdizionale, ammesso in via generale[6].

Democrazia e liberalismo possono essere in contrasto, ma storicamente è solo l’unione dell’uno e dell’altro che ha consentito la nascita del moderno “Stato rappresentativo” (così denominato dai costituzionalisti d’un tempo come Orlando e Mosca) perché ha coniugato due elementi diversi – e talvolta opposti – ma politicamente sinergici. La prova storica a contrario è che, laddove si sono costruiti (nel XX secolo) regimi totalitari, alla abolizione delle forme e procedure democratiche (elezioni, pluritarismo, libertà di candidatura e di voto e così via) si è accompagnata quella dei principi dello Stato borghese: né distinzione tra i poteri, se questi competevano tutti al Fürher, né tutela dei diritti verso il potere politico (la giustizia amministrativa fu abolita dal nazismo e mai istituita degli Stati del socialismo reale). Così che del principio democratico e di quello liberale si può adottare il detto di Catullo “ncl tecum nec sine te vivere possum”.

5.0 Tuttavia, dato che risulta che in Ungheria da qualche anno (2011) è andata in vigore una nuova Costituzione, voluta da Orban – che era al governo (cui sono state apportate alcune modifiche successivamente innovazioni assai deprecate dai politici dell’U.E.).

Ad esaminare il testo di tale Costituzione, a parte la “professione nazionale”, questa non ha nulla di particolarmente diverso dall’impianto costituzionale di una democrazia liberale. Sono riconosciuti i diritti dell’uomo e del cittadino (art. XXX). L’organizzazione dello Stato si uniforma al principio di distinzione tra esecutivo, legislativo e giudiziario (art. 1-30). È prevista la Corte costituzionale (art. 24); c’è anche un “Commissario dei diritti fondamentali” per la protezione di questi (art. 30); i giudici sono indipendenti. È regolato lo stato d’eccezione (artt. 48-54) con possibile limitazione dei diritti fondamentali.

Nel complesso, e per quanto valga un testo costituzionale scritto, ovvero parecchio, ma non del tutto, e probabilmente meno dell’ordinamento costituzionale concreto (e della Costituzione materiale). appare  che sicuramente i principi dello Stato borghese di diritto sono applicati.

L’altro caso, che ha indotto il “viso dell’armi” dell’U.E. è la Polonia. Anche qui distinzione dei poteri e tutela dei diritti fondamentali sono previsti dalla Costituzione del 1997.

Tuttavia le preoccupazioni dell’U.E. sono state determinate dalle leggi del 2017 sul potere giudiziario così da avviare una procedura d’infrazione ai sensi dell’art. 7 par. 1 TUE avendo l’organo comunitario constatato l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave e persistente dello Stato di diritto. La normativa suddetta apportava modifiche alla Corte Suprema e al Consiglio Nazionale della magistratura, che ha fatto seguito a leggi sui mezzi d’informazione, sui poteri della polizia e sul Difensore civico.

Tale normativa – che aveva generato un duro scontro tra maggioranza (del Partito “Diritto e giustizia”) e le opposizioni – concerneva l’accesso al Parlamento dei giornalisti e il rinnovo  della dirigenza dei media pubblici. La legge sui media ha previsto l’immediata sospensione di tutti i membri delle direzioni, nonché dei consigli d’amministrazione dei media pubblici. Tuttavia  non sono state riesumate le disposizioni, abolite nel 1990, “classiche” per il controllo dell’informazione: censura e monopolio pubblico, almeno dei mezzi di comunicazione via etere.

In altre parole sembra che la situazione del diritto di espressione/informazione della Polonia attuale somigli parecchio a quella dell’Italia fino agli anni ’70 (inoltrati): un monopolio dell’etere affiancato da un pluralismo della stampa.

Situazione sicuramente non ottimale, ma comunque di limitata pericolosità e che, se non genera una condizione ideale, non appare idonea a connotare addirittura come “illiberale” uno Stato che, almeno dalle disposizioni costituzionali, appare modellato sui principi dello Stato borghese di diritto.

Vero è che altro è scrivere delle commoventi e condivisibili norme nei testi costituzionali e altro dare loro attuazione nella legislazione e nella prassi amministrativa. In specie noi italiani conosciamo bene la prassi di proclamare diritti altisonanti nella costituzione per poi tradirli nella successiva attuazione.

La stufenbau nazionale è essenzialmente cartacea: la costituzione dispone X, il legislatore, profittando delle equivocità della norma superiore e/o del carattere compromissorio[7], emana la legge Z, e l’amministrazione, sulla base di questa, il provvedimento Y. Spesso tra il “prodotto finito” (cioè il comando concreto) e la norma iniziale c’è una divaricazione evidente; in diversi casi una contraddizione manifesta, se non con la lettera, con lo “spirito” della norma superiore.

Pertanto appare maggiormente trasgressiva dei principi dello Stato di diritto, in larga parte trasfusi nella Convenzione EDU – ed in effetti è la causa della mole di lavoro prodotta per l’Italia dalla Corte EDU – la violazione negli atti concreti (sentenze, provvedimenti e così via) di quanto disposto al vertice della piramide.

D’altra parte, se andiamo alla definizione di “Stato di diritto” (nel senso di democrazia liberale o di “Stato borghese di diritto”), questo si basa, oltre che su quelli cennati, sull’uguaglianza di fronte alla legge, sulla “difesa giuridica” nei confronti del potere, e sul principio di legalità.

Non c’è quindi un sostanziale discostamento di Polonia e Ungheria dai “connotati” dello Stato di diritto. E neanche dallo “Stato costituzionale di diritto” giacché le due citate costituzioni prevedono un controllo di costituzionalità esercitato da una Corte apposita sugli atti legislativi.

Tuttavia è chiaro che una approssimativa garanzia della libertà di informazione è un vulnus alla concezione liberale dello Stato, anche se le limitate compressioni di questo, paragonate alle ben più gravose limitazioni imposte in altre democrazie, non sono tali da giustificare l’espressione di “illiberali”.

Piuttosto il fatto che i leaders di Ungheria e Polonia dichiarino essi stessi di volere una “democrazia (cristiana) illiberale” (o altre consimili) ha fornito il destro per vedere nel loro comportamento molto più illiberalismo di quanto ce ne sia.

Del pari quell’ “illiberalismo” parte dall’identificazione del liberalismo con l’ideologia della globalizzazione. Il che non è vero, se non in parte, giacché la democrazia liberale risulta sempre dall’unione di un principio di forma politica (democrazia) con quelli dello Stato borghese. Senza quella, o almeno senza uno Stato che assicuri l’applicazione del diritto non c’è neanche la garanzia dei diritti, fondamentali e non.

Scriveva Hegel che “lo Stato è la realtà della libertà concreta”[8]: senza uno Stato i diritto non hanno realtà. Lo sanno bene i globalisti i quali in sostanza vogliono ancora gli Stati, ma sottoposti a poteri non statali, non democratici, e forse anche non “politici”, che cercano – e in gran parte riescono – a dominare.

Teodoro Klitsche de la Grange

[1] Costant parlava di “libertà” più che di regimi politici; ma la distinzione tra la libertà dei moderni e quella degli antichi, corrisponde a quella tra “libertà da” e “libertà di” (Berlin) ossia tra diritti “liberali” di separazione tra Stato e società civile (Schmitt) e diritti (democratici) di partecipazione al potere. Ne riportiamo i passi fondamentali del famoso discorso di Costant, il sistema rappresentativo “è una scoperta dei moderni e vedrete, Signori, che la condizione della specie umana nell’antichità non permetteva a un’istituzione di questo tipo di introdurvisi o di stabilirvisi. I popoli antichi non potevano sentirne la necessità né apprezzarne i vantaggi. La loro organizzazione sociale li conduceva a desiderare una libertà completamente diversa da quella che questo sistema ci assicura … Chiedetevi innanzi tutto, Signori, che cosa intendano oggi con la parola libertà un inglese, un francese, un abitante degli Stati Uniti d’America. Il diritto di ciascuno di non essere sottoposto che alle leggi, di non poter essere né arrestato, né detenuto, né messo a morte, né maltrattato in alcun modo a causa dell’arbitrio di uno o più individui. Il diritto di ciascuno di dire la sua opinione, di scegliere la sua industria e di esercitarla, di disporre della sua proprietà e anche di abusarne; di andare, di venire senza doverne ottenere il permesso e senza render conto delle proprie intenzioni e della propria condotta. Il diritto di ciascuno di riunirsi con altri individui sia per conferire sui propri interessi, sia per professare il culto che egli e i suoi associati preferiscono, sia semplicemente per occupare le sue giornate o le sue ore nel modo più conforme alle sue inclinazioni, alle sue fantasie. Il diritto, infine, di ciascuno di influire sulla amministrazione del governo sia nominando tutti o alcuni dei funzionari, sia mediante rimostranze, petizioni, richieste che l’autorità sia più o meno obbligata a prendere in considerazione. Paragonate ora a questa libertà quella degli antichi. Essa consisteva nell’esercitare collettivamente ma direttamente molte funzioni dell’intera sovranità, nel deliberare sulla piazza pubblica sulla guerra e sulla pace, nel concludere con gli stranieri i trattati di alleanza, nel votare le leggi, nel pronunciare i giudizi; nell’esaminare i conti, la gestione dei magistrati, nel farli comparire dinanzi a tutto il popolo, nel metterli sotto accusa, nel condannarli o assolverli. Ma se questo era ciò che gli antichi chiamavano libertà, essi ritenevano compatibile con questa libertà collettiva l’assoggettamento completo dell’individuo all’autorità dell’insieme. Non trovate presso di loro alcuno dei godimenti che abbiamo visto far parte della libertà dei moderni. Tutte le azioni private sono sottoposte a una sorveglianza severa. Nulla è accordato all’indipendenza individuale né sotto il profilo delle opinioni, né sotto quello dell’industria, né soprattutto sotto il profilo della religione. Così presso gli antichi l’individuo, sovrano quasi abitualmente negli affari pubblici, è schiavo in tutti i suoi rapporti privati. Come cittadino egli decide della pace e della guerra; come privato è limitato, osservato, represso in tutti i suoi movimenti; come parte del corpo collettivo interroga, destituisce, condanna, spoglia, esilia, manda a morte i suoi magistrati o i suoi superiori; come sottoposto al corpo collettivo può a sua volta essere privato della sua condizione, spogliato delle sue dignità, bandito, messo a morte dalla volontà discrezionale dell’insieme di cui fa parte. Presso i moderni, al contrario, l’individuo, indipendente nella sua vita privata, persino negli Stati più liberi non è sovrano che in apparenza. La sua sovranità è limitata, quasi sempre sospesa; e se, a epoche fisse ma rare nelle quali è pur sempre circondato da precauzioni e ostacoli, esercita questa sovranità, non lo fa che per abdicarvi”. Sieyès aveva già delineato il fondamento della rappresentanza politica nel discorso all’Assemblea Nazionale del 7/09/1989 sul “Véto royal” (v. Behemoth n. 1). Distinguendo tra categorie di “diritti”, il pensatore di Losanna formulava così la distinzione essenziale tra regimi politici.

[2] Mi si consenta di rinviare al mio articolo “Sentimento politico, Zentralgebiet e criterio del politico” pubblicato in traduzione spagnola in Ciudad de los  Cesares (Santiago – Chile) n. 110 marzo 2017; ora disponibile (su stampa) in italiano negli Annali della Fondazione Spirito de Felice 2018 pp. 135 ss..

[3] Nella conferenza Das Zeitaler der Neutralsierung und Entpolitisierungen  trad. it. di P. Schiera in C. Schmitt Le categorie del politico, pp.    Bologna 1972.

[4] V. Carl Schmitt Verfassungslehre, trad. it. di A. Caracciolo Dottrina della costituzione, Milano 1983, p. 64.

[5] v. “Modelli ideali più che tipi storici sono le tre forme di democrazia analizzate da Robert Dahl nel suo libro A preface to Democratic Theory (1956); la democrazia madisoniana, che consiste soprattutto nei meccanismi di freno del potere e quini coincide con l’ideale costituzionalistico dello Stato limitato dal diritto o del governo della legge contro il governo degli uomini (in cui si è sempre manifestata storicamente la tirannia); la democrazia populistica, il cui principio fondamentale è la sovranità della maggioranza; la democrazia poliarchica, che cerca le condizioni dell’ordine democratico non in espedienti di carattere costituzionale, ma in prerequisiti sociali, cioè nel funzionamento di alcune regole fondamentali che permettono e garantiscono la libera espressione del voto, la prevalenza  delle decisioni che hanno avuto il maggior numero di voti, il controllo delle decisioni da parte degli elettori ecc.” v. voce citata, Edizione De Agostini – L’Espresso 2006, p. 513.

[6] Per la giustizia politica ricordiamo quanto scrive Schmitt “Nelle controversie, che a seconda della loro fattispecie o oggetto, quando sia attuata una forma generale di giurisdizione, debbano essere decise per competenza dai tribunali generali – civili, penali o amministrativi -, il carattere politico della questione o l’interesse politico all’oggetto della controversia può venire così fortemente in risalto che anche in uno Stato borghese di diritto deve essere presa in considerazione la caratteristica politica di questi casi. In ciò consiste il vero problema della giurisdizione politica… qui deriva sempre il caratteristica allontanamento dalla forma giurisdizionale tipica dello Stato di diritto, la considerazione del carattere politico attraverso particolarità organizzatorie o d’altro genere con le quali si attenua il principio tipico dello Stato di diritto della giurisdizione generaleVerfassungslehere trad. it. di A. Caracciolo La dottrina della Costituzione, Milano 1984 pp. 182-183; per gli atti politici mi si consenta di rinviare a quanto da me scritto in Temi e Dike nella decadenza della Repubblica in Rivoluzione liberale.

[7] Nel senso del “compromesso” formale dilatorio di Schmitt

[8] § 260 dei Lineamenti di filosofia del diritto.