Sfuggire al logoramento: L’Ucraina lancia il dado, di BIG SERGE

Sfuggire al logoramento: L’Ucraina lancia il dado

Il blockbuster estivo di Zaporizhia

L’immagine iconica dell’offensiva estiva ucrainaÈ passato un po’ di tempo, dall’ultima volta che ho pubblicato un commento articolato sulla guerra russo-ucraina in corso, e confesso che scrivere questo articolo mi ha creato un po’ di problemi. La tanto attesa grande controffensiva estiva dell’Ucraina è in corso da circa ottanta giorni e non ha dato grandi risultati. L’estate ha visto combattimenti accaniti in diversi settori (che verranno elencati di seguito), ma la linea di contatto si è spostata molto poco. Sono stato riluttante a pubblicare una discussione sulla campagna ucraina semplicemente perché hanno continuato a tenere reparti operativi in riserva, e non volevo pubblicare un commento prematuro che andasse in stampa proprio prima che gli ucraini esibissero qualche nuovo trucco, o svelassero un asso nascosto nella manica. In effetti, ho scritto la maggior parte di questo articolo la settimana scorsa, proprio prima che l’Ucraina lanciasse l’ennesimo tentativo di aprire una breccia nel settore di Orikhiv.A questo punto, però, l’apparizione di alcune delle ultime brigate di prim’ordine ucraine[1], che in precedenza erano state tenute in riserva, conferma che gli assi dell’attacco ucraino si sono manifestati. Solo il tempo ci dirà se queste preziose riserve riusciranno a fare breccia nelle linee russe, ma è passato abbastanza tempo da poter delineare che cosa esattamente l’Ucraina ha cercato di fare, perché, e perché finora ha fallito fino.Parte del problema della narrazione della guerra in Ucraina è la natura dei combattimenti: guerra di posizione e di logoramento. Si continua a cercare una manovra operativa coraggiosa per sbloccare la situazione, ma a quanto pare, la realtà è che, per ora, una combinazione di capacità e riluttanza ha trasformato questa guerra in una guerra di posizione con un ritmo offensivo lento, che assomiglia molto di più alla prima guerra mondiale che alla seconda.L’Ucraina aveva l’ambizione di sfondare il fronte e di ritrovare mobilità operativa, di sfuggire alla guerra d’attrito e di puntare su obiettivi significativi dal punto di vista operativo, ma finora questi sforzi non sono andati a buon fine. Per quanto si sia vantata d’esser capace di manovre operative di qualità superiore, l’Ucraina si trova ancora intrappolata in un assedio, e cerca dolorosamente di aprirsi un varco nelle posizioni russe calcificate: senza successo. 

L’Ucraina può anche non essere interessata a una guerra di logoramento, ma il logoramento è certamente interessato all’Ucraina.

 

Il paradigma strategico dell’Ucraina

Per chi ha seguito da vicino la guerra, quelle che seguono non saranno probabilmente informazioni nuove, ma credo che valga la pena di riflettere in modo olistico sulla guerra dell’Ucraina, e sui fattori che guidano le sue decisioni strategiche.

 

Per l’Ucraina, la conduzione della guerra è influenzata da una serie di inquietanti asimmetrie strategiche.

 

Alcune di queste sono ovvie, come la popolazione e l’industria militare molto più grandi della Russia, o il fatto che l’economia bellica russa è interna, mentre l’Ucraina dipende interamente dalle forniture occidentali di attrezzature e munizioni. La Russia è in grado di aumentare autonomamente la produzione di armamenti, e dal campo di battaglia arrivano numerosi segnali che l’economia bellica russa inizia a trovare il suo ritmo, con nuovi sistemi, come il Lancet, sempre più numerosi, e fonti occidentali che ora ammettono che la Russia è riuscita a serializzare una versione nazionale del drone iraniano Shahed[2]. Inoltre, la Russia ha la capacità asimmetrica di colpire le retrovie ucraine in una misura che l’Ucraina non può pareggiare, anche se le vengono forniti i temuti ATACM (questi daranno all’Ucraina il raggio d’azione per colpire obiettivi di profondità operativa nel teatro, ma non possono colpire le strutture di Mosca e Tula come i missili russi possono colpire ovunque in Ucraina).

Medvedev ispeziona la produzione di un carro armato
Con le significative asimmetrie russe nelle dimensioni della popolazione, nella capacità industriale, nella capacità di attacco e – diciamolo pure – nella sovranità e nella libertà decisionale, una guerra di logoramento e di posizione è matematicamente svantaggiosa per l’Ucraina, eppure è proprio questo il tipo di guerra in cui è rimasta intrappolata.Ciò che è importante capire, tuttavia, è che l’asimmetria strategica va oltre le capacità fisiche, come la base di popolazione, gli impianti industriali e la tecnologia missilistica, e si estende al regno degli obiettivi strategici e delle tempistiche.La guerra della Russia è stata deliberatamente inquadrata in un modo abbastanza aperto, con obiettivi in gran parte legati all’idea di “smilitarizzare” l’Ucraina. In effetti, gli obiettivi territoriali della Russia rimangono piuttosto nebulosi al di là dei 4 oblast annessi (anche se è sicuro che Mosca vorrebbe acquisire molto di più di questi). Tutto questo per dire che il governo di Putin ha deliberatamente inquadrato la guerra come un’impresa tecnico-militare incentrata sulla distruzione delle forze armate ucraine, e si è dimostrato perfettamente libero di cedere territori per ragioni di prudenza operativa.Al contrario, l’Ucraina ha obiettivi massimalisti di natura esplicitamente territoriale. Il governo Zelensky ha dichiarato apertamente di mirare – per quanto fantasioso possa essere – a ripristinare la totalità dei territori del 1991, compresi non solo i quattro oblast’ continentali ma anche la Crimea.La confluenza di questi due fattori – il massimalismo territoriale ucraino combinato con i vantaggi asimmetrici russi in un conflitto di posizione e d’attrito – costringe l’Ucraina a cercare un modo per rompere il fronte e ripristinare uno stato di fluidità operativa. Rimanere bloccati in una guerra di posizione è impraticabile per Kiev, in parte perché i vantaggi materiali della Russia inevitabilmente emergeranno (in un combattimento tra due giganti che roteano grandi mazze, si scommette sul più gigante più grande dotato della mazza più grande), e in parte perché una guerra di posizione (che equivale essenzialmente a un massiccio assedio) semplicemente non è un modo efficiente per riconquistare territorio.

 

Questo non lascia all’Ucraina altra scelta che sbloccare il fronte e cercare di ripristinare le operazioni mobili, con l’obiettivo di creare una propria asimmetria. L’unico modo possibile per raggiungere questo obiettivo è lanciare un’offensiva volta a interrompere le linee critiche di comunicazione e di rifornimento russe. Contrariamente ad alcuni suggerimenti[3] diffusi questa primavera, una grande offensiva ucraina contro Bakhmut o Donetsk semplicemente non era adatta.

 

Francamente, ci sono solo due obiettivi operativi adatti all’Ucraina. Uno è Starobils’k, il cuore pulsante al centro del fronte russo di Lugansk. Catturare o bloccare Svatove e poi Starobils’k creerebbe nel nord una vera e propria catastrofe operativa per la Russia, con effetti a cascata fino a Bakhmut. Il secondo possibile obiettivo era il ponte terrestre verso la Crimea, che poteva essere tagliato da una spinta attraverso la bassa Zaporizhia verso la costa del mare di Azov.

 

Era probabilmente inevitabile che l’Ucraina scegliesse l’opzione Azov, per alcune ragioni. Il ponte terrestre verso la Crimea è uno spazio di battaglia più conchiuso – un’offensiva a Lugansk avverrebbe all’ombra delle regioni russe di Belgorod e Voronezh, rendendo relativamente più difficile mettere fuori gioco forze russe significative. Forse ancora più significativa, tuttavia, è la radicata ossessione di Kiev per la Crimea e il ponte di Kerch, obiettivi che esercitano un influsso ipnotico che Starobils’k non potrebbe mai esercitare.

 

Questa può sembrare un’analisi un po’ impressionistica, ma vale la pena riflettere sul come e sul perché l’Ucraina ha finito per lanciare un’offensiva che era ampiamente telegrafata e prevista. Non c’è stata alcuna sorpresa strategica – un video sicuramente autentico del capo del GUR Budanov che sorrideva non ha ingannato nessuno. Le forze armate russe non si sono certo lasciate ingannare, avendo passato mesi a saturare il fronte con campi minati, trincee, postazioni di tiro e ostacoli. Tutti sapevano che l’Ucraina avrebbe attaccato verso la costa del Mar d’ Azov, in particolare con un occhio di riguardo per Tokmak e Melitopol, ed è esattamente questo che hanno fatto. Un attacco frontale contro una difesa preparata senza l’elemento sorpresa di solito è considerato una scelta sbagliata, ma ecco che l’Ucraina non solo tenta un attacco di questo tipo, ma lo lancia addirittura in un contesto di festeggiamenti globali e di aspettative fantasmagoriche.

L’infantile appello dell’Ucraina per l’OPSEC
È impossibile dare un senso a tutto questo senza comprendere il modo in cui sinora, l’Ucraina è rimasta ammanettata a una specifica interpretazione della guerra. L’Ucraina e i suoi sostenitori vantano due successi del 2022, in cui l’Ucraina è stata in grado di riconquistare un’ampia porzione di territorio, negli oblast di Kharkov e Kherson. Il problema è che nessuna di queste situazioni è trasferibile a Zaporizhia.Nel caso dell’offensiva di Kharkov, l’Ucraina ha individuato un settore del fronte russo che era stato svuotato, ed era difeso solo da una sottile schermo di truppe. L’Ucraina è stata in grado di allestire una forza attaccante e di avvalersi di una certa sorpresa strategica, grazie alle fitte foreste e alla generale scarsità di ISR russi nell’area. Ciò non per svalutare la portata del successo ucraino in quell’area; l’Ucraina ha senz’altro utilizzato al meglio le forze a sua disposizione, e ha sfruttato una sezione debole del fronte. Questo successo non è affatto rilevante per le circostanze odierne nel sud; la mobilitazione ha migliorato i problemi di generazione di forze della Russia, che non deve più fare scelte difficili su cosa difendere, e la linea del fronte di Zaporizhia, pesantemente fortificata, non è affatto come il fronte di Kharkov, che era tenuto da un velo di truppe.Il secondo caso di studio – la controffensiva di Kherson – è ancora meno pertinente. In questo caso, la leadership ucraina sta riscrivendo la storia a tempo di record. L’AFU ha sbattuto la testa contro le difese russe a Kherson per mesi, durante l’estate e l’autunno dello scorso anno, subendo perdite atroci. Un intero gruppo di brigate dell’AFU è stato sbranato a Kherson senza ottenere uno sfondamento, e questo anche con le forze russe in una disposizione operativa unica e difficile, con le spalle al fiume. Kherson fu abbandonata soltanto mesi dopo, per il timore che la diga di Kakhovka potesse cedere o essere sabotata (per chi segue lo svolgersi delle vicende, la diga in effetti finì per cedere) e per la necessità della Russia di economizzare le forze.Ancora una volta, quanto dico può essere frainteso, come se volessi sostenere che il ritiro della Russia da Kherson non aveva importanza. Ovviamente, abbandonare una testa di ponte conquistata a caro prezzo è una battuta d’arresto importante, e la riconquista della sponda occidentale di Kherson è stata una manna, per Kiev. Ma dobbiamo essere onesti sul perché è successo, e chiaramente non è successo a causa della controffensiva estiva dell’Ucraina – per evidenziarlo, basta ricordare che i funzionari ucraini si sono apertamente chiesti se il ritiro russo fosse un trucco o una trappola[4]. La questione è, semplicemente, se l’offensiva ucraina di Kherson sia predittiva di futuri successi offensivi. Non lo è.

 

Quindi, abbiamo un caso in cui l’Ucraina ha individuato una sezione di fronte poco difesa e l’ha attraversata, e un altro in cui le truppe russe hanno abbandonato una testa di ponte a causa di problemi logistici e di allocazione delle forze. Nessuno dei due casi è particolarmente rilevante per la situazione sulla costa dell’Azov, e in effetti, una riflessione onesta sulla controffensiva dell’AFU a Kherson[5] avrebbe potuto condurre a un ripensamento dell’Ucraina su un assalto frontale a difese russe preparate[6].

 

Invece, Kharkov e Kherson sono state presentate come la prova positiva che l’Ucraina può distruggere le difese russe in uno scontro diretto – in realtà, in questa guerra ancora non si danno casi in cui l’AFU abbia sconfitto posizioni russe fortemente difese, in particolare dopo la mobilitazione, quando la Russia ha finalmente iniziato a risolvere le sue carenze di effettivi. Ma l’Ucraina è presa nella morsa del suo peculiare racconto della guerra, che le ha trasmesso una fiducia immeritata nelle proprie capacità di condurre operazioni offensive. Tragicamente per i Mykolas ucraini mobilitati, ciò si è intrecciato con una seconda mitologia che induce alla spavalderia.

 

Uno dei principali argomenti promozionali per la controffensiva ucraina è stata l’acclarata superiorità delle grandi donazioni all’AFU provenienti dall’Occidente – i carri armati e i veicoli da combattimento per la fanteria. Dall’annuncio delle prime consegne, non sono mancate le vanterie[7] sulle molte superiorità[8] dei modelli occidentali, come i Leopard e i Challenger. L’implicazione era che gli abili carristi ucraini non aspettavano altro che di scatenarsi[9], appena al volante dei superlativi modelli occidentali. Il mio ritornello preferito è stata l’usanza di liquidare i carri armati russi come “dell’era sovietica”, trascurando di notare che anche l’Abrams (progettato nel 1975) e il Leopard 2 (1979) sono modelli della Guerra Fredda[10].

Un Leopard bruciato in Siria
È il caso di ripetere che non c’è nulla di sbagliato nei carri armati occidentali. Gli Abrams e i Leopard sono ottimi veicoli, ma la fiducia nelle loro capacità di cambiare le carte in tavola deriva da un’errata convinzione sul ruolo della corazzatura. Bisogna rendersi conto che i carri armati sono sempre stati e saranno consumati in massa. I carri armati esplodono. Vengono disattivati. Si rompono e vengono catturati. Le forze corazzate si esauriscono, e molto più velocemente di quanto ci si aspetti. Dato che le brigate preparate per l’assalto ucraino alla linea Zapo erano significativamente sotto-equipaggiate di veicoli, era semplicemente irrazionale aspettarsi che avessero un impatto eccessivo. Questo non vuol dire che i carri armati non siano importanti – la corazzatura rimane fondamentale per i combattimenti moderni – ma in un conflitto alla pari ci si deve sempre aspettare di perdere forze corazzate a ritmo costante, soprattutto quando il nemico mantiene la superiorità di fuoco.Si può quindi capire come una certa dose di arroganza possa facilmente insinuarsi nel pensiero ucraino, alimentata da una sana dose di disperazione e necessità strategica. Ragionando sulla base di una comprensione distorta dei successi ottenuti a Kharkov e Kherson, confortati dai loro nuovi giocattoli scintillanti e guidati da un’ansia strategica che impone loro di sbloccare il fronte in qualche modo, l’idea di un attacco frontale senza sorpresa strategica contro una difesa preparata potrebbe davvero sembrare una buona idea. Se si aggiunge il buon vecchio tropo dell’incompetenza e del disordine russo[11], si hanno tutte le carte in regola per un imprudente lancio di dadi da parte dell’Ucraina.CileccaVeniamo ora alle minuzie operative. Per una serie di ragioni, l’Ucraina ha scelto di tentare un assalto frontale al fronte fortificato russo di Zaporizhia, con l’intenzione di sfondare verso il mare di Azov. Come è possibile farlo? 

Abbiamo avuto alcuni indizi all’inizio, derivanti da una serie di caratteristiche geografiche e da presunte fughe di notizie da parte dell’intelligence. A maggio, il Rapporto Dreizin ha pubblicato una presunta sintesi russa dell’OPORD (Ordine Operativo) dell’Ucraina[12]. Il documento condiviso da Dreizin è stato presentato come una sintesi delle aspettative russe per l’offensiva ucraina (in altre parole, non si tratta di una fuga di notizie sui documenti di pianificazione interna dell’Ucraina, ma della migliore ipotesi russa sui piani dell’Ucraina).

 

In ogni caso, nel vuoto d’informazioni era lecito chiedersi se l’OPORD di Dreizin fosse autentico, ma in seguito siamo stati in grado di verificarlo. Ciò è dovuto all’altra fuga di notizie, ancora più famigerata[13], verificatasi all’inizio della primavera, che includeva il piano del Pentagono per la costruzione delle capacità di combattimento dell’Ucraina.

 

La NATO è stata molto generosa e ha conferito all’Ucraina, da zero, un pacchetto d’attacco meccanizzato. Tuttavia, poiché questa forza meccanizzata è stata messa insieme con una varietà di sistemi diversi provenienti da tutti gli angoli dell’Universo Cinematografico della NATO, le formazioni ucraine sono identificabili in modo univoco dalla loro particolare combinazione di veicoli ed equipaggiamenti. Così, ad esempio, la presenza di Stryker, Marder e Challenger indica la presenza sul campo dell’82ª Brigata, e così via.

 

Quindi, nonostante le pretese ucraine di sicurezza operativa, per gli osservatori è stato banalmente facile sapere quali formazioni ucraine sono sul campo. Ci sono state alcune deviazioni dal copione – per esempio, la 47a Brigata avrebbe dovuto schierare i carri armati Frankenstein sloveni M55[14], ma alla fine si è deciso di inviare gli M55 sottopotenziati sul fronte settentrionale[15] e la 47a è stata schierata con un contingente di carri armati Leopard, originariamente gestiti dalla 33a Brigata. Ma questi sono dettagli minori, e nel complesso abbiamo avuto una buona percezione di quando e dove le specifiche formazioni AFU scendono in campo.

 

Sulla base di unità identificabili, l’OPORD di Dreizin sembra molto vicino a ciò che abbiamo effettivamente visto all’inizio dell’offensiva ucraina.

 

L’OPORD di Dreizin prevedeva un assalto della 47a e della 65a Brigata alle linee russe a sud di Orikhiv, nel settore delimitato da Nesterianka e Novoprokopivka. Proprio al centro di questo settore si trova la città di Robotyne, e proprio lì, nella notte tra il 7 e l’8 giugno, si verificò il primo grande assalto dell’AFU, guidato dalla 47ª Brigata.

 

A questo punto diventa difficile valutare l’OPORD di Dreizin, semplicemente perché l’attacco ucraino è deragliato all’istante, ma una cosa che possiamo dire è che la fonte di Dreizin era corretta riguardo all’ordine con cui le unità ucraine sarebbero state introdotte in battaglia. Su questa base, possiamo analizzare l’OPORD e scommettere con sicurezza che questo è ciò che gli ucraini speravano di ottenere:

Il sogno dell’Ucraina: Il viaggio verso il mare
L’intenzione sembra essere stata di aprire una breccia nella linea russa con un assalto corazzato concentrato da parte della 47ª[1] e della 65ª Brigata, dopodiché una forza successiva composta dalla 116ª, 117ª e 118ª avrebbe iniziato la fase di sfruttamento, dirigendosi verso la costa di Azov e le città di Mikhailivka e Vesele a ovest. L’obiettivo era chiaramente quello di non impantanarsi in combattimenti urbani nel tentativo di catturare località come Tokmak, Berdyansk o Melitopol, ma di aggirarle e tagliarle fuori assumendo posizioni di blocco sulle strade principali.Contemporaneamente, una spinta minore – ma non meno critica – sarebbe uscita dall’area di Gulyaipole e si sarebbe diretta lungo l’asse di Bilmak. Questo avrebbe l’effetto sia di schermare l’avanzata principale a ovest, sia di incunearsi nel fronte russo, spezzettando l’integrità delle forze russe prese nel mezzo. Nel complesso, si tratta di un piano abbastanza sensato, anche se ambizioso e poco creativo. Per molti versi, questa era davvero l’unica opzione.Che cosa è andato storto, dunque? Beh, concettualmente è facile. Non c’è una breccia. La maggior parte dello schema di manovra è dedicata allo sfruttamento: raggiungere una tale linea, occupare questa posizione di blocco, schermare quella città, e così via. Ma cosa succede quando non c’è alcuna breccia? Come può verificarsi una tale catastrofe, e come si può salvare l’operazione quando va in malora nella fase di apertura?In effetti, è proprio quello che è successo. L’Ucraina si è trovata bloccata ai margini della linea di protezione più esterna della Russia, spendendo ingenti risorse nel tentativo di catturare il piccolo villaggio di Robotyne, e/o di aggirarlo a est infiltrandosi nel varco tra questo e il vicino villaggio di Verbove. Quindi, invece di questa rapida manovra di sfondamento e di svolta verso Melitopol, otteniamo qualcosa del genere:

Controffensiva ucraina con mappatura delle linee difensive russe
Potremmo essere generosi e dire che Robotyne è l’ultimo villaggio prima che l’attacco ucraino raggiunga la principale cintura difensiva russa, ma mentiremmo: dovranno anche liberare la città più grande di Novoprokopivka, due chilometri a sud. A titolo di riferimento, ecco uno sguardo più ravvicinato alle difese russe mappate nello spazio di battaglia, basato sull’eccellente lavoro di Brady Africk.
Difese russe nel settore di Robotyne
La discussione su queste postazioni può diventare un po’ confusa, semplicemente perché non è sempre chiaro cosa si intenda con la famosa frase “prima linea di difesa”. Chiaramente ci sono alcune opere difensive intorno e a Robotyne, e i russi hanno scelto di combattere per il villaggio, quindi in un certo senso Robotyne fa parte della “prima linea” – ma è più corretto parlarne come parte di quella che chiameremmo una “linea di schermatura”. La prima linea di fortificazioni continue lungo il fronte si trova diversi chilometri più a sud, ed è la fascia che l’Ucraina deve ancora raggiungere, figuriamoci sfondare.Al momento, sembra che le truppe russe abbiano perso il controllo totale di Robotyne ma continuino a tenere la metà meridionale del villaggio, mentre le truppe ucraine nella metà settentrionale del villaggio continuano a essere soggette a pesanti bombardamenti russi[16]. A questo punto dovremmo probabilmente considerare il villaggio come continuamente conteso e come un elemento della zona grigia.
Robotyne, in tutto il suo splendore
Ora, una breve nota su Robotyne stessa e sul motivo per cui entrambe le parti sono così determinate a combattere per essa. Superficialmente sembra piuttosto strano, dato che la preferenza russa, nel 2022, era di effettuare ritiri tattici sotto il loro ombrello di fuoco. Questa volta, però, stanno contrattaccando ferocemente per contendere Robotyne. Il valore del villaggio non risiede solo nella sua posizione sull’autostrada T-0408, ma anche nella sua eccellente posizione in cima a un crinale. Sia Robotyne che Novoprokopivka si trovano su un crinale di terreno elevato che è più alto di 70 metri rispetto alla bassa pianura a est.Ciò significa che se l’AFU si spinge in avanti nel tentativo di aggirare la posizione di Robotyne-Novoprokopivka spingendosi nel varco tra Robotyne e Verbove, sarà vulnerabile al fuoco sui fianchi (in particolare degli ATGM) delle truppe russe in altura. Abbiamo già visto filmati di questo tipo, con veicoli ucraini colpiti ai fianchi dal fuoco di Robotyne[17]. Sono molto scettico sul fatto che l’Ucraina possa anche solo tentare un serio assalto alla prima cintura difensiva finché non avrà catturato sia Robotyne che Novoprokopivka.In circostanze ideali, tutto questo sarebbe una bella gatta da pelare, con una serie di problemi ingegneristici da risolvere, ostacoli progettati per incanalare l’attaccante in corsie di tiro, trincee perpendicolari per consentire il fuoco di infilata[18] sulle colonne ucraine in avanzamento, e difese robuste su tutte le principali arterie stradali. Ma queste non sono le circostanze migliori. Si tratta di una forza stanca che ha esaurito gran parte della sua potenza di combattimento autoctona e che sta cercando di organizzare l’attacco utilizzando un pacchetto d’assalto frammentario e sottodimensionato.Diversi fattori hanno cospirato contro l’offensiva ucraina e sinergicamente hanno creato una vera e propria catastrofe militare per Kiev. Vediamo di elencarli.

 

Problema 1: lo strato difensivo nascosto

A questo punto, dobbiamo prendere atto di qualcosa che è sfuggito a tutti, sulla modalità di difesa russa. In precedenza avevo espresso grande fiducia nel fatto che le forze ucraine non sarebbero state in grado di fare breccia nelle difese russe, ma credevo, erroneamente, che la difesa russa si sarebbe conformata ai classici principi sovietici di difesa in profondità (delucidati in modo molto dettagliato dagli scritti di David Glantz, per esempio).

Modello di difesa in profondità di una brigata di fucilieri meccanizzata Una difesa di questo tipo, in parole povere, è aperta all’idea che il nemico possa sfondare la prima o anche la seconda linea di difesa. Lo scopo della difesa a più livelli (o “scaglionata”, nella terminologia classica) è garantire che la forza nemica resti bloccata nel tentativo di sfondare. Può penetrare il primo strato, ma via via che procede viene continuamente maciullato dalle fasce successive. L’esempio classico è la Battaglia di Kursk, dove i potenti panzer tedeschi penetrarono nelle cinture difensive sovietiche, ma poi rimasero bloccati perché furono abbattuti. Un’analogia è il giubbotto di kevlar, che utilizza una rete di fibre per fermare i proiettili: invece di rimbalzare, il proiettile viene catturato e la sua energia viene assorbita dalle fibre stratificate. In realtà ero abbastanza aperto all’idea che l’Ucraina avrebbe generato una certa penetrazione, ma prevedevo che si sarebbe arenata nelle fasce successive, e che l’offensiva si sarebbe spenta.Ciò che mancava in questo quadro – e questo è un merito della pianificazione russa – era la cintura difensiva invisibile davanti alle trincee e alle fortificazioni vere e proprie. Questa cintura anteriore consisteva in campi minati estremamente densi e in posizioni avanzate fortemente tenute nella linea di schermatura, dove i russi intendevano, evidentemente, combattere ferocemente. Piuttosto che sfondare la prima fascia e rimanere bloccati nelle aree interstiziali, gli ucraini sono stati ripetutamente sbranati nella zona di sicurezza, e i russi hanno costantemente contrattaccato per respingerli quando sono riusciti a ottenere dei punti d’appoggio. 

In altre parole, mentre ci aspettavamo che la Russia combattesse una difesa in profondità che assorbisse le punte di diamante ucraine e le facesse a pezzi nel cuore della difesa, i russi hanno in realtà dimostrato un forte impegno nel difendere le loro posizioni più avanzate, di cui Robotyne è la più famosa.

 

Sulla carta, Robotyne avrebbe dovuto funzionare come parte di una cosiddetta “zona di accartocciamento”, o “zona di sicurezza” – una sorta di cuscinetto a tenuta leggera che sottopone il nemico a fuochi preregistrati prima di scontrarsi con la prima cintura di difese continue e fortemente tenute. In effetti, una serie di rilievi aerei e satellitari dell’area, effettuati prima che l’Ucraina andasse all’attacco, mostravano che Robotyne si trovava ben davanti alla prima cintura di fortificazioni russe solide e continue.

 

Ciò che è sfuggito, a quanto pare, è la misura in cui i difensori russi hanno minato le aree di avvicinamento a Robotyne e si sono impegnati a difendersi all’interno della zona di sicurezza. L’entità dello sminamento sembra aver sorpreso gli ucraini[18] e mette a dura prova le limitate capacità dei genieri ucraini. Ancora più importante è il fatto che la densità delle mine ha creato vie di avvicinamento prevedibili per le forze ucraine, che sono costrette a passare ripetutamente attraverso lo stesso corridoio sotto il fuoco di artiglieria e missilistica russe.

 

Problema 2: Soppressione insufficiente

L’immagine caratteristica dei primi grandi assalti alla Linea Zapo è stata quella di colonne di mezzi di manovra non supportati, rastrellati dal fuoco russo, sia a terra (missili, ATGM e artiglieria tubolare) che da piattaforme aeree come l’elicottero d’attacco Ka-52 Alligator. Uno degli aspetti più sorprendenti di queste scene è stato il modo in cui le forze ucraine sono finite sotto il fuoco pesante mentre erano ancora in colonna, subendo perdite prima di essersi schierate in linea di tiro per iniziare l’assalto vero e proprio.

 

Le ragioni sono molteplici. Una di queste è la questione, ormai banale, della scarsità di munizioni ucraine. Considerate i seguenti elementi di interesse. Nel periodo precedente la controffensiva ucraina, la Russia ha condotto una pesante campagna aerea di contropreparazione che ha messo fuori uso grandi depositi di munizioni dell’AFU[19]. Gli assalti iniziali dell’Ucraina crollano di fronte al fuoco pesante e non contrastato dei russi. Gli Stati Uniti decidono di trasferire all’Ucraina munizioni a grappolo[20] perché, nelle parole del Presidente, “stanno finendo le munizioni”[21]. Se si aggiunge il degrado della difesa aerea ucraina, che permette agli elicotteri russi di operare con grande efficacia lungo la linea di contatto, si ottiene la ricetta del disastro. Mancando i tubi per sopprimere il fuoco russo o la difesa aerea per scacciare i velivoli russi, l’AFU ha aperto la sua offensiva spingendo disastrosamente in avanti reparti di manovra non supportati sotto una grandinata di fuoco.

 

Problema 3: le armi russe da sbarramento

È fondamentale capire che la cassetta degli attrezzi russa è fondamentalmente diversa rispetto alla battaglia per Kherson dell’anno scorso, a causa della rapida espansione della produzione di una serie di armi da sbarramento russe – in particolare il Lancet e le modifiche di planata UMPK per le bombe a gravità.

 

Il Lancet, in particolare, ha avuto un ruolo di primo piano22] – si dice che il fidato piccolo proiettile vagante sia responsabile di quasi la metà delle uccisioni dell’artiglieria russa[23] – e ha colmato una lacuna cruciale di capacità che ha episodicamente disturbato l’esercito russo durante il primo anno di guerra. Contrariamente a quanto sostenuto da alcuni occidentali, secondo i quali la Russia non sarebbe in grado di produrre droni in quantità sufficienti, la produzione del Lancet è stata incrementata con successo in un breve periodo di tempo[24], e anche la produzione di massa di altri sistemi, come il Geran, sta entrando in funzione[25].

Una bellezza: Zala Lancet
La proliferazione del Lancet e di sistemi simili significa, in poche parole, che nel raggio di 30 km dalla linea di contatto nulla è al sicuro, e ciò, a sua volta, frustra il dispiegamento da parte dell’AFU di mezzi di supporto critici come la difesa aerea e il Genio, amplificando la sua vulnerabilità alle mine e agli incendi russi. In effetti, abbiamo visto sempre più spesso diminuire l’uso dell’artiglieria ucraina nell’area di Robotyne a causa della minaccia dei “bisturi” [Lancet significa “bisturi”] (sembra che stiano trasferendo i tubi su altri fronti), e l’AFU sta favorendo l’uso degli HIMARS nel ruolo di soppressione.
Problema 4: linee di avvicinamento ripetitivePoiché l’AFU non è riuscita a sfondare il settore di Robotyne al primo tentativo, è stata costretta a spostare continuamente unità e risorse aggiuntive per martellare la posizione. Questo ha particolari implicazioni, sia nel senso che le forze AFU devono continuamente percorrere le stesse linee di avvicinamento alla linea di contatto, sia nel fatto che utilizzano la stessa area delle retrovie per assemblare e allestire le loro forze d’assalto.Ciò facilita notevolmente l’onere dell’ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) russo, poiché l’AFU non dispone di un modo efficace per disperdere o nascondere i mezzi che sta portando all’assalto. Forze e materiali ucraini sono stati ripetutamente nascosti nei villaggi immediatamente dietro Orikhiv, come Tavriiske e Omeln’yk, e la Russia è in grado di colpire le infrastrutture delle retrovie[26], come i depositi di munizioni, perché – per dirla in parole povere – c’è solo un certo numero di località in cui queste risorse possono essere dispiegate, quando si assalta ripetutamente lo stesso settore di fronte largo 20 km. 

Recentemente il viceministro della Difesa ucraino Hanna Malair si è lamentata del fatto che l’82esima brigata – appena dispiegata nel settore di Orikhiv – è stata colpita da una serie di attacchi aerei russi nelle sue aree di sosta[27]. Secondo la Malair, ciò sarebbe dovuto a una scarsa OPSEC che avrebbe rivelato ai russi la posizione della brigata. Ma questo ha davvero poco senso; l’intera area di operazioni intorno a Orikhiv è profonda forse 25 km (da Kopani a Tavriiske) e larga 20 km (da Kopani a Verbove). Si tratta di un’area piccola che ha visto un’enorme quantità di traffico militare lungo le stesse strade per tutta l’estate. L’idea che la Russia abbia bisogno di informazioni privilegiate per sapere che deve sorvegliare e attaccare obiettivi in quest’area è assurda.

 

Problema 5: brigate fragili

In realtà, per “distruggere” un’unità operativa ci vogliono molti meno danni di quanto si pensi. Un’unità può diventare da eliminarsi dai combattimenti al 30% di perdite (con qualche variazione a seconda di come queste vengono assegnate). Lo dico, perché quando la gente sente il termine “distruzione”, pensa che significhi perdite totali. A volte questo è il modo in cui la parola viene usata nelle conversazioni colloquiali, ma ciò che conta, per gli ufficiali che cercano di gestire un’operazione, è se una formazione sia o meno in grado di combattere per i compiti che le vengono richiesti – e queste capacità possono svanire molto più rapidamente di quanto si pensi.

 

Questo è il caso in particolare del pacchetto meccanizzato ucraino, per una serie di ragioni. In primo luogo, come abbiamo discusso in articoli precedenti, queste brigate hanno iniziato la battaglia con una forza nettamente inferiore (ricordiamo, ad esempio, che l’82a brigata ucraina ha solo 90 Stryker AFV, mentre la brigata americana Strkyer dovrebbe averne 300). Inoltre, la natura di queste brigate, che sono state assemblate insieme, e la totale mancanza di sistemi di supporto autoctoni, come la riparazione e la manutenzione, significa che gli ucraini, ovviamente, dovranno cannibalizzare questi veicoli. Hanno già iniziato a designare veicoli “donatori” che vengono completamente sottratti alle forze attive e servono solo ad essere smontati per fornire pezzi di ricambio[28]. Il nesso di questi due fatti è che le brigate meccanizzate ucraine sono già sotto organico per quanto riguarda i veicoli e avranno un tasso di recupero abissalmente scarso, con un logorio nascosto dietro le quinte dovuto alla cannibalizzazione.

 

Ciò significa che quando a metà luglio abbiamo sentito ammettere che l’Ucraina aveva già perso il 20% dei suoi mezzi di manovra[29], si è verificato un calo catastrofico della capacità di combattimento. Le brigate principali – che hanno consumato il 50% o più dei loro veicoli di manovra – non possono più sostenere compiti di combattimento appropriati per una brigata, e gli ucraini sono costretti a inviare prematuramente sulla linea di contatto le loro unità di secondo livello.

 

A questo punto, elementi parziali di almeno dieci brigate diverse sono stati dispiegati nel settore di Robotyne[30], e l’82° probabilmente si unirà presto a loro. Dato che il piano di costruzione della capacità di di combattimento della NATO prevedeva solo 9 brigate addestrate dalla NATO, più alcune formazioni ucraine ricostituite, si può dire che non era previsto che tutte le brigate venissero impiegate in un combattimento di 71 giorni, solo per sfondare la linea di protezione.

 

Guardare l’abisso

Ultimamente ho visto diversi analisti e scrittori affermare che l’inserimento di ulteriori unità ucraine nel settore di Robotyne segna la prossima fase dell’operazione.

 

È un’assurdità. L’Ucraina è ancora impantanata nella prima fase. È successo invece che il logoramento delle brigate di prima linea ha costretto l’Ucraina a impegnare la seconda (e terza) ondata per completare i compiti della fase iniziale. L’attacco iniziale, guidato dalla 47a brigata, aveva lo scopo di creare una breccia nella linea di protezione russa intorno a Robotyne e di avanzare verso la principale cintura difensiva russa più a sud. Le brigate aggiuntive destinate allo sfruttamento – la 116ª, la 117ª, la 118ª, l’82ª, la 33ª e altre ancora – vengono ora sistematicamente inviate sulla linea di contatto per mantenere la pressione.

 

Queste brigate non sono state distrutte, ovviamente, semplicemente perché non sono state impegnate nella loro interezza, ma piuttosto come sottounità. Tuttavia, a questo punto le perdite ucraine rappresentano la maggior parte di un’intera brigata, distribuita nel pacchetto più ampio, e oltre 300 elementi di manovra (carri armati, IFV, APC, ecc.) sono stati eliminati.

 

Dobbiamo dirlo in modo molto esplicito. L’Ucraina non è passata alla fase successiva dell’operazione. È bloccata nella prima fase ed è stata costretta a impegnare prematuramente porzioni del secondo livello che erano state destinate ad azioni successive. Stanno lentamente ma inesorabilmente bruciando l’intero raggruppamento operativo e finora non hanno superato la linea di protezione della Russia. La grande controffensiva si sta trasformando in una catastrofe militare.

Ciò non significa che l’operazione sia fallita, semplicemente perché è ancora in corso. La storia ci insegna che non è saggio pronunciarsi in modo definitivo. La fortuna e i fattori umani (coraggio e intelligenza, codardia e stupidità) hanno sempre qualcosa da dire. Tuttavia, al momento la traiettoria va innegabilmente verso il fallimento.

 

Finora l’AFU ha mostrato una certa capacità di adattamento. In particolare, di recente li abbiamo visti abbandonare l’idea di spingere in avanti colonne non supportate di mezzi meccanizzati – invece si sono appoggiati a piccole unità appiedate[30], cercando di avanzare lentamente nello spazio tra Robotyne e Verbove. La mossa verso la dispersione è intesa a ridurre il tasso di perdite, ma riduce anche ulteriormente la probabilità di uno sfondamento drammatico e segna il temporaneo abbandono di un’azione di sfondamento decisiva a favore – ancora una volta – di una guerra di posizione strisciante.

 

Saremmo negligenti se non notassimo che in tutto questo ci sono state significative perdite russe. Sappiamo che le forze russe nel settore di Robotyne hanno richiesto una rotazione e un rafforzamento, anche con unità d’élite VDV e di fanteria navale. La Russia ha subito perdite in controbatteria, ha perso veicoli in azioni di contrattacco e sono stati uccisi uomini che tenevano le loro trincee. I gruppi d’assalto iniziali lanciati dagli ucraini avevano una grande capacità di combattimento, e gli scontri sono stati molto sanguinosi per entrambe le parti. Non si tratta di un tiro a segno unilaterale, ma di una guerra ad alta intensità.

 

Ma è proprio questo il nocciolo della questione: l’Ucraina sembra incapace di sfuggire alla guerra posizionale e di logoramento in cui si trova. È bello proclamare il ritorno alla guerra “di manovra”, ma se non si riesce a sfondare le difese nemiche, si tratta solo di una vanteria, e la natura del conflitto resta il logoramento, l’attrito. Quando la domanda diventa “riusciremo a sfondare prima di esaurire la capacità di combattimento”, non si fa guerra di manovra. Si fa guerra d’attrito.

 

Nella mia serie di articoli sulla storia militare, abbiamo esaminato una serie di casi in cui gli eserciti hanno cercato disperatamente di sbloccare il fronte e di ripristinare uno stato di manovra operativa, ma quando non c’è la capacità tecnica per farlo, queste intenzioni non hanno alcuna importanza. Nessuno vuole essere intrappolato dalla parte sbagliata della matematica attrizionale, ma a volte ciò che si vuole non ha alcuna importanza. A volte il logoramento viene imposto.

 

In assenza delle capacità necessarie a violare con successo le prodigiose difese russe – più fuoco a distanza, più difesa aerea, più ISR, più EW, più genieri, di più e di più – l’Ucraina è intrappolata in una lotta contro la roccia. Due combattenti che roteano le mazze  l’uno contro l’altro, e la Russia è un uomo più grande con una mazza più grande.

 

Due brutte scusanti

In mezzo a un evidente fiasco e a un crescente sconforto strategico, due nuovi suggerimenti si sono sempre più insinuati nella conversazione – “scusanti”, se volete, che vengono utilizzate come conforto narrativo per dirci che le operazioni ucraina in realtà stanno andando bene (nonostante la presa d’atto quasi universale, in Occidente, che i risultati sono stati a dir poco scarsi). Vorrei soffermarmi brevemente su ciascuna di esse.

 

Scusante 1: “La prima fase è la più difficile”.

Spesso si sostiene che l’AFU deve solo aprire la linea di protezione russa e il resto delle difese cadrà come un domino. L’argomentazione generale è che i russi non hanno riserve e che le linee difensive successive non sono adeguatamente presidiate: basta aprire la prima linea e il resto crollerà.

Probabilmente è confortante da dire a se stessi, ma è piuttosto irrazionale. Potremmo parlare, ad esempio, dello schema dottrinale russo per la difesa in profondità, che prescrive un’abbondante allocazione di riserve a tutte le profondità del sistema difensivo, ma probabilmente è più proficuo puntare a prove più immediate.

 

Consideriamo semplicemente il comportamento della Russia negli ultimi sei mesi. Ha speso un’enorme quantità di sforzi per costruire difese scaglionate – dobbiamo davvero credere che abbia fatto tutto questo solo per sprecare tutta la sua capacità di combattimento combattendo di fronte a queste difese? Non ci sono nemmeno prove che la Russia abbia problemi a rifornire il fronte di uomini, in questo momento. Abbiamo assistito a continue rotazioni e ridispiegamenti nell’ambito di un processo generale di ampliamento militare in Russia[31]. In effetti, tra i due belligeranti, è l’Ucraina che a quanto pare sta raschiando il barile in cerca di effettivi[32].

 

Scusante 2: “Arrivare a portata di tiro”

Questa è la storia più fantasiosa e consiste in un vero e proprio gioco delle tre carte. L’argomentazione è che l’Ucraina non ha bisogno di avanzare fino al mare e tagliare fisicamente il ponte di terra, tutto ciò che deve fare è portare le vie di rifornimento russe a portata di tiro per tagliare fuori le truppe russe. Questa teoria è stata diffusa su Twitter X e da personalità come Peter Zeihan (una persona che non sa nulla di questioni militari).

 

Ci sono molti problemi con questa linea di pensiero, la maggior parte dei quali deriva da un concetto gonfiato di “controllo con il fuoco”. Per dirla in parole povere, essere “a portata di tiro” dell’artiglieria non implica un’efficace negazione dell’area o l’interruzione delle linee di rifornimento. Se così fosse, l’Ucraina non sarebbe affatto in grado di attaccare da Orikhiv, poiché l’intero asse di avvicinamento è nel raggio di tiro russo. A Bakhmut, l’AFU ha continuato a combattere molto tempo dopo che le sue principali vie di rifornimento sono state sottoposte ai bombardamenti russi.

 

Il semplice fatto è che la maggior parte dei compiti militari sono condotti nel raggio di almeno una parte del fuoco a distanza del nemico, e l’idea che la Russia crollerà se l’AFU riuscirà a piazzare una granata sull’autostrada costiera di Azov è decisamente ridicola. In realtà, la principale linea ferroviaria russa è già nel raggio d’azione degli HIMARS ucraini e gli ucraini hanno lanciato con successo attacchi contro città costiere come Berdyansk. Nel frattempo, la Russia colpisce regolarmente le infrastrutture di supporto ucraine, eppure nessuno dei due eserciti è ancora crollato. Questo perché il fuoco a distanza è uno strumento per migliorare la matematica della guerra d’attrito e perseguire gli obiettivi operativi – non si vincono magicamente le guerre solo taggando le strade di rifornimento del nemico.

 

Ma siamo caritatevoli e assecondiamo questa linea di pensiero. Supponiamo che gli ucraini riescano ad avanzare, non fino alla costa, ma abbastanza da portare le principali vie di rifornimento della Russia a portata di artiglieria. Cosa farebbero? Caricherebbero una batteria di obici, li parcheggerebbero in prima linea e comincerebbero a sparare senza sosta sulla strada? Cosa pensate che succederebbe a quegli obici? I sistemi di controbatteria li attaccherebbero sicuramente. L’idea che si possa semplicemente issare un grosso cannone e iniziare a sparare contro i camion dei rifornimenti russi è davvero infantile. Per mettere fuori gioco le forze nemiche è sempre stato necessario bloccare fisicamente il transito, ed è quello che l’Ucraina dovrà fare se vuole tagliare il ponte terrestre della Russia.

 

La diversione

Sono consapevole del fatto che verrei messo sotto accusa se non parlassi di un’altra area di impegno ucraino, più a est, nell’oblast’ di Donestk. Qui, gli ucraini si sono fatti strada per una buona distanza lungo l’autostrada dalla città di Velyka Novosilka, conquistando diversi insediamenti.

 

Il problema di questo “altro” attacco ucraino è che è, in una parola, inconcludente. Questo asse di avanzata è operativamente sterile in un modo molto fondamentale, in quanto comporta la spinta di gruppi su uno stretto corridoio di strada che non conduce a nessun obiettivo importante. Come nel settore di Robotyne, l’AFU si trova ancora a una certa distanza dalle fortificazioni russe più importanti e, come se non bastasse, la strada e gli insediamenti su questo asse si trovano lungo un piccolo fiume. I fiumi, come sappiamo, scorrono a livello del suolo, il che significa che la strada si trova in fondo a un wadis/embankement/glacis, scegliete voi la terminologia. Di fatto, la rete stradale in quanto tale non consiste in nulla, se non in una carreggiata a una sola corsia su entrambi i lati del fiume.

Lo spettacolo di contorno a est
La mia lettura di questo asse è, in buona sostanza, che era stato concepito come una finta per creare una parvenza di confusione operativa, ma quando lo sforzo primario sull’asse di Orikhiv si è trasformato in un colossale errore, si è deciso di continuare a premere qui semplicemente per scopi narrativi. In definitiva, questo non è un asse di avanzata in grado di esercitare un’influenza significativa sulla guerra in generale. Le forze qui dispiegate sono relativamente minuscole nel più grande quadro delle cose, e non andranno da nessuna parte in modo significativo. Di certo, una penetrazione sottile e simile a un ago non riuscirà a percorrere più di 80 chilometri su una strada a una sola corsia verso il mare e a vincere la guerra.
Conclusione: i rinfacci
Uno dei segni più sicuri che la controffensiva ucraina ha preso una piega catastrofica è il modo in cui Kiev e Washington hanno già iniziato ad accusarsi a vicenda, eseguendo un’autopsia mentre il corpo è ancora caldo. Zelensky ha incolpato l’Occidente di essere stato troppo lento nel consegnare le attrezzature e le munizioni necessarie, sostenendo che ritardi inaccettabili hanno permesso ai russi di migliorare le loro difese[33]. Questo mi sembra piuttosto indecente e ingrato. La NATO ha costruito all’Ucraina un nuovo esercito da zero, con un processo che ha già richiesto una notevole riduzione dei tempi di addestramento.D’altra parte, gli esperti occidentali hanno iniziato a rimproverare all’Ucraina la presunta incapacità di adottare la “manovra ad armi combinate”[34]. Si tratta in realtà di un tentativo del tutto privo di senso di usare un gergo (errato) per spiegare i problemi. Per armi combinate si intende semplicemente l’integrazione e l’uso simultaneo di varie armi come i blindati, la fanteria, l’artiglieria e i mezzi aerei. Sostenere che l’Ucraina e la Russia siano in qualche modo cognitivamente o istituzionalmente incapaci di farlo è estremamente sciocco. L’Armata Rossa aveva una dottrina complessa ed estremamente approfondita sulle operazioni ad armi combinate. Un professore della Scuola di Studi Militari Avanzati degli Stati Uniti ha affermato che: “Il nucleo più coerente di scritti teorici sull’arte operativa si trova ancora tra gli autori sovietici”[35]. L’idea che le manovre ad armi combinate siano un concetto estraneo e nuovo per gli ufficiali sovietici (una casta che comprende gli alti comandi russi e ucraini) è ridicola. 

Il problema non è una sorta di ostinazione dottrinale ucraina, ma una combinazione di fattori strutturali radicati nell’insufficienza della potenza di combattimento ucraina e nel cambiamento del volto della guerra.

 

È francamente un po’ sciocco dire che l’Ucraina ha bisogno di imparare le “armi combinate”, quando semplicemente manca di capacità importanti che renderebbero possibile una campagna di manovra di successo – vale a dire, un adeguato fuoco a distanza, una forza aerea funzionante (e no, gli F-16 non risolveranno questo problema), Genio e guerra elettronica. Il problema fondamentale non è la flessibilità dottrinale, ma la capacità. Per analogia, è un po’ come mandare un pugile a combattere con un braccio rotto e poi criticare la sua tecnica. Il problema non è la sua tecnica, il problema è che è ferito e materialmente più debole del suo avversario. Allo stesso modo, il problema dell’Ucraina non è che non è in grado di coordinare le braccia, il problema è che le sue braccia sono in frantumi.

 

In secondo luogo – e questo, lo ammetto, è piuttosto scioccante per me – gli osservatori occidentali non sembrano aperti alla possibilità che la precisione del moderno fuoco a distanza (che si tratti di droni Lancet, di proiettili di artiglieria guidati o di razzi GMLRS), combinata con la densità dei sistemi ISR, possa semplicemente rendere impossibile condurre operazioni mobili a tappeto, se non in circostanze molto specifiche. Quando il nemico ha la capacità di sorvegliare le aree di sosta, di colpire le infrastrutture delle retrovie con missili da crociera e droni, di saturare con precisione le linee di avvicinamento con il fuoco dell’artiglieria e di riempire la terra di mine, come può essere possibile una manovra?

 

Le armi combinate e la manovra si basano sulla capacità di concentrare rapidamente un’enorme potenza di combattimento e di attaccare con grande violenza in punti ristretti. Questo è probabilmente impossibile, data la densità della sorveglianza e della potenza di fuoco russa e i molti ostacoli che hanno eretto per negare agli ucraini la libertà di movimento e sclerotizzare la loro attività. I principali esempi di manovra nella recente memoria occidentale – le campagne in Iraq – hanno solo una tenue attinenza con le circostanze di Zaporizhia.

 

In definitiva, siamo tornati a una guerra di massa – masse di strumenti ISR, masse di artiglieria e missilistica. L’unico modo in cui l’Ucraina può manovrare come vuole è sfondare il fronte, e può farlo solo con un numero maggiore di tutto: più attrezzature per lo sminamento, più granate e tubi, più missili, più blindati. Solo la massa può aprire una breccia adeguata nelle linee russe. Altrimenti, sono bloccati in un conflitto di attrito, e obbligati a strisciare lentamente attraverso le dense difese russe. Criticarli perché non sono in grado di afferrare la magica nozione occidentale di “armi combinate” è la più strana specie di rinfaccio.

 

Quindi, che fine farà la guerra da qui in poi? Beh, la domanda ovvia da porsi è se crediamo che l’Ucraina avrà mai un pacchetto d’assalto più potente di quello con cui ha iniziato l’estate. La risposta sembra chiaramente essere no. Mettere insieme queste deboli brigate è stato piacevole come farsi estrarre i denti senza anestesia. L’idea che, dopo la sconfitta nella battaglia di Zaporizhia, la NATO possa, non si sa come, mettere insieme un pacchetto più potente, mi sembra molto difficile. Tanto per esser chiari, gli ufficiali americani hanno detto abbastanza esplicitamente che questo era il miglior pacchetto meccanizzato che l’Ucraina potesse ottenere[36].

 

Non sembra controverso affermare che questa era la migliore possibilità, per l’Ucraina, di ottenere una specie di autentica vittoria operativa, che a questo punto sembra lentamente ridursi a modesti, ma materialmente costosi progressi tattici. L’implicazione finale è che l’Ucraina non è in grado di sfuggire a una guerra di logoramento industriale, che è proprio il tipo di guerra che non può vincere, a causa di tutte le asimmetrie che abbiamo menzionato in precedenza.

 

In particolare, però, l’Ucraina non può vincere una guerra di posizione e d’attrito a causa della sua stessa definizione massimalista di “vittoria”. Dal momento che Kiev ha insistito sul fatto che non si arrenderà fino al ritorno ai confini del 1991, l’incapacità di sloggiare le forze russe pone un problema particolarmente spiacevole: Kiev dovrà ammettere la sconfitta e riconoscere il controllo russo sulle aree annesse, oppure continuerà a combattere ostinatamente fino a diventare uno Stato fallito senza più benzina nel serbatoio.

 

Intrappolata in una lotta a colpi di mazza, con i tentativi di sbloccare il fronte con le manovre che non portano a nulla, ciò di cui l’Ucraina ha più bisogno è una mazza molto più grande. L’alternativa è un disastro strategico totale.

https://bigserge.substack.com/p/escaping-attrition-ukraine-rolls?utm_source=post-email-title&publication_id=1068853&post_id=136284338&isFreemail=true&utm_medium=email

Contare in morti in guerra non è un morboso esercizio di necrofilia. Di Claudio Martinotti Doria

Il fatto che io abbia insistito negli ultimi articoli dedicati alla guerra in Ucraina sull’effettivo numero di morti dell’esercito ucraino (rapportandolo a quelli russi) non è frutto di malcelata necrofilia, nulla di morboso, ma è perché tecnicamente sapere quanti siano i caduti offre un quadro preciso delle prospettive belliche del paese, correlandolo ai dati demografici e socioeconomici.

Gli ultimi dati forniti dagli stessi funzionari USA, che probabilmente nel cambio di narrativa attualmente in corso sono stati autorizzati a farlo, riferiscono di circa mezzo milione di caduti, intendendo morti e feriti gravi non più in grado di combattere (ad esempio i mutilati). Vi è stata addirittura una fonte interna all’Ucraina (un’istituzione filogovernativa) che ha riferito di 350mila morti, in netto contrasto con il regime nazista di Kiev che con ostentata patetica protervia insiste a riferire da parecchi mesi che sono solo 13mila, come circa un anno fa quando corresse la von del Leyen che affermò essere 100mila. Per il regime di Kiev nell’ultimo anno non è morto nessun soldato ucraino.

Personalmente avevo riferito pressappoco gli stessi numeri dei funzionari USA parecchi mesi fa, molto prima della cosiddetta e impropriamente definita “controffensiva”, durante la quale si stima vi siano stati altri 40/50 mila morti.

Sui feriti non sono d’accordo con le fonti occidentali, come scrissi già in passato. I feriti in una guerra convezione ad alta intensità, come è ormai divenuto il conflitto in Ucraina, sono mediamente il triplo dei morti, e di questi almeno il 25% riporta ferite gravi, invalidanti, cioè rimangono mutilati e/o non più in grado di combattere. Ma non è il caso del conflitto in Ucraina, perché è caratterizzato da un uso intensivo dell’artiglieria e dei bombardamenti aerei e missilistici da parte russa, in un rapporto di 10 a 1 rispetto all’Ucraina. Questo significa che la stragrande maggioranza, forse anche il 90% dei feriti ucraini, non sono stati colpiti da armi da fuoco ma da esplosioni, quindi da onde d’urto e schegge. Sono cioè stati fatti letteralmente a pezzi. Ecco perché sono definiti “carne da cannone”.

Le ferite da artiglieria sono molto più gravi e laceranti di quelle da armi da fuoco, devastano il corpo e gli organi interni e le articolazioni. Molti feriti non sopravvivono, soprattutto considerando che i tempi medi di soccorso da parte ucraina sono dieci fino a venti volte superiori a quelli russi, che vengono praticamente soccorsi nei minuti successivi. Per i soldati ucraini passano ore prima che riescano a trasportarli in un ospedale per essere assistiti e curati alla meno peggio, quando gli va bene che non siano abbandonati a morire di una lenta agonia. Questa è la triste, cruda e spietata realtà dei fatti, come testimoniato dagli stessi soldati ucraini.

Questo significa che i feriti a distanza di tempo muoiono o rimangono gravemente invalidi per non aver ricevuto tempestiva assistenza sul campo. Quindi a mio avviso la cifra di 50mila mutilati tra i soldati ucraini, fornita dalle fonti occidentali (quelle serie) non corrispondono a mio avviso alla realtà, sono molti di più. Dalle fonti cui attingo abitualmente, che analizzando scrupolosamente i video, documenti e testimonianze dirette sul campo, mi sono fatto l’idea che i morti siano ormai ben oltre i 500mila e i feriti gravi non meno di 250mila. In sostanza il regime nazista di Kiev ha perso 750mila uomini. Ecco perché da diversi mesi ha scatenato migliaia di commissari per l’arruolamento forzato di reclute e in rete hanno circolato migliaia di video (nonostante i divieti e i rischi) che denunciavano i metodi brutali di arruolamento, che applicavano sistematicamente il sequestro in strada o nelle proprie abitazioni di tutti gli uomini in età per combattere.

Siccome molti commissari erano corrotti e in cambio di denaro o beni preziosi rinunciavano ad arruolare chi li pagava, il regime di Kiev li ha sostituiti con altri ferocemente nazisti, privi di scrupoli, obbligati ad ottenere un risultato certo, pena gravi conseguenze per loro, ecco perché ultimamente il sistema di reclutamento si è intensificato e divenuto ancora più brutale, solo che non hanno tenuto conto della reazione popolare, ormai satura e non più disposta a sopportare repressioni e violenze.

Così sta succedendo che ogni tanto trovano un commissario massacrato di botte e/o giustiziato con armi da fuoco (di cui moti cittadini ucraini sono dotati). E quando le autorità indagano non trovano un solo testimone disposto a parlare. L’omertà e quindi la complicità popolare è assoluta.

Un grosso problema per il regime di Kiev, a corto di carne da cannone. Se insistono rischiano una sorta di guerra civile, cioè si ammazzeranno tra di loro. Fare il commissario arruolatore è divenuto rischioso come andare a combattere al fronte.

Ora cercherò di spiegare il perché di questa situazione, ricorrendo ai dati demografici e anagrafici.

La popolazione ucraina era ai tempi dell’indipendenza dall’Unione Sovietica di circa 50milioni di persone.

Fin dalle prime rivoluzioni colorate filooccidentali dei primi anni del nuovo millennio e negli anni fino al colpo di stato del 2014 orchestrato dagli USA, la popolazione ucraina era già calata di una decina di milioni, emigrati in tutta Europa e Russia in cerca di migliori condizioni di vita, per poi mantenere la famiglia rimasta in patria con le rimesse, non essendoci lavoro nel proprio paese.

Dopo il colpo di stato del 2014 divenne evidente per gli ucraini filorussi e russofoni, che per loro tirava una brutta aria di stampo nazionalista e perfino nazista e russofoba, quindi ne emigrarono in alcuni anni alcuni milioni e circa 5 milioni non fecero più parte dell’Ucraina in quanto residenti nelle regioni secessioniste autoproclamatisi indipendenti del Donbass. In totale all’incirca altri 10milioni di ucraini si sono sottratti al dominio del regime nazista di Kiev.

Poi allo scoppio del conflitto con la Russia nel febbraio 2021 ci fu un altro fuggi-fuggi generale per sottrarsi alla guerra, oltre tre milioni di russofoni si rifugiarono in Russia (che ormai ne ospita, secondo le stime dai 5 ai 7 milioni) e altrettanti emigrarono in Europa, pagando tangenti varie alle guardie di frontiera oppure sono riusciti a fuggire di nascosto. Nel frattempo altre regioni ucraine del Sud e quasi l’intero Donbass furono acquisite e poi annesse alla Russia sottraendo altri milioni di ucraini al controllo del regime di Kiev.

Quindi ad essere ottimisti il regime di Kiev allo stato attuale controlla (si fa per dire, meglio sarebbe dire “minaccia e opprime”) solo 17-18 milioni di ucraini rimasti in patria, perlopiù a occidente del grande fiume Dnepr. E di questi la stragrande maggioranza sono donne, anziani e giovani non maggiorenni. Ecco perché il regime è alla disperazione non disponendo più di carne da cannone da inviare al fronte. I pochi rimasti piuttosto che farsi quasi certamente ammazzare al fronte e morire per un regime corrotto e odioso, preferirebbero affrontare armati i commissari arruolatori oppure simulare di voler combattere per poi arrendersi alla prima occasione (come avviene sempre più spesso), sempre che riescano a evitare di farsi sparare alla schiena dai loro ufficiali, ma anche questi alla lunga potrebbero finire come i commissari arruolatori.

Una situazione irrisolvibile per il regime di Kiev, che non potrà nascondere a lungo ai partner occidentali, certamente non ai servizi di intelligence USA e UK e polacchi, vista la loro pervasiva presenza sul suolo ucraino. Soprattutto i polacchi lo sanno benissimo.

La Polonia ha già perso oltre 10mila soldati inviati come mercenari per combattere a fianco degli ucraini, e anche loro hanno subito la stessa sorte degli ucraini in termini di feriti, un enorme tributo di sangue per il quale la Polonia vuole delle importanti contropartite. Sapendo la grave debolezza in cui versa il regime di Kiev la Polonia approfitterà certamente di tale vulnerabilità, non appena l’esercito ucraino collasserà e le forze russe avanzeranno fino al fiume Dnepr e occuperanno la regione di Odessa dominando l’accesso al mare.

A mio avviso l’enorme investimento della Polonia per rafforzare il suo esercito non ha solo lo scopo di affrontare la Russia in una guerra che sanno costerebbe loro lacrime e sangue, ma per occupare l’Ucraina Occidentale e annetterla sotto forma di protettorato polacco per poi difenderla dai russi.

Anche se a leggere i resoconti dei media occidentali sembrerebbe che l’esercito polacco sia fortissimo, in realtà ai ritmi di armamento e reclutamento attuali, occorreranno comunque due o tre anni per essere operativo, quindi non sono in grado attualmente di scendere in guerra contro la Russia, ma potranno soltanto contenerla al confine naturale rappresentato dal grande fiume Dnepr.

Una cospicua parte dell’esercito polacco dovrà rimanere schierato al confine con la Bielorussia, non potendo escludere, dal loro punto di vista, una possibile aggressione russa da quella parte, nel momento in cui la Polonia ufficialmente facesse entrare sul suolo ucraino le sue forze armate, perché sarebbe un atto di guerra.

Quindi, anche se è vero che i polacchi sono russofobi, non credo siano totalmente pazzi e suicidi, forse parte del governo ma non la maggioranza della popolazione, per cui non credo che affronteranno la Russia direttamente sostituendosi agli ucraini, per compiacere gli USA-UK, ma si limiteranno a cercare (non significa riuscirci) di portare a casa il massimo risultato col minimo sforzo, approfittando della debolezza altrui.

Per concludere la conta dei morti e feriti anche da parte russa, riferisco per semplificare che la maggioranza degli analisti occidentali seri e indipendenti (non propagandisti NATO) stima in 1 a 8 il rapporto morti e feriti tra russi e ucraini (personalmente propenderei per 1 a 10), quindi le conclusioni traetele voi, tenendo conto di quanto ho riferito

In precedenza, cioè che l’artiglieria ucraina è ridotta a un decimo di quella russa, quindi i feriti russi da artiglieria sono infinitamente meno in proporzione, e l’assistenza e le cure ai soldati russi feriti è praticamente immediata e di elevatissima qualità, per cui il numero di invalidi e mutilati è ridottissimo.

Appare evidente a chiunque abbia avuto la pazienza di leggere questo mio modesto articolo, che le prospettive belliche dell’Ucraina sono ridotti al lumicino. Nonostante i loro sforzi non sono riusciti neppure ad avvicinarsi alla prima linea difensiva russa, e dopo ve ne sono altre due.

Finora tutti i numerosi attacchi ucraini sono stati fermati solo dagli avamposti difensivi russi, dai campi minati, dall’artiglieria mobile e delle retrovie e dall’aviazione leggera (perlopiù elicotteri e droni), che è riuscita in questi mesi a distruggere il 50% delle loro armi pesanti, soprattutto i mezzi corazzati, forniti dall’Occidente (quelli che avrebbero dovuto cambiare le sorti della guerra) e a uccidere tra i 40 e i 50mila soldati ucraini mandati all’attacco senza adeguata copertura aerea, come carne da cannone.

E nonostante queste evidenze oggettive, l’Occidente continua ancora a fornirli di armi, rendendosi moralmente responsabile della loro inutile morte e della sofferenza dei pochi sopravvissuti. Un’ignominia.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

Il disadattamento delle élites occidentali. Intervista a Pierluigi Fagan

Abbiamo posto giorni fa ad Aurelien quattro domande alle quali l’analista ci ha rapidamente e compiutamente risposto. Abbiamo pubblicato il 23 agosto qui la sua replica.

Su suggerimento di alcuni lettori abbiamo esteso ad altri autori ed analisti l’invito a rispondere alle medesime. Proseguiamo con la pubblicazione del punto di vista di Pierluigi Fagan. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 PIERLUIGI FAGAN

1) Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

  • Nella categoria “occidentali” distinguerei americani (anglosfera a traino) ed europei. Non credo di possa dire che questi secondi hanno deciso alcunché, forse si è persa memoria dei primi giorni di conflitto. Gli europei non davano proprio l’idea sapessero cosa stava succedendo e cosa sarebbero stati costretti a fare pur poi rivendicandola come propria volontà. La natura stessa delle decisioni che hanno fatto finta esser frutto della loro volontà, dice di quanto in effetti non lo fosse affatto vedi vari suicidi energetici. Quanto agli americani, il decisore ha tenuto conto certo di aspetti militari, tanto quanto politici ed economici; tuttavia, l’ordinatore dell’impianto di decisione è stato geopolitico, ovvero strategico. Sul fatto che si sia rivelato fallace ho però un diverso giudizio da quello contenuto implicitamente nella domanda. Gli americani avevano almeno quattro obiettivi come ho scritto dai primi giorni del conflitto: 1) coinvolgere la Russia in una lunga e defatigante guerra sul modello appreso con la Guerra fredda vs URSS. Il motivo ed obiettivo era vario, si poteva sperare (da parte loro) una implosione nel medio-lungo termine o quantomeno depotenziare l’unico vero competitor militare che hanno per via dell’ultima arma, l’arsenale nucleare. Si pensi all’intervento russo verso la fine del conflitto siriano. Ciò in vista di futuri, possibili, conflitti tra cui quello diretto e decisivo nelle regioni artiche dove, tra l’altro, i russi hanno un vantaggio forte, ad oggi. È più probabile che il vero obiettivo di questo primo punto fosse il secondo aspetto qui declinato ovvero sgonfiare un po’ o un po’ tanto il principale competitor militare impegnandolo un una lunga e costosa guerra, in quanto il primo confligge con la semplice numerica delle possibili truppe russe ed ucraine impiegabili nel medio-lungo periodo; 2) lo metto per secondo punto ma secondo me, in termini strategici era il primo ovvero la veloce annessione egemonica dell’intera UE. È il più importante perché se l’ottica è stata geopolitica, il gioco geopolitico dei prossimi trenta anni è Occidente (o G7 allargato) vs Resto del mondo. Se ti devi preparare a quel gioco, è congruo sia creare massa al tuo comando, sia evitare che gli europei vagheggiassero un ruolo speculativo nel nuovo assetto multipolare come già stavano facendo. Questo obiettivo è stato pienamente raggiunto, in poco tempo, senza se e senza ma, contro ogni evidente interesse obiettivo di Germania, Francia, Italia. Inoltre, hanno ben mosso le pedine euro-orientali e scandinave accerchiando ogni velleità euro-occidentale, il che peserà anche nei destini futuri della stessa UE e dell’euro. Questo punto è quello che mi fa dubitare più di ogni altro sul giudizio di fallimento che date nella domanda; 3) il terzo punto era iniziare, vertendo sullo sdegno per l’invasione russa, il gioco di ripartire il mondo tra stati per bene e stati canaglia o come dicono loro tra “democrazie” ed “autocrazie”. Questa ultima è una partizione debole sul piano strategico, lì dove certi consiglieri hanno esagerato nel credere il mondo dei valori e delle idee così importante fuori della propaganda occidentale e pure con ampie contraddizioni come sappiamo relativamente a vari rapporti scabrosi che gli stessi americani hanno in giro per il mondo. Ha avuto o potrebbe avere una funzione ideologica per il pubblico interno occidentale, proprio per i prossimi conflitti, tra cui quello con la Cina che sappiamo essere il principale e decisivo. Tuttavia, sembra anche ci abbiano davvero creduto visto che il concetto era già stato lanciato in campagna elettorale da Biden ed hanno comunque portato al voto l’ONU su due risoluzioni cercando di imporre inutilmente il format “o con noi o contro di noi”, una ri-bipolarizzazione per giocare al gioco che conoscono meglio; 4) infine, molti ragionano di geopolitica dimenticandosi che è strutturalmente collegata alla politica interna. Gli Stati Uniti sono stati in una qualche guerra per quasi tutta la loro storia, oltreché per eredità antropologica barbarica (T. Veblen), perché il loro ordinamento ha fisiologico bisogno di farla. Il sistema militar-industrial/commerciale-tecnologico-congressuale, sa che la guerra è la fonte principale sia di sfide tecniche le cui soluzioni hanno poi vaste ricadute, sia di fondi. Fondi che l’americano medio è renitente a concedere. Biden promise alle elezioni il ritiro dall’Afghanistan (per altro promesso anche da Trump a cui poi hanno spiegato come vanno le cose nel mondo reale) anche perché l’americano medio, ignaro di questa vocazione necessaria ad una qualche guerra, non vede di buon’occhio tali impegni. Impegni, nonostante la grande spesa storica, che crescono nel tempo come l’apparente ritardo nelle armi ipersoniche e gli aggiornamenti del complesso atomico. La violazione del principio sacro alla sovranità da parte di Putin, è stato uno splendido motivo (coltivato) per ridare all’America il suo conflitto ed esuberare nel finanziamento all’industria che poi sviluppa il ciclo. Sapendo che il punto regge e non regge nella mentalità media americana, Biden darà l’impressione di volerlo sospendere, tempo di fare le elezioni. Quindi il 2) e 4) sono stati perseguiti, il 3) è agli inizi e vedremo come continueranno a giocarselo anche se ormai il tema si è trasferito in Oriente, sul 1) vedremo come finisce, quando e se finirà.

2) Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

 

  • Non vedo quindi errori strategici, forse qualcuno d’inciampo tattico, dal punto di vista americano. Il terzo punto prima espresso, in particolare, mostra una decisa mancanza di realismo in termini di conoscenza del mondo e sue profonde dinamiche. Errori del genere, solitamente, provengono dall’area ideologica che veste il conflitto di valori e temi morali, cose che notoriamente non hanno nulla a che fare con la geopolitica e la strategia. Ma è tipico della scuola liberale di “relazioni internazionali” che in US è più rilevante del realismo in genere e dell’approccio geopolitico. Vedremo come e se finirà o continuerà, un trattato di pace lo vedo impossibile, la guerra congelata sarà collegata alle elezioni americane. Se vincerà Biden, poi riprenderà. Se fosse davvero fino all’ultimo ucraino, potrebbe durare qualche anno sempre che i russi accettino questo tipo di gioco. Mi permetto di aggiungere un altro aspetto. Gli americani non hanno poi così tante strategie possibili, la loro contrazione è fisiologica ed irrimediabile, la loro capacità di adattarsi positivamente a questo destino, che ben gestito sarebbe poi tutt’altro che funesto dato che hanno parecchi fondamentali positivi, sembra molto scarsa. Non se ne vede traccia in nessun aspetto della cultura americana, anche quella “alta”. Dovrebbero al contempo cambiare modo di vivere e di pensare nei grandi numeri e data l’indisponibilità delle loro élite tanto repubblicane che democratiche, non mi pare possibile. È ormai un sistema che s’è solidificato negli ultimi settanta anni, molto complesso cambiarlo stante che nessuno ne mostra la volontà, neanche teorica. Quanto agli europei, non mi sembrano in grado neanche di porsi davanti l’argomento, élite ed opinioni pubbliche con gli intellettuali in mezzo. La crescente anzianità media congiura a retrocedere il tema futuro ad argomento con poco pathos.

3) La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

  • Be’ il tema è un po’ troppo vasto per una risposta ad una domanda in questo formato. La crisi è ontologica, teoricamente affrontabile ma in pratica pare di no. I perché li rimandiamo perché dovremmo dettagliare “crisi” di cosa, da quando, in quale prospettiva ed anche per chi, gli Stati Uniti sono una cosa, lo stato-nazionale di taglia europea un’altra. L’Ue poi, non ne parliamo proprio. Propriamente è un argomento di categoria “storica” quindi assai complesso, irriducibile a poche battute.

4) Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

  • Mah, Russia e Cina amalgamano modernità e tradizione, siamo noi ad aver schematicamente assunto modelli semplificati basati solo sulla storia europea dando di modernità un certo concetto e di tradizione anche. Segnalo però che la Cina non ha mai, di fatto, abbandonato il confucianesimo, ci sono passi del libretto rosso di Mao che sono copia-incolla da Confucio propriamente detto (che attenzione, non è -sic et simpliciter- il “confucianesimo”), semmai ne ha sottomesso provvisoriamente parte del complesso ideologico al maoismo. È stato quindi molto semplice togliere alcuni eccessi di Mao per far risplendere l’antico impianto, direi che non credo sia proprio possibile avere una immagine di mondo in Cina che non risenta profondamente del confucianesimo. La cultura cinese è intrisa di vari tipi confuciani tanto quanto la nostra di platonici, magari a loro insaputa. Il problema è conoscere il confucianesimo che al suo interno è tanto plurale quanto lo è la tradizione di pensiero europea (o quasi). La categoria “reazionario” è europea ed applicare etichette europee a culture non europee non è sempre possibile. Per la Russia il discorso è differente ma poi neanche così tanto, tuttavia trattare problemi “storico-culturali” di questo tipo e di altri mondi, qui, non è possibile. La revisione delle posture e delle ideologie europee per adattarsi ai nuovi tempi comporta ben altre complessità che non essere un po’ meno “moderni” ed un po’ più “tradizionali”.

Global India, di Alexei Kupriyanov

Per vincere la guerra delle economie, dove il nemico ha tutte le carte vincenti – da una solida quota del commercio mondiale alla stampa della valuta di riserva mondiale – abbiamo bisogno, come ci insegna la teoria militare, di una strategia asimmetrica. È inutile cercare di sfondare il muro delle sanzioni: bisogna imparare ad aggirarlo interagendo con le strutture dell’economia sommersa, scrive Alexei Kupriyanov.

Poco più di 75 anni fa, Jawaharlal Nehru, appena uscito di prigione, ha presentato per la pubblicazione La scoperta dell’India, la sua quarta grande opera scritta in carcere. Questa opera segnava la fine di quello che si potrebbe definire il suo “ciclo carcerario”, che comprendeva Lettere di un padre a sua figlia, Sguardi sulla storia del mondo e Autobiografia. In questi libri, il futuro Primo Ministro indiano delineò un concetto coerente che sarebbe servito come base di tutta la futura politica estera indiana. Egli sosteneva che, prima della conquista coloniale, l’India era una delle superpotenze mondiali, ma che poi, a causa di disaccordi interni e della mancata comprensione da parte dei suoi governanti dell’importanza dell’unità nella lotta contro una minaccia esterna, era caduta vittima dei conquistatori britannici. Dopo aver ottenuto l’indipendenza, l’obiettivo principale dell’India sarebbe stato quello di riconquistare lo status perduto di grande potenza e di porsi alla pari con gli altri grandi attori.

Oggi, nel 2023, l’India è più vicina che mai a raggiungere questo status. L’anno scorso ha superato la sua ex metropoli, la Gran Bretagna, in termini di PIL, diventando la quinta economia mondiale; quest’anno ha superato la Cina in termini di popolazione. Tutti gli altri segni dello status globale sono presenti (ad eccezione dell’esplorazione spaziale con equipaggio e di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite): un programma artico e antartico, il possesso di armi nucleari, un programma spaziale di successo e interessi in tutto il mondo. Per molti versi, l’India deve questo successo all’intuizione strategica delle sue élite e alla loro capacità di negoziare tra loro: chiunque sia al timone, continua a seguire la rotta tracciata da Nehru, correggendola solo leggermente a seconda dell’evoluzione della situazione mondiale. Grazie a questo approccio, l’India è riuscita a manovrare in tempo all’inizio degli anni ’90, quando il suo principale partner strategico, l’URSS, è scomparso dalla mappa del mondo.

Invece di entrare in crisi dopo la caduta dell’Unione Sovietica o di subire tutta la serie di umiliazioni che di solito seguono la sconfitta in una guerra, Nuova Delhi, grazie a una serie di abili manovre, è riuscita a inserirsi nel nuovo ordine mondiale e a trovare una nicchia per la sua economia. Il crescente bisogno di specialisti IT di vari profili ha permesso agli indiani di avviare un’espansione su larga scala nel mercato globale dei servizi, di trarre vantaggio dalla globalizzazione e di garantire tassi di crescita dell’economia fino al 9,6% all’anno. Ora il tasso è leggermente diminuito, ma tale crescita rimane una frontiera irraggiungibile per molti Paesi, tra cui la Russia.

India globale: due dimensioni

Le ambizioni globali dell’India hanno due dimensioni: quella politica e quella economica, che si differenziano sia per i meccanismi di attuazione della presenza indiana sia per le sue dimensioni.

Le élite politiche indiane pensano al mondo in termini di cerchi concentrici: il vicinato immediato, il vicinato allargato e il resto del mondo. Il primo comprende i Paesi dell’Asia meridionale (Nepal, Bhutan, Bangladesh, Myanmar, Sri Lanka, Maldive) e la regione dell’Oceano Indiano (Seychelles, Mauritius), la cui situazione e le cui relazioni sono critiche per la sicurezza dell’India. Nuova Delhi cerca di includerli nella sua orbita politica e militare e, in caso di conflitto, in un modo o nell’altro cerca di ripristinare lo status quo che le conviene. Così, nel 1988, le forze speciali indiane hanno liquidato un colpo di Stato nelle Maldive, un anno prima l’India è intervenuta in un conflitto nello Sri Lanka e alla fine degli anni ’90 ha sostenuto i separatisti in Myanmar. Il secondo cerchio comprende i Paesi dell’Africa orientale, del Medio Oriente e dell’Asia centrale e sudorientale, dove le grandi e medie imprese indiane sono più attive. Lì l’India protegge principalmente i propri interessi economici. Infine, nella terza area, Nuova Delhi cerca di plasmare l’immagine dell’India come una grande potenza responsabile che pretende di essere all’altezza dei pesi massimi del mondo nel decidere il destino del pianeta.

Questo schema concentrico poggia su un substrato storico che è stato accuratamente preparato da storici ed esperti indiani. Come qualsiasi altra politica del Vecchio Mondo con una storia di oltre trecento anni, gli indiani si sentono a loro agio quando una base storica culturale e filosofica affidabile viene posta sotto i loro costrutti geopolitici. Ecco perché la percezione indiana della regione indo-pacifica è così locale e limitata alle acque dell’Oceano Indiano e del Pacifico occidentale, e perché i progetti regionali indiani sono così poco combinati con quelli cinesi: se Pechino, nelle sue iniziative per ripristinare la Via della Seta, si concentra sulla rotta commerciale storicamente esistente tra la Cina e l’Europa, dove le polarità dell’Hindustan fungevano al massimo da punti di transito, l’India guarda al suo ruolo storico di centro di una vasta rete commerciale che copriva l’intero Oceano Indiano, il Mediterraneo orientale e il Pacifico occidentale.
Da un lato, ciò predetermina l’indisponibilità dell’India a rinunciare a questioni di status, soprattutto nel confronto con la Cina; dall’altro, consente la cooperazione con tutte le potenze pronte a riconoscere il ruolo di primo piano dell’India nella regione.
Nella dimensione economica, tutto è diverso. L’imprenditoria indiana non ha bisogno di una base storica e filosofica per diffondere operazioni commerciali in tutto il mondo. Ovunque ci siano rappresentanti della diaspora indiana (e sono presenti in quasi tutti i Paesi e le regioni del mondo, comprese Russia e America Latina), prima o poi appaiono nodi del sistema finanziario ed economico indiano, nonostante siano in gran parte informali. Lo Stato ha poco controllo su questo processo: le strutture che formano il sistema informale hanno meccanismi finanziari propri (hawala /hundi) che permettono di effettuare transazioni senza la partecipazione delle banche. Questa India globale esplora volentieri nuovi mercati, inventa nuovi modi per evitare le sanzioni e si assume rischi laddove le autorità non sono pronte a farlo.
ASIA ED EURASIA
L’India tra Russia, Stati Uniti e Cina
Alexei Kupriyanov
Esattamente dieci anni fa, nel 2012, il noto giornalista americano Robert Kaplan scriveva nel suo libro che, mentre le grandi potenze, Stati Uniti e Cina, si oppongono l’una all’altra, la situazione geopolitica dell’Eurasia nel XXI secolo sarà in gran parte determinata da quale direzione prenderà l’India.
OPINIONI

Modalità di interazione

I formati e i modi di interazione con queste due Indie sono diversi, ma richiedono tutti una flessibilità molto maggiore di quella dimostrata finora da Mosca. Nelle nuove condizioni geopolitiche, la sopravvivenza dell’economia russa dipende dal funzionamento ininterrotto delle rotte marittime e terrestri, dall’erosione del regime sanzionatorio con tutti i mezzi possibili e dal massimo sostegno ai Paesi che negli ultimi mesi sono stati definiti il “non-occidente collettivo” o la “maggioranza mondiale”, cioè coloro che occupano una posizione periferica nel sistema politico ed economico esistente e sono insoddisfatti del loro posto nel mondo.

Gli interessi di Russia e India nella dimensione politica coincidono, ma solo parzialmente. La strategia di sviluppo indiana è a lungo termine; nel suo ambito, Nuova Delhi risolve diversi compiti. I compiti principali sono garantire uno sviluppo economico stabile, raggiungere il terzo posto in termini di PIL globale e garantire l’accettazione dell’India nel circolo informale delle grandi potenze che risolvono le principali questioni mondiali. La soluzione del primo compito implica la costruzione di legami economici con gli Stati Uniti, l’Europa, l’Australia e il Giappone e l’attrazione di investimenti e tecnologie. Allo stesso tempo, per non diventare dipendente dall’Occidente, l’India cerca di espandere i legami con attori non occidentali, tra cui la Russia. La soluzione alla seconda implica regole del gioco chiare e una trasformazione graduale di un ordine mondiale generalmente stabile basato su queste regole, invece di una sua rottura decisiva.

Le azioni della Russia sulla scena mondiale rendono difficile la soluzione di questi problemi, costringendo la leadership indiana a compiere un miracoloso gioco di equilibri verbali. Da un lato, rimproverare i Paesi occidentali per la disattenzione nei confronti dei conflitti in altre regioni, dall’altro chiedere una rapida fine della crisi ucraina, poiché “non è il momento di fare guerre”.

Agli indiani non piace che Russia e Cina cerchino un riavvicinamento al Pakistan o che flirtino con Islamabad, ma soprattutto non piace l’incertezza. Nuova Delhi sarebbe felice se Mosca, dopo la fine del conflitto, spostasse la sua attenzione verso est, diventando un attore importante nella regione indiana e del Pacifico.
Tenendo conto dell’avversità idiosincratica che gli organismi di politica estera russi nutrono nei confronti dell’idea stessa di regione indo-pacifica, che tanto turba i partner indiani di Mosca, l’opzione migliore sarebbe quella di creare un nostro concetto, che enfatizzi l’interazione delle componenti terrestri, fluviali e marittime e che sia combinato con le disposizioni concettuali indiane.
Il desiderio di garantire la sicurezza delle rotte commerciali, il rifiuto di misure restrittive, il riconoscimento reciproco degli interessi nelle regioni dell’immediato vicinato e la disponibilità a una cooperazione reciprocamente vantaggiosa sull’intero spettro di questioni sono la base dell’interazione politica russo-indiana.

Per quanto riguarda la componente economica, tutto è più complicato e allo stesso tempo più facile. Per vincere la guerra delle economie, dove il nemico ha tutte le carte vincenti – da una solida quota del commercio mondiale alla stampa della valuta di riserva mondiale – abbiamo bisogno, come ci insegna la teoria militare, di una strategia asimmetrica. È inutile cercare di sfondare il muro delle sanzioni: bisogna imparare ad aggirarlo interagendo con le strutture dell’economia sommersa. Non sarà facile farlo, perché la macchina amministrativa dello Stato moderno semplicemente non è adatta a queste forme di interazione. Ma non c’è scelta: per sopravvivere nelle nuove condizioni, ha senso che la Russia cambi radicalmente la sua politica economica estera, perfezionando il meccanismo della ZES ed estendendolo a intere regioni e creando un sistema di “scatole nere” – strutture chiuse di quasi-mercato situate in parte in Russia e in parte all’estero, opache all’occhio vigile dei finanzieri e delle agenzie di intelligence occidentali e che permettono di pompare tecnologia e investimenti in Russia aggirando le sanzioni esistenti.

Naturalmente, per un Paese con un livello di centralizzazione storicamente così elevato, queste azioni non saranno indolori, ma il gioco vale la candela.

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Multipolarità regionale e multilateralismo regionale: La rinascita del mondo arabo 2.0, di Ruslan Mamedov

Multipolarità regionale e multilateralismo regionale: La rinascita del mondo arabo 2.0
18.08.2023
Ruslan Mamedov
© Reuters
La ripresa diplomatica del 2023 e il multipolarismo regionale senza un adeguato consolidamento economico (i progetti già esistono) e istituzionale degli accordi di normalizzazione rischiano di tornare al confronto armato. L’impegno per uno sviluppo regionale inclusivo e per l’uguaglianza, piuttosto che per singoli grandi attori, potrebbe essere la base di un nuovo ordine regionale, scrive Ruslan Mamedov, Senior Research Fellow, Center for the Arab and Islamic Studies, Institute of Oriental Studies of the Russian Academy of Sciences.

Le nuove condizioni globali stanno influenzando l’ordine regionale dell’Asia occidentale e del Nord Africa (WANA). L’autore di questo articolo ha già notato che, nel contesto delle trasformazioni globali, ci si aspettava il ritorno della “voce araba”. A questo proposito, le riflessioni su un mondo multipolare sollevano l’importante questione se i rappresentanti di questo nuovo mondo agiscano o meno alla pari. Sta emergendo una situazione in cui il mondo del multipolarismo è ancora il mondo dei grandi attori regionali e delle loro politiche. Multipolarità significa avere agende multiple promosse da diversi attori. L’uguaglianza, invece, potrebbe essere garantita dal multilateralismo, quando c’è un equilibrio di interessi, tradizioni, culture e diritti tra attori grandi, medi e piccoli. Ma questo stato di cose è adatto ai grandi attori? In che misura gli Stati che promuovono la retorica multilaterale sono in grado e pronti a tenere conto dei diritti dei loro vicini più piccoli? Queste questioni hanno caratteristiche proprie nella WANA.

Uno dei cambiamenti chiave nell’ordine regionale riguarda l’influenza degli attori esterni. Il declino dell’influenza statunitense si è verificato contemporaneamente al rafforzamento del ruolo degli Stati della regione. Le dinamiche regionali hanno iniziato a cambiare in relazione alle attività di una nuova generazione di leader degli Stati del Golfo, al ruolo crescente di Russia e Cina e alla trasformazione dell’ordine mondiale nel suo complesso.

Una volta l’ex presidente egiziano Anwar Sadat (1970-1981) dichiarò che “le chiavi della regione sono a Washington”. Inoltre, espulse dall’Egitto gli specialisti e i militari dell’Unione Sovietica, che avevano avviato progetti grandiosi già ai tempi del suo predecessore Gamal Abdel Nasser. È improbabile che Sadat, un leader egiziano estremamente pragmatico che ha raggiunto una pace con Israele impopolare tra il popolo egiziano, lo dica oggi. I leader regionali dettano essi stessi l’agenda. Tra questi ci sono tre attori non arabi – Iran, Turchia e Israele – con una storia di conflitti e accordi con i loro vicini arabi. Ciò che è tipico del 2023 è il miglioramento delle relazioni regionali. Israele continua a perseguire il suo processo di normalizzazione in alcune aree con il mondo arabo e la Turchia è passata dal confronto con Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti al ripristino delle relazioni.

Uno degli eventi chiave della prima metà del 2023 è stato il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran. I Paesi sono finalmente giunti alla conclusione che gli scontri aperti in varie parti del WANA e l’uso di forze per procura non sono strumenti di politica estera necessari o utili. Per l’Arabia Saudita è chiaro che i suoi grandiosi piani di sviluppo futuri non potranno essere realizzati finché il suo immediato vicinato sarà colpito da un conflitto. Stiamo parlando della zona di crisi siro-irachena a nord, della zona di crisi yemenita a sud, nonché dell’esistenza di una serie di partner instabili come l’Egitto. Allo stesso tempo, è chiaro all’Iran che l’ulteriore dispendio di risorse aggiuntive per la lotta regionale non sembra più avere un valore intrinseco. Ciò è dovuto al fatto che le risorse iraniane non sono illimitate di fronte alla pressione delle sanzioni e alla concorrenza regionale. L’agenda politica interna si basa sempre più sulla necessità di trovare risorse per lo sviluppo interno e di soddisfare le aspettative della popolazione. Riyadh e Teheran possono continuare la competizione, ma trasferendola dal piano militare a quello più responsabile – politico, diplomatico ed economico. Le relazioni con i vicini regionali restano una priorità per entrambi i Paesi.
Il ritorno della “voce araba” attraverso un portale dal mondo sotterraneo
Ruslan Mamedov
In molte regioni del mondo esistono strutture regionali il cui obiettivo è l’integrazione e l’interazione. Nel mondo arabo, tutti i progetti proposti a partire dal XX secolo sono andati in fumo prima di essere realizzati, scrive Ruslan Mamedov, responsabile dei progetti per il Medio Oriente e il Nord Africa presso il Consiglio russo per gli affari internazionali.

Per l’Arabia Saudita, questa è un’occasione per “attivare” il mondo arabo e per l’Iran – per “inserirsi” nella regione, usando la sua leva diplomatica. Naturalmente Teheran e i suoi alleati sono interessati alla ricostruzione postbellica degli Stati in crisi, ma la ricostruzione richiede finanziamenti (Teheran, Mosca e persino l’Europa non dispongono di tali fondi). In questo contesto, va notato con quale velocità sta tornando l’agenda degli Stati del Golfo e della Lega Araba. Questa organizzazione era in uno stato disperato. Negli anni 2010 è diventato evidente che la Lega Araba non aveva le risorse necessarie, o che era divisa e inutile per risolvere i principali problemi regionali. Nel 2023, nell’ambito della Lega Araba sono state prese alcune decisioni chiave, tra cui il ritorno della Siria nell’organizzazione. Per molti versi, tutta questa normalizzazione è legata alla vigorosa attività dell’Arabia Saudita, nucleo e fonte finanziaria delle strutture della Lega Araba.

La regione del Golfo

Sembra logico che le mete e gli obiettivi per lo sviluppo delle società arabe si formino in Paesi con una visione, e che l’impulso provenga da quei Paesi che dispongono delle necessarie risorse finanziarie ed economiche. In primo luogo, stiamo parlando degli Stati arabi del Golfo. A questo proposito, la qualità dei nuovi leader arabi è di fondamentale importanza. Il pragmatismo di cui sono dotati non cede il passo ad azioni esclusivamente reazionarie e tattiche. I leader arabi mantengono il pragmatismo e lo spazio per la reazione, ma ora sottolineano la combinazione del pragmatismo con la necessità di formare una visione condivisa. Ad esempio, il leader dell’Arabia Saudita, Mohamed bin Salman, vede nel Medio Oriente, secondo le sue parole, “la sua guerra” per la “Nuova Europa”.

Mashriq

Oltre ai leader degli Stati del Golfo, anche i capi dei singoli Stati del Mashriq sono impegnati nella ricerca di forme di integrazione. Esistono varie iniziative tra Egitto (che si trova all’incrocio tra Mashriq e Maghreb), Giordania, Iraq e Siria (tuttavia, le sanzioni statunitensi contro la Siria e il conflitto stesso ostacolano la sua partecipazione alle iniziative regionali). L’Iraq (in particolare Baghdad) sta vivendo un boom edilizio, il rafforzamento della statualità, nonostante il permanere di rischi legati soprattutto alle dinamiche del confronto USA-Iran e alla spaccatura delle élite intra-sciite. L’Iraq offre progetti strategici, come la famosa “strada dello sviluppo” dal Golfo alla Turchia (compresa la costruzione della ferrovia). Esiste un progetto che collegherà l’Iraq al sistema elettrico degli Stati del Golfo. Progetti simili esistono tra Egitto, Giordania e Siria. Il mondo arabo sta prestando sempre più attenzione all’energia nucleare, come dimostrano i lavori delle centrali nucleari negli Emirati Arabi Uniti, il progetto di costruzione di una centrale nucleare in Egitto, i piani dell’Arabia Saudita in questo settore (i giganti del nucleare si stanno attualmente contendendo un appalto saudita).

Maghreb

Queste tendenze potrebbero essere rilevanti per la regione del Maghreb arabo. Tuttavia, questi Stati sono in gran parte divisi: i loro legami con gli attori esterni (non sempre gli stessi) sono più forti dei legami reciproci. Oggi è chiaro che la Tunisia – nonostante abbia smesso di essere considerata una democrazia e si stia spostando sempre più verso l’autoritarismo – conta sul sostegno finanziario dell’Occidente. Ha ricevuto i prestiti necessari dalle istituzioni finanziarie occidentali, compresa l’Unione Europea. Anche il Marocco continua a muoversi sulla scia della politica estera americana, per non parlare delle tensioni tra il paese e l’Algeria su una serie di questioni, tra cui il prolungato conflitto nel Sahara occidentale. A sua volta, l’Algeria sta sviluppando attivamente una politica anti-occidentale, corteggiando Mosca e Pechino. La Libia è tornata all’ordine del giorno, ma si limita alle questioni delle esportazioni di petrolio e al ruolo di piattaforma per l’interazione (prima c’era il confronto aperto) delle forze regionali. In altre parole, le sue iniziative regionali, anche come partecipante influente, dovrebbero essere dimenticate per un po’. Una situazione simile, ma in senso negativo, caratterizza il Sudan, che è sprofondato in un conflitto. I conflitti in Sudan e in Niger potrebbero influenzare negativamente altre aree dell’Africa. L’Egitto, invece, cerca di assumere una posizione equidistante rispetto agli attori regionali e globali, riuscendovi grazie alla sua importante rilevanza logistica e regionale.

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Oggi c’è una seria richiesta di integrazione economica degli Stati arabi del Golfo, del Mashriq e del Maghreb. Ma la domanda principale lungo il percorso è: fino a che punto i leader globali e regionali sono impegnati nel multilateralismo e non nel multipolarismo? Ovviamente, se i leader globali e regionali seguono la strada del multipolarismo, questo può essere raggiunto livellando gli interessi degli Stati di piccole e medie dimensioni. Inoltre, la ripresa diplomatica del 2023 e il multipolarismo regionale senza un adeguato consolidamento economico (i progetti già esistono) e istituzionale degli accordi di normalizzazione hanno il rischio di un ritorno al confronto armato. Un impegno per uno sviluppo regionale inclusivo e per l’uguaglianza, piuttosto che per singoli grandi attori, potrebbe essere la base di un nuovo ordine regionale.

Questo è esattamente ciò che Mosca e Pechino propongono nella loro retorica sulla regione, mentre un concetto un po’ diverso – blocco, alleanza indo-araba (India, Emirati Arabi Uniti, Israele con il sostegno degli Stati Uniti, oltre ad Arabia Saudita ed Egitto, che non sono ancora inclusi nell’alleanza) è promosso da Washington. Ma l’ultima parola spetta agli attori regionali e alla sincronizzazione della loro visione del futuro con i loro vicini più piccoli.

Il Medio Oriente e il futuro del mondo policentrico
Vitaly Naumkin, Vasily Kuznetsov
Il terzo decennio del XXI secolo è iniziato con eventi estremamente drammatici. La pandemia COVID-19, il conflitto armato in Ucraina, l’inasprimento del confronto Russia-Occidente, il rapido rafforzamento del ruolo globale dei Paesi a maggioranza globale (Paesi al di fuori dell’alleanza occidentale), la crisi alimentare globale e l’aggravarsi delle minacce ambientali hanno dato impulso al lungo processo di collasso del sistema politico internazionale, lasciando in sospeso ciò che potrebbe sostituirlo.

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COMPLESSI PARTI MULTIPOLARI, di Pierluigi Fagan

COMPLESSI PARTI MULTIPOLARI. È terminato il summit dei BRICS in Sud Africa. Star dell’incontro il presidente indiano Modi. Putin era in remoto e sappiamo in quali altre faccende affaccendato, Xi ha saltato senza dare ragioni il primo incontro pubblico dei leader, Lula si è preoccupato di rilasciare dichiarazioni che spegnessero l’impeto competitivo del gruppo contro l’Occidente cui è legato anche in ragione di recenti incontri ed accordi (USA ed UE). Per dire, era stato proprio Lula che aveva annunciato nei mesi scorsi la volontà di varare la valuta alternativa al dollaro. Occorre che s’impari a leggere questa complessa trama delle nuove relazioni mondiali, a volte fai una dichiarazione prima di certi incontri per ottenere qualcosa, è “politica”.
Il vertice, come spiegato nel nostro scorso post, aveva al centro un punto, la questione dell’allargamento del gruppo ad altri partner, una ventina in esplicita richiesta di ammissione, un’altra ventina interessati a seguire. Poiché molti seguono la geopolitica come seguono il calciomercato ovvero seguendo “storie”, s’erano prematuramente eccitati immaginando roboanti annunci di valute alternative al dollaro, ma nessuno aveva anticipato tale intenzione nella preparazione del vertice, anzi era stato esplicitamente escluso da indiani e sudafricani. Prima si fanno i soggetti, poi i soggetti deliberano le proprie comuni intenzioni, semmai vi riescono.
I primi due giorni, a parole, erano tutti entusiasti ed uniti nel dichiarare la volontà di allargamento. Mercoledì notte, riuniti a specificare i dettagli, si sono incagliati su punti presentati da Modi, fresco di gloria spaziale. Come detto, Modi gioca una complessa partita in cui occorre tener conto anche del fatto che l’anno prossimo va ad elezioni per il terzo mandato, con alta frizione interna che ha portato addirittura ben 26 diversi partiti, che più eterogenei non si possono immaginare, a creare un cartello unico contro di lui sotto la bandiera del terzo Gandhi, Rahul.
La complessa partita sulla politica estera di Modi è relativa a molti punti: 1) ottenere il prestigioso seggio al Consiglio di Sicurezza (India è il più grande paese del pianeta ed è -al momento. La quinta economia, ma la quarta più o meno l’anno prossimo); 2) calibrare i delicati rapporti con la Cina, sia localmente (confini), che arealmente (Asia), che dentro i BRICS dove l’India vuole presentarsi come reale capofila dei Global South dicendo la Cina è ormai un paese non più “in via di sviluppo”. Da segnalare come il successo lunare dia all’India una immagine assai attraente dal punto di vista tecnologico, chiave importante per le ambizioni di sviluppo di terzi; 3) combattere proprio contro Cina e Russia sul senso da dare ai BRICS ovvero una unione economica e non una unione geopolitica o non del tutto. L’India, infatti, intrattiene ottime e proficue relazioni con il Giappone, l’Unione europea e soprattutto gli Stati Uniti d’America (anche militari e nel Pacifico), senza per questo trascurare la vecchia amicizia con la Russia; 4) in subordine al punto 2), una crescente attenzione all’Africa che l’India ha per il momento colonizzato con una apparentemente innocua diaspora di sarti e commercianti per la parte sudorientale. C’è anche, poco notato, un crescente problema di rapporti con certo mondo musulmano, problema etnico interno piuttosto sensibile, che però ha riflesso su i codici di fratellanza islamica che è un mondo altrettanto complesso.
Modi allora, mercoledì sera, si presenta con due nuovi criteri limite per accettare le domande di ammissione dei nuovi candidati: a) non esser sotto sanzioni; b) avere un Pil PPP di un certo livello. Entrambi, vanno in direzione di dar ai BRICS il senso di unione di cooperazione economia e meno geopolitica. Non vuole trovarsi annegato in una pletora di paesotti senza senso imbarcati da cinesi e russi solo per far “massa”, non vuole trovarsi in imbarazzo nel suo gioco su più tavoli con gli occidentali. È probabile che -in parte- avesse anche dalla sua parte il Brasile altrettanto sensibile a non urtare troppo gli occidentali. Il Sud Africa ha giocato il ruolo di mediatore, padrone di casa interessato al successo del vertice, a sua volta orientato a rappresentare gli interessi continentali. Modi, sapendolo, ha stabilito in un incontro bilaterale, che si farà promotore dell’annessione dell’Unione Africana al G20 e forse poi, nel più generale riassetto del Consiglio di Sicurezza, anche lì.
Si può immaginare come la seconda richiesta possa esser stata valutata forse contrattabile dai cinesi (i russi, in questo momento, non hanno un grande peso o meglio lo hanno comunque e per varie ragioni, ma non sono proprio nel miglior loro momento di far geopolitica), la prima no. A parte escludere a priori le candidature di Iran e Venezuela, avrebbe creato anche un imbarazzo palese con la Russia stessa e forse domani con la Cina stessa. Non solo, avrebbe dato agli americani l’arma perfetta per mettere sotto sanzioni chiunque a loro piacimento pur di interdire le politiche interne lo stesso BRICS. Era evidente Modi avesse presentato il punto per ottenere qualcos’altro, il punto non era realistico ma contrattualistico.
Com’è finita la battaglia nelle segrete stanze?
Si è deciso di non decidere i principi ma procedere pragmaticamente. Così s’è deliberata l’ammissione dell’Arabia Saudita (che per altro sta giocando una sua propria partita con Iran da una parte, Israele dall’altra e gli Stati Uniti a chiudere il quadrato, anche AS come l’India va sul multi-allineamento), l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti. Seguono Argentina (sponsorizzata da Lula) e l’Iran che alla fine Modi ha dovuto ingoiare anche perché s’era messo in imbarazzo da solo visto anche i più che ottimi rapporti bilaterali diretti. Infine, l’Etiopia leader storico del senso africano. Pare che l’Indonesia si sia chiamata fuori per il momento, ci sarà da capire meglio perché e per quanto. Quindi i BRICS passano da cinque a undici, da 01.01.24, da verificare con quali prerogative tra fondatori ed associati.
Solo dichiarazioni congiunte in favore dell’ulteriore esplorazione di una valuta comune da concordare e definire tecnicamente a seguire mentre si riafferma l’impegno a nuove cooptazioni.
Modi ha poi dovuto dichiarare di essere strafavorevole all’allargamento, ma forse sovraeccitato dalla conquista lunare, non ha calcolato che le sue uscite all’undicesima ora ieri notte, si sono sapute. Difficile rendersi credibili nella difesa di interessi terzi, quando ha dimostrato che più che altro si stava facendo i fatti propri.
Segnale finale? Da una parte la volontà strategica c’è ed è confermata, dall’altra quando si passa dalla volontà ai fatti, emerge tutta la delicata complessità di questo progetto e siamo solo alle ammissioni, poi sarà la volta delle decisioni e degli impegni fattivi. In sostanza, BRICS si avvia a diventare qualcosa che ha la forza ed in parte la debolezza dell’Unione europea, forza economica ed in parte finanziaria, geopolitica un po’ maggiore, ma da verificare caso per caso e tavolo per tavolo.
Dall’altra G7 con ancora alta forza finanziaria e geopolitica, in declino quella economica e demografica. USA/G7 potrà aggredire paese per paese la unione BRICS offrendo qualcosa in cambio di qualcos’altro. Paese per paese ci si barcamenerà tra interessi a breve ed a medio-lungo. Di fatto, come nel caso del presentarsi nel mercato di un concorrente che limita i privilegi del precedente monopolista, l’intero processo spingerà USA/G7 a doversi preoccupare della propria postura ed immagine (concreta non pubblicitaria), che però sconta decenni e secoli di protervia difficilmente cancellabili. Biden ha già annunciato importanti revisioni nella composizione dei diritti, voti e rappresentanze in World Bank e International Monetary Fund, mentre affila le armi per nuovi “divide et impera”.
Certo, da oggi è chiaro che “tutto il mondo ti osserva” e se predichi bene e razzoli male, gli spettatori diventeranno attori e non a tuo favore.
Partita lunga e complessa che però arriverà inevitabilmente ad una nuova configurazione di ordine mondiale, anzi che è già arrivata anche se molti faticano a comprenderlo, tra ironie sui “sogni di gloria alternativi” e gli eccessivi entusiasmi che non tengono contro delle tante complessità e contraddizioni di processo. Il mondo cambia, le nostre mentalità arrancano.

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I Brics e la rivoluzione finanziaria, di Domenico De Simone

I Brics e la rivoluzione finanziaria

di Domenico De Simone

La rivolta del mondo contro il dominio occidentale sta compiendo un passo decisivo proprio in questi giorni. Si tratta di oltre l’80% della popolazione del mondo, di circa il 50% del PIL del mondo, e di oltre il 73% del PPPA, ovvero del PIL Per Potere di Acquisto, che poi è il dato che conta davvero. [Un veloce esempio per chi non ricordasse la differenza tra PIL e PPPA: un operaio in Svizzera prende 3.000 franchi al mese, mentre in Italia ne guadagna 1.000 (semplifico per facilitare la comprensione dei conti). Si dirà, accidenti, gli operai in Svizzera sono ricchi tre volte quelli italiani! Il problema è che poi un caffè a Lugano costa 3 franchi e a Roma ne costa 1. E una simile proporzione esiste, ovviamente, per un largo paniere di beni necessari per vivere. In altri termini, per campare decentemente in Svizzera 3.000 franchi sono a mala pena sufficienti, così come lo sono mille franchi in Italia e 500 franchi in Bulgaria, dove la vita costa più o meno la metà di qui, oppure in Cina, dove con 500 euro al mese vivi dignitosamente. Ci sono quindi metodi di misurazione del Prodotto Interno di un paese che depurano i dati dalle distorsioni monetarie e lo ancorano all’importo effettivo necessario per vivere.

Che poi è la funzione del Prodotto Interno, ovvero la quantità di ricchezza che viene prodotta in un paese dai suoi abitanti per soddisfare le loro necessità].

L’insoddisfazione verso il sistema finanziario mondiale e le sue istituzioni era palese e diffusa ovunque nel mondo già da alcuni decenni, soprattutto a seguito delle gravi crisi finanziarie e le conseguenti ricadute economiche che hanno caratterizzato i primi venti anni di questo secolo. Ma la necessità di una rivoluzione del sistema si è manifestata con urgenza dopo l’improvvida decisione occidentale di sequestrare i fondi della Banca Centrale Russa depositati presso le istituzioni bancarie internazionali, come avvisavo in questo mio articolo del settembre scorso. La presuntuosa arroganza degli USA e dei loro lacchè occidentali di usare le istituzioni finanziarie come uno strumento politico ha scatenato il panico nei paesi non occidentali e le conseguenze si sono viste subito. A partire dal fallimento della Silicon Valley Bank, dalla quale sono stati ritirati di colpo decine di miliardi di depositi di arabi, indiani e cinesi, al fallimento di Credit Suisse, che la Banca Centrale Saudita si è rifiutata di supportare ulteriormente dopo aver ritirato decine di miliardi di depositi dalla sera alla mattina causandone il crollo per mancanza di liquidità. Due segnali precisi mandati al sistema finanziario dominante per esprimere il proprio disaccordo sulla gestione politica della finanza e congelare la situazione in attesa di sviluppi. E poi le vendite continue dei titoli del debito pubblico USA che Standard & Poor è stata costretta a declassificare dalla sua storica tripla A, a causa dei continui rialzi di interesse che il Tesoro americano è stato costretto a promuovere per vendere questi titoli nel mondo cercando di evitare la finanziarizzazione del proprio debito pubblico. I ripetuti e ridicoli inchini della Yellen davanti a Xi Ping, stigmatizzati da tutta la stampa americana, erano l’iconografia delle preghiere americane alle autorità monetarie cinesi di smettere di vendere titoli del debito pubblico USA sul mercato, in un contesto in cui anche la tradizionale idrovora degli investitori giapponesi si sta inaridendo per il recente rialzo dei tassi di interesse operato dal governo giapponese. Non ne sappiamo molto, ma pare che sia andata malissimo, visto che la Cina continua bellamente ad acquistare sul mercato meno titoli del debito Usa di quelli che vende. Persino il centenario Kissinger è volato a Pechino, dove è stato ricevuto con tutti gli onori, per cercare di perorare la causa del suo paese, ma senza molti risultati. D’altra parte, gli Usa hanno dichiarato guerra economica, con sanzioni limitazioni commerciali e attacchi palesi alle loro esportazioni, e minacciato ripetutamente guerra reale alla Cina, ed è quanto meno paradossale pretendere che poi i cinesi supportino finanziariamente la guerra contro di loro.

Che la necessità di costruire un’alternativa al dollaro e al FMI fosse diventata un’urgenza indifferibile è stato palese quando a dicembre scorso si è svolto a Riyad un vertice tra il Presidente cinese Xi Ping e i ventidue paesi della Lega Araba proprio per discutere dell’argomento e adottare provvedimenti urgenti per negoziare gli scambi non più in dollari ma in Yuan e monete arabe, in attesa di disegnare un diverso sistema di regolazione degli scambi tra i paesi. Si è trattato di un evento epocale che, ovviamente, il sistema mediatico occidentale ha completamente ignorato, manco fosse una rimpatriata tra vecchi compagni di scuola. Ne ho scritto in questo mio articolo al quale rimando per un approfondimento. Un’altra classe politica avrebbe preso molto sul serio questo vertice, e avrebbe cercato di porre qualche argine alla fuga di capitali e di risorse dall’occidente che si sta delineando nel mondo, ma a parte qualche rara voce preoccupata, l’arroganza e la stupidità dei massimi dirigenti politici del mondo occidentale ha completamente ignorato questi eventi. Della scarsa qualità delle classi politiche occidentali ne parlerò in un prossimo articolo, è un argomento sul quale è necessario riflettere seriamente poiché la cultura è l’elemento decisivo in queste situazioni di conflitto.

Arriviamo così al vertice dei BRICS in Sudafrica di questi giorni. Vertice al quale partecipano, oltre ai cinque paesi fondatori, anche un’altra cinquantina di paesi del mondo di cui alcuni hanno chiesto di aderire all’organizzazione e gli altri lo faranno a breve. Sia perché il BRICS hanno nel frattempo lanciato la loro Banca, in aperta e palese concorrenza con la Banca Mondiale, banca che in pochi mesi ha già erogato una quindicina di miliardi di dollari di finanziamenti in monete locali, sia perché sono tutti alla ricerca di un’alternativa al dominio del dollaro per le ragioni che ho ricordato sopra. L’obiettivo dell’incontro è disegnare un sistema di scambi che adotti una moneta diversa dal dollaro (così come dall’euro e dalla sterlina), promuovendo – forse – una nuova moneta e certamente un nuovo SWIFT.

Sul funzionamento del BRICS allargato, ovviamente, ci sono molte divergenze e problemi da risolvere: la proposta che sembra andare per la maggiore è di creare una nuova moneta fondata si un paniere di monete dei paesi aderenti al sistema e in qualche modo ancorata all’oro, i cui i paesi che aderiscono al BRICS sono produttori e detentori in grande quantità. Non sarebbe una grande novità il ripristino del Gold Standard, al quale dobbiamo, purtroppo, due guerre mondiali e che, temo, non risolverebbe alcun problema. Alla fine un paese dominante uscirebbe necessariamente fuori, così come gli USA vennero fuori come dominanti negli anni della grande crisi perché avevano concentrato il possesso di “tutto l’oro del mondo“.

Ma sono convinto che alla fine verranno fuori altre alternative decisamente più funzionali e praticabili. D’altra parte già una quindicina di anni fa il Governatore della Banca Centrale cinese proposte al FMI di adottare un meccanismo simile al “Bancor” proposto da Keynes a Bretton Woods e rifiutato dagli americani che, ovviamente, pretesero di imporre il dollaro come moneta di riferimento per il gold standard di allora. In questo modo “aiutarono” i paesi europei alla ricostruzione, e imposero il proprio dominio sul resto del mondo semplicemente stampando dollari. Per tornare al Governatore della Banca Centrale di Cina, si trattava di Zhou Xiaochuan, che nel marzo del 2009 scrisse un breve saggio nel quale scriveva testualmente “The desirable goal of reforming the international monetary system, therefore, is to create an international reserve currency that is disconnected from individual nations and is able to remain stable in the long run, thus removing the inherent deficiencies caused by using credit-based national currencies“, e citava esplicitamente la proposta del Bancor di Keynes “Back in the 1940s, Keynes had already proposed to introduce an international currency unit named “Bancor”, based on the value of 30 representative commodities“. Era l’indomani della crisi dei subprime americani e il mondo stava cercando in qualche modo di rimediare ai crolli finanziari che hanno devastato l’economia e la finanza di quegli anni e di quelli successivi.

Il Bancor è sostanzialmente una proposta di una moneta con un meccanismo a tasso negativo. Le monete considerate nel paniere oscillano tra di loro in funzione di diversi parametri tra cui il principale è la bilancia dei pagamenti: quando una moneta “cresce troppo” rispetto alle altre, scatta una specie di tassa, che Keynes riferiva al meccanismo a tasso negativo proposto da Gesell, che riduce il peso di quella moneta nel paniere. L’equilibrio è garantito in questo modo, senza la necessità di svalutazioni delle monete né del lavoro o dei prezzi. Se davvero la proposta è quella di creare un sistema decentralizzato senza una moneta guida, com’è stato il dollaro da Bretton Woods in poi (e dopo il 1971 il petroldollaro), alla fine questa è l’unica via per garantire un meccanismo realmente egualitario ed equilibrato che potrà indurre sviluppo e finanza alla nuova idea di globalizzazione che i paesi del resto del mondo stanno cercando di costruire.

Della necessità di introdurre il tasso negativo per sfuggire alla stretta mortale del potere finanziario ne scrivo da oltre vent’anni, e la proposta del Bancor di Keynes è un primo passo in quella direzione. Direzione che è necessaria se si vuole evitare che la situazione precipiti in un conflitto devastante per il mondo intero e che potrebbe essere l’ultimo ad essere combattuto. Speriamo che non sia troppo tardi.

https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/26200-domenico-de-simone-i-brics-e-la-rivoluzione-finanziaria.html

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Scontro di simboli, in realtà piuttosto seri, di AURELIEN

Scontro di simboli
Sono piuttosto seri, in realtà.

AURELIEN
23 AGO 2023
Vi ricordo che le versioni spagnole dei miei saggi sono ora disponibili here . e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili  here. Marco Zeloni sta pubblicando alcune traduzioni in italiano e sto discutendo la possibilità di pubblicare anche alcune traduzioni in francese. Grazie a tutti i traduttori. Passiamo ora al tema principale.

Vivere durante la Guerra Fredda non è stato privo di momenti di ansia e persino di paura: c’erano volte in cui si andava a letto chiedendosi se al mattino ci si sarebbe svegliati come un croccante radioattivo. Eppure, nonostante l’angoscia e le crisi seriali, c’era qualcosa di abbastanza confortante in quei giorni: la certezza morale con cui l’Occidente si sentiva in grado di guardare il mondo. Dopo tutto, in generale, gli standard di vita in Occidente erano più alti, c’era più libertà politica e non c’erano recinzioni che tenessero le persone dentro. (In effetti, pochi anche tra i più feroci critici della politica occidentale hanno mai pensato seriamente di andare a vivere in Unione Sovietica).

Lo stesso valeva a livello strategico. Le forze della NATO erano equipaggiate, addestrate ed esercitate per una battaglia difensiva in Germania, e di fatto non sarebbero state in grado di organizzare un’operazione aggressiva: semplicemente non esistevano le infrastrutture per permetterlo. Nel frattempo, l’Armata Rossa aveva una dottrina formale di guerra offensiva preventiva e le sue truppe erano equipaggiate e addestrate per operazioni offensive.

L’effetto di tutto ciò fu quello di scoraggiare molte speculazioni o analisi. Si presumeva non solo che l’Unione Sovietica vedesse la NATO come un’alleanza puramente difensiva, ma anche che capisse che la NATO interpretava correttamente la politica sovietica come aggressiva, e che stesse rispondendo ad essa. Perciò non so quanto spesso ho sentito o letto resoconti di politici dei Paesi della NATO che si assicuravano a vicenda che “i russi sanno che non rappresentiamo una minaccia per loro”. Alcuni di noi, all’epoca, si chiedevano se fosse così semplice, e questo è uno dei motivi per cui la maggior parte di noi non è mai andata oltre le poltrone. Sicuramente, pensavamo, bisognava tenere conto dei postumi del trauma della Seconda Guerra Mondiale, e non solo delle sofferenze, ma anche del ricordo della mancanza di preparazione dell’Armata Rossa nel 1941. Ma, come ho detto, questa non era una visione popolare all’epoca.

Quando la guerra fredda è stata bruscamente cancellata, c’è stata un’ondata di visite reciproche da parte degli staff militari e di intelligence delle due parti, e le persone che sono andate nel Patto di Varsavia sono tornate con storie quasi impossibili da credere. Sì, credevano che fossimo una minaccia. Sì, pensavano che un attacco della NATO potesse arrivare con un preavviso di appena due ore, motivo per cui gli ufficiali di stanza in Germania non potevano mai allontanarsi dalle loro unità per più di quel tempo, nemmeno in licenza, e perché c’erano hangar riscaldati pieni di carri armati riforniti di carburante e con munizioni già caricate, pronti a partire, mentre i loro equipaggi dormivano in capanne non riscaldate accanto a loro.

Man mano che i documenti diventavano disponibili dopo la caduta del Patto di Varsavia e la fine dell’Unione Sovietica, diventava chiaro che questi atteggiamenti arrivavano fino ai vertici del sistema sovietico. E quando i documenti del governo della DDR divennero disponibili dopo l’unificazione, divenne chiaro che il discorso pubblico della DDR, secondo cui il regime della Germania Ovest era solo un nazista rinato, non era solo un insulto politico, era letteralmente ciò che pensavano e la base della loro intera politica estera e di sicurezza. (Si potrebbe ragionevolmente ipotizzare che i leader coinvolti stessero compensando il fatto di non aver avuto alcun ruolo attivo nella Seconda guerra mondiale: erano nascosti a Mosca);

Eppure l’Unione Sovietica disponeva di servizi di intelligence militare altamente qualificati, e la Statsi della Germania Est si era infiltrata a fondo nel governo di Bonn, ottenendo un notevole accesso alla politica e al processo decisionale della NATO. Nessun analista serio a Mosca, con tutto questo a disposizione, poteva davvero pensare che la NATO stesse pianificando una guerra offensiva e, ovviamente, per estensione, poiché la NATO non stava pianificando una guerra offensiva, l’alleanza era del tutto incapace di immaginare che qualcuno potesse pensare che lo stesse facendo. In questo modo, la guerra fredda è stata ancora più pericolosa di quanto si potesse immaginare all’epoca. Non a causa delle frasi giornalistiche sui “dieci minuti di distanza dalla guerra nucleare” – le procedure di rilascio del nucleare non funzionano così – ma a causa della totale e catastrofica incapacità delle due parti di comprendere le motivazioni e gli obiettivi dell’altra. Sentivo allora, e sento tuttora, che le due parti sapevano tutto l’una dell’altra, tranne ciò che era veramente importante. È un peccato che questa totale incomprensione reciproca non sia mai stata molto pubblicizzata in Occidente, in quanto messa da parte dai festeggiamenti per la vittoria e dal caos generale che seguì la fine della Guerra Fredda. Del resto, non ha mai avuto grande risonanza nemmeno in Russia.

Sebbene la Guerra Fredda sia stata speciale da questo punto di vista, non è stata unica. Piuttosto, fu un esempio particolarmente grossolano di qualcosa che si riscontra a tutti i livelli, dalle relazioni personali fino alla politica internazionale: l’incapacità di accettare che un’altra persona, un organismo o un Paese possa avere le proprie ragioni per fare ciò che fa, che gli sembrano valide e che, molto spesso, può esporre in modo coerente se gli viene chiesto. Più un sistema politico è potente e radicato, più questa incapacità diventa grave e potenzialmente pericolosa. Lo vediamo attualmente in Ucraina, e tornerò sull’argomento più avanti, ma restiamo per un momento alla Guerra Fredda, perché l’esempio ha altre lezioni per noi.

Perché l’Unione Sovietica avrebbe dovuto presumere che la NATO li avrebbe attaccati, quando tutte le analisi tecniche dicevano che la NATO non aveva questa capacità? Ora, parte della ragione era ideologica: La dottrina marxista-leninista presupponeva che, nel momento in cui il trionfo mondiale del sistema comunista fosse stato imminente, gli imperialisti avrebbero lanciato una guerra totale all’ultimo respiro, volta a vanificare tale trionfo. Come sempre accade con queste dottrine, è difficile sapere quanto sia stata presa sul serio, ma la risposta sembra essere almeno ragionevolmente seria. E se si crede a una dottrina del genere, questo influenza il modo in cui si guarda al mondo e ciò che si vede in esso. Ma c’era dell’altro. Nel 1941, l’Unione Sovietica era disastrosamente impreparata alla guerra. Gli storici si stanno ancora scontrando sugli eventi del 1936-41 e sul grado di responsabilità delle purghe staliniane e, più in generale, delle politiche di Stalin per questa impreparazione. Ma l’unica lezione che tutti coloro che avevano l’età per attraversare la guerra si portarono via fu: mai più. Invece di aspettare, avrebbero colpito per primi. Invece di cercare di rimandare l’inevitabile conflitto, lo avrebbero iniziato. E nel breve termine avrebbero costruito le loro forze armate fino a raggiungere un livello di grandezza, potenza e prontezza tale che nessun aggressore le avrebbe attaccate a cuor leggero. Il pensiero che queste dimensioni e questa potenza potessero preoccupare gli altri non sembra essere entrato nei calcoli politici.

Quindi, in un senso molto reale, l’Armata Rossa del 1989 era ciò che avrebbe dovuto essere l’Armata Rossa del 1941. Simbolicamente, era un tentativo di cancellare il disastro del 1941, quasi come se non fosse mai accaduto. Il fatto che le circostanze oggettive fossero molto diverse non è stato preso in considerazione. Gli effetti di questo trauma sono visibili ancora oggi, in alcuni discorsi di Putin e nella sua dichiarazione dell’anno scorso secondo cui forse avrebbe dovuto agire più rapidamente sull’Ucraina e non cercare, come fece Stalin, una soluzione diplomatica. Naturalmente non siamo più nel 1941, come non lo eravamo durante la Guerra Fredda, ma la politica simbolica ha una sua dinamica, indipendente dal tempo e dalle circostanze.

Ironia della sorte, i responsabili delle decisioni in Occidente hanno vissuto un processo essenzialmente parallelo. Erano perseguitati non solo dalla distruzione dell’Europa tra il 1940 e il 1945, ma ancor più dalla persistente e ossessiva convinzione che in qualche modo, se solo fossero stati abbastanza intelligenti, tutto ciò avrebbe potuto essere evitato e la minaccia di Hitler affrontata in un momento precedente. In realtà, naturalmente, gli statisti degli anni Trenta avevano un problema insolubile: più di quanto lo avesse l’Unione Sovietica. La Germania era stata sconfitta nel 1918, ma la sua base industriale non era stata danneggiata, la sua popolazione era sostanzialmente superiore a quella della Francia e non c’era nulla che si potesse fare, alla fine, per impedirle di riarmarsi e di vendicarsi di Versailles. La sua economia non era appesantita dal debito, poiché, a differenza di Gran Bretagna e Francia, il suo sforzo bellico era stato finanziato da prestiti interni, che l’inflazione aveva cancellato. A un certo punto sarebbe sorto un governo che avrebbe cercato di rovesciare le limitazioni militari di Versailles e di ricostruire le proprie forze. Perciò il commento attribuito al maresciallo Foch nel 1919 – “questa non è una pace, è un armistizio per vent’anni” – sebbene perspicace, non era in realtà una conclusione così difficile da raggiungere. Come i sovietici, l’Occidente cercava di ritardare l’inevitabile: la generazione di leader nazionali degli anni Trenta aveva vissuto la guerra e quasi tutto sembrava preferibile ad altre montagne di morti. Alla fine, la Seconda guerra mondiale non era davvero evitabile, anche se è stato possibile costruire scenari elaborati in cui sarebbe stata meno probabile. Ma mentre la guerra con un altro regime tedesco avrebbe potuto arrivare più tardi, o essere meno distruttiva, una volta che i nazisti erano al potere la guerra era inevitabile e destinata a essere totale, perché l’intera dinamica del regime nazista era orientata alla guerra e la sua stessa sopravvivenza dipendeva da una serie di guerre vittoriose. In queste circostanze, la risposta britannica e francese – un programma di riarmo d’emergenza combinato con un tentativo di risolvere pacificamente le rivendicazioni territoriali della Germania dopo il 1918 – era praticamente l’unica politica disponibile.

Alla riunione di Monaco del 1938, i britannici e i francesi fecero uso della loro superiorità militare, di cui Hitler era scomodamente consapevole, per minacciare la guerra se la Germania avesse lanciato un’invasione della Cecoslovacchia. (Ma non si poté fare nulla per fermare l’assorbimento dei Sudeti, che erano stati annessi alla Cecoslovacchia nel 1919, in una tipica costruzione a puzzle delle Grandi Potenze, ironicamente per dare al nuovo Paese una frontiera difendibile. (E anche tra i più feroci critici dell’accordo di Monaco, allora come oggi, sono pochi quelli che sostengono la necessità di una guerra che devasta nuovamente l’Europa e che causa milioni di morti, per evitare che un gruppo di tedeschi si unisca a un altro.

Eppure, l’orrore e la devastazione della guerra sono stati tali che fin dall’inizio hanno scatenato una pulsione quasi nevrotica a trovare un’alternativa, qualsiasi alternativa, alle politiche che erano state effettivamente seguite negli anni Trenta. Le fantasie di guerre preventive (che si dissolvono semplicemente guardando una carta geografica) o di un’alleanza occidentale-sovietica (che richiede ai polacchi di accettare l’occupazione da parte dell’Armata Rossa) sono iniziate immediatamente, e sono continuate fino ad oggi. Se solo… qualcosa.

Ma se non si può cambiare il passato, si può almeno cercare di evitare che si ripeta e così, come per l’Unione Sovietica, l’Occidente dopo il 1945 ha cercato di cancellare la macchia del passato facendo le cose in modo diverso. Come l’Unione Sovietica temeva un’altra guerra istigata dall’Occidente, così l’Occidente ora temeva che l’Unione Sovietica avrebbe usato la debolezza europea per estendere il suo controllo territoriale, come aveva fatto la Germania negli anni Trenta. (Inutile dire che il realismo di questi timori è del tutto irrilevante se consideriamo la situazione a livello simbolico). Leggendo le memorie e i documenti dell’epoca, è sorprendente quanto le classi politiche europee fossero paralizzate dalla paura per la possibilità di una crisi di sicurezza con l’Unione Sovietica, tanto più dopo il consolidamento del potere sovietico nell’Europa orientale. Diventa quindi evidente che il Trattato di Washington del 1949 rappresentava simbolicamente l’impegno degli Stati Uniti per la sicurezza europea che negli anni Trenta non c’era mai stato e che, secondo molti, avrebbe fatto riflettere Hitler. Allo stesso modo, la costruzione dell’alleanza militare della NATO dopo il 1950 era simbolicamente il fronte militare unito contro Hitler che avrebbe evitato la sconfitta del 1940. La motivazione era la stessa dell’Unione Sovietica dopo il 1945: mai più.

Il problema, naturalmente, è che quando si applica la politica simbolica al mondo reale, si ottengono inevitabilmente risultati sbagliati e pericolosi. E quando due gruppi diversi rispondono allo stesso fallimento storico percepito da direzioni diverse, e ciascuno usa le relazioni con l’altro come meccanismo per riscrivere efficacemente il passato, beh, forse siamo stati abbastanza fortunati a non essere patatine radioattive, dopo tutto. La situazione era complicata dal fatto che nessuno dei due voleva difendere le politiche degli anni Trenta e tutti cercavano un modo per prendere le distanze dai responsabili dell’epoca. Dopo la morte di Stalin nel 1953, Kruscev, che era stato vicino al dittatore, si affannò a seguire la buona regola politica secondo cui i morti possono essere facilmente incolpati perché non possono rispondere. Le lezioni erano semplici da imparare: più armi, maggiore preparazione, maggiore diffidenza verso l’Occidente. In Occidente la situazione era più complicata, ma la narrazione dominante fu rapidamente stabilita da due uomini, Churchill e De Gaulle, che avevano ciascuno ragioni per presentarsi come voci nel deserto. L’immensamente influente storia della guerra di Churchill (di cui scrisse alcune parti) stabilì la narrazione ufficiale, di ozio e debolezza che permettevano “agli empi di riarmarsi”. Churchill avrebbe saputo che si trattava di sciocchezze – il riarmo britannico era iniziato nel 1936 e gli Spitfire e gli Hurricane del 1940 erano in fase di sviluppo da anni – ma era essenziale per l’affermazione della sua immagine di salvatore nazionale. Allo stesso modo, De Gaulle promosse l’immagine fallace di un esercito francese inadeguatamente armato e in inferiorità numerica, sopraffatto dalla Wehrmacht, ma che avrebbe comunque vinto se avesse adottato le sue proposte di guerra corazzata di massa.

Il trionfo di questi discorsi ha portato da allora a una mentalità che vede gli ultimi anni Trenta come un deposito infinito di lezioni per il futuro e di errori da evitare. Ciò ha prodotto, in particolare, una disperata ricerca di nuovi eventi e individui che potessero in qualche modo essere utilizzati come surrogati del Terzo Reich e di Hitler, indipendentemente dalla loro effettiva diversità. Nell’Europa esausta della fine degli anni Quaranta, fu facile vedere Stalin come il “nuovo Hitler” e agire di conseguenza. Ma la stessa logica fu presto applicata altrove: la guerra in Algeria, ad esempio, era il tentativo di Stalin di smembrare la Francia proprio come aveva fatto Hitler nel 1940. La spedizione di Suez fu lanciata per impedire a Nasser (il “nuovo Hitler” degli anni Cinquanta) di spargere guerra e distruzione in tutto il Nord Africa. I nuovi Hitler sono stati trovati ovunque, e Patrice Lumumba, il politico congolese, e persino Nelson Mandela, sono stati visti come gli equivalenti di Conrad Heinlein, il leader nazista nei Sudeti, che preparava la strada alla conquista sovietica dell’Africa. La guerra del Vietnam è stata notoriamente combattuta secondo questa stessa logica, ma, quindici anni dopo, le stesse argomentazioni sono state addotte per la guerra del Golfo 1.0: il presidente Bush aveva letto, come ha osservato all’epoca, libri sulla Seconda guerra mondiale. E quando suo figlio era al potere e la Guerra del Golfo 2.0 si avvicinava, l’invasione dell’Iraq poteva essere vista come la guerra preventiva che era stata sognata fin dal 1938.

Il punto, naturalmente, è che l’espiazione simbolica del passato – che è ciò di cui ci occupiamo qui – non ha un punto finale evidente. Non si può mai dire che sia finita, perché il passato è ancora passato. O, per dirla con William Faulkner: “Il passato non è morto. Non è nemmeno passato”. In questo, l’espiazione simbolica differisce dalla riconciliazione storica vera e propria, o anche dalle richieste di restituzione. Il Trattato dell’Eliseo del 1962, come la visita di Kohl/Mitterrand a Verdun nel 1984, rappresentava una risoluzione simbolica di centinaia di anni di animosità e competizione. Non era assoluta, e non poteva esserlo, ma i due eventi hanno rappresentato un riconoscimento a livello di élite che non aveva senso continuare l’inimicizia e che una qualche forma di cooperazione era essenziale. Ma l’espiazione, essendo simbolica e non limitata nel tempo e nello spazio, non può mai avere fine.

In Russia, come in Occidente, siamo ormai a diverse generazioni di distanza dagli eventi della Seconda guerra mondiale e dalle sue origini. La prima generazione, che ha vissuto la guerra, ha reagito alle proprie esperienze. La seconda generazione ha reagito piuttosto a ciò che le veniva raccontato, a ciò che era scritto nei libri di storia e al modo in cui gli eventi di quegli anni venivano confezionati e compresi. Nella terza generazione, molte di queste idee sono entrate subliminalmente nell’inconscio dei responsabili delle decisioni e sembrano rappresentare principi generali, se non proprio il “buon senso”. In Occidente, ad esempio, parlare di “resistenza all’aggressione” è ormai completamente avulso dal contesto storico in cui ha avuto origine ed è diventato una formula priva di significato, anche se continua a guidare il pensiero e la visione del mondo di chi occupa posizioni importanti. Tali idee sono diventate segni e, come tutti sappiamo, il significante non è la stessa cosa del significato.

Ora è evidente, credo, da dove derivi gran parte dell’incomprensione reciproca sull’Ucraina e perché la situazione sia così pericolosa. Sembra improbabile che Mosca si consideri letteralmente di fronte a un Quarto Reich, così come sembra improbabile che l’Occidente creda di trovarsi di fronte a un tentativo di conquista dell’intera Europa. Il problema è che siamo limitati dalla nostra conoscenza ed esperienza nei modelli concettuali che abbiamo a disposizione, e quindi spesso ci rifugiamo in modelli che almeno crediamo di capire, anche se non riflettono necessariamente la realtà degli eventi storici con precisione, per non parlare di quelli odierni. Questo per dire che una domanda tipica in una crisi non è “cosa sta succedendo qui?”, ma piuttosto “a quale esempio storico che ricordo di aver letto sembra assomigliare di più?”. Quanto più lontano è l’esempio storico reale, quanto più tenue è la nostra conoscenza di esso, tanto meno ha valore. Ma questo non ci impedisce di aggrapparci ad esso, perché ci fornisce un modo per capire ciò che vediamo, soprattutto quando abbiamo poco tempo a disposizione per decidere.

Ma è ovvio non solo che la storia non si ripete, ma che anche eventi storici solitari sono percepiti in modi diversi da attori diversi. Come ho suggerito, l’Unione Sovietica e l’Occidente hanno tratto lezioni dallo stesso insieme di eventi storici, ma le hanno applicate in modi molto diversi. Da quello che posso giudicare, i sentimenti russi nei confronti della politica occidentale in Ucraina (sempre tenendo conto della postura politica) si collocano in modo relativamente diretto nella linea di pensiero della Guerra Fredda, il che non sorprende data la centralità dell’esperienza del 1941-45 nella storia russa moderna. Ma l’Occidente ha una visione molto più confusa e frammentata di quello stesso periodo, quando nazioni diverse combattevano su fronti diversi, quando le stesse nazioni erano divise e alcune erano di fatto neutrali. La narrazione dominante del periodo è in gran parte anglosassone e francese e non può essere raccontata a nessun livello di dettaglio senza offendere qualcuno e provocare polemiche. Esiste quindi in gran parte come un insieme di vuote formule verbali (“resistere all’aggressione” e così via), che tuttavia sono state abbastanza potenti da lanciare guerre e uccidere persone.

Sembra poco probabile che l’Occidente e la Russia vedano le cose allo stesso modo, o che riconoscano la validità del punto di partenza dell’altro. Inoltre, ognuno di loro sembra condividere l’incapacità apparentemente universale di credere che l’altra parte pensi veramente quello che dice. Questo è ciò che io definisco effetto McEnroe (“non puoi fare sul serio!”) ed è probabilmente il più grande ostacolo alle relazioni sensate e produttive tra gli Stati. (Ovviamente vale anche per gli individui e i gruppi, ma questo è un altro discorso). Ci spinge a scartare con irritazione le spiegazioni più complesse a favore di quelle banali e riduttive, perché, dopo tutto, non possono essere serie. La situazione è aggravata dal fatto che molto di ciò che pensiamo dell’Altro è comunque inconscio e formulato solo a metà. I governi occidentali hanno motivazioni complicate e profonde per le loro azioni in Ucraina, comprese alcune quasi religiose, ma in generale i loro rappresentanti non hanno la cultura intellettuale per cercare di spiegarle, e forse nemmeno per capire appieno perché stanno facendo quello che fanno. Quindi, di fronte a questa inarticolazione dei leader occidentali quando cercano di rendere conto delle loro azioni, non sorprende che i critici della stessa politica occidentale, sia interna che estera, si rifugino sempre più nelle fantasie di leader europei in qualche modo teleguidati da tecniche di controllo mentale della CIA. Almeno è una spiegazione.

Non è solo l’Occidente a essere suscettibile di questi problemi – abbiamo già fatto l’esempio dell’Unione Sovietica/Russia – ma è vero che la dottrina liberista dell’Occidente lo rende particolarmente vulnerabile. Il liberalismo nega l’importanza della storia, della cultura e della tradizione e vede tutte le decisioni (comprese, implicitamente, quelle politiche) come prese per ragioni di massimizzazione dell’utilità su base puramente razionale e con informazioni perfette. Quindi l’invasione russa dell’Ucraina è stata una decisione puramente razionale, basata sulla massimizzazione dei benefici attesi, e la risposta occidentale è stata un tentativo di negarlo, massimizzando i benefici, soprattutto economici, per se stessi. Probabilmente avrete letto qualche variante o derivato di questa idea di recente, e se è quasi pietosamente inadeguata a spiegare ciò che sta accadendo, ha il pregio di essere facile da capire e da applicare. Non c’è bisogno di sapere nulla: si può semplicemente presumere che una serie di cose siano vere perché lo sono universalmente.

Questo non è un problema nuovo, ma nel complesso è un problema le cui precedenti manifestazioni non hanno avuto un grande impatto sulla vita in Occidente, o almeno sulla vita delle élite. Consideriamo ad esempio il fondamentalismo islamico. Negli ambienti elitari occidentali si dà per scontato che la religione sia una costruzione interamente sociale. Pertanto, nessuno “crede” realmente nella propria religione, ma d’altra parte dovremmo rispettare le credenze religiose dei non europei in quanto significanti culturali di gruppi sfruttati ed emarginati, o qualcosa del genere, anche se contravvengono alla legge o agli standard dei diritti umani. Va detto che questo argomento è talvolta parzialmente valido. Nei Balcani, ad esempio, le cosiddette distinzioni “religiose” sono essenzialmente sociali e politiche: in effetti i musulmani erano solo la vecchia classe dirigente. Ma l’argomentazione non è sistematicamente vera e crolla di fronte a persone la cui visione del mondo è interamente basata sulla loro religione e che agiscono come se fosse effettivamente vera. La tradizione moderna dominante dell’ecumenismo, che risale agli anni Sessanta, incorpora l’assunto opposto: le religioni non sono vere: sono sistemi etici come tutti gli altri, solo con cerimonie annesse.

Eppure la maggior parte del mondo non la pensa così, così come non la pensava la maggior parte del mondo occidentale un secolo fa. Una delle cose più difficili da spiegare per gli storici è che per gran parte della storia occidentale le persone pensavano che la loro religione fosse letteralmente vera e agivano di conseguenza. L’Impero romano perseguitava sporadicamente i cristiani perché si rifiutavano di adorare gli dei romani e quindi potevano incorrere nel loro sfavore, che a sua volta avrebbe minacciato la sicurezza dello Stato. L’osservanza religiosa era una questione di sicurezza nazionale. Le guerre religiose e le persecuzioni successive erano dovute essenzialmente al fatto che i diversi attori avevano visioni diverse della dottrina cristiana, e che avere quella sbagliata poteva mandarti all’inferno per l’eternità: così, ad esempio, l’Inquisizione e la necessità di impedire la diffusione di dottrine eretiche che avrebbero potuto mettere in pericolo le anime di milioni di persone. La nostra società moderna trova tali idee incomprensibili e quindi presume che non siano valide e che la stragrande maggioranza della razza umana abbia mentito a se stessa e agli altri per migliaia di anni. Per questo motivo, i fattori non religiosi (che, a dire il vero, esistevano anche in quantità) sono in genere considerati un aiuto per spiegare questo tipo di eventi storici.

Non sorprende quindi che nella nostra epoca iper-secolare sia difficile accettare l’idea che là fuori possano esserci persone che credono che la loro religione sia letteralmente vera e che coloro che non condividono la loro particolare interpretazione della fede siano nemici da distruggere letteralmente. Queste idee erano così lontane dalla comprensione liberale occidentale che solo i terribili eventi del 2015-16 le hanno rese note al pubblico. Anche in quel caso, l’opinione pubblica d’élite non è riuscita a farsene una ragione. Forse le nostre società erano troppo intolleranti? Forse era colpa del colonialismo occidentale (anche se l’Austria, se non ricordo male, aveva poche colonie nei Paesi musulmani). Da alcuni anni l’opinione pubblica occidentale d’élite gestisce la questione nervosamente, come una bomba a mano, sperando che sparisca, anche se il numero di aderenti all’Islam politico (l’idea che gli Stati debbano essere gestiti esclusivamente secondo il dogma islamico) continua a crescere. (Poiché non siamo in grado di comprendere la loro mentalità, non facciamo alcuno sforzo per farlo e riteniamo che ci sia qualcosa di sbagliato, da qualche parte, e che ciò che sembra accadere sia solo un miraggio di qualche tipo. Qualsiasi altra cosa richiede di modificare le nostre convinzioni su ciò che le persone possono credere e su ciò di cui possono essere capaci, e in generale non siamo preparati a farlo. Vent’anni fa, ricordo di aver visto la traduzione di un manuale di istruzioni di Al Qaeda per la costruzione di un’arma casalinga, rozza ma efficace, per la distribuzione di gas velenoso su un’ampia area per causare vittime di massa in spazi ristretti. L’arma era particolarmente consigliata per uccidere le persone in luoghi che erano focolai di peccato, dove si riunivano uomini e donne non sposati: le discoteche, ad esempio. Comprendere questo tipo di mentalità richiede un salto di comprensione di cui pochi di noi oggi sono capaci.

Né tali salti sono sempre sicuri. L’Islam politico, pur con tutti i suoi pericoli, è un corpo di pensiero coerente che risale a un secolo fa, ai primi Fratelli Musulmani in Egitto. I suoi precetti sono piaciuti agli elettori di tutto il mondo arabo e decine di migliaia di persone, non necessariamente provenienti da Paesi musulmani, sono andate a morire per esso. Esiste la terrificante possibilità, per quanto remota, che se accettiamo che fanno sul serio ed esaminiamo seriamente le loro convinzioni, potremmo scoprire che le nostre certezze iniziano a crollare. E in effetti questo è ciò che sembra essere accaduto a un certo numero di giovani europei impressionabili, cresciuti in società laiche, secondo principi liberali basati sulle tipiche assunzioni a priori di quel credo, senza che nulla sotto di loro li sostenga.

Nelle società occidentali, oggi vediamo il mondo soprattutto come una questione di Ego. Se non riesco a capire qualcosa, deve essere sbagliato. Se un evento contraddice la mia visione del mondo, non può essere vero. Se una teoria o un precetto mi angoscia, non può essere vero. La nostra società odierna opera secondo quello che io chiamo il Principio di Sherlock Holmes inverso: quando si è eliminato tutto ciò che è ideologicamente inaccettabile, ciò che rimane, per quanto stupido, deve essere la verità.

Questo tipo di pensiero è molto recente, come ci si potrebbe aspettare, e differisce, per ironia della sorte, dalle pratiche di epoche che ci piace pensare meno “tolleranti” della nostra. Per esempio, fin dalla Chiesa primitiva era comune che gli scrittori ortodossi attaccassero le scuole meno ortodosse presentando ampie citazioni delle loro opere e mostrando poi come fossero sbagliate. (Praticamente tutto ciò che sapevamo sullo gnosticismo fino a poco tempo fa proveniva dalle citazioni di autori gnostici in un libro ostile del vescovo Ireneo del II secolo). Al contrario, in questi giorni si può leggere sul Grauniad un furioso atto d’accusa contro l’opera di qualche pensatore moderno, e alla fine non si sa nulla di ciò che quel pensatore pensa veramente. È facile capire perché: il mio Ego può essere danneggiato dall’essere esposto a idee che potrei trovare scomode.

Il risultato di tutto ciò, ovviamente, è che abbiamo perso non solo la capacità di capire – che è sempre stato un problema – ma anche la volontà di farlo. Non siamo più in competizione tra di noi per sconfiggere le idee: siamo in competizione per denunciarle con più forza del prossimo, e denunciare il prossimo per non averle denunciate con la stessa forza. Ho smesso da tempo di leggere le discussioni tra sostenitori e oppositori della guerra in Ucraina, ad esempio: nessuna delle due parti è disposta ad accettare che l’altra faccia sul serio, e così il dibattito degenera rapidamente in insulti reciproci e ripetizioni infinite di posizioni approvate da ciascuna parte.

Ma i veri problemi sono a un livello superiore. Se nella nostra cultura e nella nostra vita quotidiana abbiamo rinunciato anche solo a cercare di capire perché le persone pensano e agiscono in modo diverso da noi, questo è già abbastanza negativo per la nostra cultura e la nostra società, e in definitiva è negativo per noi. Ma è molto peggio quando coloro che guidano il destino della società fanno lo stesso rifiuto. Trent’anni fa, il primo ministro britannico John Major fu (meritatamente) deriso per aver detto che sul crimine dovremmo “capire meno e condannare di più”. Al giorno d’oggi, praticamente l’intero sistema politico funziona così.

La comprensione autentica è, dopo tutto, una minaccia per il nostro Ego. Riconoscere che altre persone hanno, in tutta sincerità, opinioni che noi troviamo sbagliate, banali o addirittura disgustose, è al di là delle capacità della maggior parte di noi, perché in fin dei conti ci fa capire quanto traballanti e fragili possano essere i presupposti attraverso i quali noi stessi comprendiamo il mondo. Inoltre, riconoscere che le persone possono agire per ragioni che non comprendono appieno, o che non riescono a spiegare, richiede un salto intellettuale che non è mai stato facile e che oggi è di fatto impossibile. Ma alla fine è altrettanto importante sfatare il mito degli Stati razionali che massimizzano l’utilità quanto quello degli attori economici che massimizzano l’utilità.

Su questo si potrebbe scrivere molto di più (forse un futuro saggio?) ed è importante sottolineare quanto siano potenti paradigmi interpretativi consolidati e semidimenticati in politica, ovunque. Per fare un esempio di attualità, l’Africa è stata vista attraverso la lente della competizione tra grandi potenze per centocinquant’anni, al punto che i commentatori non riescono letteralmente a vedere gli eventi in altro modo, come accade attualmente in Niger. Allo stesso modo, poiché l’unico modello che la maggior parte delle persone conosce per uno Stato potente e presente in tutto il mondo è quello dell’Impero, questo modello viene tirato in ballo per spiegare l’attuale situazione degli Stati Uniti, anche se non è utile.

Ma è anche vero che abitudini intellettuali simili esistono anche al di fuori dell’Occidente, come saprete se avete trascorso molto tempo in parti del mondo che sono sempre state colonie e dove la storia è sempre stata imposta da estranei. Basta fare un giro nel Mediterraneo meridionale e occidentale, per esempio, o un po’ più a sud, in Africa, per trovare luoghi che sono stati colonie di un tipo o di un altro fin dai tempi dei Romani. Quando tutto nella vostra storia è stato organizzato da altri, c’è la tentazione di supporre che lo sia anche il presente, anche se l’idea non ha alcuna logica. Ricordo che una volta rimasi intrappolato in un lento ascensore con un accademico arabo che cercava disperatamente di convincermi che lo Stato Islamico (allora molto in vista) era una creazione della CIA e che, se avevo bisogno di una prova, beh, usavano Toyota Land Cruiser, prodotte, ovviamente, in America. Quando gli spiegai che questi veicoli, come molti altri, erano stati saccheggiati dalle scorte dell’esercito iracheno, sembrò sbalordito: evidentemente l’idea non gli era mai venuta in mente prima. La porta dell’ascensore si aprì prima che potesse riprendere fiato.

A volte, quando gli occidentali tornano a casa, scrivono conversazioni di questo tipo per i loro colleghi. Ma in breve tempo, se si frequentano zone del mondo in cui la cospirazione è il modo di pensare dominante, si impara a non farlo, perché nessuno vi crederà. Non c’è niente di più difficile da accettare del fatto che le stesse ansie e paure storiche, le stesse “lezioni del passato”, gli stessi modi di pensare profondamente radicati ma solo in parte consapevoli che sentiamo noi stessi, sono sentiti anche da altri, altrove, a modo loro. Siamo sicuri che non possono essere seri, e naturalmente loro sentono lo stesso nei nostri confronti.

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L’epilogo di Wagner e la rinascita dei BRICS, di SIMPLICIUS THE THINKER

Cominciamo con l’aggiornamento più grande ed epocale di tutti. Il vertice dei BRICS, che si è appena concluso, ha superato le mie aspettative. È stata annunciata l’accettazione ufficiale di 6 nuovi membri, il che significa più che raddoppiare le dimensioni attuali dei BRICS:

Iran, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Argentina, Egitto ed Etiopia. La loro adesione ufficiale inizierà il 1° gennaio 2024. I nuovi BRICS:

E sì, è stato annunciato che manterranno il nome BRICS e non aggiungeranno nuove lettere.

Vediamo i punti più importanti di questa storica espansione.

In primo luogo, questo gruppo rappresenta ora il 37% del PIL mondiale in termini di PPA. Si tenga presente che il tanto decantato G7 ha il 29,9%, in calo rispetto al 46% del 1992. E se in futuro si aggiungeranno tutti i futuri membri, si arriverà al 45%:

Pensate che non sia un problema abbastanza grande? I nuovi 11 membri dei BRICS, con le centrali energetiche di Iran, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, controllano ora anche il 54% della produzione mondiale di petrolio e il 46% della popolazione mondiale. Per non parlare del fatto che rappresenteranno 48,5 milioni di chilometri quadrati, ovvero il 36% della superficie mondiale.

Ci sono altre cose da notare. In primo luogo, hanno promesso di continuare l’espansione, in modo da prendere in considerazione un maggior numero di membri per il prossimo vertice, che dovrebbe tenersi a un anno di distanza da questo e sarà presieduto dalla Russia, e presumibilmente si svolgerà in tale Paese. Ciò significa che entro la prossima estate tutti questi numeri potrebbero addirittura aumentare drasticamente.

Inoltre, i membri dei BRICS hanno annunciato un’iniziativa per iniziare a lavorare su un sistema di pagamento e una valuta di regolamento inter-BRICS. I tempi non sono immediati, ma si spera che entro 5-10 anni ne sviluppino uno. Ma anche nel frattempo, aumenteranno le iniziative per regolare i pagamenti nelle proprie valute, allontanandosi dal dollaro. Quindi la de-dollarizzazione continuerà ad accelerare, soprattutto ora che ci sono nuovi membri a bordo. Solo che si convertiranno tra le loro valute piuttosto che usare una nuova moneta unica inter-BRICS come l’UE usa l’euro.

⚡️The Banca dei Paesi BRICS sta sviluppando una moneta digitale unica per gli Stati del gruppo, – i media, citando il capo del dipartimento di politica monetaria di Trace Finance, Evandro Casianu.Secondo lui, una moneta digitale unica del blocco è possibile se viene emessa dalla banca BRICS- Questo può accadere in 5-10 anni, l’attuazione del progetto corrispondente sarà graduale- Come risultato, una moneta unica può essere utilizzata per le transazioni commerciali.
Tuttavia, alcuni hanno notato che la nuova valuta dei BRICS non sarà come l’euro, in quanto non sarà una valuta in grado di sostituire l’uso quotidiano per la gente comune nelle strade. I paesi continueranno a utilizzare le proprie valute nei rispettivi paesi. La moneta dei BRICS servirà più che altro alle banche centrali dei Paesi per regolare gli scambi tra di loro. Quindi, da questo punto di vista, non sarà come l’UE, dove l’euro sostituisce il marco tedesco e tutto il resto.

L’articolo descrive anche la richiesta di Putin di istituire una nuova commissione per i trasporti dei BRICS, per definire tutte le nuove rotte logistiche per i membri.

“Una priorità importante per l’interazione dei BRICS è la creazione di nuove rotte di trasporto sostenibili e sicure… Riteniamo che sia giunto il momento di istituire nell’ambito dei BRICS una commissione permanente sui trasporti, che si occupi non solo del progetto Nord-Sud, ma anche, in senso più ampio, dello sviluppo della logistica e dei corridoi di trasporto”, ha dichiarato il Presidente russo Vladimir Putin, rivolgendosi alla platea del 15° vertice in collegamento video.
L’articolo spiega che, in particolare, questa commissione cercherà di garantire ai principali membri dei BRICS la capacità di aggirare corridoi strategici e punti di strozzatura come lo Stretto di Singapore, lo Stretto di Malacca, il Canale di Suez, il Bosforo, lo Stretto di Hormuz, ecc.

Come molti sanno, l’Arabia Saudita ha segnalato in precedenza che sta valutando la possibilità di consentire il commercio di petrolio in Yuan. E questo non proviene da una fonte di carta stagnola, ma dallo stesso Wallstreet Journal:

Questo molto prima che la KSA diventasse membro dei BRICS. Ora immaginate che in un futuro a medio termine i BRICS creino la loro moneta e l’Arabia Saudita abbandoni il petrodollaro. I tipi di cambiamenti globali che questo potrebbe provocare sono incalcolabili. L’intero sistema di Bretton Woods comincerebbe a disfarsi, anche se probabilmente sta già cominciando a disfarsi con questi cambiamenti epocali.

Pepe Escobar fornisce ulteriori dettagli nel suo nuovo articolo su Sputnik. Rivela che una delle “grandi difficoltà” nei negoziati a cui Putin ha fatto riferimento è che l’India voleva ammettere solo 3 nuovi membri, mentre la Cina ne voleva 10, e si è raggiunto un compromesso di 6 membri. Il fatto che la Cina sia così entusiasta dei BRICS è una buona notizia: significa che il presidente Xi è seriamente intenzionato a rovesciare il sistema di egemonia occidentale. E i 6 membri accettati sono migliori di quanto si potesse immaginare, con l’Egitto, che rappresenta la più grande economia africana in termini di PIL PPP, l’Iran e la KSA, che rappresentano un riavvicinamento storico per le due potenze del Golfo che occupano lo stesso blocco. Gli Emirati Arabi Uniti, sede di Dubai, e l’Etiopia, che si dice sia l’attuale Paese africano a più rapida crescita economica e una potenza di risorse naturali, per non parlare del fatto che è il secondo Paese africano più popoloso dopo la Nigeria. Sì, l’Etiopia è persino più popolosa dell’Egitto, con 126 milioni di abitanti.

L’Argentina è un po’ un cavallo nero. Certo, è un potente rappresentante del continente sudamericano, ma come sottolinea questo articolo, può rivelarsi un cattivo investimento. Il candidato di estrema destra Javier Milei, secondo l’autore, potrebbe vincere le elezioni presidenziali di ottobre e ha già promesso di tagliare i legami con la Cina e di riorientare l’Argentina verso l'”Occidente civilizzato”, il che significherebbe probabilmente abbandonare i BRICS.

L’autore riassume in modo appropriato i principali punti di forza e di debolezza del concetto di BRICS:

Uno dei punti di forza e di debolezza dei BRICS è che non è ideologico. La cooperazione non ideologica è una benedizione perché ha la possibilità di resistere alla prova delle elezioni, ma è una responsabilità perché significa che l’entusiasmo generale per la costruzione di un progetto a lungo termine è minore, inoltre un’elezione (o un colpo di Stato) ha anche la possibilità di rovesciare il progetto se viene eletto un estremista. In ultima analisi, ciò significa che, affinché i BRICS rimangano validi, devono produrre risultati tangibili che i politici possano mostrare al loro pubblico nazionale. Ma l’imprevedibilità e la conseguente fragilità di alcuni governi del Sud globale saranno senza dubbio una sfida perenne per i BRICS.
Queste sfide si riflettono nel fatto che molti dei Paesi BRICS si fanno portatori di iniziative culturali occidentali. Ad esempio, proprio ieri il Brasile ha approvato una legge che mette fuori legge l’omofobia, prevedendo il carcere per qualsiasi odio o “bigottismo” anti-gay.

In fin dei conti, il mondo occidentale sta cadendo. Ad esempio, la Turchia e molti altri centri di potere potrebbero essere i prossimi a far parte dei BRICS al prossimo vertice. Molti in Turchia sentono già il cambiamento:

Gli Stati Uniti creano nemici per tutti, anche per la Turchia. Ankara costretta a sopportare la guerra non dichiarata degli Stati Uniti “La Turchia si trova in uno stato di guerra non dichiarata e segreta con gli Stati Uniti, che sono diventati il suo nemico strategico. In questa situazione, non si può parlare di una nuova era nelle relazioni con gli Stati Uniti”, ha dichiarato Tamer Korkmaz, editorialista del quotidiano filogovernativo Yeni Şafak. Il motivo è che Washington sostiene fortemente il ramo siriano del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, riconosciuto come organizzazione terroristica in Turchia, e le Unità di Protezione del Popolo (YPG) curde. Le forze armate statunitensi conducono esercitazioni regolari con loro e le preparano.
E l’Occidente è già in collera. Ecco il “Presidente del Comitato europeo per l’allargamento della NATO” Gunther Fehlinger che minaccia il Brasile:

Infine, affrontiamo la critica più volte emersa secondo cui i BRICS sarebbero un’organizzazione segretamente “globalista” perché “nata da un’idea di Goldman Sachs”. È un’assurdità. Nel 2001, un dipendente di Goldman Sachs di nome Jim O’Neill scrisse un documento interno in cui affermava che Brasile, Russia, India e Cina stavano iniziando a esercitare il loro potere sulla scena mondiale e che avrebbero dovuto essere ammessi al G7 al più presto. Questo suggerimento politico sembrava derivare dalla trepidazione che, se l’Occidente non avesse preso questi Paesi sotto la propria ala, avrebbe permesso loro di formare un proprio blocco che avrebbe finito per essere la rovina dell’Occidente (che profezia).

Nel documento li chiamava BRIC, ma questo non aveva alcun collegamento dimostrabile con la fondazione dei BRICS, avvenuta 5 anni dopo. Il nome abbreviato di BRICS potrebbe aver preso piede e i Paesi potrebbero averlo usato per convenienza o semplicemente perché non c’era nient’altro da chiamare in modo logico, dal momento che prendere la lettera di ciascun Paese ha un senso diretto. Il punto è che Goldman Sachs non ha avuto nulla a che fare con l’effettiva fondazione dei BRICS, né ha alcun legame con essi. Uno dei loro consulenti politici ha semplicemente fatto due più due e ha coniato il termine BRICS in un documento interno, tutto qui. Ecco uno screenshot del rapporto del 2001 come prova:

Per inciso, Jim O’Neill ha rilasciato giorni fa una nuova intervista al Financial Times in cui ha definito “assurda” l’idea dei BRICS di creare una moneta comune e ha affermato che le tensioni tra India e Cina probabilmente la impediranno. Anche se ha ammonito che se dovessero trovare un modo per riconciliare i loro problemi e creare effettivamente una moneta comune, allora sarebbe la fine del dollaro. O’Neill lavora ora per il thinktank Chatham House nel Regno Unito.

Quindi, definire i BRICS una creazione di Goldman è come credere alla fantasia di Klaus Schwab sul fatto che Putin sia un “giovane leader globale”.

Per farla breve:

Tra l’altro, ironia della sorte, il brasiliano Lula è l’unico presidente attuale associato alla fondazione dei BRICS. Era presidente del Brasile durante il primo vertice dei BRICS in Russia nel 2009, che ha inaugurato il gruppo, mentre nemmeno Putin era presidente, avendo assunto il ruolo all’epoca. La Cina era allora guidata da Hu Jintao e l’India da Singh. Ora Lula è tornato e presiede la prima grande espansione dei BRICS da allora.

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Passiamo ad alcuni aggiornamenti sul campo di battaglia.

Ieri l’Ucraina ha lanciato un nuovo grande tentativo di spinta su Rabotino, che alcuni hanno definito la terza fase dell’offensiva. Alcune fonti hanno affermato che oltre 83 veicoli blindati erano coinvolti in un’enorme colonna, ma non ci sono state conferme precise. Sono appena state pubblicate alcune nuove foto dei cimiteri di blindati della spinta, oltre a conferme di nuovi Stryker distrutti e di altri veicoli:

Si spinsero fino a Rabotino e alla fine lo fecero abbandonare alle forze russe. Tuttavia, in seguito la Russia ne ha ripreso una parte con un piccolo contrattacco. Al momento in cui scriviamo, alcune fonti sostengono che la Russia sia presente a sud dell’insediamento, ma non è certo. Infatti, il canale DontStopWar associato a un’unità militare russa sembra affermare che l’AFU non ha ancora catturato la parte nord di Rabotino:

Ecco una mappa utile che mostra il precedente controllo della Russia prima che iniziassero le controffensive a giugno (linea bianca). La linea viola mostra quanto l’Ucraina si sia allontanata dal lato occidentale.

Qui si può vedere che la famigerata “linea di difesa Surovikin” principale della Russia inizia molto più vicino rispetto alla sporgenza di Vremevske, a est. Ciò significa che l’Ucraina è molto vicina ad essa vicino alla città di Verbove. Tuttavia, qui la Russia ha molti più strati della linea Surovikin, mentre a est, sotto Staromayorsk, la linea può iniziare molto più a sud, ma c’è un minor numero di strati echelon.

Una visione più ampia:

In precedenza era stato dichiarato che l’obiettivo principale della controffensiva era stato ridimensionato alla semplice presa di Tokmak, piuttosto che agli obiettivi irrealistici di catturare la Crimea, Mariupol o persino Melitopol. Se riusciranno a prendere Tokmak saranno contenti e lo considereranno un grande successo.

Pertanto, alcune fonti hanno sostenuto che la nuova grande avanzata sarebbe stata un “pugno di armature” finale per sfondare la prima linea e scendere verso Tokmak. Non è probabile che si verifichi nessuna delle due cose. Soprattutto la cattura di Tokmak, che a questo punto è assurda.

Ma non temete: i pensatori militari occidentali sostengono che non è tutto così terribile come sembra.

Ma possono già coprire tutto questo territorio con i loro famosi JDAM, Storm Shadows, GLSDB, ecc. A cosa servirebbe mettere tutto questo nel raggio d’azione degli HIMAR? Non è che gli HIMAR possano colpire bersagli in movimento, quindi avere un’autostrada nel loro raggio d’azione non serve a molto.

Per la cronaca, ecco un post di un’unità AFU per vedere la loro versione degli aggiornamenti sulle attuali ostilità intorno a Rabotino:

Buongiorno, cari amici! Buone notizie a voi.⚔️ Combattimenti alla periferia sud di Rabotino. In alcuni punti i ragazzi si sono spinti fino a Novoprokopivka.⚔️ Le forze armate ucraine hanno iniziato a muoversi verso Kopanya da Robotyne. Si tratta di un contrattacco per evitare di colpirci sul fianco. Nessun progresso finora. Combattimenti feroci. Ma poi gli orchi si sono innervositi…⚔️ Verbove – avanzamento e anche contrattacco per evitare un colpo al nostro fianco.⏳ Nesterianka – Nessun avanzamento profondo finora, ma l’area è molto interessante….📍 Ora tutte le battaglie principali si stanno svolgendo nel triangolo Robotyno-Novoprokopivka-Verbove – il destino della direzione Tokmak si decide qui. Il nemico, come noi, ha gettato qui tutto quello che poteva: fanteria, paracadutisti, marines, prigionieri, ecc. Per gli orchi è molto più facile: hanno scavato nel terreno, nelle linee difensive costruite in precedenza. È questo che rende difficile muoversi in direzione di Novoprokopivka – Verbove. Gli aerei degli orchi continuano a operare, ma sta diventando una routine. Ci sono nuovi campi minati, apparentemente allestiti dagli orchi di recente e in modo frettoloso, casuale. Stiamo lavorando, i vostri.
Si continua a vociferare di nuove mobilitazioni di massa dall’Ucraina per questo autunno-inverno.

🇷🇺⚔️🇺🇦 Yuri Podolyaka (analista russo) sullo stato delle Forze armate ucraine:💬 “Sono tornato dalla prima linea di combattimento, ho parlato con i ragazzi che hanno catturato i soldati delle Forze armate ucraine nel settore meridionale. Ci sono cambiamenti evidenti: ora si arrendono spesso anche quando potrebbero ancora combattere. C’è stato un cambiamento psicologico tra i soldati ucraini, e un numero sempre maggiore di loro non vuole davvero finire in questo massacro. Il regime di Kiev deve capire che da qui in poi le cose non potranno che peggiorare.➡️The punto di svolta è avvenuto a giugno-luglio, quando i soldati ucraini hanno cominciato a capire che era la fine. I russi non si sono ritirati. Ricorda il punto critico affrontato dall’esercito tedesco a Stalingrado.➡️A nuova ondata di mobilitazione in Ucraina dovrà probabilmente affrontare una resistenza molto maggiore da parte della società. Anche se si potrebbero reclutare 200.000-300.000 persone entro sei mesi, grazie all’innalzamento dell’età, all’annullamento delle precedenti condizioni di rinvio e ad altre misure. Ma la qualità di questo contingente sarà molto bassa. I migliori stanno attualmente morendo sui campi di battaglia”.
Il video di cui sopra:

Zelensky sembrava inscenare una domanda in una conferenza stampa di due giorni fa, per iniziare a condizionare la società all’inevitabilità di una nuova mobilitazione di massa:

Nel frattempo, Reznikov, che si dice si dimetterà presto, ha detto agli ucraini che quando vedono un soldato per strada, devono aspettarsi di sostituirlo presto sul campo di battaglia:

Nel frattempo, anche il MSM sta dando lentamente la notizia alla società:

Si noti la lenta discesa: qualche mese fa era “l’Ucraina sta finendo le munizioni”, ora è diventata “l’Ucraina sta finendo gli uomini”.

Il problema è che alcune fonti, come la seguente, riportano che l’Ucraina ha bisogno di mobilitare 10 mila persone al mese solo per tenere il passo con le perdite:

L’Ucraina deve mobilitare 10 mila persone al mese per poter tenere il fronte “Per compensare le perdite (morti e feriti), così come per sostituire i militari congedati dal servizio per motivi di salute, età e circostanze familiari, è necessario richiamare circa 10 mila persone nelle Forze di Difesa ogni mese, senza tenere conto della creazione di nuove unità o dell’addestramento delle riserve”, riferisce una fonte dello Stato Maggiore dell’AFU.
Quindi, per mantenere questo ritmo e aggiungere un numero di nuove reclute sufficiente a portare il numero a ~200-300k sarebbe un compito monumentale che probabilmente non è possibile.

Gleb Bazov di Slavyangrad sostiene addirittura la seguente situazione disastrosa:

Fonti che monitorano il movimento delle riserve militari strategiche ucraine riferiscono la loro assenza dalle precedenti posizioni di schieramento. Ciò significa che l’Ucraina ha quasi prosciugato/esaurito tutte le risorse di manodopera e di equipaggiamento militare attualmente disponibili, inviandole al fronte. Questo corrobora la nostra precedente proiezione secondo cui la controparte ucraina ha raggiunto il picco e dovrebbe esaurirsi completamente a settembre, probabilmente entro la metà o l’inizio dell’ultimo terzo del mese.
L’aspetto interessante è che altri titoli hanno recentemente rivelato come la leadership statunitense si stia scontrando con quella dell’AFU per quanto riguarda la distribuzione delle forze. In particolare, i vertici occidentali vogliono che l’Ucraina vada “all in” nella direzione meridionale, mentre ritengono che il versamento di riserve da parte dell’Ucraina a Bakhmut e al fronte settentrionale di Kharkov sia uno spreco e una dissipazione.

L’ultimo articolo del NYTimes approfondisce questo aspetto:

Così come Wallstreet Journal:

Dal NYT:

La strenua controffensiva dell’Ucraina sta lottando per sfondare le difese russe trincerate, in gran parte perché ha troppe truppe, comprese alcune delle sue migliori unità da combattimento, nei posti sbagliati, dicono funzionari americani e occidentali.
L’articolo fa altre ammissioni:

Le critiche dei funzionari americani alla controffensiva dell’Ucraina sono spesso proiettate attraverso la lente di una generazione di ufficiali militari che non hanno mai sperimentato una guerra di questa portata e intensità. Inoltre, la dottrina bellica americana non è mai stata messa alla prova in un ambiente come quello ucraino, in cui la guerra elettronica russa blocca le comunicazioni e il GPS e nessuna delle due forze armate è stata in grado di raggiungere la superiorità aerea.
Inoltre, Arestovich ha dichiarato che all’Ucraina restano probabilmente 4-6 settimane prima che le piogge prendano il sopravvento e le operazioni debbano essere messe in pausa.

Ora, Arestovich ha sottolineato questa frattura, affermando candidamente che anche lui non riesce a vedere la logica dell’infinito rafforzamento di Bakhmut:

Il generale Zaluzhny giorni fa ha risposto indirettamente a tutte queste lamentele sottolineando che l’Ucraina perderebbe territorio in quelle regioni se togliesse loro uomini a sud. Certamente a Kharkov lo farebbero, dove la Russia sta effettivamente conducendo operazioni di assalto. Ma a Bakhmut, mi sembra che la disposizione delle forze russe non sia quella di squadre pesanti d’assalto, ma piuttosto di forze difensive del 3° corpo d’armata. Se l’Ucraina dovesse allentare la presa su quel fronte, dubito che le forze russe si spingeranno in avanti con entusiasmo, ma piuttosto continueranno a trincerarsi in forti linee difensive. Questa supposizione è stata dimostrata giorni fa, quando ho postato un video dell’unica grande disfatta della Russia negli ultimi tempi. Si è verificato nei pressi di Klescheyevka proprio da parte di quelle forze che hanno cercato di passare a operazioni offensive per espandere la loro zona per avere un po’ più di respiro. Non sembravano preparate per questo assalto, poiché sono state brutalmente respinte con un’intera colonna corazzata distrutta in un modo che ricordava i precedenti fallimenti di Ugledar. Nel frattempo le truppe nella regione di Kharov continuano ad avanzare e ad assaltare quotidianamente.

Ma questo sembra rivelare una strana ossessione ideologica per Bakhmut: in qualche modo, quella particolare città è personale per la leadership ucraina. Possiamo fare delle ipotesi sul perché: la ragione più immediata è che forse è lì che hanno versato più sangue e hanno affrontato la loro più grande umiliazione in molti modi. Più probabilmente, come ho scritto l’ultima volta, lì hanno sentito odore di debolezza. Syrsky ha dichiarato, nel famigerato video che ho postato una volta, che ora che Wagner se n’era andato, non c’era più nulla di “spaventoso” a Bakhmut – un fragile tentativo di sollevare il morale delle sue truppe.

Ora – forse per coprire il proprio bisogno di uomini – l’Ucraina sta diffondendo nuove notizie secondo cui la Russia stessa starebbe pianificando una grande mobilitazione per il prossimo autunno:

Il capo dei servizi segreti ucraini Kirill Budanov assicura che la Russia sta continuando la mobilitazione nascosta dallo scorso autunno e sta ora considerando la possibilità di arruolare ulteriormente 450 mila persone. Secondo lui, la mobilitazione nascosta mensile fornisce alle truppe un rifornimento di 20-22 mila persone.
L’aspetto interessante è che egli conferma la “mobilitazione nascosta”, che ormai non è più così nascosta, dato che i funzionari russi hanno continuamente aggiornato i numeri. Egli afferma che ci sono 20-22 mila nuove truppe al mese, e questa era la cifra della Russia a partire da giugno o prima. Ora Medvedev/Shoigu riferiscono di 40.000 nuove adesioni al mese, se ricordate. Ma questo non è né qui né là; la cosa importante è che anche l’Ucraina lo sta riconoscendo, il che significa che non c’è più spazio per i propagandisti e gli schizopatrioti per affermare che “Putin e Shoigu sono corrotti” e stanno deliberatamente gettando l’operazione perché si rifiutano di mobilitare più uomini. Che siano 20k o 40k, questa somma mensile rappresenta circa 250-500k nuovi uomini all’anno nell’arruolamento ombra. Ma naturalmente non è mai abbastanza, gli schizopatrioti sostengono che solo 2-3 milioni di nuovi uomini sono sufficienti e che tutti i cittadini russi devono essere indentrati come schiavi per lavorare in turni di 18 ore per costruire 5000 carri armati al mese.

Questo ci dà una prospettiva approssimativa per i prossimi 6 mesi, fino alla prossima primavera. L’Ucraina cercherà probabilmente di mobilitare disperatamente il maggior numero possibile di nuovi uomini durante l’inverno, per prepararsi alle grandi operazioni russe della primavera 2024 di cui tutti parlano. Ma c’è un piccolo intoppo in questo piano. L’articolo del WSJ pubblicato in precedenza ha generato un tale scalpore che RT ne ha persino dato il titolo:

In particolare, un ex funzionario statunitense ha detto loro che i finanziamenti saranno ridotti l’anno prossimo e che la “montagna di acciaio” necessaria per riequipaggiare l’AFU semplicemente “non esiste”:

A questo proposito, è interessante notare come molti filo-ucraini dubitino di quanto la Russia abbia distrutto della forza aerea ucraina. Per esempio, l’infame lista di Oryx, sottovalutata, conta solo poche decine di velivoli (mentre la Russia ne rivendica centinaia). Ora, il portavoce dell’aeronautica ucraina Yuri Ignat ha dichiarato apertamente che l’Ucraina ha bisogno di ben 128 jet da combattimento per “sostituire la vecchia flotta”.

L’ultima parte è fondamentale: sta chiaramente ammettendo di aver perso almeno 128 aerei da combattimento che devono essere sostituiti. Utilizzando le risibili cifre di Oryx, ecco cosa l’Economist ritiene che l’Ucraina abbia perso:

Se ne avessero persi solo 60, il loro portavoce avrebbe detto che ne servono ~130 per rifornire la flotta? Detto questo, le cifre ufficiali della Russia indicano quasi 500 aerei, anche se è difficile conoscere la loro metodologia di conteggio e se forse includono qualcosa di cui non siamo a conoscenza:

Ad esempio, è probabile che i russi includano tutti gli aerei in disuso o in disuso che hanno distrutto a terra, che si dice siano molti (tra cui tonnellate di aerei da trasporto e vecchi biplani sovietici come gli AN-2, ecc. Senza contare che una parte potrebbe essere un doppio conteggio, in quanto la Russia potrebbe averne “danneggiati” molti che sono stati successivamente riparati e poi colpiti/distrutti di nuovo in un secondo momento, il che apparirebbe come due aerei separati nei conteggi russi.

Tornando al futuro prossimo. Un ultimo problema importante è che i funzionari ucraini prevedono un inverno molto rigido:

💡🐽⬛️ Potrebbe mancare la luce a Lviv per un massimo di 2 mesi – Sindaco Sadovaya “Dobbiamo prepararci a una situazione in cui Lviv potrebbe rimanere un mese o anche due senza alimentazione elettrica. Quando ci sarà una situazione difficile, la richiesta sarà doppia per rifornire i generatori e trasportare l’acqua. Dobbiamo prepararci a periodi molto difficili”, ha detto il sindaco durante una riunione del consiglio comunale.
Lo scorso inverno, quando la Russia ha condotto la sua vasta campagna di scioperi delle infrastrutture, molti ritenevano che fosse per lo più vana, dato che l’Ucraina è riuscita a riparare gran parte della sua rete energetica, in particolare per la percezione che la Russia stesse colpendo solo i trasformatori piuttosto che le sale macchine delle centrali elettriche stesse. Tuttavia, recentemente ho visto alcune possibili informazioni che dimostrano il contrario, come un rapporto che afferma che solo una piccola parte dell’infrastruttura è stata riparata. All’inizio di quest’anno l’Ucraina si vantava di avere ancora un “surplus energetico”, ma i commentatori hanno notato che gran parte di questo era probabilmente un effetto dell’esodo di milioni di persone, che ha causato un’enorme perdita netta di energia nelle grandi città.

In ogni caso, da parte russa continuano ad arrivare notizie di grandi progetti. Ad esempio, il governatore di Zaporozhye dopo il suo recente incontro con Putin:

Balitsky, dopo il colloquio con Putin, ha annunciato “molte cose interessanti” sui fronti SMO in autunno. Secondo lui, il presidente russo ha confermato la sua tesi: Non abbiamo ancora iniziato nulla.
L’unica domanda che rimane è: la Russia “inizierà qualcosa” di importante questo autunno/inverno o aspetterà la primavera? Da un lato sono favorevole alla primavera, perché al momento non c’è fretta e la Russia sta ancora accumulando depositi e scorte di munizioni in eccesso per un’offensiva.

Tuttavia, è chiaro che c’è anche una grande possibilità strategica nel lanciare un’offensiva nel momento di massimo esaurimento e cedimento dell’AFU, che sarebbe questo autunno. Aspettare la primavera potrebbe consentire loro di iniziare le mobilitazioni di massa per ricostituire le forze. Probabilmente, divideranno la differenza. Quest’autunno/inverno lanceranno piccole offensive localizzate per sfruttare esattamente i punti in cui le brigate AFU più malconce sono in procinto di essere ritirate e sostituite, mentre la prossima primavera potrebbe portare qualcosa di molto più grande e unificato.

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Passiamo ora alla saga di Prigozhin/Wagner per aggiornare alcune cose su questo fronte.

Innanzitutto, lasciamo perdere il video di condoglianze di Putin:

Degno di nota è il fatto che Putin non ha detto il tipo di cose che personalmente mi sarei aspettato, in circostanze normali. Ci si aspetta dichiarazioni come: “Setacceremo la terra, non lasceremo nulla di intentato finché non avremo preso il responsabile di tutto questo. Il codardo/cravattino/cattivo che ha commesso questo vile atto terroristico sarà consegnato alla giustizia, ecc.”.

Non è stato detto nulla di tutto ciò. Invece, un elogio funebre molto riservato e di maniera, carico di simbolismo. Prigozhin era un “uomo difficile” che “ha commesso degli errori”, ecc. Personalmente, è esattamente il tipo di elogio funebre, breve e prudente, che mi sarei aspettato se Prigozhin fosse stato effettivamente “messo al pascolo” dai servizi di sicurezza.

Detto questo, non c’è ancora una vera e propria conferma o identificazione al 100% dei corpi. I corpi sono stati trasportati a Mosca per l’analisi del DNA, il che ha spinto molte persone a formulare la teoria che Prigozhin sia ancora vivo. Certo, l’unica teoria a cui potrei dare credito è che, per esempio, qualche forza esterna ostile come l’SBU abbia cercato di assassinare Prigozhin, ma abbia fallito (facendo esplodere l’aereo sbagliato). Allora, se Putin era interessato a “proteggere” la sua importante risorsa, potrebbe aver incaricato i servizi del Paese di coprire la morte di Prigozhin, per permettergli di esistere nell’ombra in modo che gli assassini non possano prenderlo.

Ma questo sarebbe probabilmente assurdo, perché Prigozhin dovrebbe comunque riapparire a un certo punto del futuro per condurre i suoi affari, e quindi l’ipotetica minaccia su di lui continuerebbe.

Per ora, quello che sappiamo è che Putin ha improvvisamente emesso un nuovo decreto che obbliga tutte le forze di tipo paramilitare, come i volontari e le PMC, a “prestare giuramento di fedeltà” alla Russia:

Questo sembra essere diverso dalla precedente sentenza legale che obbligava i combattenti Wagner a firmare un contratto con lo Stato russo. Si tratta piuttosto di un test di lealtà, con un tempismo particolare in quanto sembra chiaramente finalizzato a eliminare i combattenti Wagner che potrebbero mettere in dubbio la loro lealtà dopo la morte dei loro leader.

Ci sono stati anche alcuni nuovi aggiornamenti interessanti. Per esempio, l’informazione che il generale russo Yunus-bek Yevkurov si è recato in Libia e in Siria poco prima della morte di Prigozhin per negoziare:

I negoziati non riguardavano solo la cooperazione e la lotta al terrorismo. Come risulta, Yunus-bek Yevkurov ha tenuto incontri con i vertici di questi Paesi e ha insistito sulla chiusura di tutti i progetti commerciali di supporto a Wagner e sul ritiro dei contingenti della PMC. La cosa più importante è che la decisione doveva essere presa autonomamente dai governi della Siria e della Libia occidentale per sviare la negatività della leadership russa.
Tutto, a parte il viaggio, non è confermato, ma lo si può dedurre; dopo tutto, per cos’altro si sarebbe recato lì?

Quindi, da un lato, il governo russo ha cercato di negoziare con il PMC Wagner e di farlo concentrare principalmente sull’Africa. Dall’altro, il Ministero della Difesa ha cercato di convincere la Libia a diminuire la presenza delle forze di Wagner. Continua:

⚡️🇷🇺🌍Esclusivo: La rotazione di Wagner in Africa e il dialogo con il governo russoLe nostre fonti ci hanno raccontato fatti interessanti riguardo ai negoziati tra la PMC di Wagner e il governo russo che riguardano l’Africa e la presenza di Wagner in loco.A quanto pare, proprio il giorno prima che l’aereo su cui il capo della PMC, Yevgeny Prigozhin, si sarebbe recato a Mosca, precipitasse, è stato raggiunto un accordo con una delle agenzie di sicurezza della Federazione Russa.Wagner avrebbe dovuto tornare in parte in Ucraina e intensificare ancora di più le sue attività nel continente africano. L’idea russa era quindi quella di aumentare la presenza della PMC in Africa e, seguendo l’idea della separazione dei compiti tra Wagner e il Ministero della Difesa, fare del gruppo uno dei principali attori militari russi nel continente.Questo accordo è stato fatto per separare il Ministero della Difesa russo e Wagner, in modo da farli concentrare su direzioni e compiti diversi nell’interesse della Federazione Russa e assicurarsi che non si sovrappongano l’uno all’altro, al fine di prevenire un altro conflitto e “ammutinamento”.
Prendetelo con le molle, perché anche in questo caso proviene dalla propaganda anti-russa della VChk-OGPU. Tuttavia, lo pubblico perché segue la logica, in una certa misura.

La tesi sembra essere che il piano – presumibilmente guidato da Shoigu – per disarmare e indebolire definitivamente la Wagner sia stato quello di fare un accordo per far sì che la Wagner mettesse tutte le sue risorse, la sua attenzione e i suoi sforzi sull’Africa, mentre contemporaneamente diceva tranquillamente ai leader africani di iniziare a rescindere i contratti della Wagner, presumibilmente sostituendoli con le altre nuove PMC del MOD russo.

Come ho detto, il fatto che la delegazione militare russa sia arrivata in Libia letteralmente un giorno o due prima della morte di Prigozhin sembra supportare questa direzione di pensiero.

Per non parlare del fatto che si trattava della prima delegazione militare ufficiale russa nello Stato nordafricano, guidata nientemeno che dal vice ministro della Difesa russo. L’obiettivo dichiarato era la cooperazione contro il terrorismo internazionale, che era esattamente la ragion d’essere di Wagner in Libia, quindi è chiaro che la teoria è valida.

La vasta concatenazione di eventi sembra implicare un’operazione orchestrata per decapitare Wagner e “ridimensionarlo”.

Tra l’altro, è interessante notare che gli Stati Uniti, come sempre, sembrano avere un occhio di riguardo per questi eventi. Nel mio ultimo rapporto ho dimenticato di menzionare il fatto che il Dipartimento di Stato americano ha curiosamente emesso un avviso immediato per i cittadini statunitensi di lasciare la Bielorussia. Si noti la data e l’ora:

Avevano previsto qualche problema con Wagner?

E perché la Bielorussia e non un avvertimento di lasciare la Russia? Probabilmente perché hanno già avvertito tutti di lasciare la Russia molto tempo fa e molte volte.

A questo proposito, alcuni osservatori hanno affermato che la base bielorussa di Wagner aveva già iniziato a svuotarsi rapidamente. A sinistra il 1° agosto, a destra il 23 agosto:

In Bielorussia, mostrano il campo della PMC di Wagner, dove sono già state smantellate 101 delle 273 tende residenziali. Le tende sono state rimosse dall’inizio di questo mese.

La foto mostra un confronto della vista generale del campo. A sinistra c’è il fotogramma del 1° agosto, a destra quello del 23 agosto 2023.
D’altra parte, Lukashenko ha smentito le voci di cui sopra e ha detto quanto segue sul destino di Wagner in Bielorussia e altrove:

“Wagner è vissuto, Wagner vive e Wagner vivrà in Bielorussia, per quanto alcuni non lo vogliano. Con Prigozhin abbiamo costruito un sistema per far sì che Wagner si trovi qui. E queste immagini dallo spazio, che indicano che stiamo smantellando qualcosa… Perché stiamo rimuovendo altre tende – non ne abbiamo bisogno di così tante. Qui c’è ancora un nucleo, qualcuno è andato in vacanza, qualcuno ha deciso di vivere in disparte, ma i telefoni, gli indirizzi, le password e gli indirizzi di questo nucleo sono noti. Entro pochi giorni saranno tutti qui, fino a 10.000 persone. Non c’è bisogno di tenerli qui ora. Quindi non stanno scappando da nessuna parte. Finché avremo bisogno di questa unità, vivranno e lavoreranno con noi” – Lukashenko
Un alto comandante della Wagner ha fatto eco a queste parole:

Il comandante del Gruppo Wagner, Alexander Kuznetsov, meglio conosciuto come Ratibor, ha rilasciato una dichiarazione:
“Non andremo da nessuna parte, non abbandoneremo nessuno e proteggeremo il popolo russo fino all’ultimo”. Evgeny Viktorovich era mio compagno e amico intimo, ci ha lasciato in eredità le istruzioni su cosa fare se lui non ci fosse più: ci sarebbe stata una parata di giustizia”. Le istruzioni e le ultime parole di Prigozhin, che ha lasciato in eredità al popolo russo, le ho pubblicate sul mio canale, lui amava la Russia…”.
L’ultima cosa che volevo dire sull’argomento è una cosa che avevo quasi dimenticato di Prigozhin nel mio quasi-omaggio dell’ultimo rapporto.

Se è vero che Prigozhin era un uomo “complicato” e dinamico, in realtà ci ha stuzzicato e sedotto con la sua arguzia, il suo umorismo da forca e il suo carisma, facendoci ignorare le sue numerose trasgressioni più oscure, tanto che ho quasi dimenticato alcune di esse.

Sfruttando il suo fascino, ha incorniciato le sue numerose lamentele egoistiche con alcune obiezioni genuine, a metà strada tra i cliché noti sui problemi delle munizioni, ecc. Ma alcuni dimenticano che ha anche vomitato una retorica incredibilmente traditrice e pericolosa, inframmezzandola a queste lamentele “genuine”.

Per esempio, chi si ricorda di quando sosteneva che l’intero SMO era fraudolento e non aveva alcuna giustificazione legale, morale o di diritto?

Sì, ha effettivamente detto che l’Ucraina non stava attaccando il Donbass alla vigilia dell’SMO, né stava pianificando alcuna aggressione contro il Donbass. E che tutto questo era solo “propaganda degli oligarchi per arricchirsi a vicenda”. Ironia della sorte, in seguito abbiamo scoperto che l’unica persona che si è arricchita con l’SMO è stato proprio lui, in quanto ha avuto innumerevoli contratti per la fornitura di qualsiasi cosa, dagli hotdog inzuppati alle armature di qualità inferiore, alle truppe, da cui ha guadagnato miliardi.

Secondo lui, i piani della NATO per la Crimea, gli eventi del 2014 e il Maidan erano tutti una bufala – suppongo – e le migliaia di civili morti a Donetsk e nell’ambiente circostante devono essere stati inventati dai “farabutti” che hanno dato vita all’SMO – il che, logicamente, include Putin. A questo oltraggio si aggiunge il fatto che egli ha apertamente chiesto la fine della SMO dopo la presa di Bakhmut, affermando che è inutile continuare.

Non bisogna poi dimenticare che ha ripetutamente definito le truppe russe nei pressi di Bakhmut come inutili codardi, accusandole di “fuggire”. Per non parlare delle fughe di notizie secondo cui Prigozhin era disposto a offrire le posizioni delle truppe russe all’SBU per colpire, attraverso i suoi contatti privati con l’SBU, in cambio di un po’ di spazio a Bakhmut da parte dell’AFU. Non che io ci creda necessariamente, ma forse solo perché ho ingenuamente paura di ammettere le implicazioni di una cosa così assolutamente cinica.

Sapete di cosa tutto questo è un classico esempio da manuale, per molti versi? Una cosa chiamata “gaslighting”. Sì, nonostante alcune qualità migliori, Prigozhin era in realtà un maestro del gaslighting e della manipolazione. Aveva affinato un metodo geniale per andare effettivamente contro gli interessi russi, mentre ti rimproverava, ma con l’aria fintamente preoccupata di un genitore affettuoso. È il tipo di persona che ti dà dell’imbecille, mina tutto ciò che stai facendo, ma poi ti fa il lavaggio del cervello facendoti credere che è tutto per il tuo bene, perché te lo sei cercato con le tue presunte mancanze.

Ha ripetutamente ridicolizzato l’esercito russo, accusandolo della peggiore accusa che si possa rivolgere a un soldato: la codardia. Ha apertamente messo in dubbio la legittimità dell’intera SMO, riducendo la sua importanza a quella di una mera “trovata” autocelebrativa di alcuni oligarchi annoiati e ministri della Difesa corrotti.

Ebbene, cos’altro possiamo dire di lui? Un uomo difficile.

Infine, Utkin, come al solito in disparte, in una recente intervista a Pegov di Wargonzo ha pronunciato l’ormai celebre frase che la morte non è la fine. Prigozhin interviene:

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Sono necessari alcuni aggiornamenti vari.

Alcuni aggiornamenti non verificati sulla situazione di Gonzalo Lira:

Dettagli riassunti: – Gonzalo Lira è stato arrestato il 01/05/2023- È stato rilasciato su cauzione il 29/06/2023- Ha tentato di attraversare il confine con l’Ungheria il 01/08/2023 ed è stato arrestato- Non si è presentato all’udienza del tribunale il 02/08/2023- È comparso davanti al tribunale il 04/08/2023, quando è stato deciso di ri-detenerlo- Un’udienza per il suo caso iniziale è stata fissata oggi 22/08/2023 alle 14:30 ora di Kharkov- Un’udienza è prevista l’11/09/2023, in un tentativo di appello contro la sua ri-detenzione.
Circa una settimana fa Sarah Cirillo ha cercato di smentire le sue precedenti vanterie sulla cattura di Gonzalo Lira, insinuando che Gonzalo sia effettivamente arrivato in Ungheria:

Ricordiamo che altri, come Mark Sleboda, avevano affermato di avere la conferma che Gonzalo era stato effettivamente arrestato dalle forze di sicurezza ucraine.

Poi:

Ricordate l’attacco missilistico al “teatro” di Chernigov della scorsa settimana, dove si sarebbe tenuta la mostra di droni e la riunione dei servizi segreti stranieri? L’Ucraina ha sostenuto che non era altro che un pacifico raduno di civili. Ebbene, i primi necrologi di veri soldati dell’AFU sono cominciati ad arrivare:

Come ha fatto questo coraggioso guerriero a entrare nel pacifico raduno di civili?

Il prossimo:

Nella base aerea di Tinker, in Oklahoma, stanno accadendo cose interessanti:

La cosa più degna di nota è che le morti sono state insabbiate e alle famiglie non è stato permesso di indagare sui motivi. Alcuni ritengono che si tratti di perdite di equipaggi di AD americani che operavano con i missili Patriot di Kiev in Ucraina, che ora sono stati oscurati:

17 persone sono morte quest’anno in una base dell’aeronautica militare statunitense in Oklahoma per “varie cause” I rappresentanti dell’aeronautica e della base coprono deliberatamente la natura dei decessi. Frammenti di indagini trapelate mostrano che “quest’anno ci sono stati decessi legati alla base, compresi potenziali suicidi”, scrive il Daily Mail.C’è una versione secondo cui tutti i 17 americani sono “rimbalzati” in un appuntamento con Bandera quando il Patriot della difesa aerea di Kiev ha riferito dei “pugnali” abbattuti. Ufficialmente, gli Stati Uniti non possono inviare il loro personale militare in Ucraina, e ci vuole troppo tempo per addestrare Bandera. Così hanno registrato 17 “suicidi” in coincidenza con l’arrivo dei missili ipersonici.
Il prossimo:

Questo per illustrare qualcosa. Ci sono state numerose preoccupazioni e affermazioni sul fatto che l’Ucraina stia distruggendo le difese aeree della Russia, i radar, i sistemi di contro-batteria, ecc.

Gli ultimi giorni sono stati esemplificativi a questo proposito. L’Ucraina è riuscita a colpire un’unità S-300 russa in Crimea 2-3 giorni fa. Da allora, la Russia ha diffuso filmati di:

Diversi S-300 ucraini distrutti da Su-34 russi che sparavano missili Kh-35:

Un sistema Buk AD ucraino colpito da un Lancet:

Una stazione radar ucraina P-18, che sono i loro sistemi essenziali, colpita da Lancet:

Un radar americano AN/TPQ-36 di controbatteria distrutto qui:

Così come un paio di sistemi Strela-10 distrutti nell’ultima settimana. Questo è il tipo di esempio di cui sto parlando. La Russia ha ufficialmente oltre 2.000 lanciatori S-300. L’Ucraina ha distrutto un solo lanciatore, mentre ha perso circa 10 o più sistemi radar o AD di grande valore nello stesso lasso di tempo. Di quale logoramento possiamo parlare? Sembra essere lo stesso logorio di 8:1 circa di cui godono le truppe russe su molti fronti.

Detto questo, continuano a ricevere alcuni nuovi sistemi interessanti e impressionanti qua e là. Non abbastanza da tenere il passo con il logoramento, naturalmente, ma uno di questi nuovi droni è stato visto catturare filmati di un Ka-52 russo in missione con una chiarezza e un’acutezza di tracciamento sorprendenti:

Il prossimo:

Una foto molto curiosa che volevo condividere e che mostra la densità dei campi minati in Ucraina. Questo sarebbe un campo minato ucraino nella regione di Kharkov:

E ci si chiede perché nessuna delle due parti possa avanzare.

Il prossimo:

Un’altra interessante curiosità: uno sguardo a come i Ka-52 russi vedono al buio. Alcuni si sono chiesti in passato perché le riprese appaiano spesso sgranate, ma guardate l’amplificazione della luce che fanno i sensori ottici. A sinistra la telecamera normale che mostra il buio pesto, a destra la telecamera di puntamento IR/FLIR:

Questo dà un nuovo valore ai filmati spesso visti dei Ka-52 che abbattono i blindati dell’AFU. A proposito, la statistica ufficiale è che il 40% dei blindati distrutti nella controffensiva ucraina da giugno in poi è opera degli eroi ad ala rotante. Questi mezzi sono indispensabili e valgono oro.

Infine, una saga marittima che merita di essere vista. L’Ucraina ha aumentato l’attività delle sue imbarcazioni d’attacco nel Mar Nero. Alcuni giorni fa hanno iniziato a sciamare una piattaforma petrolifera russa abbandonata a est dell’Isola dei Serpenti. Credo si tratti della stessa piattaforma Chornomornaftogaz che l’Ucraina aveva già colpito con missili e incendiato all’inizio della SMO:

Ecco la saga in tre parti:

In primo luogo, la vista da un Su-30 russo che avrebbe bombardato le imbarcazioni con il suo autocannone GSh-30-1 da 30 mm:

La Russia ha dichiarato di aver distrutto almeno 2 delle imbarcazioni.

Ecco la vista da una delle imbarcazioni dell’AFU, che li mostra mentre vengono rastrellati dal fuoco e cercano di rispondere al fuoco con armi leggere:

E infine, una vista da un drone ucraino che mostra che le imbarcazioni avevano effettivamente dei manpad a bordo e non avevano paura di usarli:

L’Ucraina ha affermato di aver danneggiato un caccia russo che è tornato alla base, ma la Russia nega e dice che nessun caccia ha subito danni.

La loro attività marittima è elevata, purtroppo la maggior parte continua a fare la stessa fine di questi ragazzi:

Nelle prime ore del mattino del 24 agosto, gli ukrovoyak hanno tentato ancora una volta di “impadronirsi di una testa di ponte” sulla riva sinistra del Dnieper. volendo compiacere il proprio ukrofuhrer entro il giorno dell’indipendenza della periferia. Ma ancora una volta qualcosa andò storto. Tra gli insediamenti di Golaya Pristan e Kardashinka, le unità del gruppo Dnipro hanno distrutto gli aerei d’attacco “festivi” delle Forze Armate dell’Ucraina.

Alla prossima volta!


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Una guerra che si può vincere COMMENTO (Politica estera) _ Raphael S. Cohen and Gian Gentile

Una guerra che si può vincere
COMMENTO

(Politica estera)

di Raphael S. Cohen e Gian Gentile

21 luglio 2023

Più di un secolo fa, l’Europa era sconvolta dalla Prima Guerra Mondiale, che vedeva contrapposti gli Alleati – Gran Bretagna, Francia, Russia e infine gli Stati Uniti – alle Potenze Centrali, guidate dalla Germania imperiale e dall’Austria-Ungheria. A ovest, i combattimenti si svolsero lungo un fronte di 440 miglia che si estendeva dalla Manica al confine franco-svizzero. Gran parte di questo fronte fu caratterizzato da una situazione di stallo operativo che durò anni e anni. Ripetutamente, nel corso della guerra, centinaia di migliaia di soldati uscirono dalle trincee e andarono incontro alla morte per pochi chilometri di terra.

Oggi, molti commentatori hanno paragonato l’attuale guerra tra Russia e Ucraina al fronte occidentale della Prima Guerra Mondiale. Le immagini satellitari mostrano estese trincee russe lungo tutto il fronte di 700 miglia, con chilometri e chilometri di mine e fortificazioni, che sembrano rimandare a un’altra epoca. Così come le immagini grigie degli alberi spuntati e dei crateri di fango causati dai bombardamenti dell’artiglieria, così come le immagini dei soldati, inzuppati e tremanti per il freddo, che fanno la guardia in quelle tetre trincee che riecheggiano le scene di più di un secolo fa. Aggrappandosi a questa analogia storica, gli osservatori concludono che l’attuale controffensiva ucraina è destinata al fallimento e che la guerra si sta avviando verso un inevitabile stallo.

Le analogie storiche possono essere imperfette ma istruttive. Alcune, tuttavia, sono del tutto fuorvianti e l’analogia con la Prima Guerra Mondiale è una di queste. Invece, un precedente storico migliore per comprendere gli attuali combattimenti in Ucraina può essere trovato nell’esperienza dell’esercito americano nell’estate del 1944, quando combatteva contro le forze naziste nelle siepi della Normandia, in Francia. Per cominciare, l’equilibrio complessivo attacco-difesa della guerra in Ucraina è molto più simile a quello della Seconda Guerra Mondiale che a quello della Prima Guerra Mondiale. Gran parte dei combattimenti sul fronte occidentale durante la Prima Guerra Mondiale furono caratterizzati da una situazione di stallo tecnologico, in cui nessuna delle due parti era in grado di superare i potenti vantaggi difensivi offerti da mitragliatrici, trincee e filo spinato. Nemmeno le tecnologie più innovative dell’epoca, come l’aeroplano, il carro armato e il gas velenoso, riuscirono a superare l’impasse.

Al contrario, la Seconda guerra mondiale fu un conflitto più fluido, con periodi di relativa stasi seguiti da svolte. Dopo lo sbarco sulle spiagge della Normandia, gli Alleati attraversarono un periodo di stallo tattico. L’esercito americano impiegò circa sei settimane di duri combattimenti, con attacchi lenti e stritolanti (PDF) attraverso le siepi della Normandia, per spingere i difensori tedeschi ad appena 19 miglia oltre la testa di ponte, verso la città francese di Saint-Lô. Solo quando gli americani riuscirono finalmente a sfondare le linee naziste, i tedeschi si ritirarono completamente.

Sebbene i progressi complessivi dell’Ucraina possano essere lenti, l’Ucraina sta facendo qualche passo avanti nei punti che contano, come la conquista delle alture che circondano Bakhmut.

Ad oggi, la guerra russo-ucraina assomiglia molto di più alle battaglie nelle siepi della Normandia che a quelle nelle trincee della Prima Guerra Mondiale. Sebbene ci siano stati dei rallentamenti nel ritmo delle conquiste territoriali – in particolare prima della battaglia di Kharkiv, l’estate scorsa – per la maggior parte, la guerra russo-ucraina è stata caratterizzata da una notevole fluidità, in quanto le impasse sono state seguite da rapide conquiste territoriali, come dimostrato nelle battaglie di Kyiv, Kharkiv e Kherson dello scorso anno.

Il terreno in cui gli ucraini stanno attualmente conducendo la loro controffensiva è anche simile, per certi versi, a quello che l’esercito americano ha dovuto affrontare nelle siepi della Normandia. Nell’area di Bakhmut, il terreno è collinare, con molti corsi d’acqua, filari di alberi, strade e fiumi che lo attraversano. Le caratteristiche di questo paesaggio producono un effetto di compartimentazione: Un’unità ucraina che attacca può essere in grado di vedere ciò che si trova davanti e sopra, ma non può vedere molto oltre i suoi fianchi, a causa di tutte le colline, i pendii e i corsi d’acqua.

Come per gli alleati in Normandia, la natura compartimentale del terreno a Bakhmut presenta sia sfide che opportunità per la controffensiva ucraina. Lo stesso vale, ovviamente, per le difese russe. Anche le forze russe non possono vedere oltre i loro fianchi. Di conseguenza, potrebbero inavvertitamente lasciare parti della linea non adeguatamente difese, una lacuna o un punto debole che l’Ucraina può sfruttare se riesce a trovarlo. Inoltre, mentre i progressi complessivi dell’Ucraina possono essere lenti, l’Ucraina sta facendo qualche passo avanti nei punti che contano, come la conquista delle alture che circondano Bakhmut. Se gli ucraini riuscissero a conquistare altri terreni, potrebbero creare le condizioni per operazioni più rapide, come ha fatto l’esercito americano a Saint-Lô.

C’è poi la questione della densità delle truppe: quante truppe difendono ogni chilometro di terreno. Durante la Prima Guerra Mondiale, la densità di truppe per miglio lungo il fronte occidentale era piuttosto elevata. Ad esempio, alla vigilia dell’offensiva della Somme guidata dai britannici nel luglio 1916, il rapporto medio di truppe per miglio su ciascun lato della linea era di quasi 10.000 unità (PDF). Al contrario, nelle siepi della Normandia, la densità di truppe dei difensori tedeschi era molto più vicina alla densità di truppe delle linee difensive russe attualmente in Ucraina. Nell’estate del 1944, la densità media di truppe dei difensori tedeschi che l’esercito americano si trovò ad affrontare era di circa 1.000 uomini per miglio (PDF). Oggi in Ucraina, nella parte più difesa delle linee difensive russe centrate su Bakhmut, la densità di truppe russe è di circa 700 uomini per miglio.

Perché la densità di truppe è importante? Perché più una linea è poco difesa, più è probabile che abbia delle lacune. Ciò è particolarmente vero in terreni accidentati, poiché il terreno rende difficile ricucire i buchi nella linea quando si verificano. A differenza della linea continua di truppe sul fronte occidentale nella Prima Guerra Mondiale, i difensori tedeschi nel 1944 non avevano una densità di truppe sufficiente, il che significava che dovevano scegliere punti specifici nel terreno di siepi dove pensavano che gli americani attaccanti sarebbero stati più vulnerabili. Questo significa che, anche se combattere attraverso le siepi è stato difficile, una volta che l’esercito americano ha sfondato, i tedeschi hanno preso il largo.

I numeri da soli contano solo se gli eserciti hanno le tattiche giuste per sfruttare appieno sia la massa che il movimento, il che richiede la capacità di innovare quando le truppe incontrano inevitabilmente degli ostacoli. La Prima Guerra Mondiale fu caratterizzata dall’atrofia strategica. Di fronte a una situazione di stallo tattico e a corto di idee, i generali si sono messi a gettare manodopera e materiali su quello che era un problema operativo. Solo a guerra inoltrata gli schieramenti svilupparono lentamente le tattiche necessarie per scuotere le linee. Lo sfondamento di Saint-Lô, invece, fu ottenuto in parte grazie all’innovazione tecnologica – dotando i carri armati di aratri d’acciaio per tagliare le siepi – e anche grazie a una maggiore massa, poiché gli Alleati portarono più forze. Fu anche aiutata da tattiche migliori, in particolare dalla fusione di potenza terrestre e aerea.

In effetti, l’Ucraina non sta gettando senza motivo potenza di combattimento nelle difese russe, nello stile della Prima Guerra Mondiale, ma sta deliberatamente trattenendo alcune delle sue forze migliori. L’Ucraina ha ancora bisogno di un modo per sgombrare i campi minati, sfondare le trincee russe e bloccare la potenza aerea russa. Una parte di questo può derivare dall’ottenere le armi giuste in numero sufficiente. A questo proposito, la decisione degli Stati Uniti di fornire munizioni a grappolo, progettate per attaccare le truppe di fanteria e i veicoli, dovrebbe aiutare. Ma per ottenere dei miglioramenti sarà necessaria anche una continua innovazione tattica. L’esercito ucraino ha ripetutamente dimostrato di avere queste capacità.

Infine, c’è la questione importantissima del morale. Le difese tedesche nella battaglia delle siepi si sono dimostrate determinate ma alla fine amareggiate. Il 26 e 27 luglio 1944, il Maggior Generale dell’esercito americano Joe “Lightning” Collins intuì che le difese tedesche stavano raggiungendo il punto di rottura. Dopo due giorni di pesanti bombardamenti da parte delle forze aeree dell’esercito americano contro una piccola area di difese tedesche a nord-ovest di Saint-Lô, Collins ordinò al suo corpo d’armata di attaccare e divenne subito evidente che le difese tedesche si stavano sgretolando.

Prevedere il momento in cui le forze si romperanno non è facile. Tuttavia, il crollo delle forze russe intorno a Kharkiv lo scorso autunno suggerisce che le forze armate russe non sono immuni da queste improvvise implosioni. Da allora, le circostanze sono diventate sempre più tristi. Inoltre, il recente ammutinamento contro i vertici della difesa russa da parte del capo del Gruppo Wagner Yevgeny Prigozhin e dei suoi mercenari – seguito da quella che appare sempre più come un’epurazione degli ufficiali superiori – ha reso evidente un certo grado di fragilità ai vertici delle forze armate russe, anche se questa fragilità non si è ancora propagata a livello tattico in modo evidente.

L’Ucraina non sta gettando senza motivo potenza di combattimento nelle difese russe, nello stile della Prima Guerra Mondiale, ma sta deliberatamente trattenendo alcune delle sue forze migliori.

Nulla di tutto ciò garantisce che l’Ucraina possa ottenere la propria evasione dalla Normandia nelle prossime settimane. Ma l’analogia con la Seconda Guerra Mondiale è un argomento a favore della pazienza e della persistenza. Quasi otto decenni fa, gli Stati Uniti hanno affrontato alcune delle stesse sfide che l’Ucraina deve affrontare oggi. Ma l’esercito americano perseverò (PDF) e i suoi lenti e quotidiani avanzamenti logorarono i difensori tedeschi. L’effetto cumulativo di attrazione si è rivelato decisivo alla fine. Oggi, l’esercito ucraino sta facendo progressi, anche se lentamente. Se questi progressi, seppur a singhiozzo, finiranno per ridurre le forze armate russe, o se si fermeranno, lo si scoprirà solo con il tempo.

Il fattore tempo è forse la ragione più importante per cui è fuorviante paragonare l’Ucraina di oggi alla Prima Guerra Mondiale. Allora, dopo quattro anni di combattimenti e milioni di vittime, Gran Bretagna e Francia non avevano probabilmente il tempo dalla loro parte, anche se gli americani entrarono finalmente nella mischia negli ultimi sei mesi di guerra. I britannici e i francesi assistettero alla decimazione di un’intera generazione di giovani e allo sconvolgimento dell’ordine globale prebellico da loro guidato. Non è così per l’Ucraina e l’Occidente di oggi. Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno investito in Ucraina solo tesori, non sangue. L’Occidente ha il tempo dalla sua parte e può permettersi di essere paziente. Le analogie sbagliate che ignorano questa verità fondamentale servono solo a minare uno dei maggiori vantaggi strategici dell’Occidente.

Raphael S. Cohen è direttore del Programma Strategia e Dottrina del Progetto RAND AIR FORCE. Gian Gentile è vicedirettore della RAND Army Research Division.

Questo commento è apparso originariamente su Foreign Policy il 18 luglio 2023. I commenti offrono ai ricercatori RAND una piattaforma per trasmettere intuizioni basate sulla loro esperienza professionale e spesso su ricerche e analisi sottoposte a revisione paritaria.

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