Vince Ebert, Non è ancora la fine del mondo, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Vince Ebert, Non è ancora la fine del mondo, Liberilibri, Macerata 2024, pp. 191, € 18,00

Quando un problema serio come la tutela dell’ambiente è affrontato da attivisti, politici, giornalisti, intellos in modo spesso improbabile e, non poche volte, involontariamente comico, il contrappasso è che a criticarlo sia un divulgatore scientifico come Ebert, ma anche styand-up comedian.

È la legge del contrappasso: a comici involontari replica un comico professionista. Come scrive Abbadessa nella prefazione, il saggio “si identifica nella tradizione che attraversa tutta la storia del pensiero occidentale, che vede nell’ “arma” dell’ironia la tecnica migliore per smontare quelle che a volte appaiono come verità consolidate. Ironia e preparazione scientifica per avere uno sguardo lucido e aperto sul mondo”.

E in effetti usare l’ironia per argomenti seri ha generato alcune delle opere più acute e divertenti della cultura europea: dalle “Provinciali” di Pascal al “Tartufo” di Moliére, dalla “Sacra giraffa” di Madariaga all’ “Ispettore generale” di Gogol. Gli è che gli argomenti, ironicamente demoliti o ridimensionati da Ebert, hanno in comune il connotato, prevalente, di trarre conclusioni apocalittiche da fenomeni di rilevanza assai più modesta, preoccupanti per il benessere di persone e comunità, ma del tutto inidonei a causare la fine del pianeta. Altre presentano evidenti errori, logici e non. Ad esempio la sostenibilità ambientale. Diversi ambientalisti ritengono che la crisi climatica sia dovuta al capitalismo. Ma Ebert ricorda che di solito “i Paesi economicamente più liberi hanno anche i punteggi più alti nell’indice di sostenibilità ambientale. I Paesi economicamente meno liberi sono quelli che hanno anche i valori peggiori di sostenibilità ambientale. Da un punto di vista ecologico, il capitalismo non sembra essere il problema ma la soluzione”. E la Cina, sia quando era comunista che  post-comunista è il più grande bruciatore di carbone del pianeta.

Poi c’è la pressione di gruppo, cioè il ripetere corale (e coordinato) delle tesi ambientaliste.

Ebert scrive che a tanto chiasso il più delle volte corrisponde un riscontro reale modesto: se “un extraterrestre atterra in Germania, legge un giornale qualsiasi, visita un sito di notizie, guarda una televendita o facendo zapping capita un talk show politico. Crederà che per i cittadini di questo Paese quasi niente è più importante del cambiamento climatico” ma non è così. Stando ai dati reali “attualmente 1,6% dei tedeschi mangia vegano, il 5,7% degli alimenti acquistati è bio e la quota di auto elettriche è dell’1,2%”. La conclusione è che l’indifferenza è prevalente perché il Ragnarok ambientalista non è un pensiero che preoccupi le masse “il mainstream non è ciò che pensa la maggioranza, ma ciò che la maggioranza pensa che la maggiorana pensi”.

D’altra parte se la Cina ha triplicato negli ultimi vent’anni le emissioni di Co2 e Sud-Africa e Nigeria investono in centrali a combustibili fossili, è chiaro che, anche se le richieste dei catastrofisti climatici fossero integralmente accolte a Parigi, Londra e Berlino, l’effetto sul riscaldamento globale sarebbe insignificante data la modesta percentuale europea di inquinamento.

Nel complesso un saggio che in un dibattito carico di scomuniche e anatemi, porta l’aria fresca della ragionevolezza.

Teodoro Klitsche de la Grange

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IL CLIMA IN VALLE D’AOSTA, di Augusta Vittoria Cerutti

L’emergenzialismo è una modalità di governo. Nei momenti di aperta conflittualità e di profonda trasformazione diventa la modalità di governo di élites spesso in crisi di autorevolezza e credibilità. Il tema delle variazioni climatiche, nella loro versione attribuita a cause prevalentemente o esclusivamente antropiche, sarà uno dei motivi conduttori necessari ad alimentare il clima emergenzialista in attesa e propedeutici ad emergenze politiche estreme, queste sì legate alle dinamiche sociali. Il sistema mediatico eserciterà, come d’abitudine, la funzione di strillone. L’emergenzialismo climatico vive di un paradosso: riconosce il dramma di una situazione sfuggita di mano e attribuisce allo stesso tempo all’uomo la facoltà di onnipotenza che gli permetterebbe di risolvere tali crisi. Le implicazioni sono enormi e contraddittorie:
  • da una parte si esorcizza l’intervento dell’uomo, dall’altra se ne omette le possibilità pragmatiche di adattamento, intervento e trasformazione dell’ambiente, dall’altra ancora si stigmatizza sterilmente nelle sue caratteristiche distruttive il suo intervento
  • si confonde l’aspetto climatico con quello ecologico ed ambientale
  • si tende a generalizzare temi che andrebbero trattati pragmaticamente e localmente secondo le diverse realtà e variazioni sulla superficie terrestre
  • si trasforma il tema delle trasformazioni climatiche ed ambientali, di per sé politico, in una strumentalizzazione rozza del confronto geopolitico e politico-sociale e in una criminalizzazione dell’avversario politico e di eventuali untori colti all’occasione
  • paradossalmente, d’altro canto, tende a nascondere la natura politica e geopolitica della gestione delle risorse ambientali, come quella delle acque
  • riporta in auge, in contrapposizione al produttivismo positivista, in termini allarmistici, il tema malthusiano dell’inesorabile ed imminente esaurimento delle risorse terrestri che prescinde dalle potenzialità dello sviluppo scientifico e tecnologico e dalla necessità di una gestione equilibrata delle fasi di transizione.

L’articolo qui sotto, ripreso significativamente da una sede istituzionale, vuole essere un ennesimo contributo di riflessione. Giuseppe Germinario

IL CLIMA IN VALLE D’AOSTA
di Augusta Vittoria Cerutti

L’allarme del IPCC

Quattro millenni fa il ghiacciaio del Ruitor non esisteva e al suo posto vi era un lago poi trasformatosi in torbiera ed ora ricoperto dalla coltre glaciale. Ogni tanto, però parti di quella torba vengono trascinati dai movimenti del ghiacciaio fino alla fronte. Essa fornisce un prezioso materiale di studio per conoscere il passato delle nostre montagne.Da alcuni anni a questa parte le variazioni climatiche sono diventate oggetto di preoccupato interesse da parte dei mas-media e dell’ opinione pubblica. Grande impatto ha avuto la diffusione di modelli computerizzati di simulazione climatica proposti dall’Intergovemental Panel on Climate Change (IPCC), ente creato dall’ONU nel 1988 per studiare l’attuale cambiamento climatico. Allarma il fatto che per la prima volta nella storia del Pianeta, nel corso del XX secolo l’uomo, a causa dell’industrializzazione, dei trasporti e dei riscaldamenti è giunto a produrre un inquinamento atmosferico tale da modificare la composizione chimica dell’aria.
Nell’atmosfera vengono immessi grandi quantità di gas provenienti dalla combustione di carbone e petrolio utilizzati per produrre energia. Questi gas, fra cui vi è l’anidride carbonica (CO2), hanno il potere di intercettare il calore oscuro irradiato dalla superficie terrestre dopo il tramonto del sole; per questa loro proprietà simile all’effetto dei vetri di una serra, vengono detti “gas serra”. Essi, ostacolando il raffreddamento notturno che dovrebbe equilibrare la temperatura atmosferica, provocano un progressivo aumento di calore. Gli scienziati dell’IPCC attribuiscono a questo meccanismo la causa essenziale dell’attuale fase di riscaldamento e per il futuro prevedono un continuo aggravarsi della situazione, dato l’attuale trend di sviluppo tecnologico e demografico. L’aumento esponenziale della CO2 porterebbe ad una sempre maggiore intensità dell’effetto serra con un conseguente progressivo riscaldamento climatico accompagnato da apocalittici sconvolgimenti degli attuali equilibri idrologici ed ecologici .
L’effetto serra è certamente una realtà ma è noto che fra i gas presenti nell’aria il maggior responsabile è il vapor acqueo che si produce spontaneamente in natura; l’incremento dell’anidride carbonica dovuta alle attività umane certamente altera un equilibrio pre-esistente, ma in quale misura? Nel mondo scientifico il dibattito su questo interrogativo è assai vivace; molti sono gli esperti che ritengono non corretto basare unicamente sull’incremento dell’anidride carbonica le simulazioni computerizzate della futura evoluzione dell’ambiente (NOTA 1).
L’inquinamento prodotto dall’uomo è certamente un grave danno ecologico con effetti pesantemente nocivi su tutti gli organismi viventi e come tale deve essere combattuto con il massimo impegno. Ma il riscaldamento climatico globale molto probabilmente ha origini diverse.
Meteorologia e Climatologia sono due scienze complementari ma la prima richiede un approccio mentale analitico, la seconda sintetico. La Meteorologia analizza il “tempo che fa” ossia i fenomeni atmosferici attualmente in atto; la Climatologia riflette sulla interazione che in lunghi periodi si instaura fra i diversi fenomeni atmosferici e come questa interazione si rifletta sull’ambiente influenzando gli aspetti del paesaggio e le attività delle popolazioni.
Le cause delle variazioni climatiche per ora sfuggono all’indagine scientifica; molti fatti però tendono a collegarle alla circolazione atmosferica generale che sarebbe responsabile del movimento delle grandi masse d’aria, le une più calde, le altre più fredde, posizionate in diverse zone del Pianeta.

Clima e ghiacciai

La Climatologia non dispone di strumenti capaci di registrare l’interagire dei diversi elementi atmosferici in lunghi tempi ma il clima proprio di ciascuna regione geografica si evidenzia nella natura e nell’aspetto del manto vegetale spontaneo e nel comportamento dei ghiacciai.
La valle d’Aosta è un vero e proprio museo di climi grazie al suo territorio grandemente esteso in altitudine ed ha attualmente più di 200 ghiacciai che si espandono su una superficie di circa 135 chilometri quadrati. Studiando nei vari periodi lo spostamento in altitudine dei limiti climatici dei grandi insiemi vegetali (i coltivi, i boschi e i pascoli) e l’evoluzione degli apparati glaciali possiamo agevolmente ricostruire la storia del clima e di conseguenza anche quella dell’ambiente e delle attività umane che in esso hanno avuto vita.
Da una ventina di anni a questa parte i ghiacciai valdostani sono entrati in una accentuata fase di contrazione, come pressoché tutti quelli delle Alpi e delle altre catene montuose del mondo. È la conseguenza del riscaldamento globale.
Le variazioni glaciali sono strettamente legate a quelle del clima in quanto il ghiaccio di ghiacciaio altro non è che neve trasformata. Nelle zone più alte, ove la temperatura è pressoché sempre sotto lo zero, si formano i bacini di alimentazione; qui la neve che si accumula di anno in anno si trasforma lentamente in ghiaccio a causa della progressiva compressione. La massa glaciale a poco a poco scivola verso valle alimentando i bacini ablatori, vale a dire le parti degli apparati che, essendo poste a quote inferiori a quella del limite climatico delle nevi perenni, sono sedi di processi di fusione.
Quando il clima è freddo e nevoso il limite climatico delle nevi perenni è relativamente basso, nei bacini di alimentazione si raccoglie molta neve e si forma più ghiaccio di quanto ne fonda nei bacini ablatori: i ghiacciai entrano allora in fase di espansione aumentando di lunghezza e di volume. Se invece il clima si riscalda o le nevicate si fanno meno copiose, il limite delle nevi si innalza provocando contemporaneamente una minore produzione di ghiaccio e un più intenso processo di fusione; di conseguenza i ghiacciai entrano in fase di contrazione lineare e volumetrica. È appunto quanto sta accadendo in questi due ultimi decenni .
Il monitoraggio dei ghiacciai effettuato dai primi decenni del XX° secolo dal Comitato Glaciologico Italiano e dal 2002, per quelli valdostani dalla Cabina di Regia dei ghiacciai della Fondazione Montagna Sicura, evidenzia dati preoccupanti: negli ultimi venti anni le lingue vallive dei ghiacciai più grandi si sono raccorciate di diverse centinaia di metri e ancora più grave è la riduzione volumetrica degli apparati messa in luce da bilanci di massa fortemente negativi i quali indicano che la quantità di neve accumulata nella stagione fredda è molto inferiore alla quantità di ghiaccio che fonde in quella calda.
Il comportamento dei ghiacciai quindi conferma il riscaldamento climatico globale.
In base ai dati dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale si constata che negli ultimi centocinquanta anni la temperatura media sulla Terra è cresciuta di circa 0,7 °C; nella zona alpina l’aumento è alquanto maggiore giungendo a circa 1 °C (NOTA 2). Sono valori piuttosto modesti ma le conseguenze si prospettano preoccupanti soprattutto se si accertasse che l’attuale riscaldamento è conseguenza dell’attività umana e che di conseguenza il suo trend sarebbe destinato non soltanto a proseguire nel futuro ma addirittura ad ingigantirsi.
Qualcuno considera addirittura l’attuale accentuato ritiro dei ghiacciai come un sintomo di esser giunti al punto di non ritorno!
Uno studio serio e sistematico delle variazioni glaciali e delle variazioni climatiche ci porta a considerazioni assai meno allarmistiche.
Prima di tutto i vent’anni di osservazioni su cui si basano i modelli computerizzati dell’IPCC sono assolutamente troppo pochi per ritenere di aver colto i fattori di fenomeni tanto complessi quali sono le variazioni climatiche le quali si svolgono sempre in periodi di tempo plurisecolari.
Se – come richiesto dalla climatologia – prendiamo in considerazione l’intero XX secolo, ci troviamo immediatamente di fronte a fasi di espansione glaciale, che, ovviamente si effettuarono in concomitanza di periodi caratterizzati da un clima fresco e nevoso, chiaramente documentato dai dati dell’osservatorio meteorologico del Gran San Bernardo e da quelli di molti altri sparsi in tutto il mondo (vedi tabella nella pagina precedente).

Eppure fin dai primi decenni del ‘900 l’industrializzazione dell’Euro-pa Occidentale era notevolmente sviluppata e si basava prevalentemente sull’uso di grandi quantità di carbon fossile. Le emissioni di CO2 fin da allora erano considerevoli eppure i ghiacciai alpini una prima volta fra il 1910 e il 1923 e una seconda fra il 1960 e il 1985, (quindi nella immediata vigilia dell’attuale episodio di riscaldamento) aumentarono grandemente di volume e allungarono le lingue vallive di diverse centinaia di metri.
Questi due periodi freschi e nevosi verificatisi in piena era industriale ci pongono di fronte a un interrogativo di base: in quale misura i processi climatici possono essere influenzati dall’azione umana?

Ottomila anni di variazioni climatiche in Valle d’Aosta

Il ghiacciaio di Pré-de-Bard durante la Piccola età glaciale, al culmine della sua espansione storica, Rigorosi studi di climatologia storica la giovane disciplina che Emanuel Le Roi Ladurie definì “Le nouvel domaine de Clio”, ci portano a riconoscere nel corso degli ultimi 8000 anni, numerose variazioni climatiche, tutte di durata plurisecolare (NOTA 3).
Le specifiche ricerche si valgono di studi sui sedimenti marini e continentali, sulle oscillazioni del livello marino, sulle variazioni lineari e volumetriche dei grandi ghiacciai, sui pollini fossili; sui cerchi di accrescimento di alberi plurisecolari. Le più avanzate metodologie permettono di correlare gli isotopi dell’ossigeno presenti nei sedimenti o nel ghiaccio antico dei grandi ghiacciai, con le condizioni termiche del momento in cui è avvenuta la sedimentazione o si è formato il ghiaccio. Nello stesso modo, la dendrocronologia, mediante lo studio dei rapporti fra gli isotopi dell’ossigeno, del carbonio, e dell’azoto che costituiscono la sostanza legnosa di tronchi millenari, può valutare la temperatura che caratterizzava il periodo in cui andavano formandosi i singoli cerchi di accrescimento. Il radiocarbonio permette oggi di datare i resti organici per cui con la collaborazione di tutte queste ricerche è stato possibile, ormai da qualche decennio conoscere con ragionevole sicurezza le caratteristiche cronologiche del clima negli ultimi 8000 anni, malgrado che solo dalla fine del XVIII secolo si disponga di misure strumentali di temperature e di precipitazioni.
D’altra parte sul territorio valdostano e in tante altre parti del mondo sono rimaste testimonianze che mal si accordano con l’ambiente climatico attuale come il ritrovamento di antichi ceppi di conifere centinaia di metri più in alto dell’attuale limite climatico del bosco.
L’archeologia scopre che l’Aosta romana fra il I e il V secolo d.C. era una città popolosa, dalla vita elegante e raffinata. Ma – ci chiediamo – donde poteva venire il reddito capace di sostenere l’alto tenore di vita che l’archeologia ci attesta?
Nei duemila anni di storia valdostana si alternano momenti fulgidi e momenti oscuri; i primi si accompagnano regolarmente a intensi traffici attraverso gli alti valichi, i secondi al languire di questa attività (NOTA 4). È ovvio però chiedersi come potessero fiorire i traffici transalpini se solo fra fine giugno e il principio di ottobre i valichi del Piccolo San Bernardo (2180 m) e del Gran San Bernardo (2470 m) fossero stati allora liberi dalla neve come accade oggi. È noto infatti che le carovane someggiate non possono transitare su strade innevate ma gli attuali tre mesi estivi sono un periodo di attività annuale troppo breve per spiegare la grandiosità dell’Aosta romana e di quella medioevale, la “pulcelle” dei Conti e Duchi di Savoia fra il XII e il XVI secolo. Qualche cosa di fondamentale deve essere cambiato nel lungo arco di tempo della nostra storia (NOTA 5).
Oggi sappiamo che è cambiato il clima, che più volte si sono verificate variazioni climatiche di durata plurisecolare, tali da mutare l’ambiente e influenzare profondamente la vita e l’attività delle popolazioni.
Si è accertato che trattasi di variazioni di temperatura e di piovosità che possono apparire minimi: da uno a quattro gradi centigradi delle temperature medie annue e di un 20% o 30% della quantità di precipitazioni. Ma se le precipitazioni annue per qualche decina di anni da una media di 700 mm si riducono a 500 mm, mettono in crisi l’agricoltura, mentre ne aumentano il rendimento se si accrescono a 900 mm. Una nevosità più o meno abbondante sui valichi determina un periodo più o meno lungo di fruizione delle alte vie transalpine con conseguenze economiche e sociali di grande importanza. Una variazione di temperatura di due gradi centigradi, se si protrae per qualche decennio, sposta di circa 300 metri di altitudine i limiti climatici delle colture, dei boschi dei pascoli e delle nevi perenni. Una variazione “fredda” di quella entità può privare di risorse alimentari le popolazioni che vivono sul limite climatico delle colture mentre, al contrario una variazione “calda” può migliorare grandemente il loro ambiente di vita.

La cronologia del clima europeo e le testimonianze sul territorio valdostano

Il ghiacciaio di Pré de Bard in fase di contrazione, ripreso nel 2004 dallo stesso punto di vista utilizzato dall’artista del secolo XIX.Fra il 5000 e il 1400 a.C. il nostro clima era caratterizzato da una temperatura di almeno 4 °C superiore all’attuale.
Questo periodo, il più caldo degli ultimi 8.000 anni, viene designato con il termine scientifico di optimum climatico assoluto del Post-glaciale.
In montagna, i limiti climatici del bosco, del pascolo, delle nevi persistenti, con temperature annue di almeno 4°C superiori alle attuali si innalzano di quasi 700 metri. Nella nostra regione in quel lontano periodo il bosco saliva almeno fino ai 2600 metri di altitudine, il pascolo si portava attorno ai 3200 metri sul livello del mare e il limite delle nevi persistenti addirittura a 3600-3700. Il grande ghiacciaio del Ruitor che domina la conca di La Thuile, allora non esisteva perché la quota massima delle creste rocciose che delimitano il suo circo è inferiore a quella che in quel lontano periodo aveva il limite delle nevi perenni e pertanto l’innevamento del territorio doveva essere solo stagionale. Il bacino però era occupato da un lago in cui vegetavano piante palustri che con il tempo si trasformarono in torba. Alcuni millenni più tardi, nel 1500 a.C. si instaurò un clima freddo; l’innevamento del circo divenne perenne e si formò il grande ghiacciaio che ricoprì la torbiera. Dal 1975 parte di questa torba viene spinta a valle dal movimento del ghiacciaio dando così modo ai ricercatori di raccoglierne campioni e di studiarli. La datazione al radiocarbonio, fatta per conto del Politecnico di Torino, ha rilevato un’età assoluta di 6.500 anni per gli strati più antichi; di 3500 per quelli più recenti, confermando in pieno il quadro climatico che emerge da indagini fatte in altri luoghi e con altre metodologie (NOTA 6). Questo periodo corrisponde alle età umane del Neolitico e dell’eneolitico.
Nella torba del Ruitor, che sappiamo essersi originata ad una quota largamente superiore ai 2500 metri, vi è una alta percentuale di pollini fossili di varie conifere ma anche di latifoglie fra cui il tiglio. La loro presenza indica che presso quel lago, attualmente coperto dal ghiacciaio, fino a 3500 anni fa giungeva il bosco. È evidente che la montagna offriva allora un ambiente assai più accogliente di quello che conosciamo oggi. Si spiega così come l’uomo neolitico abbia potuto risalire la valli alpine con grande facilità, insediarsi in alta quota, frequentare gli alti valichi dello spartiacque (NOTA 7) e formare quelle comunità culturali fra i due opposti versanti delle Alpi sempre meglio documentate dai reperti che vengono alla luce (NOTA 8).
In territorio valdostano sono da ascrivere a questo periodo numerosi ritrovamenti. Molti siti archeologici sono collocati ad altitudini superiori ai 1000 metri, disseminati nei territori comunali di Saint-Pierre, Saint-Nicolas, Arvier, Villeneuve, Quart, Nus, Monjovet, Challant-Saint-Victor, la Magdaleine, Champorcher e altri ancora. Il più importante di questi siti è la necropoli di Saint-Martin-de-Corléans, alla periferia occidentale di Aosta, un insieme di monumenti megalitici fra i più insigni d’Italia. La datazione assoluta al radiocarbonio rivela per i livelli più antichi un’età che risale al 3070 a.C. (=5020 B.P.) (NOTA 9). La sua grande somiglianza con la necropoli coeva di Saint-Leonard, presso Sion è ritenuta una importante testimonianza della comunanza culturale, in età neolitica, fra le genti degli opposti versanti delle Alpi Pennine e quindi della fruizione per lunghi periodi annuali del valico del Gran San Bernardo.
Fra il 1400 e il 300 a.C. il clima diventa molto freddo.
La torbiera del Ruitor viene ricoperta dal ghiacciaio già nel 1500 a.C. e nei secoli seguenti il peggioramento climatico si fa sempre più grave culminando fra il 900 e il 300 a.C. Ne sono particolarmente colpite le popolazioni dell’Europa Orientale che vivono in un ambiente a clima continentale non mitigato dagli influssi dell’Oceano Atlantico o del Mare Mediterraneo. Proprio in quel periodo (Età del Ferro) hanno luogo le migrazioni dei popoli indoeuropei provenienti dalla pianura Sarmatica. Fra gli altri migranti vi sono i Celti che fra il 900 e il 300 a.C. si diffondono in tutta l’Europa Occidentale. La celtizzazione della Valle d’Aosta avviene probabilmente dopo il V sec. a.C.

Dal 300 a.C. il clima prende a migliorare: è l’Optimum dell’età Romana che si protrarrà per ben sette secoli.
Il primo ad approfittare della nuova situazione fu Annibale che nel 218 a.C., quando ancora i romani ritenevano inaccessibili la Alpi, le valicò con un esercito di più di 25.000 uomini.
Dopo l’impresa del Cartaginese Roma comprese che la Catena Alpina non poteva più essere considerate una barriera difensiva; la sicurezza del suo territorio doveva essere tutelata dal controllo dei paesi transalpini che avrebbero dovuto fungere da antemurali. Nella concezione dei Romani, grazie al nuovo Optimum climatico che assicurava la transitabilità dei passi alpini quasi per tutto l’anno, le Alpi si trasformarono da barriera in cerniera, furono dotate di grandi vie di comunicazione e per quasi cinquecento anni, sotto il controllo della Città Eterna esplicarono la funzione di trait d’union fra il Mediterraneo e l’ Europa Centro-settentrionale.

A servizio e a guardia dei traffici transalpini, nel 25 a.C. venne fondata la città di Augusta Praetoria sul crocevia fra la Strada consolare delle Gallie già da tempo costruita per raggiungere la città di Ludgudum (Lione) attraverso l’Alpis Graia (valico del Piccolo, San Bernardo) e la via che si dirigeva verso l’Europa centro-settentrionale attraverso il Summus Poenninum (valico del Gran San Bernardo). Grazie alla propizia situazione climatica che favoriva il flusso dei traffici, l’importanza che Aosta assunse nei secoli dell’Impero Romano divenne assai maggiore di quella che essa ha attualmente. I viaggiatori che risalivano la Strada consolare delle Galli venivano accolti nella vivace e ricca città dai signorili archi della triplice Porta Pretoria, suo centro degli affari e cuore economico e politico era il mercato, il grandioso Foro giunto quasi intatto fino a noi; nel tessuto urbano il ricco Complesso termale, il monumentale Teatro che pare potesse accogliere più di 5000 spettatori, l’ampio Anfiteatro offrivano il modo di coltivare gli interessi culturali e il tempo libero.

Fra il 400 e il 750 d.C. si registra un notevole raffreddamento del clima.
La transitabilità dei passi alpini divenne assai precaria, legata alla sola stagione estiva.
I popoli dell’Europa orientale e settentrionale a causa della variazione climatica fredda, videro diminuire drasticamente la produzione agraria delle loro terre e molte tribù furono costrette a migrare verso le regioni Mediterranee meno colpite dai rigori del clima grazie alla loro posizione geografica.
Sono le invasioni barbariche, quelle tumultuose migrazioni dei popoli germanici che nell’alto medioevo travolsero la potenza dell’Impero Romano.
La valle d’Aosta conobbe nel 489 l’incursione dei Burgundi, qualche anno dopo fu la volta degli Ostrogoti, poi dei Longobardi. Nel 575 la regione valdostana entrò a far parte del regno dei Franchi e da allora restò nella loro area politico-culturale.

Dopo il 750 il clima migliora rapidamente e si instaura l’Optimum dell’età feudale.
L’innevamento dei valichi alpini ritorna assai breve e si apre il periodo d’oro dei traffici fra le Repubbliche Marinare delle coste mediterranee e i grandi centri delle Fiere transalpine (Ginevra, Lione, Borgogna, Fiandre, Champagne).
È il periodo del Sacro Romano Impero e della organizzazione feudale dell’Europa. Sulle Alpi, prendono vita numerosi stati di valico istituiti a controllo e a servizio delle vie transalpine, arterie vitali della grande unità politica. Fra di essi vi è quello dei Conti di Savoia il cui fulcro fu per secoli la Valle d’Aosta con i passi del Piccolo e del Grande San Bernardo.
Il limite climatico delle colture cerealicole si spinge fino all’altitudine di 2300 m. Lo conferma la presenza di settori attrezzati per la trebbiatura del grano in fienili di dimore dell’alta valle di Ayas e di Valgrisenche poste a quell’altitudine, ora diventate stagionali ma costruite nei tempi in cui lassù si poteva abitare tutto l’anno.
Riguardo allo stato dei ghiacciai l’Abbé Henry, noto ricercatore tanto in campo storico quanto in campo naturalistico, scrive in una sua relazione (NOTA 10); “Entre le 1300 e le 1600 les glaciers devaient être très petits et réduits à leur minimum… Sa découle d’un grand nombre de documents tels que les Reconnaissances de l’époque ou le mot glacies est introuvable. Une autre preuve que les glaciers étaient alors très petits et très recules c’est que les passages par les cols élevés de montagne étaient alors très faciles et très fréquentés: on allai communément, on faisait passer vaches et mulets de Prarayé à Evolène par le Col Collon (3130 m), de Zermatt à Evoléne par le Col d’Hérens (3480 m); de Valtournenche à Zermatt par le Col de Saint-Théodule (3380 m).
Il Colle del Teodulo – oggi centro di uno dei più prestigiosi comprensori sciistici – nel Basso Medioevo fu a tutti gli effetti un itinerario “ Europeo” sulla via transalpina che univa il porto di Genova con quello di Amsterda. Tutte le carte geografiche del ‘500 e del ‘600, comprese quelle del grande cartografo olandese Mercatore, rappresentano il “Mons Silvius” – tale era il suo nome in latino – e il villaggio di Ayas, suo principale centro di servizi. In quelle redatte nei paesi d’oltralpe compare la dizione: “Krëmertal”, ovvero “Valle dei mercanti” posta fra i toponimi di Ayas e del valico del Teodulo.
Il controllo delle strade che dalla valle della Dora salivano al colle del Teodulo, era esercitato dagli Challant, la più prestigiosa famiglia nobiliare valdostana che proprio da quel traffico traeva la sua ricchezza e la sua rinomanza a livello europeo.
In questo periodo caldo dai traffici assai vivaci, prese origine la millenaria fiera di Sant’Orso che tutt’ora si celebra il 31 gennaio nel cuore dell’inverno, una stagione che pare ben poco propizia ad un gran concorso di gente, soprattutto in passato quando non esistevano i mezzi spazzaneve. Il più antico documento che riguarda questa rassegna risale al 1305 ma pare che allora essa già fosse secolare, era esclusivamente dedicata agli attrezzi agricoli e si svolgeva nei tre giorni che precedevano la festa di Sant’Orso e nei tre che la seguivano. Questa grande fiera invernaleè una testimonianza della mitezza che doveva caratterizzare la stagione fredda durante gli otto secoli dell’Optimum climatico del basso medioevo.

Fra il 1550 e il 1850 ha luogo la più grave crisi climatica del tempi storici denominata dagli specialisti il Pessimum climatico della Piccola Età Glaciale.
Essa provocò un abbassamento di almeno 500 metri dei limiti climatici delle colture, del bosco, del pascolo e delle nevi persistenti determinando un lungo innevamento annuo dei valichi e addirittura la glacializzazione dei più elevati e insieme la perdita di una grande quantità di terre coltivabili. Venendo a mancare contemporaneamente i proventi legati ai traffici transalpini e quelli delle più elevate terre agricole, il periodo della Piccola età glaciale fu per le valli alpine un‘epoca di estrema povertà.
In valle d’Aosta il contraccolpo fu durissimo: da ganglio dei traffici europei la Regione si trasformò in cellula chiusa in se stessa; le attività economiche si ridussero ad una agricoltura volta esclusivamente all’autosussi-stenza e tanto misera che viene definita dagli studiosi francesi “de acharnement”; la popolazione, poverissima e denutrita, venne falcidiata dalla peste e da malattie endemiche, molte delle quali riconducibili alla malnutrizione e alle grandi fatiche che in tali condizioni ambientali i lavori agricoli richiedevano.
Le condizioni del clima determinarono, nel corso della Piccola età Glaciale, la più imponente crescita volumetrica, areale e lineare dei ghiacciai verificatasi negli ultimi due millenni. Ne sono testimoni sul terreno, gli apparati morenici formati da questa gigantesca espansione; lo studio di questi ultimi ha permesso di ricostruire i profili delle aree che vennero glacializzate in quei freddissimi trecento anni. In base a queste indagini i tecnici dell’Assessorato al Territorio, Ambiente ed Opere pubbliche, stimano che nei primi decenni del XIX° secolo i ghiacciai valdostani si estendessero su circa 330 kmq, vale a dire su più del 10% del territorio regionale.

Dopo la metà del secolo XIX inizia il riscaldamento climatico tuttora in corso.
La fine della piccola età glaciale è segnata da una improvvisa forte diminuzione delle precipitazioni e da un sensibil innalzamento delle temperature: all’osservatorio meteorologico del Gran San Bernardo nei vent’anni successivi al 1856 le precipitazioni annue risultano meno di 1600 mm e l’altezza della neve caduta di 870 cm nei confronti di medie di lungo periodo assai più elevate; le temperature medie annue che fino al 1860 erano state attorno ai -1,9 °C si innalzano bruscamente a -1,5 °C.
Questo stato di cose causa una sensibile riduzione di volume dei ghiacciai ed un considerevole raccorciamento delle lingue vallive. Fra il 1862 e il 1882 il ghiacciaio del Lys al Monte Rosa perde ben 950 metri di lunghezza (NOTA 11); la Brenva, fra il 1846 e il 1878, circa 1000 m­etri (NOTA 12), il Pré de Bard fra il 1856 e il 1882, 750 metri (NOTA 13) e nello stesso periodo il Lex Blanche, circa 800 (NOTA 14).
Si tratta di una situazione, molto simile a quella che stiamo vivendo in questi anni, che perdurò quasi un ventennio. Da allora, come mostra la tabella conclusiva, si alternarono fasi di clima fresco favorevoli al glacialismo e fasi di clima più caldo avverse ad esso.
Esaminando il comportamento dei ghiacciai valdostani dagli inizi del XIX° secolo quando culminava la massima espansione storica, al 2005, data dell’ultimo volo aerofotogrammetrico, si constata che questo lungo arco di tempo è stato ritmato da undici fasi, caratterizzate alternativamente da contrazioni ed espansioni degli apparati glaciali.
Nessuna delle espansioni però raggiunse la misura di quelle verificatesi durante la Piccola età Glaciale; quasi tutte quelle posteriori al 1860 hanno prodotto volumi di ghiaccio dalla massa inferiore a quella perduta nella precedente contrazione per cui gli apparati hanno subìto attraverso il tempo una notevole riduzione planimetrica, areale e volumetrica. Dall’indagine svolta dei tecnici della Cabina di regia dei ghiacciai sui fotogrammi del volo aerofotogrammetrico 2005 risulta che l’attuale estensione dei ghiacciai valdostani è pari a 135 kmq, il che corrisponde al 40% dell’estensione massima che l’area glacializzata aveva assunto nella Piccola età Glaciale. Bisogna tenere presente che circa il 20% di questa copertura venne asportata dalla fusione avvenuta fra il 1860 e il 1882, quando in Italia l’industrializzazione era appena agli inizi e pertanto la variazione calda di quei decenni non era certo imputabile all’opera dell’uomo.
La fase di clima “caldo” che stiamo vivendo non è una novità dell’ultimo ventennio; si tratta di processo modulare in atto dalla seconda metà del 1800 e simile a quelli che hanno avuto luogo nei secoli dell’optimum dell’età feudale o in quelli dell’età romana. Pare quindi logico pensare che, pur in presenza di alterazioni di origine antropica, l’attuale riscaldamento globale faccia parte dell’alternanza ciclica di fasi calde e fasi fredde che da sempre caratterizza la storia del clima.

Note:

1 C. Allègre, Le droit au doute scientifique, Le Monde, Paris, 27 ottobre 2006;
S. Pinna, Il Clima divulgato: una realtà virtuale imposta come dato di fatto, Ambiente, Società, Territorio. Rivista A.I.I.G. Roma, agosto 2007, pag. 3-8.

2 L’istituto Federale Svizzero di Meteorologia e Climatologia segnala che, all’Osservatorio del Gran San Bernardo, entrato in funzione nel 1818 e quindi con una serie di dati ultracentenaria, la temperatura media annua dall’inizio delle osservazioni al 1970 risulta di –1,5°C. La media del trentennio “standar” (OMM) 1971-2000 è di –0,5°C.

3 Segnaliamo alcuni dei più noti studi di climatologia storica:
– E. Le Roy Ladurie, Histoire du climat depuis l’an mil, Paris, 1967;
– M. Pinna, La storia del clima: variazioni climatiche e rapporto clima-uomo, Soc. Geografica Italiana, 1984;
– M. Pinna, Variazioni climatiche, Angeli, Milano 1996;
– P. Acot, Storia del Clima, Roma, 2004;
– L.Bonardi, Che tempo faceva?, Milano, 2004.

4 L. Colliard, Precis d’histoire valdôtaine, Aosta, 1980.

5 P. Guichonnet, Les bases géographiques de l’histoire de la Vallée d’Aoste, Atti del congresso internazionale “La valle d’Aosta e l’arco alpino nella politica del mondo antico”, Aosta, 1988, pag. 20-46.

6 E. Armand, G. Charrier, L. Peretti, G. Piovano, Ricerche sull’evoluzione del clima e dell’ambiente durante il quaternario nel settore delle Api Occidentali Italiane. La formazione di torbiera presso la fronte attuale del ghiacciaio del Ruitor: suo significato per la ricostruzione degli ambienti naturali nell’Olocene medio e superiore. Bollettino del Comitato Glaciologico Italiano, serie II, n. 23 (1975), pag. 7-25.

7 K. Spindler, L’uomo dei ghiacci, Milano, 1999.

8 M.R. Sauter, L’occupation des Alpes par les populations préhistoriques, in Histoire et civilisation des Alpes. T.1, Toulouse-Lausanne, 1980, pag. 61-94.

9 F. Mezzena, La Valle d’Aosta nella preistoria e nella protostoria, in Archeologia in Valle d’Aosta: dal Neolitico alla caduta dell’Impero Romano, catalogo della mostra, Aosta, 1981, pag. 15-60.

10 Abbé Henry, Le glacier de Prarayé ou de Tsa de Tsa, Roma, 1934.

11 U. Monterin, Le variazioni secolari del clima del Gran San Bernardo e le oscillazione del ghiacciaio del Lys al Monte Rosa, in Raccolta di scritti di U. Monterin, Boll. Vol.II, Aosta, 1987, pag 199.

12 G. Marengo, Monografia del ghiacciaio della Brenva, in Boll. C.A.I. n 45, 1881.

13 F. Sacco, op. cit., 1919, pag 95.

14 F. Sacco, op. cit., 1919, pag 33.

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La balla del 97%. Colpe umane sul clima?_di Federico Punzi

L’affermazione del 97% degli scienziati a favore dell’origine umana del riscaldamento climatico è una clamorosa bufala frutto di manipolazione

La balla del 97%. Colpe umane sul clima? “Consenso” scientifico allo 0,3

Il prof. Battaglia c’è andato leggero. Altro che 32,6%, molti meno gli studi esaminati dall’articolo-bufala che indicavano le attività umane come causa principale

di Federico Punzi 31 Maggio 2023

https://www.nicolaporro.it/atlanticoquotidiano/quotidiano/aq-politica/la-balla-del-97-colpe-umane-sul-clima-consenso-scientifico-allo-03/

Ogni volta, in qualsiasi sede si discuta di clima, non manca mai chi prova a zittire gli interlocutori ammonendo che ormai il “caso è chiuso”, c’è consenso scientifico sull’origine antropica del cambiamento climatico. Il 97 per cento degli scienziati – se non il 99 per cento, azzarda qualcuno – concorda che l’aumento delle temperature è dovuto alla Co2 emessa dalle attività umane.

Un espediente dialettico per delegittimare chiunque – anche scienziati di chiara fama – osi obiettare, o anche solo dubitare. Se lo afferma quasi il 100 per cento degli scienziati, chiunque lo neghi è “contro la Scienza” e fa disinformazione.

All’origine della bufala

Ma da dove arriva questo 97 per cento? La scorsa settimana, su La Verità, il prof. Franco Battaglia è voluto andare all’origine di questa narrazione, risalendo allo studio da cui ha preso vita e arrivando alla conclusione che si tratta di una bufala. Lo studio è quello pubblicato nel 2013 da John Cook e altri otto autori, che hanno preso in esame 11.944 articoli scientifici sul cambiamento climatico o il riscaldamento globale pubblicati tra il 1991 e il 2011.

In effetti, come ammettono gli autori stessi nell’abstract, nel 66,4 per cento di essi non si parla nemmeno di “riscaldamento globale antropogenico”. Il 32,6 per cento degli articoli sostiene l’origine antropica, lo 0,7 la nega e lo 0,3 per cento è incerto. È tra questi ultimi articoli, che esprimono una posizione sul “riscaldamento globale antropogenico”, dunque, che si ottiene il numero magico del 97,1 per cento.

Ma come osserva correttamente il prof. Battaglia, è il 97,1 per cento del 33,6 per cento, quindi in realtà solo un 32,6 per cento degli 11.944 articoli esaminati prende esplicitamente posizione a favore della teoria dell’origine antropica del riscaldamento globale o cambiamento climatico.

In realtà, il prof. Battaglia è stato fin troppo cauto e generoso. Ad un ulteriore approfondimento, infatti, la bufala risulta essere ancora più clamorosa.

Il “consenso” scientifico

Innanzitutto, una premessa molto importante. Dobbiamo sempre tenere a mente che la scienza non avanza attraverso il consenso, a colpi di maggioranza. Ovviamente il consenso della comunità scientifica va preso sul serio e considerato, ma non può esaurire il dibattito scientifico. Sarà banale ricordarlo, ma ai tempi di Galileo Galilei, il “97 per cento” degli scienziati (non solo bigotti e superstiziosi) credeva fermamente che fossero il sole e gli altri pianeti a girare intorno alla Terra.

Se poi coloro i quali sostengono la causa umana del cambiamento climatico si aggrappano ad un consenso immaginario, basato su una falsa rappresentazione del dibattito scientifico in corso, ciò è ovviamente degno di nota.

Dobbiamo inoltre far notare che l’articolo di Cook, come scrivono gli stessi autori, “è stato concepito come un progetto di citizen science da volontari che contribuiscono al sito web Skeptical Science“, un sito che si occupa di contrastare lo scetticismo e la disinformazione sul riscaldamento globale antropogenico.

Lo 0,3 per cento

Entriamo ora nel merito. Ciò che emerge è che non solo l’articolo esclude arbitrariamente dal conteggio 7.930 studi che non prendono alcuna posizione sull’argomento. C’è di più: quel cosiddetto “97 per cento”, che abbiamo visto in realtà essere un 32,6 per cento, include tre diversi gradi di consenso alla teoria dell’origine antropica del cambiamento climatico (Figura 1).

Fig. 1 – I tre livelli di sostegno alla tesi del riscaldamento globale antropogenico (Cook, 2013)

Solo gli studi che rientrano nella prima categoria sostengono esplicitamente che le attività umane sono la causa principale del riscaldamento. Nella seconda e nella terza categoria, che guarda caso includono la maggior parte dei lavori, rientrano quegli studi che riconoscono che le attività umane giocano un ruolo nel riscaldamento globale o cambiamento climatico, ma senza quantificarlo, o che le emissioni di gas serra sono responsabili del riscaldamento, senza tuttavia affermare esplicitamente che le attività umane ne siano la causa.

Un successivo studio del 2015, a firma David Legates e altri due autori, ha revisionato gli stessi 11.944 articoli scientifici esaminati da Cook, scoprendo che solo uno 0,3 per cento di essi (1,6 per cento escludendo i lavori che non si esprimono sull’argomento) sostiene la teoria delle attività umane come causa principale del riscaldamento globale, spacciata invece per verità scientifica al 97 per cento nel dibattito pubblico.

Sorprendentemente, rileva questo studio, Cook e i suoi collaboratori avevano essi stessi contrassegnato solo 64 articoli (lo 0,5 per cento degli 11.944 esaminati) a sostegno di questa tesi (Figura 2). Nessun articolo a sostegno della catastrofe imminente.

Fig. 2

Consenso immaginario

Dunque, l’articolo di Cook e soci, da cui trae origine la pretesa dei Verdi e degli attivisti, ha alimentato una falsa rappresentazione del consenso scientifico sulle cause del riscaldamento globale o cambiamento climatico. Il 97 per cento è un numero senza alcun fondamento. La stragrande maggioranza degli studi esaminati o non si esprime, o non ritiene le attività umane la causa principale, ma al più una concausa.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

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Politiche UE e Interessi Nazionali Italiani, di Piergiorgio Rosso

Politiche UE e Interessi Nazionali Italiani (di Piergiorgio Rosso)

 

In questo inizio d’anno sono emerse tutte insieme all’attenzione della cronaca italiana numerose decisioni dell’UE relative alla svolta energetica e ambientale. Il denominatore comune è: de carbonizzazione. Produzione di elettricità unicamente da fonti rinnovabili, riconversione dell’industria automobilistica alla produzione di veicoli a batteria, incremento della classe energetica degli edifici residenziali e non, riconversione dell’industria agro-alimentare con abbandono progressivo degli allevamenti di ovini, suini e bovini.

 

Nel merito della questione de-carbonizzazione abbiamo già preso posizione più volte in questo blog, ad esempio qui e qui. In questa nota ci concentreremo su alcuni aspetti delle prese di posizione dell’attuale governo italiano nei confronti delle summenzionate proposte UE.

 

Nel merito tecnico è difficile contestare la correttezza degli argomenti utilizzati. Esaminiamoli brevemente e sinteticamente uno per uno.

 

Veicoli a batteria (BEV) vs. bio-combustibili: fintantoché l’elettricità non sia prodotta al 100% da fonti rinnovabili anche l’utilizzo di BEV comporta emissioni. Al raggiungimento eventuale ….  molto eventuale … di questo obiettivo, l’estrazione e la raffinazione dei metalli necessari per le batterie comporterà continue emissioni aggiuntive. D’altra parte i bio-combustibili già da ora dovrebbero essere considerati “neutrali” in quanto la loro combustione emette la stessa quantità di CO2 precedentemente inglobata dalla biomassa attraverso la fotosintesi.

 

Classe energetica degli edifici: obbligare tutti alla medesima classe energetica – espressa in kWh al m2/anno – non ha molto senso. Le sensibili differenze climatiche fra Europa del nord e del sud fanno sì che anche con una classe energetica inferiore, le emissioni effettive annue di una residenza/ufficio da Roma in giù, possano essere minori di quelle di un edificio di classe superiore da Amburgo in su.

 

Eliminazione degli allevamenti intensivi: dal punto di vista delle emissioni ogni animale emette tanto carbonio quanto precedentemente catturato dall’atmosfera dalla biomassa di cui si ciba.

 

Ma allora se le argomentazioni tecniche sono a favore della posizione espressa dai ministri italiani, come mai queste non prevalgono? Chissà forse c’entra la Politica nel senso lagrassiano del conflitto fra nazioni per la supremazia. Certo qui in Europa non parliamo certo di poteri globali in alcuna sfera, ma più limitatamente e prosaicamente alla supremazia per la distribuzione dei sussidi UE (che sono poi risorse messe a disposizione dalle nazioni secondo certe quote e poi redistribuite internamente secondo …. i rapporti di forza). E che la Germania stia indirizzando queste risorse verso i suoi interessi nazionali, appare evidente ai più.

 

Per gli interessi nazionali italiani non c’è molto spazio fintantoché i ministri non costruiscano dal nulla esistente, una rete di funzionari lobbisti abili almeno quanto quelli tedeschi e francesi. Temiamo però che anche in questo caso non otterremmo soddisfazione. Una nuova classe dirigente non dovrà essere solo abile nelle trattative tra Commissione, Consiglio e Parlamento europei, ma dotata di una ben radicata autonomia ideologica rispetto ad una UE ancora concepita prevalentemente, sia a destra che a sinistra, come il luogo dove si prendono le decisioni.

 

Occorre prima sapere esercitare un confronto autonomo bilaterale fra nazioni, per noi soprattutto Francia e Germania, ristabilendo la corretta gerarchia degli interessi e dei poteri (sempre relativi perché siamo comunque tutti vassalli degli USA).

 

Per ora accontentiamoci della possibilità che le stesse recenti decisioni UE in materia energetica ed ambientale – con il protagonismo assoluto del vice presidente Timmermans – contribuiscano ad alzare il velo a livello di massa sulla reale e sottostante natura nazionalistica delle sue decisioni.

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RISCALDAMENTO DELL’INTERO SISTEMA SOLARE (The Imprecator),

Per decenni, gli ecologisti urbani, soprannominati ecolos piaghe, ci hanno molestato con i gas serra, “GHG”, che accusano come la causa principale del riscaldamento globale nell’atmosfera terrestre.

 

 

 Questi gas serra, dicono, sono prodotti dalle fabbriche, quindi dall’industria, dalle automobili e principalmente dai motori diesel, dal riscaldamento urbano e domestico e dall’eccesso di attività umane e di esseri umani. Quindi bisogna ridurre con urgenza l’attività industriale, fermare del tutto i veicoli a scoppio e sostituirli con quelli elettrici, fermare le nascite, riscaldare meno con un tetto che hanno arbitrariamente fissato a 19°C, senza tener conto di anziani, malati e portatori di handicap che, non potendo riscaldarsi durante il movimento, hanno bisogno di 20-24°C.

La nostra élite politica supremamente intelligente ha risolto immediatamente il problema con il maglione a collo alto e abbiamo potuto ammirare i tre pupazzi Macron, Borne e Le Maire sfoggiare in maglioni a collo alto nel bel mezzo del caldo periodo di ottobre e inizio novembre. Ma dopo aver fatto una bella risata ai francesi, hanno trovato un’altra soluzione altrettanto geniale, se i vecchi, i malati e gli handicappati soffrono il freddo, basterebbe sopprimerli e buona liberazione. La cosa divertente è che i due “zelanti intellettuali” che hanno dato questo consiglio ai politici sono Alain Minc e Jacques Attali, due vecchietti: Attali avrà ottant’anni nel 2023 e Minc lo seguirà presto.

Esistono diversi gas serra, di cui il vapore acqueo è il più abbondante, seguito dal metano; ma è la terza, la CO2 che hanno ritenuto colpevole, senza alcuna prova scientifica. Infatti la temperatura ha iniziato a salire a partire dal 1900 ed è aumentata di 1,6 gradi tra il 1900 e il 2000. Aumenterà ancora della stessa quantità, più o meno, tra il 2000 e il 2100. rispetto al picco termico di 5°C di il Medioevo che provocò siccità, ma anche migliori raccolti di cereali e frutta, riducendo così le carestie. C’è stato un raddoppio della popolazione europea. Tuttavia, il contenuto di CO2 dell’aria era molto più basso di oggi e non c’erano industrie, automobili o aerei e le barche erano a vela. D’altra parte c’era il metano a causa degli armenti di bovini e ovini.

Le popolazioni erano fondamentalmente rurali, compresa la nobiltà, e gli abitanti delle città avevano famiglie contadine. Tutti sapevano che il clima sulla terra è naturalmente instabile, e non esisteva ancora un IPCC la cui missione fosse quella di creare paura ad ogni minima variazione, paura che permettesse la tassazione e prendesse misure di privazione della libertà.

Ma soprattutto tutti sapevano che non è l’atmosfera a scaldare il clima, ma il sole . In Provenza le notti sono state tra 0° e -2°C per una decina di giorni, e le giornate tra 20 e 24°C con cielo azzurro e soleggiato. Il sole sorge alle 8:00 e il picco di calore viene raggiunto intorno alle 14:00. C’è quindi un aumento della temperatura dell’atmosfera di 24° in 6 ore, ovvero 4° all’ora e la CO2 non c’entra, il sole è l’unica causa di questo aumento di temperatura. Questo non spiega il lentissimo ma costante aumento della temperatura del globo.

L’INTERO SISTEMA SOLARE SI RISCALDA!

Tutto cambierà nella percezione del clima con la recente scoperta fatta dagli astronomi:

Tutti i pianeti del sistema solare si stanno riscaldando come la Terra!
Questo esclude definitivamente la CO2 come una delle principali cause del riscaldamento globale.

A meno che non corrano il rischio di ridicolizzarsi in modo permanente, i più ostinati e ostinati caldeggianti verdi avranno difficoltà a trovare fabbriche su Venere e inondazioni di auto diesel su Nettuno, o sovrappopolazione su Marte!

All’inizio c’è un grosso file in inglese; finisce con il riscaldamento globale del sistema solare e dei suoi pianeti.

Inizia mostrando che la temperatura globale da 600 milioni di anni non ha smesso di salire e scendere (la linea blu) mentre il contenuto di CO2 dell’atmosfera (la linea nera) è costantemente diminuito, a parte un rimbalzo tra -250 milioni e oggi.
E l’umanità non c’entra niente.

Quindi, mostra come, negli ultimi 12.000 anni, l’umanità si sia sviluppata nell’Olocene, un periodo geologico interglaciale, che è succeduto all’era glaciale del Pleistocene e che è stato caratterizzato da un aumento delle temperature e dal livello del mare.

E infine, questa è la spiegazione del riscaldamento del sistema solare.

IL SOLE È IL MOTORE DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Il Sole è il principale motore del cambiamento climatico.

Ora abbiamo prove del recente riscaldamento su altri pianeti!
Se la Terra si è riscaldata negli ultimi 100 anni, anche Giove, Nettuno, Marte e Plutone si sono riscaldati.

Giove

Giove è il pianeta più grande del sistema solare. La sua caratteristica più distintiva è la Grande Macchia Rossa, un’enorme tempesta che infuria da oltre 300 anni. Una nuova tempesta, chiamata Red Spot Jr, si è recentemente formata dalla fusione di tre tempeste di forma ovale tra il 1998 e il 2000. Le ultime immagini del telescopio spaziale Hubble suggeriscono che Giove sia nel bel mezzo di uno spostamento globale che potrebbe modificare le temperature fino a 10 gradi Fahrenheit in diverse parti del globo. Il nuovo temporale si è alzato in quota sopra le nuvole circostanti, segnalando un aumento della temperatura. Vedi Space.com

Nettuno

Nettuno è il pianeta più lontano dal Sole (il piccolo Plutone è stato declassato a pianeta nano) e orbita attorno al Sole a una distanza 30 volte maggiore di quella della Terra. Le curve mostrano l’aumento della temperatura

La figura (a) mostra la luce visibile corretta, dal 1950 al 2006; (b) mostra le anomalie della temperatura terrestre; (c) mostra l’irraggiamento solare totale come variazione percentuale per anno; (d) mostra l’emissione ultravioletta dal Sole.
Tutti i dati sono stati corretti per gli effetti delle stagioni di Nettuno, le variazioni nella sua orbita, l’inclinazione assiale apparente vista dalla Terra, la distanza variabile tra Nettuno e la Terra e i cambiamenti nell’atmosfera vicino al Lowell Observatory.

Ci sono anche forti prove del riscaldamento globale su Tritone, il più grande satellite di Nettuno, che si è riscaldato considerevolmente da quando la sonda Voyager lo ha visitato nel 1988. La tendenza al riscaldamento sta facendo sì che la superficie ghiacciata di Tritone si trasformi in azoto gassoso, che rende la sua atmosfera più densa.

Marzo

Uno studio recente mostra che Marte si sta riscaldando quattro volte più velocemente della Terra. Marte si sta riscaldando a causa della maggiore attività del Sole, che aumenta le tempeste di sabbia. Secondo gli autori dello studio, guidati dalla scienziata planetaria della NASA Lori Fenton, la polvere fa sì che l’atmosfera assorba più calore, provocando un feedback positivo. Le temperature dell’aria sulla superficie di Marte sono aumentate di 0,65 ° C (1,17 F) tra il 1970 e il 1990. Notano che il ghiaccio residuo sul polo sud di Marte si è costantemente ritirato nel corso degli ultimi quattro anni. Le immagini di Marte scattate dallo spettrometro termico della missione Viking della NASA alla fine degli anni ’70 sono state confrontate con immagini simili raccolte più di 20 anni dopo dal Global Surveyor.

Ghiaccio polare di Marte (si stanno sciogliendo, come quelli dell’artico sulla Terra)

Plutone

Secondo gli astronomi, anche il pianeta Plutone, che si sta allontanando dal Sole, sta subendo un riscaldamento. La pressione nell’atmosfera di Plutone è triplicata negli ultimi 14 anni, indicando l’aumento delle temperature anche quando il pianeta si allontana dal Sole.

IL CONSENSO SCIENTIFICO NON È MAI STATO UNA CERTEZZA

È prevedibile che gli ecologisti caldisti si uniranno alla maggioranza degli scienziati che sostengono che questa spiegazione è necessariamente errata “poiché esiste un consenso sul riscaldamento dovuto all’attività industriale e alla sua produzione di gas serra”.

Ricordiamo loro che da quando i Greci furono unanimi nel porre la Terra al centro dell’universo, il numero di errori consensuali da parte degli scienziati è stato considerevole. Vedi questo articolo che ne fa un inventario: https://www.matierevolution.fr/spip.php?article4866 .

Alcuni durano da secoli; come la certezza che l’isteria fosse una malattia femminile dovuta allo spostamento dell’utero nel corpo della donna che veniva curato con l’asportazione del clitoride. Cessa solo nell’Ottocento con il progresso della medicina. O, più di recente, la certezza che il Covid fosse stato trasmesso all’uomo dai pipistrelli, poi dalle squame dei pangolini, durata un anno quando già a marzo 2020 molti indizi dimostravano che il Covid-19 era un virus migliorato dal guadagno di- tecniche funzionali, fin dalla prima SARS.

E stiamo ancora aspettando che il ruolo della CO2 nel riscaldamento dell’atmosfera sia dimostrato scientificamente, non solo da un atto di fede da parte degli ecologisti e degli scienziati che li seguono.

https://www.minurne.org/billets/33454

Tutti i danni ambientali dell’Unione Europea, di Davide Gionco

Tutti i danni ambientali dell’Unione Europea

di Davide Gionco

Le ipocrisie ambientali dell’Unione Europea

In Europa siamo tutti ecologisti, da Ursula Von der Leyen e Greta Thunberg in giù.
Ce lo dicono tv e giornali: siamo tutti ecologisti, le politiche ambientali davanti ogni cosa.
E’ giusto: abbiamo un solo pianeta in cui vivere e non possiamo permetterci di rovinarlo, per rispetto delle generazioni future.
Ma i politici “europei”, supportati dal coro unico dei mezzi di informazione, però, ci dicono un’altra cosa.
Ambiente significa unicamente fare politiche e informazione per contrastare il cambiamento climatico causato dalle emissioni di CO2. Ogni disastro naturale serve a giustificare questo assioma, che si tratti di siccità, di piogge eccessive, di temperature troppo elevate.
TV e giornali ci martellano in tal senso ogni giorno.

Altri motivi di danneggiamento dell’ambiente, come la gestione delle scorie nucleari, l’immissione in ambiente di sostanze chimiche cancerogene (come i famigerati PFAS, sostanze perfluoroalchiliche), l’uso eccessivo di additivi artificiali nell’industria alimentare, la dispersione delle microplastiche nelle acque, al punto che sono entrate a far parte della catena alimentare, fino agli esseri umani… Tutti questi veri problemi ambientali è come se non esistessero nella narrativa del potere politico e mediatico.
Per loro essere ambientalisti significa unicamente ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera.

Non intendo entrare nel dibattito sulla fondatezza o meno delle teorie per cui l’aumento di temperatura del pianeta Terra sia causato dalle emissioni di CO2 e che l’aumento della temperatura sarà certamente causa di cambiamenti gravissimi per il genere umano.
Chiediamoci invece se siano dei motivi scientifici a portare i politici di non occuparsi di tutti gli altri problemi ambientali, ma solo delle emissioni di gas serra.
Quali sono i problemi ambientali più gravi che affliggono l’umanità, misurati in termini di rischi per la salute e la stessa vita delle persone?
Davvero siamo sicuri che la questione più importante sia il cambiamento climatico?

Ciascuno si informi e sia delle risposte su base scientifica, senza accodarsi alla narrativa a senso unico dei mezzi di informazione.

 

Il modello economico europeo è incompatibile con l’ambiente

Ma diamo per assunto che il cambiamento climatico sia il problema prioritario.
Davvero l’Europa porta avanti delle politiche in favore dell’ambiente, al di là dei proclami ufficiali?

Il problema di fondo dell’Unione Europea è l’assoluta inconciliabilità fra il modello economico adottato e le politiche ambientali.
L’Unione Europea è fondata prima di tutto su 3 principi neoliberisti:
1) Il libero commercio senza barriere
2) La competitività
3) Il settore pubblico che non interviene nell’economia

Il libero commercio senza frontiere mette in concorrenza i produttori sulla base dei prezzi dei prodotti commercializzati. Siccome produrre merci riducendo l’impatto ambientale costa di più che produrre merci senza preoccuparsi delle conseguenze ambientali, l’eliminazione delle barriere doganali favorisce le imprese che producono in paesi nei quali esistono meno controlli ambientali e le imprese che meno di altre si curano di rispettare l’ambiente.
Questo avviene a livello c0ntinentale, dove non a caso molti siti produttivi sono stati delocalizzati dai paesi in cui si usa energia più pulita e vi sono maggiori controlli ambientali ai paesi dell’Europa dell’Est, dove si usa energia a maggiori emissioni di CO2 (carbone) e dove i controlli ambientali sono più blandi.
Ovviamente il fenomeno è ancora più marcato a livello mondiale, con l’adesione di tutti i paesi dell’Unione Europea ai trattati di libero scambio come il WTO, tramite i quali si sono aperte le porte a prodotti provenienti da paesi di quasi tutto il mondo, nei quali i controlli ambientali sono sostanzialmente inesistenti.
Si pensi non solo all’impatto ambientale dei paesi dell’Est Asiatico come la Cina o l’India, ma anche alle condizioni in cui le imprese europee si procurano le materie prime nei paesi del Terzo Mondo, senza il minimo rispetto dell’ambiente, della salute umana, dello sfruttamento del lavoro minorile, eccetera.

Nel mondo del libero commercio e della competizione globale prevale sempre chi è più “economicamente più efficiente” ovvero chi riesce più di altri a non farsi carico delle ricadute ambientali delle attività economiche.
L’Europa avrebbe potuto creare un grande mercato interno continentale con le stesse regole di rispetto dell’ambiente uguali per tutti, nel quale chiunque avesse voluto produrre doveva prima di tutto rispettare queste regole e nel quale chiunque avesse voluto importare merci dall’esterno avrebbe dovuto imporre ai propri fornitori il rispeto di tali regole.
Un mercato ricco di 500 milioni di consumatori, con un prodotto interno lordo pari al 20% di quello mondiale, avrebbe avuto la forza di imporre questi standard a livello mondiale o comunque di preservare l’ambiente quantomeno sul territorio europeo.

Invece si è preferito dare spazio. all’unico dogma che conta, quello del libero mercato senza regole, quello della competizione fra imprese ad ogni costo, senza riguardi per le conseguenze ambientali.
Dietro a tutta la retorica sul cambiamento climatico la realtà è che l’Europa è fra i principali devastatori dell’ambiente a livello mondiale, in quanto si occupa solo, a parole, della riduzione delle emissioni di CO2, mentre nel contempo porta avanti politiche economiche che generano inquinamento nella stessa Europa, ma soprattutto  in altre aree del pianeta.

I principi del libero mercato e della competitività non sono per nulla compatibili con il rispetto dell’ambiente, se guardiamo oltre la propaganda martellante dei mezzi di informazione.

 

L’ipocrisia europea sulle emissioni di gas a effetto serra

Dando per assunto, sulla base della narrativa mediatica e non della scienza, che il problema principale da affrontare sia la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, proviamo a valutare l’efficacia delle politiche europee per la riduzione delle emissioni di CO2.

Attualmente le emissioni annuali di gas serra (CO2 equivalente) a livello mondiale sono dell’ordine di 35 miliardi di tonnellate, mentre l’insieme dei paesi dell’Unione Europea emette circa 1 miliardo di tonnellate l’anno- Ovvero le emissioni europee contano il 2,8% delle emissioni annue globali.
Quando Ursula Von der Leyen annuncia nel 2021 il piano europeo “Fit for 55” che prevede la riduzione del 55% delle emissioni europee di CO2 entro il 2030 non ci dice che questo sforzo consentirebbe di ridurre le emissioni globali dell’1,6% in 9 anni, a patto che tutti gli altri paesi del mondo nel contempo mantengano invariate le proprie emissioni di gas ad effetto serra.
Con ogni evidenza la riduzione mondiale dell’1,6% risulterà sostanzialmente irrilevante sull’eventuale effetto serra globale, mentre la riduzione del 55% delle emissioni europee  in soli 7 anni, causerà certamente una gravissima crisi economica in Europa.
Questo perché, pur realizzando impianti per la produzione di energia da fonti rinnovaili e mettendo in atto interventi di risparmio energetico, è del tutto irrealistico riuscire a ridurre le emissioni di CO2 addirittura del 7,9% all’anno, senza avere avuto il tempo di quadruplicare (come minimo) il numero di lavoratori nel settore (ingegneri, operai specializzati, ecc.). Di conseguenza una tale riduzione delle emissioni potrà essere conseguita solamente riducendo in modo molto rilevate le attività produttive e mantenendo gli edifici al freddo in inverno.
E questo significherà disoccupazione e impoverimento.
Tutto questo per conseguire una misera riduzione a livello mondiale del solo 1,6% delle emissioni di CO2, senza alcun effetto rilevante sul cambiamento climatico.

Ovviamente, in un regime di libero commercio, i concorrenti extraeuropei delle nostre imprese continueranno a produrre emettendo CO2. Anzi, lo faranno di più, perché i cittadini europei saranno obbligati ad importare da fuori Europa ciò che in Europa, per le restrizioni ambientali, non potrà più essere prodotto.
L’Unione Europea avrebbe potuto ottenere molto di più esigendo dai fornitori internazionali del mercato europeo degli standard ambientali più adeguati. Ma non lo ha fatto, per non andare contro i principi fondanti del libero mercato e della competitività ad ogni costo.

 

L’ipocrisia europea nell’attuale crisi energetica

Nel rispetto dei soliti principi neoliberisti l’UE ha privatizzato e liberalizzato il mercato europeo dell’energia, istituendo la borsa del gas naturale TTF di Amsterdam e la borsa dell’energia elettrica EER di Lipsia.
Le regole di quotazione dei prezzi sono state scritte in modo da favorire i massimi guadagni agli speculatori. Ci riferiamo alla regola dei
prezzi marginali ed alla possibilità di scambiare in borsa quote virtuali di energia ovvero energia non realmente posseduta da chi la vende, che hanno fatto salire di 10 volte la quantità di energia quotata, con quantità pari a 10-15 volte le quantità reali di energia disponibile presso i produttori.

Queste regole tipiche della speculazione finanziaria hanno esasperato le conseguenze di situazioni “negative” per il mercato dell’energia.
La prima situazione negativa è stato proprio il piano europeo “Fit for 55”, che per limitare le emissioni di CO2 ha previsto la vendita all’asta delle quote di emissioni di CO2 consentite (il 45% restante).
Essendo concretamente impossibile ridurre di così tanto le emissioni di CO2 in soli 6 anni, gli investitori hanno anticipato gli effetti del razionamento delle quote di emissioni di CO2, che porteranno ad un aumento dei combustibili fossili.
Questa è stata la principale ragione degli aumenti dell’energia che già si erano registrati lo scorso autunno 2021.
La seconda situazione negativa sono state le sanzioni imposte alla Russia, conseguenti del conflitto in Ucraina.
L’obiettivo irrealistico di affrancarsi nel giro di pochi mesi dal fabbisogno di gas naturale russo, che rappresentava fino ad un anno fa circa il 40% del fabbisogno europeo, essendo noto, a chi conosce i dati reali, che tutti gli altri paesi produttori di gas naturale al mondo sono in grado, con le infrastrutture disponibili attualmente e nei prossimi 3-4- anni,  di sostituire la fornitura di gas russo. Quindi questo significa a priori la decisione di ridurre la disponibilità di gas in Europa, portando a razionamenti certi (tagli alle attività produttive, famiglie al freddo) e far salire i prezzi del gas alle stelle, in quanto si tratta di un bene primario a cui imprese e famiglie non possono rinunciare tanto facilmente.

Una conseguenza di queste decisioni è che ora molte auto che viaggiavano a gas metano, meno inquinante, ora inquinano di più viaggiando a benzina, che costa meno del gas.

Una seconda conseguenza deriva dal legame fra il prezzo dell’energia elettrica al prezzo del gas.
L’Unione Europea ha deciso che ci debba essere un unico mercato non solo del gas (borsa TTF di Amsterdam), ma anche dell’energia elettrica (borsa EER di Lipsia), con le regole per le quali il prezzo dell’energia elettrica viene determinato dalla fonte produttiva più costosa in circolazione, che attualmente è la produzione di energia elettrica mediante combustione di gas naturale. Sul mercato dell’energia elettrica non si fa più distinzione fra energia da fonti rinnovabili ed energia da fonti fossili. Tutta l’energia viene venduta allo stesso prezzo.
In una logica di politiche ambientali, invece, dovrebbe essere favorita la vendita di energia da fonti rinnovabili rispetto a quella prodotta da fonti fossili.
La conseguenza di queste dinamiche è che attualmente molti paesi si stanno orientando, sia per la carenza di gas che per questioni di prezzo, a produrre energia elettrica bruciando petrolio o carbone, emettendo molta più anidride carbonica di quanta se ne emetterebbe usando il gas naturale e senza incentivare lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Una terza conseguenza derivante dalle sanzioni alla Russia è che i russi sono obbligati a bruciare il gas metano preveniente dai loro giacimenti, dato che non può più essere venduto in Europa e date che, per motivi tecnici, è molto complesso “chiudere i rubinetti” del gas estratto dai giacimenti.
Per questo motivo, in passato, i contratti fra ENI e Gazprom prevedevano la fornitura di un flusso costante di gas per 20-30 anni e procedure obbligatorie di stoccaggio in Italia, il che consentiva nel contempo di minimizzare i costi per entrambe le parti e assicurare rifornimenti certi di energia per imprese e famiglie italiane.
Oggi, purtroppo, le esigenze della finanza europea e della geopolitica americana hanno prevalso sulle esigenze tecniche, portando Gazprom a bruciare il gaz metano che non viene venduto in Europa.
Il risultato di tutto questo è che vengono aumentate le emissioni di CO2 in Europa per la combustione di petrolio e di carbone in sostituzione del gas, mentre restano le emissioni di CO2 causate dalla combustione del gas russo che non può essere venduto dopo essere stato estratto.
Se a livello italiano siamo governati da incapaci, a livello europeo siamo governati da geni dell’inefficienza.
E ringraziamo che i russi brucino il gas naturale invenduto, perché se lo emettessero direttamente in atmosfera l’effetto serra del gas metano sarebbe di 25 volte superiore a quello della stessa CO2. Bruciando il gas l’effetto serra potenziale viene per fortuna ridotto di 24 volte.

Le attuali politiche europee stanno quindi caricando su cittadini e imprese europei tutti i costi derivanti dall’ideologia della riduzione delle emissioni di CO2 ad ogni costo e tutti i costi di scelte geopolitiche, pur se ufficialmente dipendenti dalla guerra in Ucraina, molto mal ponderate nelle loro conseguenze.

Personalmente mi chiedo come sarebbe andata a finire se i 1200 miliardi di euro di extracosti energetici che l’Unione Europea ha già dovuto subire negli ultimi 12 mesi fossero stati messi, come piano di accordi commerciali, sul tavolo delle trattative di pace fra Russia ed Ucraina. Probabilmente sarebbero stati un argomento sufficientemente convincente per mettere a tacere le armi, trovare una soluzione pacifica ed evitare decine di migliaia di morti.


L’insostenibilità del “meno stato più mercato”

Il terzo principio neoliberista fondante dell’Unione Europea , sopra citato, prevede la riduzione dell’intervento dello stato nell’economia, se non come strumento per tassare sempre di più cittadini e imprese, e per favorire lo strapotere delle multinazionali con regole truccate.
Per questo obiettivo l’Unione Europea continua, fin dalla sua costituzione nel 1992, a comprimere i bilanci degli stati, imponendo rigore di bilancio e tagli agli investimenti pubblici.
In questo modo molti paesi, soprattutto quelli meno ricchi e più indebitati, non hanno la possibilità di fare investimenti pubblici e strategici per ridurre l’impatto ambientale.
Il primo investimento da fare sarebbero i controlli sulle attività produttive inquinanti.
Ma i controlli costano. Meno spesa pubblica = più attività inquinanti.

Oltre a questo, per le stesse ragioni, lo Stato non ha i soldi per realizzare, ad esempio, impianti solari o interventi di risparmio energetico negli edifici pubblici.

Lo stato non hanno neppure la possibilità di intervenire sul mercato dell’energia, razionalizzando e rendendolo più funzionale alla sostenibilità ambientale, evitando i fenomeni illustrati nei paragrafi precedenti.
E’ del tutto evidente che per poter rendere disponibile per un grande paese come l’Italia energia da fonti rinnovabili per tutti serva un soggetto che sia in grado di fare investimenti al di là delle dinamiche dei mercati, in grado di realizzare interventi strategici a beneficio di tutti e dell’ambiente e che abbia tutto l’interesse a ridurre i consumi complessivi di energia, non avendo da guadagnarci sulla vendita, cosa che non succede per gli operatori privati che lucrano sulla vendita di energia.
Ad esempio interventi come l’adeguamento della rete elettrica, oggi strutturatsa con “grossi cavi” (mi scusino i colleghi ingegneri elettrici, ma è per rendere il concetto elettrotecnico facilmente comprensibile) in prossimità delle poche centrli di produzione e con “piccoli cavi” in prossimità degli utilizzatori. Per poter immettere in rete e redistribuire l’energia prodotta sugli edifici dagli impianti fotovoltaici serve installare dei nuovi cavi “più grossi” in prossimità degli utilizzatori-produttori, in modo che l’energia non si disperda per effetto Joule.
E serve realizzare delle “smart grid”, sistemi intelligenti che consentano di coordinare prevalentemente il consumo di energia elettrica nelle ore in cui il sole ci consente di produrne di più, dato che l’energia elettrica è difficile da immagazzinare in grandi quantità.
Tutto questo in Italia non lo si è ancora fatto, proprio perché lo Stato non dispone della libertà finanziaria per farlo (oltre alla mancanza di volontà politica, per incompetenza di chi ci governa).

Tutto questo, che sarebbe logico nell’ottica di politiche ambientali, è irreliazzabile restando nelle regole dell’Unione Europea e restando nella politica di mercato.

 

L’irreformabilità dell’Unione Europea
A questo punto gli amici ecologisti, sostenitori dell’Unione Europea, perché convinti che i problemi ambientali sono globali e non possono essere risolti su scala nazionale, mi diranno di essere d’accordo con le considerazioni sopra espresse, per cui l’unica cosa fa fare è perseguire una vera riforma dell’Unione Europea in chiave ambientalista, liberandola dalle logiche di mercato.

A questi amici io rispondo con un’altra domanda:
In quale modo noi potremmo oggi determinare una totale riscrittura dei trattati europei mettendo d’accordo 27 paesi, senza che nessuno ponga il veto, compresi quelli che lucrano dall’attuale situazione di speculazione finanziaria selvaggia sul mercato dell’energia, compresi quelli che lucrano sulla combustione del carbone e compresi quelli che lucrano sulle importazioni di merci dai paesi più inquinanti del mondo?
E mai ci dovessimo riuscire, quanti anni ci vorrebbero per convincere 450 milioni di cittadini europei?
Ma soprattutto per convicere i loro governanti, sempre attenti agli interessi delle lobbies economiche e molto poco a quelli dei cittadini.

E chiedo ancora:
In quale modo potremmo noi concretamente sfiduciare la Ursula Von der Leyen di turno nel caso in cui portasse avanti politiche che si dimostrino opposte agli interessi ambientali?
Abbiamo forse la possibilità concreta di votare la caduta della Commissione Europea persostituirla con un’altra di altra linea politica?

Oppure è più realistico pensare riformare questo sistema politico-economico iniziando, dal basso, a boicottare sistematicamente le attività economiche inquinanti e a favorire le attività economiche non inquinanti?

L’attuale Unione Europea, al di là dei proclami di facciata, è di fatto una vera e propria calamità per le questioni ambientali, in quanto gli unici veri obiettivi perseguiti sono gli interessi finanziari dei mercati, scaricando sui cittadini i costi e i danni causati dalle conseguenze ambientali delle loro attività.
E sono una calamità tutti coloro che sostengono questa istituzione sovranazionale.
Non è possibile coniungare ambientalismo ed ecologia.
Se ci dicono di volerlo fare, ci stanno solo ingannando, per darsi una facciata più credibile mentre perseguono obiettivi ben di altro tipo.

Abbiamo la possibilità di costruire una società diversa, a misura d’uomo e di ambiente, ma solo a patto di rifiutare in blocco meccanismi del mercato libero, della competitività e della non ingerenza dello stato nell’economia. E, quindi, l’Unione Europea.

Il problema di matematica di base che annulla l’isteria del riscaldamento globale_ Di Maker S. Mark

Se qualcuno propone una soluzione a un “problema esistenziale” che non ha possibilità di successo, dovremmo essere costretti a prendere sul serio il problema?

Se gli allarmisti climatici credono davvero che ci sia un’emergenza climatica, allora dovrebbero essere in grado di rispondere alla prima domanda fondamentale sul “piano”. I numeri del piano sono raggiungibili anche a distanza? Ricorda: in base al loro stridio, abbiamo solo dodici anni prima di morire tutti a causa del “cambiamento climatico provocato dall’uomo”.

Per rispondere a questa domanda, scomponiamo parte del piano nel problema matematico più elementare: possiamo sostituire il 25%, il 50% o il 75% delle auto in circolazione in dieci anni? Per comprendere la possibilità teorica, semplificheremo questo in quanti anni ci vorranno per sostituire tutti i veicoli su strada negli Stati Uniti

Inizierò con quanti veicoli sono in circolazione oggi negli Stati Uniti. Secondo questo link , nel 2020 erano 286 milioni. Lo arrotonderò a 300 milioni per semplificare i calcoli.

Quanti veicoli totali vengono venduti ogni anno negli Stati Uniti?  Questo collegamento risponde che ogni anno negli Stati Uniti viene venduta una media di poco meno di 15 milioni di veicoli (supponendo che i veicoli venduti e la capacità di produzione siano correlati).

Quanti veicoli elettrici vengono prodotti negli Stati Uniti? Da questo link ne produciamo meno di 1 milione. Arrotonderò a un milione per il mio calcolo.

Il semplice problema di matematica è: quanti anni ci vorranno per sostituire tutte le auto negli Stati Uniti con veicoli elettrici (totale negli Stati Uniti arrotondato per eccesso / volume di produzione medio all’anno)?

È 300M / 15M/anno = 20 anni. Ciò presuppone due cose importanti: in primo luogo, non ci sono nuove aggiunte nell’economia di conducenti e veicoli. In secondo luogo, che possiamo convertire tutta la produzione in veicoli elettrici durante la notte.

Se credi che moriremo tutti tra 12 anni, siamo in ritardo di otto anni per passare a tutti i veicoli elettrici, anche se le ipotesi di fondo fossero possibili.

Questo semplice problema di matematica mostra che le persone che urlano di più non hanno una soluzione seria al problema esistenziale del “cambiamento climatico provocato dall’uomo”. La situazione automobilistica negli Stati Uniti da sola non può essere risolta in vent’anni, per non parlare di dieci anni.

Ecco dove la matematica diventa un po’ più divertente:

Se attualmente produciamo 1 milione di veicoli elettrici all’anno e stiamo lottando per ottenere i materiali per raggiungere quel numero, qual è il numero massimo di veicoli elettrici che possiamo produrre senza una “bacchetta magica”?

Sarò generoso e dirò che al massimo possiamo aspettarci di triplicare la produzione a 3 milioni all’anno. Se abbiamo bisogno di 300 milioni da produrre (300 milioni / 3 milioni/anno = 100 anni), ciò significa che ci vorranno 100 anni solo per sostituire tutti i veicoli su strada. Le aziende stanno già lottando per ottenere i minerali necessari per le batterie. Quando proviamo a passare da 1M a 2M, peggiorerà e sarà più costoso. Non riesco nemmeno a immaginare i costi e l’impatto ambientale del tentativo di passare da 2 a 3 milioni. La mia previsione è che in dieci anni, il meglio che possiamo sperare di ottenere negli Stati Uniti sia sostituire dal 10% al 15% dei veicoli su strada con veicoli elettrici.

Le persone poco serie, che non sanno fare questa matematica di base, non possono assolutamente comprendere la complessa scienza coinvolta nello studio del clima. I numeri non mentono. La loro soluzione non risolverà il “problema climatico creato dall’uomo” senza una bacchetta magica per sostituire ogni veicolo negli Stati Uniti in una o anche due generazioni.

I membri dell’amministrazione Biden hanno iniziato a dire che abbiamo bisogno del dolore per ottenere il guadagno. Vi dimostro ora che non è possibile produrre abbastanza veicoli in 12 anni o in 25 anni. Pertanto, questo è sicuramente tutto dolore e nessun guadagno. Distruggendo l’industria dei combustibili fossili degli Stati Uniti, sembra che siano determinati a distruggere l’economia statunitense dall’interno.

Pertanto, perché stanno spingendo questo programma e questa soluzione ridicola? Se credi che la “catastrofe climatica provocata dall’uomo” sia dietro l’angolo, in che modo la distruzione degli Stati Uniti e dell’economia mondiale aiuterà? La risposta semplice è “non lo farà”. Gli Stati Uniti sono la nazione più innovativa nella storia del mondo. Se ci togli dall’equazione, i problemi seri non possono essere risolti.

Per coloro che dicono che i globalisti hanno un piano, posso assicurarvi sulla base di questa matematica di alto livello che non hanno un piano serio per affrontare il “cambiamento climatico causato dall’uomo” (se ci credono davvero). Probabilmente ci vorranno trilioni di dollari iniettati nell’economia mondiale e dai trenta ai quarant’anni per sostituire tutti i veicoli a gas con quelli elettrici (supponendo che possiamo trovare i minerali e i componenti per produrre le batterie).

Senza la bacchetta magica a cui fanno riferimento ripetutamente i globalisti, non c’è modo di produrre abbastanza veicoli elettrici per fare la differenza. La vera domanda allora diventa: perché spingono a convertirsi ai veicoli elettrici (non servirà in tempo) per risolvere un “problema esistenziale”? Penso che dobbiamo “seguire i soldi” per scoprirlo.

Personalmente, continuerò il lavoro sui problemi di matematica e sulla scienza reale per sfatare il mito del “cambiamento climatico provocato dall’uomo”. Raccomando di non ascoltare le persone che non vogliono o non sono in grado di completare i problemi di matematica di base quando risolvono questa cosiddetta crisi. Le soluzioni poco serie non faranno nulla per aiutare un problema poco serio.

Maker S. Mark (uno pseudonimo) è un patriota che può capire e spiegare matematica e scienze avanzate ed è preoccupato per lo stato della nazione e come risolvere i problemi che dobbiamo affrontare. Uniti vinciamo divisi perdiamo.

https://www.americanthinker.com/articles/2022/08/the_basic_math_problem_that_undoes_global_warming_hysteria.html

IL RISCALDAMENTO GLOBALE HA UNA BUONA SCHIENA, di Xavier Jésu

65 milioni di anni fa, poco prima che i dinosauri si estinguessero, la temperatura media sulla superficie terrestre era di 25°C, dieci gradi più calda di oggi, e le calotte polari nord e sud erano scomparse…

 

 

 

Ci doveva essere un motivo valido per spiegare le alte temperature della scorsa settimana che hanno contribuito all’espansione dei drammatici incendi in Gironda: “Riscaldamento globale”: anche questa espressione viene discretamente sostituita da “cambiamento climatico”. , che non è più a lungo la stessa cosa. La seconda formulazione mi sembra, diciamo, più ragionevole e riposiziona il problema in una dimensione più fatalistica che incriminante. Mi spiego (come direbbe Zemmour): il termine “riscaldamento” è stato, sin dal primo rapporto dell’IPCC nel 1990, correlato quasi esclusivamente all’attività umana; il famoso antropomorfismo. Il termine “perturbazione” sembra piuttosto essere attribuito a una forma di fatalità distribuendo equamente l’influenza della popolazione e quella dell’evoluzione naturale del nostro pianeta. Inoltre, nel 2019 Patrick Moore, co-fondatore ed ex presidente di Greenpeace Canada aveva denunciato, e cito: “la bufala globale del riscaldamento globale antropogenico! ” Solo quello !! Ha descritto, in un’intervista alla rivista Breitbart News, “le macchinazioni ciniche e corrotte dei governi in mancanza di progetti politici che alimentano la truffa intellettuale e fiscale del riscaldamento globale di origine umana. “. “le macchinazioni ciniche e corrotte dei governi in mancanza di progetti politici che alimentano la truffa intellettuale e fiscale del riscaldamento globale provocato dall’uomo. “. “le macchinazioni ciniche e corrotte dei governi in mancanza di progetti politici che alimentano la truffa intellettuale e fiscale del riscaldamento globale provocato dall’uomo. “.

PRIMA DELL’IPCC

Ma, per tornare davanti all’IPCC, il 29 giugno 1989 l’Ufficio delle Nazioni Unite per l’ambiente annunciò che, 10 anni dopo (cioè nel 1999 se i miei calcoli sono corretti…), diversi paesi rischiavano di scomparire a causa dell’elevazione degli oceani e mari di 1 metro… Che fu ritrasmesso, all’epoca, da Antenne2 (A2) su un giornale presentato da Henri Sannier in prima serata. (Fonte INA).

Ora sappiamo che dal 1880 il livello medio degli oceani è aumentato di circa 25 cm, o 1,7 mm all’anno, supponendo che le misurazioni del 1880 siano affidabili….

MA LA MACCHINA INFERNALE ERA A POSTO!

Non abbiamo più parlato dello strato di ozono o delle piogge acide. Tutto questo era sparito. Avevamo bisogno di una ragione quasi non verificabile per i comuni mortali che servisse da sfogo per tutto ciò che è sbagliato sulla terra.

Ecco tre esempi piuttosto nitidi:

  • Nel 2019, un funzionario della città di Parigi ha giustificato la sporcizia della capitale a causa del… riscaldamento globale che ha fatto uscire le persone a fare picnic all’aperto e quindi ha attirato i topi (diremmo i topi oggi) (Fonte Valeurs Actuelles 21/02/2019)
  • Più di 2.000 morti in più per ferite mortali ogni anno negli Stati Uniti. Questa è la conclusione di uno studio pubblicato sulla rivista  Nature Medicine il 13 gennaio 2020. I ricercatori dell’Imperial College London (UK) e della Columbia University di New York (USA) hanno analizzato i dati per 6 milioni di decessi per lesioni mortali negli Stati Uniti. Questi stessi dati sono stati correlati all’evoluzione delle temperature tra il 1980 e il 2017. (Fonte Sciencepost del 02/02/2020)
  • In seguito alla scoperta dell’America, i coloni uccisero così tanti nativi americani (56 milioni, causati da massacri di nativi americani ed epidemie di malattie portate dai coloni) che la terra divenne fredda a causa di un calo dello sfruttamento della terra, storicamente mantenuto da Nativi americani, che ha portato a un calo delle emissioni di Co2, e luppolo, raffreddamento di tutta la terra… (Fonte Slate del 02/02/2019)

AH! SCIENZA …

Nel 1990, l’IPCC prevedeva un aumento della temperatura di 0,35°C per decennio. Infine, nel 2017, la realtà misurata aveva fornito 0,095°C per decennio.

La tendenza generale è di attribuire alla Co2 la principale responsabilità di questo aumento della temperatura, e quindi, da causa ad effetto, all’attività umana. Tuttavia, secondo gli studi del geofisico e membro dell’Accademia delle scienze, Vincent Courtillot, la temperatura è aumentata allo stesso ritmo dal 1910 al 1940 dal 1970 al 2000, mentre le emissioni sono state molto più elevate dal 1970 al 2000. e che la temperatura è diminuita dal 1940 al 1970 poiché le emissioni sono aumentate notevolmente. Inoltre, Vincent Courtillot ha mostrato la stretta relazione tra l’attività solare e l’aumento della temperatura sulla terra. E curiosamente, Elon Musk aveva annunciato nel febbraio 2022 che a causa di una tempesta magnetica, fino a 40 satelliti della sua compagnia non potevano essere schierati dopo il loro lancio. E SpaceX per chiarire:

A gennaio 2017 ci è stato detto che gli scienziati “avrebbero fatto” una scoperta intrigante: 125.000 anni fa, il livello degli oceani era da sei a nove metri più alto del livello attuale, ma le temperature superficiali degli oceani erano simili a quelle viste oggi.

QUALI CONTRADDIZIONI SONO PORTATE ALL’IPCC?

In effetti sono tanti: secondo alcuni siti, la NASA ammetterebbe che il cambiamento climatico è dovuto ai cambiamenti dell’orbita solare terrestre, e non ai SUV (un piccolo cenno a d’Hidalgo) o ai combustibili fossili. Ma non appena questa ipotesi è stata affermata, la stampa si è affrettata a smantellarla. Il problema è lì: i rapporti dell’IPCC sono considerati sintesi infallibili (anche quando si passa da una temperatura di 0,35°C per decennio a 0,095°C…) dall’intera classe politica. Tutto il resto è solo un’ipotesi più o meno inverosimile per gli scettici del clima di estrema destra. Quindi Vincent Courtillot è un ciarlatano estremista? Ha lavorato con Bertrand Delanoë, mi sembra, e quest’ultimo non era al FN. Potremmo almeno riconoscerlo?

Dal 1990, se si ha la sfortuna di esprimere il minimo dubbio sulle conclusioni ( proposte) che ci vengono imposte, si ricorre nuovamente alla tecnica della stella gialla appiccicata sul petto: “sei un climatoscettico” la cui definizione in il “piccolo manuale di buon senso” potrebbe essere: “l’altezza della stupidità di un sottoproletariato di cospiratori di destra” (potremmo anche, volendo, allegare tutte queste parole per farne una categoria che la “Verità” (implicito: “sinistra”) il mondo ama usare.

E COME INTERPRETARE TUTTE LE INFORMAZIONI RACCOLTE?

Tutto dipende dai modelli utilizzati per sfruttare questi miliardi di dati. Ma per me c’è una sola certezza, che è che nulla è certo e che i vari e vari risultati di studi e/o pseudo-studi sono soprattutto armi politiche. Tutti tendiamo a volere solo informazioni che confermino il nostro punto di vista: è comodo e confortante. Ma un vero scienziato ama le analisi contraddittorie e accetta metodologie diverse dalla sua che possono dare o gli stessi risultati dei suoi, o risultati radicalmente diversi. Questo è il bello della scienza.

Ma ahimè, “Il dibattito sul cambiamento climatico non riguarda la scienza. Questo è uno sforzo d’élite per imporre controlli politici ed economici sulla gente”, ha scritto un commentatore del programma radiofonico Hal Turner.

I “politici” sono i primi ad averlo capito.

Come non insospettirsi, allora, dopo aver sentito tante certezze vero-false durante la Guerra del Golfo (armi chimiche), e più recentemente sul Covid (mascherine inutili)? Come chiedere alla popolazione di accettare nel suo insieme ciò che le viene costantemente lanciato con una forma di condiscendenza che diventa più che dubbia, persino oscena?

Sta a noi essere vigili e critici perché, come ha detto Agatha Christie:

“Un popolo di pecore finisce per partorire un governo di lupi”

https://www.minurne.org/billets/31959