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Il New Deal bruno_di Forum Geopolitica

Il New Deal bruno, parte I

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Il cambiamento climatico non è causato dall’uomo. E il Green New Deal non è altro che un progetto commerciale volto ad arricchire persone che non fanno nulla, basato su una narrazione falsa e allarmistica.

dim. 16 nov. 2025426452

Il Green New Deal è morto. È stato Trump ad annunciarlo. Parlando davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, senza teleprompter né copia stampata del suo discorso, ha definito il cambiamento climatico «la più grande truffa mai perpetrata al mondo». Ha aggiunto: “Se non vi allontanate da questa truffa verde, il vostro Paese andrà in bancarotta”. È seguita immediatamente una “reazione degli esperti”, del tipo “Trump mette in pericolo la vita e il benessere degli americani e delle popolazioni di tutto il mondo negando erroneamente le realtà del cambiamento climatico”. Gli “esperti” in questione erano, ovviamente, i cosiddetti “climatologi”, persone che non sono in grado di prevedere il tempo che farà tra due settimane, ma che pretendono di poterlo prevedere tra due secoli, perché il clima non è altro che un termine sofisticato per indicare il tempo che fa se si prende le distanze.

A quali bugiardi credere: il buffone truffatore e millantatore che cerca sempre di bluffare per concludere un “affare” redditizio, o gli pseudo-scienziati egoisti con i loro falsi pseudo-modelli climatici, le cui sovvenzioni sono garantite solo finché continuano a prevedere una catastrofe climatica e a presentare le tecnologie verdi finanziate dai contribuenti come l’unico modo per evitarla?

Come dice un famoso proverbio russo, «Se sulla gabbia di un elefante c’è scritto “bufalo”, non credete ai vostri occhi». Dovreste piuttosto credere a me; vi mentirei forse? Certo che no! Non sono un «climatologo» (grazie a Dio), ma ne so abbastanza di scienza da distinguere la vera scienza dalla falsa scienza. Mi ci è voluto molto tempo per capire che la scienza del riscaldamento globale era falsa. (Ero più credulone quando ero più giovane).

Inoltre, ho ormai vissuto abbastanza a lungo da poter testimoniare il fallimento di alcune delle vecchie previsioni catastrofiche, il che mi ha insegnato a ignorare le altre, poiché sono tutte basate sulla stessa tecnica: i climatologi creano modelli informatici che poi pretendono con arroganza rappresentino non solo la realtà, ma anche il futuro! Che faccia tosta! Naturalmente, i modelli informatici prevedono tutto ciò che i loro operatori vogliono che prevedano. Modificano i parametri fino a quando non appare la risposta desiderata. È ovvio che un modello che prevede l’arrivo della prossima era glaciale non è utile per ottenere sovvenzioni di ricerca dal governo.

Il cambiamento climatico è ovviamente reale; il clima terrestre, inteso come generalizzazione statistica delle condizioni meteorologiche, è in costante mutamento, in modo prevedibile nell’arco di pochi giorni, ma imprevedibile su periodi più lunghi. Esistono alcune regolarità legate all’orbita terrestre e al comportamento ciclico del Sole, ma questi modelli si sovrappongono a numerosi elementi che ci sembrano del tutto casuali. In altre parole, esistono certamente alcune caratteristiche su larga scala che sono in qualche modo prevedibili, ma su una scala temporale che rende tali previsioni irrilevanti dal punto di vista della storia umana.

In termini molto generali, la Terra sta attualmente avvicinandosi alla fine di un periodo interglaciale (la Terra si trova nel mezzo di una sequenza di periodi glaciali iniziata circa 2,6 milioni di anni fa, durante un periodo noto come glaciazione quaternaria). Da allora, ha vissuto periodi glaciali e interglaciali ricorrenti, l’ultimo dei quali è terminato circa 11.700 anni fa. Entro un millennio, l’emisfero settentrionale potrebbe iniziare a ricoprirsi di una calotta glaciale e l’Antartide di un ampio strato di ghiaccio… ma non trattenete il respiro, i risultati potrebbero variare. L’idea che noi, una specie di scimmie che corrono sulla superficie del pianeta, possiamo fare qualcosa per influenzare il corso degli eventi è ovviamente assurda.

Tuttavia, tra queste scimmie ci sono alcuni appassionati del riscaldamento globale che continuano a parlare di quello che chiamano “effetto serra”: alcuni gas presenti nell’atmosfera terrestre, chiamati “gas serra”, intrappolano la radiazione solare, riscaldando così la bassa atmosfera e la superficie del pianeta. L’unico gas serra significativo è il vapore acqueo: le nuvole fungono da coperta calda per impedirci di congelare durante le notti invernali, mentre l’elevata umidità delle calde giornate estive impedisce al nostro sudore di evaporare, il che può causare colpi di calore.

Ma i sostenitori del riscaldamento globale si concentrano piuttosto sull’anidride carbonica, un gas presente in quantità minime (alcune parti per milione), insufficienti a fare la differenza. Il più grande serbatoio di anidride carbonica del pianeta non è l’atmosfera, ma l’oceano, poiché l’anidride carbonica è solubile in acqua e la sua concentrazione nell’atmosfera dipende dalla temperatura dell’acqua marina. Gli oceani rilasciano anidride carbonica quando si riscaldano e assorbono facilmente l’eccesso di anidride carbonica atmosferica quando si raffreddano, mantenendo così un equilibrio basato sulla temperatura. L’analisi di antiche carote di ghiaccio ha dimostrato che i cambiamenti nelle concentrazioni di anidride carbonica atmosferica seguono i cambiamenti di temperatura e quindi non possono esserne la causa.

Il biossido di carbonio è asfissiante per noi esseri viventi che respiriamo ossigeno (a concentrazioni superiori al 4%), ma è poco tossico a concentrazioni più basse, come quelle che si trovano intorno a un falò. Ancora più importante, è un elemento nutritivo essenziale per le piante: queste trasformano l’anidride carbonica in zucchero e cellulosa utilizzando la luce viola-blu e arancione-rossa, mentre la luce verde viene riflessa. Pertanto, livelli più elevati di anidride carbonica sono benefici per la silvicoltura, l’agricoltura e la vita sulla Terra in generale, mentre gli attuali livelli di anidride carbonica sono troppo bassi per una crescita ottimale delle piante.

L’idea che la combustione di combustibili fossili aumenterà le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica a lungo termine, causando un aumento delle temperature globali e provocando un riscaldamento climatico catastrofico e cataclismico è… cosa già? Ah sì, sarebbe “una stronzata pseudo-scientifica catastrofista”. L’anidride carbonica in eccesso renderà felici le piante (e gli agricoltori) per un po’, ma poi gli oceani assorbiranno l’eccesso. Fine della storia.

Il motivo per cui ci hanno imposto queste sciocchezze pseudo-scientifiche è il denaro: i politici e le aziende dei paesi occidentali hanno pensato di poter utilizzare il pretesto del riscaldamento globale a fini di estorsione. Volevano sottoporre il mondo intero a una dieta a base di anidride carbonica, costringendo i paesi meno sviluppati, che non hanno altra scelta che bruciare combustibili fossili che emettono anidride carbonica, a pagare loro delle tasse sull’anidride carbonica, mentre gli elfi verdi occidentali avrebbero evitato di bruciare combustibili fossili utilizzando tecnologie verdi molto costose (pannelli solari e turbine eoliche) che le nazioni più povere non potrebbero permettersi. Questo era il piano, ma si è rivelato che:

1. I pannelli solari e le turbine eoliche non possono sostituire le fonti energetiche fossili a causa del problema dell’intermittenza: il sole non splende sempre e il vento non soffia sempre. Quando il contributo energetico del vento e del sole si avvicina al 30%, le reti elettriche tendono fortemente a collassare. Questo problema potrebbe essere attenuato dallo stoccaggio dell’elettricità; purtroppo, non esiste alcuna soluzione pratica per farlo alla scala richiesta (centinaia di gigawattora). L’unica soluzione per compensare l’intermittenza dell’energia eolica e solare è… bruciare combustibili fossili, in particolare gas naturale, poiché né le centrali a carbone né quelle nucleari possono essere avviate e arrestate abbastanza rapidamente da adattarsi alle nuvole e alle raffiche di vento.

2. I pannelli solari e le turbine eoliche sono prodotti principalmente in Cina. Hanno una durata limitata (circa dieci anni) e, quando si guastano, diventano rifiuti tossici. I detriti delle grandi turbine eoliche sono particolarmente difficili da smaltire. La soluzione migliore trovata per le loro enormi pale in fibra di vetro, grandi quanto l’ala di un aereo di linea, è quella di seppellirle. La situazione non è migliore per i pannelli solari. Le grandinate ricoprono grandi campi di frammenti di vetro tossici. Le turbine eoliche e i pannelli solari sono rinnovabili come fonti di energia solo finché la Cina è disposta a continuare a produrli e venderli. La loro produzione richiede elementi di terre rare per i quali la Cina detiene un quasi monopolio e che non sono certamente rinnovabili.

3. La sfrenata ricerca di “energia verde” da parte dell’Unione Europea, unita al suo rifiuto di continuare ad acquistare gas naturale trasportato tramite gasdotti dalla Russia e al suo rifiuto di proseguire il programma nucleare in Germania, ha portato a prezzi energetici molto elevati che, a loro volta, hanno reso l’industria europea non competitiva. La Francia prosegue il suo programma nucleare, ricavando il 70% della sua elettricità dalle centrali nucleari, ma ha perso l’accesso all’uranio del Niger, le sue centrali nucleari stanno invecchiando e presentano crepe nelle saldature delle tubazioni, e i suoi progetti di costruzione di nuove centrali richiederebbero una spesa pubblica insostenibile e non sono stati approvati dall’autorità francese per la sicurezza nucleare.

4. Ciò che ha reso possibile questa corsa sfrenata verso le “energie verdi” sono state ovviamente le sovvenzioni governative. Anziché destinare il gettito fiscale alle infrastrutture pubbliche, all’istruzione, alla sanità o ad altre esigenze sociali, il denaro è stato speso per pannelli solari e turbine eoliche inutili… fino a quando non è diventato evidente che il ritorno sugli investimenti di questi investimenti discutibili era inesistente. È stato quindi necessario reindirizzare queste spese verso altri progetti inutili, come l’acquisto di sistemi d’arma.

5. A causa di questa crisi energetica, le industrie una dopo l’altra (prodotti chimici, fertilizzanti, automobili e macchinari, vetro e ceramica e praticamente tutto il resto) sono costrette a ridurre le loro attività e a chiudere i battenti. Ciò porta alla disoccupazione di massa e ai disordini sociali, alla rapida deindustrializzazione e al fallimento nazionale. Insieme all’aumento delle spese militari, ciò facilita la transizione verso la guerra. Più precisamente, questa transizione porta alla sconfitta in guerra, poiché un’economia industriale in declino non può fungere da base per la vittoria.

Tornando al discorso di Trump all’ONU, sarebbe un errore prendere troppo sul serio le sue parole. Il teleprompter non funzionava, non aveva il discorso scritto e diceva semplicemente tutto quello che gli passava per la testa. E quello che gli passa per la testa, in generale, è tutto ciò che, secondo lui, gli permetterà di acquisire una certa notorietà e di rimanere sotto i riflettori un po’ più a lungo. Ormai dovremmo aver capito tutti che non è una persona che si concentra sui risultati; se così fosse, la Groenlandia sarebbe un possedimento americano, il Canada sarebbe il 51° Stato, il Canale di Panama sarebbe sotto il controllo americano, gli Houthi nello Yemen non lancerebbero più missili ipersonici su Israele, l’Iran non avrebbe più un programma nucleare, la guerra nell’ex Ucraina sarebbe finita un giorno (o una settimana, o un mese) dopo la sua investitura… È chiaro che Trump cerca il divertimento, non risultati concreti nel mondo reale. Un elemento chiave della sua strategia consiste nell’evitare di assumersi la responsabilità delle sue parole ritrattando quasi immediatamente le sue dichiarazioni; così, all’ONU, ha dichiarato che la Russia era «una tigre di carta», poi, poche ore dopo, ha dichiarato che non era così.

Quindi, quando Trump ha dichiarato: «Se non vi allontanate da questa truffa verde, il vostro Paese andrà in bancarotta», stava ovviamente mentendo. Se «il vostro Paese» fa parte dell’UE, non c’è modo di sfuggire a «questa truffa verde»: il denaro è già stato speso male e le infrastrutture energetiche sono già state compromesse. La Russia ha già rinunciato al mercato energetico europeo e ha riorientato le sue esportazioni energetiche verso est. Per l’UE, una rapida deindustrializzazione è ormai inevitabile. La dichiarazione di Trump può quindi essere riassunta così: «Il vostro Paese andrà in bancarotta».

Ma non è quello che i leader europei volevano sentire. Ammettere che Trump ha ragione equivarrebbe a dimettersi volontariamente dalle loro cariche, e non è quello che hanno in mente. Quello che hanno in mente è una nuova truffa, più grande e migliore: il New Deal marrone, di cui parlerò nel mio prossimo articolo.

Il New Deal bruno, parte II

Quando Trump ha avvertito l’ONU che i paesi che continuano a perseguire la truffa ecologica finiranno in bancarotta, l’Europa avrebbe dovuto ascoltarlo. Rifiutandosi di assumersi la responsabilità del proprio fallimento, i leader europei sono passati dal “Green New Deal” al “Brown New Deal”.

lunedì 24 novembre 2025101210

Quando Trump ha dichiarato davanti all’ONU: «Se non vi allontanate da questa truffa verde, il vostro Paese andrà in bancarotta», stava ovviamente mentendo. Se «il vostro Paese» fa parte dell’UE, non c’è modo di sfuggire a «questa truffa verde»: il denaro è già stato speso male e le infrastrutture energetiche sono già state compromesse. La Russia ha già rinunciato al mercato energetico europeo e ha riorientato le sue esportazioni energetiche verso est. Per l’UE, una rapida deindustrializzazione è ormai inevitabile. La dichiarazione di Trump può quindi essere riassunta così: «Il vostro Paese andrà in bancarotta».

Ma non era quello che i leader europei volevano sentire. Ammettere che Trump ha ragione equivarrebbe a dimettersi volontariamente dalle loro cariche, e non è quello che avevano in mente. Invece di dimettersi (il che sarebbe stato onorevole da parte loro), hanno preferito dare il via libera a una nuova truffa, più grande e più efficace, che chiamerò New Deal Brun.

A differenza del verde, il marrone è un colore ricco di connotazioni negative. È il colore tipico delle cose morte: le foglie verdi assumono una moltitudine di bellissimi colori quando appassiscono al primo gelo, poi cadono dolcemente a terra e, dopo alcune piogge autunnali, diventano inevitabilmente marroni. Il marrone era anche il colore delle camicie indossate dal braccio paramilitare (Sturmabteilung) del partito nazista tedesco, il cui comportamento violento e odioso contribuì all’ascesa al potere di Hitler. Pertanto, il marrone è anche il colore delle nazioni in decomposizione. È anche il colore delle feci, grazie all’effetto pigmentario della bilirubina, un prodotto di scarto derivante dalla degradazione dell’eme, proveniente dai vecchi globuli rossi, che viene prodotto nel fegato ed espulso. La bilirubina è ciò che conferisce il loro colore alla bile e alle feci. Infine, è il colore della pelle delle popolazioni indigene dei paesi tropicali; in questo caso, sono i razzisti a dargli una connotazione negativa.

Non ho intenzione di dipingere tutto ciò che è marrone con un unico pennello; dopotutto, alcune cose marroni sono del tutto accettabili. Ci sono ovviamente il cioccolato e lo zucchero di canna, che non hanno bisogno di essere decantati. C’è il colore marrone dell’acqua tannica “forte”, apprezzata dai marinai di un tempo. Prelevata dagli estuari, al di sopra del livello delle maree, dai fiumi che drenano le foreste e le paludi, e conservata in barili sui ponti delle navi a vela, l’acqua “forte” impiegava molto più tempo a diventare “viva” (cioè verde). In questo caso, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’acqua marrone era potabile (anche se amara), mentre l’acqua verde provocava sicuramente diarrea. Infine, cosa farebbero gli architetti, gli arredatori d’interni, gli stilisti, il team di truccatori di Trump e vari altri artisti e artigiani senza le diverse sfumature di beige, marrone chiaro, terra di Siena, ombra, tortora e fulvo?

A parte queste eccezioni fortuite, le connotazioni più comuni del “marrone” sono la putrefazione, i nazisti, le persone dalla pelle scura (se sei nazista) e la merda. Questa ricchezza di connotazioni rende il marrone una buona scelta come colore del movimento ecologista in decomposizione, ora che il suo programma di stordimento pubblico noto come “cambiamento climatico antropico”, il rifiuto delle importazioni di idrocarburi tramite oleodotti e le generose sovvenzioni pubbliche per le turbine eoliche e i pannelli solari hanno inaugurato un’era di crisi finanziarie, politiche ed economiche in tutta Europa. Il nuovo programma di stordimento pubblico è “l’aggressione russa”, e la risposta a essa richiede copiose spese pubbliche per vari programmi di difesa.

Il livello di comfort, salute e sicurezza delle popolazioni urbane (il 55% della popolazione mondiale) è direttamente proporzionale al livello di consumo energetico pro capite: una diminuzione della disponibilità energetica pro capite riduce direttamente l’accesso ad alloggi adeguatamente riscaldati e climatizzati, nonché a lussi quali servizi igienici con sciacquone e acqua corrente calda e fredda, accesso all’istruzione e all’assistenza sanitaria, sicurezza, applicazione della legge e la maggior parte degli altri attributi della civiltà. Le popolazioni urbane dipendono dall’elettricità e dal gas naturale per il corretto funzionamento della maggior parte delle infrastrutture fisse e dal diesel e dalla benzina per la maggior parte delle attività che richiedono spostamenti. L’elettricità può essere utilizzata per il trasporto pubblico e il trasporto ferroviario di merci, ma è esclusa per la maggior parte del trasporto su strada e per tutto il trasporto marittimo. La produzione di elettricità si basa sull’energia nucleare e sul carbone per garantire il carico di base, nonché sul gas naturale per compensare le fluttuazioni quotidiane della domanda. Purtroppo è impossibile mantenere un elevato consumo energetico pro capite affidandosi esclusivamente all’energia eolica e solare per la produzione di elettricità.

Il risultato del Green New Deal è un progressivo abbassamento del tenore di vita in tutta Europa, dovuto alla diminuzione dell’energia disponibile pro capite a un costo accessibile. Sono condizioni di vita apparentemente stabili ma in realtà in costante deterioramento – ben più che una crisi aperta – che spingono le popolazioni a ribellarsi e a rovesciare le loro élite dirigenti. Le élite europee lo sanno, non hanno alcuna voglia di finire impiccate ai lampioni in tutto il continente e cercano almeno di sviare la responsabilità e, meglio ancora, di provocare una vera e propria crisi che potranno poi pretendere di gestire eroicamente.

La crisi che hanno deciso di creare è l’attacco del tutto fittizio ma imminente dell’Unione Europea da parte della Federazione Russa. La ridicola menzogna utilizzata per sostenere questa tesi è che se l’esercito ucraino fosse sconfitto e il regime illegittimo e corrotto di Kiev cadesse, i carri armati russi invaderebbero l’Europa… come hanno fatto nel 1945! La spinosa questione del perché la Russia dovrebbe essere interessata a una simile impresa viene elusa da un irrazionale settarismo anti-russo: il semplice fatto che i russi siano russi è considerato sufficiente a garantire la loro propensione a un comportamento così insensato e autodistruttivo.

Ma noi, che non siamo irrazionali anti-russi settari, ci prenderemo il tempo necessario per rispondere a questa domanda, che affronteremo in seguito.

L’insostenibilità della svolta green (e i reattori autofertilizzanti russi), di Massimiliano Bonavoglia

L’insostenibilità della svolta green (e i reattori autofertilizzanti russi)

di Massimiliano Bonavoglia – docente di Geopolitica e Diritto.

Tenteremo di rispondere alle seguenti domande: Quanto è sostenibile la Transizione Green? La produzione dell’energia pulita rispetta l’ambiente? Rispetta i diritti umani, quelli dei lavoratori e quelli dei minori? Lo stoccaggio e lo smaltimento delle batterie in aumento iperbolico, costituisce un problema? La svolta ecologica aiuta l’agricoltura, l’allevamento e l’occupazione nell’eurozona? Trasformare la dieta tradizionale in insettivora, è sano ed è a qualche impatto occupazionale? Quali Paesi avvantaggia la transizione ecologica per il settore auto? Il decreto green migliora il mercato immobiliare nazionale, o lo mortifica? Lanceremo poi alcuni brevissimi spunti di riflessione.

La transizione verso un futuro energetico più verde è presentata dall’establishment come una necessità ineludibile, per affrontare le sfide del cambiamento climatico. Tuttavia, mentre ci impegniamo in questa trasformazione, è cruciale che esaminiamo attentamente le conseguenze ambientali, sociali etiche e morali legate alla produzione e allo smaltimento delle tecnologie verdi. Per di più, dovremmo riflettere non solo sull’impatto ambientale e sociale di queste, ma anche su come le regolamentazioni green stiano trasformando radicalmente l’agricoltura tradizionale, gli allevamenti e l’uso delle terre fertili in Europa. Il progetto di cui parliamo, coinvolge al massimo 450 milioni di persone, su un pianeta di più di otto miliardi di abitanti. Quindi una soluzione per tutti, adottata da una esigua minoranza.

La produzione di batterie e materiali per l’energia rinnovabile, sarebbe essenziale per ridurre le emissioni di carbonio, ma sta generando gravi conseguenze ambientali nei Paesi dove avviene l’estrazione delle materie prime. Appare come un paradosso: per inquinare meno nelle aree metropolitane del mondo più ricco, si deteriora l’ambiente di quello più povero, che in una logica globalista e in un’ottica olistica, risulta in ultima istanza controproducente. Altro paradosso. Per produrre batterie elettriche e la loro componentistica, si usano i combustibili fossili: nella grande maggioranza dei casi le imprese che estraggono sono alimentate a carbone[1], in una prima contraddizione, che fa solo da capofila ad una lunga serie. In secondo luogo, si disboscano irreparabilmente territori grandi quanto interi Stati. Nelle Filippine e in Indonesia, l’estrazione del nickel sta causando deforestazione, erosione del suolo e inquinamento delle risorse idriche, emissioni di CO2[2] in enormi quantità per i metodi estrattivi adottati, nonché sterilizzazione del suolo fertile, disboscamento, distruzione della biodiversità[3] e inquinamento delle coste[4] come è denunciato da anni invano da CRI e l’AI Research Climate Initiative presso l’Università della California, Berkeley[5]. Allo stesso modo, in Cile e Argentina, la produzione mediante l’estrazione del litio è non solo inquinante, ma necessita di ingenti risorse idriche: “La produzione di litio tramite bacini di evaporazione utilizza molta acqua, circa 21 milioni di litri al giorno. Per produrre una tonnellata di litio sono necessari circa 2,2 milioni di litri d’acqua”[6]. Il tutto in regioni spesso aride, compromettendo ecosistemi fragili e la sopravvivenza delle comunità locali, le cui proteste non fanno notizia nel mondo, perché mettono in dubbio la “nuova religione” della transizione ecologica occidentale[7].

Questi aspetti tutt’altro che green, non sono limitati ai territori di estrazione. L’inquinamento delle acque e del suolo causato dall’estrazione di metalli pesanti come il cobalto in Congo e la grafite in Cina, hanno conseguenze a lungo termine per la salute umana e per l’ambiente, contribuendo alla contaminazione delle catene alimentari e alla perdita di biodiversità globale[8].

Non possiamo ignorare il costo ambientale e umano nascosto dietro le tecnologie verdi. In Paesi come la Repubblica Democratica del Congo il cobalto, essenziale per le batterie al litio, è spesso estratto attraverso il lavoro minorile: “Lo ha ripetutamente denunciato anche Amnesty International che, dopo un primo rapporto nel 2016, ne ha pubblicato un secondo l’anno scorso, lanciando anche un appello internazionale per mettere fine allo sfruttamento del lavoro minorile. “- Questi bambini – vi si legge – lavorano in condizioni estreme, alcuni di loro più di dodici ore al giorno, senza alcuna protezione e percependo salari da fame. Si ammalano prima e più dei loro coetanei. Rischiano ogni giorno incidenti sul lavoro, a causa di carichi troppo pesanti fino alla morte per i frequenti crolli nelle grotte artigianali. Spesso sono picchiati e maltrattati dalle guardie della sicurezza –”[9]. Minori persino nell’età della prima infanzia, che dovrebbero essere a scuola o giocare in ambienti protetti, sono costretti a lavorare in condizioni pericolose e altamente logoranti, con rischi altissimi per la loro salute e il loro futuro, senza alcuna tutela. Questo scempio è eticamente inaccettabile e contraddice i valori di equità e giustizia che dovrebbero guidare la nostra transizione energetica, oltre che rivelare un controsenso generale se l’obiettivo è ridurre l’inquinamento planetario: “Quando si visita questa zona della Repubblica Democratica del Congo – ha dichiarato Mark Dummett, direttore del programma Imprese, sicurezza e diritti umani di Amnesty International – si è immediatamente colpiti dal forte inquinamento e dalla mancanza di azione da parte del governo e delle aziende dell’industria estrattiva per evitarlo e per proteggere le persone che lì vivono e lavorano e che non hanno alcun modo di sfuggire alle polveri. Le preoccupanti scoperte di questo rapporto – ha aggiunto – indicano che il danno fatto, potrebbe avere effetti a lungo termine -”[10].

L’estrazione di altri materiali, come la mica in Madagascar[11], segue un percorso simile, con minori anche molto piccoli, impiegati in condizioni precarie e pericolose ed esposti a intossicazioni frequenti. Questa realtà dovrebbe farci riflettere sul vero costo umano delle nostre scelte tecnologiche.

Oltre alla produzione, la fine vita delle batterie e dei pannelli solari rappresenta un altro problema urgente. Questi prodotti contengono materiali tossici che, se non gestiti correttamente, possono contaminare il suolo e le acque, ponendo rischi significativi per l’ambiente e la salute pubblica. Le attuali tecnologie di riciclo sono insufficienti[12], con una bassa efficienza nel recupero dei materiali e processi che spesso generano ulteriori rifiuti pericolosi.

In molti Paesi, le infrastrutture per gestire questi rifiuti sono carenti, portando a un accumulo di materiali pericolosi o alla loro esportazione verso nazioni con regolamentazioni ambientali meno stringenti, che molto spesso sono i medesimi in cui viene estratto, con una moltiplicazione dei danneggiamenti al territorio e suoi abitanti. Questo trasferimento del problema non risolve la questione, ma semplicemente la sposta, creando nuove aree di crisi ambientale e sociale. I Paesi ricchi impongono ai loro cittadini l’uso di batterie elettriche, che vengono prodotte con grave danno per i Paesi poveri, che poi devono anche stoccarne le scorie da smaltimento.

Le politiche green stanno creando pressioni immense su settori chiave dell’economia europea come l’agricoltura e l’allevamento, al punto che c’è da chiedersi se il legislatore sia in buona fede. Regolamentazioni sempre più stringenti sui metodi di coltivazione e sulle emissioni provenienti dagli allevamenti, stanno mettendo in ginocchio decine di migliaia di imprese agricole europee. Molti agricoltori e allevatori, non potendo sostenere i costi associati alle nuove normative, sono costretti a chiudere o a ridurre drasticamente la loro produzione, quando non subiscono un esproprio in piena regola dei propri terreni, per far posto alla installazione di impianti fotovoltaici o gigantesche pale eoliche[13]. Ennesimo paradosso, leggiamo da ricerche come quelle di: “(…) due studiosi di Harvard, Lee Miller e David Keith, che nel 2018 hanno cercato di capire quale sarebbe l’impatto sul clima se un terzo degli Stati Uniti fosse coperto da pale eoliche. Secondo i loro modelli scientifici, è emerso che la temperatura locale aumenterebbe di circa 0,24° C”[14]. Meno terreni agricoli, meno cibo prodotto. Dunque in una prima fase, il reperimento degli elementi necessari per produrre batterie elettriche, motori elettrici e impianti di accumulo di energia solare richiedono deforestazione, disboscamento e distruzione della flora e della fauna di territori sempre più ampi, causando la riduzione di ossigeno e l’assorbimento dell’anidride carbonica. In una seconda, più realizzativa, la destinazione di altri territori agli impianti green solari o eolici, sottrae altra terra alla produzione di cibo e alla occupazione.

Questa crisi non si limita a una riduzione della produzione alimentare. Secondo alcune stime, le nuove regolamentazioni potrebbero portare a una perdita di posti di lavoro a 4 o 5 zeri in tutta Europa, aggravando il problema della disoccupazione e creando un esercito di nuovi disoccupati. Un esempio significativo è l’impatto delle direttive europee sugli allevamenti, che potrebbero ridurre il numero di occupati nel settore almeno del 30% nei prossimi anni.

Dunque, la conseguenza non secondaria è l’inevitabile diminuzione della disponibilità di cibo tradizionale, minacciando la sicurezza alimentare e la biodiversità agricola dell’Europa. Il fenomeno non si estende solamente alle terre fertili, ma assistiamo alla confisca di lagune destinate all’allevamento di molluschi e frutti di mare, per installare impianti fotovoltaici galleggianti, con un ulteriore attacco alla capacità di produzione alimentare[15].

Una delle conseguenze più inquietanti di queste politiche è la promozione del consumo di farine di insetti come alternativa alle proteine tradizionali. Sebbene presentata come una soluzione sostenibile, ci sono preoccupazioni crescenti sulla sicurezza[16] di questi alimenti. Alcuni studi suggeriscono che i componenti di molti insetti potrebbero essere tossici[17] per l’organismo umano, causando reazioni allergiche o accumuli di sostanze nocive nel tempo, con effetti sulla salute del tutto sconosciuti.

Questa tendenza, se non valutata attentamente, potrebbe portarci a una situazione in cui le nostre diete vengono radicalmente trasformate, senza un’adeguata comprensione delle conseguenze a lungo termine, di cui noi consumatori saremmo gli assuntori sperimentali, per non dire cavie.

Il problema della distribuzione delle risorse

Nel PNRR non v’è traccia alcuna di tutto quanto detto sin qui, tantomeno se ne fa menzione nell’Agenda 2030 tanto declamata dall’ex-presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, alfiere dei piani europei dai tempi in cui era governatore della BCE. In campo ci sono appunto la svolta green, con tutte le sue nefaste ricadute sui popoli europei e mondiali, e la digitalizzazione, ossia il passaggio ad una moneta digitale centralizzata che coinvolga l’identità digitale di ogni cittadino. Tanta elettricità in più, insomma, che inquina come abbiamo visto, anziché tutelare l’ambiente.

Investigando presso lo U.S. Geological Survey (USGS), dell’International Energy Agency (IEA), si scopre che i componenti delle batterie elettriche per l’automotive del futuro non sono presenti in Europa:

Elemento Paesi Produttori
Nichel Indonesia, Filippine, Russia, Nuova Caledonia, Australia, Canada, Brasile
Litio Australia, Cile, Cina, Argentina, Zimbabwe, Portogallo, Brasile
Cobalto Repubblica Democratica del Congo, Russia, Australia, Filippine, Cuba, Madagascar, Canada
Grafite Cina, Mozambico, Brasile, India, Canada, Madagascar, Ucraina
Terre Rare Cina, Stati Uniti, Myanmar, Australia, Thailandia, India, Brasile
Manganese Sudafrica, Australia, Gabon, Brasile, Cina, Ghana, India
Rame Cile, Perù, Cina, Repubblica Democratica del Congo, Stati Uniti, Australia, Zambia

O meglio, geograficamente in verità sì, l’unico Paese menzionabile è la Russia, che inspiegabilmente l’Europa ha deciso spingere politicamente, socialmente, economicamente, militarmente e, non ultimo, dal punto di vista dell’energia, sempre più verso l’Asia.

Anche ad un primo sguardo sull’Automotive continentale e intercontinentale

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spicca l’inarrestabile ascesa della Cina nel settore automobilistico elettrico con implicazioni pesanti per l’industria automobilistica europea. La Cina sta diventando rapidamente il leader globale nella produzione di veicoli elettrici, grazie a una combinazione di politiche di sostegno, investimenti massicci e una strategia industriale ben pianificata. I numeri parlano chiaro[18]: nel 2023, la Cina ha prodotto oltre 7 milioni di veicoli elettrici, pari a circa il 60% della produzione mondiale totale. Questa cifra è di gran lunga superiore alla produzione combinata di veicoli elettrici in Europa e Stati Uniti. Le case automobilistiche cinesi, come BYD e NIO, stanno conquistando quote di mercato globali con tassi di crescita esponenziali. BYD, ad esempio, ha visto le sue vendite di veicoli elettrici crescere del 150% nel 2023, superando i principali produttori europei e americani. La Cina è leader mondiale nella produzione di batterie per veicoli elettrici. Il 70% delle batterie al litio-ionico globali proviene da produttori cinesi come CATL e BYD. Questo conferisce alla Cina un vantaggio significativo nel controllo della catena di approvvigionamento delle materie prime e nella tecnologia delle batterie.

Per contro, il settore automobilistico europeo, storicamente un faro di innovazione e qualità, sta affrontando sfide senza precedenti a causa della crescente competitività cinese: le case automobilistiche cinesi riescono a produrre veicoli elettrici a costi significativamente più bassi rispetto ai concorrenti europei. Ad esempio, il prezzo medio di un veicolo elettrico cinese è circa il 30% inferiore rispetto a un veicolo elettrico europeo equivalente, rendendo questi ultimi meno competitivi nei mercati globali. I marchi automobilistici europei, come Fiat e Opel, sono stati acquisiti da aziende cinesi negli ultimi anni. La Fiat, ad esempio, è ora controllata dal gruppo Stellantis, di cui un’importante partecipazione è detenuta da aziende cinesi. Questi eventi riflettono un trend preoccupante, per cui l’industria automobilistica europea perde il controllo sui suoi marchi storici e sulla sua produzione. Geely, un grande conglomerato cinese nel settore automobilistico, ha acquisito una partecipazione significativa in Daimler AG, il gruppo che possiede il marchio Mercedes-Benz. Nel 2018, Geely, attraverso la sua controllata Zhejiang Geely Holding Group, ha acquisito una partecipazione del 9,69% in Daimler AG, diventando uno dei principali azionisti dell’azienda. BMW ha stretto accordi con il gigante cinese delle batterie CATL (Contemporary Amperex Technology Co. Limited) per fornire batterie agli ioni di litio per i suoi veicoli elettrici. Questo accordo è parte della strategia di BMW per garantire un approvvigionamento stabile di batterie per i suoi modelli elettrici, inclusi quelli della serie i.

Alcuni analisti e osservatori del mercato hanno sollevato preoccupazioni riguardo alla crescente influenza cinese sui marchi automobilistici europei, suggerendo che la cessione di quote significative possa influenzare le decisioni strategiche e operative delle aziende europee. La concorrenza dei produttori cinesi potrebbe portare alla chiusura di impianti di produzione europei e alla perdita di migliaia di posti di lavoro. Le previsioni suggeriscono che l’industria automobilistica europea potrebbe perdere fino a 100.000 posti di lavoro nei prossimi cinque anni se non si trova una risposta competitiva.

Imporre la riqualificazione energetica, implica una svalutazione immobiliare?

In meno di dieci anni, il comparto immobiliare continentale dovrà diventare ecosostenibile. Impianti fotovoltaici sul tetto, pompa di calore al posto della caldaia a condensazione, che costa il triplo e occupa gran parte del terrazzo (per chi ce l’ha), cappotto isolante che avvolge le quattro facciate esterne (di polistirolo, ovvero un derivato del petrolio) che un giorno andrà smaltito con inevitabili problemi di inquinamento per stoccaggio e smaltimento. Gli immobili in classe F e G, le ultime due classi energetiche, con alto grado di dispersione termica secondo i parametri fissati, se entro sei e nove anni non verranno efficientati con costi paragonabili all’acquisto dell’immobile stesso, non potranno più essere venduti o affittati in locazione abitativa. In Italia abbiamo due problemi: mancano i soldi e mancano le imprese edili per efficientare 7 – 8 milioni di edifici sul territorio nazionale, che necessitano di incrementare la propria classe energetica se non si vuol vederne azzerato il valore.

Fino a marzo 2024, il Superbonus ha permesso di riqualificare energeticamente 494.406 edifici. Questo risultato è stato ottenuto grazie all’impegno di molteplici imprese, il cui numero è cresciuto significativamente proprio grazie all’introduzione di questa agevolazione. Infatti, tra il 2019 e il 2021, si è registrato un aumento di circa 30.000 imprese edili nel settore, attribuito principalmente agli incentivi fiscali come il Superbonus. Secondo le stime, l’effetto cumulato del Superbonus sul debito pubblico italiano ha raggiunto oltre 122 miliardi di euro[19] in termini di detrazioni fiscali riconosciute fino a marzo 2024​. Questa cifra rappresenta una spesa diretta per lo Stato, che ha incrementato il debito pubblico in modo sostanziale, in particolare considerando che queste detrazioni devono essere finanziate attraverso il bilancio pubblico. Contando che dovrebbero esistere circa 500.000 imprese nel 2024, diventa evidente che è impossibile raggiungere gli obiettivi fissati dal decreto nei tempi fissati (in media da sei mesi a due anni per edificio). Quindi sono stati presi impegni irrealizzabili dai vari capi di governo che si sono susseguiti, per obbedire alle imposizioni europee. I mercati lo sanno, soprattutto le banche. La prima conseguenza è l’incremento degli interessi che le banche chiedono ai mutuatari che desiderano acquistare casa in classi energetiche non più di moda. I prestiti per mutuo bancario mediamente prevedono vent’anni di rate, la banca si trova a fronteggiare un rischio insolvenza che potrebbe non esser recuperabile nella seconda metà della durata. Quindi interessi più alti. Se il denaro costa di più, l’oggetto per cui viene prestato, il mattone, perde valore. A ciò si aggiunga l’aumento dell’offerta di immobili in classi energetiche basse, a causa dei costi di trasformazione che ultimamente sono saliti anche per effetto dell’inflazione oltre che per la pessima normazione del superbonus, e la contemporanea diminuzione della domanda per quella categoria immobiliare, perché l’aumento degli interessi bancari riduce l’accesso al credito e dunque, circolarmente, la domanda. Ma la domanda di chi? E’ importante porsi questa domanda, perché l’investitore di medie o grandi dimensioni, acquisterà con interessi bancari relativamente bassi abitazioni di piccole dimensioni, in classi energet5iche alte, affittabili ad alti o altissimi prezzi di locazione, cui difficilmente le classi meno abbienti, e le giovani coppie che progettano9 di avere figli potranno raggiungere. Queste categorie sociali, che fino a pochi anni fa acquistavano in periferia immobili meno termo-isolati e coibentati ma con ampiezze sufficienti per una famiglia, oggi sono esclusi da questo mercato e fanno impennare la domanda nelle locazioni abitative, con un effetto turbo sui prezzi. Quindi dobbiamo chiederci anche che tipo di tessuto demografico si stia incentivando negli agglomerati urbani: affitti brevi per massimizzare i ricavi e pagarsi le riqualificazioni, carissimi e inarrivabili per le famiglie, quando da decenni si parla (e solo quello) della insufficiente natalità in Italia.

Attraverso queste dinamiche interconnesse, le regolamentazioni green causano un abbattimento del valore degli immobili soprattutto in classi energetiche basse, distribuite numericamente maggiormente nel sud dell’Europa, quindi Portogallo, Italia, Grecia, Spagna. Paesi in cui il clima richiede meno efficienza energetica piuttosto che alle latitudini tipicamente più rigide dei Paesi del nord Europa. Effettivamente i PIIGS (con l’Irlanda) erano proprio i Paesi messi nel mirino delle direttive della BCE e del MES per la ristrutturazione del proprio debito. Si diceva che vivessero al di sopra delle proprie possibilità. L’Irlanda ne è uscita come sappiamo. Gli altri hanno scontato dmuping fiscale ([concorrenza fiscale] proprio da Irlanda e Olanda) ed hanno provato a evitare il MES [Meccanismo Europeo di Stabilità, costituito da un fondo privato che specula sul debito dei Paesi che vi si rivolgono]. Oggi soprattutto quelli del sud devono affrontare ristrutturazioni immobiliari in Italia impossibili anche solo sulla carta: lo ripetiamo, mancano le imprese (e i soldi) per efficientare circa 7 – 8 milioni di edifici residenziali (senza contare quelli con altra destinazione urbanistica) ovvero circa il 60% del comparto immobiliare residenziale nazionale[20]. Interessante è notare che l’Italia, è ritenuta tra i più indebitati e fragili degli Stati europei. A ben guardare tuttavia, si posiziona tra quelli che contano il maggior numero di proprietari immobiliari, a differenza di Francia, Paesi Bassi, Germania, dove la tendenza è rimanere in affitto per i privati cittadini, e lasciare la proprietà nelle mani di grandi fondi, come Vonovia in Germania che ne conta centinaia di migliaia, o Landsec nel Regno Unito (che pure non è più in Unione Europea). L’abbattimento dei valori immobiliari nazionali, l’eccessiva onerosità per la loro riqualificazione, combinati con altri fattori quali il rialzo dei tassi di interesse delle politiche monetarie della BCE nello scorso anno, il conseguente aumento delle rate dei mutui variabili contratti negli ultimi 5 o 10 anni,  e la crescente offerta in presenza di una contrazione della domanda, potrebbero rappresentare l’occasione ideale per grandi fondi speculativi, che approfittano esattamente di queste condizioni di mercato per fare shopping su grandi numeri a prezzi frazionati. Questa catena di conseguenze e vantaggi per alcuni è frutto delle politiche europee tutt’altro che rivolte ai benefici dei popoli europei.

…e la guerra in Ucraina?

Colpisce che le stesse personalità politiche, istituzionali e massmediatiche che fano propaganda alla agognata svolta green europea, siano iperbelliciste sul fronte guerra in Ucraina. Un Paese non europeo e non appartenente alla NATO che è in conflitto contro il Paese che ha più armi atomiche al mondo, la Russia, deve assolutamente ricevere armamenti molto costosi per volontà americana (continente oltreoceano), nonché elargizioni finanziarie in misura di centinaia di miliardi di dollari, con danni ambientali che nessuno vuole calcolare. Se non fosse per un desiderio di pace, che poi è stato il fondamento numero uno della costruzione dell’UE, almeno per coerenza verso la tutela dell’ambiente, per la quale abbiamo appena richiamato quanti sacrifici e rinunce devono fare i popoli europei, perché nessuno parla di pace green?

E’ forse ambientalista la guerra? E’ assodato che le esplosioni in corso, con armi sempre più potenti, da entrambi i fronti, siano tutt’altro che ecosostenibili. Per il versante ucraino, come sappiamo, siamo noi occidentali i responsabili. Per non pensare alle movimentazioni di veicoli bellici ed armamenti, dall’elmetto della prima ora agli F-16 appena inviati, sicuramente non con motori elettrici. Per non calcolare le esercitazioni della NATO, in corso da decenni in tutta Europa ma ultimamente molto più attive in grande stile, come quelle nei Paesi Baltici, in Norvegia (per segnalare alla Russia le proprie attività), ma anche in Polonia, in Germania, nel Regno Unito, in Portogallo e naturalmente in Italia. Pensiamo anche solamente alla sindrome di Quirra,[21] Poligono Interforze del Salto di Quirra (PISQ). Queste attività hanno portato a procedimenti penali[22] per danni gravissimi e decessi non solo tra i militari interessati, ma anche le popolazioni circostanti per accertati casi di leucemia, linfoma e altri disturbi, collegati all’esposizione a sostanze tossiche, compresi metalli pesanti e sostanze chimiche usate nelle munizioni.

L’ambiente e la salute vanno preservati a costo di cambiare tipo di abitazione, auto, lavoro, persino ridursi a ingerire insetti, ma la guerra per confini che non sono europei, va finanziata senza indugi e le spese per inviare armi all’Ucraina, non devono essere centellinate. Pochi possono permettersi un’auto elettrica, quindi dobbiamo imparare a usare i mezzi pubblici e rispolverare i velocipedi tradizionali (bicicletta et similia) e moderni (monopattini elettrici) rinunciando all’automobile di proprietà. Ecco perché si prevedono le città a 15 minuti, ossia ghetti nelle metropoli, con tornelli per varcare la soglia del proprio quartiere, solo a certe condizioni. Cosa sono queste, se non limitazioni nella libertà di movimento individuale, o più semplicemente della libertà personale (articolo 13 della Costituzione italiana)?

Quello che viene considerato in occidente un terribile dittatore, il presidente della Bielorussia Aleksander Lukashenko, allorché l’OMS gli offrì 92 milioni di dollari per adottare il lockdown nel 2020, si rifiutò di accettare misure che avrebbero ristretto la libertà dei propri cittadini e danneggiato l’economia del proprio Paese[23]. L’Oms allora rilanciò a 940 milioni di dollari con la garanzia del FMI (Fondo monetario internazionale) e Lukashenko non solo rifiutò, ma denunciò pubblicamente la cosa, lasciando intendere che gli altri Paesi che vi si erano allineati, come l’Italia, fossero invece stati corrotti. Stiamo parlando di un Paese ex-sovietico, povero rispetto per esempio al nostro, che difende l’economia locale e la libertà dei propri cittadini, dinnanzi alle sperimentazioni della tecnologia della sorveglianza auspicata da Klaus Schwab nel suo libro Il grande Reset, e la negazione di libertà individuali di massa con pretesti sanitari tutti da dimostrare. Per inciso, 940 milioni di dollari hanno un potere d’acquisto ben maggiore in Bielorussia, che in un qualsiasi Paese del G7. “Dopo questa coraggiosa presa di posizione – scrive Nicola Bizzi [storico e scrittore] – Lukashenko è stato demonizzato dalla comunità internazionale ed accusato di brogli elettorali: l’operazione rivoluzione colorata, tesa a rovesciare Lukashenko, sarebbe stata finanziata dal Fondo monetario internazionale”[24].

Abbiamo detto delle abitazioni: cosa farà chi non avrà la disponibilità economica per efficientare la propria casa, di cui magari sta pagando le rate del mutuo, se non cederne la proprietà? Senza auto, senza abitazione di proprietà, il cittadino europeo del futuro sarà come lo descrisse un video di propaganda del WEF (World Economic Forum) del 2016[25] intitolato “8 previsioni per il mondo nel 2030” il cui incipit è rimasto paradigmatico ed oggi viene attribuita ad una visione complottista di ciò che ci aspetta: “Non possiederai nulla e sarai felice”. Il fatto che si parli all’utente senza usare la prima persona plurale, lascia il dubbio che non ci si riferisca alla totalità dell’umanità, ma ad una larga parte di cui fa parte appunto l’ascoltatore, evidentemente però non chi l’ha formulata, altrimenti avrebbe inserito se stesso nella forma verbale dicendo “non possiederemo”.  Anche il prosieguo è molto significativo, ne vediamo alcune:

“Qualsiasi cosa tu voglia, la noleggerai e sarà consegnata da un drone [quindi non un postino in bicicletta, ovvero un essere umano che lavora e non emette CO2, ma un oggetto che costa quattrini, toglie lavoro agli esseri umani e necessita di energia per funzionare]”;

“Gli Stati Uniti non saranno la prima potenza mondiale, una manciata di Paesi saranno al comando [quali Paesi? Con quale criterio verranno selezionati, e, soprattutto, da chi?]”;

“Non morirai aspettando un donatore di organi, non trapianteremo organi, ne stamperemo invece [quindi dovremo trovare il modo di stampare organi biocompatibili, o trasformare il nostro organismo in modo tale da poter ricevere e integrare organi stampati?]”;

“Mangerai molta meno carne, un piacere occasionale, non un’abitudine, per il bene dell’ambiente e della nostra salute [quindi la carne diventerà un lusso per pochi?]”;

“Un miliardo di persone sarà sfollato a causa del cambiamento climatico [quindi non parliamo nemmeno di migranti che volontariamente si avventurano verso nuove terre correndo enormi rischi, ma di evacuazioni forzate?]”; si parla persino di alieni: “Gli scienziati avranno capito come mantenervi in salute nello spazio. L’inizio di un viaggio alla ricerca della vita aliena? [quindi di nuovo, rivolto all’ascoltatore, non si parla in prima persona plurale… dobbiamo supporre che saremo spediti nel cosmo?]”. Che futuro hanno disegnato per noi i più ricchi del mondo?

Come produrre energia senza inquinare?

Siccome è sempre più semplice indicare le criticità di certe politiche, piuttosto che trovare soluzioni percorribili, osserviamo che Paesi come la Russia, hanno deciso di fronteggiare il problema dell’energia a basso impatto ambientale con Reattori Autofertilizzanti: Questi reattori, come i BN-600 e BN-800, sono progettati per utilizzare neutroni veloci e possono produrre più materiale fissile (come il plutonio) di quanto ne consumino. Sono in grado di riciclare parte del loro combustibile, riducendo la necessità di nuovo combustibile e producendo meno rifiuti a lunga vita. La Russia è leader mondiale nella tecnologia dei reattori autofertilizzanti. La centrale di Belojarsk ospita sia il BN-600 (in funzione dal 1980) che il BN-800 (in funzione dal 2016), e sono reattori veloci raffreddati a sodio.

La Russia sta sviluppando il reattore BN-1200, che mira a essere un passo avanti verso la commercializzazione su larga scala di questa tecnologia. Adottare reattori nucleari autofertilizzanti, come i reattori di Belojarsk, offre diversi vantaggi significativi rispetto ai reattori nucleari convenzionali. I reattori autofertilizzanti sono progettati per produrre più combustibile di quanto ne consumino, attraverso un processo in cui i neutroni in eccesso prodotti durante la reazione nucleare convertono il materiale fertile (come l’uranio-238 o il torio) in materiale fissile (come il plutonio-239). Questo significa che il combustibile può essere riciclato e riutilizzato, riducendo la necessità di estrarre nuovo uranio. Con il riciclo del combustibile e l’efficienza nel consumo di uranio, i reattori autofertilizzanti possono ridurre la domanda di uranio naturale, preservando le riserve esistenti e limitando l’impatto ambientale dell’estrazione mineraria. Non solo, ma i reattori veloci autofertilizzanti sono in grado di bruciare alcuni dei rifiuti radioattivi a lunga vita prodotti dai reattori convenzionali, come gli attinidi minori (americio, curio, nettunio). Questo aspetto non secondario riduce sia la quantità totale di rifiuti prodotti, sia la pericolosità e la durata della radioattività dei rifiuti stessi. Grazie alla capacità di riciclare il combustibile e utilizzare il plutonio generato in situ, i reattori autofertilizzanti possono estendere significativamente la durata delle riserve di uranio e torio, rendendo l’energia nucleare una risorsa più sostenibile a lungo termine. I reattori autofertilizzanti possono utilizzare plutonio proveniente da rifiuti nucleari esistenti o da arsenali militari smantellati, contribuendo alla riduzione del plutonio disponibile per la produzione di armi nucleari e aumentando la sicurezza globale. Cina e India sono interessate ad acquistare e adottare questa tecnologia. Ha senso tagliare i ponti con la Russia? Domande che dovrebbe porsi il legislatore europeo, se fosse libero nel momento decisionale, e soprattutto, non corrotto. Per fare un solo esempio sulla poca credibilità di equilibrio, disinteresse personale e fedeltà al perseguimento di interessi nazionali ed europei, che il legislatore merita, pensiamo alla assoluta sottomissione a politiche atlantiste del tutto dannose per l’economia, la fornitura di energia, la tutela della pace nel continente, durante la guerra in corso in Ucraina.

Le posizioni iperbelliciste assunte dall’Unione Europea, espongono gli Stati che la compongono a diverse ripercussioni riguardanti l’energia e l’economia, ma ciò non ha scalfito la politica estera nemmeno con le nuove elezioni, che per altro, hanno visto mantenere la stessa carica della presidente della Commissione. La medesima persona che per i quattro anni precedenti aveva sventolato i cambi al vertice imposti dalle elezioni democratiche, come la dimostrazione della superiorità rispetto alle autocrazie perenni del resto del mondo, nella sua chiamata ai sacrifici dei popoli per sostenere l’Ucraina contro la Russia. Il parlamento europeo si è allineato alla posizione del presidente della commissione ed ha votato non per la negoziazione della pace, bensì per il finanziamento della guerra, sino alla riconquista della Crimea da parte Ucraina, ancora nel 2024[26], quando oramai è evidente che pur con 200 miliardi di dollari ricevuti per lo più in armamenti, l’Ucraina non è in grado di riprendersi le quattro regioni perse nei due anni trascorsi, figuriamoci la Crimea diventata russa nel 2014.

Questi esseri, non privi di ipocrisia, impongono svolte epocali, senza porsi troppe domande. Ma il cittadino consapevole, mentre acceleriamo verso una transizione energetica verde, dovrebbe chiedersi: a quale costo? La velocità con cui stiamo cercando di trasformare il mondo occidentale, potrebbe portare a conseguenze infauste, che sono in netto contrasto con gli obiettivi di sostenibilità ed equità. Possiamo permettere che la corsa verso un futuro più verde si traduca in devastazione ambientale, sfruttamento umano, impoverimento delle risorse alimentari tradizionali e rischi per la salute pubblica? È essenziale che la transizione sia bilanciata, considerando non solo i benefici ambientali a breve termine, ma anche le conseguenze ambientali, sociali etiche e morali a lungo termine.

Urgono riflessioni critiche

La soluzione potrebbe non consistere nel tuffarsi nella transizione verde, ma riflettere su come possiamo realizzare un qualsiasi progetto in modo responsabile, tale che il piano europeo Fit for 55, ovvero la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra in Europa del 55% per il 2030, non si trasformi in una maledizione sia per i Paesi che ne devono pagare le spese produttive in termini ambientali, sia per le economie e il tessuto sociale dei popoli europei che le devono adottare. È possibile investire in tecnologie di riciclo avanzate, promuovere pratiche di estrazione mineraria etica e sostenibile, e garantire che i diritti umani siano rispettati in tutta la catena di approvvigionamento? Sembra che nessuno se lo sia ancora chiesto tra i fanatici del green. Allo stesso tempo, è possibile proteggere la nostra agricoltura tradizionale, i nostri allevamenti e la nostra sicurezza alimentare, evitando soluzioni rapide potenzialmente pericolose come il consumo di insetti? Solo adottando un approccio olistico e responsabile, possiamo costruire un futuro veramente sostenibile, che protegga il pianeta garantendo dignità e giustizia per tutte le persone coinvolte. Forse, in questo modo si può fare della sostenibilità non solo un obiettivo tecnologico, ma un imperativo etico e di responsabilità, che guidi ogni nostra decisione. Questo approccio, come abbiamo cercato di mostrare, manca totalmente ai vertici dell’UE. Nonostante le rumorose proteste di alcune categorie quali gli agricoltori, i pescatori, i balneari, i tassisti nel continente, e le popolazioni del cosiddetto terzo mondo, non risulta adottata alcuna modifica alla direzione delle politiche sull’energia e quella della politica estera, che genererà un quadriennio in cui i nodi verranno al pettine e i popoli europei dovranno affrontarne le conseguenze. Forse perché ancora oggi, troppi cittadini credono che il nemico sia al di fuori dei confini europei…


[1] https://kr-asia.com/the-hidden-environmental-costs-of-indonesias-clean-battery-production

[2] Cfr.: “(…) 40/90 tonnellate di CO2 per tonnellata di Nickel” https://blog.ui.torino.it/2021/08/04/nickel-un-protagonista-della-transizione-elettrica/

[3] https://www.salviamolaforesta.org/petizione/1182/le-auto-elettriche-sacrificano-le-foreste

[4] “A settembre 2023 l’area delle operazioni del nichel in Indonesia ha raggiunto quasi un milione di ettari – dice Arie Rompas, di Greenpeace Indonesia -, con ben 362 licenze. Per le riserve di nichel ancora da esplorare. Abbiamo scoperto che verranno disboscati altri 600mila ettari di foresta vergine, una cifra spaventosa. Significa che la lavorazione del nichel, oltre a produrre emissioni molto elevate, distruggerà anche la biodiversità della regione”  cfr.: https://www.startmag.it/energia/estrazione-nichel-economia-indonesia/

[5] Cfr.: https://news.mongabay.com/2024/02/indonesian-nickel-project-harms-environment-and-human-rights-report-says/

[6] https://www.euronews.com/green/2022/02/01/south-america-s-lithium-fields-reveal-the-dark-side-of-our-electric-future

[7] https://www.wired.it/article/litio-miniere-argentina-manifestanti/; si veda anche https://www.nationalgeographic.it/batterie-al-litio-quanto-ne-sappiamo-davvero; e https://www.geopop.it/laltro-lato-dei-veicoli-elettrici-le-conseguenze-ambientali-dellestrazione-del-litio/ e https://lavialibera.it/it-schede-334-batterie_al_litio_i_danni_ambientali_dietro_al_simbolo_green

[8] https://www.ansa.it/canale_scienza/notizie/terra_poli/2024/04/04/dal-litio-al-rame-le-miniere-in-africa-minacciano-lambiente_a577a70a-4359-4075-94fe-4ea7ba7b0005.html

[9] https://ilmanifesto.it/la-febbre-del-litio-corrompe-lafrica; si veda anche sul lavoro minorile nelle miniere di cobalto: https://www.mondoemissione.it/aprile-2021/la-maledizione-del-cobalto/

[10] Ibidem.

[11] https://ilmanifesto.it/la-luce-sinistra-delle-miche-sui-bambini-minatori

[12] “Per estrarre una tonnellata di litio, ad esempio, sono necessari circa 500.000 litri d’acqua e una serie di passaggi che determinano un grande consumo di CO2: si stima che, per ogni chilo di idrossido di litio, vengano emessi dai 5 ai 16 chili di anidride carbonica. C’è poi la fase dello smaltimento: alla fine del loro ciclo di vita, le batterie al litio devono seguire una procedura precisa per evitare danni all’uomo e all’ambiente.” https://www.alternativasostenibile.it/articolo/auto-elettriche-perch%C3%A8-le-batterie-restano-un-serio-problema-ambientale

[13]https://www.carteinregola.it/index.php/pnrr-via-libera-agli-espropri-per-gli-impianti-su-aree-agricole-per-impianti-di-produzione-energetica/; si veda anche: https://alleanzacattolica.org/esproprio-green/;  e: https://www.carteinregola.it/index.php/pnrr-via-libera-agli-espropri-per-gli-impianti-su-aree-agricole-per-impianti-di-produzione-energetica/

[14] https://www.thesocialpost.it/2024/08/16/pale-eoliche-causano-riscaldamento-lo-studio/

[15] https://ledicoladelsud.it/news/taranto-un-impianto-fotovoltaico-offshore-i-mitilicoltori-giu-le-mani-dal-mar-piccolo/

[16] https://www.affaritaliani.it/cronache/farine-di-insetti-non-sicure-dal-punto-di-vista-nutrizionale-ecco-i-rischi-840393.html

[17]https://www.repubblica.it/il-gusto/2023/03/25/news/farine_di_insetti_allergie_e_disturbi_ecco_chi_non_puo_mangiarle-393616550/ , “ (…) tra questi vi sono ad esempio alcuni scarafaggi che contengono testosterone, e il cui consumo prolungato nel tempo può provocare, tra gli altri, problemi di fertilità e cancro al fegato”, https://www.focus.it/scienza/salute/insetti-nel-piatto-ci-sono-rischi-per-la-salute

[18] https://insideevs.it/news/707510/auto-plug-in-cina-previsioni/

[19] https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-post-mortem-per-il-superbonus-extra-deficit-extra-debito-e-rallentamento-in-atto

[20] https://ance.it/wp-content/uploads/allegati/20230725_Il_futuro_del_superbonus.pdf

[21] https://www.scienzainrete.it/contenuto/articolo/sindrome-del-salto-di-quirra

[22] https://ilgiornaledellambiente.it/veleni-di-quirra-le-fasi-finali-del-processo-contro-la-base-militare/

[23] https://opinione.it/economia/2020/09/15/ruggiero-capone_oms-fmi-onu-lockdown-autora-bizza-francia-italia-germania-nigeria-brasile-marx-l-opinione-bielorussia-operazione-corona/

[24] Ibidem.

[25] https://www.youtube.com/watch?v=B-48pRqwmBw.

[26] https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/02/29/il-parlamento-ue-non-vota-per-i-negoziati-ma-per-riconquistare-anche-la-crimea-allucraina-missili-a-lungo-raggio-e-caccia-fino-alla-vittoria/7463634/#:~:text=Zonaeuro-,Il%20Parlamento%20Ue%20non%20vota%20per%20i%20negoziati%2C%20ma%20per,e%20caccia%20fino%20alla%20vittoria%E2%80%9D&text=Il%20Parlamento%20europeo%20sposa%20la,territori%20occupati%2C%20compresa%20la%20Crimea.

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Per una Casa editrice con la vocazione al pensiero controcorrente come Liberilibri è doveroso pubblicare questa antologia di contributi – in larga parte scientifici – che ridimensionano il terrorismo ambientalista degli ultimi decenni.

Porro nel saggio introduttivo scrive “Usate questo libro per farvi delle domande. Così come ve le fate quando sentite un comizio di un politico, quando ascoltate il sermone di un prete, o la proposta di vendita di un immobile da parte di un agente. Ecco, come in questi casi, vi chiediamo di accendere il cervello, di esercitare il vostro spirito critico. È ciò che la stampa, i politici, i burocrati, gli amici al bar hanno da tempo smesso di fare sulle questioni che riguardano il clima…  Gran parte dell’opinione pubblica si accontenta del caldo pasto climatico offerto da coloro che decidono, Eppure questa pietanza ha un costo elevatissimo”; e questo pasto “si fonda essenzialmente su un’idea: l’essere umano occidentale sporca e sfrutta, inquina, riscalda il pianeta, desertifica, fa sciogliere i ghiacciai, rende i mari più acidi, fa aumentare uragani e alluvioni”; invece “cercherò di mostrarvi, dati alla mano, ripeto, dati alla mano, come tutto questo, semplicemente, non sia vero e come spesso sia vero l’esatto contrario”.

Spesso, al contrario, sono diffuse come verità scientifiche vere bufale, come quella del 97% degli scienziati che attribuirebbero i cambiamenti climatici all’attività umana, percentuale dipesa invece da come era impostata la “ricerca”. O le tante altre bufale propinateci a sostegno di una tesi che appare più un atto di fede che una valutazione razionale di dati e cause reali. Il lavoro si suddivide in più saggi, dei quali riportiamo alcuni titoli per orientare il lettore: i modelli climatici sono imprecisi: escludono variabili fondamentali; non è vero che i disastri naturali sono in aumento, gli uragani non crescono e i ghiacciai non si sciolgono. Nella terza parte sono analizzate le politiche green (sono davvero green?).

L’ultimo saggio aiuta il lettore più smaliziato a capire quello che (tra gli altri) avevo sospettato per anni: fa capire chi, nella “transazione green”, ci guadagna (finanza, assicurazioni ed altro). Già dal primo rapporto su ambiente e sviluppo si capiva il senso “Fra gli obiettivi del rapporto vi era quello di spiegare come la presenza dell’uomo (la sovrappopolazione) e la sua attività (crescita dei Paesi ricchi) hanno conseguenze negative per l’ambiente e per i Paesi poveri. Si tratta di un rinnovato interesse per le idee del reverendo Malthus: la popolazione avrebbe un impatto negativo sull’ambiente e sullo sviluppo; il tradizionale mondo industriale sarebbe deleterio per l’ambiente”. La (prima) conclusione è quella solita “i governi devono finanziare le fonti rinnovabili per permettere ai fondi d’investimento privati di fare investimenti sicuri (e remunerativi)”. “Per questo motivo, l’unica speranza di ricondurre il dibatto sul clima in ambito scientifico è che la grande finanza smetta di interessarsi al clima”. Un episodio particolarmente istruttivo è quello dell’uragano Katrina, costato al comparto assicurativo 40 miliardi di dollari in risarcimenti, Subito le compagnie conferirono incarico a quattro esperti di individuare gli effetti del cambiamento climatico sui rischi assicurati “I modelli dell’RMS stimarono la possibilità di uragani nel quinquennio 2006-20100, sugli Stati Uniti meridionali, del 30% sopra la media climatica. In questo modo l’RMS, e altre compagnie assicuratrici, hanno potuto adeguare i premi, non a quello che è accaduto ma a quello che sarebbe potuto accadere, per la modica cifra di 82 miliardi di dollari (più del doppio del costo dell’uragano Katrina)”. Per cui, conclude il saggio “La finalità dell’ideologia climatica non è il benessere del pianeta (e dei suoi abitanti), è il benessere della grande finanza”.

Con buona pace dei tanti gretini.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Vince Ebert, Non è ancora la fine del mondo, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Vince Ebert, Non è ancora la fine del mondo, Liberilibri, Macerata 2024, pp. 191, € 18,00

Quando un problema serio come la tutela dell’ambiente è affrontato da attivisti, politici, giornalisti, intellos in modo spesso improbabile e, non poche volte, involontariamente comico, il contrappasso è che a criticarlo sia un divulgatore scientifico come Ebert, ma anche styand-up comedian.

È la legge del contrappasso: a comici involontari replica un comico professionista. Come scrive Abbadessa nella prefazione, il saggio “si identifica nella tradizione che attraversa tutta la storia del pensiero occidentale, che vede nell’ “arma” dell’ironia la tecnica migliore per smontare quelle che a volte appaiono come verità consolidate. Ironia e preparazione scientifica per avere uno sguardo lucido e aperto sul mondo”.

E in effetti usare l’ironia per argomenti seri ha generato alcune delle opere più acute e divertenti della cultura europea: dalle “Provinciali” di Pascal al “Tartufo” di Moliére, dalla “Sacra giraffa” di Madariaga all’ “Ispettore generale” di Gogol. Gli è che gli argomenti, ironicamente demoliti o ridimensionati da Ebert, hanno in comune il connotato, prevalente, di trarre conclusioni apocalittiche da fenomeni di rilevanza assai più modesta, preoccupanti per il benessere di persone e comunità, ma del tutto inidonei a causare la fine del pianeta. Altre presentano evidenti errori, logici e non. Ad esempio la sostenibilità ambientale. Diversi ambientalisti ritengono che la crisi climatica sia dovuta al capitalismo. Ma Ebert ricorda che di solito “i Paesi economicamente più liberi hanno anche i punteggi più alti nell’indice di sostenibilità ambientale. I Paesi economicamente meno liberi sono quelli che hanno anche i valori peggiori di sostenibilità ambientale. Da un punto di vista ecologico, il capitalismo non sembra essere il problema ma la soluzione”. E la Cina, sia quando era comunista che  post-comunista è il più grande bruciatore di carbone del pianeta.

Poi c’è la pressione di gruppo, cioè il ripetere corale (e coordinato) delle tesi ambientaliste.

Ebert scrive che a tanto chiasso il più delle volte corrisponde un riscontro reale modesto: se “un extraterrestre atterra in Germania, legge un giornale qualsiasi, visita un sito di notizie, guarda una televendita o facendo zapping capita un talk show politico. Crederà che per i cittadini di questo Paese quasi niente è più importante del cambiamento climatico” ma non è così. Stando ai dati reali “attualmente 1,6% dei tedeschi mangia vegano, il 5,7% degli alimenti acquistati è bio e la quota di auto elettriche è dell’1,2%”. La conclusione è che l’indifferenza è prevalente perché il Ragnarok ambientalista non è un pensiero che preoccupi le masse “il mainstream non è ciò che pensa la maggioranza, ma ciò che la maggioranza pensa che la maggiorana pensi”.

D’altra parte se la Cina ha triplicato negli ultimi vent’anni le emissioni di Co2 e Sud-Africa e Nigeria investono in centrali a combustibili fossili, è chiaro che, anche se le richieste dei catastrofisti climatici fossero integralmente accolte a Parigi, Londra e Berlino, l’effetto sul riscaldamento globale sarebbe insignificante data la modesta percentuale europea di inquinamento.

Nel complesso un saggio che in un dibattito carico di scomuniche e anatemi, porta l’aria fresca della ragionevolezza.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Agricoltura europea, di Marc Dufumier

Agricoltura europea

La promessa dell’agroecologia

Il titolo è di per sé fuorviante. Dice di “agricoltura europea”, parla in realtà di agricoltura di quella vasta pianura che si estende dalla Francia sino alla Olanda, alla Germania e alle propaggini tardive della Polonia. Anche se snaturata dalle previste politiche compensative e riequilibrative dei territori dei programmi iniziali, le politiche agricole comunitarie ridussero l’originario piano Mansholt degli anni ’60 alla politica de “l’osso e della polpa” che prevedeva la costituzione di grandi aziende agricole nelle grandi pianure a scapito dell’agricoltura collinare, da abbandonare nei fatti. Una tragedia per le economie collinari soprattutto del centro-sud d’Italia, non solo di quelle terre più difficili da coltivare, ma curate per millenni, in particolare della Murgia barese e della Sicilia, diventate in buona parte aride per abbandono, piuttosto che per siccità, ma anche di quelle fertili collinari, ad esempio, della Basilicata di fatto espropriate ai piccoli proprietari spinti alla fuga a Nord. Fu l’ennesimo atto di resa senza combattere delle classi dirigenti italiane, pronte a liberarsi con l’emigrazione di enormi masse in cambio di un effettivo “miracolo economico”, però profondamente squilibrato e subordinato a logiche esogene. Un atto di resa che trasformò in breve tempo il problema delle eccedenze agricole europee delle produzioni di grano, foraggi, latte e carni in un enorme deficit commerciale italiano di tali prodotti. Non si può ridurre ad una chiosa un argomento che richiederebbe parecchie pagine ed una ricostruzione rigorosa in un paese sino a poco tempo fa tanto preso da uno stucchevole lirismo europeista, quanto privo di un sistematico lavoro di ricerca serio e documentato. Sta di fatto che il proverbiale spirito italico di adattamento è riuscito a trasformare nel tempo e a costi umani drammatici il declivio verso un disastro catastrofico in un parziale recupero di vitalità legato a produzioni agricole di nicchia, al netto comunque della “inefficienza” di gran parte delle organizzazioni consortili del Centro-Sud, di un sistema di distribuzione all’ingrosso in mano in buona parte a taglieggiatori, di una industria di trasformazione industriale del prodotto ormai sempre più inopinatamente in mano straniera. In tempi di intemperie geopolitiche sempre più violente ed imprevedibili, le classi dirigenti italiane si concedono ancora il lusso di ignorare del tutto o porre in termini parodistici il tema della sovranità alimentare, partendo dalla dipendenza estera del grano, dei foraggi e di numerosi prodotti di base della catena alimentare, al centro invece delle attenzioni di importanti settori istituzionali e di ampi settori delle categorie ed associazioni agricole di altri paesi. Diventa quasi scoraggiante porre questi temi temi, così cruciali per l’esistenza di una nazione sovrana; così come quelli legati alla strumentalizzazione dilettantesca dei temi ambientali e di conversione ecologica che hanno già creato immani disastri già in alcune produzioni, come quello della soia, e beffardamente anche in alcune nicchie ambientali, come quello del ciclo vitale delle api. Non posso evitare, però, di porre un quesito, probabilmente retorico: come mai le vivaci proteste degli agricoltori francesi, olandesi, tedeschi e polacchi, e quant’altro, godono del sostegno quanto meno dichiarato, se non fattivo, delle associazioni di categoria a fronte del carattere spontaneo ed essenzialmente imitativo delle proteste in Italia? Ritengo sia un interrogativo cruciale in grado di spiegare il carattere di sterile tumulto, comunque serpeggiante in Europa, ma particolarmente radicato qui in Italia e più volte evidenziato in precedenti analoghe circostanze. Di spiegare, anche, il probabile consueto epilogo di tali dinamiche e del ruolo collaterale ormai sempre più assolto dalle associazioni di categoria nazionali. Temi in qualche modo sfiorati, nell’articolo, sia pure con punti di vista spesso discutibili. Giuseppe Germinario

4 febbraio 2024: L’abbassamento delle frontiere ha gettato l’agricoltura del Vecchio Continente in una crisi insanabile, compromettendo la sovranità alimentare degli europei e la qualità dei loro alimenti. L’agronomo Marc Dufumier denuncia il vicolo cieco di questa politica e propone un’alternativa ispirata al suo lavoro di ricercatore e professionista…

Gli agricoltori francesi hanno buone ragioni per essere scontenti. Nonostante una legge Egalim che dovrebbe garantire loro prezzi di vendita relativamente stabili e remunerativi, la maggior parte di loro non è in grado di generare un reddito sufficiente a coprire i bisogni delle loro famiglie e a ripagare i prestiti che hanno contratto per attrezzare pesantemente le loro aziende agricole.

Il sostegno della Politica Agricola Comune, che è condizionato al rispetto di standard ambientali e sanitari spesso pignoli, spesso non riesce a fornire loro un reddito decente. E questo spiega senza dubbio perché gli agricoltori hanno un rischio di suicidio del 43% superiore a quello delle persone assicurate con tutti i regimi di sicurezza sociale(nota).

Per aggirare la famosa legge Egalim, i supermercati e le imprese agroalimentari non esitano a contrapporre i nostri agricoltori alle importazioni di un gran numero di prodotti alimentari (frutta, verdura, pollo, carne bovina, ecc.) prodotti all’estero a prezzi più bassi.

Da qui il fatto che gli agricoltori denunciano alcuni accordi di “libero scambio” e chiedono una maggiore protezione del nostro mercato interno. Ma dobbiamo riconoscere che anche molti dei prodotti standard per i quali esportiamo eccedenze stanno diventando sempre meno redditizi di fronte alla concorrenza internazionale.

Come può il nostro grano, con una resa media di 72 quintali per ettaro e spesso con costi considerevoli in fattori produttivi, competere con il grano prodotto su vasta scala in enormi fattorie in Ucraina o in Romania? Come possono i polli economici nutriti con mais e soia brasiliani competere con quelli allevati in Brasile? Come può il latte in polvere prodotto nel Finistère per essere esportato in Cina competere con quello prodotto dalle grandi mandrie lattiere della Nuova Zelanda, dove le mucche possono pascolare quasi tutto l’anno?

Le prove sono schiaccianti: i nostri agricoltori sono stati ingannati. È stato un gravissimo errore incoraggiarli, nella Francia dei mille e uno terroir, ad attuare forme di agricoltura industriale, con sussidi concessi in proporzione alla terra disponibile e non in base al lavoro richiesto.

Per soddisfare le richieste delle grandi aziende agroalimentari e rimanere competitivi nell’incessante corsa alla riduzione dei costi e all’aumento della produttività, i nostri agricoltori sono stati spesso costretti a specializzarsi e a meccanizzare ulteriormente i loro sistemi di produzione, al fine di fornire una gamma limitata di prodotti standard su vasta scala.

Di conseguenza, gli agro-ecosistemi sono diventati eccessivamente omogenei e fragili, causando danni molto gravi al nostro ambiente: invasioni intempestive di specie concorrenti o predatrici, epidemie causate da nuovi agenti patogeni, inquinamento chimico causato dall’uso indiscriminato di pesticidi e fertilizzanti azotati di sintesi, erosione della biodiversità domestica e selvatica, eccesso di mortalità degli insetti impollinatori, riduzione della qualità degli alimenti, aumento della dipendenza dai combustibili fossili, aumento delle emissioni di gas a effetto serra (anidride carbonica, metano e protossido di azoto)(nota), diminuzione della fertilità del suolo, crollo delle falde acquifere, ecc.

E stiamo già pagando un prezzo elevato per questi attacchi al nostro ambiente: antibiotici nella carne, residui di pesticidi nella frutta e nella verdura, intossicazioni alimentari e respiratorie, aumento della prevalenza di alcuni tipi di cancro, alghe verdi sulla costa bretone, costi finanziari delle misure di disinquinamento, ecc.

Sappiamo anche che con il riscaldamento globale, gli eventi meteorologici estremi (ondate di calore, siccità, inondazioni, grandinate, ecc.) diventeranno più intensi e più frequenti. Ma purtroppo non è stato ancora fatto nulla per aiutare davvero gli agricoltori a farvi fronte. Al contrario, l’esagerata specializzazione dei loro sistemi produttivi ha l’effetto di rendere i nostri agricoltori sempre più vulnerabili a questi eventi, in quanto i loro redditi possono periodicamente diminuire in modo considerevole.

La promessa dell’agroecologia

Fortunatamente, esistono sistemi di produzione agricola basati sull’agroecologia che consentirebbero ai nostri agricoltori di assicurarsi un reddito resistente senza dover ricorrere a pesticidi e fertilizzanti azotati di sintesi.

Il primo passo sarebbe ovviamente quello di utilizzare un maggior numero di varietà vegetali e razze animali tolleranti ai parassiti e agli agenti patogeni locali. Ma se vogliamo davvero adattare la nostra agricoltura alle attuali perturbazioni climatiche, dobbiamo anche diversificare le attività nelle nostre aziende.

A differenza della monocoltura o dell’allevamento in batteria, i sistemi di produzione agricola che riescono a combinare vari tipi di bestiame con rotazioni diversificate e rotazione delle colture sono quelli che garantiscono una maggiore resilienza del reddito, non “puntando tutto su un solo paniere”.

La moltiplicazione delle colture con piante seminate e raccolte in periodi diversi dell’anno ha il vantaggio di garantire che non vengano colpite tutte allo stesso modo in caso di eventi climatici estremi (ondate di calore, siccità, ma anche grandine, gelate, alluvioni, ecc.)

Con una tale diversificazione, gli organismi più suscettibili di danneggiare le colture o il bestiame non prolifererebbero più improvvisamente a macchia d’olio, a causa delle barriere imposte da potenziali concorrenti o predatori.

Per esempio, potremmo non dover usare insetticidi per eliminare gli afidi se le mosche sifilidi e le coccinelle ne limitassero la proliferazione. Lo stesso si potrebbe dire per le lumache, se i campi riuscissero ancora a ospitare coleotteri e ricci. Quanto alle larve di tignola (vermi delle mele), sarebbero facilmente neutralizzate se le siepi ospitassero cince azzurre e pipistrelli che predano le tarme.

La buona notizia è che questi stessi sistemi di produzione diversificati possono anche contribuire a mitigare il cambiamento climatico, con minori emissioni di gas serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto) e un maggiore sequestro di carbonio nella biomassa e nell’humus dei terreni. L’esatto contrario dei principi dell’agricoltura industriale, che incoraggiano i nostri agricoltori a fare un uso sempre maggiore di macchinari a motore, pesticidi e combustibili fossili. Ma è vero che questo avviene al prezzo di un lavoro più attento e molto più importante.

Questo tipo di agricoltura può quindi essere ad alta intensità di lavoro. Ma gli agricoltori che la praticano devono comunque essere adeguatamente remunerati dalle autorità pubbliche per i loro servizi ambientali di interesse generale. Soprattutto, i costi aggiuntivi del lavoro non dovrebbero essere sostenuti interamente dai consumatori. Solo le fasce più ricche della società sarebbero in grado di permettersi alimenti di alta qualità nutrizionale e sanitaria.

Perché le persone con un reddito modesto non dovrebbero avere il diritto di accedervi, visto che i prodotti in questione verrebbero venduti a un prezzo più alto? Il pagamento dei servizi ambientali di interesse generale dovrebbe logicamente essere effettuato dai contribuenti. E gli agricoltori, adeguatamente remunerati in questo modo, sarebbero in grado di modificare i loro sistemi di produzione per fornire maggiori volumi di prodotti buoni. Questa maggiore offerta diventerebbe quindi accessibile al maggior numero possibile di persone.

È quindi urgente cambiare radicalmente la nostra politica agricola comune: non concedere più sussidi in proporzione alla superficie coltivata, ma pagare il lavoro supplementare richiesto da queste forme di agricoltura su piccola scala basate sull’agroecologia, molto rispettose della nostra salute e del nostro ambiente. Ma cosa stiamo aspettando?

Marc Dufumier
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Tutti i danni ambientali dell’Unione Europea, di Davide Gionco

Tutti i danni ambientali dell’Unione Europea

di Davide Gionco

Le ipocrisie ambientali dell’Unione Europea

In Europa siamo tutti ecologisti, da Ursula Von der Leyen e Greta Thunberg in giù.
Ce lo dicono tv e giornali: siamo tutti ecologisti, le politiche ambientali davanti ogni cosa.
E’ giusto: abbiamo un solo pianeta in cui vivere e non possiamo permetterci di rovinarlo, per rispetto delle generazioni future.
Ma i politici “europei”, supportati dal coro unico dei mezzi di informazione, però, ci dicono un’altra cosa.
Ambiente significa unicamente fare politiche e informazione per contrastare il cambiamento climatico causato dalle emissioni di CO2. Ogni disastro naturale serve a giustificare questo assioma, che si tratti di siccità, di piogge eccessive, di temperature troppo elevate.
TV e giornali ci martellano in tal senso ogni giorno.

Altri motivi di danneggiamento dell’ambiente, come la gestione delle scorie nucleari, l’immissione in ambiente di sostanze chimiche cancerogene (come i famigerati PFAS, sostanze perfluoroalchiliche), l’uso eccessivo di additivi artificiali nell’industria alimentare, la dispersione delle microplastiche nelle acque, al punto che sono entrate a far parte della catena alimentare, fino agli esseri umani… Tutti questi veri problemi ambientali è come se non esistessero nella narrativa del potere politico e mediatico.
Per loro essere ambientalisti significa unicamente ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera.

Non intendo entrare nel dibattito sulla fondatezza o meno delle teorie per cui l’aumento di temperatura del pianeta Terra sia causato dalle emissioni di CO2 e che l’aumento della temperatura sarà certamente causa di cambiamenti gravissimi per il genere umano.
Chiediamoci invece se siano dei motivi scientifici a portare i politici di non occuparsi di tutti gli altri problemi ambientali, ma solo delle emissioni di gas serra.
Quali sono i problemi ambientali più gravi che affliggono l’umanità, misurati in termini di rischi per la salute e la stessa vita delle persone?
Davvero siamo sicuri che la questione più importante sia il cambiamento climatico?

Ciascuno si informi e sia delle risposte su base scientifica, senza accodarsi alla narrativa a senso unico dei mezzi di informazione.

 

Il modello economico europeo è incompatibile con l’ambiente

Ma diamo per assunto che il cambiamento climatico sia il problema prioritario.
Davvero l’Europa porta avanti delle politiche in favore dell’ambiente, al di là dei proclami ufficiali?

Il problema di fondo dell’Unione Europea è l’assoluta inconciliabilità fra il modello economico adottato e le politiche ambientali.
L’Unione Europea è fondata prima di tutto su 3 principi neoliberisti:
1) Il libero commercio senza barriere
2) La competitività
3) Il settore pubblico che non interviene nell’economia

Il libero commercio senza frontiere mette in concorrenza i produttori sulla base dei prezzi dei prodotti commercializzati. Siccome produrre merci riducendo l’impatto ambientale costa di più che produrre merci senza preoccuparsi delle conseguenze ambientali, l’eliminazione delle barriere doganali favorisce le imprese che producono in paesi nei quali esistono meno controlli ambientali e le imprese che meno di altre si curano di rispettare l’ambiente.
Questo avviene a livello c0ntinentale, dove non a caso molti siti produttivi sono stati delocalizzati dai paesi in cui si usa energia più pulita e vi sono maggiori controlli ambientali ai paesi dell’Europa dell’Est, dove si usa energia a maggiori emissioni di CO2 (carbone) e dove i controlli ambientali sono più blandi.
Ovviamente il fenomeno è ancora più marcato a livello mondiale, con l’adesione di tutti i paesi dell’Unione Europea ai trattati di libero scambio come il WTO, tramite i quali si sono aperte le porte a prodotti provenienti da paesi di quasi tutto il mondo, nei quali i controlli ambientali sono sostanzialmente inesistenti.
Si pensi non solo all’impatto ambientale dei paesi dell’Est Asiatico come la Cina o l’India, ma anche alle condizioni in cui le imprese europee si procurano le materie prime nei paesi del Terzo Mondo, senza il minimo rispetto dell’ambiente, della salute umana, dello sfruttamento del lavoro minorile, eccetera.

Nel mondo del libero commercio e della competizione globale prevale sempre chi è più “economicamente più efficiente” ovvero chi riesce più di altri a non farsi carico delle ricadute ambientali delle attività economiche.
L’Europa avrebbe potuto creare un grande mercato interno continentale con le stesse regole di rispetto dell’ambiente uguali per tutti, nel quale chiunque avesse voluto produrre doveva prima di tutto rispettare queste regole e nel quale chiunque avesse voluto importare merci dall’esterno avrebbe dovuto imporre ai propri fornitori il rispeto di tali regole.
Un mercato ricco di 500 milioni di consumatori, con un prodotto interno lordo pari al 20% di quello mondiale, avrebbe avuto la forza di imporre questi standard a livello mondiale o comunque di preservare l’ambiente quantomeno sul territorio europeo.

Invece si è preferito dare spazio. all’unico dogma che conta, quello del libero mercato senza regole, quello della competizione fra imprese ad ogni costo, senza riguardi per le conseguenze ambientali.
Dietro a tutta la retorica sul cambiamento climatico la realtà è che l’Europa è fra i principali devastatori dell’ambiente a livello mondiale, in quanto si occupa solo, a parole, della riduzione delle emissioni di CO2, mentre nel contempo porta avanti politiche economiche che generano inquinamento nella stessa Europa, ma soprattutto  in altre aree del pianeta.

I principi del libero mercato e della competitività non sono per nulla compatibili con il rispetto dell’ambiente, se guardiamo oltre la propaganda martellante dei mezzi di informazione.

 

L’ipocrisia europea sulle emissioni di gas a effetto serra

Dando per assunto, sulla base della narrativa mediatica e non della scienza, che il problema principale da affrontare sia la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, proviamo a valutare l’efficacia delle politiche europee per la riduzione delle emissioni di CO2.

Attualmente le emissioni annuali di gas serra (CO2 equivalente) a livello mondiale sono dell’ordine di 35 miliardi di tonnellate, mentre l’insieme dei paesi dell’Unione Europea emette circa 1 miliardo di tonnellate l’anno- Ovvero le emissioni europee contano il 2,8% delle emissioni annue globali.
Quando Ursula Von der Leyen annuncia nel 2021 il piano europeo “Fit for 55” che prevede la riduzione del 55% delle emissioni europee di CO2 entro il 2030 non ci dice che questo sforzo consentirebbe di ridurre le emissioni globali dell’1,6% in 9 anni, a patto che tutti gli altri paesi del mondo nel contempo mantengano invariate le proprie emissioni di gas ad effetto serra.
Con ogni evidenza la riduzione mondiale dell’1,6% risulterà sostanzialmente irrilevante sull’eventuale effetto serra globale, mentre la riduzione del 55% delle emissioni europee  in soli 7 anni, causerà certamente una gravissima crisi economica in Europa.
Questo perché, pur realizzando impianti per la produzione di energia da fonti rinnovaili e mettendo in atto interventi di risparmio energetico, è del tutto irrealistico riuscire a ridurre le emissioni di CO2 addirittura del 7,9% all’anno, senza avere avuto il tempo di quadruplicare (come minimo) il numero di lavoratori nel settore (ingegneri, operai specializzati, ecc.). Di conseguenza una tale riduzione delle emissioni potrà essere conseguita solamente riducendo in modo molto rilevate le attività produttive e mantenendo gli edifici al freddo in inverno.
E questo significherà disoccupazione e impoverimento.
Tutto questo per conseguire una misera riduzione a livello mondiale del solo 1,6% delle emissioni di CO2, senza alcun effetto rilevante sul cambiamento climatico.

Ovviamente, in un regime di libero commercio, i concorrenti extraeuropei delle nostre imprese continueranno a produrre emettendo CO2. Anzi, lo faranno di più, perché i cittadini europei saranno obbligati ad importare da fuori Europa ciò che in Europa, per le restrizioni ambientali, non potrà più essere prodotto.
L’Unione Europea avrebbe potuto ottenere molto di più esigendo dai fornitori internazionali del mercato europeo degli standard ambientali più adeguati. Ma non lo ha fatto, per non andare contro i principi fondanti del libero mercato e della competitività ad ogni costo.

 

L’ipocrisia europea nell’attuale crisi energetica

Nel rispetto dei soliti principi neoliberisti l’UE ha privatizzato e liberalizzato il mercato europeo dell’energia, istituendo la borsa del gas naturale TTF di Amsterdam e la borsa dell’energia elettrica EER di Lipsia.
Le regole di quotazione dei prezzi sono state scritte in modo da favorire i massimi guadagni agli speculatori. Ci riferiamo alla regola dei
prezzi marginali ed alla possibilità di scambiare in borsa quote virtuali di energia ovvero energia non realmente posseduta da chi la vende, che hanno fatto salire di 10 volte la quantità di energia quotata, con quantità pari a 10-15 volte le quantità reali di energia disponibile presso i produttori.

Queste regole tipiche della speculazione finanziaria hanno esasperato le conseguenze di situazioni “negative” per il mercato dell’energia.
La prima situazione negativa è stato proprio il piano europeo “Fit for 55”, che per limitare le emissioni di CO2 ha previsto la vendita all’asta delle quote di emissioni di CO2 consentite (il 45% restante).
Essendo concretamente impossibile ridurre di così tanto le emissioni di CO2 in soli 6 anni, gli investitori hanno anticipato gli effetti del razionamento delle quote di emissioni di CO2, che porteranno ad un aumento dei combustibili fossili.
Questa è stata la principale ragione degli aumenti dell’energia che già si erano registrati lo scorso autunno 2021.
La seconda situazione negativa sono state le sanzioni imposte alla Russia, conseguenti del conflitto in Ucraina.
L’obiettivo irrealistico di affrancarsi nel giro di pochi mesi dal fabbisogno di gas naturale russo, che rappresentava fino ad un anno fa circa il 40% del fabbisogno europeo, essendo noto, a chi conosce i dati reali, che tutti gli altri paesi produttori di gas naturale al mondo sono in grado, con le infrastrutture disponibili attualmente e nei prossimi 3-4- anni,  di sostituire la fornitura di gas russo. Quindi questo significa a priori la decisione di ridurre la disponibilità di gas in Europa, portando a razionamenti certi (tagli alle attività produttive, famiglie al freddo) e far salire i prezzi del gas alle stelle, in quanto si tratta di un bene primario a cui imprese e famiglie non possono rinunciare tanto facilmente.

Una conseguenza di queste decisioni è che ora molte auto che viaggiavano a gas metano, meno inquinante, ora inquinano di più viaggiando a benzina, che costa meno del gas.

Una seconda conseguenza deriva dal legame fra il prezzo dell’energia elettrica al prezzo del gas.
L’Unione Europea ha deciso che ci debba essere un unico mercato non solo del gas (borsa TTF di Amsterdam), ma anche dell’energia elettrica (borsa EER di Lipsia), con le regole per le quali il prezzo dell’energia elettrica viene determinato dalla fonte produttiva più costosa in circolazione, che attualmente è la produzione di energia elettrica mediante combustione di gas naturale. Sul mercato dell’energia elettrica non si fa più distinzione fra energia da fonti rinnovabili ed energia da fonti fossili. Tutta l’energia viene venduta allo stesso prezzo.
In una logica di politiche ambientali, invece, dovrebbe essere favorita la vendita di energia da fonti rinnovabili rispetto a quella prodotta da fonti fossili.
La conseguenza di queste dinamiche è che attualmente molti paesi si stanno orientando, sia per la carenza di gas che per questioni di prezzo, a produrre energia elettrica bruciando petrolio o carbone, emettendo molta più anidride carbonica di quanta se ne emetterebbe usando il gas naturale e senza incentivare lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

Una terza conseguenza derivante dalle sanzioni alla Russia è che i russi sono obbligati a bruciare il gas metano preveniente dai loro giacimenti, dato che non può più essere venduto in Europa e date che, per motivi tecnici, è molto complesso “chiudere i rubinetti” del gas estratto dai giacimenti.
Per questo motivo, in passato, i contratti fra ENI e Gazprom prevedevano la fornitura di un flusso costante di gas per 20-30 anni e procedure obbligatorie di stoccaggio in Italia, il che consentiva nel contempo di minimizzare i costi per entrambe le parti e assicurare rifornimenti certi di energia per imprese e famiglie italiane.
Oggi, purtroppo, le esigenze della finanza europea e della geopolitica americana hanno prevalso sulle esigenze tecniche, portando Gazprom a bruciare il gaz metano che non viene venduto in Europa.
Il risultato di tutto questo è che vengono aumentate le emissioni di CO2 in Europa per la combustione di petrolio e di carbone in sostituzione del gas, mentre restano le emissioni di CO2 causate dalla combustione del gas russo che non può essere venduto dopo essere stato estratto.
Se a livello italiano siamo governati da incapaci, a livello europeo siamo governati da geni dell’inefficienza.
E ringraziamo che i russi brucino il gas naturale invenduto, perché se lo emettessero direttamente in atmosfera l’effetto serra del gas metano sarebbe di 25 volte superiore a quello della stessa CO2. Bruciando il gas l’effetto serra potenziale viene per fortuna ridotto di 24 volte.

Le attuali politiche europee stanno quindi caricando su cittadini e imprese europei tutti i costi derivanti dall’ideologia della riduzione delle emissioni di CO2 ad ogni costo e tutti i costi di scelte geopolitiche, pur se ufficialmente dipendenti dalla guerra in Ucraina, molto mal ponderate nelle loro conseguenze.

Personalmente mi chiedo come sarebbe andata a finire se i 1200 miliardi di euro di extracosti energetici che l’Unione Europea ha già dovuto subire negli ultimi 12 mesi fossero stati messi, come piano di accordi commerciali, sul tavolo delle trattative di pace fra Russia ed Ucraina. Probabilmente sarebbero stati un argomento sufficientemente convincente per mettere a tacere le armi, trovare una soluzione pacifica ed evitare decine di migliaia di morti.


L’insostenibilità del “meno stato più mercato”

Il terzo principio neoliberista fondante dell’Unione Europea , sopra citato, prevede la riduzione dell’intervento dello stato nell’economia, se non come strumento per tassare sempre di più cittadini e imprese, e per favorire lo strapotere delle multinazionali con regole truccate.
Per questo obiettivo l’Unione Europea continua, fin dalla sua costituzione nel 1992, a comprimere i bilanci degli stati, imponendo rigore di bilancio e tagli agli investimenti pubblici.
In questo modo molti paesi, soprattutto quelli meno ricchi e più indebitati, non hanno la possibilità di fare investimenti pubblici e strategici per ridurre l’impatto ambientale.
Il primo investimento da fare sarebbero i controlli sulle attività produttive inquinanti.
Ma i controlli costano. Meno spesa pubblica = più attività inquinanti.

Oltre a questo, per le stesse ragioni, lo Stato non ha i soldi per realizzare, ad esempio, impianti solari o interventi di risparmio energetico negli edifici pubblici.

Lo stato non hanno neppure la possibilità di intervenire sul mercato dell’energia, razionalizzando e rendendolo più funzionale alla sostenibilità ambientale, evitando i fenomeni illustrati nei paragrafi precedenti.
E’ del tutto evidente che per poter rendere disponibile per un grande paese come l’Italia energia da fonti rinnovabili per tutti serva un soggetto che sia in grado di fare investimenti al di là delle dinamiche dei mercati, in grado di realizzare interventi strategici a beneficio di tutti e dell’ambiente e che abbia tutto l’interesse a ridurre i consumi complessivi di energia, non avendo da guadagnarci sulla vendita, cosa che non succede per gli operatori privati che lucrano sulla vendita di energia.
Ad esempio interventi come l’adeguamento della rete elettrica, oggi strutturatsa con “grossi cavi” (mi scusino i colleghi ingegneri elettrici, ma è per rendere il concetto elettrotecnico facilmente comprensibile) in prossimità delle poche centrli di produzione e con “piccoli cavi” in prossimità degli utilizzatori. Per poter immettere in rete e redistribuire l’energia prodotta sugli edifici dagli impianti fotovoltaici serve installare dei nuovi cavi “più grossi” in prossimità degli utilizzatori-produttori, in modo che l’energia non si disperda per effetto Joule.
E serve realizzare delle “smart grid”, sistemi intelligenti che consentano di coordinare prevalentemente il consumo di energia elettrica nelle ore in cui il sole ci consente di produrne di più, dato che l’energia elettrica è difficile da immagazzinare in grandi quantità.
Tutto questo in Italia non lo si è ancora fatto, proprio perché lo Stato non dispone della libertà finanziaria per farlo (oltre alla mancanza di volontà politica, per incompetenza di chi ci governa).

Tutto questo, che sarebbe logico nell’ottica di politiche ambientali, è irreliazzabile restando nelle regole dell’Unione Europea e restando nella politica di mercato.

 

L’irreformabilità dell’Unione Europea
A questo punto gli amici ecologisti, sostenitori dell’Unione Europea, perché convinti che i problemi ambientali sono globali e non possono essere risolti su scala nazionale, mi diranno di essere d’accordo con le considerazioni sopra espresse, per cui l’unica cosa fa fare è perseguire una vera riforma dell’Unione Europea in chiave ambientalista, liberandola dalle logiche di mercato.

A questi amici io rispondo con un’altra domanda:
In quale modo noi potremmo oggi determinare una totale riscrittura dei trattati europei mettendo d’accordo 27 paesi, senza che nessuno ponga il veto, compresi quelli che lucrano dall’attuale situazione di speculazione finanziaria selvaggia sul mercato dell’energia, compresi quelli che lucrano sulla combustione del carbone e compresi quelli che lucrano sulle importazioni di merci dai paesi più inquinanti del mondo?
E mai ci dovessimo riuscire, quanti anni ci vorrebbero per convincere 450 milioni di cittadini europei?
Ma soprattutto per convicere i loro governanti, sempre attenti agli interessi delle lobbies economiche e molto poco a quelli dei cittadini.

E chiedo ancora:
In quale modo potremmo noi concretamente sfiduciare la Ursula Von der Leyen di turno nel caso in cui portasse avanti politiche che si dimostrino opposte agli interessi ambientali?
Abbiamo forse la possibilità concreta di votare la caduta della Commissione Europea persostituirla con un’altra di altra linea politica?

Oppure è più realistico pensare riformare questo sistema politico-economico iniziando, dal basso, a boicottare sistematicamente le attività economiche inquinanti e a favorire le attività economiche non inquinanti?

L’attuale Unione Europea, al di là dei proclami di facciata, è di fatto una vera e propria calamità per le questioni ambientali, in quanto gli unici veri obiettivi perseguiti sono gli interessi finanziari dei mercati, scaricando sui cittadini i costi e i danni causati dalle conseguenze ambientali delle loro attività.
E sono una calamità tutti coloro che sostengono questa istituzione sovranazionale.
Non è possibile coniungare ambientalismo ed ecologia.
Se ci dicono di volerlo fare, ci stanno solo ingannando, per darsi una facciata più credibile mentre perseguono obiettivi ben di altro tipo.

Abbiamo la possibilità di costruire una società diversa, a misura d’uomo e di ambiente, ma solo a patto di rifiutare in blocco meccanismi del mercato libero, della competitività e della non ingerenza dello stato nell’economia. E, quindi, l’Unione Europea.

Il problema di matematica di base che annulla l’isteria del riscaldamento globale_ Di Maker S. Mark

Se qualcuno propone una soluzione a un “problema esistenziale” che non ha possibilità di successo, dovremmo essere costretti a prendere sul serio il problema?

Se gli allarmisti climatici credono davvero che ci sia un’emergenza climatica, allora dovrebbero essere in grado di rispondere alla prima domanda fondamentale sul “piano”. I numeri del piano sono raggiungibili anche a distanza? Ricorda: in base al loro stridio, abbiamo solo dodici anni prima di morire tutti a causa del “cambiamento climatico provocato dall’uomo”.

Per rispondere a questa domanda, scomponiamo parte del piano nel problema matematico più elementare: possiamo sostituire il 25%, il 50% o il 75% delle auto in circolazione in dieci anni? Per comprendere la possibilità teorica, semplificheremo questo in quanti anni ci vorranno per sostituire tutti i veicoli su strada negli Stati Uniti

Inizierò con quanti veicoli sono in circolazione oggi negli Stati Uniti. Secondo questo link , nel 2020 erano 286 milioni. Lo arrotonderò a 300 milioni per semplificare i calcoli.

Quanti veicoli totali vengono venduti ogni anno negli Stati Uniti?  Questo collegamento risponde che ogni anno negli Stati Uniti viene venduta una media di poco meno di 15 milioni di veicoli (supponendo che i veicoli venduti e la capacità di produzione siano correlati).

Quanti veicoli elettrici vengono prodotti negli Stati Uniti? Da questo link ne produciamo meno di 1 milione. Arrotonderò a un milione per il mio calcolo.

Il semplice problema di matematica è: quanti anni ci vorranno per sostituire tutte le auto negli Stati Uniti con veicoli elettrici (totale negli Stati Uniti arrotondato per eccesso / volume di produzione medio all’anno)?

È 300M / 15M/anno = 20 anni. Ciò presuppone due cose importanti: in primo luogo, non ci sono nuove aggiunte nell’economia di conducenti e veicoli. In secondo luogo, che possiamo convertire tutta la produzione in veicoli elettrici durante la notte.

Se credi che moriremo tutti tra 12 anni, siamo in ritardo di otto anni per passare a tutti i veicoli elettrici, anche se le ipotesi di fondo fossero possibili.

Questo semplice problema di matematica mostra che le persone che urlano di più non hanno una soluzione seria al problema esistenziale del “cambiamento climatico provocato dall’uomo”. La situazione automobilistica negli Stati Uniti da sola non può essere risolta in vent’anni, per non parlare di dieci anni.

Ecco dove la matematica diventa un po’ più divertente:

Se attualmente produciamo 1 milione di veicoli elettrici all’anno e stiamo lottando per ottenere i materiali per raggiungere quel numero, qual è il numero massimo di veicoli elettrici che possiamo produrre senza una “bacchetta magica”?

Sarò generoso e dirò che al massimo possiamo aspettarci di triplicare la produzione a 3 milioni all’anno. Se abbiamo bisogno di 300 milioni da produrre (300 milioni / 3 milioni/anno = 100 anni), ciò significa che ci vorranno 100 anni solo per sostituire tutti i veicoli su strada. Le aziende stanno già lottando per ottenere i minerali necessari per le batterie. Quando proviamo a passare da 1M a 2M, peggiorerà e sarà più costoso. Non riesco nemmeno a immaginare i costi e l’impatto ambientale del tentativo di passare da 2 a 3 milioni. La mia previsione è che in dieci anni, il meglio che possiamo sperare di ottenere negli Stati Uniti sia sostituire dal 10% al 15% dei veicoli su strada con veicoli elettrici.

Le persone poco serie, che non sanno fare questa matematica di base, non possono assolutamente comprendere la complessa scienza coinvolta nello studio del clima. I numeri non mentono. La loro soluzione non risolverà il “problema climatico creato dall’uomo” senza una bacchetta magica per sostituire ogni veicolo negli Stati Uniti in una o anche due generazioni.

I membri dell’amministrazione Biden hanno iniziato a dire che abbiamo bisogno del dolore per ottenere il guadagno. Vi dimostro ora che non è possibile produrre abbastanza veicoli in 12 anni o in 25 anni. Pertanto, questo è sicuramente tutto dolore e nessun guadagno. Distruggendo l’industria dei combustibili fossili degli Stati Uniti, sembra che siano determinati a distruggere l’economia statunitense dall’interno.

Pertanto, perché stanno spingendo questo programma e questa soluzione ridicola? Se credi che la “catastrofe climatica provocata dall’uomo” sia dietro l’angolo, in che modo la distruzione degli Stati Uniti e dell’economia mondiale aiuterà? La risposta semplice è “non lo farà”. Gli Stati Uniti sono la nazione più innovativa nella storia del mondo. Se ci togli dall’equazione, i problemi seri non possono essere risolti.

Per coloro che dicono che i globalisti hanno un piano, posso assicurarvi sulla base di questa matematica di alto livello che non hanno un piano serio per affrontare il “cambiamento climatico causato dall’uomo” (se ci credono davvero). Probabilmente ci vorranno trilioni di dollari iniettati nell’economia mondiale e dai trenta ai quarant’anni per sostituire tutti i veicoli a gas con quelli elettrici (supponendo che possiamo trovare i minerali e i componenti per produrre le batterie).

Senza la bacchetta magica a cui fanno riferimento ripetutamente i globalisti, non c’è modo di produrre abbastanza veicoli elettrici per fare la differenza. La vera domanda allora diventa: perché spingono a convertirsi ai veicoli elettrici (non servirà in tempo) per risolvere un “problema esistenziale”? Penso che dobbiamo “seguire i soldi” per scoprirlo.

Personalmente, continuerò il lavoro sui problemi di matematica e sulla scienza reale per sfatare il mito del “cambiamento climatico provocato dall’uomo”. Raccomando di non ascoltare le persone che non vogliono o non sono in grado di completare i problemi di matematica di base quando risolvono questa cosiddetta crisi. Le soluzioni poco serie non faranno nulla per aiutare un problema poco serio.

Maker S. Mark (uno pseudonimo) è un patriota che può capire e spiegare matematica e scienze avanzate ed è preoccupato per lo stato della nazione e come risolvere i problemi che dobbiamo affrontare. Uniti vinciamo divisi perdiamo.

https://www.americanthinker.com/articles/2022/08/the_basic_math_problem_that_undoes_global_warming_hysteria.html

IL RISCALDAMENTO GLOBALE HA UNA BUONA SCHIENA, di Xavier Jésu

65 milioni di anni fa, poco prima che i dinosauri si estinguessero, la temperatura media sulla superficie terrestre era di 25°C, dieci gradi più calda di oggi, e le calotte polari nord e sud erano scomparse…

 

 

 

Ci doveva essere un motivo valido per spiegare le alte temperature della scorsa settimana che hanno contribuito all’espansione dei drammatici incendi in Gironda: “Riscaldamento globale”: anche questa espressione viene discretamente sostituita da “cambiamento climatico”. , che non è più a lungo la stessa cosa. La seconda formulazione mi sembra, diciamo, più ragionevole e riposiziona il problema in una dimensione più fatalistica che incriminante. Mi spiego (come direbbe Zemmour): il termine “riscaldamento” è stato, sin dal primo rapporto dell’IPCC nel 1990, correlato quasi esclusivamente all’attività umana; il famoso antropomorfismo. Il termine “perturbazione” sembra piuttosto essere attribuito a una forma di fatalità distribuendo equamente l’influenza della popolazione e quella dell’evoluzione naturale del nostro pianeta. Inoltre, nel 2019 Patrick Moore, co-fondatore ed ex presidente di Greenpeace Canada aveva denunciato, e cito: “la bufala globale del riscaldamento globale antropogenico! ” Solo quello !! Ha descritto, in un’intervista alla rivista Breitbart News, “le macchinazioni ciniche e corrotte dei governi in mancanza di progetti politici che alimentano la truffa intellettuale e fiscale del riscaldamento globale di origine umana. “. “le macchinazioni ciniche e corrotte dei governi in mancanza di progetti politici che alimentano la truffa intellettuale e fiscale del riscaldamento globale provocato dall’uomo. “. “le macchinazioni ciniche e corrotte dei governi in mancanza di progetti politici che alimentano la truffa intellettuale e fiscale del riscaldamento globale provocato dall’uomo. “.

PRIMA DELL’IPCC

Ma, per tornare davanti all’IPCC, il 29 giugno 1989 l’Ufficio delle Nazioni Unite per l’ambiente annunciò che, 10 anni dopo (cioè nel 1999 se i miei calcoli sono corretti…), diversi paesi rischiavano di scomparire a causa dell’elevazione degli oceani e mari di 1 metro… Che fu ritrasmesso, all’epoca, da Antenne2 (A2) su un giornale presentato da Henri Sannier in prima serata. (Fonte INA).

Ora sappiamo che dal 1880 il livello medio degli oceani è aumentato di circa 25 cm, o 1,7 mm all’anno, supponendo che le misurazioni del 1880 siano affidabili….

MA LA MACCHINA INFERNALE ERA A POSTO!

Non abbiamo più parlato dello strato di ozono o delle piogge acide. Tutto questo era sparito. Avevamo bisogno di una ragione quasi non verificabile per i comuni mortali che servisse da sfogo per tutto ciò che è sbagliato sulla terra.

Ecco tre esempi piuttosto nitidi:

  • Nel 2019, un funzionario della città di Parigi ha giustificato la sporcizia della capitale a causa del… riscaldamento globale che ha fatto uscire le persone a fare picnic all’aperto e quindi ha attirato i topi (diremmo i topi oggi) (Fonte Valeurs Actuelles 21/02/2019)
  • Più di 2.000 morti in più per ferite mortali ogni anno negli Stati Uniti. Questa è la conclusione di uno studio pubblicato sulla rivista  Nature Medicine il 13 gennaio 2020. I ricercatori dell’Imperial College London (UK) e della Columbia University di New York (USA) hanno analizzato i dati per 6 milioni di decessi per lesioni mortali negli Stati Uniti. Questi stessi dati sono stati correlati all’evoluzione delle temperature tra il 1980 e il 2017. (Fonte Sciencepost del 02/02/2020)
  • In seguito alla scoperta dell’America, i coloni uccisero così tanti nativi americani (56 milioni, causati da massacri di nativi americani ed epidemie di malattie portate dai coloni) che la terra divenne fredda a causa di un calo dello sfruttamento della terra, storicamente mantenuto da Nativi americani, che ha portato a un calo delle emissioni di Co2, e luppolo, raffreddamento di tutta la terra… (Fonte Slate del 02/02/2019)

AH! SCIENZA …

Nel 1990, l’IPCC prevedeva un aumento della temperatura di 0,35°C per decennio. Infine, nel 2017, la realtà misurata aveva fornito 0,095°C per decennio.

La tendenza generale è di attribuire alla Co2 la principale responsabilità di questo aumento della temperatura, e quindi, da causa ad effetto, all’attività umana. Tuttavia, secondo gli studi del geofisico e membro dell’Accademia delle scienze, Vincent Courtillot, la temperatura è aumentata allo stesso ritmo dal 1910 al 1940 dal 1970 al 2000, mentre le emissioni sono state molto più elevate dal 1970 al 2000. e che la temperatura è diminuita dal 1940 al 1970 poiché le emissioni sono aumentate notevolmente. Inoltre, Vincent Courtillot ha mostrato la stretta relazione tra l’attività solare e l’aumento della temperatura sulla terra. E curiosamente, Elon Musk aveva annunciato nel febbraio 2022 che a causa di una tempesta magnetica, fino a 40 satelliti della sua compagnia non potevano essere schierati dopo il loro lancio. E SpaceX per chiarire:

A gennaio 2017 ci è stato detto che gli scienziati “avrebbero fatto” una scoperta intrigante: 125.000 anni fa, il livello degli oceani era da sei a nove metri più alto del livello attuale, ma le temperature superficiali degli oceani erano simili a quelle viste oggi.

QUALI CONTRADDIZIONI SONO PORTATE ALL’IPCC?

In effetti sono tanti: secondo alcuni siti, la NASA ammetterebbe che il cambiamento climatico è dovuto ai cambiamenti dell’orbita solare terrestre, e non ai SUV (un piccolo cenno a d’Hidalgo) o ai combustibili fossili. Ma non appena questa ipotesi è stata affermata, la stampa si è affrettata a smantellarla. Il problema è lì: i rapporti dell’IPCC sono considerati sintesi infallibili (anche quando si passa da una temperatura di 0,35°C per decennio a 0,095°C…) dall’intera classe politica. Tutto il resto è solo un’ipotesi più o meno inverosimile per gli scettici del clima di estrema destra. Quindi Vincent Courtillot è un ciarlatano estremista? Ha lavorato con Bertrand Delanoë, mi sembra, e quest’ultimo non era al FN. Potremmo almeno riconoscerlo?

Dal 1990, se si ha la sfortuna di esprimere il minimo dubbio sulle conclusioni ( proposte) che ci vengono imposte, si ricorre nuovamente alla tecnica della stella gialla appiccicata sul petto: “sei un climatoscettico” la cui definizione in il “piccolo manuale di buon senso” potrebbe essere: “l’altezza della stupidità di un sottoproletariato di cospiratori di destra” (potremmo anche, volendo, allegare tutte queste parole per farne una categoria che la “Verità” (implicito: “sinistra”) il mondo ama usare.

E COME INTERPRETARE TUTTE LE INFORMAZIONI RACCOLTE?

Tutto dipende dai modelli utilizzati per sfruttare questi miliardi di dati. Ma per me c’è una sola certezza, che è che nulla è certo e che i vari e vari risultati di studi e/o pseudo-studi sono soprattutto armi politiche. Tutti tendiamo a volere solo informazioni che confermino il nostro punto di vista: è comodo e confortante. Ma un vero scienziato ama le analisi contraddittorie e accetta metodologie diverse dalla sua che possono dare o gli stessi risultati dei suoi, o risultati radicalmente diversi. Questo è il bello della scienza.

Ma ahimè, “Il dibattito sul cambiamento climatico non riguarda la scienza. Questo è uno sforzo d’élite per imporre controlli politici ed economici sulla gente”, ha scritto un commentatore del programma radiofonico Hal Turner.

I “politici” sono i primi ad averlo capito.

Come non insospettirsi, allora, dopo aver sentito tante certezze vero-false durante la Guerra del Golfo (armi chimiche), e più recentemente sul Covid (mascherine inutili)? Come chiedere alla popolazione di accettare nel suo insieme ciò che le viene costantemente lanciato con una forma di condiscendenza che diventa più che dubbia, persino oscena?

Sta a noi essere vigili e critici perché, come ha detto Agatha Christie:

“Un popolo di pecore finisce per partorire un governo di lupi”

https://www.minurne.org/billets/31959

AUTO ELETTRICHE: IL PIANETA IN PERICOLO!_di MARC LE STAHLER

Ogni attività umana, anche la più nobile, ogni tecnologia, anche la più innovativa e promettente, hanno un lato oscuro che si dovrebbe considerare nel promuoverle. Da qui la necessaria cautela e gradualità nelle politiche di adozione. Proprio quello che sta mancando ai catastrofisti ambientali, agli ecologisti dogmatici, alla Commissione Europea, nota organizzazione lobbistica, che ne è diventata la paladina indefessa e la fervida sacerdotessa. Buona lettura, Giuseppe Germinario

AUTO ELETTRICHE: IL PIANETA IN PERICOLO! (L’Arbitro)

PERICOLO: DOBBIAMO FERMARE
L’AUTO ELETTRICA!

Il 28 febbraio, il vettore automobilistico merci FELICITY-ACE caricato con 4108 auto dei marchi del Gruppo VW ha preso fuoco mentre stava per consegnarle negli Stati Uniti.

Questo incendio ha preso piede tra le 3000 auto elettriche; è affondato il 1 ° marzo a una profondità di 3000 m nell’Atlantico, al largo delle Azzorre!

Ne avete sentito parlare? No? Solo l’anatra incatenata ha osato dirlo!

 

 

L’incendio è dichiarato il 16 febbraio 2022 nelle batterie agli ioni di litio dei veicoli.

I 22 membri dell’equipaggio sono stati evacuati dalla nave sani e salvi, la procedura di traino è iniziata il 24 febbraio, ma la nave ha preso un po ‘di alloggio ed è affondata.

Le Canard Enchaîné, sotto la penna di Jean-Luc Porquet, pubblica un articolo al vetriolo sull’assurdità delle direzioni ecologiche in cui la Francia si è imbarcata.

In linea di vista, l’auto elettrica, dovrebbe essere la soluzione del futuro per salvare il pianeta in pericolo. Ci viene costantemente detto.

A tal fine, la Francia si precipitò a capofitto nel tutto elettrico, ma senza alcun discernimento. I nostri leader hanno ordinato alle case automobilistiche di scommettere tutto sull’elettrico.
Ma cosa significa questo?
In primo luogo, l’installazione di decine di migliaia di stazioni di ricarica lungo le nostre strade, perché i veicoli più efficienti al momento non possono rivendicare un’autonomia superiore a 500 km. E ancora senza fare uso di fari, riscaldamento, tergicristalli, radio, sbrinamento o aria condizionata, e senza superare i 90 km / h … altrimenti l’autonomia scende a 200/250 km.

LE BATTERIE DELLE AUTO ELETTRICHE SONO PESANTI E ALTAMENTE INQUINANTI

Quindi si tratta di progettare batterie in grado di immagazzinare quell’energia.

Allo stato attuale, sono molto pesanti, molto costosi e imbottiti di metalli rari. Ciò rende questi veicoli dal 40 al 60% più costosi dei nostri buoni vecchi motori diesel e benzina.

In quella della Tesla Model S ad esempio, batteria da 600 kg, non ci sono meno di 16 kg di nichel.

Tuttavia, il nichel è piuttosto raro sulla nostra terra. Questo fa sì che il capo di Tesla dica alla Francia che “il collo di bottiglia della transizione energetica sarà sul nichel“. Il nichel è molto difficile da trovare. Devi andare a prenderlo in Indonesia o Nuova Caledonia e la sua estrazione è una vera seccatura perché non si trova mai nel suo stato puro.
In Caledonia, il nichel è grattugiato a livello del suolo, non ci sono più alberi.
Nei minerali, come il ferro che il colore rosso mostra a sinistra della foto, il nichel esiste solo in proporzioni molto piccole. Pertanto, è necessario scavare e scavare di nuovo, macinare, schermare, idrociclonico per ottenere un tonnellaggio proprio all’altezza delle esigenze. Questo porta a montagne colossali di residui che vengono scaricati la maggior parte del tempo in mare!

Ma non importa quale sia la biodiversità per i Khmer Verdi che giurano sulla “mobilità verde”, giustifica tutto l’inquinamento.

C’è anche il litio.
Ci vogliono 15 kg per batteria (Tesla Model S). Questo proviene dagli altopiani delle Ande, principalmente in Bolivia. Per estrarlo, viene pompato sotto i salars (laghi salati secchi) che porta ad una migrazione di acqua dolce verso le profondità. Un disastro ecologico per i nativi che già soffrono per la mancanza di acqua.

E poi c’è il cobalto: 10 kg per batteria che otterremo in Congo. E lì, è il lavoro dei bambini che scavano a mani nude nelle miniere artigianali per soli 2 dollari al giorno (Les Échos del 23/09/2020).

I bambini hanno tra gli 8 e i 16 anni e lavorano dieci ore al giorno. Sonostati denutriti e molti si stanno ammalando.
Infastidisce un po ‘le nostre case automobilistiche elettriche, tuttavia vogliono a tutti i costi raggiungere la Cina, che è leader in questo settore.
Quindi, il lavoro minorile, “gli ambientalisti a cui non importa” come direbbe Macron.

Per finire, le batterie sono terribilmente pesanti (1/4 del peso della Tesla Model S, 2,2 tonnellate, la Model X pesa 2,6 tonnellate, con una batteria da 600 kg), quindi è necessario alleggerire il veicolo il più possibile. Vengono quindi realizzati corpi in alluminio la cui estrazione genera fanghi rossi, rifiuti insolubili dal trattamento dell’allumina con soda e che sono composti da diversi metalli pesanti come arsenico, ferro, mercurio, silice e titanio, che vengono anche scaricati in mare a dispetto dell’ambiente, come a Gardanne-Bouches-du-Rhône.

LE AUTO ELETTRICHE SI ACCENDONO SPONTANEAMENTE

Oltre al loro peso, generando un elevato consumo di kilowatt, il loro costo e l’elevato inquinamento generato dalla loro fabbricazione, le auto elettriche sono pericolose. Si accendono spontaneamente da determinate temperature esterne, il che giustifica il loro divieto nella maggior parte dei parcheggi sotterranei.

Detto questo, questi incidenti sono ancora piuttosto rari, le auto elettriche sono ancora rare e anche i veicoli a carburante a volte prendono fuoco, ma è quasi sempre un errore umano, come il calcio gravemente spento e la perdita del serbatoio e in proporzione al loro numero, sono molto rari.

In inverno, al di sotto dei -5°C, il liquido in cui sono bagnati i due elettrodi (positivo e negativo) si congela. È un elettrolita “aprotico” (un sale LiPF6 disciolto in una miscela di carbonato di etilene, carbonato di propilene o tetraidrofurano). C’è un cortocircuito che accende la batteria.

Questo incendio ha due peculiarità, è impossibile estinguerlo senza immergere l’intera auto in una piscina per almeno 24 ore ed è facilmente comunicabile alle auto vicine, soprattutto se sono elettriche. Per questo si consiglia di non parcheggiare le auto elettriche affiancate, come si fa quando c’è una stazione di ricarica multi-socket (rara in Francia, ma sempre più frequente negli USA).

TUTTI I DISPOSITIVI DI MOBILITÀ PERSONALE MOTORIZZATI SONO INTERESSATI

Il problema della bassa temperatura è stato risolto, le batterie vengono riscaldate a + 16 ° C da un resistore che assorbe il kw di cui ha bisogno, sia nella batteria stessa, che riduce l’autonomia dell’auto, sia in una batteria ausiliaria, che la appesantisce. Ma questo esiste solo per le auto.

Per l’incendio dovuto al calore, le notizie ci ricordano regolarmente che tutte le macchine a batteria al litio possono essere pericolose. Nessun EDPM (Motorized Personal Mobility Machine) è risparmiato: scooter, giroruole, skateboard elettrici e auto, tutto va lì.

https://www.anumme.fr/2020/07/23/rsiques-incendies-solutions/

Da una temperatura della cella* di 60-70°C, può verificarsi quella che viene definita una fuga termica: la batteria agli ioni di litio sale a 200° e prende fuoco. Nella stagione calda, se un’auto viene lasciata alla luce diretta del sole per troppo tempo, può prendere fuoco. Si presume che questo sia ciò che è accaduto con l’auto elettrica parcheggiata ai margini della foresta delle Landes (fonte Elisabeth Borne) e che ha bruciato circa 20.000 ettari.

Su tutti questi incidenti di auto elettriche, la censura più severa è dilagante. Per gli ecologisti politici e i funzionari governativi, l’auto elettrica è il futuro ed è pulita, diciamolo. Diesel e benzina sono sporchi e devono essere vietati, diciamolo anche e soprattutto senza pensarci o guardarsi intorno.

Un altro dogma che è stato appena inventato, non sono più gli abitanti delle città che inquinano, sono i contadini, i loro campi, i loro trattori e i loro animali. Gli ambientalisti sono il 98% del boho delle città della ricca classe borghese. Non avendo trovato nulla che giustificasse il loro consumo eccessivo di riscaldamento, aria condizionata, acqua calda, ecc., i loro sacerdoti e vescovi hanno pensato che sarebbe stato più semplice accusare i contadini che, è noto, non sanno nulla della natura, delle sue piante e dei suoi animali. Inquinano perché hanno colture che richiedono fertilizzanti, quindi azoto (che è completamente innocuo) e animali che fanno scoregge, quindi producono CO2 e metano derivanti dalla decomposizione delle piante nel loro intestino.

In realtà, allo stesso peso, gli ambientalisti vegetariani, vegani o vegani producono tanta CO2 e metano quanto le mucche, dalle loro scoregge create dalla decomposizione nel loro intestino delle erbe e delle altre piante che mangiano.

Quindi, se dobbiamo eliminare il 30% delle mucche entro il 2025 e il 100% entro il 2050 per salvare il pianeta, dobbiamo logicamente eliminare così tanti ambientalisti. C.Q.F.D.

GLI AMBIENTALISTI SONO PER IL 98% TOTALMENTE IGNORANTI IN SCIENZE NATURALI

Nel 1967, ho capito perché gli ambientalisti e i biologi sono così spesso ignoranti. Un direttore del CNRS specializzato in biologia marina, che si è ammalato, mi aveva chiesto di sostituirlo con breve preavviso per una conferenza su cnidariani e tenari, due famiglie di animali marini che rappresentano l’80% della massa biologica degli oceani, più il 15% di animali con ossa, pesci e + o – 5% di vari come animali con scheletri ossei, balene, foche… serpenti marini…

Nella grande sala dell’Università di Scienze Paris VII, c’erano 400 studenti di biologia e una mezza dozzina di professori curiosi di vedere chi il loro leader aveva trovato per sostituirlo.

Per prima cosa ho posto la domanda: conosci la differenza tra cnidari e tenari? Nessuna risposta. Ho passato loro un centinaio di diapositive scattate da me di animali marini fotografati in diversi oceani e nel Mediterraneo, ponendo loro ogni volta la domanda, cnidaria o ctenary? C’era solo il 4% degli errori. Sai come riconoscerli, ma non sai ancora cosa li differenzia e tuttavia è semplice. Gli cnidari pungono e i tenari si attaccano.

Tutti hanno tentacoli, ma alcuni, come meduse, anemoni, gorgonie… e un piccolo polpo con macchie blu dall’Australia, hanno tentacoli velenosi che pungono al contatto. Abbracciano la loro preda con molti tentacoli, aspettano che sia paralizzata o muoiano del veleno e la portano alla bocca per mangiarla.

Gli altri, come polpi, seppie… alcuni vermi marini, e i minuscoli dentieri del plancton, usano la forza dei loro tentacoli per immobilizzare la preda e portarla alla bocca o al becco per distruggerla e mangiarla.

Sono stato applaudito a lungo, anche dagli insegnanti, ma mi è venuta in mente un’altra idea e ho ripreso il microfono. “Ti dirò perché nessuno ha avuto questa idea, ma semplice, gli cnidari pungono e i ctenari si attaccano. Tutti voi studiate questi animali nei vostri laboratori universitari o altrove. Sono morti, li sezionate, li esaminate, ma non li vedete vivi, io ci passo ore e ho notato infatti due cose, che alcuni pungono e altri si attaccano, ma anche che molti aspettano che la preda venga catturata da sola nei loro tentacoli, come meduse, anemoni e tutti i vermi marini; altri cacciano, come polpi, seppie e stelle marine. Le stelle avanzano casualmente fino a trovare un guscio che è buono da mangiare, ma cacciatori come polpi e seppie sono molto intelligenti e dispiegano strategie di aiuto alle mani, cioè attacco rapido a sorpresa e imboscate che sarebbe interessante per alcuni di voi studiare.
Ma per questo, ricorda l’essenziale, nelle scienze della vita l’osservazione dal vivo è importante quanto l’analisi di laboratorio.

È questo senso di osservazione che manca agli ecologisti: in questi giorni hanno il sole che sorge intorno alle 6 del mattino, è di circa 20 ° C; alle 10 del mattino, è 24°; alle 14 è 34° (in Provenza), 14° in più in 8 ore. Ma ciò che li spaventa è che gli scarichi delle auto e le scoregge delle mucche potrebbero aggiungere 1 o 2 gradi in dieci o venti anni!

Non capiscono che l’unico e solo fattore importante, naturale, ecologico e sostenibile nel riscaldamento dell’atmosfera è il SOLE.
Né che se moltiplichiamo le auto elettriche il rischio di incendi delle batterie aumenterà considerevolmente ovunque.

Il direttore

1 agosto 2022

* Temperatura cellulare: Nel cuore delle nostre cellule, la temperatura raggiunge i 50 ° C.
La temperatura normale di un corpo umano è di 37 ° Celsius.
Ma i mitocondri che si annidano all’interno delle nostre cellule sono molto più caldi.
Nelle batterie è lo stesso, il loro liquido ha le celle…

https://www.minurne.org/billets/32004

Crisi ambientale, catastrofismo climatico e avventurismo energetico_di Giuseppe Germinario

Il 29 dicembre scorso abbiamo pubblicato un breve articolo di Piergiorgio Rosso, apparso su www.conflittiestrategie.it, riguardante lo stato dell’arte, in casa ENI, sulle prospettive di ricerca del processo di fusione nucleare e un lungo articolo, dal carattere prevalentemente agiografico ma comunque interessante, del sito IndustriaItaliana, sulla partecipazione della piccola e media industria italiana allo sviluppo delle moderne tecnologie nucleari. https://italiaeilmondo.com/2021/12/29/fusione-nucleare-e-eni-perche-conta-di-piergiorgio-rosso/ Un testo, il primo, sintetico e incisivo, tipico dell’approccio di un tecnico professionista, che offre numerosi spunti di riflessione, in particolare, nell’economia di questo commento, nei punti 1° e 3°.Riguardo al 1° vale la pena sottolineare la costante irrilevanza del tema della sovranità ed autonomia nazionali, sia in forma individuale che condivisa con altri stati affini specie in un contesto multipolare come l’attuale e la sudditanza remissiva ed irriflessiva del sistema mediatico alle campagne allarmistiche e modaiole lanciate di volta in volta dai veri facitori di opinione pubblica più o meno discreti.

il 3° punto è in realtà propedeutico al 1° e per rendere evidente tale caratteristica occorre riprendere il principio informatore del recente articolo di Roberto Buffagni sulla gestione della pandemia https://italiaeilmondo.com/2021/12/19/sulle-strategie-di-approccio-alla-pandemia-da-coronavirus-tiriamo-le-fila_di-roberto-buffagni/ : la gestione positiva di una crisi sistemica complessa ed imprevista non può essere affidata ad un’unica soluzione salvifica, in pratica ad una scommessa. Un approccio unidimensionale all’apparenza occasionale, ma che viene riproposto pedissequamente, in realtà, in analoghe situazioni di reale o presunta crisi sistemica. Il segno a questo punto dei limiti di visione e di realistica ambizione di classi dirigenti ottuse e decadenti, prive di autonomia strategica; la causa prima dei comportamenti paradossali e incoerenti, dozzinalmente manipolatori di queste man mano che devono sbattere con l’evidenza della realtà. Lo abbiamo già visto nella crisi pandemica in corso; cominciamo ad intravederlo negli altri tre ambiti segnalati da questo articolo. Le questioni ambientale e climatica da una parte ed energetica dall’altra sono, quindi, tre delle vittime più illustri di questo approccio.

La questione ambientale/climatica si è trasformata rapidamente nella sua forma dogmatica e moralisticheggiante di ambientalismo catastrofico nel momento in cui ha attribuito all’UOMO, alla sua avidità e al suo delirio di potenza, la responsabilità prima e determinante dei cambiamenti climatici. Un assioma ancora tutto da dimostrare al quale seguono altre certezze più simili a dogmi indiscutibili che ad argomentazioni inoppugnabili, quali l’origine e la responsabilità antropica del cambiamento climatico e l’esaurimento delle risorse della terra.

Assiomi i quali, per essere inquadrati criticamente, necessitano intanto di due precisazioni preliminari:

  • la questione ambientale andrebbe prima separata nettamente da quella climatica per poi procedere all’individuazione delle correlazioni tra di esse;
  • la tematica ambientale/climatica non è un mero movimento culturale pregno di motivazioni idealistiche solo in un versante, ma un tema politico sostenuto in entrambi i versanti da lobby, dinamiche geopolitiche e gruppi di interessi, uno dei quali, in quanto allo stato nascente e intrinsecamente più limitato, dal carattere maggiormente assistito e parassitario e con alcuni attori di prima grandezza impegnati contemporaneamente nei due fronti. Uno per tutti il solito Soros, impegnato a finanziare i vari “gretini” per il mondo e nella partecipazione azionaria di CFS, impegnata nella ricerca applicata sulla fusione nucleare.

 

Il cambiamento climatico, per meglio dire i cambiamenti climatici, quando rilevati lungo tempi ragionevoli ed appropriati, hanno effetti opposti e non necessariamente negativi secondo la latitudine, il carattere e la morfologia dei terreni, la cura del territorio, il livello di antropizzazione incontrollata e squilibrata, sia in condizione di spopolamento che di inurbamento caotico ed incontrollato.

Ammessa e non concessa la determinante responsabilità antropica nei cambiamenti climatici, più che di “UOMO” si dovrebbe parlare di uomini nelle loro diverse aggregazioni sociali, nei loro vari gruppi di interesse e di visione delle cose, nelle loro diverse dinamiche legate al soddisfacimento delle necessità.

Conseguenze e problemi diversi in diversi contesti, ma anche e quindi approccio multidimensionale nella individuazione e circoscrizione dei problemi ed adozione di provvedimenti ed indirizzi secondo il criterio cautelativo del multirischio (AHP), tipico di azioni in contesti complessi e non sufficientemente controllabili.

Se, a titolo di esempio, i cambiamenti climatici possono innescare processi di desertificazione, l’intervento dell’uomo può contribuire a rendere irreversibile, contenere o a far regredire il fenomeno: lo sono, però, in un senso e nell’altro, tanto l’introduzione dell’allevamento estensivo, specie di ovini, come nel Sahel, quanto l’uso indiscriminato di fertilizzanti e anticrittogamici nelle coltivazioni intensive e specializzate; tanto la sovrappopolazione rispetto alla capacità dei bacini idrografici e alle tecnologie ivi disponibili di uso razionale delle risorse idriche, quanto l’abbandono e lo spopolamento di territori bonificati e trasformati dal paziente, millenario intervento dell’uomo; tanto i repentini processi di industrializzazione e sfruttamento dei terreni, come avvenuto nell’Asia sovietica, quanto la loro repentina interruzione. Per non parlare del problema delle risorse idriche e dei contenziosi geopolitici ad esse legate ( https://italiaeilmondo.com/2018/03/16/geopolitica-dellacqua-verita-controcorrente-di-aymeric-chauprade-traduzione-di-roberto-buffagni/ ). Si potrebbe continuare all’infinito. Come si potrebbe sindacare sugli sconvolgimenti ambientali ed economici provocati dall’interruzione repentina e senza alternative dell’uso di sostanze chimiche, ma rimossi da quegli ambientalisti così altrimenti sensibili ai mutamenti.

Ad un tale livello di complessità ed articolazione delle problematiche intrinseche ai sistemi ecologici si deve aggiungere l’ulteriore complicatezza di quelle estrinseche in azione in questo ambito, a cominciare dalle dinamiche geopolitiche, dalle esigenze di coesione e dinamicità delle formazioni sociali, dalla costante pressione esercitata dall’accumulazione capitalistica, dal modello di sviluppo e di progresso che informa le diverse strategie politiche delle classi dirigenti.

Da qui il carattere irrealistico delle ipotesi di governo mondiale di questi fenomeni, tanto più in una fase multipolare delle dinamiche geopolitiche. Si potrebbe pervenire tutt’al più alla definizione di indirizzi e di qualche strumento finanziario e di incentivazione a patto che si passi dalla velleità del contrasto all’obbiettivo più praticabile dell’adattamento, principio accettato in coabitazione solo dopo quattro decenni di proclami apocalittici quanto sterili.

Troppo poco rispetto all’annuncio drammatico della imminente catastrofe; sufficiente, però, a spingere alla soluzione salvifica e al discrimine moralistico rispetto al posizionamento dei vari attori; esattamente come è successo per la crisi pandemica, per il discrimine umanitario dei regimi e via dicendo.

Non poteva non cadere nel mirino il principale bersaglio predestinato: la produzione ed il consumo dell’energia fossile; non potevano non essere il principale soggetto promotore e la vittima suicida di queste scelte i paesi europei e la loro sintesi politica di impotenza e subordinazione, l’Unione Europea. Nel nostro piccolo, gli artefici ed apologeti del PNRR.

L’obbiettivo di conversione integrale e subitanea alle fonti di energia rinnovabile è di per sé irrealizzabile per i limiti fisici di trasformazione delle fonti originarie e di estensione territoriale degli impianti necessari. Imposta come soluzione salvifica e redentiva induce a sottovalutare i problemi di inquinamento e di dipendenza geopolitica derivati dall’estrazione e dalla lavorazione delle materie prime, del tutto analoghi a quelli delle fonti fossili; spinge a rimuovere il problema dell’intermittenza della produzione e dell’accumulazione e trasporto di questi prodotti; sopprime di fatto ogni obbiettivo di ricerca delle fonti fossili, di miglioramento delle loro rese proprio nella fase più delicata di questo processo, quella della transizione; impedisce una realistica politica integrata e diversificata delle fonti e delle modalità di produzione ed espone, con la fretta nell’adozione ed i ritardi nella capacità di produzione, alla dipendenza tecnologica. Il mix perfetto per perpetuare la propria dipendenza geoeconomica e geopolitica e per esporsi pericolosamente a crisi drammatiche quanto prevedibili ampiamente preannunciate e già in corso. Crisi non cagionate dal fato, ma da precise responsabilità e ottusità politiche, aggravate per di più da scelte economiche come quella di affidarsi, in tempi così incerti, alle contrattazioni hot spot nel mercato delle fonti fossili e dalla subordinazione geopolitica come accade sulle vicende south-stream, north-stream 2, della gestione schizofrenica dei giacimenti nell’Mediterraneo Orientale, del mancato sfruttamento delle risorse proprie per ragioni avulse da quelle del mantenimento di riserve strategiche proprie.

Un mix esplosivo e inconfessabile in grado di mettere assieme sodalizi improbabili ed apparentemente inconciliabili, laddove il dogmatismo di gran parte dei movimenti ambientalisti, la subordinazione e passività politica e geopolitica delle classi dirigenti europeiste e dei paesi europei, la natura speculativa di quegli ambienti finanziari adusi a trarre profitto dalle situazioni di crisi e di transizioni sgovernate, l’indole assistenziale e parassitaria di quelli capaci di fondare il proprio successo su incentivi massicci e procrastinati indefinitamente, incapaci di gestire i tempi necessari alla sperimentazione e alla applicazione industriale delle scoperte scientifiche trovano un humus comune nel quale coltivare utopia millenaria ed interessi prosaici.

Non è solo, purtroppo, un problema di buon senso, ma quello di un continuo tentativo di procrastinare situazioni più o meno reali di emergenza tali da giustificare l’esistenza e la legittimità di classi dirigenti altrimenti improbabili e da rendere schizofrenici i necessari bagni nella realtà ai quali si è costretti a cedere, come nel caso del riconoscimento dell’energia nucleare come fonte indispensabile alla transizione, quando in realtà necessaria strategicamente e in più campi.

La notizia evidenziata da Piergiorgio Rosso, nel nostro testo del 29 dicembre scorso, rappresenta un barlume positivo, ma ancora tutto da interpretare nella sua consistenza; il successivo articolo di Industria Italiana, nello stesso testo, valorizza la capacità manifatturiera della piccola e media industria nel settore nucleare, ma glissa elegantemente sul carattere complementare dell’industria italiana nella catena del valore. Non a caso è totalmente assente, nell’articolo, un qualche accenno sul ruolo, pur esistente e resistente, della residua grande industria strategica italiana.

Un provincialismo ed economicismo consapevole perfettamente in linea con la vacuità e la passività della nostra classe dirigente ma del tutto inadeguati l’uno e l’altra ai frangenti che dovremo affrontare.

Il PNRR, del quale si celebrano quotidianamente i fasti, rappresenta la summa di queste modalità operative ed opacità, ad essere generosi, degli obbiettivi. Un argomento che sarà necessario approfondire proprio per trovare conferme in sede di bilancio, dovesse essercene l’opportunità.

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