Una nuova tipologia di guerra : la guerra economica_1a parte, di Giuseppe Gagliano

Una nuova tipologia di guerra : la guerra economica
La realtà della guerra economica veniva fin dal XIX secolo percepita da intellettuali
del calibro di Victor Hugo e da studiosi dei campi più disparati come l’ineluttabile
evoluzione della logica di conflitto, che da guerra materiale, combattuta sui campi
di battaglia dai soldati con le armi, si sarebbe trasformata in un confronto più
“addolcito” fra mercati nazionali sul campo del commercio internazionale e, infine,
in un aperto scambio di idee fra spiriti liberi. Ciò che gli ultimi vent’anni
evidenziano, però, non è certo uno scenario internazionale in cui gli scontri sono
meno aspri di quando imperversavano ordigni e bombe sull’Europa: infatti la
concordia fra le nazioni non si è realizzata nemmeno in Occidente, fra Stati Uniti e
Unione Europea, per non parlare del resto del mondo, dove la democrazia resta
ancora un ideale per miliardi di individui, nonostante i notevoli passi avanti
compiuti in questo senso in tutti e cinque i continenti. Oltre a una generale
disillusione sulla reale portata di quel progresso la cui idea ha definito in maniera
netta la modernità, rimane quindi la convinzione che la guerra convenzionale si
possa esprimere naturalmente nell’economia, attraverso quella “guerra
economica” la cui definizione appare per la prima volta all’epoca della Prima
Guerra Mondiale come componente della guerra totale cara al generale tedesco
Erich Ludendorff. Risulta così assodato, ormai, che l’economia non è
esclusivamente la posta in gioco della guerra convenzionale.
Il concetto di guerra economica sembra essere diventato un tema “alla
moda” non solo nell’ambito degli studi strategici, ma anche – più in generale –
all’interno di un certo dibattito geopolitico che, orfano di una Guerra Fredda che
per quattro decenni aveva polarizzato tutte le attenzioni e cancellato ogni speranza
rispetto a una possibile “globalizzazione felice” e alla definitiva vittoria del
multilateralismo degli anni Novanta, doveva presto trovare uno schema
interpretativo dei rapporti sullo scacchiere globale. Secondo questa concezione,
dunque, il XXI secolo segnerebbe il ritorno della politica internazionale dominata
dagli Stati in pieno possesso della loro sovranità, impegnati a garantire la
perpetuazione della propria potenza in un complesso gioco di alleanze e diffidenze.
È pur vero però che, come sempre accade, il successo anche mediatico di una
definizione è foriero di molti malintesi, interpretazioni poco precise e una generale
banalizzazione dei termini del discorso. Scopo del presente contributo sarà perciò
individuare con precisione questo nuovo oggetto teorico e pratico e valutarne la
reale portata e gli strumenti tramite i quali agisce come concetto interpretativo,
per dare un’immagine più aderente alla realtà storica ed evitare schematizzazioni
semplicistiche che non contribuiscono a una vera comprensione dei fenomeni.
Natura e scopo della guerra economica
Uno dei primi a parlare di guerra economica nel senso in cui la si intende
oggi è stato l’ex Consigliere del Presidente francese Georges Pompidou, Bernard
Esambert, che nel 1991, ossia paradossalmente proprio all’inizio del decennio di
relativa pace nei rapporti internazionali seguito al crollo dell’URSS e precedente
l’attacco alle Torri gemelle di New York, pubblicò un’opera controcorrente per
l’epoca. Fin dalle prime pagine La guerra economica mondiale sfatava il mito allora
in costruzione di un mondo multilateralista e pacifico sotto l’egida dell’ONU. In un
contesto di economia globalizzata quale potenzialmente si presentava all’indomani
della caduta del comunismo e del conseguente ingresso di un consistente numero
di economie nazionali sul mercato globale, l’antico colonialismo territoriale si
trasformava in conquista delle tecnologie più all’avanguardia e dei mercati più
redditizi. Alla violenza delle armi si sostituirebbe dunque una lotta a suon di
prodotti e servizi, la cui esportazione costituisce il mezzo a disposizione di ogni
nazione per cercare di vincere questa guerra di tipo nuovo, in cui le imprese
costituiscono gli eserciti e i disoccupati le vittime. L’origine di questa guerra è da
ricercare nella confluenza di tre rivoluzioni, di cui ricostruiremo qui di seguito la
cronologia.
Si è visto come il concetto di guerra economica non sia di recente
definizione. La sua forma contemporanea, tuttavia, può essere fatta risalire
all’immediato secondo dopoguerra e, più precisamente, alla firma degli accordi del
GATT nel 1947, evento che pone le basi (regolamentate) della competizione
commerciale multilaterale allo scopo di favorire la liberalizzazione del commercio
mondiale. L’ambito originario dell’accordo era comunque di portata limitata, dal
momento che restarono esclusi sia il settore primario sia il settore terziario,
divenuti oggetto di discussione dei negoziati solo a cavallo del passaggio di
millennio; inoltre, anche la logica dei blocchi e il contesto geopolitico della Guerra
Fredda limitavano le rivalità economiche, evidenziando maggiormente la necessità
della solidarietà interna fra le varie economie di mercato piuttosto che prese di
posizione a difesa di singoli prodotti e/o settori industriali.
Questa situazione di relativo equilibrio viene scossa nel 1991 dalla caduta
del blocco comunista, che lascia il posto al modello capitalista (e in particolare alla
sua forma neoliberista) come unico sistema economico funzionante a livello
mondiale. Non solo gli ex Paesi comunisti vengono integrati a poco a poco
nell’economia mondiale (l’ingresso della Cina nell’OMC, istituzione nata dal GATT,
è del 2001, quello della Russia del 2011), ma anche i Paesi del cosiddetto Terzo
Mondo spingono per accedere ai mercati globali: è il trionfo della globalizzazione,
iniziata negli anni Settanta con le prime misure di deregolamentazione e il nuovo
scenario politico-economico di un mondo non più diviso in due. Quella che sembra
essere un’unificazione finalmente pacifica di tutte le nazioni all’insegna del libero
scambio non è altro, in realtà, che un presupposto per la conduzione di una nuova
guerra, finalmente a carte scoperte e non più mascherata dalla contrapposizione
militare fra blocchi della Guerra Fredda: la guerra economica. Come molti analisti
sottolineano, vi è in effetti uno spostamento delle politiche di potenza dal terreno
militare e geopolitico, dove assumevano per l’appunto la forma di scontro fra
blocchi anche in conflitti periferici, al terreno economico e commerciale, dove le
nazioni si contendono l’accaparramento di risorse e mercati. Gli scambi
commerciali, in quest’ottica, non sarebbero altro che una delle modalità della
guerra nel momento in cui si indebolisce il suo fronte armato; perciò investimenti,
sovvenzioni e azioni di penetrazione dei mercati esteri non sarebbero altro che
l’equivalente delle dotazioni in armamenti, dei progressi tecnici del settore bellico
e dell’avanzamento militare in territorio straniero. È evidente che siamo ben
lontani dalle visioni degli intellettuali illuministi e ottocenteschi che auspicavano
un “addolcimento” delle relazioni internazionali grazie al libero movimento di beni
e idee. Sarebbe tuttavia riduttivo pensare che la geo-economia cancelli la
geopolitica. Fra gli altri studiosi della questione, Christian Harbulot insiste sul fatto
che esistono scacchieri diversi che si intersecano parzialmente: scambi armoniosi,
guerra economica e mire geopolitiche possono coesistere e anche interagire,
poiché si inscrivono in mondi dalle logiche autonome ma inevitabilmente legati fra
loro.
È dunque negli anni Novanta che avviene quella che possiamo definire come
una vera e propria rivoluzione copernicana nell’ambito delle relazioni
internazionali, che segna il passaggio da una geopolitica classica caratterizzata da
Stati che lottano fra loro per il controllo di territori a una geo-economia (o guerra
economica) in cui gli Stati si confrontano per il controllo dell’economia globale.
Non si tratta esclusivamente di una considerazione di tipo intellettuale, elaborata
dagli studiosi della materia, bensì di una constatazione ormai alla portata anche
dell’opinione pubblica, tanto da essere ripresa addirittura in slogan pubblicitari.È
questo il caso di un’impresa europea di elettronica che, in piena Prima Guerra del
Golfo, affermava: “la Terza guerra mondiale sarà una guerra economica: scegli fin
d’ora le tue armi”. La posizione degli Stati Uniti in questa nuova epoca è molto
chiara: la sicurezza nazionale dipende dalla potenza economica. Innanzitutto, come
superpotenza del blocco uscito vincitore dalla Guerra Fredda, già si trovava in una
posizione privilegiata per comprendere prima di qualunque altro Paese il
cambiamento in atto, anche in virtù degli investimenti sotto forma di sovvenzioni
fatti nei decenni precedenti in ricerca e sviluppo, in modo da equipaggiare al
meglio le proprie imprese per la concorrenza internazionale che si profilava
all’orizzonte. In secondo luogo, il neoeletto Bill Clinton ha da subito messo in
pratica questa “dottrina” della sicurezza nazionale dipendente dall’economia
istituendo una “War room” direttamente collegata al dipartimento del Commercio,
come canale privilegiato di relazione fra lo Stato e le imprese per sostenere queste
ultime nella competizione mondiale; allo stesso tempo, il Segretario di Stato
Warren Christopher dichiarava ufficialmente che la “sicurezza economica” doveva
essere elevata al rango di prima priorità della politica estera degli Stati Uniti
d’America. Si può perciò parlare di una vera e propria dichiarazione di guerra
economica da parte della prima potenza economica mondiale al resto del mondo,
anche se mascherata da difesa degli interessi nazionali, in un mix originale e
audace di principi liberali e mercantilisti.
Nel contesto di questa nuova geo-economia ad alto tasso concorrenziale,
caratterizzata negli ultimi tre decenni da fenomeni quali la deregolamentazione, la
rivoluzione tecnologica e la globalizzazione della finanza, è proprio l’arrivo di
nuovi attori sulla scena del mercato ad aver rimescolato le carte in tavola e turbato
quello che era un relativo ordine costituito. Si tratta perlopiù di Paesi che, forti di
una nuova autonomia e indipendenza non solo politica, vogliono prendere parte
alla spartizione di ricchezze ed entrare nelle dinamiche di arricchimento che fino a
questo momento sono state esclusivo appannaggio del Nord del mondo. È grazie
alla loro voce che la realtà della povertà emerge e si mostra a quel 2% di
popolazione mondiale che beneficia del 50% della ricchezza totale. Nonostante sia
in costante diminuzione, il fenomeno della povertà risulta comunque allarmante:
2,8 miliardi di persone vivono con meno di 2 dollari al giorno. In un mondo come
quello odierno, caratterizzato dall’immediatezza dell’informazione e, come
conseguenza, dalla sempre più ampia presa di coscienza dell’opinione pubblica
delle dinamiche internazionali, la povertà viene a maggior ragione percepita come
intollerabile. In questa lotta per la spartizione delle ricchezze, i nuovi Paesi
emergenti (in primo luogo Brasile, Russia, India e Cina, ma a seguire anche il
Sudest asiatico e molte nazioni africane) possono peraltro far tesoro
dell’esperienza di predecessori come il Giappone e le Tigri asiatiche, la cui
integrazione negli scambi internazionali ha significato arricchimento e aumento
della potenza. Tuttavia la posta in gioco rappresentata dalle risorse è caratterizzata
da una scarsità (assoluta per alcune, relativa per altre) tale per cui gli scambi si
sono trasformati in competizione, ossia in guerra economica. In questo scenario, il
pensiero liberalista sull’indebolimento dello Stato viene necessariamente messo in
discussione in quanto i recenti cambiamenti richiedono non solo una
trasformazione del ruolo dello Stato rispetto all’economia ma anche della stessa
natura dell’organismo Stato.
Il cambiamento della natura dello Stato prende origine, innanzitutto, da una
trasformazione del concetto di potenza. Il concetto di potenza può essere
scomposto in hard power e soft power, ovvero nelle due componenti di uso della
forza e dell’influenza. In un contesto in cui gli Stati ricorrono sempre meno che in
passato alla prima componente, perché più costosa sotto molti aspetti e addirittura
meno efficace, la seconda componente prende il sopravvento e si manifesta sotto
forma di guerra economica (anche se quest’ultima, in realtà, si porrebbe piuttosto
al confine tra hard e soft power). Ecco perché per lo Stato è diventata sempre più
importante la sua situazione economica, mentre i suoi investimenti in armamenti e
dotazioni militari hanno progressivamente perso rilevanza. Le politiche di potenza
odierne avranno allora la forma di sovvenzioni alle imprese perché queste possano
godere di una posizione di favore sui mercati internazionali, del sostegno
all’occupazione affinché la delocalizzazione non penalizzi il mercato interno e della
diplomazia economica volta all’accaparramento di risorse scarse. Tradotte in
termini di guerra economica, tali politiche di potenza significano, per uno Stato,
assicurarsi l’indipendenza in termini di risorse, la capacità di difendersi di fronte
alla minaccia commerciale o finanziaria rappresentata dagli altri Stati e
un’attitudine all’intelligence, risorsa imprescindibile nell’odierna società della
comunicazione. Secondo un’altra definizione, non si tratterebbe di altro se non
della capacità di imporre la propria volontà agli altri (Stati) senza che questi
possano imporre la propria, per quanto ciò possa essere possibile in un mondo in
cui la dipendenza è sempre più dispersa e frammentata. La vera rivoluzione,
quindi, non è altro che la trasformazione della potenza politica in potenza
economica o, per meglio dire, la dipendenza della prima dalla seconda: gli Stati
cercano innanzitutto di modificare le condizioni della concorrenza e di trasformare
i rapporti di forza economici non solo per conservare posti di lavoro, ma
soprattutto assicurarsi il proprio dominio tecnologico, commerciale, economico e,
pertanto, politico.
Andando ad analizzare più nel dettaglio i singoli obiettivi della guerra
economica, almeno per quanto riguarda i Paesi occidentali, il primo risulta essere
di natura difensiva, ovvero il mantenimento dell’occupazione industriale
nonostante l’ormai avvenuta terziarizzazione di queste società. Fra il settore
secondario e quello terziario si cela infatti un forte legame, quello che Bernard
Esambert definisce come “simbiosi industria-servizi”, dal momento che l’aumento
dell’occupazione nel settore secondario si traduce in un corrispondente aumento
dell’occupazione in quello terziario e, a fronte della richiesta di una sempre
maggiore specializzazione dei lavoratori delle industrie ad alto coefficiente
tecnologico, è evidente l’incremento di servizi quali la formazione e la consulenza.
La difesa, ovvero il mantenimento dei posti di lavoro nel settore dell’industria
serve non solo a evitare la recessione economica, ma anche a contenere la
disoccupazione e la sottoccupazione, due realtà la cui forte carica di
destabilizzazione sociale rappresenta una minaccia per tutte le democrazie. A
questo proposito, a causare la perdita più considerevole di posti di lavoro non
sarebbero tanto le “delocalizzazioni” in senso stretto, quanto piuttosto le “non
localizzazioni”, ossia l’apertura da parte delle aziende di filiali all’estero piuttosto
che nel Paese in cui hanno sede e rispetto allo stesso mercato di destinazione delle
merci prodotte. Emblematica di questa centralità del mantenimento
dell’occupazione nei discorsi sulla guerra economica è la prima campagna
presidenziale di George W. Bush (ma anche di molti esponenti democratici in
quello stesso frangente), in cui l’Accordo nordamericano per il libero scambio
veniva indicato come la causa di un dissanguamento occupazionale a favore del
Messico. Altri esempi concreti in questo senso possono essere considerati
l’impegno dell’esecutivo francese per salvare lo stabilimento di Gandrange del
gruppo ArcelorMittal, nonostante il notevole sforzo economico richiesto alle casse
dello Stato in quell’occasione, o il più recente accordo con Electrolux in Italia. La
ragione che conduce a questo genere di decisioni è, ovviamente, elettorale, ma
rivela anche un altro aspetto: nessun Paese può perdere il proprio potenziale di
produzione, pena la dipendenza. Quello delle delocalizzazioni è peraltro un
discorso difficilmente accettabile agli occhi di qualsiasi elettorato e, quindi, sempre
al centro del dibattito politico, visto che le conseguenze di disoccupazione,
sottoccupazione, pressione salariale, disequilibrio della bilancia sociale e
diminuzione dei consumi farebbero crollare i presupposti su cui si reggono le
nostre società di consumo – anche se naturalmente vi è anche chi le difende, ad
esempio l’FMI, che tende piuttosto a evidenziare i vantaggi di produttività da esse
generati. La politica di potenza, dunque, si concretizza al giorno d’oggi anche in
politiche industriali volte alla conservazione di un controllo di tipo “territoriale” da
parte dello Stato.
Il secondo obiettivo della guerra economica è invece di natura offensiva ed è
la conquista di mercati, ma soprattutto di risorse limitate, la cosiddetta “corsa alle
materie prime”. Infatti, l’approvvigionamento sicuro e continuo delle materie
prime da parte degli Stati è l’unica garanzia per il mantenimento e magari per la
crescita del loro livello economico. In questa vera e propria guerra per le risorse, le
più ambite sono le fonti di energia (petrolio, gas naturale, carbone, uranio per la
produzione di energia nucleare, corsi d’acqua per la produzione di energia
idroelettrica), la cui domanda è direttamente collegata allo sviluppo economico,
nonché l’oggetto del contendere. Un certo spazio nelle dinamiche di potenza messe
in atto sui mercati finanziari è tuttavia riservato anche alle derrate alimentari quali
mais, riso, soia e grano. Quest’ultimo, in particolare, è oggetto di ogni sorta di
speculazione e di lotte, scatenando i rapporti di potenza fra coloro che lo
producono e coloro che ne hanno bisogno, determinando l’estrema attualità di
quella che è, a tutti gli effetti, un’arma (alimentare).
Fa parte ormai della percezione comune il fatto che il petrolio sia all’origine
di scontri economici molto duri, quando non di veri e propri conflitti armati.
Risorsa scarsa, da sola rappresenta oltre il 35% del consumo energetico totale,
principalmente da parte dei Paesi asiatici (30% del consumo mondiale),
nordamericani (oltre il 28%) e dell’Unione Europea (oltre il 17%). La portata della
guerra economica in corso è ben illustrata dalla doppia tensione fra Stati
produttori/Stati consumatori da un lato e, dall’altro, Stati la cui domanda si
stabilizza/Stati la cui domanda aumenta. Si tratta di una tensione che nasconde
peraltro la prospettiva futura di conflitti anche armati (si pensi ai precedenti delle
due guerre del Golfo). La lotta feroce che contrappone Stati Uniti e Cina per il
petrolio africano, ma anche per altre risorse del sottosuolo (vari metalli rari e
pietre preziose), è un altro esempio di questa guerra economica. La Cina ha iniziato
a investire nell’Africa subsahariana solo dalla fine della Guerra Fredda ma ne è
ormai diventata il terzo partner commerciale dietro a Stati Uniti e Francia, anche
se non sempre percepita positivamente dai governi locali a causa del suo
atteggiamento predatore, al pari delle ex potenze coloniali e dell’Occidente più in
generale. Il gigante cinese rappresenta bene l’inversione dei rapporti di forza in
atto tra Paesi occidentali e Paesi emergenti, BRIC in testa. Tali Stati, un tempo
esclusivamente produttori e fornitori delle materie prime necessarie al Nord
industrializzato, stanno ora risalendo la gerarchia mondiale grazie a un aumento
del controllo anche interno della propria produzione.
È evidente che questo risveglio del Sud del mondo rovescia completamente
gli equilibri globali, anche perché si concretizza nel controllo non solo delle risorse
naturali, ma anche di intere società un tempo esclusivamente occidentali e oggi
pervase in maniera sempre più massiccia da capitali di provenienza soprattutto
araba e asiatica. I fondi sovrani la fanno da padrone in questo ambito, soprattutto
quelli cinese e quelli di Singapore i quali, avvantaggiati dalla crisi economica che ha
colpito le mature economie europee e statunitense, detengono quote significative
di importantissime imprese fra cui, ad esempio, Morgan Stanley e Merrill Lynch.
Questi esempi dimostrano come non solo il debito pubblico dei Paesi capitalisti è
oggi nelle mani dei cosiddetti Paesi emergenti, ma ormai anche una parte dello
stesso prodotto interno lordo, attraverso il controllo dei capitali delle imprese o,
come nel caso dell’Arabia Saudita, attraverso la creazione di ricchezze permessa
dall’uso del petrolio arabo. Come è logico dedurre, il vantaggio strategico che ne
deriva per questi Paesi è considerevole.
Infine, c’è un’altra risorsa cruciale il cui controllo risulta determinante in un
contesto di guerra economica: la conoscenza del livello tecnologico, del mercato di
riferimento, di partner e concorrenti, in poche parole della strategia economica di
imprese e Stati “nemici”, ossia dell’intelligence. Si tratta di una risorsa
relativamente nuova, resa però fondamentale dallo sviluppo tecnologico degli
ultimi decenni, al pari dei capitali finanziari necessari all’avvio e al mantenimento
delle imprese, delle materie prime per la produzione e delle risorse umane
impiegate. I programmi di intelligence economica gestiti e coordinati dallo Stato
sono perciò diventati indispensabili per non subire ritardi inammissibili in un
quadro concorrenziale sempre più competitivo e duro.
La terza rivoluzione che ha portato all’attuale contesto di guerra economica
in cui gli Stati in costante competizione fra loro mirano ad accaparrarsi risorse di
ogni genere (non solo materie prime, dunque) è di tipo teorico, per non dire
ideologico. È possibile parlare, infatti, di un ritorno al mercantilismo, ovviamente
con sembianze moderne, nella misura in cui la potenza si esprime principalmente
sotto forma di esportazioni. Nelle parole di Bernard Esambert, “esportare è
l’obiettivo della guerra economica e della sua componente industriale” perché
“significa occupazione, stimolo, crescita. La posta in gioco è conquistare la maggior
parte possibile [dei mercati mondiali]”. Non è difficile riconoscere la stretta
correlazione esistente fra volume delle esportazioni e potenza economica nella
classifica dei principali Paesi esportatori, che vede sul podio la Germania (che da
sola detiene il 9,5% delle esportazioni mondiali) seguita da Cina e Stati Uniti, oltre
alle principali potenze del G7 (Giappone, Francia, Italia, Regno Unito e Canada) e ad
alcuni Paesi emergenti (Corea del Sud, Russia, Hong Kong e Singapore) fra le prime
quindici posizioni. Anche fra i principali Paesi importatori, d’altra parte, ritroviamo
le massime potenze economiche mondiali come Stati Uniti, Germania, Cina,
Giappone, Regno Unito, Francia, Italia, Canada, Spagna, Hong Kong, Corea del Sud e
Singapore, segno dunque del ruolo fondamentale che, più in generale, rivestono gli
scambi ai fini delle considerazioni sulla potenza economica.
È dunque un nuovo trionfo degli Stati sovrani come protagonisti delle
relazioni internazionali quello evidenziato da questa tendenza neo-mercantilista,
che di fatto scredita in parte le tesi del loro indebolimento progressivo e inevitabile
in epoca di globalizzazione. Il politologo Edward N. Luttwak esprime bene questa
concezione quando afferma che nell’arena degli scambi mondiali dove si vedono
americani, europei, giapponesi e altre nazioni sviluppate cooperare e rivaleggiare
allo stesso tempo, le regole nel complesso sono cambiate. Quale che sia la natura o
la giustificazione delle identità nazionali, la politica internazionale rimane
dominata dagli Stati (o da associazioni di Stati come la Comunità Europea), i quali
si basano sul principio del “noi” in opposizione all’ampio insieme formato dagli
“altri”. Gli Stati sono delle entità territoriali delimitate e protette da confini
gelosamente rivendicati e spesso ancora sorvegliati. Anche se non pensano a
rivaleggiare militarmente, anche se cooperano quotidianamente in decine di
organizzazioni internazionali o di tutt’altro tipo, gli Stati restano
fondamentalmente antagonisti.
La fine della Guerra Fredda, come già evidenziato precedentemente, è lo
snodo cruciale che ha rimesso al centro delle relazioni internazionali i singoli Stati,
anche se gli anni Novanta, con l’apparente trionfo del multilateralismo,
sembravano affermare il contrario. Infatti, proprio nel momento in cui, da un lato,
si dava impulso alla creazione di un’Organizzazione Mondiale del Commercio
orientata al libero scambio e garante di rapporti equi e paritari fra Stati in ambito
commerciale, dall’altro lato, risultavano indeboliti, o addirittura svuotati di
significato, i legami di solidarietà che univano i membri del blocco occidentale, che
da alleati diventavano così concorrenti. Questa lettura viene interpretata da alcuni
critici della nozione di “guerra economica” come il risultato della mancanza
generale di cultura economica nella società, tale da favorire l’individuazione di
nemici e colpevoli esterni per le oscillazioni più o meno brusche dell’economia
interna. In realtà, questa visione dipende piuttosto da un rinnovato impulso della
volontà di potenza degli Stati: è una pura espressione irrazionale e non coincide
esattamente con l’interesse generale.
Il cambiamento interpretativo emerso in concomitanza con questa
congiuntura storica è fortemente legato alla pubblicazione di alcune opere
(tuttavia non disponibili in traduzione italiana) da parte di economisti e analisti
politici particolarmente influenti, prima fra tutte Head to Head: The Coming Battle
among America, Japan and Europe (1992) del recentemente scomparso Lester
Thurow, stimato studioso delle conseguenze della globalizzazione, il quale ha
ricevuto fin dagli anni Sessanta la considerazione del governo statunitense. Del
Segretario del Lavoro degli Stati Uniti durante la presidenza di Bill Clinton, Robert
Reich, è invece The Work of Nations (1993), opera di analisi della concorrenza fra
le nazioni, e dello stesso tenore è fin dal titolo A Cold Peace: America, Japan,
Germany and the Struggle for the Supremacy (1992) di Jeffrey Garten, anch’egli
divenuto membro della prima amministrazione Clinton come Sottosegretario di
Stato per il Commercio Estero. Tutti questi lavori, scritti da uomini di Stato e
decisori politici che hanno imposto, fra gli altri, la “diplomazia degli affari” dell’era
Clinton, hanno contribuito a plasmare l’odierna accezione di guerra economica
grazie alle loro descrizioni dell’economia mondiale in termini di scontri fra Stati.
D’altra parte, per quest’ultimi si trattava di una esigenza particolarmente
pressante: l’unico modo di riaffermare la loro supremazia soprattutto nei confronti
delle multinazionali, che sembravano essere le uniche padrone e detentrici del
controllo dell’economia mondiale. È ancora una volta Luttwak a suggerire
un’interpretazione di quest’improvvisa conversione delle élite al dogma della
guerra economica, suggerendo ai burocrati europei e giapponesi, come a quelli
americani, l’idea che la geo-economia sia l’unico sostituto possibile dei ruoli
diplomatici e militari del passato: infatti, sarebbe solo invocando gli imperativi
geo-economici che le amministrazioni statali possono rivendicare la loro autorità
sui semplici uomini d’affari e sui loro concittadini in generale

 

IL BASTONE AMERICANO E Il “VENTRE MOLLE” DELL’OCCIDENTE, di Fabio Falchi

IL BASTONE AMERICANO E IL “VENTRE MOLLE” DELL’OCCIDENTE

È opinione diffusa tra coloro che (giustamente) criticano la politica di pre-potenza degli Stati Uniti che sarebbe giunto finalmente il momento non solo per l’Italia ma per l’UE di ribellarsi agli USA, perché la politica americana dei dazi e delle sanzioni arbitrarie non colpisce solo l’Italia ma tutta l’Europa. In realtà, è la guerra commerciale degli USA contro l’UE e in particolare contro la Germania che colpisce pure l’Italia. Comunque sia, pensare che ci si debba schierare con la Germania o dalla parte dell’UE per smarcarsi dagli USA significa interpretare i rapporti tra gli USA e l’UE in modo semplicistico e fuorviante.
Invero, la stessa supremazia economica della Germania in Europa (e in generale dell’Europa del Nord rispetto ai Paesi europei dell’area mediterranea) non sarebbe possibile senza l’egemonia (geo)politica degli USA sul Vecchio Continente, giacché gli interessi economici della UE di fatto sono garantiti, sotto il profilo geopolitico e militare, proprio dalla NATO, cioè dagli USA, tanto che se l’UE (che non è né uno Stato federale europeo né una Confederazione europea) dovesse smarcarsi dall’America, rischierebbe di precipitare in un caos geopolitico che non potrebbe non avere conseguenze disastrose per l’Europa.
In sostanza, l’UE, se si sganciasse dagli USA, per non sfasciarsi dovrebbe mutare l’intera sua struttura politica ed economica, per trasformarsi in un vero “soggetto” (geo)politico, rinunciando di conseguenza ad essere una unione competitiva europea, con tutto ciò che ne deriverebbe riguardo ai rapporti tra i diversi Paesi della UE.
Non a caso è sulla debolezza geopolitica e militare della UE che cerca di far leva l’America di Trump, che non è più disposta a subire la concorrenza europea (e soprattutto l’enorme surplus commerciale della Germania) a scapito della bilancia commerciale americana. Difatti, l’amministrazione di Trump rappresenta gli interessi non tanto della middle class cosmopolita americana quanto piuttosto quelli dei ceti medi americani che più sono stati penalizzati dalla crisi economica di questi ultimi anni, ovverosia Trump concepisce la politica di pre-potenza americana in funzione degli interessi della nazione americana più che in funzione della élite cosmopolita neoliberale, e dato che la UE è sì una potenza economico-commerciale ma anche un nano (geo)politico e militare è evidente che l’America di Trump sia convinta di potere vincere la partita contro la Germania o qualunque altro Paese europeo.
Certo, in teoria l’UE “a trazione” franco-tedesca (ma di fatto soprattutto “a trazione” tedesca) potrebbe allearsi con la Russia per cercare di smarcarsi dagli USA, ma chiaramente (perlomeno in questa fase storica) un simile mutamento di rotta geopolitica è pressoché impossibile. Del resto, i gruppi (sub)dominanti europei condividono la stessa ideologia neoliberale e “politicamente corretta” che caratterizza i gruppi (sub)dominanti americani che si oppongono a Trump, né si deve dimenticare che sia in America che in Europa (Italia compresa) gran parte della ricchezza si è concentrata nelle mani di circa il 10% della popolazione, ragion per cui per i gruppi (sub)dominanti occidentali è necessario difendere comunque il sistema (geo)politico ed economico euro-atlantista per opporsi non solo ai nuovi centri di potenza anti-egemonici (Russia, Cina, ecc.) ma anche alle classi sociali subalterne occidentali (che ormai comprendono la maggior parte dei ceti medi).
Vale a dire che (euro)atlantismo e neoliberalismo simul stabunt simul cadent, di modo che, anche se sotto il profilo  economico l’America e l’UE (e in specie la Germania) possono avere obiettivi diversi e perfino opposti, è ovvio che sia i “dem” che gli “eurocrati” considerino estremamente pericolosa la politica di Trump, che (benché  si tratti di una politica che non è esente da notevoli “oscillazioni” e contraddizioni, poiché neppure Trump non può non tener conto degli interessi del deep State statunitense) sembra ignorare il nesso strettissimo che unisce (euro)atlantismo e neoliberalismo, privilegiando invece una prospettiva populista e nazionalista, che rischia di danneggiare gli interessi politici ed economici delle élites cosmopolite neoliberali.
Sia Trump che i populisti europei costituiscono pertanto una minaccia che i gruppi (sub)dominanti neoliberali devono assolutamente eliminare, anche se paradossalmente i populisti (americani ed europei), tranne qualche eccezione, condividono gli stessi principi politici ed economici dei neoliberali.
D’altronde, non è un segreto che la strategia della oligarchia neoliberale mira a promuovere la colonizzazione di qualsiasi sfera sociale e personale da parte del mercato capitalistico e perfino una immigrazione irregolare di massa, nonostante la difficoltà di integrare buona parte dei cosiddetti “migranti economici” (da non confondere con i profughi che sono solo una piccola parte dei “migranti”). Al riguardo è significativo che non vi sia nemmeno una agenzia europea per l’immigrazione in Europa di cittadini extracomunitari che abbiano i requisiti necessari per inserirsi rapidamente nel sistema produttivo, mentre il flusso dei “migranti” che provengono dall’Africa viene gestito da organizzazioni criminali (a conferma, come ben sapeva Thomas Sankara, che coloro che sfruttano l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa).
In effetti, tanto più si indeboliscono il legame comunitario e il “senso di appartenenza”, che caratterizzano gli Stati nazionali, tanto più è difficile che emergano delle “contro-élites” capaci di sfruttare l’attuale crisi (non solo economica ma anche di legittimazione) per opporsi al sistema neoliberale (ovviamente secondo una prospettiva politico-culturale nettamente diversa da quella che contraddistingue il neofascismo).
Tuttavia, non è impossibile che da una “costola” del populismo (che peraltro è l’effetto della crisi di un sistema che non sa più risolvere i problemi che esso stesso genera) possa nascere una forza politica in grado di mettere fine alla pre-potenza delle élites neoliberali. In altri termini, parafrasando Carl Schmitt, non si può escludere che si veda solo insensato disordine (anche e soprattutto “mentale”) dove invece un nuovo senso può essere già in lotta per il suo ordinamento. Di questo però sono consapevoli anche gli strateghi del grande capitale (anche se non necessariamente i politici o gli intellettuali neoliberali), dato che difficilmente possono ignorare che l’indipendenza dell’Europa presuppone la sconfitta dell’oligarchia neoliberale.

Verso il capestro, di Luciano Barra Caracciolo

Il saggio potrebbe in alcuni passi risultare ostico alla comprensione ai non addetti. La ratio e il contenuto assumono comunque straordinaria importanza quanto più i termini dell’accordo prossimo futuro in sede comunitaria sono gelosamente e misteriosamente custoditi sino a portarci all’ennesimo fatto compiuto. Si cercherà con qualche intervista di chiarire gli aspetti più complessi di quanto esposto. Il senso dell’operazione in corso appare comunque nel testo in maniera cristallina_Giuseppe Germinario

IL “NUOVO” ESM: TRA LA VECCHIA SOLUZIONE DEL “TRATTAMENTO GRECIA” E LA SFIDA TEDESCA ALL’ITAL€XIT_di Luciano Barra Caracciolo

 

  1. Il quadro generale della congiuntura italiana nei suoi possibili sviluppi di breve e medio termine.

Cerchiamo di approfondire l’evoluzione della situazione italiana dentro l’eurozona all’incirca nei prossimi due anni (indicativamente). E cioé, appunto, entro un breve periodo in cui si acutizzino i fattori recessivi esogeni (crisi strutturale e geopolitica, – cioè neo-multilaterale-, della globalizzazione asimmetrica) e endogeni all’eurozona (ulteriore consolidamento fiscale, pro-ciclico, determinato dagli obiettivi di pareggio strutturale di bilancio derivanti dal modo in cui viene calcolato l’output-gap dal working group che supporta le prescrizioni impartiteci dalla Commissione Ue).

Nell’appunto sull’applicazione dell’art.65 TFUE, la situazione italiana (attuale) viene riassuntivamente così descritta :

L’Italia attualmente si trova:

  1. a) impossibilitata comunque a promuovere politiche di crescita di c.d. “piena occupazione” (effettiva), e anzi obbligata, dal fiscal compact e dalle sue linee guida applicative (qui, p.3), a perseguire un aggiuntivo e forte consolidamento fiscale, induttivo di una probabile recessione che si aggiunge alla forte stagnazione “esogena” attualmente in corso;
  2. b) impossibilitata, di conseguenza, anche a svolgere le politiche anticicliche (qui, pp. 5-8) la cui necessità e urgenza si manifesta a causa della fase di stagnazione-recessione in cui, anzitutto, la Germania si trova, “trascinando”, di conseguenza anche il nostro sistema produttivo che ne è divenuto, per notori motivi, strettamente dipendente;
  3. c) vincolata, entro breve tempo, (dato l’atteggiamento, ormai da considerare negozialmente tanto irreversibile quanto improvvido, assunto dai vari livelli di rappresentanza italiani), al “nuovo” trattato ESM che implica, in caso di crisi economica in un singolo Stato-membro, che l’intervento del fondo di salvataggio ci sia precluso a priori dal mancato rispetto della regola del debito (limite del 60% su Pil ovvero riduzione significativa negli ultimi esercizi); e ciò, si noti, tranne il caso di previa ristrutturazione dei titoli del debito pubblico nazionale, agevolata, anzi “incentivata”, nella stessa riforma dell’ESM, dall’estensione operativa delle clausole CACS (cioè relative ai poteri dei creditori, in maggioranze ora semplificate, di prescegliere una certa forma, ampiezza, e un certo livello di sostanziale default).
  4. La portata e gli effetti “sistemici” della riforma del trattato ESM.

In questa sede si ritiene di approfondire il punto c), poiché emerge come di primaria importanza per definire in concreto l’ulteriore aggravamento della traiettoria inerziale (quindi in assenza dell’adozione di rimedi “difensivi” da parte delle autorità di governo nazionale), di stress economici, recessivi e distruttivi, cui verrà sottoposta l’intera società italiana, portando alle estreme conseguenze l’ingestibilità e l’instabilità politico-istituzionale.

L’entrata in vigore del “nuovo” trattato ESM (complementare ai trattati Ue, ma sostanzialmente intergovernativo e diretto ai soli membri dell’eurozona, e quindi costituente un vincolo aggiuntivo ed autonomo rispetto al regime dei trattati stessi), nel corso del 2020 può essere dato per scontato: appare infatti ormai impensabile, – date le posizioni favorevoli “in blocco” finora espresse dall’Italia e l’aperta adesione (acritica) dell’attuale governo-, che tale trattato “complementare” non sia definitivamente approvato, come previsto, entro dicembre 2019. La successiva ratifica (che dovrà essere adottata ai sensi dell’art.80 Cost., essendo appunto la sostanziale modifica di un trattato, e non di una fonte di diritto europeo tipizzata, a suo tempo soggetto a ratifica, promulgata nel luglio del 2012), risulta del pari prevedibile ed entro lo stesso anno (salva crisi di governo subentrante prima del compimento di entrambe le deliberazioni delle due camere…). [1]

Schematizziamo il clou delle novità, – di regime dell’eurozona e di gestione delle crisi che possono (asimmetricamente) colpire uno degli Stati ad essa aderenti-, che scaturiscono da questa “riforma”.

Le nuove linee condizionali precauzionali (PCCL- precautionary conditioned credit line), mostrano criteri di ammissibilità agli aiuti impossibili, ove dovesse intervenire a favore di uno Stato che versi nelle condizioni di debito/PIL e di “spazio” di indebitamento annuale dell’Italia (in neretto le condizioni ostative più rilevanti):

(1) non essere in procedura di infrazione,

(2) da due anni non avere deficit superiore al 3%,

(3) anzi, inferiore, come definito da un ‘indice strutturale’ diverso da paese a paese,

(4) da due anni, avere un debito inferiore al 60% ovvero averlo dibotto di almeno 1/20 della distanza dal 60%,

(5) non avere alcun disequilibrio macroeconomico,

(6) avere accesso ai mercati dei capitali ‘a termini ragionevoli’ (ma sconosciuti nei loro esatti termini definitori),

(7) un debito estero sostenibile,

(8) un settore finanziario non vulnerabile.

Criteri che il Consiglio dello ESM è libero di applicare discrezionalmente, secondo linee di “aggiustamento” interpretativo non ragionevolmente preventivabili e, anzi, potenzialmente discriminatorie (come s’è già visto in tema di unione bancaria e discrezionalità relativa ai presupposti di ammissione dei vari tipi di ricapitalizzazione pubblica preventiva e di burden sharing a carico degli obbligazionisti, non evitato a causa di una decisione della Vestager poi ritenuta illegittima dal giudice europeo di primo grado; “caso Tercas).

Infatti queste linee di intervento ordinario sono pensate, per così dire, per Paesi che cadano in crisi…nonostante sé stessi: cioè che, – nonostante siano in condizioni di osservanza dei criteri complessivi del Fiscal Compact e, peraltro, essendovi riusciti pur in vigenza del regime dell’unione bancaria nonché, per la verità, grazie alla “misteriosa” pregressa tolleranza sul deficit (es; casi di Francia, Spagna, Portogallo nel periodo 2009-2017), riescano, allo stato attuale, ancora a registrare una situazione di equilibrio macroeconomico (secondo gli indicatori che accompagnano le regole del Fiscal Compact sugli squilibri macroeconomici); ciò in specie nei conti con l’estero, nonché per quanto concerne le condizioni di accesso “sostenibile” ai mercati per il finanziamento del debito pubblico.

In pratica, il nuovo ESM ammette il salvataggio “ordinario”, dedicato ad un singolo Stato dell’eurozona, come “caso impossibile”, al punto da rendere i suoi strumenti di intervento anti-crisi in concreto del tutto irrilevanti (tranne forse che per un salvataggio rivolto alla Germania o all’Olanda, caso della cui verificazione, stante l’attuale pseudo-equilibrio dell’eurozona, ci sarebbe da molto dubitare; peraltro, già per la Francia, l’attuale linea di deficit perseguita dal governo Macron, risulterebbe escludente, – il condizionale è d’obbligo, nel caso della Francia-, restringendo ulteriormente l’utilità concreta dello strumento).

In difetto di queste condizioni “ideali”, e concretamente paradossali, di concessione dell’intervento, viene poi previsto un “ESM loan”, o linea di credito a condizioni rafforzate, sul modello d’azione tipico del FMI (ECCL- Enhanced Conditions Credit Line), per l’acquisto di titoli del debito pubblico del paese in crisi (da spread, e quindi di rifinanziamento), sia sul mercato primario che sul secondario: e questo, però, solo se venga valutato, sempre con fortissima discrezionalità, che “la generale situazione economica e finanziaria rimane forte ed il debito pubblico sostenibile”.

Infatti, lo ESM è tenuto ad espletare, preliminarmente, una analisi di sostenibilità del debito.

Complessivamente e senza dettagliare la farraginosa disciplina in ogni sua ipotesi, – considerate, appunto, le eventualità effettive di intervento “utile” del Fondo – il Paese che chiede il sostegno dello ESM, deve sapere in partenza che gli verrà chiesta preliminarmente una ristrutturazione del debito.

Per rendere ancora più agevole l’imposizione di questa pregiudiziale fase di condizionalità (fortemente traumatica, nell’ordine degli eventi che concernono la vita di uno Stato appartenente all’OCSE…), col Trattato, le parti contraenti si impegnano a inserire, sin da subito, ed a prescindere dal manifestarsi di prevedibili condizioni di crisi, in tutte le proprie nuove emissioni, le clausole CAC (CAC-Collective Action Clauses) Single Limb (estensive dell’attuale capacità dei creditori di deliberare una ristrutturazione, tra i cui eventi presupposti, va rammentato, è previsto anche il cambio di valuta del paese emittente).

Ma non è finita qui; solo dopo tale ristrutturazione, lo ESM potrà offrire un prestito, “soggetto a stretta condizionalità (…) un programma di aggiustamento macroeconomico”, d’intesa con Commissione, Bce, IMF, dunque “duro” come sempre, per capirsi, come nel caso della Grecia. Il credito così concesso, inoltre, darà luogo a un congruo utile, per livello di interesse previsto, allo ESM, (evidentemente a compensare le perdite del resto del portafoglio, investito in Titoli di Stato tedeschi e francesi). Mentre lo ESM ed i suoi direttori si appropriano di piena immunità legale e penale.

  1. Il riassetto “estremo” che l’ESM determinerà nel funzionamento dell’eurozona.

Vediamo dunque quali saranno le novità essenziali che deriveranno da questa nuova disciplina nel funzionamento, già di per sé difficoltoso, dell’eurozona:

  1. a) le difficoltà di collocamento del debito pubblico determinate dagli spread, e la quasi totale soppressione di ogni spazio di intervento fiscale anti-recessivo degli Stati, potrebbero essere ovviate solo attraverso il prestito del nuovo ESM, previa ristrutturazione/default, e non più tramite l’OMT (Outright Monetary Transaction): cioè l’effetto, essenzialmente “psicologico”, sui mercati finanziari, del whatever it takes pronunciato da Draghi nell’estate del 2012. Quest’ultimo strumento, infatti, – nella sua forma di implicita e pura garanzia del debito pubblico apprestata dalla banca centrale (come accade nel rapporto tra banca centrale e emissioni del tesoro in ogni normale Stato dotato della propria moneta sovrana) -, non esiste più da anni, (ove mai la “creatività” di Draghi gli avesse dato una effettiva esistenza…non mediatico-comunicativa), poiché, su rimessione della Corte costituzionale tedesca, la Corte di giustizia europea, con sentenza del giugno 2015, ha chiarito definitivamente chel’attuazione del programma OMT è subordinata al rispetto integrale, da parte degli Stati membri interessati, di programmi di aggiustamento macroeconomico del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) o del Meccanismo europeo di stabilità (MES)”.

Ora, non sfugga che, in virtù del nuovo regime dell’ESM, i programmi di aggiustamento macroeconomico vengono ancor più inaspriti, erigendo a ipotesi unica, vincolante ed effettivamente applicabile, il “metodo” utilizzato con la Grecia
Appare perciò del tutto evidente che i problemi di crisi del debito pubblico, entro l’eurozona, – determinati anzitutto da evidenti difficoltà di ottenere un adeguato livello di crescita nonché di risolvere una crescente disoccupazione strutturale (e i suoi ovvii effetti di gettito tributario calante e di pressione all’aumento della spesa pubblica per “ammortizzatori sociali”), sono, (dal 2020 in modo ancor più vincolante), risolvibili solo attraverso il trauma della ristrutturazione del debito pubblico e con la sostanziale abrogazione dei già ristretti margini di intervento autonomo della banca centrale, a differenza di quanto accade per ogni altro Stato dotato di un proprio potere di emissione monetaria.

Va infatti rammentato che gli spread sono dipendenti da una condizione strutturale dell’eurozona: cioè costituiscono il “premio”, crescente, di rischio relativo alla uscita di uno Stato-membro, a causa dell’insostenibilità macroeconomica della moneta unica, a sua volta dovuta alle condizioni permanentemente punitive, per la crescita (e quindi per il calo del rapporto debito/PIL) implicite nel divieto di bail-out degli Stati aderenti (ovverosia, divieto di “solidarietà” fiscale dentro l’eurozona; artt.124 e 125 TFUE), nonché nel divieto della BCE di acquisto diretto dei titoli di debito pubblico (art.123 TFUE).

A seguito della crisi del debito pubblico, del salvataggio “psicologico” determinato dalla mera prospettazione dell’OMT, e poi, decisivamente, del primo programma di acquisto dei titoli del debito pubblico lanciato nel 2015 dalla BCE (QE), gli spread appaiono inoltre strettamente collegati al permanere di un atteggiamento “attivo” della stessa BCE, cioè legati al suo intervento (tramite banca centrale nazionale) negli acquisti sul mercato secondario (in particolare per l’Italia), mediante l’utilizzazione della liquidità, già immessa nel sistema, e riveniente dal rimborso alle scadenze dei titoli detenuti in forza di tale QE (e di altri precedenti facoltà di acquisto consentite alla BCE).

  1. Riforma ESM, orientamento privilegiato alla ristrutturazione del debito pubblico, e suoi effetti sul sistema bancario e sul risparmio nazionale nel quadro dell’Unione bancaria.

In complemento a questo scenario di ulteriore irrigidimento delle condizioni fiscali dell’eurozona, occorre considerare la contemporanea vigenza della c.d. Unione bancaria e gli effetti collaterali, di propagazione recessiva, che conseguirebbero, perciò, all’intreccio tra le due discipline, quella dello ESM e quella, già applicabile, dell’unione bancaria.

Detto in estrema sintesi: con il vincolo di (paradossale salvataggio previa) ristrutturazione del debito pubblico, ovvero con la partecipazione del settore privato, detentore dei relativi titoli, alle perdite, tutte le banche italiane andrebbero in default, con prevedibili conseguenze sistemiche.

La sequenza è: a) perdita vistosa dei corsi dei titoli, b) perdita conseguente di bilancio degli istituti bancari, c) esigenza di ricapitalizzazione a livelli impensabili, e non appetibili, per qualsiasi investitore privato, d) contemporanea preclusione di qualsiasi forma di ricapitalizzazione pubblica, non finanziabile sui mercati (ancorché susseguente a burden sharing a carico di azionisti e obbligazionisti…spesso piccoli risparmiatori), ergo: e) inevitabile bail-in di massa dei correntisti e ondata recessiva (aggiuntiva a quella che avrebbe, in assunto, giustificato il ricorso all’ESM!) di dimensioni epocali; ciò a causa della massiccia distruzione di risparmio e, dunque, di investimenti e degli stessi consumi (occorre infatti considerare la c.d. propensione al consumo del risparmio liquido e persino, sebbene inferiore, della ricchezza immobiliare, a valori drammaticamente descrescenti: tali asset infatti sono sempre più divenuti una riserva di consumo “eventuale”, legata all’incertezza e al calo dei redditi delle famiglie).

4.1. Riassumendo:

  1. a) la BCE assumeun ruolo sempre più centrale nell’eurozona, ma ancor più di prima, “in negativo”: cioè divenendo, in modo estremo, assolutamente neutrale nelle sue (peraltro giuridicamente vietate) funzioni di garanzia dell’azione fiscale degli Stati. L’indipendenza pura (cioè estesa non alla mera “libertà” della BC dall’’indicazione governativa di intervento sul mercato dei titoli al collocamento, ma come espresso “divieto” di tale acquisto in, eventuale, “monetizzazione” del debito pubblico stesso; v.art.123 TFUE) e dunque l’adesione all’idea neutrale della moneta, confinano la BCE ad effettuare la vigilanza bancaria ed il (mero) finanziamento del relativo settore secondo le pratiche di regolazione della massa monetaria fisiologicamente legate a tale neutralità (in pratica, l’emissione di moneta di banca centrale sarebbe assolutamente sigillata in un circuito che escluderebbe qualsiasi diretta o indiretta connessione con la “dazione” a soggetti dell’economia reale);
  2. b) non a caso appare altamente improbabile, e anzi complementare alla riforma dell’ESM, che, – in questa direzione impressa all’assetto dell’eurozona -, il nuovo QE sia effettivamente portato a compimento…il che, tra l’altro, equivale anche a una sostanziale rinuncia al vano tentativo di riportare l’eurozona al target inflattivo del 2%, compito già obiettivamente fallito col primo QE, e che risulta ora ostacolato dall’intento aggiuntivo di vietare, col nuovo ESM, i suoi effetti formalmente “secondari” (del QE): cioè quello di sostegno economico-fiscale agli Stati (che tante opposizioni ha suscitato e, ancor più suscita ora, nella Germania e nei suoi satelliti), nonché quello di effetto svalutativo nei confronti del dollaro (effetto che potrebbe essere rinunziato da Francia e Germania, come risulta dall’attuale decisa opposizione delle rispettive banche centrali, per evitare uno scontro commerciale e valutario con gli Stati Uniti);
  3. c) tutto il peso del riequilibrio interno all’EZ ricade sul finanziamento dell’ESM, che si profila anticipatamente come: a) meramente teorico in via di intervento ordinario, in condizioni fisiologiche; b) acutamente pro-ciclico, in caso di intervento residuale e concretamente applicabile, determinando una punizione “estrema” del paese che non reggerà la duplice condizione del pareggio di bilancio e di una crescita priva di squilibri macroeconomici;
  4. d) per l’Italia, a cui appare “mirato” il nuovo regime dell’ESM, questa situazione complessiva equivale a vincolo legale, fortemente sanzionato, a seguire una rigida politica fiscale pro-ciclica e, in prospettiva resa inevitabile, a sottoporsi alla ristrutturazione del proprio debito pubblico con conseguenze bancarie sistemiche e un bail-in di massa disastrosamente recessivo;
  5. e) questo scenario di imminente riforma rende perciò, va sottolineato, quasi obbligato, per l’Italia, un intervento precauzionale di imposizione patrimoniale sul risparmio privato nei depositi bancari, – ovvero un insieme di misure tributarie equivalenti (quanto a gettito)- nonché una ulteriore accelerazione nel progressivo smantellamento del sistema pensionistico e sanitario pubblico, che, ai fini del pareggio strutturale di bilancio, risultano infatti i maggiori aggregati della spesa pubblica (e la cui “incomprimibilità” politica viene considerata il principale ostacolo ad una virtuosa appartenenza all’eurozona). Ma anche questa serie di politiche “precauzionali”, accelerate dalla minaccia…del salvataggio ESM (!), risultano fortemente recessive, se non esiziali per la nostra economia e per il minimo di coesione sociale che caratterizza un paese democratico.
  6. La segregazione nel sistema Target2: una “quasi mediazione” per conservare l’euro e creare un ibrido che potrebbe preparare alla sua dissoluzione concordata.

Di fronte ad una tale ricetta per una fine disastrosa dell’eurozona, rimane sul tappeto un’ipotesi, come dire, di “mediazione” (come vedremo non meno penalizzante, a seconda dei suoi tempi e circostanze di adozione).

Il meccanismo in pratica è stato già ventilato “sottovoce” da più parti.

Nella fase attuale, la spinta di partenza sarebbe così riassumibile: se. in virtù del “nuovo” Trattato ESM, le regole tedesche non reggerebbero alla prova dei fatti (inducendo un collasso dell’EZ, proprio perché volutamente troppo costrittive), in realtà, l’introduzione di una riforma così “minacciosa”, potrebbe essere il modo migliore per costringerci ad accettare la c.d. segregazione.

La segregazione consiste (sulla traccia di quanto sperimentato dalla BCE nei confronti di Cipro e della Grecia) nella imposizione, all’interno del sistema di pagamenti Target2, di un obbligo di preventiva prestazione di cauzione per ogni pagamento in uscita proveniente da uno Stato considerato “debitore a rischio” (verso il rimanente sistema delle banche centrali dei singoli paesi-membri e, per riflesso, verso i sistemi bancari di tali paesi “creditori”).   Tale cauzione può assumere la forma di un deposito (presso la BCE) di una certa quantità di riserve della banca centrale nazionale, in oro o valute “forti”. Ma preso nella sua rigida forma giustificativa, avrebbe un limite (l’ammontare di tali riserve, comparato con il volume dei pagamenti verso l’estero dei residenti italiani), relativo all’onere sostenibile da parte della Banca d’Italia, che sarebbe presto raggiunto (in pochi mesi).

Infatti, per un paese che comunque presenta una forte componente di esportazioni, ma anche di connesse importazioni per rifornire il proprio sistema di trasformazione industriale, si avrebbe quasi certamente la concreta traslazione, da parte delle autorità bancarie nazionali, dell’onere di prestazione della garanzia a carico delle banche commerciali che eseguono gli ordini di pagamento in uscita. Queste, a loro volta, agendo come mandatarie degli operatori economici che importano, chiederebbero agli stessi o di sopportare il costo della garanzia, ovvero, in termini più pratici, un sovrapprezzo rispetto a quello corrispondente all’ordine di pagamento derivante dalla transazione di importazione.

Analogamente, nel sistema della segregazione, l’operatore nazionale esportatore, maturando un credito con un profitto (al netto dell’imposizione fiscale), che determina un attivo nelle partite correnti commerciali, non potrebbe poi più generare un pagamento in uscita nel sistema Target2 corrispondente all’investimento, per lo più finanziario, di tale profitto netto: e ciò, appunto, senza doverne sopportare una forte decurtazione a seguito della disposizione di “segregazione” (in sostanza, per l’investitore italiano verso l’estero ciò comporta un aumento del prezzo dello strumento finanziario estero prescelto; all’interno della sola eurozona, peraltro). L’effetto pratico sarebbe che, pur rimanendo l’Italia formalmente nell’eurozona, per gli acquisti dall’estero e per le esportazioni di capitale (all’interno della sola eurozona), l’euro “italiano” risulterebbe de facto svalutato nella misura percentuale corrispondente all’ammontare della cauzione/costo della garanzia imposta per un pagamento verso altri paesi dell’eurozona.

Ciò avrebbe un vantaggio, sia pure costrittivo, consistente in una misura equivalente alla restrizione delle importazioni (componente negativa del PIL), – vietata dall’art.34 TFUE ma consentita dalla supposta specialità delle regole applicabili dalla BCE -, nonché determinante un vincolo all’investimento nazionale dell’eventuale surplus delle partite correnti: tale investimento “nazionale” del surplus (aderendo all’idea che, tendenzialmente, importazioni più costose avrebbero perciò un minor volume, e, sempre tendenzialmente, il surplus commerciale medesimo potrebbe addirittura risultare aumentato) sarebbe, in ipotesi, destinato a rivitalizzare sia la domanda di titoli del debito pubblico che di beni immobiliari.

In altri termini, poiché l’Italia non è Cipro, ma un forte paese industriale manifatturiero, con una consolidata vocazione esportativa, si avrebbe una sorta di ibrido “lira-euro”, ragionevolmente svalutato e, come vantaggio ipotizzato dai tedeschi, una correzione abbastanza rapida del loro saldo attivo Target2, che la Germania considera, in modo unilaterale e controverso, come un attivo di riserve (in euro) della propria banca centrale.

  1. Osservazioni conclusive concernenti le prospettive vincolate dell’evoluzione della situazione politica e di governo italiane.

Qualche osservazione finale che aiuti a comprendere appieno la “svolta” che, senza apparente reazione alcuna da parte del governo nazionale, si sta così profilando:

1) La riforma dell’ESM risulta come una plateale accelerazione della “germanizzazione” dell’eurozona: infatti, si tratta di regole tedesche che non reggerebbero alla prova dei fatti per un debito pubblico e un’economia delle dimensioni di quella ITA. La stessa entità della provvista di cui è dotato l’ESM appare insufficiente a un salvataggio di tali dimensioni. Oltretutto, l’ESM si risolve nella “segregazione”, ovverosia in un vero e proprio sequestro “escludente” della (notevole) contribuzione italiana all’ESM (che assommandosi a quella già erogata all’incorporato ESFS, arriva a oltre 120 miliardi…).

2) Insomma, politicamente, ormai, la decisione finale sulla sopravvivenza o meno dell’€urozona spetterà alla Bundesbank che, certo, potrà invocare il mancato rispetto delle ‘regole’, ma dovrà assumersi l’onere della fine di un meccanismo che, allo stato dei fatti, favorisce l’espansionismo francese (dato che, vale la pena di rammentarlo, lo Stato francese e le banche francesi hanno accesso “non sindacato” al credito BCE);

3) l’alternativa alla segregazione, o, prima ancora, all’applicazione “punitiva” del trattato ESM (pressione tedesca), è costituita dall’ottenimento di saldi primari, pluriennali, del bilancio pubblico, dell’ordine di 3,5 – 4% del PIL (pressione francese), economicamente insostenibili (per crescita e occupazione), ma pienamente compatibili con uno sfruttamento coloniale, ovvero la via €uropea, di trasformazione definitiva del sistema italiano: prima di tutto costituzionale, secondo l’indicazione, ormai insistita da circa tre decenni, data dalla tecnocrazia italica (e dall’insieme di forze economiche e mediatiche che sostengono la permanenza nell’eurozona “ad ogni costo”);

4) il perseguimento di saldi primari di tale entità presupporrebbe, piuttosto, una situazione di, almeno, moderata crescita (sebbene, nell’eurozona, nell’accezione solowian-Barro-sargentiana, cioè praticamente una lunga stagnazione). Per contro, come dovrebbe ormai essere evidente a tutti, la globalizzazione, come s’è detto, si è inceppata, e pare vicina al collasso nella sempre più paventata evenienza della prossima crisi finanziaria globale (è, in estrema essenza, un problema di asimmetrie istituzionali nell’applicazione del WashingtonConsensus, v. pp. 1-2, a cui sono soggetti i paesi OCSE, in primis USA e eurozona, ma non altrettanto i paesi emergenti maggiori, come Cina e India, che hanno eroso crescita, capacità produttiva e occupazione nei paesi OCSE, ricorrendo a uno sviluppo caratterizzato da un forte intervento statale e da un incontrollato dumping sul costo e sulla tutela del lavoro).

Ergo, l’aspirazione francese, a prendere il controllo del sistema (finanziario, industriale e dei servizi) italiano, già nel medio periodo, se rapportata alla congiuntura economica globale, risulta velleitaria (può risolversi in un boomerang, con una recessione che contagi l’intera eurozona); così come appunto velleitaria è l’ostinazione dello spaghetti €stablishment nell’assecondare l’espansionismo francese, promettendo (da decenni), una crescita futura “competitiva”, senza potersi basare su alcun ragionevole motivo macroeconomico che gli consenta di mantenere tale promessa…pagandone appunto il costo in termini elettorali;

5) in questo quadro globale, peraltro, trova spiegazione anche l’opposizione francese (cioè della banca centrale di Francia: un fatto considerato “sorprendente”…) al “nuovo” Quantitative Easing lanciato da Draghi.

Tale opposizione è ragionevolmente dovuta (v. qui, p. 8.1.): a) ai rendimenti negativi sulla gran parte dei loro titoli del debito pubblico che gli stessi francesi stanno subendo (permanendo in parallelo anche l’impossibilità politica per Macron di realizzare le riforme strutturali alla “tedesca”, e quindi di sopportare il costo politico-sociale di politiche di (ulteriore) svalutazione interna; b) all’effetto svalutativo sul dollaro del QE, e alla conseguente guerra daziaria (e anche valutaria) che ne deriverebbe (Trump deve aver parlato chiaro a Macron all’ultimo G7 di settembre), che i francesi commercialmente e geopoliticamente non possono permettersi (essendo gli Usa il primo paese di destinazione, per volume, delle loro esportazioni).

6) Volendo accreditare di una certa sostenibilità le politiche di perseguimento del pareggio strutturale di bilancio, che l’attuale governo persegue con molte incertezze, si renderebbe indispensabile un intervento “di riserva” della BCE alternativo al QE (come abbiamo visto sopra parlando degli spread)…ma sarebbe sufficiente a compensare l’entità della recessione fiscalmente indotta? L’esperienza “Monti” e governi seguenti ci dice di no.

E qui giunge al pettine un nodo nevralgico: l’ESM “punitivo”, tedeschizzato, fondato appunto sulla definitiva neutralizzazione di ogni possibilità di intervento della BCE, porterebbe al riacutizzarsi entro breve di un conflitto franco-tedesco. Ed infatti, la Germania ha interesse a minacciare la (imminente) ristrutturazione del nostro debito pubblico, se non altro (nella migliore delle ipotesi), per consentire di imporci la “segregazione” e assicurarsi un riequilibrio dei saldi Target2, (che, in controluce, prepara in realtà o una German-exit o un’Ital-exit); vale a dire: la Francia ha bisogno di tempo e di politiche di consolidamento fiscale che diluiscano nel tempo, in Italia, un effetto equivalente alla ristrutturazione del debito italiano (come abbiamo visto), per assicurarsi (in forza della tradizionale “cooperazione” politica del PD) il completo controllo finanziario e industriale della penisola.

7) Insomma: il valore operativo dell’ESM sta nell’imporlo (all’Italia), come minaccia “estrema”; consiste cioè, in un certo senso, in una sfida tedesca a imporci l’uscita. Però, prima regolando, a loro favore, i saldi Target2 (cioè vogliono la liquidazione per rimpinguare di riserve la loro moneta forte futura: possibilmente, per loro, un euro senza l’Italia).

 

[1] Questa la configurazione originaria dell’ESM: Il Meccanismo europeo di stabilità (MES), detto anche Fondo salva-Stati (in inglese European Stability Mechanism; ESM), è un’organizzazione internazionale a carattere regionale nata come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro (art. 3); è istituita dalle modifiche al Trattato di Lisbona (art. 136) approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo[1] e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles il 25 marzo 2011[2][3]. Esso ha assunto però la veste di organizzazione intergovernativa (sul modello del FMI), a motivo della struttura fondata su un consiglio di governatori (formato da rappresentanti degli stati membri) e su un consiglio di amministrazione e del potere, attribuito dal trattato istitutivo, di imporre scelte di politica macroeconomica ai paesi aderenti al fondo-organizzazione.[4]

Il Consiglio Europeo di Bruxelles del 9 dicembre 2011, con l’aggravarsi della crisi dei debiti pubblici, decise l’anticipazione dell’entrata in vigore del fondo, inizialmente prevista per la metà del 2013, a partire da luglio 2012.[5] Successivamente, però, l’attuazione del fondo è stata temporaneamente sospesa in attesa della pronuncia da parte della corte costituzionale della Germania sulla legittimità del fondo con l’ordinamento tedesco.[6] La Corte Costituzionale Federale tedesca ha sciolto il nodo giuridico il 12 settembre 2012, quando si è pronunciata, purché vengano applicate alcune limitazioni, in favore della sua compatibilità con il sistema costituzionale tedesco[7].

Il MES sostituisce il Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) e il Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (MESF), nati per salvare dall’insolvenza gli stati di Portogallo e Irlanda, investiti dalla crisi economico-finanziaria.[8] Il MES è attivo da luglio 2012 con una capacità di oltre 650 miliardi di euro, compresi i fondi residui dal fondo temporaneo europeo, pari a 250-300 miliardi.[9][10][11]

Il MES è regolato dalla legislazione internazionale e ha sede a Lussemburgo. Il fondo emette prestiti (concessi a tassi fissi o variabili) per assicurare assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà e acquista titoli sul mercato primario (contestualmente all’attivazione del programma Outright Monetary Transaction), ma a condizioni molto severe. Queste condizioni rigorose “possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite” (art. 12). Potranno essere attuati, inoltre, interventi sanzionatori per gli stati che non dovessero rispettare le scadenze di restituzione i cui proventi andranno ad aggiungersi allo stesso MES.[12] È previsto, tra le altre cose, che “in caso di mancato pagamento, da parte di un membro dell’Esm, di una qualsiasi parte dell’importo da esso dovuto a titolo degli obblighi contratti in relazione a quote da versare […] detto membro dell’Esm non potrà esercitare i propri diritti di voto per l’intera durata di tale inadempienza” (art. 4, c. 8).

Il fondo è gestito dal Consiglio dei governatori formato dai ministri finanziari dell’area euro, da un Consiglio di amministrazione (nominato dal Consiglio dei governatori) e da un direttore generale, con diritto di voto, nonché dal commissario UE agli Affari economico-monetari e dal presidente della BCE nel ruolo di osservatori. Le decisioni del Consiglio devono essere prese a maggioranza qualificata o a maggioranza semplice (art. 4, c. 2).[12] Il MES emette strumenti finanziari e titoli, simili a quelli che il FESF emise per erogare gli aiuti a Irlanda, Portogallo e Grecia (con la garanzia dei paesi dell’area euro, in proporzione alle rispettive quote di capitale nella BCE), e potrà acquistare titoli di stati dell’euro zona sul mercato primario e secondario. Il fondo potrà concludere intese o accordi finanziari anche con istituzioni finanziarie e istituti privati. È previsto l’appoggio anche delle banche private nel fornire aiuto agli stati in difficoltà. In caso di insolvenza di uno Stato finanziato dallo MES, quest’ultimo avrà diritto a essere rimborsato prima dei creditori privati.

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Il 1989 Visto da Mosca: declino o rinascita?, traduzione di Giuseppe Germinario

L’Europa tre decenni dopo l’apertura della cortina di ferro

Il 1989 Visto da Mosca: declino o rinascita?

Di  Cyrille BRET , 22 settembre 2019  Stampa l'articolo  lettura ottimizzata  Scarica l'articolo in formato PDF

Cyrille Bret è un alto funzionario e geopolitico. Ispettore dell’amministrazione, ha lavorato nelle industrie aeronautiche, digitali e ora è di stanza in un gruppo di difesa pubblica. Dopo la formazione all’Ecole Normale Supérieure, alla Sciences Po e all’Ecole Nationale d’Administration, è stato revisore contabile presso l’Istituto di studi di difesa nazionale superiore (IHEDN).

C. Bret ci offre una magistrale dimostrazione delle rotture e inversioni degli ultimi tre decenni in Russia. Diamo un’occhiata a Mosca per capire meglio l’Europa geografica – cioè la Russia inclusa, almeno fino agli Urali – da non confondere con l’Unione Europea, che è comunque vicina ad essa.

1989, un evento per la Russia?

Visto da Mosca l’anno 1989 è molto diverso da quello celebrato a Berlino e Parigi. Considerato dalla capitale dell’URSS e poi dalla Russia, il 1989 è una delle tappe che guidano lo stato sovietico dall’apice del suo potere alla sua dissoluzione, nell’arco di un decennio. Dal 1979, anno dell’intervento sovietico in Afghanistan nel 1991, che consacrò lo scioglimento dell’Unione, fino al 1985, data dell’adesione di Mikhail Gorbachev alla carica di segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), l’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche si stava avviando da potenza mondiale a perdente geostrategico e al disastro economico. Tuttavia, visto da Mosca, l’anno 1989 segna anche un nuovo inizio: è l’anno delle prime elezioni libere dalla rivoluzione del 1917.

È da molto tempo che dobbiamo cogliere la giusta posizione di quest’anno nel passato della Russia– e nel suo immediato futuro. A livello regionale, il 1989 segna il fallimento della strategia europea che l’URSS ha messo in atto dopo la seconda guerra mondiale: il 1989 è la replica inversa della vittoria del 1945 (I) anno in cui l’URSS è presente ovunque nell’Europa orientale e in Germania. Sul fronte interno, questo è il punto in cui le riforme di Mikhail Gorbachev segnano il tempo e annunciano la fine del regime comunista: il 1989 sta preparando il 1991 (II). Infine, nelle rappresentazioni collettive, è l’anno che inaugura l’indebolimento degli anni ’90 e prepara la rinascita del potere russo: il 1989 annuncia il 1999, data di ascesa al potere di Vladimir Putin. Se il 1989 è un momento chiave nella storia dell’Europa, è anche una data importante per la Russia (III).

Vista di Mosca del 1989: declino o rinascita?
Cyrille Bret
Cyrille Bret è un alto funzionario e geopolitico

I. Dal 1945 al 1989: la fine dell’egemonia sovietica nell’Europa orientale

Il 1989 è un evento europeo prima di essere un evento intrinsecamente russo. È a Berlino, Bucarest, Budapest, Vienna o Vilnius che si svolgono i principali eventi dell’anno. Per la Russia , questo è il momento in cui l’Europa centrale e orientale esce dalla sua alleanza militare, politica, economica e culturale. Inizia quindi un movimento di “de-radicalizzazione del fianco orientale dell’Europa” che porterà all’estensione della NATO e all’ampliamento dell’UE in questa zona di influenza russa.

La rapida democratizzazione dell’Europa orientale

Numerosi eventi nel 1989 segnano la fine del potere mondiale per l’Unione Sovietica. Prima in Asia centrale: il 15 febbraio 1989, le autorità sovietiche annunciarono il ritiro definitivo delle loro truppe dall’Afghanistan. È la fine di un’operazione militare lunga un decennio e un’ammissione di fallimento. Questa campagna sovietica in Afghanistan (1979-1989) è soprannominata “Vietnam dell’URSS”. In effetti, una superpotenza militare e nucleare non è riuscita a sostenere un regime comunista in questo paese al confine con l’URSS. Questa confessione di impotenza geopolitica porta a una serie di eventi che portano alla disintegrazione, in un anno, dell’egemonia sovietica su quello che fu chiamato il blocco orientale. La caduta – o apertura – del muro di Berlino , 9 novembre 1989, è il punto più alto di questo vasto riflusso. Già in primavera, il 2 maggio 1989, l’Ungheria comunista ha aperto i suoi confini all’Austria, avamposto dell’Occidente, ha riabilitato Imre Nagy, una figura di resistenza all’URSS nel 1956, e ha posto fine al regime comunista il 23 Ottobre 1989 proclamando la Repubblica. Nell’agosto 1989 la Polonia non ha più un primo ministro comunista: Tadeusz Mazowiecki, membro di Solidarnosc, accede alla premierato. E l’effetto “palla di neve” è impressionante: i cittadini della Repubblica Democratica Tedesca (RDT) stanno fuggendo dal regime comunista da Ungheria e Austria. In questo contesto di rapido ritiro sovietico, Mikhail Gorbachev, che è venuto a Berlino Est per celebrare il 40 ° anniversario della DDR, annuncia che nessun intervento armato frenerà il movimento al di fuori del comunismo. Ciò ha provocato la caduta del muro di Berlino, la fine della DDR e, successivamente, la riunificazione tedesca. Di fronte a questa passività esplicita e volontaria, le domande sono molte: è un trucco per riprendere in seguito il controllo dell’area? O un’ammissione di debolezza? o una strategia per superare la temporanea debolezza dell’URSS?

La guerra fredda è stata esplicitamente chiusa dal presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e dal leader sovietico Mikhail Gorbachev il 2 dicembre 1989 al vertice di Malta. Con la “rivoluzione rumena”, si conclude – tra il 16 e il 25 dicembre – l’anno 1989 smantellando un regime comunista alleato dell’URSS sul versante sud-orientale dell’Europa. Il suo sviluppo è sintomatico della fuga storica del 1989: di fronte ai movimenti di protesta a Timisoara nell’ovest del paese, la dittatura Ceausescu cerca di resistere organizzando, il 21 dicembre 1989, una manifestazione a sostegno del regime. Si ribella ai suoi organizzatori, costringendo il dittatore a fuggire, per essere perseguito e poi giustiziato, con sua moglie, Elena Petrescu, il 25 dicembre 1989.

Per l’URSS, il 1989 è un anno di inversione: quando inizia l’anno, il blocco orientale viene sfidato ma rimane al suo posto. Alla fine dell’anno, questo blocco è in declino.

Il fallimento della strategia stalinista della protezione occidentale

Per Mosca, gli eventi del 1989 hanno posto fine alla strategia europea ideata e messa in atto da J. Stalin sulla scia della seconda guerra mondiale. Il suo scopo era in effetti quello di costituire una fortezza comunista avanzata nell’Europa centrale e orientale. Con la presenza delle sue truppe sul suolo di questi stati, l’URSS aveva organizzato l’istituzione di “democrazie popolari”, ovvero regimi comunisti non democratici in Polonia (1944-1947), Romania (1947) Cecoslovacchia (Coup de Praga nel febbraio 1948), Ungheria (1949), ecc. La “liberazione” di questi paesi da parte delle truppe sovietiche contro la Germania nazista aveva permesso all’URSS di esercitare una vera amministrazione fiduciaria su quegli stati ridotti al ruolo di satelliti. Questa è la strategia della “cortina europea” per l’URSS,

Sul fronte economico, l’URSS aveva imposto la creazione del Comecon o Council for Mutual Economic Assistance (CMEA) per contrastare il Piano Marshall del 1947. Questa organizzazione internazionale stabilì una divisione del lavoro e una divisione dei ruoli tra i diversi Stati comunisti della regione. La sua missione era soprattutto quella di diffondere gli strumenti dell’economia pianificata sovietica, di organizzare il commercio tra questi Stati e l’URSS. A causa del ruolo centrale della valuta sovietica, del rublo e della dipendenza tecnologica dall’URSS, il Comecon permise all’URSS di assumere il ruolo di leader economico nell’Europa orientale. Se il CMEA non scompare ufficialmente fino al 1991, il 1989 segna la sua vera fine a causa della scomparsa dei regimi comunisti nelle principali economie della regione.

Sul versante militare, il Patto di Varsavia era lo strumento dell’egemonia sovietica nell’Europa centrale e orientale. Basato su un trattato multilaterale di amicizia e assistenza tra gli alleati dell’URSS, il Patto riunì, sotto la guida dell’Armata Rossa, le varie forze armate delle democrazie popolari. Nel 1989, è ancora in vigore ed è stato rinnovato per vent’anni nel 1985. Sebbene il Patto sia stato ufficialmente sciolto il 1 ° luglio 1991, è gradualmente scomparso nel 1989. In effetti, queste trasformazioni politiche hanno segnato il fine della cosiddetta dottrina della “sovranità limitata”, la cui paternità spetta a L. Breznev. L’evoluzione di un regime comunista verso un regime liberale è considerata a Mosca come una questione di interesse comune per tutti i regimi comunisti.

In breve, nel 1989 la rapida democratizzazione dell’Europa centrale e orientale segnò la fine di un progetto geopolitico di istituzione di un blocco e una zona cuscinetto tra la Russia e il resto dell’Europa. Si apre la strada a una “occidentalizzazione” di questa parte del continente. Si svolgerà già negli anni ’90.

II. Dal 1985 al 1991 fino al 1989: tentativi di riforme interne allo scioglimento dell’URSS

Per la politica interna sovietica e russa, il 1989 si avvicina secondo una sequenza più ampia che inizia con l’avvento di Mikhail Gorbachev al potere l’11 marzo 1985 e termina alla fine di dicembre 1991 con lo scioglimento ufficiale da parte di quest’ultima dell’URSS . Il 1989 replica quindi alla Rivoluzione del 1917.

Il regime comunista può riformarsi?

Consapevole delle debolezze economiche dell’URSS e della sua incapacità finanziaria di sostenere il costo della corsa agli armamenti con gli Stati Uniti, Mikhail Gorbachev è diventato Segretario Generale del Partito Comunista nel 1985. Ha lanciato un’ondata di riforme interne in URSS con l’obiettivo di consolidare il regime comunista e promuoverlo in Occidente. Sulla scena internazionale, dà priorità al disarmo simmetrico con gli Stati Uniti al fine di alleviare la pressione di bilancio che i programmi di armamento esercitano sulle finanze pubbliche sovietiche. Ma a livello nazionale, il 1986 segna l’inizio dei programmi di liberalizzazione politica ed economica. Il programma di “Trasparenza” (”  glasnost”)porta a misure ad alto contenuto simbolico: revoca dei divieti su molte produzioni culturali tra cui ”  Doctor Jivago  ” di Boris Pasternak; fine dell’esilio interno del fisico dissidente Andrei Sakharov a Gorkij.

Nel campo strettamente politico, la composizione del Partito Comunista viene rinnovata per portare i “riformatori” nei ruoli principali. In termini economici, la “ristrutturazione” o “ricostruzione” (”  perestrojka  “) impegna un nuovo NEP: i prezzi sono parzialmente liberalizzati, le società private sono autorizzate e emerge un intero settore informale. Questo movimento accelera nel 1989: per eleggere i due terzi dei deputati al Congresso dei deputati dell’Unione Sovietica, i cittadini dell’URSS possono scegliere tra diverse liste e vedere garantita la segretezza del voto. Questo è uno sviluppo decisivo per il Paese.

Il primo periodo delle riforme di Gorbachev assume un tono euforico … soprattutto all’estero: la ”  Gorbymania  ” in effetti ammalia gli Stati Uniti e in particolare l’Europa occidentale nel 1987. Tuttavia, la popolarità interna del leader sovietico è ben minore, a causa dei limiti delle sue riforme  [ 1 ] .

I limiti delle riforme e la fine dell’impero sovietico

Tuttavia, a partire dal 1989, iniziano a comparire i limiti delle riforme avviate. Sul fronte economico, le disuguaglianze si stanno allargando e l’inflazione sta aumentando, mettendo in discussione il patto sociale sovietico con i quali sono stati garantiti l’occupazione per tutta la vita, l’accesso a servizi pubblici a basso costo e l’uguaglianza sociale (relativa) in cambio di obbedienza politica. A livello rigorosamente politico i movimenti di scissione e secessione si moltiplicano. Sebbene Mikhail Gorbachev sia stato eletto presidente dell’URSS nel 1990, in parlamento i suoi sostenitori sono stati sopraffatti dai nazionalisti e dai liberali che preferivano la terapia d’urto. Così, già nel 1990, la Repubblica socialista federale russa della Russia è guidata da Boris Eltsin, la cui autorità è in aperta competizione con quella del leader sovietico. La tensione tra i riformatori liberali guidati da Eltsin e i conservatori sovietici sostenuti dall’esercito viene gradualmente esacerbata sulla scena politica. Culmina a terra e con le armi in mano nel tentativo di colpo di stato militare del 20 agosto 1991. Sostenuto dal presidente degli Stati Uniti, il presidente russo Eltsin si impone, eclissando il riformatore comunista e sospendendo il Partito comunista nel novembre 1991. La scacchiera politica russa, il movimento di decomunistizzazione iniziato timidamente nel 1989 termina, pochi mesi dopo, alla fine dell’URSS.

Nelle Repubbliche Federate, il 1989 vede le forze centrifughe risvegliate dal  glasnost  . Le aspirazioni all’indipendenza si manifestano in una forma che segna l’Europa. Negli Stati baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), le manifestazioni iniziate nel 1987 hanno avviato il processo di decomunistizzazione e di indipendenza nazionale. Questi movimenti pacifisti culminarono il 23 agosto 1989 formando una vasta catena umana, la Via Baltica, che univa le tre capitali (Tallin, Riga, Vilnius)oltre 500 chilometri. Questo è l’atto fondante di un processo di indipendenza per la Lituania (11 marzo 1990), l’Estonia (30 marzo 1990) e la Lettonia (4 maggio 1990). Durante il periodo dal 1989 al 1991, in questa parte dell’URSS, gli scontri armati sono strettamente evitati, ma le tensioni economiche e politiche sono più alte, specialmente in Lituania dove il blocco economico sovietico è rigoroso.

Il movimento di secessione degli Stati baltici lancia una spirale centrifuga che culmina con lo scioglimento dell’Unione Sovietica l’8 dicembre 1991. Nel Caucaso, l’Armenia diventa indipendente (23 agosto 1990), come la Georgia (9 aprile 1991) e Azerbaigian (18 ottobre 1991). L’Ucraina e le repubbliche dell’Asia centrale lasciano l’Unione tra il 1990 e il 1991. Che si tratti della strategia risoluta della Russia contro i costi dell’eccessiva estensione imperiale o dell’abbandono forzato, la Russia si sta liberando da queste periferie imperiali e sta permettendo a questi stati di allontanarsi dalla sua sovranità secolare. La fine dell’URSS, avviata dai movimenti del Baltico nel 1989, fu consacrata dalle dimissioni di Mikhail Gorbachev dalla sua posizione di Presidente dell’Unione Sovietica il 25 dicembre 1991 … che non esiste da due settimane (8 Dicembre 1991). È il Commonwealth of Independent States (CIS) che sostituisce l’Unione con una confederazione con legami istituzionali piuttosto ampi. La Repubblica, poi Federazione Russa, perde il posto centrale che occupava nel sistema istituzionale dell’URSS.

In sintesi, come visto da Mosca, in termini di politica interna, il 1989 è l’anno cardine di una rivoluzione al tempo stesso politica, territoriale ed economica. Lungi dal salvare il regime comunista adattandolo, il ”  glasnost” e l’introduzione di una dose di democrazia nelle istituzioni sovietiche hanno accelerato la caduta del PCUS. Allo stesso modo, la rinuncia alla violenza armata contro i movimenti centrifughi nel 1989 ha accelerato il processo di decomposizione.

III. Dal 1989 al 1999: dal declino al revanchismo russo

Se si considera l’immediato futuro della Russia, il 1989 apre un doloroso decennio che termina nel 1999 con l’ascesa di Vladimir Putin alla carica di presidente ad interim, eletto poi l’anno successivo.

Sul fronte economico, il fallimento delle “riforme” del periodo 1987-1989 porta a un’era di brutale liberalizzazione chiamata “terapia d’urto” in cui l’inflazione arriva fino al 1000% all’anno, dove esplode la disoccupazione e dove molte industrie statali scompaiono. Le disuguaglianze esplodono e lo stato sociale viene smantellato privando gran parte della popolazione russa dell’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione, alle pensioni o all’energia. D’altra parte, alcune considerevoli fortune private sono costituite in pochi mesi dagli oligarchi che acquistano a prezzi economici i fiori all’occhiello dell’economia diretta nella metallurgia, negli idrocarburi e persino negli armamenti. Il crollo economico e il saccheggio delle risorse culminarono nel 1998 quando la Russia fu colpita da una violenta crisi economica.

Nella sfera domestica, la contrazione del PIL e il crollo delle finanze pubbliche russe stanno danneggiando le forze armate: le basi militari sono chiuse a decine e gli ordini industriali cessano. Unito all’ondata di indipendenza nazionale, l’indebolimento delle forze armate apre la strada a movimenti separatisti all’interno della stessa Federazione Russa. Pertanto, la prima guerra cecena, dal 1993 al 1996, ha visto la Nuova Russia reprimere in un bagno di sangue i movimenti di indipendenza spesso supportati da reti islamiste. Ciò che è in gioco allora è, per la Russia, la capacità di fermare il suo decadimento territoriale. La Russia degli anni ’90, nata dagli shock del 1998, coltiva la scomparsa politica.

In termini di geopolitica regionale, il 1989 si sta preparando per la perdita del vicino straniero. L’estensione della NATO alle porte della Federazione Russa è possibile solo perché la rete di alleanze sovietiche è stata rovinata nel 1989. In effetti, per la più giovane Federazione Russa nata nel 1991, il decennio 1989-1999 è il declino. Il 1999 ha segnato un grave rovesciamento militare nel continente: la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria hanno aderito all’Alleanza atlantica, seguite nel 2004 da molti altri stati precedentemente parte del Patto di Varsavia, tra cui tre ex Repubbliche socialiste sovietiche (Estonia, Lettonia, Lituania). Visto da Mosca, questo movimento è una battuta d’arresto strategica di significato storico. In effetti, l’Occidente è ai confini dello spazio russo. È in questo decennio e grazie alle rivoluzioni colorate in Georgia (rivoluzione delle rose nel 2003) in Ucraina (rivoluzione arancione nel 2004), che la Russia riattiva la diffidenza verso i propri interlocutori.

Ma il 1989 finì davvero nel 1999, quando Vladimir Putin mise gradualmente in atto sia il suo regime che gli elementi di un relativo rinascimento per la Russia. Il decennio 1989-1999 è il periodo fondativo per comprendere la Russia di oggi. Per concedere agibilità agli oligarchi, li subordina come clienti o li fa condannare, come nel caso di Khodorkovsky. Per porre rimedio all’espansione della NATO, sta lottando contro l’adesione di Ucraina e Georgia e contro lo spiegamento di batterie antimissile sul suolo europeo. Ultimo ma non meno importante, per alleviare la debolezza militare della Russia, nel 2009 ha lanciato un vasto piano di modernizzazione, crescita e riforma delle forze armate. La forza politica e geopolitica della Russia nel 2019 è direttamente radicata nel lungo trauma del decennio 1989-1999. In breve, Vladimir Putin si pone come uno che rimedia agli anni fatali 1989-1991.

*

1989, anno fondamentale per la Russia (anche)

Per la comunità europea, il 1989 è un anno altamente simbolico con una connotazione positiva. Questa data è sinonimo di margini di rilascio a Budapest, Varsavia o Bucarest . Le sovranità nazionali, indebolite dal XIX e XX secolo, sono state recuperate. A Parigi e Bonn, poi a Berlino, nel 1989 inizia l’incontro dell’Europa attorno al progetto portato avanti dalla Comunità e poi dall’Unione Europea . Dopo i conflitti dell’inizio del secolo e la divisione della guerra fredda, il 1989 annuncia la speranza di un periodo di convergenza e pace.

Vista di Mosca, 1989 ha uno status più ambiguo. L’anno ha una chiara carica negativa, soprattutto nelle attuali rappresentazioni collettive: all’esterno, segna il fallimento della strategia sovietica di barriere difensive in ​​Europa; all’interno, fa precipitare la fine del regime comunista e prepara il caos politico ed economico degli anni 1990. Ecco perché il 1989, associato al 1991, è, nel discorso del presidente Putin, un annus horibilis per la Russia. Tuttavia, il 1989 apre un decennio decisivo per la Russia contemporanea. Fu dal 1989 che la Russia di Putin iniziò a mettere radici: la creazione di un’oligarchia mafiosa, i fallimenti contro gli Stati Uniti, ecc. tutti questi fattori contribuiscono all’avvento di un regime centralizzato, forte e seduto su una potenza militare. Così, la Russia di oggi ha le sue origini nel 1989 e nel 1991 quanto nel 1999, l’anno del l’ascesa al potere dell’attuale presidente russo .

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Lezioni di umiltà, di Roberto Buffagni

Lezioni di umiltà

 

Cari amici vicini e lontani,

proviamo ad analizzare la situazione dopo l’insediamento del nuovo governo giallorosa. Cercherò di fare un’analisi strategica, e dunque di semplificare al massimo per andare all’essenziale (=  a quello che mi sembra l’essenziale, non sono infallibile).

Sarò molto pessimista perché “scopo della politica è antivedere il peggio, e sventarlo” (Julien Freund, Sociologie du conflit).

Siccome la botta è ancora molto calda e vivacissime le reazioni emotive nel campo “sovranista” (metto tra virgolette la parola “sovranismo” perché a mio avviso surroga a fini cosmetico-edulcoranti la corretta definizione di “nazionalismo”), premetto un riassuntino  o abstract della tesi di fondo che argomenterò: così, chi non la gradisse può risparmiarsi l’irritante lettura di questo articolo.

Riassuntino

La rottura dell’alleanza di governo decisa da Salvini è stata un grave errore, nel quale confluiscono e si palesano errori precedenti altrettanto gravi, come importanti limiti e lacune della Lega in particolare, e del “sovranismo” italiano in generale. Senza una seria e approfondita autocritica dei suddetti errori, e una riconfigurazione ideologica e organizzativa, il campo “sovranista” rischia l’implosione, mentre la “Nuova Lega” nazionalista rischia di diventare la Vecchia Lega 2.0, cioè un partito strutturalmente subalterno al proprio avversario (ieri “Roma ladrona”, oggi “Bruxelles ladrona”).

E ora, vediamo di spiegarci un po’ meglio.

 

Rottura dell’alleanza di governo

La rottura dell’alleanza di governo decisa da Salvini è stata un grave errore perché ha regalato l’iniziativa all’avversario, che pur frammentato e confuso è riuscito a sfruttarla, e a insediare il governo giallorosa. Le due più articolate giustificazioni della rottura di cui io sia a conoscenza si devono ad Alberto Bagnai[1]. La seconda e più recente, Cronaca di una crisi annunciata, racconta dettagliatamente ma non spiega. Spiega invece la prima, QED fuoriserie,  e individua la principale ragione della rottura nel crescente ostruzionismo, e, peggio, nell’attivo sabotaggio da parte dell’alleato di governo, certificato dal voto 5* per Ursula von der Leyden; sabotaggio che, conducendo al varo di una legge finanziaria inaccettabile, inevitabilmente avrebbe causato la sconfitta politica della Lega, del suo leader e dell’intero campo “sovranista”: “Fatto sta che Ursula è passata, e lì si è capito chi era vassallo e chi no. Se Salveenee phasheesta era nel mirino prima, figuriamoci dopo questa prova di coerenza! Quindi abbatterlo diventava una priorità. E come fare per scalzarlo? Semplice! Andargli contro sull’agenda economica, con la copertura politica dei 5 Stelle.” (sottolineature nel testo).

Volendo fare dell’umorismo, si potrebbe commentare che Salvini, “scalzandosi” da solo, ha sventato la minaccia.

In sintesi: Salvini (piano A)  ha scommesso sull’impossibilità di formare una maggioranza parlamentare sufficiente a insediare un nuovo governo, e sul susseguente plebiscito elettorale a suo favore che gli promettevano i sondaggi d’opinione. Il piano B era invece – nell’analisi di Bagnai e Borghi, prevalente a quanto mi risulta nel campo leghista – il seguente: se anche si perdesse la scommessa e non si andasse subito ad elezioni, prima o poi ci si dovrà andare, e allora vinceremo, anzi: trionferemo. Dopo il rovesciamento delle alleanze dei grillini, el pueblo avrà compreso la natura serpentesca del M5* e la supina subalternità alla UE del “partito delle istituzioni”, e premierà la Lega con un diluvio di voti. Finalmente insignita dei “pieni poteri”, la Nuova Lega entrerà nella “stanza dei bottoni” di antica memoria[2] e riuscirà a realizzare, almeno in larga misura, il suo programma. Insomma: una strategia win-win, come s’usa dire oggi: o vinci subito, o vinci dopo un po’.

Mentre scrivo (8 settembre 2019, ricorrenza proverbiale) è evidente che il piano A è fallito. Può riuscire il piano B? Chissà. Qui entriamo nel campo delle previsioni future, dove tutto è, per forza di cose, opinabile.

Iniziamo dunque l’analisi dal passato, che è meno opinabile del futuro.

 

Formazione del governo gialloverde 1

La situazione strategica nella quale Salvini si è trovato nell’agosto 2019 è identica alla situazione strategica in cui si era trovato (in cui aveva liberamente scelto di trovarsi) il giorno dell’inaugurazione del governo gialloverde: un alleato di governo inaffidabile che dispone del doppio dei seggi parlamentari, e un “partito delle istituzioni” dichiaratamente nemico.

La natura dell’alleato di governo, il Movimento 5*, era certamente ben nota, da anni, almeno a un esponente di rilievo della Lega, il sen. Alberto Bagnai[3]. (Non posso naturalmente sapere se questa analisi del M5* fosse nota e condivisa anche dai massimi dirigenti della Lega, Salvini anzitutto). Semplificando[4]: il M5* è una forza politica che non designa un avversario o un nemico politico, e vi sostituisce categorie prepolitiche quali “la corruzione”. Da ciò consegue che a) il M5* può rastrellare consensi sia tra chi appartenga a una cultura politica di sinistra, sia tra chi appartenga a una cultura politica di destra, sia tra chi di cultura politica sia privo, “i qualunquisti”: è il segreto del suo successo b) ma soprattutto, può allearsi con tutti o con nessuno, e così neutralizzare  o influenzare la dialettica politica italiana: e questa invece è la mission per cui ha ricevuto l’impulso iniziale, in conformità alle specifiche elaborate dal dr. Gene Sharp e dai suoi collaboratori e continuatori[5]. Naturalmente, fatta salva la buonafede dei suoi elettori, e della maggioranza dei suoi attivisti e dirigenti: una buonafede essenziale per l’adempimento della mission (dell’operazione di influenza), perché non è possibile arruolare milioni di agenti.

Il “partito delle istituzioni”, invece, è il partito delle istituzioni e degli apparati dello Stato italiani, i quali entrambi sono embricati con le istituzioni e gli apparati UE. “Embricati” vuol dire che personale dirigente, mentalità, procedure, leggi, regolamenti, direttive, catene di comando e controllo di tutte, tutte le istituzioni e gli apparati statali italiani non possono prescindere dal rapporto con la UE, esattamente come le FFAA italiane sono integrate nella NATO. A solo titolo di esempio: un’ eventuale uscita dalla NATO  implicherebbe certo la decisione politica “usciamo”, ma chi si illudesse che la decisione basterebbe sarebbe diciamo ingenuo: le FFAA smetterebbero di funzionare l’istante successivo alla decisione, e dal giorno dopo ci potrebbero invadere con successo anche le Isole Tonga. Il che implica naturalmente che, in questo esempio, l’istituzione-FFAA resisterebbe con tutti i mezzi (per tacere delle reazioni dell’alleato statunitense).

Che il “partito delle istituzioni” italiano fosse nemico (non “avversario”, nemico) di una forza politica come la nuova Lega “sovranista”, che si contrapponeva frontalmente alla UE,  non era dunque difficile da immaginare; e per chi difettasse d’ immaginazione, dovevano bastare le forzature di Mattarella nella fase di formazione del governo: rifiuto di incaricare il leader della Lega di un mandato esplorativo per la formazione del governo, rifiuto di incaricarne il pericoloso sovversivo prof. Giulio Sapelli, rifiuto di accettare come Ministro dell’Economia l’altro pericoloso sovversivo prof. Paolo Savona. Forzature che erano anche gravi errori politici, perché ostendevano urbi et orbi la natura ibrida ed eterodiretta delle istituzioni italiane, e manifestavano l’incapacità del “partito delle istituzioni” di garantire un governo che godesse sia della legittimazione elettorale, sia della conformità al quadro sistemico UE.

Digressione: com’è fatta la UE

La UE è un potere di fatto, essenzialmente privo di legittimazione. Esso è privo di legittimazione perché

  1. l’unica fonte di legittimazione generalmente accettata in tutta Europa e in Occidente è “la volontà del popolo”, e la forma in cui questa legittimazione si esprime è la democrazia parlamentare a suffragio universale. In Europa i popoli sono molti, con diversi interessi e culture. Nessuno tra essi è in grado di federare gli altri[6] e trasformare la UE in un vero e proprio Stato
  2. la UE è di fatto uno spazio decisionale delimitato da trattati interstatali. All’interno di questo recinto, entrano in gioco i rapporti di forza tra gli Stati che lo creano, e naturalmente i più forti e i più coesi hanno il sopravvento, legiferando a proprio vantaggio e/o piegando l’interpretazione dei trattati a proprio beneficio. Lo Stato più forte e coeso, la Germania, con lungimiranza ha provveduto, con una decisione della Corte Costituzionale, a sovraordinare la propria legislazione a quella UE, così garantendosi la possibilità di decidere in ultima istanza qualora si apra uno stato d’eccezione
  3. ne consegue che la UE è una entità politica insieme molto fragile e molto rigida, esposta in via permanente a una latente crisi di legittimità
  4. per sopravvivere, la UE dunque deve progressivamente ibridare o “contaminare” clandestinamente, come una malattia autoimmune, istituzioni e apparati degli Stati che la compongono, e che sono gli unici ad avere ereditato (dal passato regime) la legittimità
  5. questa ibridazione e “contaminazione” non può perfezionarsi fino a trasformare gli Stati che compongono la UE in Länder di un vero e proprio Stato Europeo Federale o confederale, per la ragione esposta al punto 1
  6. dunque, qualunque forza politica rilevante (= in grado di andare al governo) contesti la UE in nome della “volontà del popolo” si autodesigna come nemico, ripeto nemico, non “avversario”, della UE, e deve attendersene una reazione proporzionata al rischio esistenziale che le fa correre
  7. la reazione della UE si dispiegherà anzitutto sul piano delle istituzioni e degli apparati dello Stato che essa ha ibridato e “contaminato”, che sono il suo punto di forza e che diventano così il principale terreno di scontro tra forze favorevoli e avverse alla UE.
  8. La forza politica che in nome della “volontà del popolo” si oppone alla UE è costretta a combattere la sua battaglia sul terreno di scontro scelto dal nemico (istituzioni, apparati dello Stato) perché la “volontà del popolo” non può direttamente affermarsi sul terreno extra-istituzionale, per esempio con le barricate, lo scontro militare, lo sciopero generale, etc.[7] Per affermarsi, la “volontà del popolo” deve anzitutto passare attraverso la vittoria elettorale: e qui la UE cercherà di contrastarla mediante leggi elettorali a sé favorevoli, campagne mediatiche, attacchi giudiziari ai leader, eventualmente brogli, etc. Una volta tradotta in voto politico maggioritario la “volontà del popolo”, essa dovrà trasformare il consenso formalizzato dal voto in potenza politica, cioè in capacità di implementare nella realtà effettuale le proprie decisioni politiche.
  9. Per trasformare il consenso in potenza, è necessario impiegare le istituzioni e gli apparati dello Stato, gli strumenti operativi senza i quali nessuna decisione politica è concretamente realizzabile. Dunque l’ eventuale vittoria elettorale di una forza politica anti UE non è la fine, ma l’inizio dello scontro. L’insediamento al governo di una forza politica che in nome della “volontà del popolo” sfidi la UE segna soltanto lo schieramento in campo delle forze contrapposte, non la vittoria. Con la vittoria elettorale la battaglia non finisce: comincia.

 

 

Formazione del governo gialloverde, 2

La situazione strategica nella quale Salvini e la Lega si sono trovati nell’agosto 2019 è identica alla situazione strategica in cui si erano trovati (in cui avevano liberamente scelto di trovarsi) il giorno dell’inaugurazione del governo gialloverde: un alleato di governo inaffidabile che dispone del doppio dei seggi parlamentari, e un “partito delle istituzioni” dichiaratamente nemico.

Formare il governo gialloverde è stata un’abile mossa tattica, e un grave errore strategico[8].

Abile mossa tattica, perché a) si andava al governo b) l’alleato era inesperto e privo di una linea politica persuasiva, lo si poteva egemonizzare e strappargli consensi nell’elettorato c) il moltiplicatore di potenza della posizione istituzionale favoriva vittorie della Lega nelle elezioni regionali e locali.

Grave errore strategico, perché i rapporti di forza nelle istituzioni tra Lega, M5* e “partito delle istituzioni” sarebbero rimasti gli stessi, a meno di una nuova tornata elettorale politica in cui la Lega potesse capitalizzare il consenso conquistato nel paese.  Ora, non era difficile prevedere che quanto maggiore il consenso acquisito dalla Lega nel corso dell’esperienza di governo gialloverde, tanto più violenta la resistenza sia dell’alleato di governo, sia del “partito delle istituzioni” a regalare alla Lega l’opportunità di farsi plebiscitare. A prescindere dalla sua natura e delle eterodirezioni a cui è soggetto, Il M5*, e in particolare il suo ceto dirigente, si sarebbe opposto con tutti i mezzi a una prova elettorale che gli avrebbe inflitto un colpo devastante, forse mortale; e da che parte stesse il “partito delle istituzioni” lo si era visto con tutta chiarezza fin da subito.

(“Preferivi Cottarelli?” Sì, preferivo Cottarelli, perché un governo Cottarelli sarebbe stato un governo di minoranza, screditato nel paese, insediato dal solo “partito delle istituzioni” subito dopo una serie di gravi errori politici, e  che il parlamento avrebbe potuto incapacitare[9]. Nel frattempo, in attesa di nuove elezioni, sarebbero stati liberi tutti i partiti, di maggioranza e minoranza, di ridiscutere programmi e alleanze.)

Per rimediare in tutto o in parte all’errore strategico dell’ingresso nel governo gialloverde, e uscire dall’angolo morto in cui si era ficcata, la Lega avrebbe dovuto

  1. Piano A (molto difficile): assicurarsi che in Parlamento non potesse formarsi una maggioranza diversa dalla gialloverde, cioè spaccare il M5* e letteralmente portargli via un numero consistente di parlamentari, una manovra molto difficile, specie se non si dispone di larghi fondi e non si possono promettere sinecure e prebende. Escludere a priori un rovesciamento delle alleanze come quello che si è compiuto in questi giorni era impossibile; e infatti, esso si è realizzato.
  2. Piano B (un po’ meno difficile) restare nel governo, contendere il terreno palmo su palmo, dividere l’elettorato 5*, costringere eventualmente il M5* a prendere l’iniziativa della rottura, su un tema di grande rilievo e facile comprensibilità per tutti, in modo da rendere più difficile (comunque non impossibile) al “partito delle istituzioni” la ricerca di una nuova maggioranza e il diniego di nuove elezioni.

 

Sintesi 1: prima di “staccare la spina” bisogna assicurarsi di non restare fulminati.

Sintesi 2: siccome la strategia è sovraordinata alla tattica, una mossa tattica ha effetto a breve, una mossa strategica a lungo termine. La mossa dell’ingresso nel governo gialloverde era tatticamente corretta, e ha pagato subito. Però era strategicamente sbagliata, e ha riscosso il suo prezzo dopo un anno.

 

Perché gli errori

Ometto valutazioni sulla personalità del leader della Lega, Matteo Salvini. Mi limito ad osservare, con le parole dell’amico Fabio Falchi, che “non si trova facilmente un Alessandro Magno ed è per questo che ci sono le accademie, le scuole di guerra e gli Stati Maggiori (che sono il surrogato del genio).
Evidentemente però, anche grazie agli esperti di marketing e ai pubblicitari, è più facile prendere voti che impegnarsi seriamente a creare una organizzazione che sappia combattere quel tipo di conflitto che non è altro che la prosecuzione della guerra con altri mezzi
.”

Mi risulta invece (non ho informazioni privilegiate, e sarò lieto di essere smentito) che sia la decisione di entrare nel governo, sia la decisione di uscirne, sono state prese informalmente, tra pochissime persone vicine al leader, perché la Lega non dispone di una struttura di comando analoga a uno Stato Maggiore, nella quale si eseguano analisi e si formulino piani, si presentino al decisore in modo coerente opzioni diverse e anche opposte, si progettino modifiche all’organizzazione delle forze disponibili, si segua l’esecuzione degli ordini fino a loro effettiva implementazione.

Mi risulta anche che nella Lega non viene incoraggiata l’iniziativa e l’indipendenza di pensiero, ma semmai l’obbedir tacendo alle decisioni dei cari leader. La disciplina va benissimo. La mancanza d’iniziativa e d’indipendenza invece, specie tra i quadri, va malissimo. L’esercito prussiano divenne il migliore del mondo anzitutto grazie alla Auftragstaktik (tattica di missione): nella formulazione di von Moltke senior, “più alta l’autorità, più corti e generali gli ordini”. Agli ufficiali subalterni era garantito un notevole margine di manovra per raggiungere gli obiettivi, e nella loro formazione era incoraggiato lo spirito d’iniziativa. Con esecutori anzitutto preoccupati di non sgarrare e di coprirsi le spalle non si va da nessuna parte, tranne a Pontida.

 

Che succede adesso

Le linee di tendenza prevedibili sono le seguenti.

  1. L’obiettivo strategico del “partito delle istituzioni” italiano e della UE è: ripristinare la contrapposizione tra un centrosinistra e un centrodestra, comunque composti, che siano entrambi sistemici, cioè che accettino senza retropensieri, una volta per tutte, il contesto UE (che lo legittimino nell’unico modo in cui è possibile legittimarlo, vale a dire omettendo di contestarlo)[10]
  2. Non è un obiettivo facile. Per raggiungerlo, è necessaria la riconfigurazione del centrosinistra e del centrodestra + un grado accettabile di controllo della grave contrapposizione paese legale/paese reale.
  3. Centrosinistra: dopo il rovesciamento delle alleanze, l’indebolito M5* sarà incoraggiato a prendere il posto della vecchia sinistra massimalista ormai logora, svolgendone la consueta funzione (intercettare il dissenso + al momento buono votare per il partitone). Mi pare già prepararsi, tra le file di Nuova Direzione, Senso Comune, Patria e Costituzione e altre formazioni analoghe, un nuovo ceto dirigente del M5*, che andrà a integrare e sostituire parzialmente il vecchio, già screditato. Non sono in grado di prevedere le evoluzioni interne al PD, con le relative lotte fra correnti e leader. Possibile che dal PD si distacchino formazioni più centriste e apertamente liberali, come ad esempio quella auspicata da Calenda.
  4. Il centrodestra è l’obiettivo principale dell’operazione, perché nel centrodestra c’è la Lega e il bacino elettorale più pericoloso per il partito delle istituzioni e per la UE. Si farà certamente leva sulla base sociale della Lega (PMI, lavoratori autonomi) e sulla sua base di potenza territoriale (Lombardo-Veneto), come dimostrano i recenti interventi pubblici di Luca Zaja e Roberto Maroni[11]. Attraverso questi ultimi, si incoraggerà la riconversione della Lega secondo le tradizionali specifiche del prodotto, vale a dire: a) Salvini surroga Bossi come leader carismatico (= che prende tanti voti) e come Bossi propagandava senza crederci la cantafavola della secessione grazie ai duecentomila bergamaschi con la pallottola in canna, così Salvini propaganderà senza crederci la cantafavola del sovranismo, con il “prima gli italiani” e il “basta immigrati”. Dovranno però gradualmente sparire le allusioni all’uscita dall’euro e/o dalla UE b) intanto si tratta con il “partito delle istituzioni” italiano e con la UE per ottenere la forma di autonomia regionale il più possibile ampia, e nel conflitto tra potenze interno alla UE ci si lega alla Germania per difendersi dalla Francia (sulla quale si orienta invece il PD). A garanzia dell’accettazione del quadro sistemico UE, si incoraggerà l’alleanza tra Lega e Forza Italia o suoi eventuali avatar quali la nuova formazione di Urbano Cairo. Punto delicato dell’operazione, Fratelli d’Italia, che sulla linea “sovranista” ha moltiplicato i suoi voti, che ha il nazionalismo nel DNA, e nel quale potrebbero confluire i “sovranisti” delusi dalla Lega . E’ dunque prevedibile che nel prossimo futuro, proprio su Fratelli d’Italia convergeranno attacchi e manovre tese a normalizzarlo.
  5. Al fine di controllare il pericoloso scollamento tra paese legale e paese reale, si incoraggeranno a) cambiamenti ad hoc della legge elettorale b) controllo e censura dei social media c) secca repressione delle manifestazioni di dissenso d) provvedimenti assistenziali sul modello degli 80 euro renziani e) “nuova narrazione” di un’Italia protagonista nel dialogo intereuropeo f) character assassination + persecuzione giudiziaria di Salvini (che non ha più la copertura parlamentare dagli attacchi giudiziari) e altri leader “sovranisti”, es. Giorgia Meloni, al fine di demoralizzare l’opposizione “sovranista” e di dimostrarle che mettersi contro la UE è troppo difficile.

Ed effettivamente, mettersi contro la UE senza essere adeguatamente preparati è troppo difficile: se qualcosa ha dimostrato quest’anno di governo gialloverde, è proprio questo.

Dunque hanno ragione Maroni e Zaja? Bisogna accettare il quadro UE e al suo interno contrattare al meglio i propri interessi?

No, non hanno ragione Maroni e Zaja. Hanno torto, e non solo perché non è patriottico, generoso e carino fregarsene del Meridione e pensare solo al Nord. Maroni e Zaja hanno torto anche dal limitato punto di vista degli interessi del Nord Italia, perché:

  1. La secessione del Nord è impossibile. La UE esiste perché la fanno esistere gli Stati, e non può permettere che essi si disgreghino. Se servisse un esempio, basti riandare con la memoria all’avventura indipendentista della Catalogna.
  2. L’autonomia regionale così come la vogliono i lombardi e in particolare i veneti scasserebbe ulteriormente le istituzioni italiane, accrescendovi la frammentazione dei centri decisionali e la confusione dei livelli istituzionali. La si potrebbe realizzare efficacemente solo nel quadro di una completa riforma istituzionale dello Stato italiano, che lo trasformasse in una Repubblica presidenziale federale. Francamente non ne vedo le condizioni di possibilità.
  3. La tattica autonomista può pagare, in termini economici, vista l’interdipendenza tra manifatturiero italiano e tedesco. Ma siccome non esiste solo l’economia, che non decide tutto, e la suddetta interdipendenza non è un dato permanente come la collocazione geografica, gli interessi di Germania e Nord Italia possono divergere, ad esempio perché entrano in campo più rilevanti interessi franco-tedeschi. Inoltre, oggi il tacito patto tra Germania e USA è messo in forse, e la crescente rivalità tra Germania e Stati Uniti già ora espone il Nord Italia a seri contraccolpi, anche economici. Come descritto brevemente più sopra, la UE è uno spazio decisionale delimitato da trattati interstatali. All’interno di questo recinto, entrano in gioco i rapporti di forza tra gli Stati che lo creano, e naturalmente i più forti e i più coesi hanno il sopravvento, legiferando a proprio vantaggio e/o piegando l’interpretazione dei trattati a proprio beneficio. Che peso avrebbero le regioni del Nord, nel recinto decisionale della UE? A occhio e croce, un peso minore del Lombardo-Veneto all’interno dell’Impero austro-ungarico, perché almeno l’Impero era uno Stato vero e proprio, e il Lombardo-Veneto ne faceva parte (per questo Carlo Cattaneo caldeggiava una linea federalista). Sintesi: indebolendo lo Stato italiano con un autonomismo massimalista, il Nord indebolisce l’unica entità politica che può difenderlo e rappresentarlo all’interno della UE. Anche la scelta autonomista-massimalista di Maroni e Zaja, dunque, è un’abile mossa tattica e un grave errore strategico.

Che fare ora?

Anzitutto, riconoscere i propri errori e analizzarli: per approfittare della lezione che impartiscono le sconfitte, bisogna ammettere che non sono né vittorie né pareggi. Dopo, solo dopo si può cominciare a ragionare su come prepararsi meglio per riprendere a combattere; ad esempio, su come prepararsi per condurre la battaglia all’interno delle istituzioni e degli apparati dello Stato, che sono – non mi stanco di ripeterlo – il terreno principale e decisivo dello scontro.

Non è facile: ci vuole umiltà.  Ma “Gloriam praecedit humilitas. Humilitas alta petit”,  “L’umiltà precede la gloria. L’umiltà sprona alla grandezza.” E’ anche il motto di un’antica casata lombarda. Forse la Lega, che proprio da quelle parti ebbe umili natali, se ne ricorderà.

[1] http://goofynomics.blogspot.com/2019/08/qed-fuoriserie.html

http://goofynomics.blogspot.com/2019/09/cronaca-di-una-crisi-annunciata.html

Ci sono naturalmente altre analisi, tra le quali segnalo questa, recentissima, di Carlo Galli: https://ragionipolitiche.wordpress.com/2019/09/04/che-cose-questa-crisi/

Personalmente, concordo nell’insieme con le analisi di Fabio Falchi e Piero Visani: http://italiaeilmondo.com/2019/08/31/alea-iacta-est-di-fabio-falchi/ ; http://italiaeilmondo.com/2019/08/23/il-conte-dimezzato-la-crisi-di-governo-sul-proscenio-e-dietro-le-quinte_-con-piero-visani/ (intervista video); http://italiaeilmondo.com/2019/09/02/crisi-politica-e-guerre-sordide-a-cura-di-giuseppe-masala-e-piero-visani/

http://www.destra.it/errare-humanum-est-perseverare-diabolicum/

 

[2] Per i più piccini: ne favoleggiava Pietro Nenni nel corso del dibattito interno al PSI sul progetto di primo governo di centrosinistra.

[3] V. ad es. http://goofynomics.blogspot.com/2014/10/agli-ortotteri.html ; http://goofynomics.blogspot.com/2012/09/ortotteri-e-suini.html ; http://goofynomics.blogspot.com/2012/07/ortotteri-e-anatroccoli.html ; http://goofynomics.blogspot.com/2017/03/cinque-stelle-due-logiche-una-risposta.html

[4] Qui invece, analiticamente, quel che penso del M5* e del suo rapporto con la UE: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2016/12/la-politicaitaliana-secondo-shakespeare.html

[5] E’ il gruppo di lavoro che ha gettato le basi teoriche e operative per l’implementazione delle “rivoluzioni colorate” in tutto il mondo, se ne vedano qui i manuali gratuitamente scaricabili https://www.aeinstein.org/, https://canvasopedia.org/.  Ne raccomando caldamente la lettura, perché vi si apprendono i metodi impiegati nelle “guerre ibride”, o “guerre di quinta generazione”. Non tutti, naturalmente: per esempio, nei manuali qui disponibili non si suggerisce l’impiego di cecchini bipartisan che sparano sulla folla dei manifestanti e sulle forze di polizia che la fronteggiano allo scopo di destabilizzare un governo, com’è avvenuto in Ucraina o in Egitto; né si specifica l’importanza di disporre di agenti all’interno del sindacato, della magistratura e degli apparati di coercizione dello Stato-bersaglio, né i metodi per assicurarseli (che vanno dalla simpatia ideologica, alla corruzione, al ricatto). Questo tipo di metodi si insegnano e apprendono in altre sedi. Sia i metodi “aperti” sia i metodi “coperti” convergono verso uno stesso scopo, che può essere la destabilizzazione di un governo, la distruzione di una forza politica sgradita e/o del suo leader, etc., senza impiegare la forza militare tradizionale, e con il minimo impiego della violenza possibile, perché la violenza ha un alto costo politico. “L’ arma preferita della guerra di quinta generazione è lo stallo politico. Chi combatte una guerra di quinta generazione vince dimostrando l’impotenza della potenza militare tradizionale…questi combattenti vincono quando non perdono, mentre noi perdiamo quando non vinciamo” (https://www.scribd.com/doc/50049562/Fifth-Generation-War-Warfare-versus-the-nonstate-by-LtCol-Stanton-S-Coerr-USMCR)

[6] Per una analisi di questo punto, v. http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2016/12/la-politicaitaliana-secondo-shakespeare.html

[7] Se qualcosa hanno insegnato le esperienze rivoluzionarie del Novecento, ad es. l’affermazione dei fascismi, è che anche forze politiche dotate di milizie armate non riescono a rovesciare le istituzioni con lo scontro militare diretto. E’ indispensabile guadagnarsi la complicità delle istituzioni e degli apparati dello Stato.

[8] E’ odioso dire “ve l’avevo detto”. Mi autocito solo per mostrare che non era difficile accorgersene, se me ne sono subito accorto io che non sono Clausewitz. http://italiaeilmondo.com/2018/05/24/dalla-mia-palla-di-cristallo-governo-lega-5-eccetera-che-accadra-di-roberto-buffagni/

[9] Per esempio così: http://italiaeilmondo.com/2018/05/29/dalla-mia-palla-di-cristallo-governo-ombra-di-roberto-buffagni/

[10] Ne anticipavo qualcosa qui: http://italiaeilmondo.com/2019/08/13/navigazione-a-vista-di-roberto-buffagni/

[11] https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/13499741/matteo-salvini-roberto-maroni-progetto-fallito-due-italia-crisi-m5s-governo-imprenditori.html ; https://www.liberoquotidiano.it/news/politica/13492326/matteo-salvini-luca-zaia-insulti-accuse-video-facebook-diretta-sospetto-rivolta-veneto-.html

4 – Il commercio dei Big Data Di  Laurent BLOCH

Siamo alla quinta puntata di questo interessantissimo rapporto
Internet, vettore di potenza degli Stati Uniti?
4 – Il commercio dei Big Data

Di  Laurent BLOCH , 28 aprile 2018  Stampa l'articolo  lettura ottimizzata  Scarica l'articolo in formato PDF

Precedentemente capo dell’informatica scientifica presso l’Institut Pasteur, direttore del sistema informativo dell’Università Paris-Dauphine. È autore di numerosi libri sui sistemi di informazione e sulla loro sicurezza. Si dedica alla ricerca nella cyberstrategia. Autore di “Internet, vettore del potere degli Stati Uniti”, ed. Diploweb 2017. 

Nel mentre il tema dell’intelligenza artificiale appassiona, Laurent Bloch affronta in questo quarto capitolo il commercio dei Big Data. Presenta successivamente con pedagogia il commercio dei dati e i suoi attori; i conflitti di concorrenza e regolamentari. Un paese rimosso da quest’area sarebbe condannato al declino.

Diploweb.com , pubblica questo libro di Laurent Bloch, Internet, vettore del potere degli Stati Uniti? per fornire a tutti gli elementi necessari per una valutazione equilibrata della situazione. Questo libro è già disponibile su Amazon in formato digitale Kindle e in formato cartaceo . Sarà pubblicato qui come seriale, capitolo per capitolo, al ritmo di circa uno per trimestre.

Il settore dei big data è una questione cruciale in quanto il commercio massivo di questi dati è un settore in forte espansione e già molto redditizio; quasi tutti gli altri settori dell’economia, dalla salute all’agricoltura ai trasporti, sono colpiti, nel bene e nel male, a seconda della loro capacità di adattamento. Le società statunitensi giganti del cyberspazio, Google, Apple, Facebook, Amazon e i loro colleghi sono in prima linea nella raccolta e sfruttamento: gli europei sapranno recuperare il ritardo?

4 - Big Data Trading
Laurent Bloch, autore di “Internet, vettore del potere degli Stati Uniti?”, Ed. Diploweb via Amazon
Laurent Bloch spiega con pedagogia e precisione la geopolitica di Internet.

Il commercio dei dati e i suoi attori

I GAFA (Google Apple Facebook Amazon) sono aziende di prima classe, leader nel cyberspazio, tutte americane. Apple è la terza più grande compagnia americana con 234 miliardi di dollari di vendite, proprio dietro il gigante dei supermercati Walmart e la compagnia petrolifera Exxon-Mobil (la classifica mondiale di Apple è solo 12 ° dietro alcune compagnie petrolifere cinesi) e europee, Volkswagen, Samsung e altri, vedono le classifiche qui ). Google è di $ 75 miliardi, Amazon 107.

I ricavi di queste società provengono in parte (per Apple e Amazon) o quasi tutti (per Google e Facebook) dalla commercializzazione di dati secondari lasciati sui loro siti dagli utenti di Internet. Ogni ricerca sul sito di Google, ogni chat su Facebook, ogni acquisto su Amazon si raccoglie nella soffitta di queste informazioni secondarie di società, eventualmente calcolate dai metadati (origine e destinazione delle comunicazioni, identità degli interlocutori, indirizzi rete, date e orari …), relativi ai tuoi gusti, alla tua residenza, ai tuoi collaboratori, ecc., che, debitamente anonimizzati, aggregati e soggetti a elaborazione statistica, saranno venduti a agenzie pubblicitarie, società di marketing, agenzie matrimoni, operatori turistici, ecc.

I dati, che diventano informazioni quando raggiungono uno spirito umano e lo modificano, come ci insegna Gilbert Simondon, sono un bene in rete, cioè più vengono “consumati” “(Consultati), più aumenta il loro valore (i dati a cui nessuno ha accesso hanno un valore nullo, non trasmettono alcuna informazione). I dati, a meno che non siano protetti da un dispositivo di controllo dell’accesso come la crittografia o il tatuaggio elettronico, sono un bene non rivale (il consumo del bene da parte di un agente non ha alcun effetto sulla quantità disponibile di quel bene per altri individui) e non esclusivi (una volta che il bene è prodotto, tutti possono beneficiarne), in altre parole un bene pubblico (vedi Wikipedia).

Non si deve pensare che questa sia solo l’attività intelligente di alcuni giovani rilassati intorno a due o tre computer nel garage dei genitori. Così leggiamo sotto la penna di Charles de Laubier (in The Tribune il 20 febbraio 2015) che il 20% del prezzo della gara fatta da Uber sul corrispettivo dell’autista del VTC affiliato era “servaggio”; ma lo stesso supplemento settimanale che La Tribune ha dedicato a questa piattaforma di intermediazione ci dice poche pagine dopo che Uber impiegava all’epoca 450 sviluppatori a San Francisco e Amsterdam, che devono essere pagati bene (per non parlare del restante personale, ad esempio alla hotline). Inoltre, questo 20% deve essere confrontato con il 33% delle compagnie di taxi tradizionali.


Un libro pubblicato da Diploweb.com, formato Kindle e tascabile


Uber è una piattaforma di intermediazione perché invece di raccogliere semplicemente un affitto, mantiene, organizza e sfrutta tutti i dati che riceve sui suoi autisti e sui suoi clienti. Ma è ancora una piccola impresa rispetto al GAFA. Devi sapere che Google o Amazon gestiscono ciascuno milioni di server sulla superficie della terra, acquistano centrali idroelettriche per gestirli, gestiscono le proprie reti transoceaniche in fibra ottica. In breve, dietro il commercio etereo e apparentemente immateriale dei dati c’è un’industria pesante.

Concorrenza e conflitti regolamentari

Questo commercio di dati prodotti gratuitamente da centinaia di milioni di utenti di Internet e raccolti dalle società che hanno creato le piattaforme giganti che sono i siti GAFA è già un asse dell’economia mondiale, ma questo è un inizio perché questo fenomeno, iniziato con la pubblicità e il marketing, sta gradualmente estendendo la sua influenza in tutti i settori.

Sappiamo che sotto il regime dell’economia digitale, che si propone di battezzare l’iconomia e che è concorrenza monopolistica, il vincitore raccoglie tutto: Google o Facebook hanno un tale vantaggio, e quindi di un tale vantaggio che non è possibile creare un concorrente sullo stesso terreno. Ma se la frase “concorrenza monopolistica” evoca la nozione di monopolio, suggerisce anche quella di concorrenza, poiché è possibile creare un’attività in una nicchia di mercato vicina ma separata. È così che Apple, che molti pensavano condannato venti anni fa contro Microsoft, si è reinventata ed è ora tre volte più grande del suo concorrente.

Un paese estromesso da questa zona sarebbe condannato al declino

La negoziazione del progetto di accordo transatlantico di libero scambio (TAFTA / TTIP) pone queste gigantesche società basate sui dati in una posizione simile a quella dei mercanti britannici di oppio che volevano imporre sul mercato cinese la commercializzazione dei loro narcotici, che hanno prodotto nel diciannovesimo secolo le due guerre di oppio che hanno schiavizzato la Cina, fino a quel momento la principale potenza economica mondiale. Allo stesso modo, i principali attori di Internet vogliono accedere ai vari mercati nazionali senza accettare i sistemi fiscali o rispettare le leggi sulla protezione dei dati personali, per vendere quella che sembra essere una sostanza che crea dipendenza.

L’ Autorità pubblica francese raccoglie e crea una notevole quantità di dati da cui non trae il pieno potenziale beneficio o non li rende sufficientemente disponibili al pubblico. È paradossale che per ottenere dati demografici o economici sulla Francia, piuttosto che sul sito INSEE, sia necessario consultare i siti di organizzazioni internazionali o private che svolgono il lavoro di distribuzione dei dati di base INSEE, incrociarli con altre fonti e aggregarli in modo utilizzabile da qualcuno che non è uno statistico esperto: Eurostat, OCSE, Wikipedia, Xerfi per esempio. Va notato che questa difficoltà nell’interpretazione dei dati grezzi pubblicati dall’INSEE e da altri enti pubblici crea un mercato per le aziende che li modellano e forniscono strumenti di navigazione, come la società Spallian.

Allo stesso modo, l’IGN ha impiegato più di trenta anni per rendere disponibili gratuitamente le sue mappe di base municipali, e di nuovo in una forma che è difficile da usare. Ciò è in netto contrasto con la dottrina dell’agenzia governativa statunitense secondo cui il contribuente non deve pagare una seconda volta per accedere ai dati per i quali ha già pagato le tasse una volta.

Queste diverse politiche non sono prive di conseguenze economiche: la restrizione francese all’accesso ai dati pubblici è un handicap per le nostre aziende. Le società americane sono state in grado di accedere ai database demografici americani da decenni, strutturano in modo creativo i dati forniti dal Census Bureau, possibilmente a livello di blocco, il che rappresenta un vantaggio considerevole per la loro politica commerciale. Senza che ciò sia strettamente impossibile, ottenere la stessa qualità di informazioni in Francia richiede un percorso ad ostacoli oltre la portata di una media o piccola impresa. La situazione è la stessa per i dati catastali, che sono anche di notevole interesse sociale ed economico.

Un esame delle possibilità di accesso ai dati EdF o SNCF porta a conclusioni simili.

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TRIBUNALE PER I MINORENNI: UNA GIUSTIZIA PRIVA DI CONFINI, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto una lettera aperta-documento stilato dallo psicologo e psicoterapeuta Giuseppe Raspadori. Il testo risale al 2010. E’ una critica, di fatto un atto di accusa, alla condotta e alle procedure adottate dall’allora Tribunale dei Minori riguardanti le sentenze di allontanamento di minori dalle famiglie. In pratica un protocollo alternativo a quello adottato dalla maggior parte dei consulenti e degli assistenti sociali che fungono da supporto alle decisioni del giudice; il ruolo dei quali, spesso e volentieri, è ben più pregnante. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti. La situazione in provincia di Trento, nel frattempo, è cambiata in meglio, più nelle zone urbane che nella periferia. Ad una situazione che si equilibra se ne aggiungono però tante altre, in Italia, che seguono un percorso drammaticamente inverso. I fatti di Bibbiano, come quelli di Forteto e di tanti altri che però emergono solo nelle cronache locali come meri fatti di colore e di costume sono lì a testimoniarlo. Questo documento fu il segnale di avvio di un movimento ostinato e pervicace che testimonia della possibilità di modificare una situazione apparentemente immobile e intangibile. Al prezzo però di enormi sacrifici e rischi. Tanto per citare un esempio, questo documento ha comportato per l’estensore, il deferimento e la richiesta di un provvedimento di radiazione dall’albo professionale. Un atto proditorio rintuzzato a fatica. La finalità che ha spinto questo sito ad affrontare il tema è ovviamente diversa da quella dei vari comitati sorti nel frattempo. Si tratta di porre un tema cruciale alla comprensione delle dinamiche di funzionamento della nostra formazione sociale, di confronto e conflitto politico e di formazione di una particolare classe dirigente del tutto inadeguata: il peso e la capacità di influenza del cosiddetto terzo settore. Il caso di Pamela Mastropietro e della gestione degli immigrati ne ha messo a nudo un filone; quello di Bibbiano e in generale degli affidamenti e della gestione delle case-famiglia ne ha evidenziato un altro_Giuseppe Germinario

https://www.ccdu.org/sites/default/files/media/docs/tribunale_per_i_minorenni_una_giustizia_priva_di_confini.pdf

TRIBUNALE PER I MINORENNI: UNA GIUSTIZIA PRIVA DI CONFINI
“dedicato al silenzio delle madri a cui il dolore toglie anche la dignità della parola”
Premessa
L’altro giorno la dott.ssa Santaniello, presidente del Tribunale dei Minori, nell’ambito di un’udienza in cui intervenivo ripetutamente affinché fossero definiti a priori dei criteri precisi, oggettivi intendo, per la valutazione di “un caso”, mi ha detto “Raspadori, lei si coinvolge troppo”.
Eh già, è vero, e lo rivendico.
Respingo l’idea di svolgere silenziosamente, da bravo scolaretto, il mio “compitino” di Consulente Tecnico di Parte (CPT), delineare cioè il profilo psicologico di un bambino o di un adulto, consegnarlo alla scadenza, farlo affluire assieme a mille altri atti di altri psicologi, psichiatri, assistenti sociali, educatori, avvocati, sul tavolo del giudice, senza chiedermi come è sorto “un caso”, perché proprio quel genitore è finito nel mirino dei tanti ruoli che girano attorno al Tribunale dei Minori, quali sono e che valore hanno i criteri con cui improvvisamente viene valutata la “capacità genitoriale” di una madre, e viene esclusa.
Nel “piccolo” di un Tribunale per i Minori, io dico che, così come sono le procedure e i comportamenti di tanti personaggi che accettano di svolgere il proprio compito parcellizzato, rivive in pieno quella “banalità del male” che Hanna Arendt descrisse per i campi di concentramento, in cui ogni funzionario svolgeva burocraticamente e disciplinatamente il proprio “compitino” nell’ambito prescrittogli, al punto di perdere la coscienza del maggiore dramma che avveniva, e a cui lui era chiamato ad aggiungere “solo” un mattoncino, il proprio.
Se nulla di peggio c’è di quando l’immacolatezza dell’infanzia viene violata, dobbiamo dirci però che oggi i casi di abusi e di violenze conclamate ad opera di genitori sui propri bambini riguardano meno del cinque per cento di quelli per cui il Tribunale per i Minori sancisce la perdita della potestà genitoriale ed il collocamento dei figli altrove.
So bene, come tutti noi sappiamo, che la violenza non è solo fisica, ma quando ci addentriamo nel campo indefinito della psicologia, al di fuori cioè di fattispecie certe di reato, quando noi decidiamo di valutare modi, comportamenti, sentimenti, espressioni, collegate al carattere, a tratti di personalità, a stati d’animo, a tutto quell’insieme, cioè, spesso contraddittorio di ansie, paure, sicurezze, aspettative, gelosie, dipendenze, orgogli, che compongono la psiche umana, noi entriamo inevitabilmente nel campo della discrezionalità.
La discrezionalità dei nostri valori, sentimenti, vissuti, visioni della vita, e molto più semplicemente del nostro modo di amare e di crescere i figli.
E quando la discrezionalità delle valutazioni psicologiche si accompagna al potere di irrorare il massimo della pena,la perdita di tuo figlio e la negazione di te stessa, il rischio di passare dalla discrezionalità all’arbitrio è enorme, e foriero di danni e drammi di molto maggiori di quelli che astrattamente si dichiara di volere evitare.
Il minore ha diritto di essere educato nell’ambito della propria famiglia
Dichiarare un genitore, ed in particolare una madre, “incapace” e sottrargli i figli, ed oggi, assai frequentemente, l’unico figlio, è lacerante ben più della galera, molto più vicino ad una pena di morte, specie e proprio per le modalità con cui questi provvedimenti, come vedremo, vengono attuati.
Ed è più che lacerante per lo stesso figlio, quando è un bambino, perché lui non è alla ricerca del miglior modello di genitore, ma a quel genitore, così com’è, lui è attaccato.
Quel genitore, ed in particolare quella madre, con le sue caratteristiche, è stata la sua costante. Di quella madre conosce le dolcezze e le sfuriate. Da quella madre ha imparato anche a difendersi, oserei dire, da quella madre sa cosa aspettarsi, ma sa anche che c’è.
Perdere questa presenza concreta, di punto in bianco, perché un giudice o un assistente sociale o uno psichiatra decreta tra sé e sé, perché ad un bambino non viene detto e in ogni caso è un’astrazione che non può comprendere, che solo altrove c’è ciò che converrà al suo futuro, è più che una violenza, più che un trauma, è come precipitare un piccolo nel vuoto accompagnandolo con volti di adulti sconosciuti e sorridenti.
Noi che, proprio qui in Trentino, all’epoca della guerra in Jugoslavia e poi in Cecenia, quando per generosa ma falsa coscienza sull’aiuto possibile da portare, comprendemmo, solo dopo, che non si possono separare i piccoli dalle madri, perché il benessere psichico di un bambino è maggiore tra le braccia materne pur sotto le bombe, come ci dicemmo allora, piuttosto che in una lacerante separazione, tutto questo, quotidianamente, psicologi/educatori/assistenti sociali, sembrano oggi dimenticarlo. In nome di un decisionismo tutto fondato sulla più vaga e incerta delle scienze, la psicologia, che diventa arrogante supponenza quando viene usata per giudicare e per punire e non per accompagnare ad una maggiore consapevolezza.
Allora, del Tribunale per i Minori voglio dire le seguenti cose:
1) I procedimenti con cui si separano i bambini dalle madri in nome dell’incapacità genitoriale, facendo risalire questa capacità/incapacità ad una caratteristica psicologica, ad un tratto di personalità cioè, sono un abuso anche scientifico. Non esiste in nessun manuale di psicologia o psichiatria la categoria o la sindrome di incapacità genitoriale.
Non esiste l’incapacità genitoriale in quanto categoria psicologica AD EXCLUDENDUM.
Gli atti a cui così frequentemente ricorre il Tribunale per i Minori di Trento, di affidamento a terzi (Servizi Sociali) di un minore è una ipotesi che dovrebbe essere perseguita solo per gravissimi ed eccezionali motivi
“La potestà genitoriale costituisce un ufficio di diritto privato, dice la letteratura giuridica, e il genitore, verso lo Stato e verso i terzi, h .un vero e proprio diritto soggettivo alla titolarità dell’ufficio e all’esercizio
personale e discrezionale del medesimo, con l’unico limite…di indirizzarlo verso il soddisfacimento delle sole esigenze del minore.
In altri termini, la titolarità della potestà genitoriale, oltre che un dovere ed officium, è anche e ad un tempo un insieme di poteri, dal contenuto personale e patrimoniale, talmente incisivi da assurgere al rango di diritto soggettivo; pertanto i provvedimenti del giudice, che su quel diritto possono incidere fortemente, hanno pur sempre uno spiccato carattere contenzioso e non di decisioni unilaterali”.
I principi generali lasciano fuori i bisogni concreti del minore: è stato giustamente osservato che l’interesse del bambino è visto attraverso il mondo degli adulti, ed una tale ottica può essere drammaticamente deformante. Non ha senso perseguire la individuazione di una astratta idoneità genitoriale, dato che le conseguenze che se ne volessero trarre potrebbero benissimo non adeguarsi al caso che ci sta davanti.
La “capacità genitoriale” è l’oggetto ricorrente nelle CTU (le perizie predisposte dal tribunale)
Non pensate a chissà quali virtù debbano possedere i genitori adeguati e chissà quali pecche contraddistinguono quelli inidoei.
Ormai una dichiarazione di inacapacità genitoriale la potete leggere ad occhi chiusi, tanto si sviluppa ripetitivamente dai presupposti ai passaggi diagnostici intermedi, fino alle conclusioni.
Una madre di fronte al perito è in partenza una madre ferita, che non comprende perchè tutto questo sta succedendo, attraversata da dubbi, paure e sospetti e dalla certezza di doversi difendere, che tutto può essere usato a suo scapito.
Da qui, regolare come un’equazione matematica, la prima diagnosi di sentimenti persecutori di stampo paranoide.
Sicuramente nel passato della madre c’è qualche forte dolore rimosso che porta ad una elaborazione depressiva nella forma di comportamenti troppo accuditivi, protettivi o possessivi della madre nei confronti del proprio piccolo.
E a questo punto non c’è scampo perchè se prevale una elaborazione rabbiosa, maniacale, narcisistica la madre può diventare pericolosa, e altrimenti i comportamenti troppo accuditivi, di stampo regressivo, vengono equiparati ad incapacità genitoriale di crescere i figli, di cogliere i loro reali bisogni, ovvero di inadeguatezza al ruolo materno.
Tutto questo in nome della indiscutibile verità che l’equilibrata crescita psicologica di una persona è fondata sulla capacità di vivere relazioni oggettuali, ovvero la capacità di distinguere perfettamente sè dagli altri, di non essere attraversati da facili meccanismi di identificazioni o proiezioni, che inducono dipendenza o misconoscenza e negazione delle altrui caratteristiche, necessità, bisogni e desideri.
Affermare che la madre ideale è una madre che sappia rapportarsi oggettualmente con il proprio figlio, che sappia in lui vedere una persona ben distinta da sè, a 2, 5, 8, 15, 25 anni, è altrettanto banale della presunzione “tutta materna” di conoscere perfettamente il proprio figliolo, anche quando questi ha 30 o 50 anni. Se fosse per questa incongruenza dovremmo affidare ai Servizi Sociali, ben più della metà dei nati.
Ciò che reputo importante è che una madre sappia essere ben protettiva negli anni in cui il piccolo è completamente affidato a lei, ed essa deve sapere prevenire le possibilità di pericolo per il piccolo indifeso. Quando ce l’ha in pancia e per alcuni anni successivi ancora.
Poi, può avvenire che lei lo consideri sempre il “suo bambino”, che sia più ansiosa e protettiva del dovuto, ma in ogni caso è la socializazzione che prende avvio con la scuola materna e poi le elementari che introduce il bambino a nuove relazioni..
E’ l’ingresso in scena di nuovi adulti significativi, a cominciare dalle maestre ma non solo, che portano a ridimensionare la magia infantile della mamma “la più buona e la più bella” e del papà “il più forte ed il più giusto”, e questo avviene comunque, anche se la mamma continua a ritenersi unica e insostituibile.
La pubertà e l’adolescenza, poi, faranno il resto. Gli amori dell’adolescenza, i rapporti amicali, la scuola con il suo chiedere conto, formeranno definitivamente il nostro piccolo al rapporto con la realtà ed alla reciprocità con l’altro.
Dimenticare questi principi della vita e della crescita, pretendere che una madre sia come una operatrice sociale o una psicologa, pretendere cioè di misurare e giudicare la qualità dell’amore materno e il modo di esprimere affettuosità da un lato, e quanta la capacità di asettico coinvolgimento operativo, senza tenere conto della naturale visceralità del rapporto, non solo rischia di far prendere solenni cantonate, ma purtroppo anche commettere ingiustizie, quando non le vogliamo chiamare crudeltà.
A volte dovremmo riflettere che il genitore che a noi non piace è forse il miglior genitore accanto a cui può crescere un figlio.
E che forse c’è un eccesso nella sostituzione di un genitore con l’assistente sociale.
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Ancora sulle capacità genitoriali
Ci sono due casi che possono sembrare assai diversi uno dall’altro, due bambini tolti alle rispettive madri, uno nel corso della prima infanzia, l’altro verso la fine delle scuole elementari.
Le madri sono assai diverse, i gesti ed i comportamenti a cui danno vita sono assai diversi, eppure entrambe accumunate nel dovere dimostrare la propria adeguatezza genitoriale.
Ebbene non è assolutamente vero che l’esame per la valutazione delle capacità genitoriali debba tradursi nei meandri di una perizia psichica, come se fosse l’equilibrato psichismo a generare i bambini ed il loro benessere.
Sarebbe sufficiente invece, per comprendere se il percorso è stato fin lì adeguato, analizzare il comportamento del piccolo nelle relazioni con il suo mondo prevalente.
Cosa intendo? Che per un piccolissimo ci sono le otto-nove ore quotidiane che lui trascorre al nido o alla scuola materna e per un bimbo più grandicello le ore a tempo pieno della scuola elementare.
Quale osservatorio migliore per valutare con gli insegnanti lo sviluppo cognitivo, emotivo e del giudizio critico, la curiosità dei percorsi ed il coraggio, l’elaborazione positiva dell’aggressività e la capacità cooperativa, l’affermazione di sè ed il rispetto degli altri, la franchezza, la lealtà, la vivacità degli interessi, e via dicendo.
Se un bambino, a seconda dell’età, e delle tappe dello sviluppo psichico previsto, risponde positivamente a canoni di normalità e non presenta particolari difficoltà e intoppo da indagare, allora è segno che la madre, o il padre, ma prevalentemente la madre, comunque sia portatrice dei propri vissuti psicologici, è una madre più che adeguata.
La terribile equazione astratta “disturbo o tratto particolare di personalità = fattore di rischio = incapacità genitoriale” non ha senso, non risponde a nessuna verità, specie poi oggi che, ripeto, il bambino vive una forte socializzazione fin dai primissimi mesi di vita e una moltitudine di figure significative di riferimento.
2) Il Tribunale per i Minori in nome della sacra difesa dei diritti dei minori toglie qualsiasi diritto e garanzia agli adulti, ovvero ai genitori.
La funzione inquirente e quella giudicante si somma nella stessa persona, il giudice è al contempo organo giudicante e portatore dell’interesse del minore.
Non è super partes ma assume di fatto le vesti di difensore del minore, con la conseguenza che, in modo aprioristico e preconcetto, la voce del genitore viene disattesa e neppure ascoltata.
Il punto di partenza è fare arrivare una segnalazione che appaia credibile, in cui si sbatte il mostro, la madre, in prima pagina: il Tribunale, con decreto “provvisorio e urgente”, non impugnabile da nessuno, sospende la potestà genitoriale e affida il minore ai servizi sociali.
C’è un meccanismo, a mio parere perverso, per cui è talmente grave il primo provvedimento, la sottrazione del minore alla madre, che successivamente il Tribunale, seppur difronte all’emergere di una realtà diversa o in ogni caso non così allarmante quanto la denuncia iniziale aveva fatto credere, non ammette di essere stato tratto in inganno e si intestardisce a dare la parola e il potere di gestire il caso alle stesse assistenti sociali affidatarie dei bambini e, dopo l’urgenza quasi vitale del primo provvedimento, tutti i tempi si allungano.
I genitori vengono ascoltati per la prima volta dopo mesi.
La loro rabbia e la loro disperazione, i loro gesti a volte inconsulti, il loro contrapporsi al coacervo di figure mai considerate prima, le assistenti sociali, si trasformano in ulteriori relazioni negative a loro danno che affluiscono sul tavolo del giudice. Il giudice a questo punto nominerà un CTU (consulente tecnico d’ufficio) che, tempo 90 giorni più eventuali proroghe, svolgerà una perizia. A quel punto saranno trascorsi per lo meno otto/dieci mesi: più che sufficienti a stravolgere per sempre la vita di un bambino di due anni, e della madre.
In tutto questo tempo la difesa non ha alcun potere, se non di produrre “memorie” che non ho mai visto essere tenute in alcuna considerazione. Mai, mai, che l’aver dimostrato che l’accusa iniziale era fondata ad arte su falsi o su insignificanti stereotipi, mai ho visto un giudice correre velocemente ai ripari, ammettere l’errore, rimediare.
E’ il caso, gravissimo, di una giovanissima trentina che al momento del parto è stata raggiunta immotivatamente da una procedura di adottabilità del figlio: lei che partoriva chiedendo coscientemente un affido condiviso per il bimbo che momentaneamente non era in grado di mantenere, ma che era sua intenzione tenere. Il Tribunale senza interpellarla hanno dato avvio alla procedura di adottabilità. Questo ha voluto dire che il figlio le è stato sottratto alla nascita e non l’ha più visto. Dopo più di un mese si è potuta incontrare con il giudice. Il giudice ha compreso di essersi sbagliato, di aver sottovalutato quella ragazza. Ma invece di rimediare prontamente, in fondo era passato un mese appena, ha preferito mantenere integro l’aplomb del proprio potere e ha sentenziato “va bene, vorrà dire che faremo una CTU sulle tue capacità genitoriali”. In questo modo i mesi da uno sono diventati otto, e la ragazza rivedrà solo allora suo figlio. Addio fase primaria dell’attaccamento ! Addio giustizia per il minore !
Da ultimo :
in Italia si discute tanto di garantismo. Al Tribunale per i Minori i genitori sono privi di qualsiasi diritto. Al punto che gli avvocati saltano come birilli, tanto sono sfiduciati dai loro clienti che non capiscono cosa accade, che non credono assolutamente possibile che non esista il diritto di parola.
Mi meraviglio che l’Ordine degli Avvocati così pronto a battersi per la separazione delle carriere non dica nulla di un istituto dove gli avvocati, per quanto bravi e appassionati, sono zimbello.
3) Il potere delle assistenti sociali, vero braccio operativo del Tribunale dei Minori
A volte addirittura sembra il contrario: che le assistenti siano la mente, e il Tribunale il braccio esecutivo.
Sono loro quelle a cui viene affidato un figlio il giorno dell’allontanamento dal genitore.
Sono loro quelle che decidono quando e come e dove il genitore potrà rivedere il figlio alla loro presenza.
Sono loro, prima del giudice stesso che incontrano il genitore spodestato e gli altri attori della vicenda.
Sono loro che nella loro prima relazione rilevano, con un uso spregiudicato della psicopatologia, gli stati di “disagio psicologico” vissuto dagli attori, quali sono quelli più lievi e quali quelli più importanti, quali quelli gestiti razionalmente e quali no, quali le ossessioni, quali quelli da diagnosticare più approfonditamente e quali da “curare”, quali quelli dannosi per il minore, e, sempre nella prima relazione quali i percorsi per la riabilitazione psicologica genitoriale.
Il giudice riceve, e questi sono gli elementi nuovi in base ai quali dispone gli ulteriori provvedimenti.
E’ evidente a chiunque che diventa fondamentale l’alleanza che si crea fin dalle prime battute tra gli attori della vicenda e gli assistenti sociali. Per alleanza intendo la simpatia, la disponibilità, la collaborazione, la non opposizione anzi la remissione. Le assistenti sociali nelle loro lunghissime relazioni sono veramente abili a coniugare in positivo o in negativo qualsiasi comportamento. Per esempio chiedere indicazioni sull’atteggiamento da tenere con il bambino, a seconda della simpatia o antipatia di cui godi può significare “mostrare consapevolezza e disponibilità all’aiuto e al cambiamento” oppure, viceversa “solitudine…stanchezza…insicurezza genitoriale”.
4) I provvedimenti del Tribunale per i Minori e i “media”
Raramente sulla stampa nazionale, più frequentemente su quella locale, irrompe drammaticamente la notizia di provvedimenti del Tribunale dei Minori.
Notizie che durano un giorno e che al più vedono nei giorni successivi lettere di sensibile sdegno e umana solidarietà.
Notizie che sono gestite con la riservatezza dei nomi per il doppio motivo che c’è una privacy di un minore che va salvaguardata, e c’è uno stigma che colpisce il genitore oggetto del provvedimento di separazione dal minore.
Ma quello che dobbiamo dirci è che gli stessi cronisti esperti giudiziari si muovono con estrema difficoltà di fronte a questi eventi, di cui non sono mai chiari i contorni, salvo nei rarissimi casi di violenze e abusi conclamati. Non sono chiare le fattispecie di reato, le prove, le procedure.
Quanto un cronista giudiziario si muove agevolmente nei riferimenti ben codificati del Tribunale Ordinario, altrettanto è l’incertezza, il dubbio, la sfuggevolezza degli elementi che hanno dettato un provvedimento di separazione di un figlio dai genitori.
Se per un cronista giudiziario è chiaro l’articolo del codice a cui si riferisce un reato, sa che cosa è un rinvio a giudizio, commenta la sentenza di condanna “tre anni, minimo erano due, massimo otto”, commenta le attenuanti concesse o rifiutate, non altrettanto avviene per il Tribunale dei Minori. Dove non ci sono condanne, non ci sono sentenze, ma “provvedimenti”, che però pesano come condanne, che colpiscono la sensibilità delle persone più della galera, che creano dolori laceranti rispetto a ciò che di più caro hai al mondo.
Ed il cronista giudiziario si accorge che questi “provvedimenti” tanto drammatici si riferiscono a comportamenti che di per sé non sono reati, che sono diffusi nella maggior parte degli interni famigliari, ma che improvvisamente vengono classificati come altamente pericolosi, al punto da dover mettere in salvo il minore.
Ed è tanto grande la discrezionalità di queste valutazioni che il cronista giudiziario non si raccapezza, e, dopo la notizia, molla. Anche perché a differenza di qualsiasi altra cronaca di indagini, a parte il “provvedimento” tutto il resto è astrattamente anonimo e motivato da valutazioni psicologiche soggettive prive di riscontri.
Ma non pensate che per un genitore lo sconcerto di fronte ad un provvedimento del Tribunale per i Minori, sia inferiore, che cioè il suo sentire sia lo stesso di un mariuolo preso con le mani nel sacco, e che, se anche l’ha sempre fatta franca, era ben consapevole delle proprie illegalità.
Tra i genitori si sa ci sono quelli più pacati e quelli più isterici, quelli che alzano più spesso la voce, che gridano, che danno scapaccioni, ed anche sonore “bussate”, che spesso “scaricano” la goccia che ha fatto traboccare il (loro) vaso, quelli che assolutamente sono subalterni ai capricci e ai pianti dei figli, quelli più possessivi, più ansiosi, quelli severi e rigorosi oltre misura (qual è la misura?), quelli che “viziano” troppo i loro pargoletti, quelli che rincarano la dose quando l’altro genitore sgrida i figli, quelli che li difendono contrapponendosi al coniuge (ahi ahi è sbagliatissimo, lo sanno tutti, ma avviene), quelli che lo lasciano impossessarsi del lettone “vai a dormire tu sul divano”( ahi, ahi, il triangolo perverso), quelli che usano tranquillamente lo sproloquio, i vaffa, le bestemmie…:
improvvisamente, finiti attraverso mille vie in una “segnalazione” al Tribunale dei Minori, scoprono che quei comportamenti sono oggetto di pagine di valutazioni e che il loro figlio è sotto la potestà del Tribunale, loro monitorati, e da un momento all’altro la forza pubblica può intervenire per “mettere in salvo il figlio” da un genitore più che pericoloso.
Voglio dire che ciò che ritenevate “normale” e in ogni caso appartenente alla diversa soggettività genitoriale, improvvisamente si scontra con la diversa soggettività di un giudice o di un’assistente sociale, che però hanno il potere di sancire quale sarà la sorte del vostro minore.
5) La solitudine dei genitori “espropriati”
Il secondo motivo per cui ho convocato questo incontro è il totale isolamento e la totale solitudine del genitore a cui è stata tolta la potestà sui figli.
Sei stata giudicata madre incapace, pericolosa per tuo figlio: il massimo della condanna sociale e personale. Il silenzio dei giornali, l’anonimato comunque, non è una difesa: è un’ulteriore condanna alla solitudine, all’impossibilità di dire le tue ragioni, di chiedere il perché.
State attenti che il provvedimento viene deciso, ma non viene comunicato, men che meno discusso con il genitore.
Un bambino di due anni e mezzo è stato portato via il 7 maggio, la madre ha incontrato per la prima un’assistente sociale il 28 maggio e ha incontrato per la prima volta il giudice il 22 giugno, e ha potuto rivedere per la prima volta il suo bambino, per un’ora, dalle 16 e 15 alle 17 e 15, l’otto luglio: lei che per i primi due anni e mezzo di vita di suo figlio non l’aveva mai lasciato, nemmeno per un giorno.
La vita di un genitore viene, così, stravolta e negata nella sua identità, da un momento all’altro.
Non ha con chi parlare, lui solo sa, non il perché, ma quanto gli è successo.
Se esterna angoscia, rabbia, dolore, le persone attorno, i conoscenti, i colleghi, ascoltano con compatimento, certo, ma ognuno è portato a pensare “chissà cosa nasconde, chissà cosa ha combinato”. Meglio tacere, mimetizzarsi, sparire, che vivere lo stigma di “madre incapace”, incapace e pericolosa al punto che i giudici hanno dovuto mettere al sicuro i figli.
Tutto questo perché il Tribunale per i Minori esiste ed agisce nella “esclusiva tutela del minore”, il “minore” e basta, non il figlio di una madre e di un padre, eventualmente da aiutare o da accompagnare in una genitorialità ritenuta carente, il “minore” il cui bene è qualcosa di astratto che prescinde dal contesto in cui è nato e cresciuto, il cui bene è un assunto posseduto solo dal giudice e dalle assistenti sociali: i genitori sono un optional da interpellare a tempo debito, da valutare in ub secondo tempo, a cui proporre al più dei non ben definiti “percorsi” in cui saranno monitorati e valutati dalle stesse assistenti sociali che già li hanno giudicati e puniti.
Un genitore spodestato è solo, senza ragione, senza ascolto, e senza parole.
6) Dieci anni dopo
Maria Rosa, così 10 anni fa
il dirigente psicologo del Servizio territoriale “nel complesso la signora appare una madre adeguata…prevalentemente attenta agli aspetti fisici e concreti della relazione coi figli”
la psichiatra chiamata ad una prima CTU “il test di Rorschach esclude la presenza di una struttura psicotica di personalità…è capace di una forte attenzione ai bisogni primari dei bambini, perché lei vi si identifica e proietta i propri bisogni insoddisfatti…”
Nelle conclusioni esprime un giudizio negativo sulla famiglia affidataria e perora un collocamento in un’area neutra, “un istituto come il S.O.S.”, fase intermedia per permettere ai genitori di recuperare un modalità serena….ecc.ecc.
E’ un caso di molti anni fa, in cui una madre fu messa sotto accusa da parte di tutto il clan famigliare del marito, e con il consenso delle assistenti sociali le furono tolti tre figli di cui un neonato che stava allattando.
Lo riporto perché in esso appare quell’equazione tra capacità accuditive di una madre uguale a sintomo di grave disturbo di personalità.
Ovvero la capacità accuditiva, se rilevata e valutata in eccesso, da elemento positivo si trasforma in negativo e di grave pericolo per i minori.
La madre, con i suoi comportamenti prevalenti, darebbe risposta ai propri bisogni affettivi irrisolti, passando di volta in volta dagli accudimenti ai sentimenti di persecuzione, senza alcuna capacità di cogliere i bisogni oggettuali dei figli che stanno crescendo.
Allora, fu pertanto svalutato il giudizio del dirigente psicologo che conosceva bene la situazione famigliare della signora e le conclusioni della psichiatra CTU vennero definite conclusioni “più emotive che lucide”.
Tali conclusioni non soddisfacevano in realtà il sentimento e la valutazione che l’allora Presidente del Tribunale aveva espresso sul caso d’accordo con le Assistenti sociali, quella prima CTU fu rigettata e decisa una seconda CTU, che non doveva assolutamente verificare le capacità e le possibilità della madre ma unicamente il benessere dei bambini presso la famiglia affidataria.
Questa verifica avvenne dopo oltre un anno che i tre bambini colà risiedevano e la famiglia affidataria riceveva dai servizi lauti compensi (risultano ben cinque milioni solo nei primi due mesi), La CTU, una professoressa di chiara fama, si adeguò alle richieste del Tribunale di verificare unicamente la bontà del collocamento e non i motivi per cui erano stati tolti alla madre.
Il caso praticamente terminò lì. Ora sono passati più di otto anni, e quella triplice maternità di una donna che, a detta della prima CTU “il test di Rorschach mette in evidenza una certa ricchezza interiore e la presenza di buone risorse intellettive, un adeguato senso di realtà e capacità di controllo degli impulsi”, è rimasta solo un ricordo tragico e lei, perennemente esautorata, via via travolta ed estraniata.
Ancora, un secondo caso, sempre emblematico dell’abuso che si fa del concetto/categoria di “capacità genitoriale”.
Quasi 10 anni orsono : Teresa
Una donna ha il sospetto che il marito addotti pratiche ambigue, toccamenti di natura morbosa nei confronti del figlioletto di poco più di due anni. Siamo alla fine del 2001.
Si confida, ne parla col parroco, col pediatra, si reca all’ospedale, le viene consigliato di rivolgersi al Servizio di Psicologia per l’infanzia, ha ben sei incontri durante l’anno successivo con la dott.ssa dirigente, la quale, insospettita da strane reazioni del bambino che confermerebbero i sospetti le consiglia di rivolgersi al Tribunale per i Minori. Quella esperta psicoterapeuta, non le dice “signora, lei ha delle fisime, si curi”, no, avvalla i sospetti della madre e la invita ad adire al Tribunale dei Minori. Siamo alla fine del 2002, e qui inizia la sua tragedia, perché, come io dico, il Tribunale dei Minori se lo conosci lo eviti.
In rapida successione il Tribunale dispone l’affido del bambino ai Servizi sociali e colloca la donna e il bambino in una struttura protetta.
La signora solo a questo punto comprende di non avere più potere, sente di essere sotto il giudizio delle assistenti sociali, che iniziano ad inviare relazioni al Tribunale “comportamento schivo, disturbato, non collaborativo, segni di confusione mentale –a volte chiama “capo” il direttore della struttura, a volte lo chiama “giudice”- diffidenza profonda….non coerenza nei pensieri e nelle azioni…relazione madre-bambino poco serena…non educativa”, e via scrivendo in un crescendo di note negative.
Povera Teresa ! non cercava simpatia, e finiva sempre più nel tritacarne.
Io feci notare al Tribunale che erano molto pregiudizievoli quelle relazioni, che la signora non era affatto paranoica ma che ogni tanto chiamava “giudice” il direttore non per sindrome di persecuzione, ma perché il benemerito direttore della struttura lei lo aveva conosciuto per la prima volta proprio ad una udienza del Tribunale dei Minori in qualità di Giudice Onorario a fianco del Presidente Agnoli.
Viene nominata una prima CTU nella persona della dott.ssa Luisa Della Rosa di Milano, invero una luminare che è ben nota agli insegnanti di Trento per i suoi corsi di formazione.
Questa prima CTU termina alla fine 2003, ma complessivamente non soddisfa il Presidente del Tribunale.Il figlio viene tolto alla madre e avviato al Villaggio SOS. La madre viene inviata al centro di salute mentale di Trento. Al termine del 2004 dopo otto colloqui diagnostici il lo psichiatra dott. Luca Re psichiatra certifica che “la signora non ha evidenziato patologie psichiatriche” . Viene nominata una seconda CTU, ancora la dott.ssa Della Rosa che conclude i lavori nella primavera del 2005 e scrive “nel corso degli incontri sono emersi elementi che fanno temere che il bambino possa essere stato oggetto di comportamenti pregiudizievoli nell’area della sessualità ad opera della figura paterna”. Poco importa, il Tribunale rimane convinto che sia la madre ad essere un pericolo per il figlio e alla fine del 2005 da mandato ad uno psichiatra locale per una terza CTU che termina a metà del 2006 con la diagnosi di grave disturbo paranoie di personalità “impedente la crescita psicologica del figlio a cui sa dare accudimento fisico e dolcezza simbiotica ma null’altro”.
Alla fine del 2006, dopo che c’è stato anche un contraddittorio tra lo psichiatra e il sottoscritto, il Tribunale sancisce “l’assenza di attitudini genitoriali nella madre del minore assumendo come verità la diagnosi ultima dello psichiatra. L’elemento decisivo è stato una crisi nella capacità di auto controllo della madre giunta alla trentesima udienza di valutazione psichica, dopo cinque anni di un allucinante percorso che, iniziato su suggerimento di una psicologa del servizio pubblico in nome della difesa del figlio, si è tradotto in un autentico massacro della sua genitorialità. Termino con una frase tratta da una relazione psicologica della dott.ssa Sabina Grigolli dell’APSS “il suo atteggiamento oltre ad apparire sincero non può non far trapelare anche i sentimenti di paura e spavento rispetto ad una situazione che sembra esserle sfuggita di mano e di cui pare non conoscere le regole”.
Siamo nel 2010, il piccolo va per gli 11 anni, nulla è cambiato ed oggi lei dice.” Non auguro a nessuno una storia come la mia, perché questa cosa toglie dignità alla vita”
Giuseppe Raspadori – 20 luglio 2010

Qui sotto i due link inerenti lo stesso tema:

http://italiaeilmondo.com/2019/06/29/affidamento-di-minori-tra-tutela-ed-abusi_-una-conversazione-con-paolo-roat/

http://italiaeilmondo.com/2019/07/04/non-solo-reggio-emilia-di-vincenza-palmieri/

“Europa: accademismo contro storia” (6/6), di Annie Lacroix-Riz

“Europa: accademismo contro storia” (6/6)

Siamo alla sesta ed ultima puntata del saggio di Annie Lacroix_Riz. La sentenza è drammaticamente impietosa sia nei confronti degli storici che dei protagonisti citati ed eletti a “padri dell’Europa”. Un saggio da conservare e rileggere periodicamente. Giusto per comprendere la natura del pulpito da cui partono le filippiche “antipopuliste”_Giuseppe Germinario

Annie Lacroix-Riz è professore emerito di storia contemporanea presso l’Università Paris 7.

Mappa:

– Introduzione

– “Eminenti storici europei” contro il monarchico documentato Philippe de Villiers

– Un fascicolo storico “di parte” di “eminenti storici europei”

  • Le origini fallaci dell’Unione europea
  • Adenauer e la sua gente, dalla vecchia alla “nuova Germania”
  • Dalla Francia “europea” e “resistente” contro Petain al trionfo dei Vichysto-americani?
  • Dimenticando le “prime comunità europee”
  • Jean Monnet “l’americano”: una calunnia?
  • Il tandem Monnet-Schuman e la cosiddetta “bomba” del 9 maggio 1950
  • Robert Schuman diffamato?
  • Walter Hallstein, semplice ” non resistente”?

– Conclusione

Walter Hallstein, semplice “non resistente”?

Per quanto riguarda Walter Hallstein, Philippe de Villiers esprime un sorprendente stupore, data la conoscenza che ha inevitabilmente accumulato sui leader della Germania Ovest durante la sua lunga carriera politica . Ma offre un dossier serio, abbastanza solido da suscitare particolare indignazione ai redattori del 27 marzo, mista a cieca rabbia miste il 17 aprile.

La storiografia inglese e tedesca compresa, dal dopoguerra, la sua frazione della Germania Est, ricca di storici attenti al passato nazista del Reich 1 ha da tempo stabilito che la “nuova Germania” era stata costituita, sotto la tutela dell’AMGOT, da quasi tutte le élite che avevano guidato il Reich sia prima che durante l’era nazista; e che il Vaticano e Washington sono stati collusi nel offrire un eccezionale percorso di riciclaggio a criminali di guerra 2 . La regola del mantenimento dello status quo, anticipata dall’episodio di “Quisling” Darlan ad Algeri, nel novembre-dicembre 1942, e dai negoziati bernesi di Allen Dulles e del suo entourage nazista o nazificato era assoluto in Germania come in tutta la sfera di influenza occidentale 3 . L’abitudine alla non traduzione delle opere, tuttavia, si è moltiplicata dagli anni ’50, il silenzio plumbeo che osserva su di loro la storiografia dominante 4 e la sepoltura delle rare opere francesi sulla questione spiegano di per sé come la popolazione francese sia stata ampiamente tenuta all’oscuro del fenomeno.

Si argomenta che Alfred Wahl ha prodotto, nel 2006, un’eccellente sintesi sulla completa continuità economica, amministrativa, politica e culturale tra la Germania di Hitler e la RFD. Questa opera, la seconda storia del nazismo in Germania Occidentale dal 1945 , fa chiarezza sui “ministri e segretari di Stato Adenauer”, nonostante evidenti prudenze e pudori dei quali Walter Hallstein ha anche beneficiato 5 , è stata oggetto, mi ha ricordato molto recentemente il suo autore, di un assordante silenzio mediatico che ne ha notevolmente ostacolato la diffusione. Dovrebbe comunque essere incluso in qualsiasi bibliografia di base sulla RFD.

Un antico hitleriano, come molti e più di tutti i suoi pari in carica

” Sì, all’epoca di Hitler ,” hanno ammesso nostri “storici europei eminenti,” Walter Hallstein ” aveva aderito alla Federazione nazionalsocialista dei giuristi, senza la quale non sarebbe stato possibile avere un lavoro ” di appartenenza, quindi, adesione quindi eretta a modesta “scheda di pane” (tessera del pane , secondo l’espressione italiana del partito fascista), in merito a una professione anti-repubblicano e nazificata avviata ben prima del 1933, noto per la profondità del suo impegno per il piano – ” e [ it] era un membro di un’altra associazione professionale, Lega dei professori nazionalsocialisti. Ridussero così notevolmente (a due) l’elenco dei raggruppamenti nazisti di cui Hallstein era membro, e censurarono la cronologia della loro fondazione (spesso precedente al 1933) e le adesioni del giurista.

L’elenco di Philippe de Villiers, per altro non esaustivo, proviene dal grande dizionario dello specialista tedesco del III e Reich, Ernst Klee. Disponibile dal 2003 , non tradotto (“chi era chi prima e dopo il 1945”), questo Who’s Who contiene “quasi 4.300 nomi” del pantheon hitleriano, la cui carriera è quasi sempre continuata, persino arricchita “dopo il 1945” 6 : Hallstein appare su una carta che ho menzionato su di lui nel 2016 7 Carcan , nota 4, p. 120. , fondata, secondo l’usanza, su lavori di ricerca supportati da fonti originali: qui Klee fa riferimento a due specialisti delle università dell’era nazista, Notker Hammerstein e Helmuth Heiber.

Hammerstein, nel suo libro sulla Goethe University di Francoforte, che nominò Walter Hallstein non solo “professore ordinario di diritto commerciale, diritto del lavoro e diritto economico nel 1941″, ma anche “doyen” 8 , presenta tre delle organizzazioni hitleriane a cui lui apparteneva:

1 ° ” NS-Luftschutzbund “, ovvero “Unione nazionale socialista di protezione antiaerea”, organizzazione non specificamente legata alla legge ma strettamente nazista e militare;

2 ° “NSV”, acronimo del ” National Socialistische Volkswohlfart “, ovvero “l’unione nazionalsocialista del benessere del popolo”, innegabilmente nazista e poco sofisticato come lo stesso vichysto-collaborazionista Soccorso nazionale 9 . Aveva, sotto lo stesso acronimo e titolo, fondato prima della salita al potere, ” nel 1932 “, e solo per promuovere i nazisti iper-protetti come precisa di seguito: fu ” riconosciuto per ordine di Hitler il 3 maggio 1933 come organizzazione interna del NSDAP “, incaricato di” un’assistenza strettamente riservata ai compagni del popolo di particolare spirito nazional-socialista “;

3 ° ciò che i nostri “eminenti storici europei” chiamano la “Federazione nazionalsocialista dei giuristi”, ovvero ” NS-Rechtswahrerbund “, nuovo nome, “del 1936, la Lega nazionalsocialista Giuristi tedeschi “: cioè il National Socialistischer deutscher Juristen(BNSDJ),” l’organizzazione professionale di NSDAP fondata nel 1928 da Hans Frank ” 10 . Frank, l’avvocato di lunga data nazista e Supreme III e Reich, era tra l’altro governatore generale della Polonia occupata, condannato a morte a Norimberga e giustiziato 10 ottobre 1946 11 . E ‘stato subito prima della guerra innegabile protettore di Hallstein 12 .

Il partito si oppose anche alla nomina di Hallstein alla cattedra di diritto comparato presso l’Università di Francoforte nel 1941 , argomentano i nostri ‘eminenti storici europei’. È curioso, dal momento che alle suddette specialità del professore hanno aggiunto ” il diritto comparato “, secondo il suo archivio pubblicato dalla fondazione molto ufficiale Konrad Adenauer, dedicato alla ” storia della CDU ” 13 . È stato quindi eletto professore e decano, come sopra specificato. I firmatari della “tribuna” hanno fatto affidamento sulla ” ricerca dello storico tedesco Thomas Freiberger “, che afferma, tra l’altro, che Hallstein ” non è mai stato un membro del Partito Nazionalsocialista“. de Villiers ha scoperto nell’Archivio federale tedesca, la tessera No. 310212 di Hallstein, deliberata nel luglio 1934, del “NS-Lehrerbund” uno dei due soli concessi da nostri storici, e ne fornisce copia 14 . Il NSLB non era meno discutibile delle “leghe” naziste precedente “; fondata nel 1929, questa associazione collegata al NSDAP” aveva la sede presso la “casa della formazione [nazionalsocialista] Bayreuth ” 15 .

 

Infatti, ” le [cosmetiche] ricerche dello storico tedesco Thomas Freiberger ” sono limitate sull’argomento ad una comunicazione compiacente del 2010 di meno di 40 pagine, significativamente intitolata ” La rivoluzione pacifica: la percezione del momento di Walter Hallstein “. Esaltando la sua missione di padre dell’Europa, proviene da un’opera ufficiale ed europeista, rigorosamente di seconda mano, che tratta solo del “dopo 1945”, pubblicato da Gruyter 16 come parte della serie ufficiale italotedesca a finanziamento europeo 17 . Freiberger, ” collaboratore scientifico della sezione storica attuale dell’istituto storico dell’Università di Bonn ” , lavora esclusivamente su ” la storia delle relazioni internazionali durante la Guerra Fredda, la storia della NATO negli anni ’50, la storia della politica estera americana e la storia delle idee dell’integrazione europea “. Nel 2010, ha anche contribuito (in 20 pagine) a un libro sulla politica estera americana dagli anni ’50 18e autore di un libro sulla “Crisi di Suez” del 1956, tratto dal suo Thesis 19 : Questo articolo e questo libro sono privi di qualsiasi collegamento con la carriera di Walter Hallstein prima e sotto Hitler. Il riferimento a Freiberger, in assenza di specialisti delle università dell’era nazista, è quindi una frode intellettuale.

Rimane un altra quarta “organizzazione professionale” direttamente connessa alle tre precedenti, “Unione Nazionale Socialista di assistenti tedeschi [Nationalsozialistischer Deutscher Dozentenbund] “, uno dei ” dipartimenti del partito ” con il quale Hallstein certificava come “ tutti i […] di aver lavorato senza problemi “: ha anche affermato il suo attaccamento speciale a questo NSDDB a sostegno della sua candidatura” per [l’Università di] Francoforte “secondo Helmuth Heiber, vero specialista, lui, de” l’Università sotto la svastica “, e seconda fonte di Ernst Klee, citato anche da Villiers 20. Hallstein fu fedele certamente al NSDDB da quando era un membro, così come delle altre tre organizzazioni naziste “come molti avvocati ,” eufemizza la Fondazione Adenauer che elenca queste quattro associazioni naziste nella sua quotazione minimalista sul grande uomo dal curriculum eccezionale prima del maggio del 1945, con il titolo ” Un avvocato con intelletto acuto ” 21 (è stato nominato medico e assistente in 1925 , cinque anni prima di essere eletto professore di diritto privato e sociale a Rostock nel 1930, a 29 anni, il più giovane in Germania 22 ).

 

Questa associazione di assistenti era un ramo della “NS-Lehrerbund”, fondata, lo ricordiamo nel 1929. Era una roccaforte hitleriana che, come confermato dall’esauribile bibliografia tedesca sugli intellettuali nazisti 23 , garantiva che solo i nazisti approvati potevano, e ufficialmente dal 1933, sostenere la loro tesi e quindi essere oggetto di un appuntamento universitario. La qualità nazista del NSDDB continuò ad essere promossa dal regime, come ricordava Klee: “fino al 1935, era aperta solo ai membri del partito ” e fu promossa il 24 luglio 1935 “divisione del NSDAP […]. Per aderire era necessario il sostegno di due esperti nazionalsocialisti. Il NSDDB sedeva con diritto di voto nel Senato Accademico e ha tenuto un diritto di veto sulle procedure di nomina e di abilitazione “delle università 24 .

Nazista e militarista: Hallstein NS-Führungsoffizier

L’entusiasmo nazista e militarista di Walter Hallstein emerse anche nelle comunicazioni più ufficiali, come quella che Rostock University dedicò al suo professore in carica dal 1930 al 1941: Decano aggiunto, Hallstein nel 1935 aveva ” integrato un servizio militare volontario nell’artiglieria “(perché, per preparare la pace europea?). Questo acceso militarismo gli aveva guadagnato la posizione di decano di Rostock già nel 1936, abbandonato, come abbiamo visto, per Francoforte, università più prestigiosa, nel 1941 25 . Prima di essere, secondo la Fondazione Adenauer, ” chiamato al servizio militare, [dove] ha servito nel 1942 come luogotenente nel nord della Francia ” 26 .

È questo “credente” appassionato (in contrapposizione agli scettici, “avversari o indifferenti”, secondo Heiber, che l’Università di Francoforte ha inserito nella lista ristretta (“quindici uomini”) precisamente soggetta, ” all’inizio del 1944 ” , al giudizio di NSDDB – giudice supremo in materia ” come NS-Führungsoffizier con grado di ufficiale ” 27 termine intraducibile in francese.

Il NS-Führungsoffizier (NSFO), recante il Weltanschauung nazista, era ” vocato a rafforzare l’impegno dei soldati a mantenere la rotta ” in una guerra generalizzata nel fronte occidentale, riprendendo a partire dal 1943 i metodi di sterminio fin dall’inizio applicati nei Balcani e sul fronte orientale. E’ stato ” incaricato della leadership specializzata e militare della formazione politica e ideologica nazista nello spirito del nazionalsocialismo “, vale a dire in gran parte orientata verso lo sterminio degli ebrei rossi e ” parassiti del mondo » 28. Si noti che Hallstein ha esercitato il suo talento NSFO in Francia, dove l’esercito americano lo fermò (Cherbourg); arresto che segnò il debutto della sua americanizzazione, in apparenza spettacolare, ma del tutto normale per le elite dei governi Adenauer e Ludwig Erhard (successore cancelliere Adenauer nel 1963 dopo essere stato dal 1949 il Ministro degli affari economici, un altro uomo di fiducia della comunità finanziaria, dal passato nazista simile ai suoi pari 29 . Non sappiamo quindi cosa fece Hallstein in Francia dal 1942 al 1944, ma certamente non insegnò solo la legge nazista.

Si può rimproverare a de Villiers l’ignominia della similitudine tra i criminali nazisti e i “commissari dell’Armata Rossa”, iniziale obiettivo prioritario comunista è noto, dell’impresa tedesca genocida in URSS, deciso prima dell’Operazione Barbarossa 30 . Non può essere accusato di aver tradotto male Klee e le sue fonti accademiche sul nazista Walter Hallstein.

conclusione

Due dei firmatari del primo Forum non di meno sono meno testardi, il 17 aprile nel difendere Hallstein minimizzando la portata della sua adesione a due delle quattro organizzazioni naziste cui aveva certamente appartenuto, imputando a de Villiers  una disonestà complottista sull’argomento (come Monnet e Schuman): ” Quella di Hallstein (sic) membro della Lega nazionalsocialista dei docenti e della Federazione nazionalsocialista degli avvocati (non una ” Federazione dei giuristi nazisti”, come Villiers continua a chiamare erroneamente) non prova nulla, tranne la sua ambizione di continuare la sua carriera accademica. 

L’argomento generale avanzato e la presa in giro del posto dell’aggettivo sono di per sé sconcertanti. In relazione all’inesauribile storiografia tedesca sul nazismo in generale, sulla profondità del nazismo nel mondo accademico in particolare – per non parlare di tutti i tipi di leader della Germania occidentale del dopoguerra, sono pietosi. Osare qualificare, in un secondo “consesso”, come un semplice ” non resistente”

un precoce nazista, espressione tipica del suo ambiente, che sostenne l’espansionismo tedesco fino alla fine di una guerra di sterminio chiamata NSFO nel 1944, sottolinea, da un lato, l’entità della distruzione della storia degli anni ’20 e ’50, in cui gli storici europei sono stati coinvolti direttamente, e la rilevanza dell’accusa contro il loro onore professionale.

Perché vanno ben oltre a ciò che l’ex funzionario di alto rango di Vichy e il defunto Gaullista Couve de Murville li accusava di non essere ” spericolati ” e di non osare ” pubblicare ” ciò che ho trovato “, per non rischiare di ” perdere “le prebende universitarie 31 .

. Confermano la loro responsabilità nel saccheggio della storia scientifica e nell’abdicazione della missione civica che connatura anche la professione dello storico. Cosa rimane qui del significato della sconfitta tedesca del maggio 1945? In breve, a parte la “minaccia sovietica”, non c’è nulla di serio nella storia e soprattutto nessun motivo per condannare “l’ ambizione di continuare la sua carriera accademica ” sotto Hitler? E in che modo il perseguimento di una carriera di polizia sarebbe più riprovevole?

Villiers, insieme alla storia americana delle Memorie di Monnet, descrive un altro aspetto di questo panico pre-elettorale che rimbalza fino al punto che gli accademici rivendicano l’impossibilità di una storia scientifica “ufficiale” dell’Unione Europea. Sì, la missione politica della storia ben intenzionata, incompatibile con l’indipendenza nei confronti del potente indispensabile per l’opera storica, porta i suoi rappresentanti a violare le regole metodologiche che fondano il loro lavoro. Ciò che precede riduce a un semplice volo tattico la litania contro il ” volantinaggio distorto ” e le ” irruzioni ” che minano l’onore dei ricercatori francesi ed europei impegnati negli studi sull’Unione europea “. Questa, siamo certi, ” sovvenziona tutti i tipi di lavoro, compresa la ricerca critica sulla costruzione dell’Europa. Nessuno è mai venuto a dire agli storici cosa cercare o trovare. Quest’ultima frase non è del tutto falsa, l’autocensura più spesso parla all’essenziale. È incompleto perché le condizioni per finanziare questa ricerca e le richieste di carriere, pubblicazioni di successo e visibilità dei media portano a ” raccontare agli storici cosa possono trovare o cercare. 

No, l’Unione europea non ” sovvenziona [tutti] i tipi di lavoro ” e ha bloccato, implicitamente ed esplicitamente (posso testimoniare personalmente), tutte le ” ricerche critiche sulla costruzione dell’Europa”. Altri dettagli possono essere raccontati sui bastoni incastonati nelle ruote di ricercatori indipendenti e sull’incompatibilità tra “ricerca critica” e brillanti carriere accademiche. Tuttavia, è chiaro da questa difesa e illustrazione dell’Unione europea, al fine di incoraggiare il pubblico francese a credere nelle sue virtù e nel suo brillante futuro, che ” i ricercatori francesi ed europei si sono impegnati in [studi] sul Unione europea“finanziata dalle sue istituzioni sino a “minare [il proprio] onore. L’apertura delle fonti, a lungo termine, lo dimostrerà chiaramente come la descrizione dell’attrezzatura americana delle Mémoires de Monnet. A breve termine, tali passi sono tanto più dannosi per il prestigio degli “eminenti storici europei” firmatari specie in questa fase di spossatezza popolare di un’Europa di Konzerne e “trust”, che rischiano di essere inutili . Nel frattempo, la revisione delle fonti dispensa polemiche.

Proponiamo questo articolo per ampliare il tuo campo di riflessione. Ciò non significa necessariamente che siamo d’accordo con la visione sviluppata qui. In ogni caso, la nostra responsabilità si ferma con le osservazioni che riportiamo qui. [Leggi di più]

https://www.les-crises.fr/europe-lacademisme-contre-lhistoire-6-6/

Note

1. Fonte iniziale di Gilbert Badia, Storia della Germania contemporanea , 2 volumi, 1917-1933 e 1933-1962 , Parigi, Edizioni sociali, 1965.
2. Lavoro in lingua inglese, Non purificazione , cap. 9, “Gli americani e lo stato di diritto” contro la pulizia francese
3. Wahl, La seconda storia ; Lacroix-Rice, Non-purificazione ; James Miller, Stati Uniti e Italia 1940-1950, Politics and Diplomacy of Stabilization , Chapel Hill, 1986, ecc.
4. Vedi Supra e Rouquet François, Virgili Fabrice, Il francese, il francese e la purificazione. Dal 1940 ai giorni nostri , edizione di Gallimard, 2018, cap. XVI, p. 427-465.
5. Wahl, La seconda storia , Parigi, Armand Colin, passim 2006 , di cui cap. 3, “Continuità tra manager e servizi statali”, pag. 127-198.
6. Klee Ernst, Das Personenlexikon zum Dritten Reich. La guerra è durata fino al 1945 , Francoforte, Fischer-Taschenbuch-Verlag, 2007.
7. Carcan , nota 4, p. 120.
8. Villiers (o il suo team tecnico) non capì il riferimento di Klee al primo storico, scrivendo “secondo Hammerstein (Goethe)”: designazione, tra parentesi, solita in questo dizionario, un lavoro con una sola parola, in questo caso, Die Johann Wolfgang Goethe-Universität Frankfurt am Main, Von der Stiftungsuniversität zur staatlichen Hochschule. 1914-1950, Alfred Metzner Verlag, Neuwied und Frankfurt am Main, 1989 1 ° volo. 3. Elenco dei lavori, https://de.wikipedia.org/wiki/Notker_HammersteinSottolineato da me, data la reputazione del diritto del lavoro tedesco dal 1933 al 1945; la carta della Fondazione Adenauer ( vedi sotto)) dimentica la “legge sul lavoro”.
9. Il paragone con National Relief appartiene a me.
10. Tre organizzazioni, record di Hallstein, pag. 221, Klee Personenlexikon (riprodotto da Villiers, ho girato , documento 26). Precisione nel corso degli ultimi due organizzazioni, Klee, pag. 728; il “NS-Luftschutzbund” https://www.google.com/search?q=NS-Luftschutzbund&tbm=isch&source=iu&ictx=1&fir=afbsL2T6K_XL1M%253A%252CTc_aMDYukzwz7M%252C_&vet=1&usg=AI4_-kQRnOZGDp-lmAaK7HOkQgskWu5KiA&sa=X&ved= 2ahUKEwilrY6juvXhAhUSnhQKHSqeBl4Q9QEwBnoECAkQBA # imgdii = CcDK_wlXPzf0XM: & imgrc afbsL2T6K_XL1M =: = 1 & veterinario
11. Bibliografia, https://de.wikipedia.org/wiki/Hans_Frank
12. Riferimenti su Hallstein a sostegno di I shot , p. 194-197 non prestano l’accusa di “cospirazione”.
13, 26. https://www.kas.de/web/geschichte-der-cdu/personen/biogramm-detail/-/content/walter-hallstein-v1
14. Ho sparato , p. 198 e documento 27.
15. Klee, Personenlexikon , p. 728.
16. Freiberger, “Der friedliche Revolutionär: Walter Hallsteins Epochenbewusstsein”, in Depkat Volker e Graglia, Piero S., dir. Entscheidung für Europa: Erfahrung, Zeitgeist und politische Herausforderungen am Beginn der europäischen Integrazione[Decisione per l’Europa. Esperienza e sfide politiche all’inizio dell’integrazione europea], Gruyter, Berlino-New York, 2010, p. 205-242, citato in https://de.wikipedia.org/wiki/Walter_Hallstein e https://en.wikipedia.org/wiki/Walter_Hallstein
17. https://www.degruyter.com/view/serial/36339 . Sulla dittatura europeista e le sue pubblicazioni ufficiali, Storia contemporanea, cap. 1 e 3.
18. Freiberger, “Libertà dalla paura: Die Illusion der republicanische americanischen Aussenpolitik” in , Freiberger, Bormann Patrick Michel Judith, tutti e tre hanno la stessa funzione di Bonn, dir =. Angst in den Internationalen Beziehungen, vol. 7 della serie Internationalen Beziehungen. Teoria e Geschichte. Serie PU dell’Università di Bonn, 2010, p. 295-315, presentazione di Freiberger, p. 317.
19. Allianzpolitik in der Suezkrise 1956 , ovviamente senza Walter Hallstein in generale, dal 1925 al 1945 in particolare, PU dell’Università di Bonn, 2013.
20. Heiber, Universität unterm Hakenkreuz . Der Professor im Dritten Reich: Bilder aus der Akademischen Provinz , Saur, München 1991-1994, Teil 1 I shot , p. 197, riferimento omesso qui.
21. “Jurist mit scharfem Verstand”, https://www.kas.de/web/geschichte-der-cdu/personen/biogramm-detail/-/content/walter-hallstein-v1
22. Quest’ultima precisione https://en.wikipedia.org/wiki/Walter_Hallstein
23. Vedi la bibliografia di Klee, Personenlexikon , p. 701-718.
24. Klee, Personenlexikon , p. 727, basato in particolare sul lavoro di Gehrard Aumüller et al. , ed., Die Marburger Medizine Fakultät , Saur, München 2001 (e https://de.wikipedia.org/wiki/Gerhard_Aum%C3%BCller ); altra bibliografia, tra cui Heiber https://de.wikipedia.org/wiki/Nationalsozialistischer_Deutscher_Dozentenbund ,
25. http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:dl-TF9-41TUJ:cpr.uni-rostock.de/resolve/id/cpr_person_00003297+&cd=1&hl=fr&ct=clnk&gl=fr
27. Klee, Personenlexikon , p. 221, citando Heuber, Der Professor im Dritten Reich , p. 360, lui stesso citato da Villiers, ho girato , p. 198-199 (e 10, 290).
28. Al contrario, in particolare, per la missione dei “commissari dell’Armata Rossa, la cui missione era solo politica, l’esercito tornava ai soli ufficiali, https://de.wikipedia.org/wiki/Nationalsozialistischer_F%C3%BChrungsoffizier , nota che evoca solo l’odio antisemita, non quello del comunismo.
29. Bower Tom, Occhio cieco per omicidio. Gran Bretagna, America e Purging della Germania nazista, un impegno tradito , Londra, André Deutsch, 1981, p. 18-19.
30. Sul “decreto del commissario” del 6 giugno 1941 dedicato alla “lotta contro il bolscevismo”, bibliografia, https://de.wikipedia.org/wiki/Kommissarbefehl
31. Couve de Murville, citato da Villiers, ho girato , p. 19.

“Europa: accademismo contro storia” (4/6), di Annie Lacroix-Riz

“Europa: accademismo contro storia” (4/6)

Annie Lacroix-Riz è professore emerito di storia contemporanea presso l’Università Paris 7.

Mappa:

– Introduzione

– “Eminenti storici europei” contro il monarchico documentato Philippe de Villiers

– Un fascicolo storico “di parte” di “eminenti storici europei”

  • Le origini fallaci dell’Unione europea
  • Adenauer e la sua gente, dalla vecchia alla “nuova Germania”
  • Dalla Francia “europea” e “resistente” contro Petain al trionfo dei Vichysto-americani?
  • Dimenticando le “prime comunità europee”
  • Jean Monnet “l’americano”: una calunnia?
  • Il tandem Monnet-Schuman e la cosiddetta “bomba” del 9 maggio 1950
  • Robert Schuman diffamato?
  • Walter Hallstein, semplice ” non resistente”?

– Conclusione

Il tandem Monnet-Schuman e la cosiddetta “bomba” del 9 maggio 1950

Senza transizione, gli “eminenti storici europei” passano, sul loro eroe Monnet, dal 1943 al maggio 1950, accreditandolo per aver ” soffiato [l’ idea ] [della CECA] al ministro Robert Schuman “. Quest’altra leggenda inossidabile ricorda implicitamente che, nel cuore delle Memorie di Monnet, del “segreto assoluto” di un progetto, nascosto anche al Quai d’Orsay – che Schuman dirige dal luglio 1948 al dicembre 1952.

I censori, che sembrano non aver consultato le fonti del Quai d’Orsay stesso, intonano il ritornello della “famosa dichiarazione” di Schuman del 9 maggio 1950, ” precedentemente approvata da Konrad Adenauer, Cancelliere della nuova Repubblica federale di Germania“:” a questo progetto, fondatore dell’Europa dei sei, si sarebbero “miracolosamente aggregati” altri quattro stati “. Due dei quali, non ci viene detto, erano già tra i membri fondatori, nel 1926, del cartello internazionale dell’acciaio, con una forte base franco-tedesca iniziale.

Dai piani wilsoniani al piano Marshall

Il piano americano per una “Europa” centrata sul Reich – solo temporaneamente la Germania occidentale, date le circostanze militari del 1945 – come leader nella “ricostruzione” del continente, aveva occupato la scena internazionale dall’era Wilson; aveva preceduto la prima guerra mondiale, come lo scienziato politico olandese Kees van der Pijl, dopo molti storici, ha ricordato nel 1984 1 . Ma gli “eminenti storici europei” odiano il problema, così ampiamente accettato prima del 1914, di “imperialismo” quando si tratta degli Stati Uniti: si sarebbero limitati al ruolo di benevolo protettore dell’Occidente del continente contro la terribile “minaccia sovietica”, così brillante nel 1950.

Villiers, uomo di destra, ha, come Eric Branca nel 2018, e l’uomo di destra de Gaulle molto prima di loro, ha scoperto gli Stati Uniti ossessionati dalla loro continua sovrapproduzione di beni fin dal 1890. Così anti-sovietico che è come afferma (nulla può contraddire questo punto), il convinto  eurofobo […] ritirato dalla vita politica” (secondo il cappello del mondo ), ha osato trascurare l’impatto della “minaccia sovietica” sul nobile impresa europea. Ha fatto bene. Altre fondamenta avevano in effetti i vecchi piani economici americani, che miravano a integrare l’Europa nella Porta Aperta, e ai quali il lancio del Piano Marshall fornisce un impulso decisivo. Lo sappiamo da molto tempo anche in Francia, dove questa tesi ha ricevuto, a marzo1991 , le garanzie accademiche di un simposio internazionale sul piano Marshall e la ripresa economica dell’Europa . Da allora le sue scoperte scientifiche convergenti sono state accantonate: non è saggio sfidare il mito sacrosanto nei nostri climi “occidentali” di un “aiuto” americano salvifico verso l’Europa occidentale.

Ma la sessione aveva confermato le vecchie dimostrazioni degli storici “revisionisti” 2 nel senso americano, vale a dire aventi “rivisto” la storia ufficiale della guerra fredda: si tratta di storici della sinistra radicale, chiamata Nuova Sinistra, estranea a quello che viene chiamato “revisionismo” in francese, in altre parole quello della negazione delle camere a gas. Americano poi britannico (non radicale) Alan Milward 3 dopo di loro, stabilendo, tra gli altri:

– 1 ° che il Piano Marshall era il frutto di una strategia stabilita da Washington tra il 1942 e il 1945. Gli Stati Uniti avevano quindi costantemente cercato modi per evitare o rinviare la crisi della riconversione, inevitabile e violenta, che aveva seguito la precedente guerra mondiale e per vietare “l’incubo della depressione” degli anni ’30 4 . La ricostruzione generale dell’Europa comporterebbe inevitabilmente un calo delle sue enormi importazioni di origine americana. L’unico modo per contrastarla erano norme commerciali internazionali stabiliti a Bretton Woods a sostegno del continuo il flusso di credito in dollari ininterrotto dal prestito e leasing in Gran Bretagna dal 1941 5 ;

– 2 ° che il Piano Marshall non aveva mai contribuito alla ricostruzione delle forze produttive; i paesi europei non l’avevano aspettato: alcuni ex paesi occupati, tra cui la Francia, avevano ripristinato già nel 1947 il loro livello industriale del 1938 6 ;

– 3 ° che il Piano Marshall rappresentava un passo importante nella lotta alla concorrenza provocata negli scambi bilaterali degli Stati Uniti (esclusi i titoli in valuta forte) tra Europa, Est-Ovest in particolare: apprezzato dal XIX secolo del continente, sempre tacciati da Washington di “autarchia”, è stato condannato a morte dalla ghigliottina del dollaro di Bretton Woods 7 ;

(4) che il Piano Marshall aveva soprattutto permesso alla Germania occidentale di liberarsi ufficialmente dei costi delle “riparazioni” 8 . Le “riparazioni”, pagate su carta sia ai sovietici sia agli altri paesi beneficiari, avrebbero ostacolato l’urgente e prioritaria “ricostruzione” delle aree occidentali della Germania [che interessava così direttamente al capitale americano]. Questa priorità tedesca fu imposta ad altri “paesi Marshall”, come il Dipartimento di Stato li designò dal 1948) 9 come condizione sine qua non di “la ricostruzione dell’Europa”. Infatti, le “riparazioni” avrebbero beneficiato i vincitori militari e / o le vittime europee e di conseguenza ridotto i guadagni attesi di installazione (o trasferimento) degli Stati Uniti in Germania; questa prospettiva, talmente insopportabile alla fine della guerra il generale precedente fu, questa volta, liquidata ancora più rapidamente, e non solo per l’URSS.

L’assenso in realtà dato “alla priorità della ricostruzione” della Germania Ovest – riarmo compreso inteso in senso stretto – condizionò formalmente la concessione del finanziamento a qualsiasi “beneficiario”. Chiaramente notificato a tutti i paesi mutuatari a guerra appena finita, la regola della “cooperazione europea” fu annunciata il 5 giugno 1947 dal Segretario di Stato Marshall in un discorso che chiedeva la creazione di un’Unione Europea. Fu brutalmente enunciata in “sei punti”, il 10 e 11 settembre 1947 dal ricchissimo finanziere e segretario al Commercio William Clayton a sedici paesi dell’Europa occidentale 10 riunitisi a Parigi a partire da luglio. Comportava condizioni, in particolare tedesche, che ne rendeva la realizzazione delicata, sia per il Regno Unito che per i paesi precedentemente occupati, e anche per i paesi neutrali 11 .

“L’orco sovietico”?

I firmatari europei della tribuna del 27 marzo hanno quindi cancellato gli anni 1918-1950 per far iniziare le cose “europee” a partire da “l’idea” attribuita al tandem Monnet-Schuman. L’iniziativa francese, sostenuta da un Adenauer talmente indipendente o autonomo, avrebbe semplicemente ricevuto “l’approvazione degli Stati Uniti, troppo felici di vedere l’Europa occidentale rafforzarsi contro la minaccia sovietica. “Alcuni dei firmatari della” piattaforma “sembrano aver dimenticato che le loro ricerche precedenti 12 sono, anche se i sovietici e comunisti vernacolari vi siano regolarmente accusati del peggio, opposte a questa tesi.

Gli Stati Uniti sono semplicemente interessati alla impresa per “la minaccia sovietica” e benevoli nei confronti di questo lavoro essenzialmente francese? Nessuno dei funzionari occidentali, compresi quelli americani, aveva mai creduto nella minaccia di un paese che, da un lato, non aveva mai mostrato zelo offensivo contro i suoi vicini e, dall’altro, era stato così rovinato dalla guerra tedesca che fu trattata inesorabilmente da Washington in minor, sebbene la vittoria degli Stati Uniti dipendesse dal suo ruolo militare primario 13. Il miliardario Averell Harriman, erede di un enorme impero finanziario, ambasciatore a Mosca dal 1943 al 1946 e istruttore del dopoguerra nella sfera europea di influenza di Washington di molte altre missioni diplomatiche, tra cui quella di straordinario ambasciatore del “Piano Marshall” “, aveva anche creduto di poter annunciare ai suoi, nel febbraio-marzo 1944, che l’Unione Sovietica non avrebbe neppure tratto la minima garanzia territoriale della sua vittoria:” impoverita dalla guerra e in cerca della nostra assistenza economica […] una delle nostre principali leve per guidare un’azione politica compatibile con i nostri principi “, non avrebbe la forza di invadere l’Est dell’Europa. Dovrebbe accontentarsi della promessa post-bellica degli aiuti finanziari degli Stati Uniti, cosa che ci “eviterebbe lo sviluppo di una sfera di influenza dell’Unione Sovietica nell’Europa orientale e nei Balcani ” 14 (si sbagliava solo su questo punto).

La “minaccia” apparve più penosa nel mezzo della “guerra fredda” dichiarata ufficialmente. La vittoria “occidentale” è stata ottenuta per KO dal 1947, con l’indebolimento e isolamento spettacolare dei comunisti dell’Europa occidentale, tra l’Ufficio Informazioni (settembre 1947) e il cosiddetto “colpo di Praga” (febbraio 1948). Nel mese di novembre 1948, H. Freeman Matthews, responsabile dell’ufficio UE del Dipartimento di Stato, allora ambasciatore a Stoccolma, sorridendo come i suoi coetanei sull’ “orco sovietico” brandito quotidianamente15 . Tutti i paesi “occidentali” erano riusciti, attraverso la loro stampa o tutti i mezzi disponibili, a terrorizzare quanto necessario i loro rispettivi cittadini, e cessavano di congratularsi del loro trionfo politico sul licantropo 16 .

Europa americana e permanenza del cartello “europeo”

Era giunto il momento di applicare al Vecchio Continente la “Porta Aperta” lanciata nel 1899 dal Segretario di Stato Hay sulla contesa della Cina da parte dei rivali europei degli americani, i quali la volevano per sè. La formula era stata avanzata sull’Europa da Wilson e dai suoi successori, ma gli americani avevano nella loro area di influenza mezzi di esecuzione più radicali rispetto al 1918. Dopo i segretari di Stato Hull, Byrnes e Marshall, è stata la volta di Dean Acheson a toccare il chiodo, il che non significa, contrariamente a quanto de Villiers scrive: ” tutto è [era] iniziato […] nel 1949“. L’intervento americano permanente fu un segreto di Pulcinella dall’immediato dopoguerra. L’unico annuncio, e non l’attuazione – dalla fine del 1948 solo del fugace “Piano Marshall”, rapidamente arrestato e ufficialmente “militarizzato” con il pretesto della Guerra di Corea, 17 aveva dato una svolta decisiva al metodo della schlague.

Un passo decisivo nella fondazione dell’Unione europea, il 3 aprile 1948, quello dell’Organizzazione europea per la cooperazione economica (OEEC), presto affidato alla presidenza del fantoccio degli americani Spaak, annunciò il prosieguo. L’OECE era stato sottomesso sin dall’inizio, poiché il Quai d’Orsay, direttore degli affari economici e finanziari (DAEF), scriveva alla fine del maggio 1948, il ministro degli Esteri Georges Bidault, ” da una vera tutela americana ” e privato di tutti ” poteri di controllo e iniziativa “. Qualche decennio fa, Gérard Bossuat stesso riconobbe questa realtà che, a leggere i redattori del Quai d’Orsay, era persino peggiore di quanto descritto nel quotidiano L’Humanité 18. Certamente, ha eufemizzato sulla ” trasparenza ” richiesta dai nostri ” mentori [americani] aspri e talvolta odiosi, sempre ingombranti, ma a volte salutari ” [non sempre, quindi?] ” spesso mal supportati da parte di alti funzionari sscavalcati; ma allo stesso tempo descriveva con il ” controllo permanente del buon uso dei prodotti ERP ” ( European Recovery Program , nome americano del piano Marshall, gestito dall’amministrazione della cooperazione economica : ” requisito contrattuale irritante “, ha scritto 19 , per un contratto strettamente unilaterale . Si trattava di stabilire in buon francese, il monitoraggio continuo e quotidiano, sia nella metropoli, e sempre più visibile nel corso degli anni, nell’Impero, in parte controllata dagli approdi del Nord Africa nel novembre del 1942 20 Nulla lo distingueva dalle pratiche prevalenti tra i soggetti sconfitti e l’AMGOT, e lo storico li legittimò solo per scelta ideologico-politica, e come nella tribuna, per una volta, per l’anti-sovietismo.

Il lancio della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio ha conferito alla “tutela americana” un carattere spettacolare, e non solo sul piano economico. La CECA ha dedicato il trionfo ufficiale del Gleichberechtigung economico. Per mentire sul “segreto” a tre, si aggiunge un’altra grande bugia per omissione. La CECA doveva abolire gli ultimi resti delle limitazioni alla produzione industriale tedesca fissati nel 1945 e già sollevati unilateralmente nell’estate del 1947 da parte degli americani, sostenuti dagli inglesi 21 . Adenauer e il suo ministro degli esteri Walter Hallstein avrebbero immediatamente proclamato Urbi e Orbi che il principio di una rigida “eguaglianza di diritti” era antagonista con le restrizioni imposte dalla sconfitta di maggio 1945. E Gleichberechtigung sarebbe non solo economico, ma anche, come nel periodo tra le due guerre, militare 22 .

I nostri “eminenti storici”, che sostengono la tesi del segreto autonomo del trio Monnet-Schuman-Adenauer sulla “bomba” architettata fuori dal Quai d’Orsay, hanno dimenticato (?) di specificare che Washington aveva nella primavera del 1950 – due mesi e mezzo prima di avere il pretesto coreano_ deciso di portare finalmente alla luce il suo vecchio progetto di riarmo tedesco stricto sensu. Il Quai d’Orsay lo sapeva ancora di più perché lui stesso aveva fissato la data del discorso: la cosiddetta “bomba” avrebbe permesso a Schuman di schivare nell’immediato futuro un palcoscenico politicamente delicato, data la vivacità, nella sua paese, del ricordo dell’Occupazione. Doveva recarsi a Londra il 10 maggio alla conferenza atlantica in cui gli americani, gentilmente seguiti dai loro “alleati” britannici (che non erano entusiasti di entrare in questa Unione Europea), avrebbero richiesto un accordo ufficiale francese alla ricostituzione in senso stretto della Wehrmacht 23 , o, per usare le parole di marzo 1949 di Bonnet, l’uso di ” potenziale militare Rappresentato [sono] in Germania dalle molte generazioni ben addestrate contro gli ” eserciti russi ” 24 . Un’altra sfaccettatura della cosiddetta “iniziativa rivoluzionaria” di Schuman, “pacifica” in aggiunta, è una favola tratta dalle 25 menzogne ​​di Monnet o Acheson .

Questa potente impronta americana non ha impedito al progetto di conservare molte delle caratteristiche originali del cartello “europeo” 26 . Il quale presenterebbe agli Stati Uniti seri svantaggi competitivi e ricorderebbe loro troppo quel cartello dell’acciaio prebellico di cui non erano i guardiani, una posizione occupata dall’industria siderurgica tedesca. L’entusiasmo del professore e giornalista olandese Jitta, espresso nel febbraio 1951, in un banchetto di personalità economiche e politiche di alto rango, spazza via il doppio mito della “prima pietra miliare della riconciliazione franco-tedesca” e dei legami tra “la minaccia” della Unione Sovietica “e la CECA. L’operazione in corso, dichiarò Jitta, richiama felicemente i “cartelli [di] prima della guerra … contro i quali si possono certamente avere obiezioni, ma che hanno la loro utilità “(le” obiezioni ” non avevano che una sola motivazione: la parola era dispiaciuta così sovranamente a Washington, con il suo profumo di rivalità commerciale, che Monnet e Schuman ripetevano da tutte le parti, dal 9 maggio 1950, che la CECA era tutt’altro che un cartello “autarchico”. Lo stesso Piano Schuman ha il carattere di un un cartello internazionale basato sulla protezione; l’Alta Autorità che esso stesso prevede si occuperà della difesa di determinati interessi industriali piuttosto che degli interessi della collettività europea. ” 27 Questo aspetto, molto tedesco, della CECA, è stato trascurato sia da de Villiers che dai suoi censori.

Proponiamo questo articolo per ampliare il tuo campo di riflessione. Ciò non significa necessariamente che siamo d’accordo con la visione sviluppata qui. In ogni caso, la nostra responsabilità si ferma con le osservazioni che riportiamo qui. [Leggi di più]

Note

1. Piani “europei” e progetto “classe dirigente atlantica”, sviluppati tra l’inizio dell’era imperialista e l’era wilsoniana, descritti dallo scienziato politico olandese Kees Van der Pijl, The Making of a Atlantic Ruling Class , Londra, verso, 2012 (1 ° ed., 1984), cap. 2 e 3.
2. Nel senso americano della parola, vale a dire avere “rivisto” la storia ufficiale della Guerra Fredda: sono storici della sinistra radicale, chiamata Nuova Sinistra, estranei a ciò che chiama “revisionismo” in francese, in altre parole la negazione delle camere a gas.
3. Alan S. Milward, The Reconstruction of Western Europe 1945-1951, Londra, 1984: il suo cap. Annulla brillantemente le spiegazioni tradizionali della cosiddetta “crisi del 1947”, che non era una crisi di produzione, ma esclusivamente una crisi dei pagamenti esterni, in dollari, una regola imposta a tutti nel campo del commercio internazionale, contro il vecchio bilateralismo, p. 1-55.
4. Sui dibattiti del Congresso su questo argomento, Williams, The Tragedy .
5. Williams, Tragedia , cap. 6, “L’incubo della depressione e la visione dell’onnipotenza”, p. 202-276, e G. e G. e J. Kolko, op. cit.
6. René Girault e Maurice Levy-Leboyer, dir., Il piano Marshall e la ripresa economica dell’Europa , Parigi, Comitato per la storia economica e finanziaria della Francia e la commissione per la storia industriale, 1991, passim .
7. Ibid. , tra cui Lacroix-Riz, “Piano Marshall e Commercio Est-Ovest: Continuità e Rotture (caso francese e prospettiva comparata) 1945-1952”, p. 651-683 (e la sua bibliografia); “Riflessione su un lavoro recente” (“Danni o benefici del bilateralismo senza dollari”, discussione dell’argomento di Bossuat sul bilateralismo obsoleto o “sclerosante”, in opposizione al moderno sovrano del dollaro); G. e J. Kolko, I limiti del potere
8. Ibid. , Werner Abelshauser, “Il piano Marshall e la prima fase della ricostruzione della Germania occidentale”, p. 415-447. Pioniere del vero motivo del veto americano contro le riparazioni, la politica americana di Bruce Kuklick e la divisione della Germania. Lo scontro con la Russia sulle riparazioni , Itaca, 1972.
9. Relazioni estere degli Stati Uniti , passim ; L’ambasciatore Henri Bonnet ha usato il termine “paga ERP”.
10. La Germania ufficialmente esclusa, ma rappresentata dai suoi leader americani, e oggetto centrale della suddetta conferenza, vedi n. ss.
11. Caso francese, Lacroix-Rice, Marianne e Carcan , cap. 5: citazione di Clayton; tel. Bidault a Bonnet e Massigli, Parigi, 12 settembre 1947, MAE, A.22.9. 2 C II, VCCD, p. 101-102, e bibliografia sulla prima ricostruzione della Wehrmacht, citata sotto ; Caso inglese, Carcan, con la bibliografia “revisionista” sul definitivo indebolimento britannico, di cui, in francese, Farnetti Richard, L’economia britannica dal 1873 ad oggi, Parigi, Armand Colin, 1993; Caso svedese e scandinavo, Gunnar Adler-Karlsson, Western Economic Warfare 1947-1949. Case Study in Foreign Economic Policy , Stoccolma, 1968; Lacroix-Riz,L’economia svedese tra Oriente e Occidente 1944-1949: neutralità ed embargo, dalla guerra al Patto atlantico , Parigi, L’Harmattan, 1991; “Scandinavia e Europa del dopoguerra: progetti e posizioni della guerra nel 1947”, Attidel colloquio Piani di guerra per l’Europa del dopoguerra 1940-1947 , Bruylant, Bruxelles, 1995, p. 527-562.
12. Gérard Bossuat, l’Europa occidentale all’epoca americana. Piano Marshall e unità europea 1945-1952 , Complexe, Bruxelles, 1992, e “Riflessione su un lavoro recente (1992)”, 2 articoli, Cahiers d’histoire del Marxist Research Institute , 1994, http: / /www.historiographie.info/bossuat.pdf
13. Molti esempi, Geoffrey Roberts, The Wars of Stalin , Paris, Delga, 2014; Lacroix-Riz, “Stati Uniti e Vaticano nelle relazioni di pace della seconda guerra mondiale”, in Marie-Claude L’Huillier, Anne Jollet, reg., Guerra e pace , Parigi, L’Harmattan, 2015, p . 185-206 ed élite .
14. Tel. 861.01 / 2320 di Harriman, Mosca, 13 marzo 1944, FRUS 1944 , IV, Europa , p. 951.
15. Lettera n. 1068, dall’ambasciatore francese Dampierre a MAE Schuman, Stoccolma, 23 novembre 1948, European Generalities, 43, MAE.
16. Torta alla panna della “minaccia sovietica”, Lacroix-Riz, scelta di Marianne: relazioni franco-americane dal 1944 al 1948 , Parigi, edizioni sociali, 1986, ristampa, Delga, 2020; “1947-1948. Dalla Cominform al “colpo di stato di Praga”, l’Occidente aveva paura dei sovietici e del comunismo? “, Storici e geografi , n ° 324, agosto-settembre 1989, p. 219-243. Carcan , cap. 5 (e la sua bibliografia).
17. Sulla trasformazione formale della ECA o ERP in MSA ( Mutual Security Agency ) ancora più restrittiva, “Piano Marshall e commercio est-ovest”, “2. Il miracolo coreano: forza e limiti di Potere americano (luglio 1950-1952) “.
18. Citazione DAEF per Bidault, 28 maggio 1948, MAE, A.22.9. 2 C IV, consultato negli anni ’70, prima della classificazione finale, degli archivi del Ministero degli Affari Esteri (MAE) e di tutte le fonti citate nel mio lavoro.
19. Bossuat, l’Europa occidentale all’epoca americana , “La sovranità degli stati europei era in discussione? (Punto interrogativo puramente diplomatico), p. 112 sq . “Il caso della Francia”, comma di “Intervento modulato negli affari europei”, p. 180 sq ., E passim
20. Economia e navali basi, Lacroix-Riz, protettorati del Nord Africa tra la Francia e l’atterraggio Washington nel 1942-1956 l’indipendenza , Paris, L’Harmattan, 1988, passim.
21. La scelta di Marianne , cap. 4, “La ricostruzione prioritaria della Germania: la Francia è di fronte al fatto compiuto (luglio 1947)”, p. 133-136 dell’edizione 1985.
22. Lacroix-Riz, “Parigi e Washington all’inizio del Piano Schuman,” comunicazione al simposio Aachen maggio 1986, per gli inizi del Piano Schuman 1950-1951 , Die Anfänge Schuman-Planes 1950-1951 , ed. Klaus SCHWABE, Nomos Verlagsgesellschaft, Baden-Baden, 1988, p. 241-268.
23. Dettaglio, Lacroix-Riz, “Verso il Piano Schuman: le tappe decisive nella accettazione francesi del riarmo tedesco (1947-1950),” guerre mondiali e conflitti contemporanei“la priorità di ricostruzione I. riarmo”, n ° 155 Luglio 1989, p. 25-41; “II. Parigi e il progetto di riarmo tedesco dello Stato tedesco “, n. 156, ottobre 1989, p. 3-87, e “La Francia di fronte alla minaccia militare tedesca all’inizio dell’era atlantica: una temuta alleanza militare basata sul riarmo tedesco (1947-1950)”, Francia , vol. 16, numero 3, maggio 1990, p. 49-71); “Il contributo di” Guerre di Stalin “Geoffrey Roberts nella storia dell’URSS: risultati e dibattiti”, prefazione a Roberts, guerre di Stalin ., Paris, Delga, 2014, 34 p, P. XII-XXXIV.
24. Tel. Bonnet No. 1212, Washington, 19 marzo 1949, Europa Generale 1944-1960 (Europa), 26 anni, MAE.
25. Gillingham, carbone , p. 149, per confrontare le fonti del n. 86.
26. Carcan , cap. 6, p. 113-122, sull’aspetto americano del progetto, e 122 sq. sul cartello “europeo-tedesco” “.
27. Tel. 361 di Garnier, 23 febbraio 1951, Z Europa Generale 1944-1960, 112, Schuman Plan, MAE. Argumentario “anti-autarchico”, Carcan e tutta l’ arte. cit. sul piano Schuman.
https://www.les-crises.fr/europe-lacademisme-contre-lhistoire-4-6/

“Europa: accademismo contro storia” (3/6), di Annie Lacroix-Riz

Prosegue l’impegno di Annie Lacroix-Riz nello svelare la natura dei rapporti tra europeisti nostrani e vincitori americani. https://www.les-crises.fr/europe-lacademisme-contre-lhistoire-3-6/

“Europa: accademismo contro storia” (3/6)

– Introduzione

– “Eminenti storici europei” contro il monarchico documentato Philippe de Villiers

– Un fascicolo storico “di parte” di “eminenti storici europei”

 

  • Le origini fallaci dell’Unione europea
  • Adenauer e la sua gente, dalla vecchia alla “nuova Germania”
  • Dalla Francia “europea” e “resistente” contro Petain al trionfo dei Vichysto-americani?
  • Dimenticando le “prime comunità europee”
  • Jean Monnet “l’americano”: una calunnia?
  • Il tandem Monnet-Schuman e la cosiddetta “bomba” del 9 maggio 1950
  • Robert Schuman diffamato?
  • Walter Hallstein, semplice ” non resistente”?

– Conclusione

Jean Monnet “l’americano”: una calunnia?

Jean Monnet è stato il personaggio più severamente e ampiamente messo in discussione da Philippe de Villiers, e quindi il più ardentemente difeso dagli “eminenti storici europei: essi trattano, in tre paragrafi trastullanti una cronologia molto approssimativa, e il secondo è curiosamente intitolato (intertitolo, forse, del diario di ricezione?) “Monnet e denaro”.

Una gioventù molto anglo-americana

Tacciono sulla lunga carriera finanziaria britannica e americana di questo figlio di un produttore di cognac, iniziata in modo spettacolare prima del 1914 e continuata a Londra anche durante la prima guerra mondiale. Questa descrizione, tuttavia, è stata ampiamente ispirata da de Villiers alla biografia di uno dei firmatari della tribuna, Eric Roussel che una volta descriveva la reputazione di “imboscato” allora diffusa tra i leader francesi (incluso Clemenceau) riguardo al giovane Monnet 1 .

I censori osservano lo stesso mutismo sul periodo tra le due guerre di Monnet, risolutamente dedito alla finanza, più che mai anglo-americano o piuttosto sempre più americano: la ricostruzione di questo curriculum è stato però in gran parte ripresa da Eric Roussel e da due dei suoi compagni di penna, Gérard Bossuat e Philippe Mioche 2 .

Un Monnet, strumento di Washington in guerra con de Gaulle

Questi ultimi, come tutti i loro simili, hanno preferito praticare l’idolatria di un Jean Monnet la cui “vicinanza agli americani” giocava un ruolo decisivo nell’alleato della “vittoria”. Questa pia fantasia è stata ispirata dalle molto “europee ” Memorie ” di Monnet, menzognere su tutte le questioni storiche affrontate 3 .Caratteristica che chiarisce le condizioni non scientifiche della loro produzione, nel capitolo 2 di Villiers, “Dentro il mito” .

No, “l’ esperienza [di Jean Monnet non ha comunque contribuito ] al successo del Programma della Vittoria, il programma economico Rooseveltiano della vittoria. Monnet era solo uno degli europei molto accondiscendenti, accolti o mantenuti a Washington durante la guerra, che erano considerati solo come strumenti essenziali per i piani di insediamento americani in Europa, non come partner; nessuno di loro partecipava come decisore nella progettazione e realizzazione di questi grandi progetti. Ciò è attestato in particolare dagli archivi degli Stati Uniti pubblicati, le “relazioni estere degli Stati Uniti “, pur così incompleti e ricchi di “documenti inediti” che siano 4 .

Si gioca con le parole affermando che Monnet ” non ha mai lavorato nell’ufficio della segreteria di Roosevelt, comunque. Poiché non fu inviato ad Algeri il 23 febbraio 1943, ” se non solo dopo consultazioni con la Casa Bianca [secondo la nostra comune conoscenza occupata da Roosevelt] e ampie conversazioni con i Dipartimenti di Guerra e Stato “. Monnet, ” rappresentante dell’ufficio delle munizioni presieduto da Harry Hopkins ‘ha lasciato Washington per Algeri per la missione formale di” informare regolarmente delle sue impressioni il Dipartimento di Stato “, n particolareuno dei suoi tutori diretti, Robert Murphy, un collaboratore di primo piano , forte germanofilo secondo l’usanza, di Roosevelt 5. Doveva infatti imporre Giraud e cacciare de Gaulle, troppo irrequieto per le ambizioni illimitate degli Stati Uniti: era l’obiettivo ossessivo di Washington, che avrebbe anche garantito un dolce dopoguerra agli uomini di Vichy (per quanto, tuttavia, de Gaulle sarebbe stato molto comprensivo, sebbene avessero passato il loro tempo a trattarlo, fino alla Liberazione, come un burattino “rosso”).

Roosevelt e i suoi rappresentanti a Vichy, ad Algeri e altrove andarono molto d’accordo con i pilastri di Vichy, che la missione anti-gollista di Monnet, affiancata da Robert Murphy, non mancò di rassicurare. Da un lato, aveva dimostrato le eccellenti relazioni degli americani, fino alla Liberazione (e dopo) con Pétain e la sua famiglia, e, d’altra parte, il loro ricorso successivo, dal 1941, ad una serie di eminenze petainiste non precisamente “democratiche”, nella prospettiva dei cambiamenti francesi necessari dopo la guerra.

Fu prima Weygand, già presentato, poi Giraud, “scappato dalla fortezza di Königstein” a metà aprile 1942, con la complicità di alcuni tedeschi già sensibili agli imperativi categorici della Pax Americana . Ma gli americani preferirono nell’autunno del 1942, quando sbarcarono in Nord Africa, un’altra “polena”, candidato sognato, vista la debolezza politica che gli è valso l’odio della maggioranza del popolo francese, Darlan: marmaglia, Churchill ha tuonato ” voltagabbana per avidità di potere e di posti, [dà] non solo alla Francia ma a tutta l’Europa l’impressione che siamo pronti a fare un accordo con i locali Quislings” 6 . Churchill era particolarmente indignato dell’anglofobia dichiarata del favorito degli americani e della sottomissione perinde ac cadaver alle loro esigenze, tra cui la trasformazione imminente Dakar US Naval Air Station. Dopo che Darlan fu scartato il 24 dicembre 1942, Washington optò di nuovo per Giraud, non meno codardo dei due precedenti. Democratici contro il dittatore de Gaulle?

No, tutti disposti, come tutti gli apparati di Vichy, ad adattarsi senza mormorare al programma americano del dopoguerra, lo stesso del 1918, il che implica in particolare la rinuncia all’impero coloniale e l’accettazione della priorità della “ricostruzione tedesca”. Un ufficiale dell’OSS poi trasferito alla CIA, William Langer (e un diavolo anti-sovietico), lo aveva riconosciuto 7 prima che gli archivi gli permettessero di andare oltre. Jean Monnet non si è “mobilitato volontariamente” con de Gaulle, ma è stato costretto a unirsi al generale a parole, ma lo odiava cordialmente come i suoi leader americani.

Perché il generale, bestia nera di Washington, aveva l’enorme sostegno popolare che mancava al Giraud Vichysta: era questo supporto che lo assicurava, subito dopo, il 9 giugno 1943, a scrivere la lettera di dimissioni. Abituato da molto tempo a dissimulare, per il francese, il suo vassallaggio americano, Monnet aveva comunque conservato un grande senso politico. Fu uno di quelli che riconobbero, il 9 giugno, che la partita era compromessa: probabilmente, ha commentato, poteva strappare de Gaulle “nelle settimane a venire senza provocare emozioni”, ma le sue dimissioni “premature” farebbero peggiorare le cose. “Giraud non sarebbe stato in grado di rimanere al potere per più di due o tre mesi, dopo di che l’opinione pubblica francese avrebbe chiesto il ritorno del suo rivale. Tuttavia, “preparò”, come richiesto, la sostituzione di De Gaulle da parte di Catroux,8 .con un trio presunto gaullista« Catroux, Philip et Massigli » messo a punto dal Generale Georges e da Murphy, ma egualmente naufragato. Dovette quindi accettare l’inevitabile prima di Roosevelt, che ha resistito come l’inferno fino al riconoscimento ufficiale del mese di ottobre 1944. Ma i delegati stessi del presidente degli Stati Uniti ad Algeri lo consigliarono caldamente dall’estate del 1944, Murphy incluso, per accogliere l’inevitabile vittoria di De Gaulle 9 .

Nel suo libro The Abyss 1939-1945 , pubblicato nel 1982, lo specialista in relazioni internazionali contemporanee Duroselle ha descritto se non i dettagli delle interdizioni da Washington, almeno l’ostilità nei confronti di un de Gaulle restìo  all’AMGOT 10 . Nessuno allora sospettò lo storico di Americanophobia, e con buone ragioni. Gli archivi americani, tedeschi e francesi dimostrano che Villiers non ha esagerato con gli “ordini” americani, non solo intimati ai politici francesi, ma riflettuti sulla sfera accademica che era intimamente legata a loro. La sua dimostrazione, nel capitolo 2 intitolato “Dietro le quinte del mito”, cronologia e documenti di supporto , 11 rivela che il ruolo di organizzatore accademico delle Memorie di Monnet fu devoluto a Duroselle che assunse senza vacillare: ne fa fede infatti la corrispondenza (1960-1966) tra Jean Monnet e i suoi guardiani americani. Io stesso ho potuto vedere nel 1982 che lo storico prestigioso non ha nascosto la sua lealtà a Washington. Come la mia giuria mi ha invitato nel novembre del 1981, a sostenere la mia tesi, avevo richiesto, per telefono,a  Duroselle, allora direttore delle edizioni della Sorbona, di pubblicarla, secondo la tradizione. Intitolato ” CGT e lavoratori” rivendicazioni allo Stato, dalla Liberazione agli inizi del piano Marshall (settembre 1944-dicembre 1947) – Due strategie di ricostruzione Ha descritto l’estrema dipendenza della Francia dagli Stati Uniti dopo la Liberazione. Duroselle lo descriveva come “politico” o “comunista” e “anti-americano”, e lo intendeva in termini violenti: gridava alla fine della riga (un ascoltatore involontario lo realizzò a distanza) che, sino a quando avesse sostenuto questa posizione, questa tesi ” non sarebbe mai stata pubblicata da Editions de la Sorbonne “. Jean Bouvier, il mio direttore di ricerca, al quale ho, stupito, raccontato la mia disavventura, ha commentato: ” Non mi sorprende, è il più americano degli storici francesi ” 12 .

Il censore del 1982 non era meno obbligato a rispettare certe regole metodologiche, imperative per uno storico della sua generazione, regole che le successive generazioni di europeisti spazzarono via.

“Denaro d’oltremare”, una vecchia storia

Terzo aspetto, e non ultimo per il suo legame diretto con la questione degli “storici d’Europa” dalla nascita della storia ufficiale a cui sono dedicati in tutto o in parte il loro lavoro, “i soldi dall’altra parte dell’Atlantico “. I nostri “eminenti storici europei” giocano ancora a parole, suggerendo che ” il Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa (CAEUE), gruppo di pressione Monnet … creato nel 1955 (e non nel 1948!)Sarebbe stato il primo gruppo americano a venire in aiuto finanziario agli “europei”. Gli archivi americani esplorati da Philippe de Villiers confermano solo quelli del Quai d’Orsay, aperti a lungo. “Convinto Europhobe” non ha mentito sui legami iniziali e duraturi, non solo di Monnet, ma anche del ministro degli esteri Schuman e di tutti gli zelanti “europei”, dalla sinistra anticomunista all’estrema destra , con ” la Ford Foundation e il Comitato americano per l’Europa Unita [ACUE], falso naso della CIA “. Tuttavia, l’ACUE, fondata ufficialmente nel marzo 1949, fu ” organizzata dall’inizio dell’estate del 1948 ” 13 e non ” nel 1955 “, data di nascita ufficiale di uno dei suoi tanti babbei.

Di due cose una: o Villiers dice il vero, e non vediamo come le sue osservazioni sarebbero condannabili; o è falso e i censori non osano scrivere: ” Non c’è nulla di nuovo, perché sono passati anni da quando gli storici lo sanno e lo raccontano ai loro studenti. Tuttavia, non ricordo l’intensa comunicazione pubblica dei miei colleghi sulla questione. Solo “anni”? Le fonti declassificate a partire dagli anni 1970-1980 descrivono la corruzione politico-sindacale su scala europea  fissato pubblicamente al congresso della AFL nel novembre 1944 14 .

A guerra è appena finita, fu affidato al delegato ufficiale in Europa del comitato per il libero scambio (FTUC) della Federazione americana del lavoro(AFL), Irving Brown, secondo nel pilastro FTUC Jay Lovestone: leader sindacale ufficiale, al più tardi il suo capo servizio di intelligence dalla seconda guerra mondiale, è stato incaricato dal suo sindacato e dai veri decisori e finanziatori del’impresa, il Dipartimento di Stato e i suoi servizi (OSS e altri servizi che hanno preceduto la CIA, poi la CIA), di venire a capo, sotto la copertura di un’azione sindacale “democratica” della radicalizzazione che aveva provocato la crisi, la guerra e l’occupazione tedesca nel movimento sindacale europeo. Per rompere il sindacalismo combattivo o “comunista” e bloccare il progetto della World Trade Union Federation, compresi i sindacati sovietici, Irving Brown ha inondato il sindacalismo anti-comunista dell’Europa occidentale con denaro – per non parlare dell’Europa orientale dove agisce principalmente attraverso i sindacati della Germania occidentale. L’intero argomento fu trattato negli anni 1980-1990 in inglese, e lo specialista britannico del sindacato americano “Cold War” Anthony Carew, dedicò ad esso una sintesi essenziale dal 198715 Non aveva ancora diritto di cittadinanza il Francia 16 .

Si sapeva anche che il Piano Marshall aveva codificato e generalizzato questi fondi di corruzione ai danni dei comunisti e delle loro cosiddette organizzazioni “satellite”. Questi fondi strutturali, finanziati interamente dai mutuatari, erano forniti dai “crediti del controvalore” 5, quindi il 10% dei prestiti complessivi del Marshall, come “spese amministrative” degli americani, che avevano il controllo completo su di essi. Li hanno annidati sotto la voce “pubblicità” a favore del piano di salvataggio imposto a ciascun “paese Marshall” dagli accordi bilaterali firmati. Dal 1950, senza pregiudizio di appartenenti ad altre categorie, questi fondi sono stati ufficialmente assegnati allo “aumento” di produttività che “dovrebbe derivare dalla concessione di crediti americani 17 . Carew ha appena soppesato,spaventosa , questa corruzione, il risultato di una stretta collaborazione tra il FTUC e la CIA in un nuovo libro. Stima, per molti centri europei, il tasso del dollaro, a partire dal 1945, delle divisioni sindacali e il ritiro della Federazione mondiale dei sindacati – Terzo mondo incluso spingendo lo studio fino alla fine degli anni ’60 18 . Si può sperare che troverà quella traduzione della quale il suo primo lavoro non ha ancora beneficiato.

I pagamenti a varie categorie di filoamericani iniziarono durante la guerra.  Roosevelt aveva inviato nel novembre del 1942 Allen Dulles come capo della OSS per l’Europa, con la Germania al cuore della missione, distribuito alla “resistenza” di destra e di sinistra per il solo criterio di anticomunismo e anti-gollismo: spesso prima dei francesi, 19 storici inglesi lo hanno da tempo affermato. Tra questi, Frances Saunders che Villiers non menziona, e che ha dimostrato più chiaramente dei suoi pari, che la “guerra fredda” culturale – e politico è stato riccamente finanziata da Washington. E che questi fondi erano passati attraverso il canale della CIA, poco dopo la sua nascita nell’estate del 1947, direttamente o sotto copertura di associazioni falsamente private, compresa la Ford Foundation. Perché era buono, tra gli altri come Farfield, Rockefeller, Kaplan, ecc, un “falso naso CIA” tanto quanto “il Comitato americano Europa Unita” , il tandem di fondamentalisti cattolici William Donovan, capo dell’OSS quindi eminenza grigia della CIA che aveva forgiato 20 , e il protestante Allen Dulles 21 .

Villiers non ha omesso, tuttavia, un altro riferimento, innegabile, sui servizi segreti statunitensi e britannici, Richard Aldrich. Il lavoro, formale, l’ultima parte di un libro, dopo un precedente articolo specificamente dedicato alla ACUE ” OSS, CIA e l’unità europea: il Comitato americano United Europe, 1948-1960 ” 22  definisce Schuman e Monnet tra i più spettacolari collaboratori degli Stati Uniti. La concorrenza tra i delegati estesa dalla sinistra alle sfumature della destra era certamente viva; in Francia e altrove, tutti i “padri dell’Europa” occupano un posto di rilievo nel dispositivo, Adenauer, Spaak, Blum, Gasperi, Churchill, per nominare solo le stelle del “Movimento europeo”, tutti e cinque i presidenti onorari del Consiglio d’Europa. Aldrich non aveva che da appoggiarsi alla tesi sugli inizi del “Movimento europeo” di Francois-Xavier Rebattet, figlio di Giorgio, segretario generale di tale movimento, sostenuta a Oxford nel 1962, ma disponibile al pubblico solo nei primi anni 1990.

Aldrich appare favorevole o, nel peggiore dei casi, non ostili, verso l’impresa americana o euro-americana tanto quanto Rebattet (e i nostri “storici europei eminenti”), dichiarando compatibile con gli interessi reciproci. Ma su questa convergenza postulata fra ‘europei e gli americani che lavorano per ACUE decretato sinceramente “federalisti” e pro- “UN”, non ha alcuna fonte 23 . Quando si riferisce agli archivi, conferma l’articolo spietato che si concentra su Schuman e Spaak, del giornalista britannico Ambrose Evans-Pritchard nel Daily Telegraphdel 19 settembre 2000, ” Euro-federalisti Finanziamenti dai capi di spionaggio degli Stati Uniti ‘”i leader del Movimento europeo [, come] il visionario Robert Schuman e l’ex primo ministro belga Paul-Henri Spaak [,] sono stati tutti trattati dai loro sostenitori degli Stati Uniti come stipendiati. Il ruolo degli Stati Uniti era gestito come un’operazione clandestina [secondo il consueto standard di “operazioni” della CIA]. I fondi dell’ACUE provenivano dalle fondazioni Ford e Rockefeller, nonché da circoli economici strettamente legati al governo degli Stati Uniti. ” 24 Aldrich, tanto ” occidentale “che afferma, non ha trovato traduzione francese?

I nostri “eminenti storici europei” giustificano tutto in materia di “denaro dall’altra parte dell’Atlantico”, dal momento che ” gli aiuti americani a Monnet, Schuman, [Henri] Frenay, Force Ouvrière e altri sindacati, provengono dalla mobilitazione contro l’URSS . Ci danno le loro convinzioni politiche anticomuniste o antisovietiche e ci ricordano la loro adesione alla Pax Americana o al Bellum Americanum.. Non ci mostrano che questa estrema dipendenza, regolarmente indicata da Washington in termini umilianti per l’ego delle parti interessate, risulta da una perfetta corrispondenza tra interessi oggettivi francesi e americani. Inoltre, se l’armonia fosse così completa, perché queste pratiche finanziarie erano sistematicamente celate ai contemporanei?

Di Annie Lacroix-Riz, professore emerito di storia contemporanea all’Università Paris 7.

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