NECESSITÀ E CONTRADDIZIONI DELL’EPOCA DI TRUMP: ALCUNE TENDENZE DEGLI STATI UNITI, di Vincenzo Costa

Considerazioni interessanti di Vincenzo Costa. Provo a puntualizzare ulteriormente, dal mio punto di vista alcuni aspetti, riservandomi in futuro considerazioni più organiche:

  • il conflitto politico interno agli Stati Uniti attraversa ormai tutti i poteri, compreso il sistema giudiziario. MAGA, in questi ultimi anni, ha prestato particolare attenzione alla elezione dei procuratori, alla stessa stregua, questa volta, di Soros e delle confraternite di segno opposto. Si può dire che ci sia ormai una élite e una classe dirigente, non ancora del tutto formata, alternativa in aperta competizione e sempre più radicata negli apparati
  • il peso attribuito ai privati non ha valore sistemico, ma serve a destrutturare radicalmente gli attuali apparati per costruirne di nuovi. Le tesi di un ritorno ad una società neofeudale, come dello strapotere dei poteri finanziari fine a se stessi, secondo me, sono del tutto fuorvianti, specie se si tiene conto di cosa sia stata la società feudale e del fatto che il sistema feudale vero e proprio copriva solo una parte della società europea. Gli Stati Uniti, del resto, con il sistema delle agenzie (DARPA, ect) ha messo in piedi sin dalle origini, ma soprattutto con F.D. Roosevelt, un particolare sistema simbiotico ed intercambiabile pubblico/privato.
  • A guidare la destrutturazione non è solo la componente tecno-imprenditoriale, ma anche una componente conservatrice particolarmente attiva che, tra l’altro, sta cercando di costruire una sintesi politico-culturale con quella tecno-progressista. Dal successo di questo tentativo dipenderà la coerenza e la forza strategica e ideologica di questo movimento. L’enfasi che si tende ad attribuire alla gestione privata del potere e dell’informazione e al nesso che si determinerebbe con i processi autoritari in atto è del tutto fuorviante e travisante della situazione attuale negli USA. Intanto, in linea di principio ciò che determina gli spazi di libertà di azione e comunicazione sono le regolamentazioni dei comportamenti degli attori, siano essi privati o pubblici, il rispetto fattuale di queste; nei fatti contano il carattere competitivo delle relazioni tra i centri poliarchici e il rapporto di questi con la base popolare. Nelle fasi di destrutturazione questi spazi di libertà, solitamente, tendono ad aprirsi parallelamente agli atti proditori in attesa di una fase di restaurazione tutta da verificare. Gli Stati Uniti stanno vivendo, ormai da anni, questa fase dinamica di conflitto. L’enfasi sull’attuale carattere oligarchico ed oppressivo delle élites emergenti sono travisanti e fuorvianti.
  • Continuare ad individuare, come certa area tende ad insistere imperterrita, nei centri finanziari il deus ex machina del potere elude la dialettica ben più complessa del conflitto politico e spinge a concentrare l’attenzione ostile sul corollario della corruzione e sul carattere parassitario di questi centri (tra i tanti, Carnelos), piuttosto che sulla funzione proattiva dei flussi finanziari nella gestione del potere e nella determinazione delle formazioni sociali. Con la conseguenza che si tende ad omettere da una parte l’articolazione interna di funzioni di questi centri e la loro dipendenza dal quadro politico, caratteristica per altro presente in tutti i competitori geopolitici; dall’altra si tende ad attribuire ad essi il carattere di tesaurizzatori e parassitario. Quanto questa tesi sia fuorviante c’è lo ha spiegato chiaramente Marx, pur con tutti i suoi limiti, con la sua teoria del plusvalore e della realizzazione e redistribuzione del profitto. 
  • Trump, per perseguire i suoi obbiettivi interni di Grande America e di coesione sociale, ha bisogno di una competizione non belligerante e di una sorta di regolazione più o meno tacita del conflitto e della transizione con le forze multipolari emergenti; di una significativa riduzione pilotata della sovraestensione imperialistica piuttosto che imperiale (anche questo, secondo me, termine sempre più usato a sproposito) e di modalità diverse di esercizio del potere egemonico e di influenza anche nello stesso suo “giardino di casa”

Di sicuro dovrà correre sul filo del rasoio. Un suo fallimento rischia di portare ad una frammentazione anarchica il conflitto politico interno dalle conseguenze imprevedibili.

Di sicuro, la tentazione prevalente, per altro assente nello scritto di V. Costa, di accomunare il movimento di Trump alla cerchia di potere uscente, spesso attribuendogli un carattere peggiorativo, serve solo a giustificare la postura testimoniale del magma “sovranista”, ad aggrapparsi a stereotipi inadeguati e surclassati e ad ignorare gli enormi spazi di azione politica che si potrebbero aprire.

A titolo di esempio:

  • il tema dei dazi, piuttosto che ad una condanna e recriminazione, dovrebbe spingere a riproporre, anche nei paesi europei e in Italia in particolare il tema ricorrente, sin dal dopoguerra, dello sviluppo industriale equilibrato più fondato sulla domanda interna, di uno sviluppo diversificato delle esportazioni, di un controllo dei flussi finanziari e delle partecipazioni azionarie, di utilizzo interno del risparmio nazionale
  • l’epurazione di USAID e dintorni dovrebbe servire per fare pulizia all’interno dei propri paesi e a riprendere il controllo delle proprie leve istituzionali e degli apparati

Il riflesso oppositore pavloviano, al contrario, nel migliore dei casi si rivelerebbe sterile, nel peggiore, e già qualche inquietante segnale è purtroppo visibile in Italia, come in Francia e Germania, porterà a ridursi a semplice ruota di scorta del movimento reazionario, finto-progressista, che mantiene in Europa i filamenti più striduli ed organizzati ma che allignano negli Stati Uniti i detentori  ultimi delle trame. Basterebbe poco, qui in Europa, a cominciare dalla cessazione del conflitto in Ucraina, per far pendere le sorti del conflitto politico negli Stati Uniti. Quel poco, però, fatica ad emergere. Più che accanirsi su Trump e spingerlo, quindi, a compattarsi con i neocon o al suicidio, ci si dovrebbe concentrare sui corifei guerrafondai ben radicati in Europa, presenti nei comandi NATO, negli apparati e nel ceto politico nostrano i quali sono ben consapevoli di essere i primi a morire, in caso di collasso delle politiche globaliste. 

Negli Stati Uniti vige ormai una sorta di stato di eccezione; qui in Europa occorrerebbe qualcosa di analogo che tarda a venire; se pure si avrà.

Giuseppe Germinario

Post lungo e di studio. Lo ho scritto per cercare di chiarirmi le idee, nulla di più
L’approccio ai cambiamenti in corso è, per lo più, morale. Alle analisi si sono sostituite le indignazioni. Di per sé questo gioco è innocuo, non produce niente e non porta danni. E tuttavia, può divenire un impedimento a capire quello che sta accadendo, bloccando sul nascere qualsiasi tentativo di interrogarsi sui mutamenti in corso. Farlo significa esporsi all’accusa di putinismo prima, ora di putin-trumpismo. Non resta che ignorare questa fascia e tentare di capire.
1. Perché Trump è una necessità per gli USA
1. Trump è una differente risposta a un medesimo problema: la perdita di competitività dell’industria americana, di potere militare, di egemonia. In un’intervista importante Robert Lighthizer, colui che guida da decenni le linee del commercio estero dei governi repubblicani, ha chiarito che la Cina è una “minaccia esistenziale” per gli USA, perché ha il più grande esercito del mondo e lo sta rafforzando, la più grande marina militare del mondo e la sta rafforzando, “sta portando avanti e vincendo una guerra economica contro gli USA”
2. Gli stati uniti devono agire ora, in fretta, perché hanno perso la superiorità militare, tecnologica, industriale, e il tempo è poco e lavora per coloro che minacciano la supremazia: Lighthizer sostiene, giustamente, che con questo regime di libero scambio si trasferisce una quantità enorme di ricchezza alla Cina e, con essa, di tecnologia avanzata. Questo, dice, è insano.
3. Gli USA non possono più sostenere i costi delle rivoluzioni colorate, perché quel modo di ottenere la supremazia implica costi enormi, ed è per questo che Musk sta svuotando molte istituzioni, che Trump maltratta alleati fedeli come l’Arabia saudita, l’Europa, il Canada.
QUEL MODO DI MANTENERE LA SUPREMAZIA NON Può DURARE SUL LUNGO PERIODO, è autolesionista perché gli USA diventano sempre più deboli.
4. Il debito pubblico è fuori controllo, e l’economia americana si regge solo sul ruolo del dollaro, che però produce, di ritorno, deindustrializzazione. Ma ora, per molte ragioni e a causa dei molti errori dei democratici, gli investitori iniziano a ritirarsi, si inizia a parlare di dedollarizzazione.
Anche se la dedollarizzazione non è dietro l’angolo, tuttavia si usano sempre più monete locali negli scambi e la guerra in Ucraina è stata un acceleratore. Ma se il dollaro perde potere questo debito pubblico produrrà il collasso. Di qui l’urgenza di agire su vari piani: i tagli, la riduzione dell’apparato burocratico, le minacce verso i paesi esteri.
5. Di qui la sfida di Trump: fare di nuovo degli USA una potenza industriale, con la quale non conviene entrare in conflitto commerciale, che deve essere pagata per garantire sicurezza, che deve attrarre talenti per la tecnologia e non manovalanza a basso prezzo.
6. Il protezionismo, spiega Lighthizer, non è un’opzione: è una questione di sopravvivenza. Senza protezionismo il declino sarà rapidissimo. Significa trasferire ricchezza e potere altrove.
7. Del resto, già Biden aveva messo dazi del 100% sulle auto elettriche cinesi, aveva dato contributi statale importanti a Stellantis per riportare la produzione negli Usa. Gli Stati uniti hanno avuto un’emorragia enorme di posti di lavoro.
8. Se il sostegno degli americani a Trump è crescente, se neanche nel corso del primo mandato era stato così alto, le ragioni vanno cercate qui, non nella personalità autoritaria, l’identificazione con il leader, la psicologia delle masse.
9. Le cose correranno in fretta. I grandi oligarchi hanno scelto Trump perché le condizioni lo impongono
2. I RISCHI DELLA SCOMMESSA TRUMPIANA
Quella di Trump è una scommessa ad alto rischio, e sarà gestita pragmaticamente. Al di là delle sparate, Trump sarà pragmatico, è pragmatico: se una strada non funziona la cambia. Ma in ogni caso vi sono dei rischi, delle contraddizioni interne a questo progetto. Quali?
1. La società americana sta passando dalla polarizzazione al conflitto aperto.
Basta seguire i notiziari di CBS e CNN da un lato e FOX dall’altro per vivere in due mondi diversi. CBS presenta la chiusura di USAID come la chiusura di un’agenzia che curava i poveri bambini della Nigeria, che portava da mangiare agli affamati.
C’è da credere che gli elettori democratici non sappiano davvero niente delle porcherie che faceva USAID. Al contrario, FOX accentua il verminaio che era USAID, soprattutto attirando l’attenzione sugli sprechi, sui regali.
Due mondi, due americhe, bisognerà vedere se e quanto a lungo potranno convivere. Non è detto che possano farlo, non se lo scontro si acutizza ancora. I sistemi democratici hanno dei limiti nella capacità di tollerare il conflitto.
2. La chiesa cattolica americana (e forse la chiesa cattolica in se) va verso la spaccatura. L’uso del vangelo in chiave politica ha spaccato in due i cattolici, la commistione tra fede e politica ha frantumato il comune senso di appartenenza. I cattolici di Trump e quelli che si richiamano alla Pelosi o alla Ocasio-Cortez non appartengono già ora alla stessa comunità religiosa. C’è una bomba ad orologeria piazzata nella chiesa cattolica americana. Se non si è cauti esplode. Le conseguenze possono essere devastanti, e non solo per la chiesa cattolica.
3. Si è approfondita la spaccatura tra popolo e intellettuali negli USA, e si è sviluppata a un nuovo livello: adesso il popolo non è un movimento romantico antitecnologico, ma si riconosce nelle punte avanzate della tecnologia. Questa è una cosa del tutto nuovo rispetto ai movimenti populisti classici degli stati uniti.
4. Il concorrente per gli usa non è la Russia, ma la Cina e l’Europa. La Russia può, anzi, essere un ottimo partner, forse un partner indispensabile per gli USA e nella competizione globale.
5. L’artico non necessariamente deve portare a un conflitto con la Russia. Se guardate la cartina si capisce in fretta che l’Artico può essere diviso o condiviso con la Russia, escludendo altri paesi (in particolare l’Europa). E può esserlo con alcune modifiche territoriali. Groenlandia e Canada diventano strategiche per giungere a questa divisione che esclude. Il loro spostamento non intacca la Russia, traccia due sfere di influenza. Trump sta puntando a un multipolarismo che si struttura attorno a pochi poli dominanti, perché in questo modo vince. La divisione in sfere di influenze con la Russia non rappresenta una minaccia per gli USA, poiché la Russia comunque non è un competitore economico terribile.
6. Con la Russia non c’è affinità ideologica (autocrazia e oligarchia) come si vuole credere. Semplicemente, la Russia è decisiva per gli Stati Uniti nella lotta geopolitica, contro gli avversari veri, che sono Europa e Cina.
7. L’amministrazione Biden ha complicato tutto. È riuscita a distruggere l’economia europea, questo sì, ma ha fatto l’errore di portare a un legame strategico tra Russia e Cina. La scommessa di Trump è rimettere a posto questo errore, avere la Russia come alleato, strapparla alla Cina. Operazione difficile, ovviamente, oramai.
8. La questione ucraina va vista in chiave sistemica non morale. Il resto è solo fumo, che a volte segnala l’arrosto ma a volte segnale cose più o meno moralmente riprovevoli ma irrilevanti dal punto di vista sistemico.
9. Trump non sta smantellando lo Stato, Trump non è più dell’ordine del neoliberalismo, per cui ogni discorso sul neoliberalismo è superato dalla storia. Trump sta creando un nuovo modello, inedito: STA PRIVATIZZANDO LO STATO, sta dando e darà sempre più a privati la gestione di funzioni che restano comunque statali.
10. È la fine della modernità. La modernità era stata, tra tante cose, un processo attraverso cui lo Stato (il sovrano) toglieva ai privati (feudatari etc.) potere, lo erodeva, e in questo modo si è affermato un processo di razionalizzazione che implicava un processo di burocratizzazione. Ora il processo si inverte: i privati si appropriano di funzioni statale (la sicurezza per esempio). Non si tratta più di lasciare libero il mercato. I privati non rivendicano la libertà del mercato. Siamo di fronte a qualcosa di totalmente diverso. I privati si prendono lo stato, che resta Stato e non mercato.
11. La divisione dei poteri non è che sta saltando: è già saltata. I democratici usano e puntano sul potere della magistratura per fermare le politiche di Trump. Inevitabile che il conflitto sia destinato ad acuirsi
#Trump #StatiUniti #geopolitica #multipolarismo #europa #realismo #sovranismo
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Gli intellettuali e FB, di Vincenzo Costa

Gli intellettuali e FB
Un caro amico, ma di quelli proprio cari che si conoscono da almeno trent’anni, dice di non accettare dibattiti su FB, che i luoghi del dibattito sono altri: libri, articoli, etc. Premesso che la libertà di ognuno è insindacabile e che l’amicizia viene prima di ogni giudizio politico, resta che questa tesi è – secondo me- aristocratico-reazionaria, per diverse ragioni che investono la nozione stessa di cultura nel mondo della vita mediatizzato:
1) la filosofia europea inizia nelle piazze, che corrispondono a quella piazza virtuale che è oggi FB e gli altri social. Socrate poteva anche non andarci.
2) i social hanno mille limiti e altrettanti pericoli, ma sono ormai l’ambiente entro cui si muovono i flussi culturali.
3) quel criterio esclude dalla circolazione del senso tutti, lo limita a quattro gatti. Alla fine per partecipare al dibattito bisigna aver letto per anni la Logica di Hegel e tutto Adorno in tedesco.
4) i social sono un potente correttivo all’intellettualismo, come lo sono le lezioni per gli studenti. Mentre tra studiosi si fa in fretta a perdersi dietro a intenzionalità, contraddizione dialettica etc. nei social e a lezione non puoi bleffare: devi essere chiaro, per cui rappresentano un luogo di pulizia concettuale.
5) la circolazione delle idee e la riflessività sono cambiata nelle società contemporanee, avvengono per “diffusione” (qui sono oscuro, vero, ma credo si capisca): i concetti si diffondono come un’epidemia, attraverso criteri di rilevanza dettati dalle urgenze del presente.
6) ovviamente i social non sono un luogo privilegiato. Senza libri, articoli, luoghi deputati a discussioni più a grana fine saremmo più poveri, ma i social sono sorgente genuina di nuove idee, permettono lo scambio e la circolazione del senso tra mondo della vita e sistema culturale, e senza di essi questa circolazione si interrompe e il sistema culturale diventa autoreferenziale e inutile.
7) quell’idea è difensiva: ha paura dell’esposizione, di rischiarsi nel fuoco della piazza. Alla fine crea una nicchia di significato, in cui si riconosco gli adepti, e così concetti tutt’altro che definiti e che forse sono scemenze senza capo né coda diventano categorie interpretative della realtà.
8 ) c’è molta molta spocchia in quella posizione, della serie: non discuto con voi merdacce, se volete leggete i miei libri. Ecco, questo proprio no, questo è- per come intendo io la cultura e la sua funzione- inaccettabile.
9) alla base c’è forse l’aristocratismo Francofortese, la sua incapacità di comprendere la nozione di cultura popolare, ma questo richiederebbe davvero se non un libro almeno una serie articolati di post.
10) la verità è che FB è faticoso, se si cerca di usarlo come luogo di circolazione del senso, e certo ognuno di noi è già gravato da tante cose. E tuttavia, dato il sistema mediatico esistente, rappresenta l’unico spazio di intersoggettivita’ discorsiva, l’unico luogo di incontro e di scambio di idee. Poi chiaro che ci sono momenti in cui diviene necessario prendersi delle pause, ma questo deriva solo dai limiti di tempo e di energia.

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destra, sinistra e il nuovo già vecchio_ Con Roberto Buffagni e Vincenzo Costa

Governo di centrodestra con Giorgia Meloni, congresso costituente del PD con a capo Elly Schlein. Grandi novità che tendono a riprendere e riproporre vecchi schemi interpretativi del tutto inadeguati ad affrontare il nuovo contesto politico-sociale e geopolitico. Una contrapposizione artificiosa, probabilmente artefatta, che con sussulti e forzature non fa che riproporre temi e rivendicazioni in una cornice già fallita. Non è una fase costituente; è il compimento di un processo gia delineato quaranta anni fa. Il risultato è una classe dirigente inadeguata e un ceto politico autoreferenziale. Un guscio che si sta trasformando in una pesante cappa soffocante il paese. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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La cultura filosofico-politica della sinistra e la necessità di voltare pagina, di Vincenzo Costa

La cultura filosofico-politica della sinistra e la necessità di voltare pagina
Inimichiamoci gli ultimi amici
Oramai è necessario, secondo me, andare alla radice. Non per fare polemica per la polemica, ma perché il disastro storico (politico e intellettuale) è così enorme da non permettere che, per amore di pace e per evitare il conflitto (teorico e politico), si taccia.
Io credo che sia la cultura politica di cui si nutre la sinistra nella sua totalità (o nella sua pluralità per usare il linguaggio amato a sinistra, uno dei cliché che bisogna sempre usare nelle discussioni sconclusionate a sinistra) ad impedire ormai che si possa fare politica da sinistra e che possa esserci una visione politica che nasca da sinistra.
La cultura politica di cui si nutre è vecchia, post sessantottina. Cose che 50 anni fa forse avevano un senso, che forse esprimevano esigenze di liberazione, ma ora continuano ad essere ripetute a macchinetta, incuranti del fatto che l’esperienza della vita, il mondo, i rapporti sociali, il tessuto sociale e le motivazioni ideologiche hanno subito trasformazioni gigantesche e sono irriducibili a quella concettialita’.
La cultura politica della sinistra è diventata una lente deformante. Non si ha proprio più il senso della realtà. Lo fa perdere. È solo una nicchia di significato fatta di stereotipi, di espressioni da usare per essere riconosciuti nei vari gruppetti, che sono ormai solo sette.
Questa cultura raccoglie tutto il cascame peggiore degli ultimi 50 anni (dalla butler a Zizek, da Foucault a deleuze, dalla società totalmente amministrata alla società della sorveglianza, alla società dello spettacolo). E lo so che dire questo urta, in maniera diversa, ognuno dei miei amici.
Per carità, si tratta di prospettive che raccoglievano scampoli di realtà, ma erano e sono esasperazioni. Potevano essere interpretazioni, spesso azzardate, spesso espressione di sensibilità soggettiva. Invece sono diventati miti, la MITOLOGiA degli intellettuali, entro cui questa strana forma di vita prospera. E per essere un intellettuale devi usare quella terminologia. È una sorta di segno distintivo.
Questa cultura politica, questo cascami all’origine erano tentativi di pensare qualcosa che emergeva e che per esempio il marxismo non captava. Ma col tempo si sono ridotti a chiacchiera. rimasticati sino alla nausea sono diventati la cultura dalla sinistra: unisce TUTTA la sinistra, da quella liberale a quella antagonista a quella complottista e sovranista.
È una rete concettuale rigida, moralistica, che esclude, che traccia i confini tra “i desti e i dormienti”, per chi ricorda ancora un po’ di filosofia antica. Ovviamente il popolo è la massa dei dormienti, dei cerebrolesi, degli amministrati.
Le conseguenze di questa impostazione sono illimitate. Bisognerà sviluppare e decostruire tutta questa articolazione teorica, spezzarne la rigidità. il diamat in confronto era flessibile e articolato, una concezione aperta. La domanda “allora così proponi?” la capisco, ma retorica. Questo è un post non un libro!!!
Si tratta di una cultura fatta di Miti, i miti della sinistra intellettuale. Miti buoni per farci una tesi di laurea, per spararla grossa, per far colpo o fare il ribelle e la rivoluzione in salotto. Ma inutili o dannosi per fare politica, per capire la realtà, per scoprire in essa il possibile, per coglierne il dinamismo. Miti che estraneano dalla vita reale, dalla quotidianità.
Una cultura politica che invece di dare voce al reale vuole imporre la sua, e si arrabbia perché la realtà va da un’altra parte, una cultura che si sente incompresa, troppo alta troppp vera per i dormienti.
Di qui un divorzio tra cultura politica e intellettuali di sinistra e il resto del paese.
Ecco, credo di essermi inimicato tutti. Ma così è chiaro come la penso e faccio sempre a meno di compagni e amici.
Una sola cosa per chiudere: il solito guardiano della legge, ne appare sempre uno ad ogni post, dirà: ecco, allora stai aprendo la strada alla destra, dillo che sei di destra.
Al guardiano della legge rispondo; sto solo cercando di trovare una strada per uscire dal vicolo cieco e dalla morte storica in cui voi e la vostra cultura avete portato il paese.
Perché se siamo dove siamo è perché quella cultura ci ha portati qui. È essa ad essere distruttiva, non chi la critica
Concordo, la parte più vera ed utile dello scritto è quella nella quale Costa ci invita a riconoscere, duramente, che il medesimo è all’opera nella totalità dell’ecomondo connesso con la cultura della sinistra. E quindi, attenzione, anche con chi di sinistra magari non si è mai sentito, ma l’ha assorbita dalle moltissime strade e vicoletti che ha attraversato – i film, la musica, i romanzi, la pubblicità. Soprattutto musica e pubblicità, le cose che meno si vedono come costrutti ideologici e che sono, al contrario, i più forti.
Ovvero che quella nicchia di significati, come dice Costa, è presente ed inaggirata nella sinistra liberale, in quella ‘antagonista’, in quella ‘sovranista’ (anche se si sente di destra, o ‘oltre la destra e la sinistra’) nella radice stessa del ‘complottismo’ (antico fenomeno, praticamente senza tempo, contemporaneamente sentiero di montagna per i dispersi e labirinto del minotauro, ma senza sassolini).
La presenza nei circoli, ancora più elitari, gergali, infarciti di miti che ‘devono’ essere veri, altrimenti si è fuori, si è ‘dormiente’, che abbiamo (ho) frequentato per anni è ciò che mi ha allontanato. O meglio, il motivo (non l’unico, ma quello rilevante) per cui ho lasciato la carovana andare e mi sono seduto sul ciglio del sentiero, su una pietra.
—-
Bene, Vincenzo Costa accusa il sessantotto, con ottime ragioni, e nomina autori che hanno grandi colpe (soprattutto i contemporanei), perché hanno esasperato alcuni concetti per stare nel loro tempo, autori che voleva finalmente seppellire Marx e il “moderno”, per liberare l’energia del tempo (di anni nei quali, io ricordo perché avevo venti anni quando quello spirito è calato a terra e si è fatto mondo, una sorta di sottile euforia per la tecnica, mista a paura e senso di soffocamento per il ‘vecchio’ che la ingabbiava, pervadeva tutto). La loro filosofia raccoglieva uno ‘scampolo’ e lo faceva tutto, ma era certo una esasperazione. Passati quaranta anni, o cinquanta, è il mito intorno a cui ci si raccoglie, il totem di danza.
—-
Ma, io temo, è il totem sia della destra, sia della sinistra, sia dei clan ‘oltre la destra e la sinistra’. Almeno ne è la parte essenziale, poi qualche animale scolpito è diverso, qualche colore è diverso, ma la struttura è quella. Temo si debba andare molto in fondo, molto sotto. E’ qualcosa che condivide tutto l’occidente collettivo (come ci chiamano i cinesi).

La guerra non è ancora iniziata, di Vincenzo Costa

La guerra non è ancora iniziata
Papa Francesco ha parlato di “guerra mondiale”. Un’espressione sulle prime impropria. Si tratta, potremmo dire, di una guerra limitata, per una controversia di confine, al massimo di una guerra tra due paesi, se si vuole di una guerra dettata dalle mire imperiali di Putin. Eppure, forse Papa Francesco vuole invitarci ad allargare lo sguardo, perché è come se questo fosse catturato da due soli pezzi dello scacchiere, e in questo modo non presta attenzione alla posizione degli altri pezzi degli scacchi.
1. Verso una nuova fase della guerra in Ucraina
La guerra in Ucraina è stata segnata sinora da due fasi. Nella prima la Russia mirava, sbagliando, a rovesciare il governo ucraino. Immaginava di trovare un largo consenso tra la popolazione ucraina, che sarebbe stata una sorta di guerra di liberazione. I russi hanno scoperto che non era così, che era una trappola. L’esercito ucraino era pronto, li aspettava, erano stati per anni costruite le necessarie trincee. La macchina della propaganda era già pronta. La Russia ha dovuto modificare i suoi obbiettivi e la sua strategia.
È iniziata una guerra di posizione, in cui la Russia ha svolto una funzione di supporto in una guerra civile interna all’Ucraina. Gli obbiettivi sono stati limitati al Donbass, al riconoscimento della Crimea e alla neutralità dell’Ucraina. I russi pensavano che su questa base un negoziato sarebbe stato possibile e una soluzione diplomatica del conflitto percorribile. Si sbagliavano.
Il governo ucraino ha messo chiaramente in luce che la soluzione era una sola: ritiro dei russi da tutta l’Ucraina, Crimea compresa. Evidentemente, sapevano di poterlo fare.
In questa fase, i russi hanno comunque cercato di limitare l’estensione del conflitto. Non abbiamo visto bombardamenti a tappeto delle città, come avevamo visto a Belgrado per esempio o in Iraq. Anche una certa cautela è stata avanzata. Per esempio, l’Azovstal poteva essere annichilito, senza combattimenti uomo a uomo, che sono molto dispendiosi e comportano perdite. Naturalmente, non ho dubbi che vi siano stati crimini, come so anche che gli ucraini bombardano i mercati delle città, facendo vittime tra i civili. Come del resto sappiamo che l’esercito ucraino usa scuole e ospedali come basi militari. Non è che in guerra vi siano dei crimini: è la guerra ad essere un crimine.
Ma ora è partita una controffensiva massiccia, che sembra abbia spezzato le linee russe, l’esercito ucraino è penetrato per decine di chilometri. Come è stato possibile?
In primo luogo, in virtù del fatto che l’Occidente ha inviato un intero arsenale, miliardi di dollari di armi, ma soprattutto in quanto queste armi vengono usate direttamente dagli occidentali, che forniscono l’intelligence, i dati per orientare i tiri, molte cose che possono essere fatte da remoto. Sul campo sono dispiegati una quantità enorme di “mercenari” e di “volontari”. Al netto significa che unità militari occidentali operano sul suolo ucraino senza le loro divise.
Decine di miglia di soldati ucraini vengono addestrati in Inghilterra e in altri paesi NATO, Borrel ha annunciato che i paesi UE ospiteranno e addestreranno sul loro territorio soldati destinati alle prime linee contro i russi, in modo da familiarizzarli con i sistemi d’arma occidentali.
Attraverso il confine tra paesi UE e Ucraina fluisce un fiume di armi, devastanti, che sta dissanguando le stesse riserve occidentali, al punto che il ministro degli esteri tedesco ebbe a dire: “dopo queste basta perché stiamo esaurendo le nostre scorte strategiche”.
È evidente che la NATO è dentro il conflitto, che lo dirige, lo supporta, lo organizza, fornisce tutte le informazioni (via satellite indica la localizzazione dei militari russi e poi dove dirigere i sistemi d’arma, che gli USA forniscono). La guerra è tra NATO e Russia.
Sinora i russi hanno accennato a ciò, ma hanno evitato di trarne tutte le conseguenze. Probabilmente perché pensavano che si sarebbe giunti a un negoziato. Perché trarne le conseguenze ha conseguenze militari devastanti. Significa rendere obbiettivi strategici luoghi lontani dal fronte, colpire in maniera massiccia parti dell’Ucraina lontani dal fronte. I russi hanno un po’ fatto finta che la guerra fosse limitata al fronte. Ogni tanto qualche missile, ma più per dire “ci siamo” che per qualcosa di significativo.
Adesso questo gioco non può più essere sostenuto. Continuare così significa portare al massacro i propri soldati, demotivarli. La guerra entra in una nuova fase, in una terza fase.
Leggo che settimana prossima Putin effettuerà delle chiamate internazionali, con leaders internazionali. Per dire cosa? Per alzare bandiera bianca?
Non sappiamo che cosa dirà, né lo sapremo. Ma possiamo immaginarlo, sospettarlo. Credo che li metterà sul chi va là, avviserà che il gioco cambia, che è finita l’epoca del far finta.
Vi è del resto un punto che resta oscuro in tutta questa controffensiva. Essa era annunciata da mesi, persino normali cittadini come noi sapevano che vi erano nuovi armi, soldati addestrati. Dovevano saperlo anche i comandi russi. Eppure non è stato rafforzato il fronte. Non è stato fatto niente per prepararsi a questa controffensiva. Inefficienza dei comandi russi? Deficit di intelligence?
Solo quando i buoi sono scappati il ministero della difesa russa ha diffuso video con colonne di camion e armamenti che si dirigevano verso il fronte.
L’impressione che si ha è che sia stato voluto. Perché? Perché si sta per entrare in una nuova fase della guerra in Ucraina, una fase ancora più sanguinosa, più insidiosa, pericolosa, con grandi probabilità di allargamento del conflitto.
La popolazione russa deve sentire che la patria è in pericolo, e lo è davvero, perché se davvero gli ucraini sfondassero in profondità la Russia diverrebbe terra di conquista come lo fu nell’epoca di Yeltsin.
I russi devono capire che si combatte per la patria, che non è più una guerra verso l’esterno.
2. Allargare lo sguardo agli altri pezzi della scacchiera
C’è un fuoco che può divampare, e questo emerge se, sommariamente e senza poter connettere tra loro i puntini allarghiamo lo sguardo agli altri pezzi della scacchiera.
1) C’è un conflitto latente tra Grecia e Turchia e le autorità greche hanno comunicato alla UE e alla NATO che vi è la possibilità di un conflitto altrettanto devastante in Europa, tra Grecia e Turchia. La Turchia è il secondo esercito NATO, ma sta giocando in maniera spregiudicata, su tutti i tavoli. Senza la Turchia la NATO sarebbe monca, sguarnita su un fianco fondamentale. Quale prezzo chiederà Erdogan? Ed Erdogan ha mira molto ambiziose in Asia, che può realizzare solo a due condizioni: o con il disfacimento della Federazione russa o con il suo consenso regolato.
2) La Serbia sta riarmando, soprattuto con sistemi di difesa antiaerea. Comprensibile dopo l’esperienza dei bombardamenti di Belgrado. In quel caso tutto fu reso possibile dalla debolezza russa. Ma ora le cose sono cambiate, e la Serbia si rifiuta di riconoscere il Kossovo. Del resto, perché dovrebbe? I motivi di conflitto crescono. La serbia acquista droni dalla turchia. Il gioco è complesso.
3) L’Ungheria si smarca dall’Occidente, del resto che non ami particolarmente l’Ucraina è comprensibile. Le minoranze ungheresi erano duramente represse ed invitate ad andarsene dai nazionalisti ucraini. Poi, l’Ungheria ha chiaro che gli USA stanno stritolando la UE, capisce che il vento economico gira in un altro modo, e piuttosto che entrare a fare parte degli agnelli sacrificali gioca la sua partita (gas russo a prezzi stracciati, che significa “signori, investite qui che abbiamo costi dell’energia accettabili e producete in maniera concorrenziale”). Le minacce stanno perdendo peso.
4) La Libia è sempre una polveriera, dominata da Russi, turchi, i francesi presi a calci nel sedere dopo avere combinato un mare di guai ai nostri danni (col silenzio di Gentiloni, ma si sa che era un cameriere non un presidente del consiglio italiano)
5) A Taiwan continuano le provocazioni alla Cina, prima le visite, poi la vendita di armi, poi flette giapponesi attorno all’isola. Chiaro che si vuole provocare il dragone, in modo da gridare poi come sempre “c’è un aggressore e c’è un aggredito”. La Cina mostra i muscoli ma sta sulla sue. I cinesi ragionano nell’ordine dei secoli, non reagiscono. Colpiranno quando lo decisono loro, non quando li costringono gli altri. E colpiranno quando avranno sviluppato il loro arsenale nucleare al giusto livello. La cosa è in corso.
6) Il ministero della difesa polacco dice che nel periodo tra “tre e dieci anni” la polonia entrarà in guerra con la Russia. Il riarmo è pesantissimo. Ma la Polonia gioca per sé, non per l’Ucraina. La Polonia ha avviato una disputa persino con la Repubblica Ceca, a cui chiede la restituzione di pezzi di territorio. Figuriamoci con l’Ucraina. I polacchi ragionano in termini di grande Polonia, di cui l’Ucraina è una parte, per non dire che un pezzo di Ucraina la considerano Polonia a tutti gli effetti. Agli ucraini i polacchi dicono più o meno quello che Renzi diceva a Letta: “stai sereno”.
Sono solo alcuni pezzi, ve ne sono molti altri.
Tanti pezzi, ma un unico gioco. Ogni mossa modifica il sistema.
Ognuno sta posizionando i propri pezzi, in vista della guerra, tutti riarmano, anche noi lo facciamo.
La guerra non è ancora iniziata. E’ in cammino, un cammino lento ma deciso, con una direzione chiara

Scienza e prudenza, di Vincenzo Costa

Ottime considerazioni che sottendono la posizione antitetico-polare del positivismo e del neopositivismo rispetto al relativismo direttamente legato alla concezione neoliberale sempre più connessa con l’affermazione delle dinamiche capitalistiche. Sono due chiavi che si contrappongono e che interagiscono. L’egemonia culturale passa da queste due chiavi, non solo attraverso una sola di esse. La forza delle cose, probabilmente, ne farà emergere definitivamente anche altre. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Scienza e prudenza
Dopo le polemiche e la tragedia della pandemia è necessario avviare una riflessione pacata. A me pare che alcuni punti inizino a chiarirsi:
1) l’indicazione della vigile attesa e la resistenza all’uso di antinfiammatori nelle fasi iniziali, proposte e imposte dalle linee guida del ministro Speranza, sono state pessime indicazioni. Ciò che fu sbandierato come “evidenza” scientifica è come minimo una tesi opinabile, forse una errore bello e buono.
Conseguenza: bisogna avere un rapporto epistemologicamente più critico con la scienza. L’idea dei sapientoni che dicevano “mi fido” della scienza è il vero terrapiattismo.
Ovviamente, non è che si tratta di abbandonare la scienza, con le sue procedure ordinate di controllo e verifica, per abbracciare i metodi alternativi e la magia. La scienza, quando è tale e non è asservita a interessi economici, è la strategia più razionale ed efficace che come esseri umani possiamo adottare.
E tuttavia, dobbiamo adottarla sapendo che si tratta di procedure fallibili, in cui a volte bisogna scegliere, decidere, senza avere un’evidenza completa. Sapendo che i “dati” non esistono.
Fa parte del regresso degli ultimi decenni e di quella impostazione che si chiama “realismo” avere completamente obliato la critica al mito del dato, da sellars a quine.
Certo, gli eccessi postmoderni (il ”tutto è interpretazione”) erano irricevibili, ma è stata una regressione culturale pensare di liberarsi di quegli eccessi cancellando un secolo di riflessione epistemologica. Siamo regrediti a un positivismo più ottuso di quello di Comte. Neurath sembra illuminato se confrontato con la discussione attuale.
Spero che in futuro non vi siano più virologhi (spesso “zanzarieri”, medicuzzi da niente e veterinari che si improvvisano virologhi) che pontificano in TV. Mi rassegno invece a vederli in parlamento. Il degrado prosegue
Spero che la comunità scientifica si dia delle regole, eviti gli eccessi e il dogmatismo che hanno minato la sua credibilità. Dall’inizio della pandemia ad oggi moltissime delle previsioni e delle analisi vendute come verità inconcusse si sono rivelate errori madornali.
Fossi Speranza sparirei dalla politica, tanta è stata la sua incapacità e la sua inettitudine, dall’inizio alla fine.
2) è ormai chiaro che l’idea che i vaccinati non diffondessero il virus era una bufala. Eppure ricordo tanti cari amici alzare la voce e chiedere l’obbligo vaccinale con un argomento semplice e falso:
Chi non si vaccina diffonde il morbo e non ha diritto di ammorbare me che sono vaccinato.
Era falso, ora lo sappiamo bene. I vaccinati diffondono anche essi il morbo, per cui molte misure coercitive non erano affatto necessarie ne giustificate. Chi ha detto “li staneremo” dovrebbe chiedere scusa.
La pandemia è stata gestita nel modo peggiore. È importante avviare una riflessione non tanto per trovare colpevoli, ma per pensare come vogliamo vivere la nostra vita associata.
PS. Sono tridosato, un po’ perché era obbligatorio per lavorare, un po’ perché ritengo che alla mia età sia sensato vaccinarsi, un po’ perché- come diceva Socrate – non mi piace trasgredire la legge ma cercare di convincerla a cambiare, insieme agli altri che fanno parte della comunità in cui vivo.