L’energia del virus Tra catastrofisti e futurologi, di Giulio de Martino

L’energia del virus

Tra catastrofisti e futurologi

di Giulio de Martino

 

A un secolo dall’ultima pandemia – provocata nel 1918 dal virus H1N1, conosciuta dagli storici come «influenza spagnola»[1] – il mondo affronta una nuova patogenesi: diffuso a livello planetario è il virus SARS-CoV-2. La trasformazione microbiologica sempre in atto trova condizioni decisive di facilitazione pandemica in ambienti e ecosistemi specifici, ma anche nei processi di mondializzazione. Nel 1918 fu la Grande guerra con gli spostamenti di uomini e mezzi connessi, oggi sono l’intensa geolocalizzazione produttiva e l’interconnessione economica globale.

Osservata in forma cronachistica, la pandemia da coronavirus appare connotata da elementi specifici. Non mi riferisco soltanto al substrato microbiologico da cui ha avuto origine, o al suo terreno di coltura antropico, ma al correlato psicosociale che la sta accompagnando. La velocità e la refrattarietà del virus al controllo da parte degli organismi ha messo a dura prova sia le strutture sanitarie che quelle sociali circostanti, abituate a trend calcolabili e modellizzati.

Sul versante microbiologico emergono due caratteristiche: la rapidità della replicazione e circolazione del virus (non mesi, ma giorni) e la velocità dello sviluppo della malattia (non settimane, ma giorni). Potremmo aggiungere il virus si comporta come una «variabile indipendente» e si «sceglie» sia i contesti di diffusione che quelli di estinzione. Sono caratteristiche che confliggono con la planning e la clinica del mondo industrializzato basate su malattie di tipo degenerativo e cronicizzate, quindi non contagiose né acute e con l’assunto che la medicina costituisca un business che si avvale di una scienza e di una tecnologia sempre in grado, se non di curare, almeno di diagnosticare e prognosticare[2].

In eguale difficoltà si trovano gli economisti familiarizzati con concetti come quelli di crisi e di ciclo che consentono previsioni, calcoli e soprattutto interventi di gestione delle emergenze micro e macro economiche. La situazione effettiva di fronte alla quale si trovano i decisori politici è che si possa entrare in un territorio di distruzione irreparabile delle risorse che vada anche oltre le più avanzate strategie keynesiane di recupero sistemico.

L’aspetto che appare connotare, al di sopra di altri, l’ultima pandemia è il suo essere focalizzata sul rischio piuttosto che sul pericolo. Senza giungere a parlare di una infodemia, diciamo che si tratta di una pandemia anticipata, osservata e monitorata, alla quale si può partecipare come spettatori o come astanti anche senza esserne direttamente coinvolti[3]. I numeri – tolti dalla loro assolutezza e relativizzati rispetto alle dimensioni delle popolazioni coinvolte – mostrano che la società non è omogeneamente esposta al contagio, ma soltanto ad un rischio non precisamente calcolabile. Certamente, in alcuni settori – reparti di pneumologia infettiva – i sistemi socio-sanitari si sono rivelati sottodimensionati rispetto alla domanda di assistenza, ma il numero delle vittime è globalmente marginale. Tuttavia, poiché la società si è consegnata alla rete delle comunicazioni di massa – sviluppatasi enormemente negli ultimi venti anni[4] –  il rischio virtuale si è trasformato in un pericolo poiché ogni spettatore potrebbe diventare – se si verificassero specifiche condizioni – un protagonista dell’evento.

Il carattere probabilistico della scienza e il carattere statistico dei modelli previsionali è proprio dei saperi maturi: gli epistemologi del secondo ‘900 hanno evidenziato l’impianto definitivamente stocastico delle conoscenze[5]. Nel caso del coronavirus pandemico, a causa delle modalità di circolazione delle informazioni e delle opinioni lungo le reti massmediali, l’aleatorietà delle conoscenze si è trasformata in una forma di cogenza delle ipotesi. Per questo l’olismo della risposta politica al rischio di contagio – macrodecreti e macrodirettive – è diventato preponderante rispetto alle decisioni locali e differenziate per settori e ambiti. Un’unica priorità è subentrata alle molte, variegate e complesse, criticità precedenti: «evitare il contagio e la trasmissione del virus».

Sul versante sociale, si è velocemente passati dall’Homo oeconomicus – che si orientava sulla base di una valutazione ponderata dei rischi e dei benefici e con il «Watch and Wait» – all’Homo stocasticus che trasforma ogni rischio in una minaccia e che dà sfogo a quello che viene definito come «panico sociale» o, più precisamente come «crollo della fiducia reciproca». Non ci basa su di un processo di generalizzazione del dato specifico – che la matematica sconsiglierebbe – ma su di una universalizzazione del fatto singolare che assurge a simbolo della totalità[6].

Baudrillard aveva diagnosticato la «morte del sociale» nella civiltà postmoderna come una forma di entropia e di massificazione indecifrabili che avrebbero reso equiprobabile l’evoluzione del sistema[7]. In realtà, negli sviluppi attuali, il sociale sembra piuttosto patire una «morte simulata»: indotta dai sistemi politici che si difendono dai contraccolpi della pandemia provocando – sotto forma di prevenzione e contenimento del rischio – una «entropia di stato», pianificata e controllata attraverso i dispositivi dell’informazione e dell’ordine pubblico. E’ giusto non dare connotazioni «distopiche» al «coma sociale» prescritto alle popolazioni, come pure va evitato di demonizzare – quasi costituissero una sorta di «laisser faire» epidemico – scelte differenti. Si tratta sempre e comunque – sia nella ipotesi dell’attesa del Climax che in quella della provocazione del Plateau – di strategie deliberate in vista della conservazione delle condizioni di esercizio del potere politico, condizioni che, in regime democratico e liberale, includono anche il mantenimento del consenso – anche soltanto passivo – dei cittadini[8].

Al di là degli interventi specifici sul sistema sanitario, le misure di tipo precauzionale, pur comprimendo i diritti  di libertà dei cittadini (a cominciare da quelli di opinione, di riunione e di libera impresa), utilizzano formulazioni legislative compatibili con lo stato di diritto. Si vedano il reato di dichiarazione mendace, la raccomandazione dell’autoisolamento, la quarantena fiduciaria, l’autosospensione dal lavoro: sono prescrizioni che evocano altrettante assunzioni di responsabilità da parte dei cittadini. Certamente, in un contesto di rischio virtuale, la «responsabilità» del cittadino diventa anche un dispositivo di autotutela da parte del potere politico. Se la involontarietà e la colposità diventano identiche alla dolosità, il reato non deriva dalla contestazione di una «responsabilità penale personale», ma dal non aver ottemperato alle misure precauzionali imposte, dall’aver divulgato «notizie false e tendenziose», dall’aver provocato ad altri un danno biologico che poteva essere evitato. Ciò che viene imputato, in buona sostanza, è di aver impedito che l’«allarme virtuale» lanciato dalle istituzioni si diffondesse adeguatamente nel corpo sociale. Tutto ciò conferma il carattere democratico e perversamente liberale delle misure di contenimento del rischio di contagio.

Gli stati democratici più che disciplinare le forme della libertà – come sosteneva Foucault – hanno comandato l’autosegregazione come «servitù volontaria»[9]. Nei fatti la società si è rispecchiata profondamente nelle scelte dei decisori pubblici. Lo ha fatto anche quando ha mostrato di non voler aderire ai divieti e alle proibizioni. Ciò ha evidenziato, piuttosto, una sorta di compiaciuto «masochismo» che ha attivato inconsciamente anche il gioco della trasgressione. È la logica di ogni proibizionismo che è, insieme, ragionevole cautela e adescante divieto[10].

Davanti alla «morte terapeutica» del sociale indotta dalle politiche antiepidemia, il mondo dei mass-media si è diviso. Quelli maggiori – ad esempio le trasmissioni televisive – hanno scelto di tenere un profilo basso e di condividere gli obiettivi del sistema politico. Quando si parla del SARS-CoV-19, accolgono volentieri il viso severo, ma sereno, di virologi e medici che propongono una teleologia della lotta al male. Invece, sui quotidiani e sulla rete, dove c’è un più contenuto e diluito impatto di massa, vi è spazio per gli influencer catastrofisti e per i ribelli che fanno sentire il gusto del proibito.

I catastrofisti parlano di trame internazionali, di ecatombe biologica, qualcuno di nemesi ecosistemica. Da quando si sono eclissati gli oppositori politici – oscurati dal virus e dai suoi rimbalzi che hanno disinnescato il populismo – c’è più ascolto per le profezie di catastrofe perché rendono disponibile un fattore di salvazione e un «capro espiatorio» su cui riversare il proprio disprezzo.

All’interno dei catastrofisti si colloca il gruppo degli altermondisti: quelli di «un altro mondo è possibile», anzi imminente. Ad essi si aggiungono gli ecoambientalisti che intonano, con nuovo vigore, il salmo della «decrescita felice»[11]. Tra gli apocalittici vi è anche il gruppo dei biopolitici. Questi ultimi, memori delle arditezze del marxismo, argomentano che il «regime al potere» utilizza lo «stato di eccezione»  per rivelare il vero volto dei sistemi democratici e liberali: quello di essere dei regimi totalitari. L’errore grossolano di costoro è di mescolare la biologia (e quindi l’ecologia) con la politica e di pensare che l’utilizzo delle problematiche biomediche nelle attuali strategie pubbliche avvenga in maniera strumentale e truffaldina, come appunto accadde al tempo di Hitler e Mussolini[12]. Sfugge loro che nei regimi democratici e liberali non vi è alcun nesso diretto fra le questioni biomediche e le decisioni politiche: sempre l’ultima parola viene data agli «esperti». Da parte loro, le disposizioni di legge osservano la schietta coerenza ordinamentale: il divieto di un diritto come tutela di un altro diritto. il sistema politico – come quello economico e finanziario – si stanno certamente riposizionando, ma lo fanno al solo scopo di tutelare e potenziare i propri mezzi di esercizio modulandoli sulla base delle reazioni della società agli avvenimenti naturali. Tra le reazioni sociali – oltre alle più evidenti forme di obbedienza e di ribellione – vanno incluse anche la volontà di approfittare dell’emergenza per assicurarsi vantaggi attraverso contrattazioni di tipo non competitivo, ma piuttosto assistenziale e beneficiale.

E’ sensato spostare l’attenzione dai rischi sanitari ai pericoli per le attività economiche e relazionali, sia per quelle novecentesche (industria, trasporti, commercio), sia per quelle di sentiment postindustriale (turismo, fitness, cultura e gruppalità). In quest’ultimo ambito i cambiamenti portati dall’epidemia e dalle politiche pubbliche di neutralizzazione del sistema sociale sono massicci e di segno fortemente negativo. Molti si illudono che, passata la bufera, ognuno tornerà alle abitudini e alle attività precedenti. Più plausibilmente, la società imparerà a modificare i suoi stili di vita e di sviluppo. In buona sostanza: attraverso le procedure di sospensione giusta legge dei diritti, quarantena fiduciaria, distanziamento interpersonale, isolamento ecc. si è indotta una trasformazione del legame sociale. E’ proprio in campo psicosociale che vi sarà il cambiamento più evidente, quello che lascerà il segno. Non sarà, però, un cambiamento di tipo totalitario, bensì di tipo individuale e, insieme, reticolare. Vi si riferiscono già – oltre alle grandi aziende del WEB e alle centrali della finanza – i numerosi sviluppatori, psicologi e influencer che forniscono indicazioni e consigli, ovviamente via internet o schermo, alle persone disorientate dalla crisi e dall’emergenza.

Si può ipotizzare che quelle che oggi sono considerate come modalità secondarie e occasionali di lavoro, di formazione, di scambio di merci e relazioni potrebbero diventare modalità primarie. Quella che si definisce «economia digitale» – il sistema di produzione e scambio basato sulle tecnologie informatiche – potrebbe potenziarsi sia nell’hardware che nel software, sia online che offline, influendo sulla circolazione monetaria e su quella dei beni. Il profilo etico che prevarrà sarà quello del player, che nella letteratura è noto come Il giocatore[13]. Il player incarna il principio economico marginalistico: la ricerca del miglioramento in un contesto di scarsità e di maggior costo dei fattori di esistenza. Un soggetto decide di compiere una data azione soltanto se il sacrificio che questa comporta gli appare minore della soddisfazione che essa procura. Per questo persiste nell’azione intrapresa solo fino a quando l’incremento di sacrificio non supera l’incremento di soddisfazione. In buona sostanza, il player frammenta in segmenti uguali e piccoli il sacrificio di fronte alla decrescita degli elementi di soddisfazione, allo scopo di garantirsi una crescita meno rapida dell’insoddisfazione. Nelle relazioni di dipendenza ha convenienza ad accrescere la richiesta solo fino al punto in cui l’incremento di soddisfazione, che ricava da una nuova dose del bene, eguaglia l’incremento del sacrificio che ha dovuto compiere per ottenerlo. Cercando di massimizzare il vantaggio e di minimizzare il costo, il player cercherà allora di vendere meglio i propri prodotti e di dipendere in misura minore da quelli che deve acquistare.

Con i dispositivi blockchain, cloud e mobile si potrebbe passare dal mondo dell’«Internet of Things» (IoT) e dei social network al riassestamento dell’intero sistema di mercato e di produzione. Questo implicherà che le persone dovranno trascorrere più tempo di fronte al pc o consultando il proprio smartphone, oppure che saranno abolite le relazioni frontali («Face to Face») per sostituirle con quelle mediate dalle reti[14]? Probabilmente no. Ciò che cambierà sarà il rapporto fra l’offline e l’online: il primo diventerà più intenso e cercherà nuove modalità di riferimento al secondo. Il cambiamento avverrà, prima di tutto, all’interno della nostra mente: continuerà a essere offline, ma cercherà la connessione con le altre menti e le altre esistenze, sempre più spesso, attraverso i sistemi audiovisuali e scritturali online.

[1] Johnson Niall, Britain and the 1918-19 Influenza Pandemic. A Dark Epilogue, London and New York, Routledge, 2006.

[2]  Van Rensselaer Potter II,  Bioethics: Bridge to the Future, Prentice-Hall, 1971.

[3] Massimo Conte, Reti ed epidemie: quando il gioco si fa serio, “Complexity Education Project”, Università di Perugia, febbraio 7, 2020.

[4] Luciano Floridi, The Fourth Revolution. How the infosphere is reshaping human reality; Oxford University Press, 2014; tr. it. La quarta rivoluzione, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2017.

[5] Richard Feynman, Il senso delle cose (The Meaning of It All, 1998), Milano, Adelphi, 1999,

[6] Andrew Salmon, Democracies’ Covid-19 cures could be worse than the disease, in: “Asia Times”, march 18, 2020.

[7] Jean Baudrillard, All’ombra delle maggioranze silenziose. Ovvero la fine del sociale, 1978, n. ed. a cura di Dario Altobelli, Mimesis, Milano 2019.

[8] Roberto Buffagni, Epidemia coronavirus. Due strategie a confronto, L’Italia e il Mondo, 14 marzo 2020.

[9] Michel Foucault, Biopolitica e liberalismo. Detti e scritti su potere ed etica, 1975-1984, Medusa Edizioni, 2001.

[10]  Bateson, G., Jackson, DD, Haley, J. & Weakland, J., Toward a Theory of Schizophrenia, “Behavioral Science”, 1956, 1, 251-264.

[11] Luigi Ferrajoli, Il virus mette la globalizzazione con i piedi per terra, su: “il Manifesto” del 17.03.2020.

[12]  Giulio de Martino, Eutanasia del marxismo, Mimesis, 2020.

[13]  Fëdor Dostoevskij, Il giocatore, 1ª ed. originale, 1866.

[14]  Giulio de Martino, La mente virtuale, Iacobelli 2015.

FAQ CORONAVIRUS 1 del dr. Giuseppe Imbalzano

AI LETTORI_ RIFLETTETE E CHIEDETE_GIUSEPPE IMBALZANO VI RISPONDERA’

FAQ CORONAVIRUS 1

del dr. Giuseppe Imbalzano[1]

 Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi.

Cosa è accaduto?

Un nuovo virus animale ha fatto il salto di specie ed ha infettato l’uomo.

È la prima volta?

No. Da sempre accade questo fenomeno tra specie che convivono insieme.

Una situazione come questa era inattesa?

No, da molti anni si preparano “piani pandemici” per evitare di farsi trovare impreparati. Non sappiamo chi sarà, ma qualcosa potrebbe succedere (e a volte succede).

E naturalmente questi piani di sicurezza e di emergenza servono per agire tempestivamente quando la situazione può essere necessaria.

Non sappiamo quando ci sarà un terremoto, ma se non siamo pronti non potremo intervenire con tempi di risposta brevissimi e utili a risolvere il problema per il bene di tutti, chiunque esso sia.

Se non si è pronti, l’intervento sarà tardivo e persino pericoloso ed inefficace.

Le ricette sono tante e se ne sceglie una per cucinare il problema.

La situazione era ignota?

Assolutamente no

Era stato attivato un sistema di allarme internazionale?

Si.

Errori e contraddizioni iniziali dalle informazioni (molto molto contraddittorie) provenienti dalla Cina?

Tanti e a lungo

E allora è indispensabile agire in modo più strutturato, organico e complessivo perché molti interventi vengono ritardati dalla assenza di informazioni tempestive e adeguate

Aerei dalla Cina che vengono fatti atterrare solo a Malpensa e a Fiumicino

Può essere sfuggito qualcuno dei nuovi arrivi? Certamente non tutto era ben determinato.

Anche prima dell’inizio della nostra riorganizzazione (infezioni che risalgono a dicembre dello scorso anno e forse prima, pipistrelli o meno)

Facile prendere il cittadino cinese chiuso in albergo già malato.

Difficile scegliere tra migliaia.

La scelta– la identificazione, secondo protocolli, per tutti i passeggeri, della ‘passenger locator card’ oltre allo scanning termometrico per i passeggeri atterrati.

La misura è efficace? Relativamente. Chi non ha febbre non è identificabile. Pare riesca a ritardare, per un periodo non lungo, lo sbarco dell’infezione nella nuova realtà territoriale.

Abbiamo più tempo per prepararci.

Sospensione dei voli dalla Cina dal 27 gennaio

La misura è efficace? Ormai l’infezione è presente in altre Nazioni e chi deve arrivare in Italia, anche dalla Cina, cerca soluzioni alternative.

E non sa neanche di essere infetto e poi malato. E gli arrivi da altre Nazioni non sono evidenti.

E se non è cinese meno ancora. E possono giungere da altre Nazioni che non abbiamo considerato. Magari italiano di ritorno.

Colpe delle scelte italiane?

Pare comunque difficile gestire un flusso tanto importante con certezze, malattia e con persone che non sono neanche identificabili.

Dare colpe? Polemiche?

Per spirito di autoflagellazione o altro?

Io l’avevo detto? Con quale spirito ed obiettivo?

Non risolve certo il problema di oggi.

Dopo numerose e lunghe informazioni non sempre chiare, con azioni locali che sospendono la circolazione interna ed esterna di 60 milioni di cittadini cinesi.

Dare colpa significa farlo nella piena gratuità di informazione. Siamo tra le Nazioni che hanno il maggiore interscambio economico con quella Nazione a livello mondiale.

I test e i tamponi, oltre ad essere stati predisposti da pochissimi giorni (gennaio), non sono infiniti e vanno testati, valutati e le raccolte di materiale devono essere idonee. Gli esami e i controlli eseguiti adeguatamente. Possono essere negativi ieri e positivi oggi. Possono essere negativi ma l’infezione può insorgere successivamente.

Solo chi ignora può pretendere o fare cose del tutto inefficaci.

Siamo in piena epidemia influenzale.

 

La sintomatologia delle due infezioni, influenza e coronavirus, è differente?

Non certo all’inizio

Come avviene l’infezione?

Semplificando, per contatto diretto (tosse, per via aerea, o contatto con le nostre mucose del materiale virale)

A che distanza? Breve – diciamo 2 metri. Questo materiale quanto resta vitale sulle superfici? Sembra alcune ore.

Si ammalano tutti?

No.

Quelli che si ammalano hanno tutti una patologia grave?

Assolutamente no.

Questo non è certo elemento che favorisca la individuazione dei casi e la soluzione dei problemi

Allora cosa è necessario fare?

Se non è arrivato nessun infetto, nulla.

Se la persona ha superato le barriere doganali nostro malgrado, sicuramente, in caso di malattia, raggiungerà il servizio sanitario in qualsiasi sede o forma, non appena ne avrà esigenza.

Perché la malattia, che per molti è del tutto insignificante, per alcuni vira in modo pericoloso in polmonite virale, non distinguibile dalle altre ma certamente neanche diagnosticabile e risolvibile senza le necessarie azioni di diagnosi e relativa cura.

E se sta male e va in pronto soccorso cosa accade?

Se il pronto soccorso è unico, se la sala d’attesa è unica, se l’ambiente è piccolo, se le persone non sono preparate, la diffusione è certa. Tutti i presenti ne verranno coinvolti.

Se l’ambiente è separato, ha tutti i sistemi di mitigazione del rischio attivati, se i test sono a disposizione e il personale ha idea che ci possa essere un problema reale e un rischio effettivo, la condizione, come nel 1770, colpisce con le pallottole i primi soldati che non sono ben protetti, ma impedisce la diffusione di un virus che non deve, perché nuovo e per il quale non abbiamo armi efficaci di contrasto, entrare nella circolarità quotidiana del nostro sistema sociale.

Ma una buona formazione, la disponibilità di strumenti di sicurezza idonei ne fanno non più dei fantaccini ma dei Signori Professionisti quali sono e di cui dobbiamo solo vantarci per competenza e professionalità di fronte al Mondo intero e dare loro rispetto.

Se non siamo preparati che accade?

Accade ciò che è accaduto.

E’ accaduto per caso o poteva essere evitato?

Chi ha portato il virus? Ormai non ci interessa se non per storia. E per polemica.

Ma non possiamo dire come sia avvenuto certamente e la polemica non risolve il problema.

Ma è possibile che sia arrivato anche prima di quando potessimo fare qualcosa.

 

[1] Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi.

 

COMUNITÁ E CRISI DA CORONAVIRUS, di Teodoro Klitsche de la Grange

COMUNITÁ E CRISI DA CORONAVIRUS

L’emergenza sanitaria ha fatto riscoprire a gran parte dei media il senso della comunità. Elzeviristi, attori, cantanti, politici, pensatori (veri e presunti), prelati constatano – e spesso auspicano – che la crisi ha ricostituito il senso e i rapporti di appartenenza collettiva. Secondo la maggior parte sarebbe stato distrutto da trent’anni di neo-liberismo; secondo altri da una globalizzazione che tende – neppure occultandolo – a demolire tutte le appartenenze particolari; altri  vi aggiungono diverse cause. La stragrande maggioranza mostra così sorpresa di questo collegamento tra crisi e crescita del senso (e dei vincoli) comunitari; ma di questo stupore la cosa più stupefacente è proprio che si sorprendano.  Perché il collegamento tra crisi e comunità è uno dei più noti da (almeno) venticinque secoli; tenendo conto che Tönnies nel “definire” la comunità ricorre alla “perfetta unità delle volontà umane come stato originario o naturale” nonostante la separazione empirica. A tale riguardo occorre che i vincoli comunitari prevalgano sulle differenze individuali, le quali non possono estendersi oltre un certo limite “perché al di là di esso viene soppressa l’essenza della comunità in quanto unità del differente”.

E dato che gli uomini sono tutti dotati di intelletto e volontà, oltre che di diverse attitudini, tendenze ed opinioni, di passare quel limite c’è sempre il rischio, come ci sono situazioni che lo facilitano ed altre che, di converso, rinsaldano i vincoli comunitari, tra cui le crisi. La più considerata delle quali da sempre è la guerra, e l’antagonista necessario, ossia il nemico, come già diceva Eschilo nelle Eumenidi: “E scambio ci sia di gioie nella comune concordia; e unanime odio ai nemici: delle molte calamità unica medicina è questa ai mortali”; e anche nel secolo scorso ne abbiamo avuti tanti esempi dall’Union Sacrée ai “gabinetti di guerra” composti da tutti i partiti (o quasi tutti), riflesso istituzionale dell’unità della nazione e della volontà di vittoria.

Meno compulsato è il rapporto tra crisi (non belliche) e vincoli comunitari; quello che l’Italia sta correndo in questi mesi, aggredita da un nemico che non è un gruppo umano, ma, come spesso nelle situazioni d’emergenza, un fatto naturale, come il terremoto (cui purtroppo siamo abituati) o le inondazioni.

In tutti questi casi il potere pubblico governa con misure eccezionali in deroga alla normativa ordinaria, la quale presuppone, come scrive Schmitt, una situazione normale, e pertanto diventa inadatta in una eccezionale. I giuristi lo hanno evidenziato, spiegato e ricondotto a principi: dalla necessità come fonte di diritto di Santi Romano, alla “forza che sacrifica il diritto per salvare la vita” di Jhering, tra gli altri.

Tutte riconducibili alle funzione di salvaguardia dell’esistenza ordinata della comunità da parte dell’istituzione politica (Hauriou).

Una spiegazione più “stretta” del rapporto tra crisi e comunità l’ha dato René Girard con la sua concezione del rapporto tra violenza e sacro. Secondo lo studioso francese, la crisi dissolve l’ordine sociale, ma dato che una comunità non può esistere senza ordine, attraverso il meccanismo vittimario (il capro espiatorio che viene sacrificato e dopo sacralizzato) lo si ricostituisce. L’esempio che (tra i tanti) Girard indica è l’ “Edipo re”, con la pestilenza che affligge Tebe, la scoperta della “colpa” di Edipo, la punizione che il re si auto infligge, prima di andare in esilio.

A prescindere dalla spiegazione del sacro, è chiara in Girard la relazione tra crisi e ordine comunitario, vincoli sociali, concordia (che in effetti significa cum cordia, ossia unione dei cuori id est pace e unità sociale, con relativizzazione dei conflitti intra-comunitari tra cives e relativa violenza). La concezione di Girard poggia tutta sul fond teologico dell’ordinamento, mentre quelle dei giuristi tengono conto prevalentemente sulla couche giuridico-istituzionale (Hauriou). La crisi così si configura come un indebolimento dei rapporti comunitari, ma anche come il passaggio a un ordine “altro” basato su elementi (totalmente e più spesso parzialmente diversi): dalla più semplice sostituzione del vertice (un re succede a un altro, come a Tebe dopo l’auto-esilio di Edipo) a quella del regime politico (da monarchico a aristocratico o democratico); a quella della “tavola dei valori” (come, quasi sempre, nelle rivoluzioni e nei mutamenti costituzionali moderni).

Tutti connotati da un rafforzamento/ricostruzione del senso (e dei vincoli) comunitari. I quali, senza voler annichilire il contrapposto (da Tönnies) idealtipo della società, sono quelli necessari all’esistenza di  una comunità, politica in primo luogo, Onde le crisi sono la transizione tra (diversi) ordini. È solo il quantum (dei vincoli e caratteri) del tipo ideale comunità (rispetto al contrapposto società) a connotarle rispetto alle situazioni normali. Contrariamente a quello che si pensa (o pensava) nei paraggi del politicamente corretto, per il quale la società globale d’individui commercianti e consumatori, è il destino.

Teodoro Klitsche de la Grange

CORONAVIRUS! UN’ANALISI SEMPLICE, MA NON TROPPO SEMPLICISTICA di Francesco Esposito

Riflessioni numeriche sulla diffusione del Coronavirus

Un’analisi rudimentale, sicuramente semplice, ma (si spera) non troppo semplicistica

La situazione globale

I dati sono raccolti da fonti diverse e riorganizzati paese per paese.

Siccome i vari focolai nazionali (e anche quelli più locali) sono comparsi in periodi diversi, se considerassimo la data avremmo grafici molto spostati l’uno rispetto all’altro e ci perderemmo le somiglianze. Considereremo quindi i dati a partire dal giorno in cui siano stati trovati più di 500 casi. Il giorno 1 in Cina corrisponde al 22 gennaio ed erano presenti 554 casi. In Italia invece il giorno 1 è il 27 febbraio ed i casi 588. L’intervallo temporale massimo è, per ora, di 60 giorni. Ovviamente la maggior parte dei paesi non ha dati completi ma si fermano attorno 15esimo giorno, poichè lo scoppio europeo è molto più recente.

 

Il primo passo è visualizzare il grafico con l’andamento dell’epidemia (ormai pandemia) nei vari paesi.

Le curve sembrano avere delle somiglianze marcate. Tali somiglianze sono più evidenti nei primi giorni, in cui ci sono i dati di tutte le nazioni.

Qualche osservazione:

  • La Spagna (in verde) sembra procedere addirittura “peggio” della Cina;
  • La Germania (in rosa) nell’ultimo giorno disponibile (ovvero il 13, corrispondente per loro al 17 marzo) ha più casi di quanti ne avessimo noi, ovvero ne ha 9367. Per noi il 13-esimo giorno era il 10 marzo e avevamo 9114 casi;

 

Chiaramente per capire quanto il Coronavirus sia duro per una nazione non basta considerare il numero di positivi, ma si devono considerare morti e posti in terapia intensiva. Purtroppo però i numeri sono talmente sbilanciati da risultare sospetti. Infatti in Germania risultano 2 ricoverati in terapia intensiva al giorno 13, in Italia ne risultavano 877. Verosimilmente il modo di contare i pazienti in terapia intensiva è significamente diverso. Francia e Spagna hanno ricoverati in terapia intensiva compatibili con quelli italiani. Invece gi USA sono allineati alla Germania, infatti ne hanno ad oggi 12 su oltre 7mila positivi.

Discorso simile per i morti ed il tasso di mortalità. Una differenza significativa si può attribuire a come il virus colpisca la popolazione: infatti colpendo la fascia più anziani ci saranno ovviamente più morti, al contrario colpendo la fascia più giovane i decessi scenderanno. Quali siano le fasce colpite inizialmente è fondamentalmente questione di fortuna. Nel tempo, in condizioni di espansione libera del virus, la differenza si azzererebbe, poichè sarebbero colpite egualmente tutte le fasce d’età. In Germania e Korea del Sud, per inciso, la popolazione colpita è molto giovane, mentre in Italia è molto più anziana. Inoltre anche la distribuzione complessiva della popolazione incide sul numero di morti (e quindi sul tasso di mortalità). Ciò non toglie che numeri così diversi fra l’Italia e la Germania producano il sospetto che ci siano diversi criteri per il conteggio dei decessi per Coronavirus.

 

Un’ulteriore questione da approfondire è quella dei positivi, infatti non tutti i paesi hanno la stessa strategia di controllo dei positivi. Per esempio in Korea del Sud sono stati effettuati tamponi a tappeto per trovare i positivi, così come da noi è stato fatto in alcune zone del Veneto. Al contrario gli Stati Uniti ne hanno fatti molti meno in rapporto alla popolazione, per ragioni legate alla struttura della sanità e probabilmente per l’iniziale sottovalutazione del rischio.

 

Mettendo in scala logaritmica l’asse y per “zoomare”, si vede ancora meglio quanto le curve si somiglino, con l’eccezione della Korea del Sud, che ha un andamento apparentemente diverso, con crescita praticamente (e fortunatamente, per loro) nulla.

La situazione italiana

Scendendo nel dettaglio italiano, la Lombardia al giorno 20 (cioè 17 marzo per noi) rappresentava il 46,41% dei positivi.

C’è una differenza notevole fra i morti in Lombardia (al giorno 20 erano 1640) e quelli nel resto d’Italia (che IN TOTALE erano 863). Dunque in Lombardia c’era il 65,55% dei morti totali.

Questo giustifica un’analisi che separi la Lombardia dal resto d’Italia.

Ad onor del vero la distribuzione della mortalità è molto disomogenea: per esempio l’Emilia Romagna ha il 16% dei morti totali, che rappresenta il 40% del totale dei morti in tutta Italia meno la Lombardia; in Piemonte il 5% del totale (133 in valore assoluto).

In Veneto invece, rispetto al numero di contagiati, ci sono meno morti.

 

Un punto da tenere a mente, come detto e ridetto in TV, è che le misure di contenimento mostrano effetti dopo il periodo di incubazione del virus, quindi gli effetti si vedono dopo un periodo che va dai 5 ai 14 giorni.

Se oggi qualcuno infettasse 10mila persone, non potremmo farci nulla anche se lo sapessimo e ne vedremmo gli effetti sulla curva dopo l’incubazione. Quindi se anche scoprissimo che in Puglia siano arrivati centinaia di infetti a generare nuovi focolai, l’esplosione avverrebbe in ritardo di vari giorni.

Inoltre, difficilmente il famoso picco sarà uno solo. Ne seguiranno probabilmente altri, così come seguiranno in Cina alla ripresa delle normali attività.

Fermo restando che fare previsioni precise è impossibile, le misure di allontanamento sociale (cioè simil-coprifuochi, distanze minime e simili) potrebbero dover essere mantenute a lungo.

Si nota bene che nei primi giorni l’espansione del virus in Lombardia è stata più forte che nel resto d’Italia, ma da qualche giorno la tendenza è invertita. Questo è probabilmente dovuto a due fattori:

  • in primo luogo l’isolamento forzato (e la chiusura delle scuole) è cominciato prima,
  • in secondo luogo ci sono stati massicci spostamenti verso il sud.

L’effetto complessivo degli spostamenti verso il sud potrebbe non essere ancora visibile in toto, visto che il tempo di incubazione può arrivare circa a due settimane e gli spostamenti sono continuati fino a due giorni fa (cioè 16 marzo). Comunque gli spostamenti dell’8 marzo sono probabilmente già incorporati nel grafico (che arriva al 17 e copre il tempo di incubazione medio di 7 giorni).

Gli spostamenti comportano da un lato lo sgravio degli ospedali del Nord, alleggeriti di nuovi potenziali casi, dall’altro l’apertura di nuovi focolai al Sud. Ciò non è comunque positivo, giacchè un conto è spostare i malati dagli ospedali del Nord a quelli del Sud via SSN, un altro conto aprire “volutamente” focolai altrove, senza certezze sulla loro evoluzione.

 

Un altro punto interessante è che la curva lombarda abbia la stessa “forma” di quella italiana (e delle altre nazioni). Ciò significa di fatto che i singoli focolai (anche se in realtà in Lombardia non c’è un singolo focolaio, ma molti insieme) si comportano come la curva globale. Questo a sua volta ci può aiutare nel formulare ipotesi successive: una volta raggiunto il (primo) picco in Lombardia è probabile che seguirà anche altrove. Allo stesso modo, se allentando le misure di controllo in Lombardia si dovesse notare una forte ripresa, sarebbe molto probabile che seguirebbero altri picchi anche nel resto d’Italia. In questo senso la Lombardia potrebbe essere la cartina al tornasole dell’efficacia della lotta al virus, per via dell’anticipo con cui sembra procedere.

 

La domanda (da cui dipenderà la tenuta del SSN) dei prossimi giorni sarà: le altre regioni arriveranno ai numeri della Lombardia?

Dividendo i dati regione per regione si nota che i candidati primari potrebbero essere Emilia Romagna e Veneto. Per le altre regioni l’isolamento dovrebbe aver bloccato la crescita della curva, e lì la domanda critica sarà: cosa succederà quando la vita riprenderà più-o-meno normalmente?

 

Guardando questi grafici si nota, in modo molto rozzo, che almeno per quanto riguarda le prime regioni per numero di contagi la distribuzione rimane fondamentalmente la stessa nonostante la scala dei contagi aumenti.

Sempre con enorme approssimazione potremmo dire che il rapporto Lombardia vs Emilia Romagna sia circa 4 a 1. Dunque si potrebbe forse sperare che lì i numeri non raggiungano quelli della Lombardia.

Quest’ultimo grafico sembra confermare che i contagi in Emilia Romagna e Lombardia crescano nello stesso modo, mantentendo quasi fisso il rapporto di circa 4 a 1 osservato prima.

 

Seguiranno articoli analoghi sulla mortalità e l’ospitalizzazione, la situazione internazionale e qualche previsione.

Referenze e link utili

 

 

Per altre informazioni: youbiquitous.net oppure instagram.com/fesposi

I COSTI DEL NON FARE O DEL NON FARE BENE, del dr Giuseppe Imbalzano

Il dottor Giuseppe Imbalzano ha letto il mio articolo su I due stili strategici di gestione dell’epidemia a confronto[1] e mi ha scritto questa lettera di commento, che pubblichiamo ringraziandolo di cuore.

Quel che dice va ascoltato con molta attenzione, perché il dottor Imbalzano ha le competenze e l’esperienza necessaria per parlare a ragion veduta: si veda qui un piccolo estratto dal suo curriculum professionale.

Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi._Roberto Buffagni

P.S.: ci diamo del tu perché coetanei, ma sinora non ci conoscevamo.

 

Carissimo Roberto,

Hai uno stile forte, una concatenazione e una liquidità, una armonia nella lettura che affascina per semplicità e decisione, immediato, salta agli occhi e entra nel cuore.

Ma pensavi d’essere stato cattivo, deciso, e invece, sei stato buono, delicato, quasi pietoso.

Il tuo pennello sorprende per la durezza dei valori che esprimi, ma è stato al di sotto della realtà.

Hai scoperto il nervo e le lacune del mondo civile.

Quel che serve, quello che dovrebbe essere, quello che dovrebbero conoscere.

Il costo infinito.

Per fare prevenzione di comunità è necessario avere un sistema già operativo e pronto all’intervento sempre e comunque. Un impegno che pochi hanno, una rete pronta sempre.

La Germania, GB e le altre Nazioni non hanno un sistema di prevenzione sanitario sempre pronto, attivo, e universale.

Che si preoccupi della salute e del benessere dei cittadini, che lavori sempre e verifichi ed allontani i pericoli e i rischi che abbiamo, che si presentano, che si manifestano improvvisamente, laboratori di sanità pubblica, servizi per la sicurezza degli alimenti e per la nutrizione, di igiene ambientale, degli ambienti confinati, alle vaccinazioni, ai controlli per l‘acqua e quanto sia utile per l’intera comunità, oltre alla medicina del lavoro per la sicurezza dei lavoratori.

Costa ed è vero, ma è un sistema silenzioso e prezioso, è il nostro sistema di garanzia.

Non è solo costo, per fortuna non infinito, ma vigilanza costante, rigoroso strumento e barriera per il nostro benessere. E il tempo di gestire e formare il personale, di creare medici ed esperti solo per la sicurezza non è né breve né semplice.

E se c’è una infezione individua i casi e li assiste e li protegge, e protegge tutti noi.

Selezione della specie

Con questa infezione abbiamo scoperto che esiste un nuovo modello di selezione umana, della comunità, basato sul rapporto costo /utilità, “abituatevi a perdere i vostri cari”.

Non che non ci fosse in passato, Sparta docet, ma così lucida, chiara e definita, forse non l’abbiamo mai ascoltata negli ultimi 75 anni.

E in una culla della democrazia, della Magna Charta, della Costituzione, del diritto moderno.

La selezione non della razza, ma dell’utilità.

“Hai reso tutto quello che potevi al tuo Paese, hai bisogno di pensione e medicine, di badanti, carrozzine e di carezze, beh, adesso grazie.”

Un bel risparmio per il Welfare Nazionale.

Con occhi pungenti, lucidi, ben biondo e alla moda di oggi, scapigliato.

Ma senza sforzi particolari, anzi, una bella sforbiciata di inutili soggetti.

Un Flauto Magico e tanti anziani dietro (non bambini, questa volta).

Le infezioni non colpiscono gli anziani per forza, questa in particolare ha un tropismo verso le età non infantili (forse per “l’eccesso” di vaccinazioni dei bambini, come si sta cercando di capire) e come tutte le malattie, tende ad infierire su alcune categorie in particolare (anziani e patologie cronico degenerative nel nostro caso).

La scelta biologica ideale (e poi dicono che non l’hanno creata in laboratorio in Inghilterra…)

Ma tranquilli, colpisce tutti, senza preoccuparsi della carta di identità, dell’anno e del secolo di nascita.

Magari non muoiono, ma hanno bisogno di cure anche loro.

E poi tutta la famiglia del malato, se lo lasciano in casa con gli altri.

Ma il virus lo hanno creato difettoso!

Ahi ahi ahi la genetica!

È letale ad una certa età, ma non sempre è lieve per gli altri.

Per molti, diciamo 80%, passa veloce e non si sente per nulla o quasi, ma per il 20% più o meno dopo una settimana cominciano i guai, ossigeno, terapia intensiva, rianimazione o ECMO. E farmaci. E assistenza in ospedale.

Ma dove li trovo se i malati, mal educati di loro, si presentano, in ambulanza, tutti insieme?

E non solo quelli passati di età e buoni solo a chiedere pensioni, assistenza e medicine.

Ci sono autisti, elettricisti, idraulici, operai, vigili urbani, pompieri, poliziotti, soccorritori, medici ed infermieri tutti insieme e non sempre, adesso, che salvano la vita agli altri.

Selezioniamo anche lì, prima di spendere per chi non sopravvivrà sicuramente. Ma tra questi, chi ha più diritto? E poi hanno anche la pretesa di essere assistiti per due o tre settimane. E poi non è finita ancora.

Ah, ma erano rimasti a casa?

E allora tra 7 giorni dobbiamo ospitare tutta la famiglia.

Ma non abbiamo più posti!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

E allora siamo tranquilli, non dobbiamo decidere più.

E anche i giovani perdono la vita in questa roulette dello Stato dove esce sempre e soltanto lo zero.

E non è più l’1% atteso e tanto benefico per lo Stato

Ma, e di più, non hanno età e nome e cognome

Si ammala il 60%?

No, assolutamente.

Non faranno in tempo.

Neanche la fortuna di ammalarsi con la collaborazione di questo prezioso corredo virale nuovo nuovo nuovo.

I nostri esperti internazionali devono aver studiato su un notissimo libro di virologia, igiene e programmazione sanitaria, di un quasi Premio Nobel- Ammiocuggino ha gli orecchioni

Cos’è successo, che non ce ne siamo accorti?

Che si ammalano quelli che hanno maggiori rischi per sede o per lavoro

Personale sanitario- personale viaggiante- autisti- servizi h24 con scopertura di turni e sospensione di servizi

Ospedali- trasporti- servizi essenziali (elettricità gas acqua carburante supermercati consegne a domicilio banche assicurazioni borsa pensioni stipendi computers semafori e treni, prodotti per la sicurezza farmacie ossigeno, spazzatura e tutto ciò che è socialmente utile, polizia, esercito, pompieri, e tutto quello che vi viene in mente, il sistema di sicurezza, il sistema sociale, telefoni e cellulari, il pc da cui state leggendo und so weiter)

E così sia.

E cadaveri ovunque, nella peggiore rappresentazione di una peste indotta e lasciata correre.

Ed è poco più di una influenza, come molti si sono affaccendati a raccontare dalle Poltrone e dal loro ruolo di Amministratori.

Tutto il sistema sociale viene sospeso e l’intera Nazione è paralizzata

Ma questo molto molto molto prima che il 60% venga colpito dall’infezione

Malta la possiamo soccorrere, e fino ad un certo punto

La GB no

Il ponte sotto la Manica è bloccato e tutto il Paese è isolato

I traghetti non hanno carburante e manca elettricità per i servizi

I fari saranno spenti

E nessuno che raccolga la gomena se vogliamo attraccare

E la rete 5G sarà disponibile alle generazioni future di polacchi che arriveranno sull’isola

Non è fantascienza, è fantasia di chi immagina che tutto vada e segua in modo ordinato la pellicola, il film, la narrazione che si è creata e che ci racconta.

Che forse Alain Deneault abbia ragione che siamo governati da una mediocrazia?

«Non c’è stata nessuna presa della Bastiglia, niente di paragonabile all’incendio del Reichstag, e l’incrociatore Aurora non ha ancora sparato un solo colpo di cannone. Eppure di fatto l’assalto è avvenuto, ed è stato coronato dal successo: i mediocri hanno preso il potere»

Ed è il tradimento del patto democratico, io ti eleggo e tu mi proteggerai e mi farai vivere meglio, tranquillo e a lungo.

Un patto fondamentale della nostra comunità. Della democrazia.

Chi avrà fatto un intervento di prevenzione dello sviluppo infettivo ed eradicato l’infezione (come da indicazioni dell’OMS) invece avrà preservato la propria popolazione a rischio e il proprio sistema sociale di supporto alla gestione della comunità

Un vero progetto criminale, l’altro.

E senza arrivare al 60% perché non ci sarà più popolazione vivente dopo pochi giorni

L’acqua non arriverà più e il cibo non sarà disponibile, la polizia non sarà attiva e tutti gli incidenti non saranno assistiti

Le proiezioni di Johnson o altri sono fatte da chi non sa dove e perché vive bene.

I morti non saranno 100.000

E chi andrà in GB per soccorrere dovrà essere ben protetto perché le salme saranno infinite.

E i topi, vivi, pulluleranno a milioni.

Non ricevendo più cibo nelle fogne usciranno tutti. E loro sono indenni dall’infezione.

Gli altri animali, quelli che necessitano di cure ed assistenza, non ci saranno più.

Chernobyl nel suo sarcofago di cemento sarà una cartolina da primavera rigogliosa.

Le centrali nucleari non saranno più governate e armi, aerei, missili e bombe atomiche saranno preda di chi arriverà per primo.

L’effetto Dunning-Kruger è una distorsione cognitiva a causa della quale individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità auto valutandosi, a torto, esperti in quel campo, mentre, per contro, persone davvero competenti tendono a sminuire o sottovalutare la propria reale competenza. Come corollario di questa teoria, spesso gli incompetenti si dimostrano estremamente supponenti (da Wikipedia).

E sono ovunque.

Forse i costi del non fare superano i benefici del fare.

 

 

[1] http://italiaeilmondo.com/2020/03/14/epidemia-coronavirus-due-approcci-strategici-a-confronto-di-roberto-buffagni/

La prossima fase della lotta cinese contro il Coronavirus, di Phillip Orchard. Traduzione di Piergiorgio Rosso

Un colpo da maestro. Il gruppo dirigente del Partito Comunista Cinese è riuscito in queste ultime due settimane in un miracolo. E’ riuscito a ribaltare, almeno in Europa e in Italia, la percezione della propria immagine di primo responsabile della propagazione incontrollata del coronavirus all’interno e della sua diffusione all’esterno. Il danno politico legato all’attività censoria e agli iniziali ritardi nella informazione, dovuti verosimilmente in parte a timori di ordine pubblico e di lesione di immagine e in parte alle necessità di predisposizione di un apparato operativo funzionale sono stati compensati dal successo quantomeno momentaneo nel contenimento del virus dovuto ai draconiani interventi di isolamento, pur al netto delle presumibili manipolazioni di dati che riguardano la Cina al pari degli altri paesi. Le condizioni oggettive favorevoli all’incubazione di epidemie, in parte dovute a ragioni climatiche, ma in parte a condizioni socioeconomiche, in un breve lasso di tempo sono scivolate nel dimenticatoio di fronte all’espandersi dell’emergenza e alla rimozione, alla imperdonabile sottovalutazione ed improvvisazione almeno iniziale con le quali si è affrontato il problema dei focolai rispettivamente in Iran, in Iraq, in Italia e via via negli altri paesi. La successione temporale e geografica della propagazione, al netto delle evidenti manipolazioni dei dati in corso nei vari paesi, indicano e confermano l’origine e il percorso di diffusione. A questa confusione ed allarme crescenti si sono sovrapposte delle vere e proprie campagne ossessive riguardanti l’origine artificiale del virus e la volontarietà della diffusione. Non che l’ipotesi sia inverosimile. A Wuhan ci sono laboratori appositi dediti alla ricerca e manipolazione dei virus e un incidente che possa aver provocato la fuga del virus rimane una ipotesi plausibile; manipolazioni destinati presumibilmente ad uso civile, quanto militare. Ne è seguita invece una vera e propria battaglia mediatica e di manipolazione informativa tesa ad attribuire la responsabilità a l’uno o all’altro, ai cinesi o agli americani. L’esito di questa battaglia, specie in Italia e nel gossip internettiano, sembra volgere decisamente a favore della Cina. Una schiera di adepti sembra essere colta da furore indomito nel cavalcare questa onda; furore che nella gran parte dei casi si riduce a fungere da gran cassa più o meno inconsapevole sulla base di spartiti scritti da altri. In un prossimo articolo mostreremo come l’esasperazione delle teorie più complottistiche e allarmistiche, venute alla luce negli ultimi decenni, nascono proprio da fonti equivoche di quel paese, gli Stati Uniti, oggetto degli strali dei più accaniti partigiani della polemica antiamericana. Tanto accaniti per altro, quanto dannosi alla causa del recupero delle prerogative di sovranità della nostra nazione e del nostro stato, gravemente compromesse dalla catastrofe militare del ’43 e dalla qualità delle classi dirigenti specie degli ultimi tre decenni. Si sa però che le vittorie mediatiche spesso e volentieri non coincidono con la vittoria della verità. Quest’ultima probabilmente non verrà mai alla luce. Quello che appare chiarissimo, purtroppo, specie in Italia, è la capacità di assorbimento acritico delle informazioni più astruse e la propensione partigiana di abbeverarsi fideisticamente ad una delle due fonti secondo le proprie propensioni di fedeltà e sudditanza. Entrambi i burattinai hanno agito da maestri, i cinesi più degli americani. Trump ha parlato di virus cinese; le varie ambasciate cinesi, nelle telefonate e nelle voci insinuanti fatte circolare, parlano di virus giapponese, americano, tedesco o italiano a seconda degli interlocutori. I secondi, forti della loro esperienza plurimillenaria, stanno prevalendo sui primi anche su questo aspetto, almeno per il momento. Il colpo da maestro lo si è raggiunto con la fornitura di aiuti, pervenuti all’Iran, all’Iraq e poi all’Italia a fronte di un comportamento meschino e cieco dei paesi fratelli europei e dell’assenza di un qualsiasi gesto da parte americana. Nelle more buona parte degli aiuti giunti da Pechino sono destinati alle comunità cinesi in Italia, tra le quali quella milanese che conta alcune decine di migliaia di immigrati provenienti dalla regione di Wuhan. Onore al merito della lungimirante diplomazia cinese. E onore alla sua capacità di influenza e controllo militare e “comunitario” delle proprie comunità all’estero. Decisamente sconfortante, al contrario, il comportamento dei tifosi del Bel Paese i quali pur di liberarsi dal gioco di un padrone non esitano ad accettare, a volte senza nemmeno accorgersene, di buon grado il giogo dell’altro contendente. L’esito di questo atteggiamento l’abbiamo già conosciuto in altri secoli bui, con il nostro suolo calpestato da più padroni a volte in contrasto e a volte in collusione tra di loro, comunque ai danni nostri. Se si cominciasse a mettere in secondo piano l’aspetto “affettivo” nelle relazioni internazionali e nelle logiche geopolitiche, si individuerebbero più facilmente i limiti, i punti critici e i lati oscuri dei rapporti di dominio instaurati tante dalle potenze emergenti che da quelle impegnate a difendere le posizioni egemoniche consolidate. Rappresenterebbero esattamente gli spazi di opportunità ed agibilità di una politica più autonoma ed indipendente, di costruzione di una identità nazionale politicamente più salda. Alzare la testa e saper guardare con i propri occhi comporta però dei rischi; per degli uccellini vissuti in gabbia la fuga da una porticina aperta il più delle volte si risolve comodamente con il ricovero rassicurante in un’altra gabbia. Non è detto, tra l’altro, che essa sia alla fine più accogliente. Gli sviluppi legati a questa crisi saranno tutti lì a dimostrarlo. La simpatia e l’affinità culturale verso un popolo, nella fattispecie cinese, non deve comportare una subalternità o peggio ancora la ricerca di un nuovo protettore, pena il deterioramento dei rapporti di amicizia. Buona lettura_Giuseppe Germinario

La prossima fase della lotta cinese contro il Coronavirus

[https://geopoliticalfutures.com/the-next-phase-of-chinas-fight-with-the-coronavirus/] di  Phillip Orchard – March 13, 2020

 

Il Partito Comunista Cinese vorrebbe farci sapere che sta vincendo la guerra contro il coronavirus e che tutti noi dobbiamo ringraziare Xi Jinping. Questo è stato il messaggio centrale dei media statali cinesi nelle ultime settimane, segnando un importante punto di svolta nella crisi. Internamente, la massiccia mobilitazione della Cina contro il virus sembra aver frenato la marea, con il tasso di crescita delle nuove infezioni che rallenta a valori a singola cifra e l’industria cinese che sta tornando al lavoro con cautela. E mentre l’epidemia è diventata una pandemia, le risposte a chiazze dei governi occidentali hanno messo in una luce più favorevole sia i passi falsi fatti di Pechino all’inizio, che i suoi successivi successi.

E’ stata una fortuna per i propagandisti di Pechino, che ora possono richiamare l’attenzione sui trionfi della Cina e sui problemi del mondo. Il loro messaggio ha anche chiarito che Xi e il suo circolo interno emergeranno intatti dalla crisi sanitaria – e forse anche più forti. Xi ha comandato le battaglie decisive della “Guerra popolare” contro un nemico invisibile, almeno secondo i media statali intenzionati a elevare il presidente a uno status simile a quello di Mao.

Ma se Xi è al sicuro sul suo trono, il suo regno non lo è. L’economia cinese, per dirla chiaramente, è in pessime condizioni. Quasi tutti i problemi che Pechino non era riuscita a risolvere sono stati peggiorati di un ordine di grandezza dalla crisi del coronavirus. E mentre il virus che diventa globale potrebbe rappresentare un colpo di striscio alla iper-macchina cinese, la sua diffusione potrebbe benissimo chiudere le strade più promettenti del paese verso una rapida ripresa.

La battaglia di Xi

Un mese fa, il CCC stava vacillando. L’epidemia era diventata quasi incontenibile e la struttura decisionale strettamente centralizzata di Xi sommata ad una cultura della censura, erano almeno in parte responsabili. Ciò ha creato pressioni sia in patria che all’estero, costringendo Pechino ad attuare una svolta verso la “campagna dei cento fiori” di Mao, allentare le restrizioni ai rapporti indipendenti e censurare i social media con un tocco più leggero. Lo sdegno che seguì, in particolare dopo la morte del dottore Li Wenliang, fece paura a Pechino, costringendola a una serie di mosse goffe per soffocare il dissenso. Pechino fu anche costretta a rinviare il suo Congresso Nazionale annuale, su cui il PCC fa affidamento per allineare i meccanismi dello stato con la sua agenda. Per gran parte di questo tempo, lo stesso Xi era chiaramente assente dai riflettori. Quando il governo centrale ha finalmente lanciato una campagna per dimostrare il suo comando nella risposta alla crisi, non è stata guidata da Xi ma dal Premier Li Keqiang, la figura più vicina a Xi rispetto a un rivale del Comitato permanente del Politburo. Ma non appena apparve chiaro che la crisi avrebbe raggiunto il picco, all’inizio di febbraio, Xi è tornato saldamente di nuovo in scena.I pilastri del potere in Cina sono spesso descritti come “le tre P”: l’Esercito Popolare di Liberazione [PLA in inglese – NdT], il personale e la propaganda. E diventando il volto pubblico della risposta del governo, Xi ha dimostrato di controllare ciascuna di esse. All’inizio di febbraio ha schierato l’esercito, che gli risponde direttamente come presidente della Commissione militare centrale e che era stato notevolmente assente dalla risposta di gennaio, per costruire ospedali, trasportare forniture, garantire l’ordine pubblico e inviare medici in prima linea a Wuhan. Se Xi avesse perso il controllo delle nomine del personale chiave, non sarebbe stato in grado di sostituire la leadership del partito nella provincia di Hubei con una coppia di suoi fedelissimi. Infine, la macchina della propaganda è andata a tutto regime per fare del Presidente un leone. I media statali hanno iniziato a riferirsi al presidente come “il leader del popolo” e soprattutto, durante la tanto attesa visita di Xi a Wuhan questa settimana, equiparando la sua leadership nella lotta contro il coronavirus al comando di Mao sulla vittoria della guerra civile del Partito Comunista nel 1949. Questo rappresenta più di un mero simbolismo. Elevando efficacemente Xi allo status di Mao, il Partito Comunista sta legando la propria legittimità ancora più strettamente al culto della personalità di Xi, rendendo quasi impossibile per i rivali sloggiarlo.Tuttavia, ci sono almeno altre due “P” che contano. La prima è il pubblico, che per ora sembra sostenere ampiamente il PCC. A dire il vero, ci sono sacche di malcontento per la cattiva gestione di Pechino – e non solo nei circoli dei social media all’interno dei quali ingannare con astuzia i censori è diventata una forma d’arte. I medici di Wuhan non hanno smesso di parlare della soppressione da parte del governo della informazione sul virus. Un discorso particolarmente ottuso tenuto dal capo del partito di Wuhan che chiedeva una “campagna di educazione alla gratitudine” per i residenti della città prima del tour di ispezione di Xi, è stato affossato dai censori dopo aver ottenuto così tanti contraccolpi. E i video trapelati hanno mostrato che il vice premier cinese Sun Chunlan è stato inondato di insulti da cittadini in quarantena durante la sua visita a Wuhan. Ma questo deve ancora tradursi in un qualsiasi tipo di movimento di massa per le strade.Ciò è dovuto in parte al fatto che il paese è stato effettivamente bloccato. (In effetti, i sistemi di controllo digitali messi in atto per combattere la diffusione del virus saranno utili per combattere i tentativi di mobilitazione contro il governo in futuro.) Anche perché non si vede in giro nessun esponente o partito di opposizione di rilievo. (Questo è il motivo per cui qualsiasi segno di una divisione importante nel PLA o nel Politburo sarebbe così importante). Ma il potere della macchina mediatica dello stato non dovrebbe essere sottovalutato. La propaganda è più efficace quando contiene noccioli di verità. Pechino può ragionevolmente indicare i blocchi in Italia e altrove per sostenere che la sua risposta era entro i limiti accettabili e potrebbe indicare la grave carenza di maschere mediche, kit di test, letti d’ospedale e così via in luoghi come gli Stati Uniti per sostenere che, qualunque siano i suoi difetti, il modello di governo del PCC è superiore alle democrazie occidentali in una crisi.La guerra non è finitaL’altra “P” è la prosperità. La crescita a rotta di collo stava già diventando impossibile da sostenere. A febbraio l’economia si è effettivamente fermata. Circa un terzo delle imprese cinesi rimane chiuso, e molte altre operano solo a capacità parziale. Come è stato chiarito dai dati anemici sulla crescita del credito pubblicati questa settimana, le croniche difficoltà di Pechino per ottenere liquidità per le piccole e medie imprese – che rappresentano fino all’80% dell’occupazione in Cina e più della metà delle quali afferma di poter usare i loro risparmi per massimo due mesi – persistono. Anche il “sistema bancario ombra” ha toccato un minimo da tre anni, a febbraio. Questa è una buona notizia per la battaglia a lungo termine di Pechino contro prestiti sconsiderati, ma è una cattiva notizia nell’attuale contesto.Abbiamo notato che la Cina sarebbe ragionevolmente ben posizionata per un recupero a “V” una volta che potesse contenere il virus abbastanza da riavviare il suo motore di produzione, vale a dire fino a quando potesse evitare lo sfondamento dei rischi sistemici nel settore finanziario o immobiliare. Fondamentalmente quello che è successo dopo l’epidemia di SARS nel 2003. Una volta che le persone potranno effettivamente tornare a lavorare in massa, non sarà difficile riavviare i settori delle fabbriche e dei servizi cinesi.Il ritmo della ripresa dipenderà quindi principalmente dalla domanda. La massiccia spesa per gli stimoli e il settore statale aiuteranno. Ma con la perdita di massa dei salari a breve termine che potrebbe trascinare verso il basso il consumo interno per almeno un mese o più, il consumo esterno sarà di nuovo la chiave.Questo è il motivo per cui la diffusione globale della crisi è un grosso problema per la Cina, soprattutto perché sta avvenendo a un ritmo che potrebbe durare mesi e potrebbe risalire nuovamente in autunno. Interruzioni prolungate degli scambi sarebbero abbastanza gravi per le esportazioni cinesi, che sono diminuite di oltre il 17% solo a gennaio e febbraio. Più le economie europee e statunitensi rallentano, più la domanda occidentale di beni cinesi si prosciugherà. In questa luce, i peggiori scenari come quelli presentati dalle Nazioni Unite che prevedono un colpo di $2 trilioni di dollari al prodotto interno lordo globale, sembrano in qualche modo ottimisti.

(click to enlarge)

Nel frattempo, lo stress sui mercati finanziari in Occidente – combinato con la probabile spinta alle forze politiche anti-globalizzazione e l’ampia consapevolezza tra le multinazionali che le catene di approvvigionamento sono diventate eccessivamente dipendenti dalla Cina – ridurranno gli investimenti e i flussi di capitali verso la Cina. Nonostante l’impressionante capacità della Cina di individuare ogni singolo contagiato da virus in ogni singola porta delle fabbriche o degli aeroporti, non è impossibile che il virus ritorni. Altre quarantene di massa, ovviamente, potrebbero essere incalcolabilmente dirompenti. (Un lato positivo del rallentamento globale per Pechino: il crollo dei prezzi del petrolio avrà effetti contrastanti sull’economia cinese, ma nel complesso farà più bene che male.)Da quasi un decennio eravamo in attesa del prossimo grande shock che avrebbe testato la resilienza del sistema guidato dal PCC. L’ipotesi era che lo shock più probabile sarebbe venuto da forze esterne. Si scopre che lo shock è arrivato dall’interno, si è diffuso nel resto del mondo e ora sembra probabile che ritorni indietro. Non c’è nulla che i propagandisti cinesi possano fare a riguardo.

PREVISIONI BRITANNICHE, di Pierluigi Fagan

PREVISIONI BRITANNICHE. Secondo la PHE britannica (Ministero della Sanità), l’epidemia di CV, durerà fino alla primavera 2021 con un calo estivo ed un ripresa nel prossimo autunno-inverno. In questa sua, inarrestabile, diffusione, infetterà circa l’80% della popolazione. Stimano 8 milioni di ricoverati, (spalmati non uniformemente nell’anno epidemico aprile 2020-aprile 2021) e circa 320.000 morti con un rate tra infettati complessivi (asintomatici, sintomatici influenzati a casa e sintomatici problematici e gravi ricoverati) dello 0,6% di quell’80%. Se fossero invece ad un rate dell’1% i morti sarebbero 530.000. Questo non è un post su come gestire il fenomeno, se all’inglese o all’italiana (tema interessantissimo che discuteremo a parte), è un post sulla attesa dimensione del fenomeno in quanto tale che rischia di rimaner più o meno tale a prescinder da come i diversi Paesi decideranno di gestirlo.

Alcune considerazioni:

1) la biologia non è l’ingegneria, le cifre dei fenomeni biologici non vanno prese alla lettera ma come media possibilmente oscillante tra +/-;

2) il PHE, come alcuni hanno fatto notare in questi giorni generando discussioni anche accese, ritiene che il virus non possa esser debellato se non con vaccino o medicinali oggi ancora in fieri. Tali medicinali sono in studio e creazione. Ma il protocollo int’le prevede –credo- un test topi e almeno tre test successivi su gli umani, poco più di un anno di tempo, di solito, prima di poter esser messi in circolazione. WHO però, potrebbe decidere di semplificare alcuni passaggi ed in assenza almeno di gravi effetti collaterali, autorizzare in via eccezionale una più precoce diffusione sperimentale di massa. A Pomezia dove una joint italo-britannica sembra esser molto avanti (vaccino) stimano comunque una eventuale operatività accelerata non prima di questo autunno-inverno. Altro discorso per medicinali che aiutano la gestione delle crisi respiratorie che diventano letali, su cui sono in corso altre sperimentazioni;

3) il virus non potrà mai esser fermato completamente perché anche ne rimassero in giro pochissismi esemplari, si riattiverebbe comunque la catena trasmissiva daccapo. Su dove, come e quanto resista il virus fuori del corpo umano, non ci sono certezze. Pare comunque resista quindi anche in assenza di casi conclamati per un po’ di tempo, potrebbe sempre rimettersi in circolo. Ovviamente, stante che non si potranno tenere i singoli Paesi ermeticamente isolati gli uni dagli altri per un anno, il circuito va inteso in senso ampio. La logica globale del CV è paradossale per noi, da una parte ti dice che l’alta interrelazione lo favorisce, dall’altra ti dice che, stante che anche minimizzandola non la puoi eliminare del tutto se non per brevissimi periodi, siamo parti di un unico sistema comunque tu decida di gestire tali interrelazioni.

4) gli indici di una contaminazione all’80% o un rate infettati/morti dello 0,6% o dell’1.0%, sono stime. Potrebbero esser 70%, l’indice potrebbe esser 1,5% – 1,0% – 0,5%, siamo a grana grossa, le cifre esatte le avremo solo fra qualche anno visto che il fenomeno non ha storia precedente su cui basarsi. Siamo dunque nel campo delle ipotesi. Ho usato fonti britanniche visto che queste sembrano -per alcuni- le meno colpite da virus sansazionalistici.

Ricordo che: 1) per quanto i morti siano il dato più clamoroso che attira la nostra attenzione, i dati da tener sottocchio sono due: A) i morti; B) gli ospedalizzati più o meno gravi. PHE, stima in 12% questi secondi sul totale popolazione, 15% sul totale infettati (80% della popolazione). Nessun sistema sanitario la mondo è in grado di gestire tali cifre, se non provando il più possibile a spalmarle in modo il più orizzontale possibile nei prossimi 12 mesi. Sul come farlo ci sono varie strategie, quella cinese , quella coreana, quella italiana, vedremo poi quali altre una volta che UK, Germania ed USA arriveranno a tassi di contagio più ampi.

Applicando gli indici dello studio britannico qui da noi, sarebbero tra i 5.5 ed i 7 milioni di ospedalizzati in un anno, con tra circa 250.000 – 500.000 morti in dodici mesi. Morti che si confermano per lo più (non del tutto ma grandemente) nella fascia anziana con da 2 a 4 patologie pregresse. Tra le patologie, si trovano anche i semplici diabetici, gli ipertesi, quelli con cuore un po’ ballerino. Qualcuno ancora sostiene la tesi CV=influenza, ma per quanto i dati siano disomogenei, si stima mi pare tra soli 4.000 a 10.000 i morti annui per complicazioni da virus influenzale, e molti ma molti meno ospedalizzati. Quell’equivalenza quindi non sembra avere senso.

Conclusioni: 1) questo studio britannico si muove sul solco di altri (un australiano, uno mi sembra americano) che rimangono per lo più secretati o poco pubblicizzati visto che danno una dimensione del problema piuttosto evidente e chiaramente, si cerca di non allarmare più di tanto le già allarmate popolazioni; 2) siamo nel campo di ipotesi su ipotesi ma A) non si può far a meno di fare ipotesi; B) questo è quello che si può fare stante dati, esperienze, conoscenze incomplete e senza storia pregressa; 3) chiaramente, il fenomeno sembra mostrarsi con un profilo davvero epocale ed a suo modo catastrofico intendendo questo termine per etimologia (καταστρέϕω «capovolgere»). Molti parametri della nostra vita associata vanno in capovolgimento.

Aggiungo una mia riflessione veloce che giustifica questo stesso post. Dal momento che c’è la fondata previsione andremo incontro a tempi di molteplici capovolgimenti, su quali aspetti e con quale intensità è tutto da vedere, chi se la sente, potrebbe cominciare a dar vita ad un dibattito di accompagno del fenomeno. La storia diventa, in questo periodo, una materia malleabile. Alcune forze potranno dar forma a questa storia, più che in passato. C’è da aumentare la nostra riflessione, la nostra facoltà previsionale della cascata degli eventi, preparare la partecipazione a gli stessi eventi. Si apre una finestra di contendibilità delle forme sociali, tramite la politica. Veniamo tutti da decenni di anestesia intellettiva e soprattutto di impotenza politica, di arrendevole pessimismo, di sviluppo della sola funzione critica passiva. La nostra vita associata verrà sconvolta dal passaggio dell’angelo della storia ed il futuro non è scritto. E’ il momento di prender la penna, collegare la mano al cervello, le menti tra loro, è mettersi nella nuova condizione di scriverla assieme questa storia. Altrimenti la scriveranno altri. Il mondo non sarà più lo stesso ormai tutti hanno capito, come sarà però lo deciderà la nostra partecipazione attiva al dargli forma.

[Nei giorni scorsi ho avuto discussioni anche nervose con amici di matita come Giorgio Bianchi e Vincenzo Cucinotta. Anche grazie a loro tesi, per me eterodosse, è stato scritto questo post. Non vergogniamoci di litigare, di discutere, di far cozzare l’un contro l’altro i nostri sistemi di idee. Solo l’intelligenza collettiva può tentar di scalare questo esplosione di complessità in atto. Di tale sistema collettivo pensante, ognuno di noi è un neurone o piccolo gruppo di neuroni. Se qualcuno trova errori di calcolo nel post li segnali, ho preferito la puntualità della notizia più che l’accuratezza, possono quindi esserci errori, se me li segnalate, li correggiamo. Nel discutere tra noi, il nemico comune è l’inconosciuto non quello che dice una cosa diversa dalla tua. Se su singoli dati qualcuno ha altre fonti le posti]

Le verità del genocidio in Rwanda, di Bernard Lugan

26 anni dopo la tragedia, la storia del genocidio in Ruanda è conosciuta solo attraverso la sua versione ufficiale. Scritto dai vincitori, viene ripetuto più e più volte dai media in linea con la versione imposta dal regime del generale Kagame.

Questa storia ufficiale si può sintetizzare in tre punti:

1) Il 6 aprile 1994, gli “estremisti” Hutu abbatterono l’aereo del presidente Hutu Habyarimana.

2) La notte dal 6 al 7 aprile, questi stessi “estremisti” hutu hanno effettuato un colpo di stato per istituire il GIR (governo provvisorio ruandese), impegnatosi quindi a scatenare il genocidio dei Tutsi, un genocidio pianificato da lunga data.

3) Le forze Tutsi dell’RPF furono quindi costrette a violare il cessate il fuoco in vigore per salvare le popolazioni dal massacro.

Tuttavia, questa storia è falsa perché:

1) Gli “estremisti” hutu non hanno assassinato il loro stesso presidente.

2) Non vi fu alcun colpo di stato nella notte tra il 6 e il 7 aprile; al contrario un tentativo di rispettare la legalità costituzionale mediante la formazione di un potere civile.

3) L’RPF lanciò la sua offensiva all’annuncio della morte del presidente Habyarimana, quindi diverse ore precedenti i primi massacri. Sapendo che sarebbe andato etno-matematicamente (90% di Hutu e 10% di Tutsi) a perdere le elezioni alla fine del periodo di transizione, la sua unica possibilità di salire al potere era la sola vittoria militare.

A fronte della ricostruzione storica finalizzata a legittimare la presa del potere dell’RPF con la forza, la vera storia del genocidio in Ruanda è stata scritta, giorno dopo giorno per quasi 15 anni, al cospetto delle quattro Camere dell’ICTR (International Criminal Tribunal for Ruanda), creato l’8 novembre 1994 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Questo tribunale, situato ad Arusha, in Tanzania, ha concluso i suoi lavori il 31 dicembre 2015 e ha giudicato 69 personalità hutu. Nel corso del processo furono prodotte migliaia di testimonianze, decine di migliaia di documenti scritti, audio, fotografici o filmati e furono presentate e sostenute dozzine di relazioni di esperti. Tuttavia, coloro che affermano di parlare del Ruanda non hanno mai consultato questi archivi, e quando li menzionano, è il più delle volte solo per sentito dire …

Eppure, nel corso delle audizioni, è stata scritta una nuova versione della storia del genocidio in Ruanda che ha sconvolto i tre punti fondamentali, ossia lo stato delle conoscenze che avevamo nel 1994, e la campagna di disinformazione dei centri alimentati da Kigali:

1) Nessuna delle quattro Camere che compongono l’ICTR ha confermato la validità del cuore della storia ufficiale, vale a dire la premeditazione del genocidio. Secondo i giudici, l’accusa non era in realtà in grado di dimostrare che il genocidio era stato pianificato, poiché il procuratore non era riuscito a provare l’esistenza di un accordo prima del 6 aprile 1994 al fine di pianificarlo ed eseguirlo.

2) Dopo il postulato della pianificazione, qual è stato il fattore scatenante di questo genocidio? Anche in questo caso, la risposta è molto chiara: al cospetto delle quattro Camere dell’ICTR, fu attuato alla morte del presidente Hutu Habyarimana, ucciso nell’esplosione del suo aereo abbattuto da due missili di cui conosciamo l’origine, numeri di identificazione e identità di chi li ha sparati … Chi ha quindi ordinato questo attacco? Sotto la pressione degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, all’ICTR non è stato permesso di indagare su questo crimine. L’unica certezza è che questo attacco non è stato commesso dagli “estremisti” hutu …

3) Il 6 aprile 1994, dopo la notizia della morte del presidente Habyarimana, le forze del generale Kagame lanciarono un’offensiva preparata per diverse settimane contro l’esercito nazionale ruandese sconvolto dalla morte del suo capo di stato maggiore ucciso al momento dell’attacco, e i cui armamenti erano stati consegnati alle Nazioni Unite nel quadro del cessate il fuoco e degli accordi di pace.

In qualità di esperto giurato davanti all’ICTR in otto dei principali processi tenuti lì, ho preparato e redatto otto perizie che ho poi presentato e sostenuto davanti alle varie Camere tra il 2002 e il 2012.

Conservati negli archivi dell’ICTR, questi rapporti erano precedentemente accessibili solo a un pubblico più che limitato. Nessun giornalista o “esperto” che afferma di parlare del Ruanda li ha consultati. Eppure, queste otto relazioni costituiscono elementi essenziali per una comprensione approfondita dei tragici eventi che hanno travolto il Ruanda tra il 1990 e il 1994. Segnano anche altrettante fasi dell’evoluzione della storiografia del genocidio e consentono di comprendere il funzionamento interno di questa enorme macchina che era l’ICTR.
Complessivamente in un volume di 585 pagine, questi otto rapporti costituiscono una base di conoscenza senza la quale è illusorio fingere di parlare del genocidio del Ruanda in modo scientifico.

Per ottenere il documento in formato PDF (585 pages/30 euros) :
https://bernardlugan.blogspot.com/2020/03/dix-ans-dexpertises-devant-le-tribunal.html

 

CORONAVIRUS E STATO D’ECCEZIONE, di Teodoro Klitsche de la Grange

CORONAVIRUS E STATO D’ECCEZIONE

Da quando si è profilata l’emergenza sanitaria, la celebre affermazione di Carl Schmitt “sovrano è chi decide dello stato di eccezione” è stata ripetuta tante volte e in modo bipartisan, dalla destra alla sinistra. Qualcuno l’ha fatto – come sempre nelle affermazioni politiche – per sostenere più poteri al governo che alle regioni (per lo più a direzione politica avversa) altri per diverse ragioni.

Approfittando che sta sulla cresta dell’onda, ricordiamo quanto scrive Schmitt, e ancor più il suo allievo Fortsthoff, sul carattere delle “misure” che il sovrano (o comunque i poteri pubblici) prendono in casi di emergenza.

Sostiene Forsthoff che tali misure vanno ricondotte al concetto di “provvedimento”. Citando Schmitt scrive che è “tipico del provvedimento «che il procedimento sia determinato, nel suo contenuto, da un dato di fatto concreto e sia completamente permeato da uno scopo obiettivo». Perciò contrappone il provvedimento alla decisione emessa nella dovuta forma di un regolare procedimento ed alla norma di legge, «se essa esprime essenzialmente un principio di diritto, cioè se essa vuole essere soprattutto giusta, permeata dall’idea di diritto»… Caratteristica del provvedimento è una specifica relazione tra mezzo e scopo. Il provvedimento è diretto ad un determinato scopo, A questo scopo sono adattati e subordinati i mezzi che sono usati per il suo raggiungimento” mentre “la sentenza giudiziaria in quanto è presa «in base al diritto» sta al di sopra della adeguatezza allo scopo e del perseguimento di esso, che distinguono il provvedimento”; mentre nella legge scopo e idea di giustizia sono ambo presenti “La norma giuridica può essere creata per regolare un rapporto della vita in modo adeguato, cioè in conformità ad uno scopo ed in corrispondenza alle idee correnti di giustizia. Una tale legge, nel suo complesso, è sottratta alla determinazione di uno scopo, poiché contiene in se stessa un valore”. Quindi “L’ordinamento non è mai solo mezzo a scopo, esso ha un proprio valore”. Lo scopo, che in altri atti giuridici ha un ruolo di comprimario o subordinato, nelle misure d’eccezioni è determinante; l’idoneità delle stesse è commisurata alla congruità a conseguire lo scopo.

Ne consegue che la “tavola dei valori” o “le idee di giustizia” che informano ogni ordinamento sono qui subordinate. Il perché è chiaro: allorquando è in gioco l’esistenza e/o beni pubblici essenziali come la vita, la sicurezza collettiva, il resto, come l’intendenza di De Gaulle, segue. Dov’è che le misure hanno la propria validità e legittimità? La prima nell’essere adeguate allo scopo (“razionali rispetto allo scopo” avrebbe scritto Max Weber), la seconda nell’essere prese da un’autorità che goda di fiducia e largo consenso.

In questo senso la vicenda del coronavirus è iniziata proprio male. Ai governatori leghisti delle regioni del Nord che chiedono di mettere in quarantena gli studenti, di qualsiasi nazionalità, provenienti dalla Cina, il segretario Dem replicava “Allarmismi ridicoli… il governo ha già sospeso i voli provenienti dalla Cina, dunque non si capisce come i bambini possano arrivare” (fonte “Il Messaggero”); e una loquace deputata Dem “i governatori fomentano panico e intolleranza”; la Ministra Azzolina “Il governo si è mosso immediatamente e voglio tranquillizzare tutti perché la propaganda non fa assolutamente bene: non ci sono motivazioni al momento per pensare di escludere gli alunni dalla scuola” (fonte: “Il Messaggero”).

Il Presidente Conte, forse per non essere tacciato di sovranismo, rimanda tutto a presidi e primari “Ci dobbiamo fidare delle autorità scolastiche e sanitarie, se ci dicono che non ci sono le condizioni per il provvedimento in discussione invito i governatori del nord a fidarsi di chi ha specifica competenza”, senza porsi il problema di cosa succede se i presidi e i primari non avessero la stessa opinione (dato il numero è impossibile che ne abbiano una condivisa da tutti).

È chiaro che tutte queste affermazioni erano condizionate dalla ideologia e dalla lotta politica: accoglienze e frontiere aperte versus sovranismo e frontiere chiuse. Cioè erano proprio il contrario di quello che una misura d’emergenza deve essere. Il fatto che (almeno) dai tempi di Boccaccio e della peste nera è noto che l’isolamento è un efficace strumento di riduzione del contagio e che il virus se ne impipa delle divisioni politiche ed ideologiche, così come i mezzi per combatterlo; l’agente patogeno non è antifascista o anticomunista, ma semplicemente (e banalmente) pericoloso come terremoti, inondazioni (e altro).

Resta il fatto che dopo poche settimane Conte ha chiuso province, regioni, scuole e, da ultimo, tutta Italia dimenticandosi di governatori, presidi e primari: probabilmente ha fatto bene, ma ci sono volute – per farlo – diverse settimane nelle quali il coronavirus non ha trovato ostacoli, o ne ha trovati meno.

E rimane il problema della fiducia che può ispirare ai cittadini una maggioranza ed un governo che fa di una questione essenzialmente “tecnica” (nel senso indicato) una faccenda politico-ideologica: sarebbe meglio che facessero tesoro dell’intera lezione di Schmitt e Forsthoff (e Weber) sul punto.

Teodoro Klitsche de la Grange

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