Starlink, Meloni e il Mistero dei Satelliti-Francesca Donato-Roberto Buffagni-Semovigo-Germinario

Una conversazione con Francesca Donato, già parlamentare europea, sulle prospettive della guerra in Ucraina e dell’avvicendamento politico nella UE. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Il nostro reattore multiculturale 5, di Morgoth. Con un contributo di Francesca Donato

Il testo di Morgoth è introdotto da un recente video di Francesca Donato sui gravissimi fatti accaduti in Gran Bretagna, con bande organizzate di immigrati pakistani impegnati in stupri sistematici di donne britanniche. L’aspetto ancora più sorprendente, almeno in apparenza, rimane la condotta adottata dalle forze dell’ordine e dagli apparati politico-amministrativi britannici. Qualcosa del genere sta accadendo anche in Italia. L’ineffabile comportamento del sindaco di Milano sta a testimoniarlo. I fatti del capodanno milanese, apparsi su alcuni servizi di informazione, e di quello fiorentino e di altre città italiane, passati sotto silenzio, offrono parecchi indizi a riguardo. Buon ascolto e buona lettura, Giuseppe Germinario

Il nostro reattore multiculturale 5

Sugli orrori inerenti alle strutture manageriali difettose

7 gennaio
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How the grooming gangs scandal was covered up

Avvolgendosi orgogliosamente nel linguaggio e nell’abito retorico dei diritti umani e della tolleranza, lo Stato britannico è stato, negli ultimi decenni, colpevole di ciò che, nella loro terminologia, costituirebbe una catastrofe umanitaria. Adornandosi di banali universalismi come un pavone che arruffa le sue splendide penne della coda per imbrogliare un potenziale compagno o rivale, l’establishment britannico ha supervisionato un crimine contro l’umanità durato decenni. Come occidentali, ci irrita e irrita pensare che il nostro popolo possa essere vittima di una barbarie su tale scala. Un linguaggio del genere è riservato a luoghi come l’Iraq, la Cambogia, l’Afghanistan o qualsiasi luogo dell’Africa subsahariana.

Come dovremmo chiamarlo? Come dovremmo inquadrarlo? Io o altri dovremmo tentare di scalare le vette di un Solženicyn o di qualche altro cronista di sistemi di sadismo e malattia? Abbiamo la serietà di non ricorrere all’ironia postmoderna per affrontare la situazione e di lasciarci andare a terra con il tonfo giustificato? Può essere reale? Possiamo anche solo permetterci di rimuginarci sopra onestamente? La mente si affanna per trovare paragoni e tecniche di inquadramento attraverso le infinite sale mentali della pappa pop-culture, vaghe allusioni storiche e citazioni stereotipate.

Ciò che può essere veramente chiamato solo con precisione The Rape Of Britain sta entrando nella coscienza pubblica come un fatto, come qualcosa che è accaduto come evento storico e in corso. Non è più qualcosa di cui si avverte nel senso della profezia di Powell, ma si discute come una realtà culturale.

Ora siamo tutti a conoscenza di quei frammenti e ci concentriamo sulla trascrizione di un documento del tribunale, che dirà qualcosa come “la vittima aveva cinque uomini dentro di sé, poi le hanno dato eroina e l’hanno picchiata con la gamba di una sedia”. Diminuiamo l’ingrandimento del nostro sguardo e quel frammento si unisce a un caso più ampio associato a una città o a una cittadina. Quindi riduciamo ulteriormente l’ingrandimento e notiamo che il caso in sé è solo uno dei tanti in quell’area, e quell’area si sta fondendo con centinaia di altri in tutto il paese. La ragazza nei verbali del tribunale è descritta come “Sophie B” o “Alison G” e svanisce fino a diventare solo un’unità in una vasta rete, e anche gli orrori che ha subito svaniscono con lei.

Lo scandalo della cosiddetta “grooming gang” in Gran Bretagna è spesso definito “Industrial Scale Rape”, il che è appropriato. Il termine accosta due serie di immagini, una di processi meccanizzati (pistoni, ingranaggi, sistemi di pompaggio in combinazione con sporcizia, grasso e sudiciume) con il termine “stupro”, che è una violazione della forma umana e della sua carne, in particolare femminile. Quindi, Industrial Scale Rape è la meccanizzazione dell’inorganico e dello strumentale, che contamina la carne del femminile, quasi come un’entità aliena che divora l’organico. Ciò è appropriato perché questa è esattamente la dinamica tra le vittime e i carnefici.

Le bande di stupratori, principalmente pakistane ma non solo, sono un’imposizione impostaci dallo stato dirigente, il risultato di un processo basato su un’ideologia distorta, principi fondamentali imperfetti e una cinica manipolazione delle narrazioni storiche.

Di recente, una torcia accecante è stata puntata sul piccolo segreto sporco e repellente della Gran Bretagna che, in modi diversi, tutti i settori della società risentono. C’è un elemento di estranei che entrano in casa e indicano sporcizia, polvere e biancheria intima non lavata sparsa in giro. Gli uomini di destra in politica sono sensibili alle accuse di apatia e codardia, e l’intero spettro di sinistra/liberale (che in Gran Bretagna è quasi tutto) si sente sotto attacco; il sudicio segreto è stato svelato!

Mi è tornato in mente Chernobyl e come i primi burocrati sovietici devono aver reagito quando la Svezia ha chiamato per chiedere se andava tutto bene. Hanno rilevato delle letture strane sui loro spettrometri a raggi gamma: c’era un “risultato indesiderato” in un processo da qualche parte. Cos’era e dov’era?

La causa immediata del disastro di Chernobyl fu l’uso della grafite al posto del boro per le punte delle barre che moderavano il nucleo. Fu usata la grafite al posto del boro per ridurre i costi. I dirigenti intermedi dell’URSS erano sotto forte pressione per barattare la sicurezza per ridurre i costi perché l’URSS era economicamente in difficoltà a causa di preoccupazioni ideologiche. All’interno del sistema stesso, sia i dipendenti della centrale elettrica che i burocrati dirigenti erano riluttanti a riconoscere la calamità, e iniziò un gioco di “patata bollente”, con ogni livello del sistema che cercava disperatamente di evitare di assumersi le proprie responsabilità. In seguito, ai massimi livelli, l’URSS mentì al governo della Germania Ovest sul grado di radiazione in fuga, il che significava che i tedeschi inviarono robot i cui circuiti si fondevano immediatamente al contatto con il deflusso. Ciò portò all’impiego di uomini sovietici sul tetto della centrale come “robot di carne” per pulire la grafite che ufficialmente non avrebbe dovuto esserci.

La differenza, quindi, tra un disastro naturale e la criminalità vera e propria è che quando i difetti di un sistema sono intrinseci e ideologici e comprendono la ragione stessa della sua esistenza, la legittimità del regime stesso viene messa in discussione. Inoltre, quando forze esterne iniziano a mettere in discussione gli affari interni di un regime in crisi, quella crisi può diventare esistenziale.

L’establishment britannico ha una lunga, lunga storia di ficcare il naso negli affari di altre nazioni con l’obiettivo di destabilizzarle, fare loro la predica e, in genere, adottare l’atteggiamento di una preside di scuola prepotente, coccolata e arrogante all’interno del suo insieme di ideali preferiti. Eppure, nonostante questo, l’establishment si è rivelato ora un caso disperato politicamente corretto che si adagia sull’aura di una grandezza lontana. Allo stesso tempo, le sue ragazze native vengono brutalizzate come se fossero il bottino di guerra conquistato. Tuttavia, nessuna battaglia è stata persa e qualsiasi terra natia è stata ceduta è stata fatta con tanta prontezza ed entusiasmo dal regime stesso.

Da una prospettiva puramente storica, si tratta di un comportamento poco meno che folle.

Quando un outsider come Elon Musk chiede “Cosa è successo qui? Come è possibile che si sia verificata una tale barbarie?”, l’establishment liberale britannico si trova nella posizione dello staff del politburo sovietico a cui viene chiesto cosa stia emanando quella strana nuvola dall’Ucraina.

Nessuno disse ad Anatoly Dyatlov di evitare i protocolli di sicurezza, ma a livello individuale, capì come erano strutturati gli incentivi e cosa il Partito voleva e non voleva sentire. Dyatlov non era responsabile della progettazione scadente, ma le persone che lo erano non avevano voce in capitolo sui vincoli economici imposti loro, e quelle che lo erano non decidevano i parametri ideologici dell’URSS.

In Gran Bretagna, non tutti i dipendenti comunali e gli ufficiali di polizia erano indifferenti allo stupro di gruppo e alla tortura delle ragazze (anche se alcuni lo erano davvero), ma capivano come erano strutturati gli incentivi del sistema. Sapevano quali relazioni le avrebbero invitate alle feste di Natale e quali le avrebbero viste ignorate per la promozione. La burocrazia stessa era crivellata da un’ideologia basata sul presupposto della correttezza politica e sul fatto che, in caso di dubbio, un manager dovesse schierarsi dalla parte dei bianchi.

Tuttavia, persino la correttezza politica e la struttura di incentivi sadici si sono svolte in un paradigma più ampio di dogma multiculturale che presupponeva che tutti sulla Terra fossero dei liberali degli anni ’90 sotto la pelle. Quando i pakistani hanno iniziato a violentare e torturare le ragazze inglesi, il comportamento era ovviamente fuori sintonia con i costumi politici, e così è sorta la domanda su cosa fosse corretto: la realtà o il liberalismo?

Alla fine, la decisione che il liberalismo politicamente corretto degli anni ’90 costituisse la base della realtà sostituì ciò che stava accadendo sotto gli occhi dei funzionari governativi e degli impiegati comunali perché questo, insieme alla vecchia arroganza altezzosa nei confronti della classe operaia bianca, era più sicuro.

Birmingham's Dark Side tour | Explore Birmingham

I presupposti operativi del multiculturalismo, vale a dire un’ideologia che sopprime i desideri dei nativi di facilitare la dottrina, hanno portato direttamente allo stupro della Gran Bretagna, nello stesso modo in cui i vari vincoli e incentivi economici hanno portato a Chernobyl. Tuttavia, le accuse mosse all’URSS possono, nel peggiore dei casi, essere che il regime era indifferente alla vita dei suoi cittadini; come molti sosterrebbero, l’indifferenza verso gli stupri è il miglior risultato per l’establishment britannico, dato che il dogma anti-bianco era così profondamente saldato nella sovrastruttura sociale.

Quando Sophie B entra in una stazione di polizia con i pantaloni insanguinati e bruciature di sigaretta sul collo, il sergente di turno deve prendere una decisione che potrebbe porre fine alla sua carriera e vederlo inadempiente sul mutuo. Quando le atrocità raggiungono il livello più alto del governo, il problema è diventato endemico e quindi, ancora una volta, la realtà del nostro modo di vivere diventa un altro problema da gestire. O il regime ammette di essere mendace, incoerente e (come minimo) di aver facilitato lo stupro di massa del suo stesso popolo, oppure nasconde la verità sotto la comoda maschera di “protezione delle relazioni comunitarie”.

In fin dei conti, il nocciolo del problema è la presenza stessa tra noi di persone che in realtà non sono dei liberali degli anni ’90, ma gruppi tribali conquistatori che sfruttano quella che una volta veniva chiamata “carne facile”.

Il regime si rivela completamente marcio e moralmente illegittimo, eppure persiste, barcollando da una crisi all’altra, prosciugando capitale sociale e rilevanza morale. Come possono le prediche e l’arroganza altezzosa dell’establishment britannico sulla scena mondiale essere prese sul serio quando i suoi concorrenti sono pienamente consapevoli delle torbide realtà della Gran Bretagna moderna?

La catastrofe che non è

Le stime sulla portata delle aggressioni sessuali su ragazze inglesi da parte di uomini di origine immigrata variano ampiamente. Nel 2019, il quotidiano The Independent ha riportato “19.000 bambini identificati”, mentre la parlamentare laburista Sarah Champion ha affermato nel 2015 che la cifra avrebbe potuto già raggiungere un milione. Il problema, ovviamente, è che la logica del progetto multiculturale disincentiva la denuncia della questione. Ciò che, per una nazione e un popolo sani, sarebbe considerato una calamità storica, invece ribolle a un livello sotterraneo, ribollendo di tanto in tanto e trasudando nel dibattito pubblico prima di raffreddarsi e diventare di nuovo sterile. Le bugie a cui dobbiamo aderire per evitare che si incastrino nella psicologia collettiva delle persone proprio perché è la natura di quelle persone che è in procinto di essere abolita.

Di recente sono state fatte richieste, compresa la mia, per monumenti o memoriali da erigere come forma di ricordo collettivo e catarsi per ciò che è accaduto. Matthew Goodwin ha proposto un memoriale fuori dal parlamento che i politici avrebbero dovuto superare ogni giorno, formalizzando così la catastrofe nelle loro menti e in quelle della nazione. Tuttavia, tali mosse richiederebbero espiazione e auto-riflessione da parte di coloro che sono responsabili delle atrocità, per cominciare: sarebbe un rifiuto e una negazione della loro intera visione del mondo e delle loro carriere politiche. O questo o richiederebbe una classe dirigente completamente nuova.

Mentre le grida di sangue e di deportazioni di massa risuonano ancora una volta sui social media, forse è giunto il momento di considerare gli impatti a lungo termine del fenomeno delle gang di stupratori nel contesto dell’identità britannica. A dire il vero, la commemorazione di questo disastro richiederà un ricordo di coloro che hanno sofferto, di coloro che hanno posto fine all’attuale miseria e un programma di rieducazione all’ingrosso per le masse di ideologi e leccapiedi del regime che lo hanno reso possibile, su una scala del processo di denazificazione postbellica che ha avuto luogo in Germania. Solo che questa volta, un apprezzamento per i parenti sostituirà la riverenza verso i gruppi esterni, la lealtà sostituirà il tradimento e ci sarà un’accettazione del torto fatto agli innocenti in nome di ideali fraudolenti e stupidi.

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Le liturgie e i meccanismi della Unione Europea_con Francesca Donato

Le tre emergenze imposte in questi ultimi tre anni, l’emergenza ambientale e la conversione energetica, la crisi pandemica, la crisi bellica in Ucraina ha messo a nudo le peculiarità fondative di questa Unione Europea le quali, più che valorizzare, tendono ad inibire le pulsioni e le aspirazioni di autonomia politica e pregiudicare le potenzialità di sviluppo dei paesi della comunità. Le liturgie ed il lirismo che ammantano le iniziative più importanti delle istituzioni europee riescono ad imporre con sempre maggiore difficoltà la propria narrazione. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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IL RECINTO IDEOLOGICO FILO-IMMIGRAZIONISTA: LAVORI IN CORSO, di Francesca Donato

Il sistema di costruzione e di controllo dominante della narrazione mediatica ha subito pesanti crepe nella capacità di imporre la propria rappresentazione. Lo stridore sempre più acuto con la realtà delle cose ha posto le basi di questa caduta di credibilità. La nascita di nuovi network ha offerto i luoghi di espressione di nuove possibilità di chiavi interpretative. Internet e la comunicazione telematica sono il veicolo principale e il campo di battaglia eletto per la ripresa del controllo. Il problema è che gli arbitri sono parte in causa del gioco politico. Non sono certo i centri decisionali di paesi come in Italia a poter condizionare tale gioco e tali decisioni. Né, per altro, nessuno dei paesi europei sembrano porsi il problema se non su alcuni aspetti parziali, come il progetto Galileo. Le capacità di condizionamento degli arbitri risiedono nei paesi sedi dei poteri di controllo sui server, guarda caso gli Stati Uniti. Anche a costo dello smascheramento della loro condizione, hanno iniziato in maniera concertata ha oscurare alcuni siti di larga informazione, infowars è l’ultima clamorosa vittima designata; in maniera più sofisticata stanno piegando gli algoritmi che determinano i risultati delle ricerche in base alle necessità politiche dominanti. La persecuzione politica efficace con i metodi più tradizionali avverrà dopo, se avrà pieno successo la prima fase. In Italia dobbiamo accontentarci di emuli, un po’ in ritardo e un po’ artigianali, di tali propositi. Qualche indagine giudiziaria apparentemente estemporanea; qualche gruppo organizzato nel segnalare agli arbitri giocatori, tra la tanta pattumiera, soprattutto le voci scomode. La presa sempre più ferrea sui sistemi tradizionali di comunicazione assecondata dalla persistente infatuazione berlusconiana verso Renzi, culminata con l’estromissione di Belpietro e Mario Giordano da Rete4 e il conseguente affidamento della rete agli accoliti di Matteo Renzi nonché la conduzione sempre più sfacciata de La7 sono per ora il piatto forte su cui si stanno concentrando i tentativi di ripristino, in attesa che sia definito lo scontro in ambito RAI, con la vergognosa vicenda del veto alla Presidenza di Marcello Foa. Segno ulteriore di quanto il penoso e miserabile declino di Berlusconi stia costando al paese. In questo contesto trova spazio l’ambizione e la fregola dei nuovi Savonarola che trovano posti accoglienti e ben remunerati nelle ormai pletoriche autorità di controllo per dare sfogo ai propri propositi moralistici e “politicamente corretti”. Buona lettura. Giuseppe Germinario

IL RECINTO IDEOLOGICO FILO-IMMIGRAZIONISTA: LAVORI IN CORSO.

tratto da http://www.progettoeurexit.it/il-recinto-ideologico-filo-immigrazionista-lavori-in-corso/

Commento alla delibera N. 403/18/CONS dell’AGCOM (Autorità Garante per le Comunicazioni)

Il 25 luglio scorso, con delibera n. 403/18/CONS, l’Autorità Garante per le Comunicazioni (AGCOM) ha emesso la delibera avente ad oggetto “AVVIO DEL PROCEDIMENTO PER L’ADOZIONE DI UN REGOLAMENTO IN MATERIA DI RISPETTO DELLA DIGNITÀ UMANA E DEL PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE E DI CONTRASTO ALL’HATE SPEECH E ALL’ISTIGAZIONE ALL’ODIO”.

Tale provvedimento è passato inosservato sui media mainstream, ma il suo contenuto è di fondamentale importanza per le implicazioni in esso contenute sulla regolamentazione dell’informazione nel nostro Paese. Ritengo dunque importante esporne il significato, analizzando i suoi passaggi più importanti.

Innanzitutto, la delibera concerne tutto il mondo delle telecomunicazioni e radiotelevisivo,  quindi l’intero sistema dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, del quale viene richiamato il Testo Unico (D.Lgs. 177/2005).

Essa richiama, come presupposti del proprio intervento, fonti di diritto internazionale e sovranazionale, fra le quali:

  • l’art. 7 della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite del 1948: “Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione”;
  • l’art. 1 della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale delle Nazioni Unite del 1965, ratificata con legge 13 ottobre 1975, n. 654: “l’espressione «discriminazione razziale» sta ad indicare ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica”; 
  • l’art. 4 della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione, che prevede che “gli Stati contraenti condannano ogni propaganda ed ogni organizzazione che s’ispiri a concetti ed a teorie basate sulla superiorità di una razza o di un gruppo di individui di un certo colore o di una certa origine etnica, o che pretendano di giustificare o di incoraggiare ogni forma di odio e di discriminazione razziale, e si impegnano ad adottare immediatamente misure efficaci per eliminare ogni incitamento ad una tale discriminazione od ogni atto discriminatorio, tenendo conto, a tale scopo, dei principi formulati nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dei diritti chiaramente enunciati nell’articolo 5 della presente Convenzione”. Tra queste misure lo stesso art. 4 prevede esplicitamente quelle finalizzate a “non permettere né alle pubbliche autorità, né alle pubbliche istituzioni, nazionali o locali, l’incitamento o l’incoraggiamento alla discriminazione razziale”; 
  • la Raccomandazione di politica generale n. 15 della ECRI (Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza del Consiglio d’Europa), relativa alla lotta contro il discorso dell’odio adottata l’8 dicembre 2015, che stimola gli Stati ad agire concretamente affinché ogni forma di discriminazione etnica sia contrastata ed eliminata, coerentemente con il diritto internazionale che tutela i diritti umani;
  • l’art. 21 (Non discriminazione) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000 e in particolare il comma 1, secondo il quale “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”;
  • la direttiva n. 2000/43/CE del Consiglio dell’Unione Europea, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica; l’art. 3-ter della direttiva n. 2007/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, secondo il quale “Gli Stati membri assicurano, con misure adeguate, che i servizi di media audiovisivi forniti dai fornitori di servizi di media soggetti alla loro giurisdizione non contengano alcun incitamento all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità”.

Inoltre, vengono richiamate norme nazionali come:

  • l’art. 3 della Costituzione Italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”;
  • l’art. 10, comma 1, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, (Testo unico della radiotelevisione), come modificato dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 120 : “L’Autorità, nell’esercizio dei compiti ad essa affidati dalla legge, assicura il rispetto dei diritti fondamentali della persona nel settore delle comunicazioni, anche mediante servizi di media audiovisivi o radiofonici”;
  • l’art. 32, comma 5, del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico della radiotelevisione), come modificato dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 120: I servizi di media audiovisivi prestati dai fornitori di servizi di media soggetti alla giurisdizione italiana rispettano la dignità umana e non contengono alcun incitamento all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità”;
  • la delibera n. 424/16/CONS, del 16 settembre 2016, recante “Atto di indirizzo sul rispetto della dignità umana e del principio di non discriminazione nei programmi di informazione, di approfondimento informativo e di intrattenimento”, avente valore di indirizzo interpretativo delle disposizioni contenute negli artt. 3, 32, comma 5, e dell’art. 34 del Testo unico, secondo il quale i programmi radio-televisivi nella diffusione di notizie devono “uniformarsi a criteri-verità, limitando connotazioni di razza, religione o orientamento sessuale non pertinenti ai fini di cronaca ed evitando espressioni fondate sull’odio o sulla discriminazione, che incitino alla violenza fisica o verbale ovvero offendano la dignità̀ umana e la sensibilità degli utenti contribuendo in tal modo a creare un clima culturale e sociale caratterizzato da pregiudizi oppure interferendo con l’armonico sviluppo psichico e morale dei minori”, nonché devonorivolgere particolare attenzione alla modalità di diffusione di notizie e di immagini sugli argomenti di attualità trattati avendo cura di procedere ad una veritiera e oggettiva rappresentazione dei flussi migratori, mirando a sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno dell’hate speech, contrastando il razzismo e la discriminazione nelle loro espressioni mediatiche;
  • la delibera n. 46/18/CONS, del 6 febbraio 2018, recante “Richiamo al rispetto della dignità umana e alla prevenzione dell’incitamento all’odio” con la quale l‘Autorità stessa ha richiamato “i fornitori di servizi media audiovisivi a garantire nei programmi di informazione e comunicazione il rispetto della dignità umana e a prevenire forme dirette o indirette di incitamento all’odio, basato su etnia, sesso, religione o nazionalità” alla luce dei dati di monitoraggio sul pluralismo politico/istituzionale relativi al periodo 29 gennaio-4 febbraio 2018 dai quali la trattazione di casi di cronaca relativi a reati commessi da immigrati appariva “orientata, in maniera strumentale, ad evidenziare un nesso di causalità tra immigrazione, criminalità e situazioni di disagio sociale e ad alimentare forme di pregiudizio razziale nei confronti dei cittadini stranieri immigrati in Italia, contravvenendo ai principi di non discriminazione e di tutela delle diversità etniche e culturali che i fornitori di servizi media audiovisivi sono tenuti ad osservare nell’esercizio dell’attività di diffusione radiotelevisiva”;
  • il “Testo unico dei doveri del giornalista”, approvato dal Consiglio Nazionale dei giornalisti nella riunione del 27 gennaio 2016 che stabilisce che “il giornalista rispetta i diritti fondamentali delle persone e osserva le norme di legge poste a loro salvaguardia; […] applica i principi deontologici nell’uso di tutti gli strumenti di comunicazione, compresi i social network”;
  • l’art. 9 del “Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica”, allegato al “Testo unico dei doveri del giornalista” sopra citato, che stabilisce che “nell’esercitare il diritto-dovere di cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali;
  • la delibera n. 410/14/CONS, del 29 luglio 2014, recante “Regolamento di procedura in materia di sanzioni amministrative e impegni e Consultazione pubblica sul documento recante Linee guida sulla quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni”.

Mi scuso per la prolissità del testo, dovuta all’elencazione delle fonti di cui sopra, ma la corretta comprensione della portata della delibera in esame non può prescindere dal quadro normativo richiamato.

Alla luce delle suddette norme e raccomandazioni, l’Autorità Garante esprime le proprie considerazioni, ovvero:

  1. che, alla luce delle disposizioni normative vigenti, “i principi fondamentali del sistema dei servizi di media audiovisivi e della radiofonia rappresentati dalla libertà di espressione, di opinione e di ricevere e comunicare informazioni – comprensivi anche dei diritti di cronaca, di critica e di satira – devono conciliarsi con il rispetto delle libertà e dei diritti, in particolare della dignità della persona, dell’armonico sviluppo fisico, psichico e morale del minore, nonché con l’apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose e con la salvaguardia delle diversità etniche e del patrimonio culturale, artistico e ambientale, a livello nazionale e locale” (e fin qui, nulla di nuovo);
  2. che “la crescente centralità, nel dibattito pubblico nazionale ed internazionale, delle politiche di governo dei flussi migratori provenienti da paesi in stato di guerra o di emergenza economico-sociale, sembra generare posizioni polarizzate e divisive in merito alla figura dello straniero e alla sua rappresentazione mediatica, favorendo generalizzazioni e stereotipi che minano la coesione sociale, nonché offendono la dignità della persona migrante o in ogni caso di categorie di persone oggetto di discorsi d’odio e di discriminazione su base etnica o religiosa” : qui parte il primo “affondo” alle politiche del Governo, evidentemente ritenute responsabili del generarsi delle “posizioni polarizzate e divisive” in merito alla “figura dello straniero” (con l’utilizzo del termine generico di “straniero” per indicare la categoria specifica del “migrante”, in via del tutto impropria), nonché foriere di “generalizzazioni e stereotipi” che (nell’ambito ristretto di cui si tratta, ovvero riguardo agli immigrati) “minano la coesione sociale”, “offendono la dignità della persona migrante (concetto nuovo e del tutto indefinito nelle sue caratteristiche) o comunque di “categorie di persone” (ancora più indefinito!) oggetto di “discorsi d’odio e di discriminazione su base etnica o religiosa”.

Mi fermo a commentare questa seconda considerazione, in quanto determinante e profondamente significativa. Con essa, il Garante espone la propria visione politica del contesto sociale attuale: egli ritiene dunque che il Governo in carica stia adottando politiche migratorie che creano divisioni e alimentano un clima di odio e pregiudizio. Né più né meno, ciò di cui le opposizioni di “sinistra” accusano quotidianamente, tramite tutti i media, il Ministro Matteo Salvini. Va sottolineato dunque, che l’interpretazione in chiave discriminatoria e disegualitaria delle politiche di controllo dell’immigrazione clandestina e lotta al traffico di esseri umani, poste in essere con decisione ed efficacia da questo Governo dopo anni di inerzia da parte dei Governi precedenti (in assoluta linearità rispetto a quelle intraprese dai Governi europei che ci sono stati regolarmente posti come esempi da emulare, ed a fronte della conclamata insostenibilità degli oneri economici, organizzativi e sociali che il fenomeno migratorio da cui il nostro continente è stato investito negli ultimi anni ha comportato e continua a comportare per l’Italia in misura enormemente maggiore rispetto agli altri Paesi europei, a causa della sua posizione geografica di “porta d’ingresso” nel Mediterraneo) è frutto di una visione distorta del fenomeno, dovuta all’orientamento politico di appartenenza e ampiamente veicolata dai media.

Ciò è vero, quantomeno, alla luce del fatto che metà del Paese (almeno) invece ha subito le precedenti politiche di accoglienza illimitata e incontrollata con disappunto e legittima preoccupazione, viste le evidenti (e indiscusse) ricadute negative in termini occupazionali, sociali, assistenziali e salariali sulla cittadinanza.

La coabitazione forzata fra cittadini colpiti dalla più grave crisi economica dal dopoguerra ed immigrati clandestini che vanno ad aumentare l’esercito di disoccupati e sottooccupati o lavoratori in nero (per non parlare degli addetti ad attività illecite) nel nostro già fragile sistema economico, non poteva altre che portare ad una reazione repulsiva da parte della popolazione autoctona. Non aver capito e previsto tale fenomeno, è la prima responsabilità dei governi di sinistra oggi relegati all’opposizione dall’elettorato, stanco di assistere ad un afflusso imponente e fuori controllo di immigrati clandestini.

Il modo per combattere le conseguenze di tale fenomeno, in termini di atteggiamento xenofobo o intollerante da parte della cittadinanza, avrebbe dovuto essere quello di rassicurare gli Italiani tramite maggiori controlli sugli ingressi irregolari, sulla gestione dei soggetti accolti nelle varie strutture di identificazione, con una ferrea applicazione delle norme di legge riguardanti rimpatri per i non aventi diritto all’asilo e alle espulsioni per i delinquenti. Invece, i cittadini hanno avuto di fronte un sistema colabrodo che non ha saputo minimamente garantire il rispetto della legalità e della sicurezza sul territorio, e i casi di cronaca con protagonisti immigrati irregolari si sono moltiplicati, alimentando la paura e il disagio sociale.

Le cause dei riportati fenomeni di discriminazione, odio o semplice insofferenza sono dunque da attribuire alle gestioni fallimentari perpetrate negli ultimi anni ed alle conseguenti ripercussioni sulla vita dei cittadini, anziché sull’informazione mediatica che ha – doverosamente – riportato i casi di cronaca coinvolgenti i “migranti”, come ha fatto per tutti gli altri.

L’assunto di partenza della delibera in esame, dunque, poggia su un’interpretazione delle cause della rilevata “crisi sociale” del tutto discutibile e di parte.

Le successive considerazioni espresse dal garante riguardano la necessaria correttezza ed obiettività, completezza ed imparzialità, nella diffusione di notizie, da parte dei fornitori di servizi dei media, “in ragione della pervasività del mezzo radiotelevisivo e dell’importante contributo che l’informazione radiotelevisiva svolge in ordine alla formazione di un’opinione pubblica sulla corretta rappresentazione dello straniero”, ed il contrasto alle strategie di disinformazione alimentate da notizie inesatte, tendenziose o non veritiere.

Su tale punto non si può non essere d’accordo, ma andrebbe rilevato che la disinformazione, con le modalità ivi censurate, viene molto più spesso effettuata dai mass media in altri ambiti (economia, politica, esteri) o nell’ambito in oggetto, ma in senso inverso a quello qui attenzionato: basta pensare al recentissimo caso dell’atleta di colore colpita da un uovo lanciato da un’autovettura, oggetto di un altisonante tam-tam mediatico con “allarme razzismo”, quando poi si è accertato che l’odio razziale aveva nulla a che fare con quell’episodio.

Il richiamo ai principi fondanti del giornalismo andrebbe pertanto esteso a tutte le tematiche materia di informazione, non solo a quella limitata ai “migranti”. Tale delimitazione appare, di per sè, come un intervento selettivo a beneficio di una categoria che già i cittadini percepiscono come “privilegiata” per il trattamento che riceve da parte dello Stato, sotto diversi aspetti, rispetto a quella dei residenti autoctoni.

Anche nell’accentuazione del dovere del fornitore del servizio di media di “assicurare la diffusione di notizie complete ed imparziali, che non siano idonee ad alimentare pregiudizi o convinzioni basate su discriminazioni derivanti da ragioni etniche, o di appartenenza religiosa o di sesso” si avverte una preoccupazione del Garante di assicurare la correttezza e imparzialità dell’informazione soltanto con riferimento a categorie selezionate di soggetti, come se gli altri fossero meno meritevoli di tutela.

Viene poi spiegato il significato del termine inglese “hate speech”, inspiegabilmente scelto dal Garante per individuare l’oggetto dell’intervento di contrasto, quando poi lo stesso necessita di traduzione e spiegazione nella lingua italiana. Esso viene individuato nell’ “utilizzo strategico di contenuti o espressioni mirati a diffondere, propagandare o fomentare l’odio, la discriminazione e la violenza per motivi etnici, nazionali, religiosi, ovvero fondati sull’identità di genere, sull’orientamento sessuale, sulla disabilità, o sulle condizioni personali e sociali, attraverso la diffusione e la distribuzione di scritti, immagini o altro materiale anche mediante la rete internet, i social network o altre piattaforme telematiche”.

Si denomina così il contenuto del divieto sancito nella prima parte dell’art. 604-bis del nostro Codice penale, secondo il quale “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Va da sè che, essendo previsto da una specifica norma penale, l’”hate speech” configura un reato nel nostro ordinamento, pertanto il contrasto allo stesso, qualsiasi sia il mezzo attraverso cui esso si manifesti, è già previsto da nostro sistema giuridico, con sanzioni penali (le più severe fra tutti i tipi di sanzioni giuridiche).

Ma anche qui, quando la fattispecie interessa i “migranti”, pare che alla stessa sia riconosciuta maggiore attenzione, e difatti il Garante richiama una norma internazionale che attribuisce la qualifica di “materiale razzista e xenofobo” a “qualsiasi materiale scritto, qualsiasi immagine o altra rappresentazione di idee o di teorie che incitino o incoraggino l’odio, la discriminazione o la violenza, contro una persona o un gruppo di persone, in ragione della razza, del colore, dell’ascendenza o dell’origine nazionale o etnica, o della religione, se questi fattori vengono utilizzati come pretesto per tali comportamenti”. 

Tale norma appare evidentemente indefinita nei suoi margini di applicazione, in quanto la dicitura “qualsiasi” e la locuzione “che incitino o incoraggino l’odio” possono ricomprendere anche immagini o comportamenti di per sè neutri ma che, da un punto di vista puramente soggettivo, possono essere percepiti anche in senso psicologicamente favorevole al sentimento dell’odio o di atteggiamenti discriminatori. L’applicazione di tale criterio per individuare materiale “razzista o xenofobo” può portare a considerare tale tutta una serie di dati, immagini o informazioni che i media dovrebbero poter utilizzare nella fornitura dei loro servizi senza per ciò soltanto incorrere in sanzioni.

Poiché invece il Garante pone un collegamento automatico, quasi necessario, fra i suddetti dati o comportamenti e gli “hate crimes”, altro termine inglese per indicare “i crimini generati dall’odio, prevalentemente basati su razzismo e xenofobia”, affermando che “in Italia, secondo gli ultimi dati diffusi nell’anno 2016 dall’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE)”, gli stessi, “prevalentemente basati su razzismo e xenofobia, sono quasi raddoppiati nell’arco di un triennio”, e considerando così confermati “i timori di una possibile correlazione tra la crescente diffusione dei discorsi d’odio (hate speech) sui diversi media e l’incremento di aggressioni concrete e violente (hate harm), ancorché isolate, nei confronti di categorie di persone oggetto di azioni mirate”, egli ritiene che l’intervento regolamentare sia necessario e impellente, giustificandolo vieppiù con la presunta incidenza su tali fenomeni della “ribalta assunta, sui diversi media, dal dibattito pubblico nazionale ed internazionale sul governo delle politiche migratorie di soccorso umanitario, di accoglienza e di integrazione” (marcando ancora una volta la connotazione politica delle proprie argomentazioni).

È importante, a questo punto, ricordare come le Autorità indipendenti, categoria di cui fa parte l’AGCOM autrice delle delibera qui esaminata, secondo la più autorevole dottrina e la costante giurisprudenza, non devono avere, nella loro azione, alcuna connotazione politica (v. ad es. Caianiello V., Le Autorità indipendenti tra potere politico e società civile, in Rass. giur. en. el., 1997, p. 5.): le Autorità amministrative indipendenti, difatti, sono state concepite ed istituite per dare alle domande della società una risposta tecnica e indipendente e, quindi, non politica (per un’analisi più approfondita della figura delle A.A.I., vedi qui).

L’intento dell’Autorità garante, dunque, in continuità con la già invasiva delibera precedente della stessa Autorità n. 424/16/CONS, del 16 settembre 2016, appare chiaramente quello di voler irregimentare l’informazione massmediatica – nella consapevolezza della sua incontrollabile amplificazione tramite i social network – definendo in maniera puntuale e rigorosa i limiti ed i criteri che essa dovrà rispettare per non essere catalogata come “razzista e xenofoba” e per tale ragione, censurata e soggetta a sanzioni. Ciò va ben oltre il lodevole ed indiscutibile intento di garantire il rispetto dei diritti umani contro le discriminazioni di ogni tipo: il risultato di tali interventi consisterà in qualcosa di molto più grave, cioè un vera e propria censura verso ogni tipo di rappresentazione dei fatti e delle opinioni non sufficientemente “protettiva” verso eventuali possibili letture in senso biasimevole o discriminatorio verso i “migranti”.

È paradossale, peraltro, che nel predisporre tali strumenti di fatto distorsivi e mortificanti per la libertà, la completezza e l’obiettività dell’informazione, si richiamino norme tese a tutelare proprio tali valori, come l’art. 21 della Costituzione.

La conclusione è inquietante: il Garante afferma la necessità di fornire una regolamentazione di dettaglio del precetto contenuto nell’articolo 32 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, “Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici”, il quale prescrive unicamente che “I servizi di media audiovisivi prestati dai fornitori di servizi di media soggetti alla giurisdizione italiana rispettano la dignità umana e non contengono alcun incitamento all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità” (prescrizioni già munite di tutela giuridica penalistica, tramite il disposto del richiamato art. 604-bis del codice penale) e si accinge a farlo attraverso un intervento che inciderà pesantemente (e vedremo se, ed in che misura, entro i limiti consentiti) sulle libertà democratiche fondamentali garantite dalla nostra Costituzione, come la libertà di informazione e di espressione!

Sarà fondamentale, dunque, al momento della pubblicazione di tale atto, una disamina attenta dello stesso da parte dei soggetti legittimati ed interessati (non ultimo, lo stesso Ordine dei Giornalisti), per segnalarne immediatamente eventuali profili ingiustificatamente lesivi delle suddette libertà democratiche costituzionalmente garantite, scongiurando così che, per vie amministrative, sciolte da ogni valutazione politica e giudiziaria, si trasformi la nostra Repubblica democratica in un sistema di governo etero-gestito, tramite un subdolo controllo totalitario dell’informazione e delle comunicazioni, al fine di nascondere alla pubblica opinione ogni fatto o ragionamento che possa orientarne il pensiero ed il libero giudizio in maniera difforme dalla volontà di chi promuove un travaso irreversibile dei popoli africani verso l’Europa.

Francesca Donato

 

LA CRISI DELLA SINISTRA FRA IPOCRISIA, METAMORFOSI E IMPOTENZA, di Francesca Donato

Il dibattito mediatico sorto in seguito al risultato del voto del 4 marzo si avvita in
questi giorni attorno a due interrogativi fondamentali: le ragioni del crollo della
sinistra, nelle sue varie declinazioni partitiche, e quelle del trionfo dei due partiti
“populisti” Lega e M5S.
Entrambi i quesiti faticano ad ottenere risposte convincenti da parte degli
esponenti dei partiti sconfitti, e le spiegazioni fornite dai vari giornalisti, opinionisti
e politologi che sono cresciuti nutrendosi degli slogan funzionali al sistema di
governo sino a ieri in forze, risultano altrettanto inconcludenti.
Per effettuare una corretta analisi della crisi della sinistra italiana, è necessario
partire da un esame obiettivo dello stato di salute della sinistra in Europa, visto che
facciamo parte dell’Unione europea, ma anche dall’esame della situazione politica
d’oltreoceano, dato che viviamo in un mondo “globalizzato”.
Contrariamente a quanto affermato da vari commentatori, la débâcle della sinistra
in Europa non è affatto omogenea.
Al di là dei casi di Germania, Austria e Paesi dell’est, in cui le forze politiche di
destra o centrodestra sono cresciute a spese delle sinistre locali, vi sono altri Paesi
in cui invece la sinistra, nella sua veste più “estrema” (cioè tradizionale), ha
ultimamente guadagnato molte posizioni rispetto alle elezioni precedenti.
Gli esempi più recenti sono quelli dell’inaspettato successo di Mélenchon in
Francia (su cui è calata una coltre di nebbia subito dopo l’elezione di Macron) e
quello di Corbyn nel Regno Unito, ma non si può dimenticare il risultato di
Podemos in Spagna, né tantomeno il trionfo di Tsipras in Grecia. Successi ai quali
gli stessi politici che oggi si difendono dietro ad una presunta crisi generale della
sinistra in Europa, facevano riferimento millantando presunte affiliazioni o comunità
di intenti, in realtà inesistenti.
La vittoria di Trump negli USA, che molti attribuiscono a fattori pittoreschi fra i quali
– facendo proprio la ridicola versione clintoniana della vicenda – l’ingerenza russa,
dipende in grandissima parte proprio dal fatto che la sfidante Hillary Clinton è stata
imposta dal Partito dei DEM sull’altro candidato Bernie Sanders, con modalità a dir
poco opache (per non dire fraudolente), che gli stessi elettori DEM hanno
vivacemente contestato. Se il candidato DEM alla presidenza uscito dalle primarie
USA fosse stato Sanders invece che Hillary Clinton, l’esito del voto avrebbe potuto
essere diverso.
Per capire il perché di suddette disomogeneità, è sufficiente dare uno sguardo ai
requisiti identitari dei vari partiti di sinistra stranieri: laddove essi si configurano in
senso tradizionale, cioè essenzialmente anticapitalista e socialista, gli stessi
guadagnano consensi; dove invece essi si propongono come fautori delle
“riforme” o promuovono obiettivi neoliberisti o europeisti, crollano. Quest’ultimo,
infatti, è stato il caso della sinistra nostrana.
La risposta all’interrogativo iniziale, a questo punto, diventa intuitiva: la causa del
declino inarrestabile della sinistra “progressista”, da noi come altrove, è la
deviazione dai suoi contenuti e connotati storici: l’anticapitalismo;
l’antimperialismo; la tutela dei diritti dei lavoratori e del welfare; l’affermazione del
ruolo dello Stato nell’economia, a difesa delle classi più deboli ed a garanzia di
uguaglianza sociale. In una parola sola: il socialismo.
Oggi la sinistra in Italia è diventata, invece, la prima testimonial del sistema
eurocentrico basato sulle cessioni di sovranità dei singoli Stati europei e governato
da una commissione fatta di soggetti non eletti, ma nominati fra una ristrettissima
élite di uomini di potere, e da una Banca centrale europea, con un board composto
dai governatori delle banche centrali nazionali, sotto la presidenza di un superbanchiere
benedetto dalle big Banks americane. Entrambe queste istituzioni
detengono interamente il potere politico e decisionale di governo in UE, e la BCE
indirizza e definisce precisamente e direttamente le politiche finanziarie degli Stati
membri dell’eurozona.
Ergendosi a garante del sistema così configurato, la sinistra è passata dall’essere
lo schieramento politico che per eccellenza tutelava le classi più deboli (il
proletariato, composto da operai e contadini) in opposizione agli interessi delle
classi più agiate (nobiltà e borghesia), al divenire la roccaforte degli intellettuali,
nobili o altoborghesi (non a caso definiti “radical chic”), con una metamorfosi
integrale che certamente ai ceti medio-bassi non è passata inosservata.
A ciò si aggiunto il suo atteggiamento infinitamente ed esacerbatamente tollerante
e di sconcertante minimizzazione verso il fenomeno drammatico dell’immigrazione
clandestina, con persistente cecità sia di fronte all’insostenibile entità del
fenomeno, esploso negli ultimi anni, che davanti alle prove del suo configurarsi
quale brutale traffico criminale di esseri umani, da destinarsi ad attività illecite e
lavoro nero o sottopagato.
Questa “upper class” che costituisce oggi la sinistra italiana, inoltre, mentre si
riempie la bocca di plausi alla “società aperta” e di richiami ad un’elevazione del
livello culturale nel nostro Paese, di fatto rifiuta ogni confronto od obiezione,
benché fondata ed argomentata, chiudendosi a riccio nel proprio mondo blindato e
colmo di pregiudizi, false sicurezze, autocompiacimento e paternalismo verso il
“popolo bue”, circondandosi così di un’aura di superiorità elitaria che ne segna
definitivamente la distanza siderale dal resto della popolazione.
Il PD, che è il partito principale di questa sinistra, rappresenta quindi la visione del
mondo di questa “splendida minoranza”, il che cozza frontalmente con la
possibilità per lo stesso di ottenere consenso da parte della maggioranza della
popolazione, che con la stessa non può certamente identificarsi, in assenza di
alcun obiettivo condiviso. Finché, infatti, gli argomenti cari al PD e suoi vari satelliti
restano primariamente “le riforme”, “l’Europa”, i “migranti” e i “diritti civili”, non c’è
da sorprendersi se la maggioranza degli Italiani non si sente rappresentata, anzi si
ritiene più propriamente dimenticata o, peggio, messa da parte a vantaggio degli
interessi di altri soggetti, ovvero i cosiddetti “poteri forti”: le grandi multinazionali,
bancarie e non, le classi privilegiate (“la casta”), e non ultimi, gli immigrati.
A chi obiettasse a tale interpretazione il successo iniziale del governo Renzi, vanno
ricordati due dati di non poco conto: Renzi ha governato sempre con i voti di
Bersani, che si era presentato al suo elettorato con un programma molto meno
Yuppie-friendly di quello renziano; inoltre, la famosa vittoria del PD di Renzi con il
40% alle elezioni europee, era stata ottenuta in presenza di un’astensione altissima
(dovuta alla diffusa percezione dell’inutilità del Parlamento europeo) ed in una fase
in cui il nuovo premier si poneva come “il rottamatore”, cioè il “nuovo” rispetto sia
ai vecchi volti della politica di sinistra (come Prodi), sia rispetto ai precedenti
governi “tecnici” (Monti e Letta) che avevano molto rapidamente destato il rigetto
della popolazione, implementando le politiche di austerità imposte proprio dalla UE
via BCE.
Ma presto Renzi si è accreditato come il premier dell’imprenditoria “vincente”,
dell’economia “4.0”, e amico (troppo amico) delle banche, specie toscane, con
tutti gli scandali connessi al bail-in di Banca Etruria e ai salvataggi di MPS.
Gli slogan con l’hashtag davanti ed i selfie a profusione non sono bastati a
nascondere ai cittadini martoriati dalle tasse sempre in aumento, da una crisi
economica interminabile, da un welfare smantellato pezzo dopo pezzo e da un
precariato divenuto la regola, la miseria della propria condizione e l’incubo di un
futuro di disoccupazione o sottooccupazione per i giovani. L’emigrazione dal
nostro Paese verso mete fino a un decennio fa impensabili (Albania, Portogallo)
oltre a Germania e Regno Unito, è aumentata esponenzialmente; la natalità è
crollata e la povertà si è allargata a fasce di popolazione prima immuni.
In tale contesto di abbandono a se stesso del Popolo italiano da parte della
sinistra, con un atteggiamento di sufficienza e avulsione dai problemi reali che ha
dell’incredibile, è stato facile e comodo per la destra (o per il partito anomalo dei 5
stelle) raccogliere l’eredità giacente dei suoi valori e delle sue lotte storiche per farli
propri e diventarne garante presso i Cittadini, i quali – dopo le ovvie reticenze
dovute allo smarrimento ideologico – si ritrovano oggi finalmente ascoltati nelle loro
istanze fondamentali e, quindi, rappresentati da tali soggetti.
L’opera mediatica di derisione o, peggio, demonizzazione delle destre e dei
“populisti” in genere, non ha fatto che acuire la contrapposizione fra il Popolo e la
sinistra, la quale ha comunque mostrato di non accorgersene, o di non curarsene
affatto.
Oggi, dunque, i sostenitori e gli elettori dei partiti di sinistra si sono ristretti ad una
classe “colta” o presunta tale, ma più propriamente privilegiata, in quanto ancora
immune dal disagio economico profondo patito dal resto della popolazione colpita
dalla crisi e dalla recessione, composta da cattedratici, professionisti di grido,
banchieri od operatori finanziari; dipendenti statali di alto livello, artisti o
personaggi dello show-business di successo, o mega-imprenditori con
cointeressenze economiche significative con i partiti di sinistra.
Per continuare a governare il Paese, la sinistra odierna non ha che un mezzo:
evitare il confronto elettorale. Per questo, coloro che fra le file della sua classe
dirigente lo hanno ben compreso, guardano all democrazia con evidente sospetto
e malcelata insofferenza e tifano per un governo sovranazionale europeo,
composto dalle élite di cui fanno (o credono di poter fare) parte.
E per questo, coloro che nell’ambito della sinistra tentano di riproporre un ritorno
alle origini, vengono dipinti come “reazionari” e sostanzialmente isolati e sabotati:
qualsiasi posizione sgradita al gotha degli “illuminati” non merita spazio in un
sistema siffatto.
Dovrà quindi sbrigarsi, questa sinistra europeista, in accordo e sinergia con le altre
sinistre eurocentriche, ad eliminare del tutto il residuo margine di influenza del voto
democratico sugli assetti di governo nazionali, per non venire travolta presto ed
inesorabilmente dalla rivolta del nuovo proletariato che essa stessa ha creato ed
esasperato sempre più, anno dopo anno, negli ultimi vent’anni e specialmente dal
2008 ad oggi.
Solo se questo piano delle élite fallirà – e perché ciò avvenga, il ruolo
dell’informazione libera ed indipendente è fondamentale – i Popoli potranno
nuovamente vedere al governo i propri rappresentanti e sperare in una tutela dei
propri interessi. Diversamente, il mondo dipinto da Orwell nel suo più noto
romanzo, già divenuto realtà sotto molti aspetti, sarà compiuto e a noi cittadini
dell’Eurasia non resteranno che i cinque minuti di odio per sfogare la nostra inutile
e inerme rabbia, verso i capri espiatori che il regime stesso ci darà in pasto.

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