Rassegna stampa tedesca 15 (conferenza di Monaco)_a cura di Gianpaolo Rosani

Echi dalla conferenza sulla sicurezza di Monaco. Da questo articolo del quotidiano bavarese si ricava il turbamento nello Stato profondo tedesco, ovvero convinzioni ben consolidate che entrano in dissonanza cognitiva con il presente: “la telefonata di Trump con Putin rientra nella categoria delle perturbazioni, cosa vogliono negoziare gli Stati Uniti e la Russia a spese dell’Ucraina e dell’Europa – e chi può ancora dire la sua? I neoconservatori sono ormai storia, ma da uno dei loro rami è nato il trumpismo, che come è noto vive molto di rabbia, menzogna e imprevedibilità. In questo momento di massima incertezza un vecchio conoscente di questa conferenza garantisce la massima chiarezza: il presidente ucraino che, come molti in sala, teme di essere tradito e venduto da Donald Trump”.

 

17.02.2025

C’era una volta l’America

Raramente la Conferenza sulla sicurezza di Monaco ha tremato così tanto per l’indignazione – e sì, anche per la paura. Dal discorso di J. D. Vance, non è in discussione nient’altro che l’ordine mondiale. Una cosa è certa: a Mosca non crederanno ai loro occhi.

Basta immergersi un po’ nella storia per misurare l’entità della caduta che si è verificata questo fine settimana a Monaco. Per Putin, in ogni caso, sono state giornate di festa, ha potuto semplicemente guardare i suoi avversari sbranarsi a vicenda.

di Stefan Kornelius Proseguire la lettura cliccando su: Süddteutsche Zeitung (17.02.2025)

Come la stampa tedesca riporta e commenta l’intervento spartiacque del vice-presidente americano J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. In massima sintesi, che vale per ogni testata: lo shock causato dal tradimento e dall’umiliazione da parte della nuova dirigenza USA è profondo; i tedeschi sono spettatori tanto stupiti quanto impotenti. Vance, il segretario di Stato americano Marco Rubio e l’inviato speciale per l’Ucraina Keith Kellogg hanno incontrato un governo di minoranza impotente e un leader dell’opposizione nel rush finale della campagna elettorale.

 

15.02.2025

C’è un nuovo sceriffo in città

La conferenza sulla sicurezza tra panico e modalità di difesa: l’apparizione di J.D. Vance suscita contraddizioni.

di Peter Carstens, Monaco di Baviera

Proseguire la lettura cliccando su: Miscellanea Conferenza Sicurezza Monaco (15.02.2025)

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Ipernormalizzazione, di Simplicius

Ipernormalizzazione

16 febbraio
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Nel 2016, la BBC ha pubblicato un documentario di Adam Curtis intitolato Hypernormalisation . Il termine stesso è stato preso da uno scienziato sovietico di nome Alexei Yurchak, che lo ha introdotto nel suo libro del 2006, Everything Was Forever, Until It Was No More: The Last Soviet Generation, come un modo per spiegare l’inquietante effetto di pregiudizio della normalità che aveva attanagliato i cittadini sovietici che vivevano in mezzo a un sistema politico in decadenza. Più specificamente:

Afferma che tutti nell’Unione Sovietica sapevano che il sistema stava fallendo, ma nessuno riusciva a immaginare un’alternativa allo status quo, e politici e cittadini erano rassegnati a mantenere la finzione di una società funzionante. Nel tempo, l’illusione di massa è diventata una profezia che si autoavvera, con tutti che l’hanno accettata come la nuova norma piuttosto che fingere, un effetto che Yurchak ha definito ipernormalizzazione.

La definizione di profezia che si autoavvera può essere vista sulla falsariga dell’iperstizione di Nick Land:

iperstizione (plurale iperstizioni )

Una credenza culturale (in particolare un’opera di fantasia) che si realizza da sola; una profezia culturale che si autoavvera in cui un’idea o un’esagerazione culturale realizza realmente ciò che descrive.

Facendo eco all’URSS, il documentario di Adam Curtis spiega che le nostre moderne società occidentali sono lentamente sprofondate in questo stato di ciò che lui chiama ipernormalizzazione, dalla descrizione:

HyperNormalisation è un documentario della BBC del 2016 del regista britannico Adam Curtis. Sostiene che, in seguito alle crisi economiche globali degli anni ’70, governi, finanzieri e utopisti della tecnologia hanno rinunciato a cercare di dare forma al complesso “mondo reale” e hanno invece creato un “mondo falso” più semplice a beneficio delle multinazionali, mantenuto stabile dai governi neoliberisti.

Per chi fosse interessato, il documentario può essere guardato qui per intero . Lungo quasi tre ore, a volte assume toni minacciosamente stimolanti, ma è piuttosto discorsivamente troppo lungo, in particolare nella sua torbida sottotrama mediorientale che soffoca gli argomenti principali.

Ma tornando al tema centrale: che l’ordine postbellico “si è esaurito” e si è rassegnato al mero mantenimento di una specie di “società Potemkin”, la cui illusione è mantenuta “stabilizzata dai governi neoliberisti”. L’apertura del documentario è incentrata principalmente su Kissinger come attore centrale e artefice della spinta iniziale a plasmare la società secondo l’immagine utopica dei globalisti. Questo estratto dovrebbe suonare familiare a chi è abituato a vederne gli echi ripetuti oggi da personaggi come Klaus Schwab, che in effetti era il protetto di Kissinger:

Ascoltate cosa sta dicendo, queste dislocazioni consentiranno a noi, i globalisti, di creare, per la prima volta nella storia, una “società veramente globale”. Notate come, secondo la prassi globalista standard, servano “dislocazioni”, in altre parole, grandi sconvolgimenti sociali , perché possano strappare il controllo e rifare il mondo secondo la loro visione. Vi ricorda qualcos’altro? Ricordate il piano “Great Reset” di Schwab, che seguiva uno schema preciso: scioccare la società con sconvolgimenti senza precedenti come la paura della bufala del Covid, quindi “resettando” il mondo nella loro visione utopica di nazioni senza confini, culture ablate e controllo centralizzato.

Per essere chiari, non sono del tutto d’accordo con l’idea che le élite abbiano totalmente abbandonato il “modellare il mondo” in cambio del semplice mantenimento dello status quo, almeno non direttamente e intenzionalmente. Piuttosto, il processo è transitato verso questo in modo emergente a causa dell’incapacità delle élite di imbrigliare i flussi imprevedibili che avevano scatenato con i loro leviatani di ingegneria monetaria e sociale, in particolare dell’era dello “shock di Nixon” e dell’annullamento di Bretton Woods.

La differenza è che questa esistenza di Potemkin è essenzialmente un sistema de facto piuttosto che de jure. È una coda che scodinzola il cane perché le principali caratteristiche imposte dal sistema sono progettate più per scongiurare in modo reattivo il collasso, piuttosto che per riprogettare in modo proattivo la società in una visione altruistica del futuro. Di nuovo, la differenza deriva dall’urgenza intrinseca delle richieste di questo cambiamento: le élite non hanno modo di fermare il lento declino del loro sistema e invece ricorrono al controllo della percezione per guadagnare tempo.

In tutto questo, l’attuale dramma dell’USAID occupa un posto di primo piano, poiché l’USAID ha avuto un ruolo centrale nell’operazione di spin doctor volta a mantenere viva l’illusione.

Eric Weinstein ancora una volta collega concisamente i puntini :

Questa è la “realtà gestita”. Sì. È reale.

La Gated Institutional Narrative (GIN) è una realtà.

Allo stesso modo, anche il DISC o Distributed Idea Suppression Complex è una cosa reale.

Non è falso. Sì. Questa è quella cosa.

Tutta la tua vita nella società civile:

Kayfabe.

Il documentario di Curtis aveva previsto questo “scoppio” della bolla con queste parole profetiche:

“Le forze stanno ora tornando per perforare la fragile superficie del nostro mondo falso, costruito con cura.”

Ma la parte più interessante della tesi di Curtis è racchiusa in questa parte della descrizione precedente:

…tutti in Unione Sovietica sapevano che il sistema stava fallendo, ma nessuno riusciva a immaginare un’alternativa allo status quo…

E:

Nel corso del tempo, l’illusione di massa è diventata una profezia che si autoavvera, e tutti l’hanno accettata come la nuova norma anziché fingere.

In Occidente, pochi riescono a immaginare un’alternativa a causa del sistema di guardrail e finestre Overton in atto, imposto dai meccanismi di controllo interrotti nella saga dell’USAID. La nostra indignazione è gestita tramite accorti dispositivi di inquadramento e campagne di astroturf, in particolare durante il movimento Occupy che ha dato vita al moderno Wokeismo come foglia di fico per incanalare il dissenso lontano da punti focali “scomodi”, vale a dire il sistema bancario e finanziario.

Spesso mi riferisco a questo come a una specie di incantesimo intessuto sulla società, una foschia, una nebbia simile alla psicosi di massa. C’è sia una componente più indescrivibilmente universalizzata, sia una più tangibile, che può essere indicata direttamente. Ad esempio, l’idea delle nostre tasse e delle spese governative, il vasto deficit di bilancio e il debito pubblico parabolico. Sappiamo istintivamente che c’è tutto di sbagliato in questo: è innaturale, inumano, totalmente contrario alla logica. Eppure lo attraversiamo sonnambuli in uno stato di torpore cognitivo, fingendo di ignorarlo o comportandoci come se fosse normale. È l’equivalente di un giorno in cui ci si sveglia con un cielo rosso anziché blu, ma per impotenza a confrontarsi con quella realtà, trascorrendo la giornata semplicemente indossando un paio di occhiali da sole per alleviare il disagio della vasta, inevitabile distorsione della realtà.

Un altro buon esempio sono le recenti assurde rivelazioni di spese monetarie da parte del team DOGE. Hai visto le liste: addestramento LGBTQXIA+ per le rane, Sesame Street iracheno e altre varie dissolutezze. Sappiamo intuitivamente quanto sia folle tutto questo, ma a causa di anni di noia, qualcosa ci dice di ignorarlo, che è solo parte della “realtà complessa”, sistemi e gerarchie che non dovremmo comprendere, vite frenetiche e tutto il resto. È un pregiudizio di normalità e dissonanza cognitiva in uno.

La componente più generalizzata ha a che fare con il modo in cui tutti i vari pezzi di questa realtà simulata si uniscono in un mosaico che ci riempie di una dislocazione quotidiana latente . Un senso di abitare un ambiente innaturale, pieno di strane artificialità, regole senza senso e inutili complessità, che sembrano progettate per poco più che mettere distanza tra noi e le verità intrinseche, che si tratti di cose come destini culturali, biologici e spirituali o realtà civili ed economiche di base.

Non è una coincidenza che i massimi leader del pensiero lo descrivano allo stesso modo in modi simili al Truman Show . Tutti sembrano assorbire la stessa nuova comprensione grezza, come se i recenti sconvolgimenti avessero smosso il terreno dei nostri substrati per rivelare verità a lungo nascoste.

La spiegazione più brillante di questo controllo dello status quo svelato è stata appena scritta da un certo John Konrad, in un thread che è diventato mega-virale con quasi 12 milioni di visualizzazioni e continua a crescere. Non è stata più scritta una rubrica incisivamente definitiva sull’argomento, motivo per cui ne sto ristampando una gran parte, con qualche commento inframmezzato:

Ho aperto la mia app NYTimes oggi. Ci stanno provando, ma non riescono a tenere il passo. Le notizie uscite solo poche ore fa sono già sparite dalla homepage. L’intero sistema di comando e controllo dello stato profondo liberale è rotto.

La funzione primaria del NYTimes non è il giornalismo. È il coordinamento narrativo, ovvero impostare la cornice in modo che l’intera macchina politico-mediatica sappia come pensare a un problema prima che decolli.

Una sintesi concisa della struttura del meccanismo, con organi di stampa controllati dalle agenzie di intelligence che agiscono come operatori ATC per inviare istruzioni coordinate per manipolare la narrazione.

Avete mai notato come, da un giorno all’altro, tutti iniziano a dire “Biden è furbo” o “JD Vance è strano”?

Non è casuale. È un sistema.

Oppure l’iniziativa “gioia” inquietantemente sincronizzata, sbocciata dalle fessure puzzolenti della campagna di Kamala.

Ma ecco dove arriviamo al nocciolo della questione:

La pipeline narrativa: come funziona il Blob

Il NYTimes, NPR, WaPo, CNN e gli altri non si limitano a reagire alle notizie. Funzionano come un sistema di comando di missione distribuito e decentralizzato per il Partito Democratico e il Blob più ampio.

Fase 1: Capi degli uffici locali: questi ragazzi sono dislocati in tutto il paese, osservando quali storie prendono piede e rispondendo alle chiamate degli agenti democratici che forniscono loro le narrazioni.

Storie che devono iniziare a controllare

Fase 2: Redattori di New York – I capi ufficio ritagliano le notizie e le inviano a New York, dove un redattore le seleziona:
•Questo fenomeno avrà un’estensione a livello nazionale?
•Lascerà cuocere a fuoco lento per giorni?
•Oppure dovremmo seppellirlo?

Fase 3: Riunione editoriale – Le storie più preoccupanti vengono segnalate. Qui, gli editor decidono la struttura narrativa e a chi assegnare il compito di scriverla.

È proprio questo. Abbiamo visto dagli audio trapelati di Jeff Zucker, precedente proprietario della CNN, che ogni storia e narrazione è controllata dall’alto con mano pesante. E dato che Zucker, o qualsiasi altro importante proprietario di una stazione di notizie, è inestricabilmente legato alla mafia di Washington, che beve e cena con i big di Washington ogni settimana, è chiaro che gli ordini di marcia vengono impartiti e gli ordini del giorno allineati dai centri politici stessi.

Ma prima di assegnare un giornalista, fanno una chiamata cruciale: allo Stato profondo.

Perché? Per dare al governo un vantaggio nel controllo della storia.

A questo punto, lo Stato profondo non si limita a dire: “Ecco cosa è successo”.

Selezionano strategicamente le fonti in base al tono che desiderano.

•Se hanno bisogno di una retorica aggressiva sulla Cina, hanno un esperto di “estremismo cinese” a portata di mano.
•Se vogliono minimizzare uno scandalo di spionaggio cinese, si rivolgono a un esperto cinese “pacifico” che dirà che la cosa è stata ingigantita.
•Se si tratta di uno scandalo militare, scelgono un generale in pensione “affidabile” per indirizzare con discrezione la discussione verso la conclusione desiderata.

Questo non è giornalismo, è guerra di percezioni.

Una volta impostato il tono, l’editor assegna la storia e suggerisce le fonti approvate da contattare.

Il compito del giornalista è semplice:
•Ricevi preventivi dagli esperti giusti.
•Scrivilo.
• Attenersi agli angoli approvati

Se qualcosa va storto con l’angolazione (ad esempio una fonte lo espone come una bugia) tornano all’editor per una “guida”

A volte, un giornalista esagera. Se è un errore di poco conto, passa. Se è un errore importante, l’editor elimina il pezzo, lo seppellisce a pagina 16 o lo riassegna a uno scrittore più fidato per “correggere” l’inquadratura.

Se esageri troppe volte verrai riassegnato alle notizie locali o, con delicatezza (non è colpa tua, ADORIAMO la tua scintilla, stiamo solo ridimensionando), lasciati andare

Fai un ottimo lavoro attenendoti allo script approvato, otterrai premi o contratti editoriali e incarichi di viaggio

Nessuno dice apertamente “questo premio non è per seguire la linea del partito” perché ciò esporrebbe la truffa

No, questi giornalisti sono intelligenti. O colgono gli incentivi di ricompensa o vengono gentilmente messi da parte.

All’improvviso, ogni organo di informazione, ogni conduttore di un programma notturno e ogni spunteggio blu stanno rafforzando lo stesso messaggio.

E poiché tecnicamente non prendono ordini, pensano che si tratti di una loro analisi indipendente.

Ecco perché la narrazione sembra così unitaria. Nessuno impone la conformità: è un sistema che premia l’allineamento.

C’è ancora di più ed è più facile leggerlo nella versione semplificata del threadreader qui .

È qui che entra in gioco l’ipernormalizzazione. Il mondo che ci circonda è così stratificato di dolciumi che inizia ad assomigliare a una specie di parallelo paese delle fate Potemkin, come un “bellissimo” diorama natalizio di case di pan di zenzero e bastoncini di zucchero a strisce. Ma a un certo punto, persino i controllori iniziano a dimenticare dove finisce la realtà e iniziano le bugie. Come il cosiddetto esperimento delle cinque scimmie, gli iniziatori di gran parte del nostro attuale paradigma sono stati sostituiti da tempo e l’illusione autosufficiente ha assunto una vita propria. Ci inciampiamo, persi e sempre più distaccati dalla nostra incapacità di spiegare la stranezza che ci circonda.

È allora che le proprietà “emergenti” cominciano a fondersi nel sistema. Dal momento che gli stessi “controllori” non conoscono più le regole o chi le ha create, sono costretti a raddoppiare la realtà sintetica con un nuovo strato di giustificazioni mentali perverse. Una volta che le vecchie giustificazioni sono svanite dalla memoria, entra in gioco una sorta di isteresi culturale, in cui i “controllori” sono costretti a difendere e definire artificialità per se stessi in modi scollegati dai principi primi o dagli stimoli originali. Ciò genera una sorta di momento sociale il cui apice abbiamo assistito negli ultimi anni: scene surreali di perversità che sconvolgono i nostri sensi come mai prima, completamente sradicate da qualsiasi leitmotiv culturale rintracciabile.

Una volta che il “genio” viene scoperto, gli impulsi tumultuosi si riversano all’esterno di loro spontanea volontà, assumendo una vita propria, trasformandosi poi in chimere inaspettate. Questo non fa che aggiungere strati alla torta di false realtà ipernormalizzate che richiedono ulteriore gestione e stabilizzazione da parte dei guardiani del QA. Nel loro tentativo di sedarci, le loro spiegazioni si sganciano sempre di più dalla nostra esperienza formativa e dagli istinti originali. Ma la macchina composta dai loro vari organi di stabilizzazione è così vasta che ci costringe a ignorare quelle voci interiori, guidandoci attraverso gli archi di un nuovo mondo, anche se le “guide” stesse non capiscono più dove stanno mettendo i piedi.

Ogni tanto, capita un’interruzione che “squarcia il velo” e sconvolge violentemente la realtà. L’irriverente coppia Musk-Trump, con la loro costruzione “DOGE” volutamente ridicola, ha introdotto un colpo di pistone nella macchina. La frenesia di mosse “stravaganti” e decisioni rapide di Musk hanno sconvolto lo status quo delicatamente bilanciato, facendo barcollare i controllori. Musk e Trump hanno entrambi fatto del dire a vanvera realtà considerate “fuori dai limiti” della finestra di Overton, costringendo gli “arbitri” a inciampare l’uno sull’altro per far andare avanti disperatamente il gioco “ipernormalizzato”. Ma una volta che una certa fredda verità viene scandita, diventa come un incantesimo, con un peso magico, invulnerabile a vecchi pali della porta e guardrail.

Il blob è stato sbilanciato dalla stranezza e dal ritmo della carica guidata da Musk. Più che un toro in una cristalleria, è più un ubriaco esagerato che barcolla sul palco, lanciandosi con noncuranza tra pile di fragili pezzi scenici tenuti in piedi con cura da un esercito di tecnici scarni. Il ritmo impedisce loro di mettere piede. Invece li costringe a tappare i buchi qua e là, permanentemente sulla difensiva e privati della possibilità di coordinare senza problemi la loro applicazione come prima.

A poco a poco la psicosi di massa “ipernormalizzata” inizia a svanire e iniziamo a vedere il sole spuntare tra le nuvole. Ciò che prima era indicibile diventa sicuro da dire: l’IRS e la Federal Reserve dovrebbero essere abolite, gli immigrati clandestini deportati e la frontiera chiusa; l’insondabile deficit dovrebbe essere controllato e il bilancio in pareggio. Naturalmente, questi sono solo i primi artefatti rudimentali della realtà imposta. Quelli importanti, sì: con essi possiamo iniziare a scalfire l’enorme edificio che oscura il nostro mondo. Ma i pali della porta sono stati abilmente trasformati in bambole di Matrioska in modo tale da oscurarci con un velo dopo l’altro di restrizioni iperparametizzate, così che cancellarne una ci culla in un falso senso di soddisfazione e promessa, mentre rimaniamo ciechi alle più ampie reti di inganno che coprono i nostri occhi. Possiamo trovare esempi di ciò oggi: Trump apparentemente stappa il vaso di Pandora con minacce di chiusura dell’IRS, dell’FBI, della CIA, et cetera, senza però toccare “inquadrature” esistenziali più vaste come la lobby israeliana, il controllo occulto o l’altare della moneta fiat e dell’usura su cui l’intera società è stata deposta per essere sacrificata.

Ma questo non significa che anche questi strati non verranno eliminati col tempo: tutto deve iniziare da qualche parte e finora l’inizio è promettente.


Se hai apprezzato la lettura, ti sarei molto grato se sottoscrivessi un impegno mensile/annuale per sostenere il mio lavoro, così da poter continuare a fornirti resoconti dettagliati e incisivi come questo.

In alternativa, puoi dare la mancia qui: Barattolo delle mance

PERCHÉ LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE NON PIACE?_di Teodoro Klitsche de la Grange

PERCHÉ LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE NON PIACE?

1.0 Tira un’aria di ridimensionamento – anche il più temuto; cioè quello mediatico – per la CPI. Questa istituzione, accolta a suo tempo, specie in Italia dal favore festaiolo dei politici di centrosinistra (Ciampi in testa) non era proprio quel rimedio definitivo ai reati sui quali è competente e ancor più, nasceva male. Vediamo perché  (il tempo trascorso – un venticinquennio – l’ha confermato).

1) La competenza della Corte è sui maggiori crimini: il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra, nonché il crimine d’aggressione: la cui competenza è comunque complementare a quella degli Stati: può attivarsi nell’inerzia dei medesimi.

2) Ovviamente non si applica se non agli Stati che hanno aderito al Trattato istitutivo. Questo è stato ratificato superando il quorum previsto. Ma qua si trova il problema decisivo. Quelli che non l’hanno ratificato sono proprio coloro che hanno le maggiori tendenze (e possibilità) di commetterlo: USA, Cina, Russia, Israele tra i più propensi, dato che potrebbero essere perseguiti dalla Corte proprio loro governanti e funzionari.

3) proprio per questo gli USA hanno sempre tenuto un atteggiamento ostile alla Corte e alle di essa iniziative (non solo con Trump).

4) La Corte è stabile e ha una propria organizzazione e una propria burocrazia.

2.0 Ciò stante la CPI, così come istituzionalizzata, ha sofferto di un eccesso di strutturazione, inesistente nella storia del diritto internazionale prima del secolo passato.

In primo luogo la prassi del diritto internazionale classico per dirimere i conflitti, offre tutta una serie di soluzioni, per lo più con l’intervento di Stati-terzi “mediatori” e senza l’istituzionalizzazione di Tribunali.

Così come organizzata sembra fatta proprio per istituire quel “Pretore” tra gli Stati irreale secondo Hegel (e, a seguirlo, quindi non razionale). Ma occorre chiedersi se è più razionale un Tribunale istituzionalizzato o i “buoni uffici” di un terzo neutrale incaricato dai litiganti di conciliarli.

Conciliazioni, ivi comprese quelle di cui all’art. 33 dello Statuto delle Nazioni unite nei conflitti che possono compromettere il mantenimento della pace e della sicurezza, soprattutto arbitrati. È stato ritenuto che l’arbitrato, avendo avuto una diffusione prevalente, la stessa storia della giustizia internazionale coincide in gran parte con la storia dell’arbitrato. Esso può concretizzarsi – in analogia agli arbitrati privati – in due modi: quando la controversia è già in corso le parti possono stipulare un particolare accordo – il compromesso – nel quale è prevista (soprattutto) la scelta degli arbitri, oltre all’oggetto, ai poteri, alle norme e alla procedura.

Oppure può originare da una clausola compromissoria. Cioè dalla clausola di un trattato – ratificato dalle parti in cui, anche in tale  caso, di solito la scelta dell’arbitro (e degli arbitri) è rimessa alla decisione delle parti litiganti.

Terminata la procedura, emesso il lodo, l’ufficio arbitrale così costituito, cessa di esistere.

Anche laddove siano stipulati dagli Stati trattati di arbitrato in forza del quale si accordano di sottoporre a giudizio tutte le controversie che possano sorgere fra loro, spesso nel trattato non è previsto l’impegno arbitrale, cioè l’obbligo di sottoporre le controversie a quel dato organo arbitrale.

Secondariamente i paesi che non hanno aderito al trattato sono, come cennato sopra, quelli che hanno la propensione di commettere i crimini per cui la CPI è competente: USA, Cina, Russia, Iran, Israele, parecchi Stati arabi, l’India e il Pakistan. Il che di per sé ridimensiona la CPI. E sostanzialmente divide gli Stati in due gruppi: i sottoposti e i non sottoposti alla giurisdizione della CPI. Il che, per un diritto in cui vale il principio par in parem non habet jurisdictionem è una deroga al principio di uguaglianza (giuridica) tra gli Stati, tutt’altro che secondaria.

In terzo luogo, anche se il fine della CPI è, più che tutelare la pace, di evitare condotte in violazione dei diritti umani, ciò avviene, per lo più, nelle situazioni di disordine e conflittualità diffusa e spesso dis-ordinata, tipica delle guerre atipiche e asimmetriche.

Occorre comunque valutare se con la pace istituenda e l’ordine che ne consegue, sia più efficace l’opposta prassi della clausola di amnistia, di non punire i crimini commessi nello stato di guerra (Kant).

Resta poi da considerare che gli Stati non obbligati dal trattato istitutivo della CPI sono molto più popolosi di quelli che vi aderiscono.

3.0 Quel che più rileva è che le criticità della CPI sono riconducibili al coefficiente d’istituzionalizzazione della Corte, perché stridente con la natura di “giustizia di diritto comune” di quello internazionale.

Anche qui deve ripetere quanto al riguardo scriveva Maurice Hauriou, il quale distingueva due diritti: quello istituzionale con la relativa giustizia disciplinare (in cui le parti non sono in posizione di parità) e comune, ossia tra gruppi umani in posizione di parità. Questa “era esteriore ai gruppi, tra i gruppi (inter-groupale), interfamiliare e noi diremmo oggi internazionale, la quale aveva per organi tribunali d’arbitri, davanti a cui le parti erano uguali l’una all’altra”. Ciò perché, scriveva il giurista francese, quando i primi Stati si costituiscono come federazioni di clan, l’era delle vendette non era terminata, così che tribunali arbitrali funzionavano all’interno dello Stato, come arbitri tra uguali.

Il grande apprezzamento per l’arbitrato nel diritto internazionale si può spiegare proprio perché: a) è una giustizia tra uguali; b) l’arbitro è scelto dalle parti; c) o comunque determinato (o comunque pre-individuato) dalle parti. Cioè mancano i connotati che fanno della CPI un’istituzione e ne rendono l’operato assai più prevedibile.

Invece la Corte è “permanente”, i giudici sono espressi da un organo che non è parte in causa (anche se nominato da un collegio degli Stati aderenti, ossia dall’Assemblea degli Stati-parte), ha una procura (OTP) che può indagare anche su fatti non sotto-postigli dagli Stati, ma da semplici cittadini.

Che quindi sia profondamente innovativo rispetto agli arbitrati internazionali di un tempo è palese; e lo sono anche le ragioni della diffidenza verso lo stesso di tanti Stati.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Rassegna stampa tedesca 14 (verso le elezioni)_a cura di Gianpaolo Rosani

A Monaco di Baviera, un richiedente asilo respinto si lancia con la sua auto contro una manifestazione di Verdi. Molte persone rimangono gravemente ferite. Cronaca del fatto e dichiarazioni di autorità civili e politiche arrivate sul posto. In città inizia la conferenza sulla sicurezza, a soli due chilometri dalla scena del crimine. Sono attesi più di 60 capi di stato e di governo, più di 100 ministri e altri ospiti, tra cui il vicepresidente americano J. D. Vance, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj e il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Al momento le Autorità non ravvedono alcun collegamento tra l’attacco e la conferenza.

 

14.02.2025

“Deve finire adesso!”

A Monaco di Baviera, un richiedente asilo respinto si lancia con la sua auto contro una manifestazione di Verdi. Molte persone rimangono gravemente ferite.

di Karin Truscheit, Monaco di Baviera

Il telo di salvataggio dorato svolazza al vento, un’infermiera lo tiene fermo con una mano, con l’altra spinge Proseguire la lettura cliccando su: Frankfurter Allgemeine (14.02.2025)

L’afgano Farhad N. (24 anni) ha speronato intenzionalmente a Monaco di Baviera un gruppo di manifestanti con la sua auto; 28 i feriti. Riportiamo la traduzione dell’intera pagina della “Bild” con la cronaca ed i commenti, nel suo stile lapidario.

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14.02.2025

L’ORRORE DI MONACO

Richiedente asilo respinto si lancia nella folla a Monaco. 28 feriti. Indizi di “retroterra estremista”

Alle 10.30 l’afgano si è lanciato nella folla

+++ Paura del terrorismo e immagini dell’orrore a Monaco +++ Sospetto che l’autore del reato sia un estremista +++ Chi ha fallito? +++  Proseguire la lettura cliccando su: Bild (14.02.2025)

Cosa sta succedendo a Scholz poco prima delle elezioni? Crede ancora, come ha sempre
affermato pubblicamente, che l'inverno 2025 sarà simile all'autunno 2021, cioè che otterrà una vittoria dell’ultimo minuto di cui prima era convinto solo lui? O sa da tempo che sta conducendo una battaglia inutile e che ora si tratta soprattutto di portare a termine la sua carica di Cancelliere con dignità? La sensazionale vittoria del 2021 non si ripeterà: per il ruolo da eroe nel 2025, molto probabilmente Scholz non sarà più all’altezza.

13.02.2025
Il tempo guarisce tutte le ferite
Olaf Scholz crede ancora di poter ripetere la sua clamorosa vittoria del 2021? Negli ultimi metri in viaggio
con il Cancelliere in campagna elettorale.

di PETER DAUSEND
La grande sala del Capitol di Schwerin, con la sua galleria, i palchi, le lampade da parete grandi come tavoli Proseguire la lettura cliccando su: Die Zeit (13.02.2025).2

Tre articoli su “Die Zeit” si occupano oggi di previsioni elettorali. Il primo è la classica panoramica sui tuttora “indecisi”, stimati al 30%. Il secondo sul software “Wahl-o-Mat”, che ha superato i 15 milioni di accessi: rispondendo a 38 domande secche indica a ciascuno il partito più affine. Il terzo calcola le conseguenze sul proprio reddito in base ai programmi dei partiti sul fisco.

13.02.2025

Chi votare?

Più del trenta per cento dei tedeschi non sa ancora a chi dare il proprio voto il 23 febbraio. Com’è possibile? E in questa grande confusione, l’Wahl-O-Mat è davvero d’aiuto? Chi beneficia dei piani fiscali dei partiti, ma anche dove i programmi potrebbero promettere troppo.

Voto così! Proseguire la lettura cliccando su: Die Zeit (13.02.2025)

Il partito BSW fondato da Sahra Wagenknecht, che nel suo primo anno di vita ha raccolto risultati elettorali importanti a livello locale, sembra ora in difficoltà per le elezioni federali. “Die Linke”, la sinistra dalla quale si era staccata ha ritrovato slancio, secondo l’articolo del settimanale Stern. Il suo leader, Jan van Aken, è stato fuori dalla politica per sei anni, poi è arrivata la chiamata a salvare il partito; non si perde in una politica identitaria, ma si concentra su questioni sociali.

stern

12.02.2025

C’È ANCORA SLANCIO

Dopo la partenza di Sahra Wagenknecht, la sinistra sembrava finita. Ma all’improvviso il partito sembra di nuovo giovane e combattivo. Si sta preparando una sorpresa?

Ma guarda un po’: la sinistra è di buon umore! Il candidato di punta Jan

                                                      van Aken e la candidata di punta Heidi Reichinnek vogliono mantenere il loro partito nel Bundestag

di Martin Debes e Miriam Hollstein

Miriam Hollstein ha incontrato il presidente della Sinistra, van Aken, che sembrava quasi euforico, mentre Martin Debes ha visto la leader del BSW, Wagenknecht, più pensierosa che mai.

Chiunque incontri Sahra Wagenknecht di solito raramente può indovinare cosa pensa o prova. Che sorrida, aggrotti la fronte o appaia impassibile, rimane impenetrabile. Un enigma umano. Ma quel pomeriggio, nel Proseguire la lettura cliccando su: Stern (12.02.2025)

Note sul nuovo sistema di voto in Germania: gli elettori hanno due voti da segnare su una unica scheda. Il primo voto viene assegnato a un candidato diretto nella propria circoscrizione elettorale. Il secondo voto va a un partito, che con la nuova legge decide la distribuzione dei 630 seggi nel Bundestag. Chi riceve meno del cinque per cento di tutti i secondi voti non può entrare in Parlamento (a meno che non abbia vinto almeno 3 circoscrizioni), quindi i primi voti (e il voto disgiunto) può essere inefficace. Il numero di partiti rappresentati nel Bundestag potrebbe avere un impatto sulle possibilità di formare un governo.

11.02.2025

La questione dei due voti

Votare tatticamente con il primo e il secondo voto – oggi non è più possibile. Cosa cambia con la nuova legge elettorale

di Saladin Salem

Monaco – Con le prossime elezioni federali, il Parlamento si ridurrà notevolmente. Secondo la più recente riforma della legge elettorale, ci sarà posto solo per un massimo di 630 deputati. Proseguire la lettura cliccando su: Süddteutsche Zeitung (11.02.2025)

Secondo gli esperti consultati dalla “Bild” l’accordo dell’UE su un sistema comune di asilo (GEAS), che dovrebbe entrare in vigore a metà del 2026, non cambierà nulla nella distribuzione dei rifugiati nell’UE. Perché chi rifiuta di riprendere i rifugiati non deve continuare a temere sanzioni: in questo senso, le dichiarazioni di Scholz sono “favole”.

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11.02.2025

Il piano di Scholz sull’asilo è più di aria fritta?

Il cancelliere vuole risolvere la crisi dell’asilo attraverso una riforma dell’UE. Gli esperti avvertono: non funzionerà.

di NIKOLAUS HARBUSCH

Berlino – È considerato il progetto per risolvere la crisi dell’asilo: l’accordo dell’UE su un sistema comune di asilo (GEAS). Proseguire la lettura cliccando su: Bild (11.02.2025)

In diversi Comuni della Germania orientale, dove l’AfD è diventata la forza dominante, la CDU e altri partiti stanno già cooperando con l’estrema destra. Da tempo, dalla seconda fila della CDU orientale si levano richieste di abbattere qualsiasi muro di separazione. Ora, dopo la manovra di Merz, queste voci stanno diventando più forti.

08.02.2025

Giocare con il fuoco

Il voto con l’AfD al Bundestag riaccende il dibattito sul muro tagliafuoco nella CDU orientale.

di Frauke Böger, Paul-Anton Krüger, Peter Maxwill

Il primo ministro Voigt, l’uomo dell’AfD Höcke nel 2024: stretta di mano, ma nessuna collaborazione.

 

Quando in questi giorni viene chiesto a Friedrich Merz del “Brandmauer”, il candidato cancelliere dell’Unione reagisce in modo difensivo. Proseguire la lettura cliccando su: Der Spiegel (08.02.2025).2

In copertina del settimanale “Der Spiegel” vediamo disegnati i tre leader della coalizione uscente (CDU, SPD e Verdi) che si guardano truci, a loro volta osservati da dietro da una beffarda Alice Weidel (Afd). Nelle pagine interne l’articolo spiega che la Berlino politica guarda con preoccupazione al periodo successivo al 23 febbraio. I potenziali partner si stanno lanciando le più gravi accuse reciproche. Stanno tracciando linee rosse ed escludendo opzioni di coalizione. Stanno formulando condizioni che dichiarano non negoziabili… eppure CDU/CSU, Verdi, SPD e FDP hanno dimostrato più volte di essere in grado di lavorare insieme ed è possibile che siano ancora in grado di farlo dopo le elezioni, persino probabile … ma non più certo. I pragmatici dei partiti storici si battono per la cooperazione; una cooperazione che in realtà non vogliono, ma alla quale non c’è alternativa se si vuole tenere l’AfD fuori dal potere.

08.02.2025

VA BENE COSÌ?

 Quando nessuno può parlare con nessuno

Le parti in conflitto

Accuse, linee rosse, intransigenza: dopo lo scandalo dell’AfD al Bundestag, i fronti tra i partiti centristi si sono induriti. Riusciranno a riunirsi anche dopo le elezioni?  Proseguire la lettura cliccando su: Der Spiegel (08.02.2025)

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SULLA NUOVA EPOCA DELL’ “IMPÉRIALISME EN FORME”  DELLA SECONDA PRESIDENZA  TRUMP: STRESS TEST N°2 (MA PER PROCURA)_Di Massimo Morigi

SULLA NUOVA EPOCA DELL’ “IMPÉRIALISME EN FORME”  DELLA SECONDA PRESIDENZA  TRUMP: STRESS TEST N°2 (MA PER PROCURA)

 

Di Massimo Morigi

 

            «Se non conoscessimo l’irrimediabile e profonda corruzione (e mettiamo pure la dabbenaggine, via siamo generosi…) del mainstream informativo italiano, ci sarebbe da sorprendersi dalle reazioni totalmente fuori fuoco, organi di sinistra o destra sullo stesso piano, riguardo alle dichiarazioni di Elon Musk che ha fatto sapere urbi et orbi che i giudici che hanno rimandato gli immigrati clandestini in Italia dovrebbero essere licenziati.» Così iniziava il mio Stress test, compiuto peccato e Epifania strategica: Elon Musk, Giuseppe Mazzini, Antonio Gramsci, Pier Paolo Pasolini e Walter Benjamin pubblicato sull’“Italia e il Mondo” in data 16 novembre 2024 all’URL https://italiaeilmondo.com/2024/11/16/stress-test-compiuto-pecccato-e-epifania-strategica_di-massimo-morigi/, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20241116082945/https://italiaeilmondo.com/2024/11/16/stress-test-compiuto-pecccato-e-epifania-strategica_di-massimo-morigi/,   che invito ad andare a visitare anche per inquadrare l’odierno pesantissimo attacco di Marija Zacharova, portavoce del Presidente della Federazione russa  Vladimir Putin,  contro il nostro beneamato Presidente della Repubblica italiana definendo le sue ultime esternazioni riguardo alla guerra Nato-Russia come  «blasfeme».

         More solito, come nel caso delle esternazioni di Musk riguardo i giudici italiani, le reazioni degli organi di informazione italiani  sono state totalmente fuori fuoco e la loro espressione di solidarietà  come un sol uomo  al  nostro beneamato capo dello Stato (come facciamo a non associarci?…) è stata ugualmente corale nello coprire la vera natura delle parole della Zakharova che altro non è stato che il secondo  stress test che il sistema politico-informativo italiano subisce nel giro di pochi mesi e con una peculiarità veramente interessante rispetto al primo patito  a novembre. Se in quello di novembre la prova di sforzo sul sistema politico-informativo italiano veniva   eseguita direttamente  dall’imminente entrante amministrazione Trump, questa volta il mandante è sempre Donald  Trump ma, assoluta novità rispetto alla prima,  a parlare e a metterci la faccia  è la Russia ma che  lo fa su tacito mandato sempre di Donald Trump.

         Si tratta, insomma, di uno stress test per procura, dove la Russia agisce per conto degli Stati uniti (alla quale, dobbiamo pur ammetterlo,  del nostro Beneamato non le potrebbe fregar de meno mentre per gli Stati uniti novelli ritrovati grandi importa molto impartir lezioni a chi era stato ideologicamente e politicamente legato alla vecchia amministrazione) e questo  nel quadro del novello ‘impérialisme en forme’ di Donald Trump che la Russia ha deciso di favorire in tutti i modi possibili, sia perché nella situazione specifica della guerra Nato-Russia le fa buon gioco fare ponti d’oro alla nuova amministrazione americana e, soprattutto, perché l’ ‘impérialisme en forme’ trumpiano viene giudicato dalla Russia come una versione seppur rozza e semplificata della visione russa dei rapporti internazionali, improntata questa al paradigma del realismo politico nel quadro di una analisi di un irreversibile processo di multipolarismo e di fine di egemonia mondiale globale degli Stati uniti. (Una fine di egemonia mondiale globale rispetto alla quale anche gli Stati uniti della nuova era Trump sono paradossalmente d’accordo, implicando questo ‘impérialisme en forme’ una ancor più violenta supremazia degli Stati uniti ma su settori geopolitici più delimitati e mirati e senza gli infingimenti ideologici dei precedenti imperialisti fuori forma,  i cui  ultimi epigoni sono stati all’opera durante la delirante presidenza Biden, e che al culmine della loro fragilità mentale ed intellettuale  pretendevano  attraverso  la sciagurata guerra Nato-Russia, e dando alla disgraziata Ucraina la procura di agire militarmente per conto Nato, di arrivare addirittura a smembrare la Federazione russa. Abbiamo visto cosa ha portato questo essere ‘fuori forma’, e per chi voglia chiarire questo concetto di ‘impérialisme en forme’  veda il mio ultimo Giovanni Spadolini. Un italiano, all’URL de “L’Italia e il Mondo”  https://italiaeilmondo.com/2025/02/09/giovanni-spadolini-un-italiano_di-massimo-morigi/  , Wayback Machine:  https://web.archive.org/web/20250215153111/https://italiaeilmondo.com/2025/02/09/giovanni-spadolini-un-italiano_di-massimo-morigi/ .)

«Questo per quanto riguarda l’analisi dal punto di vista di un dialettico e storico realismo politico della vicenda dichiarazioni sui giudici di Elon Musk e ridicole reazioni al riguardo da parte del sistema poltico-informativo italiano. Per quanto riguarda le possibili contromisure a questo deplorevole “stato delle cose” che ha profonde radici nella nostra storia nazionale, il dibattito, come si dice, è aperto. Per il momento mi sento solo di dire, che dal punto di vista del Repubblicanesimo Geopolitico, la rianimazione di una “Epifania Strategica” nazionale necessita di proposte molto, molto innovative, le quali  siano però una vera e propria irresistibile e pasoliniamente poetica “forza del passato”,   le quali con il balzo di tigre a ritroso nel tempo  e nella storia evocato da Benjamin recuperino e risuscitino   i  due già nominati più grandi pensatori e rivoluzionari politici italiani.»     Cosi chiudeva Stress test, compiuto peccato e Epifania strategica, i due più  grandi pensatori e rivoluzionari politici italiani lì menzionati  sono Mazzini e Gramsci. Su loro come fonte di ispirazione per fuoruscire dal compiuto peccato’ italiano molto ho già scritto e rimandando su ciò anche ai miei ultimi interventi, grata mi è loccasione per associarmi anche personalmente alle espressioni di solidarietà di tutti gli organi di informazione mainstream verso il nostro Beneamato la cui sola colpa è di essersi formato e aver fatto carriera politica in unepoca  che è definitivamente morta e sepolta, soppiantata da una nuova dove si impone ed è necessaria una lucida e realistica visione dello stato delle cose. Ma sono convinto che da vero grande quale egli è, il nostro Beneamato saprà accettare con animo quirita la sentenza della storia che lo ha decretato ormaifuori formae di cui lo stress test della Zacharova non è che uno dei tanti segnali al riguardo.

Massimo Morigi, 16 febbraio 2025

 

 

 

 

Il bagno di sangue di Monaco spacca completamente l’ordine occidentale, di Simplicius

Il bagno di sangue di Monaco spacca completamente l’ordine occidentale

Simplicius
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È stata un’altra giornata vorticosa, mentre la Conferenza di Monaco è finalmente decollata. Il tema dello show era l’epico confronto tra lo stato profondo degli Stati Uniti e quello europeo, rappresentato da vari portavoce compradores.

Ma prima ancora che potesse iniziare, Zelensky ha sentito il bisogno di spruzzare un po’ di falsa bandiera per un effetto aggiunto, per assicurarsi che la tensione della presunta “minaccia” della Russia potesse colorare i procedimenti. E così, un “drone misterioso” è stato inviato a colpire il famigerato reattore di Chernobyl, perforando il rifugio del sarcofago:

I giornali e le organizzazioni occidentali si sono lanciati all’attacco:

Con umorismo, Arestovich solo pochi giorni fa aveva astutamente previsto che in vista della conferenza di Monaco, Zelensky avrebbe prevedibilmente inviato un drone per colpire la “cupola del Cremlino” o una “centrale nucleare” per l’effetto ovvio:

Col senno di poi, avrebbe dovuto essere una previsione facile da fare per tutti noi.

Ora passiamo rapidamente in rassegna alcuni dei punti più importanti, uno per uno:

La più importante: JD Vance avrebbe accennato a un intervento militare degli Stati Uniti in Ucraina, qualora Putin non avesse acconsentito al cessate il fuoco, cosa che le prostitute occidentali hanno fatto per ovvie ragioni:

Vance ha rapidamente confutato quelle che ha definito parole “estrapolate dal contesto”:

Il vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance ha dichiarato venerdì che il Wall Street Journal ha male interpretato i suoi commenti sulla possibilità di inviare truppe statunitensi in Ucraina

“Il fatto che il WSJ abbia male interpretato le mie parole è assurdo”, ha scritto Vance sui social media di H.

“Come ho sempre detto: le truppe americane non dovrebbero essere in zone di conflitto a meno che i nostri interessi e la nostra sicurezza non lo richiedano. E questa guerra è solo tra Russia e Ucraina”, ha aggiunto Vance.

In precedenza, il WSJ aveva scritto che Vance aveva dichiarato in un’intervista che Washington è in grado di usare mezzi di pressione economici e militari per raggiungere un accordo con la Russia sull’Ucraina.

Di fatto, la conferenza finora si è rivelata un vero e proprio disastro, sia dal punto di vista USA-Ucraina, sia, a maggior ragione, da quello USA-Europa.

Diamo un’occhiata veloce a come Zelensky sia stato effettivamente fatto sembrare il piccolo aiutante del cardinale grigio Yermak nelle discussioni:

Peskov ha chiesto chiarimenti sulle presunte dichiarazioni sull’intervento militare degli Stati Uniti:

Uno dei disastri della conferenza è stato il presunto rifiuto di Zelensky dell’accordo minerario di Trump. Dal reporter del WaPo Josh Rogin:

A Monaco di Baviera, gli Stati Uniti hanno proposto a Zelensky di firmare un documento che concede a Washington i diritti sul 50% delle future risorse minerarie dell’Ucraina, ma lui ha rifiutato, ha riportato il Washington Post.

Si continuava a fantasticare su un contingente di truppe europee, ma oggi il quotidiano tedesco Welt ha riferito che l’Europa può fornire solo 25.000 miseri soldati:

‼️ L’Europa può fornire all’Ucraina solo 25 mila soldati per schierarne almeno 120 mila se necessario, — WELT

▪️La pubblicazione tedesca sostiene che i funzionari europei e la NATO sono ancora sotto shock dopo le dichiarazioni sincere del Segretario alla Difesa statunitense Hegseth, secondo cui gli Stati Uniti non sono interessati a sostenere militarmente l’Ucraina.

▪️Attualmente, l’Europa è costretta a garantire autonomamente la sicurezza dell’Ucraina. Date le limitate risorse militari e la riluttanza degli Stati Uniti a partecipare a questo processo, il sostegno dell’UE si sta gradualmente trasformando in una banale formalità.

▪️La pubblicazione riferisce che, secondo diversi alti funzionari militari europei, una simile missione di stabilizzazione non avrebbe alcun senso.

RVvoenkor

Citato direttamente dall’articolo del Welt:

Servono almeno 120.000 soldati

Ci sono anche dubbi all’interno della NATO sul fatto che gli europei da soli sarebbero in grado di superare le sfide. Un generale di alto rango di un paese della NATO ha detto a WELT: “Gli europei non possono contare su possibili truppe della coalizione, ad esempio dal Bangladesh, dall’India o dall’Etiopia, che non scappino quando le cose si fanno serie”.

Gli ambienti militari citano “circa 120.000 soldati come limite inferiore” per lo spiegamento pianificato. Poiché le truppe devono ruotare, circa 40.000 uomini e donne verrebbero schierati in qualsiasi momento. I funzionari militari dell’UE si aspettano che gli europei siano in grado di fornire “fino a 25.000 soldati al massimo”.

Quindi, innanzitutto, il grande numero di 120k di cui si parla è la quantità totale necessaria per la rotazione, solo 25k possono essere effettivamente schierati in qualsiasi momento. A proposito, bella piccola frecciatina razziale da parte di Welt, come se gli “indomiti” peacekeeper europei potessero resistere più fermamente di quelli “bangladesi ed etiopi” di fronte alle avanzate russe.

Beh, c’è sempre la difesa aerea:

Parlando del Segretario al Tesoro Scott Bessent, ha ammesso senza mezzi termini che il suo unico scopo era quello di ottenere concessioni minerarie e “titoli” statunitensi dall’Ucraina:

Nel frattempo, Trump ha accennato a minacce nei confronti di Zelensky dicendo che i suoi numeri nei sondaggi “non sono eccezionali, per usare un eufemismo” e che Zelensky, in effetti, deve fare ciò che gli viene detto:

Il discorso di Vance all’Europa ha rubato la scena, tuttavia. Ora viene salutato come il discorso geopolitico più importante dai tempi del discorso fondamentale di Putin alla conferenza di Monaco del 2007. È possibile leggerlo per intero qui .

Vance ha sostanzialmente rimproverato l’Europa per essere debole e non allineata con gli interessi americani comuni e i valori condivisi. I punti salienti più importanti:

I compradores europei si sono ribellati. Il tedesco Pistorius ha lanciato un contrattacco, dedicando il suo discorso a confutare le affermazioni di Vance, mentre Kaja Kallas ha piagnucolantemente accusato gli USA di cercare di “attaccare” l’Europa:

Arnaud Bertrand ha scritto un ottimo articolo sulla rilevanza del discorso decisivo di Vance:

È davvero difficile non fare un parallelo tra il discorso di JD Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco e il discorso di Putin del 2007 sullo stesso podio.

Entrambi sono stati momenti spartiacque che hanno trasformato radicalmente il consenso esistente. Putin all’epoca ha pronunciato il discorso che ha segnato l’inizio della fine del momento unipolare. Il discorso di JD Vance sarà probabilmente ricordato come il discorso che ha segnato l’inizio della fine dell’alleanza occidentale post-seconda guerra mondiale.

La morale della favola è questa: abbiamo parlato per mesi del deterioramento della “solidarietà” europea dietro le quinte, e oggi il caso è stato completamente svelato al mondo. Zelensky e l’Ucraina non hanno guadagnato nulla, anzi hanno sofferto ripetute umiliazioni e sono stati messi da parte come mocciosi dai capelli rossi. L’Occidente è stato smascherato come non abbia alcun consenso su nulla: le sue sfilacciate alleanze sembrano ribelli, senza una guida e sempre più disperate.

Le personalità occidentali ora ricorrono a tattiche di paura a buon mercato; ad esempio, Scholz ha chiesto una dichiarazione di “emergenza” per poter convogliare urgentemente i fondi verso l’Ucraina:

Zelensky, da parte sua, ha tentato di spaventare la popolazione statunitense affermando che se si permetterà alla Russia di vincere, le truppe statunitensi saranno presto costrette a combattere:

La voce più devastante di tutte, anche se non c’è ancora alcuna conferma, è arrivata dal parlamentare ucraino della Rada Max Buzhansky, il quale ha affermato che a Monaco verranno espresse delle “proposte” (probabilmente segrete) per dare alla Russia non solo il territorio ucraino che attualmente controlla, ma anche quello che non controlla :

‼️ A Monaco di Baviera potrebbe essere offerto all’Ucraina di consegnare alla Russia i territori non ancora liberati dalle Forze armate ucraine — MP Buzhansky

▪️Il deputato del popolo suggerisce che durante le discussioni odierne sull’Ucraina, potrebbero essere avanzate proposte per trasferire alla Russia una parte dei territori che sono diventati parte del nostro Paese dopo il referendum del 2022.

▪️Secondo Buzhansky, “Indipendente” deve rispondere con un rifiuto categorico e dimostrare tutta la sua ostentata unità, non permettendo alla Russia di impossessarsi dei territori rimanenti.

RVvoenkor

L’ovvia insinuazione qui è che l’Occidente stia probabilmente considerando le vere proposte di Putin per un cessate il fuoco, che includono cose come i territori completi di Kherson e Zaporozhye. Dopo tutto, Vance ha accennato a qualcosa di strano quando ha detto che l’accordo avrebbe “scioccato” molte persone:

“Penso che da tutto questo verrà fuori un accordo che sconvolgerà molte persone”, ha detto Vance, citato dal giornale.

È ancora impossibile credere che una cosa del genere possa accadere; un promemoria: l’Ucraina dovrebbe abbandonare sia la città di Kherson sia quella di Zaporozhye, una città di quasi un milione di persone, cosa che non accadrà tanto presto.

Molti stanno ora dando grande risalto al turbine di “discussioni sui negoziati”, con rinnovate affermazioni secondo cui Putin sta mettendo insieme una squadra di super-negoziatori per incontrare i sostenitori di Trump in Arabia Saudita, e Trump afferma che una squadra di giovani talenti terrà già degli incontri preliminari alla conferenza di Monaco.

Ma questo non sarebbe altro che questo: sondaggi estremamente preliminari volti a valutare approssimativamente dove si trovi ciascuna parte. Non si può semplicemente aggirare il fatto che Trump e gli Stati Uniti non hanno il potere, al momento, di fornire l’elenco completo delle richieste di Putin. E Putin quasi certamente non annacqua le richieste sulla smilitarizzazione, la denazificazione e le quattro regioni che hanno già aderito costituzionalmente alla Federazione Russa.

Pertanto, tutto il clamore intorno ai cessate il fuoco continua a non essere altro che un’altra mossa pubblicitaria creata dai membri del team di Trump per continuare a plasmare l’immagine mitologica del secondo mandato di Trump come un tour de force “rivoluzionario”.

Putin deve ovviamente mantenere le apparenze, segnalando che è sempre aperto ai negoziati, per il bene della sua immagine internazionale, in particolare tra alleati di peso come Cina e India. Ma in realtà, Putin non ha mai nemmeno accennato a un compromesso e non ci sono possibili negoziati qui finché l’Ucraina non sarà semplicemente sottomessa al punto che non sarà più in grado di prendere decisioni su queste cose.

Sul punto della “gloria” fabbricata da Trump, ecco un altro esempio di Trump che parla in grande ma non lo sostiene con i risultati, almeno non ancora. Oggi ha dichiarato i BRICS totalmente “morti”, sostenendo vanamente di aver distrutto il gruppo da solo:

Il fatto è che, a parte un paio di paesi del terzo mondo, Trump non è stato in grado di spingere nessuno né di ottenere ciò che voleva. Oggi ha anche invitato la Russia a tornare al G7, cosa che è stata rapidamente rimproverata dal Cremlino tramite Peskov:

Questa è un’ulteriore prova del fatto che la Russia non si affretta a beccare le briciole che gli Stati Uniti le offrono nel palmo della mano, il che sottolinea che Putin non si lascerà intimidire dalla sbruffoneria del team americano e dalle sue grandi e muscolose parole da eccezionalista americano; o la Russia vede soddisfatte tutte le sue richieste o la guerra va verso la sua sanguinosa conclusione.

In conclusione: la conferenza finora ha lasciato l’Europa puzzolente come una carcassa fetida a bordo strada. Non c’è altro che disillusione e scompiglio mentre i globalisti si affannano come galline impazzite per tenere in piedi il tremolante castello di carte. Il tempo stringe.

Un ultimo assaggio dell’umore per chiudere la sezione:

Nuove immagini satellitari rivelano enormi buchi delle dimensioni di Iskander nel presunto impianto di produzione di droni in Ucraina, come riportato l’ultima volta (a sinistra: prima, al centro: dopo, a destra: foto di repertorio più nitida):

Immagini satellitari prima (10.02, foto 1) e dopo (13.02, foto 2) l’attacco missilistico di ieri delle Forze Armate russe contro gli edifici industriali impegnati nella produzione di droni FPV e altri prodotti di difesa

a Kiev.

Entrambi gli edifici appartenevano in precedenza a un’azienda farmaceutica.

Le fotografie mostrano tracce di impatti di missili balistici, a seguito dei quali un edificio è stato quasi completamente distrutto.

50.3274796, 30.4467590 – qui.

Si segnala un altro scambio di cadaveri oggi, con una disparità più grande che mai:

Oggi ha avuto luogo un altro scambio di corpi di soldati caduti. I corpi di 45 dei nostri soldati ci sono stati restituiti e abbiamo consegnato i corpi di 757 soldati ucraini.

Il precedente scambio ebbe luogo il 24 gennaio. Allora furono restituiti 49 corpi di soldati russi e 757 corpi furono consegnati al nemico.

L’ultima volta avevo il rapporto come:

Perdite russe: 380
Perdite ucraine: 3.547
Rapporto: 9,34 a 1

Ora aggiungiamo:

Perdite russe: 429
Perdite ucraine: 4.304
Rapporto: 10,03 a 1

LostArmour ha pubblicato la propria scheda tecnica:

A proposito, l’ ultimo scambio è stato confermato e corroborato dal ‘Quartier generale di coordinamento per il trattamento dei prigionieri di guerra’ ufficiale dell’Ucraina . Potete vedere il post voi stessi sul loro sito, ma come al solito non elencano la quantità di corpi restituiti alla Russia, solo la quantità di corpi ucraini restituiti, che è 757. La ragione probabile è ovviamente che non vogliono evidenziare la disparità delle vittime, quindi siamo costretti a fidarci dei numeri rilasciati da fonti russe sui morti russi che sono stati restituiti.

Gli equipaggi americani degli F-35 e dei KC-46 hanno osservato con stupore le prestazioni del Su-57 russo mentre scattavano foto durante l’Aero India in corso:

Questa interessante foto scattata dietro le quinte durante alcune riunioni di emergenza del Politburo europeo a Monaco è riuscita a trapelare:

L’Europa è mai stata così presa in giro?

Zelensky è stato avvistato anche nel backstage con il suo socio pappone .

L’uomo “ucraino” di Pokrovsk sconvolge i giornalisti occidentali che hanno cercato di usarlo per scopi propagandistici:

Arestovich ha fatto un’analisi militare piuttosto interessante dell’arte e delle tattiche operative russe, in particolare sul fronte di Kupyansk:

Parte del doppiaggio dell’IA è traballante, ma ascoltate in particolar modo la seconda parte, dove spiega in sostanza che l’esercito russo ha ora la più grande comprensione istituzionale dell’arte operativa al mondo e che nessun paese, compresi la NATO e gli Stati Uniti, può oggi eguagliare le capacità delle forze terrestri russe.

La folla pro-UA sta perdendo il controllo, qui un mercenario britannico che è stato “personalmente premiato dal generale Zaluzhny” perde completamente il controllo:

E sì, i tweet sono veri, ho dovuto ricontrollarli io stesso. Il crollo dell’Ucraina sta esponendo il vero volto orribile della maggior parte dei sostenitori ucraini Non si sono mai preoccupati che la Russia infrangesse qualche “stato di diritto”, odiavano solo la Russia e i russi e usavano la guerra come scusa per rendere operativo il loro odio.

Vi lascio con queste bellissime immagini, ‘Song of the Motherland’:


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Vance alla conferenza di Monaco. De profundis della intera classe dirigente europea

Un discorso dirompente su cui sarà impossibile mettere la sordina. Un de profundis. Una intera classe dirigente europea messa alla berlina, alla quale è stato strappato il velo di ipocrisia, a dire il vero ormai sottile; additata come il vero nemico dei propri popoli, piuttosto che la Cina e la Russia.

Sin qui tutto bene, sin troppo bene. Le premesse perché l’acceso scontro politico in corso negli Stati Uniti si allarghi al continente europeo sono state poste.

Un discorso che rivendica libertà in Europa.

Qui, però, la strada può prendere due direzioni a seconda di chi raccoglierà l’invettiva e il testimone.

Una è quella della liberazione di forze politiche ed élites alla ricerca e disposte a sottomettersi alla nuova classe dirigente in formazione negli USA.

L’altra è quella della emancipazione di forze autonome ed indipendenti in grado di costruire il futuro dei propri paesi e di trattare a testa alta nel sistema di relazioni internazionali.

Rimarrebbe una terza ipotesi, quella dell’ignavia legata ad una possibile implosione o abbandono degli Stati Uniti. Ridurrebbe il continente europeo ad una landa. Una considerazione al momento prematura.

I nuovi profeti hanno dichiarato apertamente che gli Stati Uniti non sono più in grado, se mai lo sono stati, di reggere le sorti del mondo, pardon, il peso dell’impero così com’è.

Quello che potrà fare Vance, Trump e la nuova amministrazione per dare coerenza a queste affermazioni sarà la rimozione progressiva di tutti i centri eversivi statunitensi che allignano nei comandi della NATO e nelle reti disperse nei vari paesi europei. La cartina di tornasole che può attestare la sincerità della svolta annunciata.

Una spintarella, se non proprio un impulso dall’Europa ne rafforzerebbe la motivazione ed agevolerebbe il cammino.

Sta comunque agli europei decidere se contribuire a ripristinare sotto mutate spoglie la propria sottomissione, lasciando agli altri della “maggioranza globale”, che maggioranza così compatta comunque non sarà, gli oneri e gli onori della competizione; oppure imparare a trattare alla pari.

Ridurre ad un unico fascio tutto quello che sta accadendo negli Stati Uniti non farà che ridurre l’ampio movimento di contestazione in Europa al ruolo di corifei di decadenti protagonisti di un vecchio ordine ormai consunto. Una tentazione che serpeggia in maniera preoccupante.

Buon ascolto e buona lettura, Giuseppe Germinario

Vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance – Intervento alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco

Grazie e grazie a tutti i delegati, le personalità illustri e i professionisti dei media qui presenti. Un ringraziamento speciale anche agli organizzatori della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco per aver messo in piedi un evento così straordinario. Siamo ovviamente entusiasti di essere qui, felici di essere qui.

Una delle cose di cui voglio parlare oggi riguarda, naturalmente, i nostri valori condivisi. È meraviglioso essere di nuovo in Germania. Come avete sentito, lo scorso anno ero qui in qualità di Senatore degli Stati Uniti. Ho visto il Segretario agli Esteri David Lammy e scherzando gli ho fatto notare che entrambi, lo scorso anno, avevamo incarichi diversi da quelli attuali. Ora però è il momento, per tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di ricevere il mandato politico dai nostri popoli, di usare questo potere in modo saggio, per migliorare la loro vita.

Durante il mio soggiorno qui, nelle ultime 24 ore, ho avuto modo di trascorrere del tempo al di fuori di questa conferenza e sono rimasto molto colpito dall’ospitalità della gente di Monaco, nonostante il tremendo attacco di ieri. La prima volta che sono stato a Monaco è stato con mia moglie, che è qui con me oggi, in un viaggio personale. Ho sempre amato questa città e la sua gente, e voglio dire che siamo molto colpiti da quanto accaduto. I nostri pensieri e le nostre preghiere sono con Monaco e con tutti coloro che sono stati colpiti da questo male inflitto a questa bellissima comunità. Vi stiamo pensando, preghiamo per voi e vi sosterremo nei giorni e nelle settimane a venire.

Ora, spero che questa non sia l’ultima volta che ricevo applausi! Ma ci riuniamo a questa conferenza per discutere di sicurezza e, normalmente, intendiamo la sicurezza esterna. Vedo qui molti grandi leader militari, e voglio dire chiaramente che l’amministrazione Trump è molto preoccupata per la sicurezza europea e ritiene che si possa arrivare a una soluzione ragionevole tra Russia e Ucraina. Tuttavia, riteniamo anche che nei prossimi anni l’Europa debba assumersi una responsabilità molto maggiore per la propria difesa.

Ma la minaccia che più mi preoccupa per l’Europa non è la Russia, non è la Cina, né qualsiasi altro attore esterno. Ciò che mi preoccupa di più è la minaccia interna: il ritiro dell’Europa dai suoi valori fondamentali, valori che condivide con gli Stati Uniti d’America.

Di recente, un ex Commissario europeo è andato in TV e si è detto compiaciuto del fatto che il governo rumeno abbia annullato un’intera elezione. Ha persino avvertito che, se le cose non dovessero andare come previsto, lo stesso potrebbe accadere anche in Germania. Queste dichiarazioni sprezzanti sono scioccanti per le orecchie americane. Da anni ci viene detto che tutto ciò che finanziamo e sosteniamo è in nome dei nostri valori democratici condivisi: tutto, dalla nostra politica sull’Ucraina alla censura digitale, viene giustificato come una difesa della democrazia.

Ma se vediamo le corti europee annullare elezioni e alti funzionari minacciare di cancellarne altre, dobbiamo chiederci se ci stiamo davvero attenendo a standard sufficientemente elevati. E dico “noi” perché credo fermamente che siamo dalla stessa parte. Dobbiamo fare più che parlare di valori democratici: dobbiamo viverli.

Nella memoria di molti di voi in questa sala, la Guerra Fredda ha visto i difensori della democrazia opporsi a forze molto più tiranniche su questo continente. Pensate al campo che, in quella lotta, censurava i dissidenti, chiudeva le chiese e annullava le elezioni: erano forse i buoni? Certamente no. E grazie a Dio hanno perso la Guerra Fredda. Hanno perso perché non valorizzavano né rispettavano le straordinarie benedizioni della libertà.

Purtroppo, quando guardo l’Europa oggi, non è così chiaro cosa sia accaduto ad alcuni dei vincitori della Guerra Fredda. Guardo a Bruxelles, dove i commissari dell’UE avvertono i cittadini che intendono chiudere i social media in caso di disordini civili, non appena rileveranno contenuti ritenuti “d’odio”. Guardo a questo stesso paese, la Germania, dove la polizia ha effettuato perquisizioni contro cittadini sospettati di aver postato commenti antifemministi online, nel quadro della lotta contro la “misoginia su Internet”.

Guardo alla Svezia, dove solo due settimane fa un attivista cristiano è stato condannato per aver partecipato a roghi del Corano che hanno portato all’omicidio del suo amico. Il giudice ha affermato che le leggi sulla libertà di espressione non garantiscono, cito testualmente, “un lasciapassare per dire o fare qualsiasi cosa senza il rischio di offendere un gruppo di credenti”.

E, forse ancor più preoccupante, guardo ai nostri carissimi amici del Regno Unito, dove la deriva contro la libertà di coscienza ha messo nel mirino le libertà fondamentali dei cittadini religiosi. Solo due anni fa, il governo britannico ha incriminato Adam Smith-Connor, un fisioterapista di 51 anni e veterano dell’esercito, per il crimine atroce di essere rimasto a 50 metri da una clinica abortiva a pregare silenziosamente per tre minuti. Non ha ostacolato nessuno, non ha interagito con nessuno: semplicemente pregava.

Ora, vorrei poter dire che si tratta di un caso isolato, ma non lo è. Lo scorso ottobre, il governo scozzese ha iniziato a distribuire lettere ai cittadini le cui case si trovano entro le “zone di accesso sicuro”, avvertendoli che persino la preghiera privata nelle loro case potrebbe violare la legge.

La libertà di parola in Europa è in pericolo. Ma lo è stata anche in America, dove l’amministrazione precedente ha esercitato pressioni sulle aziende di social media per censurare informazioni ritenute “disinformazione”.

Ecco perché oggi non sono qui solo per fare un’osservazione, ma per fare un’offerta: mentre l’amministrazione Biden ha cercato disperatamente di mettere a tacere le persone, l’amministrazione Trump farà esattamente il contrario. E spero che possiamo lavorare insieme su questo.

A Washington c’è un nuovo sceriffo in città. Sotto la leadership di Donald Trump, potremmo non essere d’accordo con le vostre opinioni, ma lotteremo per il vostro diritto di esprimerle nella sfera pubblica.

Ma lasciatemi porre una domanda: come possiamo discutere del bilancio per la difesa se non sappiamo nemmeno cosa stiamo difendendo?

Dobbiamo chiederci: qual è la visione positiva che anima questo patto di sicurezza condiviso? Credo profondamente che non ci sia sicurezza se si ha paura delle opinioni e delle voci del proprio stesso popolo.

Se avete paura dei vostri stessi elettori, non c’è nulla che l’America possa fare per voi. Né c’è nulla che voi possiate fare per il popolo americano che ha eletto me e il presidente Trump.

Non abbiate paura di ascoltare la vostra gente, anche quando dice cose che non vi piacciono. Questa è la magia della democrazia.

Grazie a tutti, buona fortuna e che Dio vi benedica.

https://www.youtube.com/live/pCOsgfINdKg

Dal canto suo Hegseth, a capo del Dipartimento della Difesa degli USA, ha posto le condizioni delle permanenza della NATO, ha definito le priorità degli Stati Uniti in politica estera, il nuovo ruolo degli europei e alcune basi di partenza delle trattative con la Russia riguardanti il conflitto in Ucraina. Anche qui si ripropone il dilemma posto da Vance in un altro contesto. L’accettazione comporterà costi politici, sociali ed economici enormi agli europei, praticamente insostenibili; agli Stati Uniti sarà consentito di uscire dal conflitto, sempre che finisca, attenuando le proprie responsabilità nell’aver scatenato quel conflitto. Una narrazione, comunque, dura da far digerire al resto del mondo_Giuseppe Germinario

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Hegseth invita gli alleati della NATO a guidare la sicurezza dell’Europa, esclude il sostegno all’adesione dell’Ucraina

Dichiarando che gli Stati Uniti non credono che l’adesione dell’Ucraina alla NATO sia un risultato “realistico” di qualsiasi accordo di pace negoziato con la Russia, il Segretario alla Difesa Pete Hegseth ha invitato oggi i Paesi alleati della NATO ad aumentare le spese per la difesa e ad assumere un ruolo guida nel garantire la sicurezza dell’Ucraina e dell’Europa;

A man in a business suit is sitting behind a microphone at a desk with small U.S. and British flags atop it. There is also a placard on the desk that reads “United States.”

Il Segretario ha parlato della guerra in Ucraina e della sicurezza europea in generale, pronunciando il discorso di apertura della 26esima iterazione del Gruppo di Contatto per la Difesa dell’Ucraina a Bruxelles;

L’UDCG, fondato in risposta all’invasione non provocata dell’Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio 2022, è una coalizione di circa 50 nazioni che si incontrano regolarmente per discutere le esigenze di sicurezza dell’Ucraina;

“Siamo in un momento critico. Mentre la guerra si avvicina al suo terzo anniversario, il nostro messaggio è chiaro: lo spargimento di sangue deve cessare e questa guerra deve finire”, ha detto Hegseth al gruppo;

In alternativa alla concessione all’Ucraina di essere membro della NATO, Hegseth ha detto che qualsiasi garanzia di sicurezza per l’Ucraina “deve essere sostenuta da truppe europee e non europee capaci”;

“Se queste truppe saranno dispiegate come forze di pace in Ucraina in qualsiasi momento, dovranno essere dispiegate come parte di una missione non NATO e non dovranno essere coperte dall’articolo 5 [del trattato NATO]”, ha detto Hegseth, aggiungendo che ci deve essere anche una solida supervisione della linea di contatto da parte della comunità internazionale;

“Per essere chiari, come parte di qualsiasi garanzia di sicurezza, non ci saranno truppe statunitensi dispiegate in Ucraina”, ha detto;

Six men are sitting behind a long table. A man with a placard that reads “United States” is talking.

Affermando che una pace duratura in Ucraina può essere stabilita solo fondendo la forza degli alleati con una valutazione realistica del campo di battaglia, Hegseth ha anche detto che l’UDCG dovrebbe riconoscere che sarebbe un “obiettivo irrealistico” cercare di riportare l’Ucraina ai confini precedenti al 2014;

“Inseguire questo obiettivo illusorio non farà altro che prolungare la guerra e causare ulteriori sofferenze”, ha dichiarato;

Invitando i membri del gruppo di contatto a “cogliere l’attimo”, Hegseth ha affermato che i membri europei della NATO dovrebbero considerare la salvaguardia della sicurezza europea come un “imperativo” e che fornire una “quota preponderante” di aiuti sia non letali che letali fa parte di questo obiettivo;

“Questo significa donare più munizioni ed equipaggiamenti, sfruttare i vantaggi comparativi, espandere la vostra base industriale di difesa e – cosa importante – parlare con i vostri cittadini della minaccia che incombe sull’Europa”, ha detto Hegseth, aggiungendo di essere d’accordo con la valutazione del Presidente Donald J. Trump secondo cui le nazioni della NATO dovrebbero aumentare i livelli di spesa per la difesa dal 2% del loro prodotto interno lordo al 5%;

“Aumentare l’impegno per la propria sicurezza è un anticipo per il futuro; un anticipo… [sulla] pace attraverso la forza”, ha detto Hegseth al gruppo;

Spiegando che gli Stati Uniti devono dare priorità alla sicurezza dei propri confini e allo stesso tempo affrontare il concorrente di pari livello, la Cina, e il suo “intento di minacciare la nostra patria e i nostri interessi nazionali fondamentali nell’Indo-Pacifico”, Hegseth ha invitato i Paesi europei della NATO ad affrontare i problemi di sicurezza del continente;

“Mentre gli Stati Uniti danno la priorità a queste minacce, gli alleati europei devono guidare dal fronte”, ha detto Hegseth;

“Chiediamo a ciascuno dei vostri Paesi di intensificare il rispetto degli impegni assunti e sfidiamo i vostri Paesi – e i vostri cittadini – a raddoppiare gli sforzi e a impegnarsi nuovamente non solo per le esigenze di sicurezza immediate dell’Ucraina, ma anche per gli obiettivi di difesa e deterrenza a lungo termine dell’Europa”, ha proseguito;

Two men in business suits are walking and talking.

Sebbene Hegseth abbia detto che per garantire la continuità della decennale alleanza della NATO nel futuro sarà necessario che gli alleati europei si assumano la responsabilità della sicurezza del continente, ha anche chiarito che gli Stati Uniti sono ancora al fianco di questi alleati;

“Gli Stati Uniti restano impegnati nell’alleanza della NATO e nel partenariato di difesa con l’Europa, punto e basta”, ha detto Hegseth;

Il segretario ha aggiunto che gli Stati Uniti non tollereranno più una relazione squilibrata che incoraggia la dipendenza. Le relazioni avranno come priorità quella di mettere l’Europa in condizione di assumersi la responsabilità della propria sicurezza;

“L’onestà sarà la nostra politica in futuro, ma solo nello spirito di solidarietà”, ha dichiarato.

07:42

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Osservazioni di apertura del Segretario alla Difesa Pete Hegseth al Gruppo di contatto sulla Difesa in Ucraina (come consegnato)

Buon pomeriggio, amici.

Grazie, Segretario Healy, per la sua leadership, sia nell’ospitare che nel guidare l’UDCG;

Questo è il mio primo Gruppo di Contatto per la Difesa dell’Ucraina. E sono onorato di unirmi a tutti voi oggi;

E apprezzo l’opportunità di condividere l’approccio del Presidente Trump alla guerra in Ucraina.

Come ha detto lei, signor Segretario, siamo in un momento critico. Mentre la guerra si avvicina al suo terzo anniversario, il nostro messaggio è chiaro: lo spargimento di sangue deve cessare. E questa guerra deve finire.

Il Presidente Trump è stato chiaro con il popolo americano – e con molti dei vostri leader – sul fatto che fermare i combattimenti e raggiungere una pace duratura è una priorità assoluta.

Intende porre fine a questa guerra con la diplomazia e portando sia la Russia che l’Ucraina al tavolo delle trattative. E il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti aiuterà a raggiungere questo obiettivo;

Riusciremo a porre fine a questa guerra devastante – e a stabilire una pace duratura – solo unendo la forza degli alleati a una valutazione realistica del campo di battaglia.

Vogliamo, come voi, un’Ucraina sovrana e prospera. Ma dobbiamo iniziare a riconoscere che il ritorno ai confini dell’Ucraina prima del 2014 è un obiettivo irrealistico;

Inseguire questo obiettivo illusorio non farà altro che prolungare la guerra e causare ulteriori sofferenze.

Una pace duratura per l’Ucraina deve includere solide garanzie di sicurezza per assicurare che la guerra non ricominci.

Questo non deve essere Minsk 3.0.

Detto questo, gli Stati Uniti non credono che l’adesione dell’Ucraina alla NATO sia un risultato realistico di una soluzione negoziata;

Al contrario, qualsiasi garanzia di sicurezza deve essere sostenuta da truppe europee e non europee capaci;

Se queste truppe saranno dispiegate come forze di pace in Ucraina, in qualsiasi momento, dovranno essere dispiegate come parte di una missione non NATO. E non dovrebbero rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 5.  Inoltre, deve esserci una solida supervisione internazionale della linea di contatto.

Per essere chiari, come parte di qualsiasi garanzia di sicurezza, non ci saranno truppe statunitensi dispiegate in Ucraina;

Per consentire una diplomazia efficace e far scendere i prezzi dell’energia che finanziano la macchina da guerra russa, il Presidente Trump sta liberando la produzione energetica americana e incoraggiando altre nazioni a fare lo stesso. L’abbassamento dei prezzi dell’energia, unito a un’applicazione più efficace delle sanzioni in materia, contribuirà a portare la Russia al tavolo delle trattative;

La salvaguardia della sicurezza europea deve essere un imperativo per i membri europei della NATO. A tal fine, l’Europa deve fornire la maggior parte dei futuri aiuti letali e non letali all’Ucraina.

I membri di questo Gruppo di contatto devono soddisfare il momento;

Ciò significa:  Donare più munizioni e attrezzature. Sfruttare i vantaggi comparativi.  Espandere la base industriale della difesa. E, cosa più importante, parlare con i cittadini della minaccia che incombe sull’Europa.

Parte di ciò consiste nel parlare francamente con i vostri cittadini di come questa minaccia possa essere affrontata solo spendendo di più per la difesa;

Il 2% non è sufficiente; il Presidente Trump ha chiesto il 5%, e io sono d’accordo.

Aumentare l’impegno per la propria sicurezza è un anticipo per il futuro. Un anticipo, come ha detto lei, signor Segretario, della pace attraverso la forza.

Siamo qui oggi anche per esprimere in modo diretto e inequivocabile che le crude realtà strategiche impediscono agli Stati Uniti d’America di concentrarsi principalmente sulla sicurezza dell’Europa.

Gli Stati Uniti si trovano di fronte a minacce conseguenti alla nostra patria.  Dobbiamo – e lo stiamo facendo – concentrarci sulla sicurezza dei nostri confini.

Dobbiamo anche affrontare un concorrente alla pari, la Cina comunista, che ha la capacità e l’intenzione di minacciare la nostra patria e i nostri interessi nazionali fondamentali nell’Indo-Pacifico. Gli Stati Uniti stanno dando priorità alla dissuasione dalla guerra con la Cina nel Pacifico, riconoscendo la realtà della scarsità e facendo i compromessi sulle risorse per garantire che la deterrenza non fallisca;

La deterrenza non può fallire, per il bene di tutti noi.

Mentre gli Stati Uniti danno la priorità a queste minacce, gli alleati europei devono essere in prima linea;

Insieme, possiamo stabilire una divisione del lavoro che massimizzi i nostri vantaggi comparativi rispettivamente in Europa e nel Pacifico.

Nelle mie prime settimane da Segretario alla Difesa, sotto la guida del Presidente Trump, abbiamo visto segnali promettenti: l’Europa si rende conto di questa minaccia, comprende ciò che deve essere fatto e si fa avanti per questo compito.

Ad esempio, la Svezia ha recentemente annunciato il suo più grande pacchetto di assistenza di sempre. Ci congratuliamo con loro per l’impegno di 1,2 miliardi di dollari in munizioni e altro materiale necessario.

La Polonia spende già il 5% del PIL per la difesa, un modello per il continente.

Inoltre, 14 Paesi sono co-leader di coalizioni di capacità. Questi gruppi stanno facendo un ottimo lavoro per coordinare i contributi europei di assistenza letale in otto aree di capacità chiave.

Questi sono i primi passi. Si deve fare ancora di più;

Chiediamo a ciascuno dei vostri Paesi di intensificare il rispetto degli impegni assunti;

E sfidiamo i vostri Paesi e i vostri cittadini a raddoppiare gli sforzi e a impegnarsi nuovamente non solo per le esigenze di sicurezza immediate dell’Ucraina, ma anche per gli obiettivi di difesa e di deterrenza a lungo termine dell’Europa;

La nostra alleanza transatlantica dura da decenni. E ci aspettiamo pienamente che venga mantenuta per le generazioni a venire. Ma questo non accadrà solo per caso;

Sarà necessario che i nostri alleati europei scendano in campo e si assumano la responsabilità della sicurezza convenzionale nel continente;

Gli Stati Uniti restano impegnati nell’alleanza NATO e nel partenariato di difesa con l’Europa. Punto e basta;

Ma gli Stati Uniti non tollereranno più una relazione squilibrata che incoraggia la dipendenza.  Piuttosto, le nostre relazioni daranno la priorità al conferimento all’Europa della responsabilità della propria sicurezza;

La nostra politica sarà improntata all’onestà, ma solo in uno spirito di solidarietà;

Il Presidente Trump si augura di lavorare insieme, di continuare questa discussione franca tra amici e di raggiungere la pace attraverso la forza – insieme.

Grazie.

LA CROCIERA DEL “BRITANNIA”  _di Michele Rallo

Michele Rallo

LA CROCIERA

DEL “BRITANNIA”

 

I RETROSCENA DELLE PRIVATIZZAZIONI ITALIANE

RICOSTRUITI ATTRAVERSO

QUATTRO INTERROGAZIONI PARLAMENTARI

 

Centro Studi “Dino Grammatico”

Custonaci

 

SOMMARIO

 

 

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Presentazione:

L’affare del “Britannia”,

una vicenda oscura

di Fabrizio Fonte                                                                    05

 

Premessa:

Il caso “Britannia”, le privatizzazioni e

quattro interrogazioni controcorrente

di Aldo Messina                                                                      07

 

Una matricola in Parlamento

e le disavventure de “L’Italia settimanale”                           11

 

Una strana coincidenza:

il ciclone Mani Pulite                                                    13

 

Arrivano i British Invisibles                                                   15

 

Notizie da Pechino:

la privatizzazione della Società Autostrade                          17

 

Privatizzazioni con lo sconto del 30%                        19

 

Beniamino Andreatta,

il maestro di Romano Prodi                                                   21

 

Gli “Invisibili” e le banche americane                         23

 

Interrogazioni (e interrogativi) senza risposta                      26

 

Un altro nome illustre: Guido Carli                                      28

 

L’audizione di Mario Draghi

alla Commissione Bilancio                                           30

 

La folgorante carriera di Sir Drake                                        33

 

Una lettera dell’Ambasciatore inglese                         36

 

Fini, a Londra, sostiene le privatizzazioni                            38

 

I miei attriti con Alleanza Nazionale                                     40

 

 

Appendice: un articolo sulla privatizzazione

dell’industria alimentare italiana                                 45

 

Appendice: una interrogazione

sulla privatizzazione del Banco di Sicilia                             50

 

 

Notizie sull’autore                                                                  53

 

PRESENTAZIONE:

L’AFFARE DEL “BRITANNIA”,

UNA VICENDA OSCURA

 

Il Centro Studi “Dino Grammatico” con la presente pubblicazione intende divulgare le vicende di uno dei periodi più travagliati, quanto poco conosciuti, della storia recente della nostra Patria. Il caso del “Britannia”, raccontato con dovizia di particolari in queste pagine da Michele Rallo, ci da l’esatta idea delle perverse logiche con cui ha preso il via il declino della nostra sovranità nazionale, che oggi purtroppo sembrerebbe aver raggiunto il punto più basso della sua triste parabola.

Dopo aver letto questo lavoro verrà difficile per chiunque pensare che le privatizzazioni di alcuni strategici asset italiani non siano state pilotate dall’alta finanza europea, con la connivenza ovviamente di parte del mondo politico nazionale. Il tutto avvenne a cavallo tra la prima e la seconda Repubblica, ovvero in un periodo storico abbastanza delicato, per il semplice fatto che si registrava la caduta dei partiti tradizionali, che avevano governato l’Italia fin dalla conclusione della seconda guerra mondiale, sotto i colpi delle inchieste della magistratura. È singolare, tuttavia, che molti dei nomi dei protagonisti di quella vicenda siano stati in seguito, o siano ancora oggi, ai vertici delle Istituzioni nazionali ed europee. Tanto per dare l’idea, molto gattopardesca, di quanto sia cambiato tutto per non  essere in realtà cambiato nulla.

Purtroppo l’Italia, dai tempi dell’approdo del “Britannia”, conta sempre meno negli scenari della geo-politica internazionale. Oggi possiamo constatare, infatti, che le logiche europee hanno ormai stabilmente prevalso sugli interessi nazionali. E, come se non bastasse, le attuali politiche economiche di estremo rigore messe in campo dalla Troika stanno condizionando la vita di circa cinquecento milioni di cittadini dell’UE.  Questa Europa, infatti, individua nelle banche e nella finanza le risorse primarie del vecchio continente; quando, invece, la vera costruzione europea non doveva prescindere dalla valorizzazione delle ricchezze di ogni singola Nazione. Del resto non era forse l’Europa dei campanili, dei comuni, delle cento culture e delle mille diversità che nella nostra fervida immaginazione speravamo sorgesse agli inizi degli anni novanta? Purtroppo non si erano fatti i conti con i poteri forti dell’establishment europeo che nel frattempo, mentre il “Britannia” ormeggiava tranquillamente al porto di Civitavecchia, decideva i destini delle privatizzazioni della Nazione italiana.

Il Centro Studi “Dino Grammatico” è pertanto felice di poter essere strumento di conoscenza di uno dei tanti misteri dell’Italia contemporanea. Non possiamo, di conseguenza, non esprimere il nostro più sentito ringraziamento a Michele Rallo per questo suo omaggio al nostro istituto.

 

                                         Fabrizio Fonte

Presidente del Centro Studi Dino Grammatico

 

PREMESSA:

IL CASO “BRITANNIA”, LE PRIVATIZZAZIONI

E QUATTRO INTERROGAZIONI

CONTROCORRENTE

 

 

Quando l’amico e illustre collaboratore Michele Rallo mi ha fatto prendere visione di certe sue interrogazioni parlamentari rimaste senza risposta da parte del Governo, sono stato fortemente incuriosito e lo ho invitato a ricapitolarne la vicenda per i lettori de “La Risacca”. Troppi silenzi hanno fatto seguito a quelle interrogazioni, tanto da richiamare alla mente un vecchio adagio, per cui «chi tace acconsente». È nata così la serie di cinque articoli pubblicati fra il marzo e il settembre scorsi sulla rivista da me diretta e, adesso, la loro riproposizione in forma di opuscolo.

Michele Rallo (già deputato al parlamento nazionale nella XII e nella XIII legislatura) ricostruisce la vicenda sul filo dei ricordi e, in particolare, rivisitando il testo delle quattro interrogazioni da lui presentate nel 1994.

Il tutto ruota attorno ad un convegno che nel giugno 1992 – pochi mesi dopo la nascita dell’Unione Europea – si era svolto a bordo del “Britannia”, lo yacht della Regina d’Inghilterra; convegno che riguardava una auspicata (da chi?) politica di privatizzazione dell’industria pubblica italiana, politica che sarebbe stata poi effettivamente attuata. Al convegno partecipavano esponenti del mondo degli affari britannico e manager pubblici italiani.

Fra tutti, spiccava il nome del dottor Mario Draghi (allora Direttore generale del Tesoro, poi Governatore della Banca d’Italia ed oggi Governatore della BCE), il quale svolgeva una prolusione introduttiva. Null’altro voglio dire sul convegno, rimandando alla diffusa trattazione che si potrà leggere nelle pagine seguenti.

Voglio invece spendere qualche parola sulla contestualizzazione che Michele Rallo opera, collocando l’evento in un quadro assai più ampio, che prende le mosse dalla formazione di una cordata italiana pro-privatizzazioni negli anni ’80 e continua poi attraverso i primi anni ’90, sovrapponendosi ad avvenimenti nazionali e internazionali: la caduta del Muro di Berlino, la stagione di Mani Pulite in Italia, l’elezione di Scalfaro alla Presidenza della Repubblica (in vece di Andreotti) e di Amato alla Presidenza del Consiglio (in vece di Craxi), e tanti altri.

Direi – anzi – che l’aspetto più interessante di questa pubblicazione è una sorta di “ipotesi investigativa” che ne viene fuori: l’ipotesi, cioè, di un progetto politico di vecchia data, tendente alla spoliazione della nostra economia nazionale, i cui effetti perversi si palesano oggi con una epocale crisi politica, economica e sociale.

È una chiave di lettura particolarissima ed intrigante, non priva di un certo alone da “giallo internazionale”. Non è detto che sia esatta al cento per cento, ma è certamente credibile; ed ancor più credibile appare nel contesto della ricostruzione storico-politica che ne traccia l’ex-deputato trapanese, oggi apprezzato commentatore politico.

Un ultimo aspetto vorrei sottolineare. Quello della personale vicenda politica del nostro collaboratore, quale traspare soprattutto nelle pagine iniziali ed in quelle conclusive di questa ricostruzione. È la vicenda di un “uomo politico” (non di un “politicante”) che ha svolto il suo mandato con linearità, anche a costo di entrare in contrasto con il vertice del suo partito e di pagare in prima persona per le sue scelte. Oggi, a distanza di vent’anni, il triste tramonto di certi personaggi – sedotti e poi abbandonati dai poteri forti – dà forse ragione e rende giustizia all’onorevole Michele Rallo.

 

                                                Aldo Messina

Direttore della rivista “La Risacca”



UNA MATRICOLA IN PARLAMENTO

E LE DISAVVENTURE

DE “L’ITALIA SETTIMANALE”

Non ho mai amato la materia economico-finanziaria. I miei interessi culturali hanno sempre privilegiato la storia e la politica. E “politica” – aggiungo – intesa come l’arte di interpretare la storia in atto, la storia del momento presente. Eppure, da quando nel 1994 venni eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati, sono stato per certi versi costretto – per adempiere al mio dovere di rappresentanza degli interessi nazionali – a dedicare una attenzione crescente al settore economico-finanziario. Perché – intuivo allora confusamente – nel mondo stava avvenendo qualcosa di strano, quasi una guerra non guerreggiata dell’alta finanza contro le nazioni e i popoli. Soprattutto contro le nazioni e i popoli di quella Unione Europea che era stata creata appena due anni prima – nel 1992 – e che già allora sembrava essere divenuta il bersaglio privilegiato degli assalti della speculazione finanziaria internazionale.

Fui quasi costretto ad occuparmi di tale materia – dicevo – e lo feci con due soli ausìli:  “L’Italia Settimanale”, la rivista di Marcello Veneziani che ogni settimana era una miniera di informazioni preziose; e don Antonio Parlato, un deputato-gentiluomo di grande esperienza e capacità, che in quegli anni tentava di costituire una specie di club di parlamentari di destra che si facessero alfieri degli interessi del Meridione. A quei tempi Internet non era ancora fruibile, e l’unica fonte d’informazione erano i giornali. Da qui, il ruolo fondamentale di pubblicazioni come “L’Italia Settimanale”.

Apro una parentesi: la rivista andava a gonfie vele, ma – per motivi che mi sfuggono – il suo direttore Marcello Veneziani venne defenestrato nel 1995, e poco dopo il pacchetto azionario venne ceduto ad un editore uruguaiano (avete letto bene: uruguaiano) il quale poi fallirà nel giro di pochi mesi. Alcuni (e, fra le righe, lo stesso Veneziani) ritengono che i fatti che andrò a narrare fossero stati all’origine della decisione (di chi?) di far tacere una voce assai scomoda.

Peraltro, anche il sottoscritto – che delle rivelazioni de “L’Italia Settimanale” si fece megafono in Parlamento – ebbe qualche riverbero negativo sulla propria carriera politica. Ma di questo parlerò più avanti.

 

 

 

 

UNA STRANA COINCIDENZA:

IL CICLONE “MANI PULITE”

Dunque, nel febbraio 1993 (durante il primo governo Amato ed a metà circa della breve XI Legislatura) “L’Italia Settimanale” aveva rivelato che alcuni mesi prima – per l’esattezza il 2 giugno 1992, nel pieno del ciclone di Tangentopoli – si era svolto uno strano convegno a bordo del “Britannia”, lo yacht della Regina Elisabetta d’Inghilterra che, per l’occasione, si trovava ancorato nel porto romano di Civitavecchia, dunque in acque territoriali italiane.

Attenzione alle date: la stagione di “Mani pulite” era iniziata nel febbraio precedente, con l’arresto di Mario Chiesa. Le elezioni dell’aprile successivo avevano visto un arretramento dei partiti tradizionali (a beneficio di Rete e Lega Nord) ma, tutto sommato, una pur affannosa tenuta del quadro politico. Eppure – complice anche la coincidenza (?) dell’attentato mortale al giudice Falcone – gli effetti del ciclone giudiziario determinavano la mancata elezione dei due maggiori uomini politici italiani alle cariche apicali dello Stato e del Governo: in maggio Giulio Andreotti doveva rinunziare alla Presidenza della Repubblica in favore di Oscar Luigi Scalfaro; ed un mese più tardi Bettino Craxi dovrà farsi da parte nella corsa alla Presidenza del Consiglio, lasciando campo libero al socialista più amato dai “mercati”, Giuliano Amato. Venivano così eliminati dalla scena politica i due elementi di maggior spessore, due politici di razza che avevano le capacità per comprendere la vastità del sommovimento in atto sulla scena internazionale, dopo la recentissima fine dell’Unione Sovietica e l’inizio della politica americana di egemonizzazione dell’intero globo terraqueo.

Certo, la Magistratura italiana non si era inventata niente: le inchieste sulla classe dirigente della “prima repubblica” erano in buona parte più che fondate. Ma non v’è dubbio che la stagione di Tangentopoli abbia cancellato dalla scena politica del nostro Paese l’unico Presidente del Consiglio che avesse avuto il coraggio (ai tempi della crisi di Sigonella) di contrastare a muso duro il Presidente degli Stati Uniti. E non v’è dubbio, del pari, che Tangentopoli abbia indotto un personaggio del calibro di Giulio Andreotti a ritirarsi sotto la tenda e ad attendere serenamente la conclusione della propria avventura terrena.

 

 

 

 

ARRIVANO I BRITISH INVISIBLES

Chiedo scusa al lettore per la lunga digressione, necessaria – tuttavia – per inquadrare temporalmente il convegno del Britannia. Il 2 giugno 1992, dunque: una settimana dopo l’elezione di Scalfaro alla Presidenza della Repubblica (25 maggio) e tre settimane prima dell’elezione di Giuliano Amato alla Presidenza del Consiglio (28 giugno). E ancòra – se vogliamo inquadrare l’avvenimento in un più vasto contesto internazionale – pochi mesi dopo la fine dell’Unione Sovietica (dicembre 1991) e la firma di quel trattato di Maastricht che aveva segnato la nascita dell’Unione Europea (febbraio 1992). All’epoca – si tenga presente – l’attacco all’economia italiana era già stato sferrato, ma nulla lasciava prevedere i suoi esiti disastrosi. Il governo del tempo (il VII gabinetto Andreotti, ancòra in carica per l’ordinaria amministrazione) aveva posto le premesse per una politica di dismissioni, senza tuttavia imboccare ancòra quella strada, invocata a gran voce dalla speculazione che già pregustava i golosi bocconi made in Italy. Si era, in sostanza, a metà del guado. Nulla era stato ancòra deciso, il vecchio quadro politico sembrava reggere in qualche modo, ed i maggiori partiti italiani (DC, PCI, PSI e MSI) non avevano ancòra accettato il diktat dei “mercati”: globalizzazione economica, fine dello Stato sociale e, appunto, privatizzazioni.

Era a quel punto che dalla speculazione finanziaria giungeva una evidente forzatura. Venivano mandati avanti the British Invisibles, “gli Invisibili Inglesi”, che non erano – contrariamente a quel che potrebbe far pensare il loro nome – una setta più o meno segreta, ma i membri di un rispettabile (si presume) comitato di “banchieri d’affari” e di finanzieri; dei potentissimi businessmen che, ufficialmente ed alla luce del sole, promuovevano nel mondo l’industria dei “servizi finanziari” del Regno Unito. Peraltro, in una singolare commistione di pubblico e privato, gli Invisibili avevano (ed hanno) un rapporto strettissimo con la Casa Regnante inglese. Una delle manifestazioni di questa vicinanza era la gentile concessione (non saprei dire se a titolo gratuito o meno) dello yacht reale “Britannia” per i convegni organizzati dagli uomini della City nei quattro angoli del globo, ovunque ci fosse da far soldi. Da Tokio a Hong-Kong, da Stoccolma a Roma. E appunto a Roma – anzi nella sua sede portuale di Civitavecchia – iniziava, quel 2 giugno 1992, la breve ma intensa crociera che avrebbe visto affaristi anglosassoni e boiardi italiani discutere familiarmente della liquidazione della nostra industria di Stato.

 

 

NOTIZIE DA PECHINO:

LA PRIVATIZZAZIONE

DELLA SOCIETÀ AUTOSTRADE

Quando – in un domani non so quanto lontano – gli storici scriveranno la storia della svendita alla finanza anglosassone della nostra economia nazionale, citeranno certamente tre eventi che sono all’origine di questa drammatica pagina: la legge-delega Amato-Carli che avviava la privatizzazione della Banca d’Italia (30 luglio 1990), il trattato di Maastricht e la nascita dell’Unione Europea (7 febbraio 1992) e, appunto, il convegno del “Britannia” (2 giugno 1992).

Di quest’ultimo evento ho già delineato il contesto politico e diplomatico (oltre che giudiziario) che gli fece da cornice. Adesso scenderò nel dettaglio, dando conto delle partecipazioni più significative, sia da parte inglese che da parte italiana. Per evitare di incorrere in qualche errore od omissione (sono ormai trascorsi vent’anni) sorreggerò la mia memoria con i dati riportati in quattro interrogazioni parlamentari di cui sono stato co-firmatario insieme ai colleghi Parlato (la prima) e Landolfi (le altre tre). Si tratta, per l’esattezza, della n. 4/00234 del 29 aprile 1994 – due settimane dopo l’inizio della XII Legislatura – e delle nn. 4/00778, 4/00779, 4/00780 del 20 maggio del medesimo anno. Tutte rimaste senza risposta da parte del governo del tempo.

La prima interrogazione era per certi versi anomala, perché quasi interamente dedicata ai prodromi di privatizzazione della Società Autostrade. In premessa si affermava che i dirigenti della predetta Società erano stati fra i partecipanti al convegno del “Britannia”, nel corso del quale «fu deciso, oltre al resto, la dismissione delle aziende italiane a partecipazione statale». Si proseguiva con la notizia – rimbalzata addirittura da Pechino – che «le procedure di vendita sono a buon punto per Maccarese e Italstrade, e c’è la conferma della volontà di quotare in borsa, scendendo sotto il 51 per cento, anche le azioni ordinarie della Società Autostrade».

 

 

 

PRIVATIZZAZIONI

CON LO SCONTO DEL 30%

Le altre interrogazioni seguivano a distanza di un mese, ed erano sostanzialmente un unicum suddiviso in tre puntate. È da notare che gli atti ispettivi riguardavano fatti avvenuti durante gestioni governative precedenti (il 7° governo Andreotti, il 1° governo Amato ed il governo Ciampi), ma che comunque il nuovo gabinetto (il 1° governo Berlusconi) non riterrà di fornire risposta alcuna: come se – al di là delle divisioni partitiche – i governi di ogni colore politico fossero tenuti a non ostacolare il disegno di spoliazione dell’economia italiana.

La seconda interrogazione (la prima della terna principale) esordiva citando le rivelazioni contenute nell’articolo de “L’Italia settimanale” del 3 febbraio 1993. Riporto testualmente il brano: «2 giugno 1992: muore il giudice Falcone. Mentre l’Italia si indigna e scende in piazza, qualcun altro dà il via alla svendita dello Stato. Prime vittime “annunciate”, i patrimoni industriali e bancari più prestigiosi. Il nome dell’operazione è “privatizzazione”. Formula magica presentata alla collettività come unica cura per risanare la nostra economia e che, invece, nasconde un business dalle proporzioni incalcolabili, patti di sangue tra le famiglie più influenti del capitalismo, dinastie imprenditoriali, banche e signori della moneta. Accordi e strategie politiche ben precise con un minimo comun denominatore: scippare agli Stati, considerati un inutile retaggio del passato e un odioso freno alla globalizzazione del mercato, la sovranità monetaria.

L’Italia un’espressione geografica delle lobby, dell’impero multinazionale anglo-americano? E quanto viene deciso, anzi, ufficialmente sancito il 2 giugno 1992, a bordo del regio yacht “Britannia” (che si trova “per caso” nelle nostre acque territoriali) dai rappresentanti della BZW (la ditta di brocheraggio della Barclay’s), della Baring & Co, della S.G. Warburg e dai nostri dirigenti dell’ENI, dell’AGIP, da Mario Draghi del ministero del Tesoro, da Riccardo Gallo dell’IRI, Giovanni Bazoli dell’Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop e da alti funzionari della Comit, delle Generali e della Società Autostrade. Lo rivela un documento dell’Executive Intelligence Review.

Poche ore di discussione e l’affare prende corpo. Al Governo il compito di giustificare la filosofia dell’operazione (con una adeguata campagna-stampa di drammatizzazione dei dati del deficit pubblico) …

Anche la svalutazione della lira [avvenuta tre mesi dopo] è stata soltanto un comodo affare per le finanziarie di Wall Street. Calcolato in dollari, l’acquisto delle nostre imprese da privatizzare, è diventato infatti, per gli acquirenti americani, meno costoso del 30 per cento. La stessa lira si va assestando, ormai, sul valore politico di circa 1.000 lire a marco, esattamente come da richiesta (imposizione) internazionale. Ma non bisogna stupirsi. Il disegno di espansione delle grandi finanziarie anglo-americane è noto, e viene da lontano.»

 

 

 

BENIAMINO ANDREATTA,

IL MAESTRO DI ROMANO PRODI

Venivano dunque fatti i primi nomi: su tutti, spiccava quello di Mario Draghi, allora Direttore Generale del Tesoro: l’uomo che avrebbe poi gestito le privatizzazioni italiane. Ma su Draghi avrò modo di tornare: sul suo ruolo, sui suoi collegamenti, sui suoi rapporti con la banca d’affari Goldman & Sachs, sul conflitto con Cossiga (che in diretta tv lo attaccherà con incredibile veemenza), sulla sua sfolgorante carriera fino al seggio più alto della Banca Centrale Europea.

E, tuttavia, un altro nome “pesante” veniva fuori da questa prima interrogazione, che così proseguiva: «se sia noto [al Presidente del Consiglio] quanto ha inoltre pubblicato l’EIR “Executive Intelligence Review” a pagina 30 del numero del 18 marzo scorso, e cioè che tra i partecipanti alla riunione sul panfilo della regina Elisabetta d’Inghilterra vi sarebbe stato anche il senatore Andreatta, poi divenuto ministro del Bilancio [nel 1° governo Amato].»

Un nome – quello del senatore Beniamino Andreatta – di importanza rilevantissima, ed assai significativo. Oltre ad aver ricoperto incarichi ministeriali in una mezza dozzina di esecutivi della “prima repubblica”, si era illustrato, in particolare, per essere stato il ministro del Tesoro che aveva posto le premesse – già nel lontano 1981 – per la privatizzazione della Banca d’Italia; ed aveva anche svolto un ruolo di apripista per la politica di dismissioni generalizzate che sarà messa in atto un decennio dopo.

Ad Andreatta faceva pieno riferimento il “giovane” cinquantenne Romano Prodi, suo allievo prediletto e suo assistente alla cattedra di economia politica dell’Università di Bologna. Nel 1992 l’ex giovane Prodi era già abbastanza cresciuto politicamente, al punto da aver ricoperto un primo lungo mandato alla presidenza dell’IRI (dall’82 all’89). Ma sarà dal 1993 – chiamato una seconda volta all’IRI dal Presidente del consiglio Ciampi – che il beniamino di Beniamino darà il meglio di sé, imponendosi come il protagonista assoluto della stagione di privatizzazioni in Italia.

 

 

GLI “INVISIBILI”

E LE BANCHE AMERICANE

La terza interrogazione (la n. 4/00779 del 20 maggio 1994) alzava il tiro.

Si prendevano le mosse sempre dall’articolo de “L’Italia settimanale” – che a sua volta aveva rilanciato informazioni provenienti dalla “Executive Intelligence Review” – per affrontare il tema delle privatizzazioni nel suo insieme ed in una duplice ottica: quella dell’interesse delle multinazionali e della finanza speculativa, ansiose di mettere le mani sulla corteggiatissima industria pubblica italiana; e quella – contrapposta – della nostra economia nazionale, che da una politica di dismissioni generalizzate sarebbe certamente uscita (come la realtà di oggi inoppugnabilmente dimostra) notevolmente indebolita. Si riteneva, in sostanza, che gli “invisibili” che avevano organizzato e gestito il convegno del “Britannia”, avessero agito anche in nome e per conto dei banchieri di Wall Street, chiamati in causa direttamente dall’articolo del settimanale di Veneziani in uno con i loro colleghi della City londinese:

«La società Mont Pelerin, che per 12 anni ha dominato l’economia inglese, sir Leon Brittan, ex-commissario della CEE e vecchio esponente del governo della Thatcher, il club segreto dei Bilderberg (frequentato dal nostro Agnelli, da Kissinger, da Rothschild), i loro associati newyorkesi della Goldman Sachs, della Merrill Lynch, della Salomon Brothers, i loro sostenitori nel Fondo Monetario Internazionale, nell’OCSE, eccetera. Personaggi, sigle e organizzazioni, che non spuntano a caso, fanno parte della storia. Sono la storia. Ricorrono in tutti gli importanti processi di trasformazione dell’economia mondiale.

Tre di queste finanziarie, ad esempio, sono direttamente “interessate” alle nostre privatizzazioni. Collaborano, infatti, con il governo. Vediamo qualche dettaglio che le riguarda: la Goldman Sachs (la prima di Wall Street, adesso anche con sede “operativa” a Milano) è uno dei più influenti manipolatori del prezzo del petrolio e del valore della moneta. Il suo leader supremo, Robert Ruin, sarà il capo del consiglio di sicurezza nazionale del neo-presidente Clinton.

La Salomon Brothers gestisce il greggio mondiale ed opera prevalentemente nel settore delle materie prime. Il suo nuovo presidente, Warren Buffett, è il principale azionista del “Washigton Post”, della rete televisiva ABC e ha forti interessi nella Wels Fargo Bank e nell’American Express.

La Merrill Lynch, infine, incaricata dall’IRI, il 9 ottobre scorso, di preparare la privatizzazione del Credito Italiano, ha occupato spesso le cronache per alcune operazioni di riciclaggio del denaro sporco tra l’Italia, la costa orientale degli Stati Uniti e Lugano (la famosa “pizza connection”, il processo alla famiglia mafiosa newyorkese dei Bonanno)…»

Attenzione ad alcuni nomi, ad alcune sigle, ad alcune ragioni sociali che in questi anni abbiamo imparato a conoscere, ma che all’epoca – esattamente vent’anni fa – erano quasi del tutto ignoti al pubblico italiano. Veniva chiamato in causa per la prima volta il Bilderberg, allora semisconosciuto club di ricconi ed oggi ritenuto il sancta sanctorum del “governo mondiale”, responsabile delle scelte che decidono il destino di intere nazioni. Si facevano, poi, i nomi di certe grandi “banche d’affari”, alcune delle quali appartenenti al gotha dell’alta finanza ebraica negli Stati Uniti.

Di una di queste, in particolare, la Goldman & Sachs, avremo modo di parlare più avanti, sia per il suo ruolo di advisor nelle privatizzazioni italiane, sia per il rapporto diretto, per il vero e proprio cordone ombelicale che, segnatamente per un certo lasso di tempo, la ha collegata a Mario Draghi, il dominus delle dismissioni made in Italy.

Ritornando all’interrogazione, comunque, questa si chiudeva con l’invito al governo ad attivarsi in tutte le sedi per tutelare gli interessi nazionali, e con una nota polemica anche nei confronti della magistratura romana (competente se non altro per territorio) che non aveva ritenuto di esperire indagini sull’accaduto: «se possa rispondere in tutto od in parte al vero quanto precede, che all’interrogante sembra di inaudita gravità e gravemente lesivo degli interessi economici e produttivi, oltre che sociali ed occupazionali dei cittadini italiani nonché della stessa indipendenza italiana; in presenza di simile squallida “strategia” di colonizzazione dell’Italia da parte delle multinazionali, quali provvedimenti il Governo intenderebbe immediatamente assumere, ove quanto sopra risultasse vero, nei confronti di esponenti e dirigenti ministeriali e di aziende a partecipazione pubblica, perché le loro gravissime responsabilità fossero colpite; se consti che su tali “notizie di reato”, che tali l’interrogante ritiene ben possano definirsi, pubblicate da “L’Italia settimanale”, la magistratura romana abbia aperto indagini.»

 

 

 

INTERROGAZIONI (E INTERROGATIVI)

SENZA RISPOSTA

Naturalmente, neanche questa interrogazione – come tutte le altre della serie – ebbe il bene di una risposta da parte del Presidente del Consiglio, che al tempo era il neo-eletto Silvio Berlusconi.

Esattamente come le medesime interrogazioni – presentate nella legislatura precedente dall’onorevole Antonio Parlato – non avevano ottenuto risposta dai Presidenti del Consiglio di allora, Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi.

Esattamente come – aggiungo ancòra – non ha successivamente avuto risposta una mia interrogazione del 1999 sul ruolo del dottor Mario Draghi – sempre lui! – nella privatizzazione di Medio Credito Centrale e Banco di Sicilia;[1]  l’interrogazione era rivolta al Ministro del Tesoro, che all’epoca (governo D’Alema) era Giuliano Amato.

Guarda caso, tutte le interrogazioni relative alle privatizzazioni – almeno quelle di cui sono stato firmatario o co-firmatario – non hanno avuto la fortuna di ricevere una risposta da parte dei governi in carica, fossero questi di destra o di sinistra, indifferentemente.

Eppure il Governo è tenuto a rispondere agli “atti di sindacato ispettivo” (così tecnicamente si definiscono le interrogazioni parlamentari). Può, in verità, avvalersi della facoltà di non rispondere. Ma, in questo caso, deve obbligatoriamente comunicare le motivazioni della mancata risposta. Cosa che – neanche questa – è stata fatta.

Evidentemente, quelli delle privatizzazioni sono argomenti-tabù. Il buon parlamentare della prima o della seconda repubblica – anche qui non fa differenza – deve limitarsi a prendere lo stipendio e a non fare domande. Come nelle gangster story cinematografiche.

 

UN ALTRO NOME ILLUSTRE:

GUIDO CARLI

La quarta e ultima interrogazione della serie “Britannia” era interamente dedicata a colui che – ad onta della sua posizione defilata – era forse il personaggio centrale della vicenda: quel Mario Draghi che, benché allora poco noto al grande pubblico, poteva a buon diritto essere considerato un’autentica eminenza grigia dell’economia italiana nell’ultimo scorcio della “prima repubblica”. Manager dalle indubbie capacità, Draghi era cresciuto professionalmente in àmbito anglosassone, ricoprendo per un lungo periodo – dal 1984 al 1990 – la carica di Direttore esecutivo della World Bank, la Banca Mondiale.

Per avere un’idea dell’ambiente frequentato da Draghi nel periodo forse più importante per la sua formazione culturale e professionale, basti pensare che, negli anni della sua direzione, presidenti della WB erano stati un dirigente della Bank of America e, in un secondo tempo, un senatore dello Stato di New York. Fra i loro successori – tanto per rendere l’idea del “clima” – vi saranno, fra gli altri, un dirigente della J.P.Morgan ed un top manager della Goldman & Sachs. Al riguardo, i lettori ricorderanno quanto ho già avuto modo di dire nella scorsa puntata su queste banche “d’affari”; sulla G&S, in particolare: la prima ad avere – previdentemente – aperto una sede “operativa” in Italia, e l’unica che successivamente potrà vantarsi di aver avuto sui suoi libri paga il futuro Governatore della Banca Centrale Europea.

Tornando a Draghi, questi – nonostante gli inizi più che promettenti di una luminosa carriera in quel di Wall Street – nel 1990 lasciava l’America e rientrava in Italia, dove però – provvidenzialmente – l’anno seguente era chiamato a ricoprire la carica di Direttore Generale del Ministero del Tesoro. Ministro del tempo era Guido Carli, ex governatore della Banca d’Italia e co-autore con Giuliano Amato – lo ricordavo prima – della legge-delega che ne aveva avviato la privatizzazione. Carli era uno dei pionieri e degli alfieri della politica di privatizzazioni in Italia, ed apparteneva alla medesima cordata del senatore Beniamino Andreatta, l’unico uomo di governo – credo – ad essere stato invitato alla crociera del “Britannia”.

Guido Carli darà anche il via libera a Draghi per partecipare al medesimo incontro, stando almeno a quanto lo stesso Draghi dichiarerà in una successiva audizione alla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati («chiesi l’autorizzazione al ministro dell’epoca, che non sollevò alcuna obiezione ed anzi mi invitò a parteciparvi»).

 

 

 

L’AUDIZIONE DI MARIO DRAGHI

ALLA COMMISSIONE BILANCIO

E continuiamo con l’audizione di Draghi, ampiamente citata nell’interrogazione; audizione che – al tempo – era stata contrassegnata dalle puntuali osservazioni dell’ on. Antonio Parlato. Parlato – come detto – era stato il presentatore di quelle stesse interrogazioni nell’XI Legislatura (1992-1994), “passandole” poi a me ed al collega Landolfi nella XII.

Orbene, in quella audizione (svoltasi nel marzo 1993) Mario Draghi aveva cercato di banalizzare la vicenda, dichiarando che si era trattato di uno dei tanti convegni dedicati alle privatizzazioni, e che lui aveva svolto solamente l’introduzione alla conferenza, dopo di che si era allontanato prima che si affrontassero temi specifici.

No, non ci trovava nulla di male, perché «una di queste conferenze – sono parole sue – era prevista sulla nave della regina Elisabetta e quindi del governo inglese, come si sarebbe potuta tenere nella sala di un albergo o in una sala per congressi».

Naturalmente, non lo sfiorava neanche l’idea che, in materia di privatizzazioni, l’Inghilterra potesse avere interessi opposti a quelli dell’Italia: questo non lo diceva, ma una cosa del genere non era neanche presa in considerazione.

Quanto all’ipotesi – riecheggiata da Parlato – che la recente svalutazione della lira (settembre 1992) potesse essere stata provocata per consentire alle multinazionali angloamericane di acquistare le nostre aziende pubbliche con uno sconto del 30%, ciò non appariva credibile al serafico manager.

Così come non gli appariva credibile che alcuni soggetti stranieri avessero potuto condizionare l’andamento della nostra valuta: «Mi riesce altresì difficile comprendere come il tasso di cambio di quella che è la quinta o la sesta potenza industriale del mondo, possa essere influenzato da operatori, tutto sommato individuali, o da tre, quattro, cinque o anche dieci banche d’investimento, su un arco temporale ormai molto lungo.»

Certo, si stenta a credere che il Direttore Generale del Tesoro ignorasse che la ricordata svalutazione del 30% della lira italiana (che peraltro ci aveva causato una perdita valutaria di 48 miliardi di dollari) fosse stata in larghissima misura determinata – a monte – da un singolo speculatore finanziario, l’ebreo-ungherese naturalizzato americano George Soros; il quale nell’occasione avrebbe realizzato un guadagno astronomico, probabilmente pari a 400 miliardi di lire (ma in rete circolano cifre ben maggiori).

D’altro canto, Soros è stato considerato tutt’altro che un nemico dal “partito delle privatizzazioni” italiano. Tanto da essere, incredibilmente, insignito di una laurea honoris causa dall’Università di Bologna; laurea – si dice – conferitagli su input del privatizzatore numero uno della Repubblica Italiana, Romano Prodi, docente di quell’Ateneo.

Ma torniamo all’interrogazione parlamentare: «Considerato che da quanto precede – concludevamo l’onorevole Landolfi ed io – le responsabilità della Gran Bretagna, attraverso sia la disponibilità dello yacht di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra, che gli inquietanti incontri che vi furono organizzati e per quanto altro lo stesso Direttore Generale del Tesoro ha dichiarato, appaiono atti chiaramente ostili nei confronti della Nazione italiana, se voglia chiedere le opportune, immediate, esaurienti spiegazioni all’ambasciatore del Regno Unito presso la Repubblica Italiana, giudicando gli interroganti gravissimo l’accaduto ed ancor più preoccupante il seguito che ne è derivato, avuto riguardo alle speculazioni sulla lira ed allo stesso percorso delle “privatizzazioni”.»

Fin qui l’interrogazione.

 

LA FOLGORANTE CARRIERA

DI SIR DRAKE

Mi sembra opportuno, tuttavia, aggiungere alcune righe per ricordare le ulteriori tappe della brillante carriera di Sir Drake (come lo chiama Veneziani). Il nostro manteneva la poltrona di Direttore Generale del Tesoro fino al 2001, attraversando indenne 10 anni di intemperie politiche e 10 diversi governi, di destra e di sinistra.

Dall’anno successivo alla crociera del “Britannia” – e anche qui fino al 2001 – andava ad occupare un’altra ambita ed assai strategica poltrona, quella di Presidente del Comitato Privatizzazioni. In tale veste – apprendo da Wikipedia – «è stato artefice delle più importanti privatizzazioni delle aziende statali italiane». Non da solo, in verità. Durante la sua permanenza alla presidenza del Comitato Privatizzazioni (1993-2001) si avvicendavano diversi Presidenti del Consiglio, diversi Ministri del Tesoro, diversi Ministri dell’Industria, diversi Presidenti dell’IRI. Fra gli altri, Romano Prodi: Presidente dell’IRI (per la seconda volta) dal 1993 al 1994, Presidente del Consiglio dal 1996 al 1998, prima di diventare – nel 1999 – Presidente della Commissione Europea.

Ma torniamo a Draghi. Nel 2001 lasciava la Direzione del Tesoro e il Comitato Privatizzazioni, e nel 2002 approdava leggiadramente in Goldman & Sachs. Non da semplice manager, ma addirittura da Vicepresidente con competenza sull’area europea, oltre che da membro del suo Management Committee Worldwide. Scelta forse poco elegante, considerato che la G&S era stata fra i protagonisti delle dismissioni del patrimonio pubblico italiano: non soltanto era stata advisor (cioè consulente e valutatore) per la privatizzazione di Credito Italiano, Fintecna e probabilmente anche di altre aziende, ma aveva acquistato in prima persona consistenti pezzi del nostro patrimonio nazionale: in particolare, l’intera proprietà immobiliare dell’ENI, che si era aggiunta ad altre importanti acquisizioni immobiliari (provenienti da Fondazione Cariplo, RAS, Toro, eccetera).

Draghi, comunque, restava in Goldman Sachs fino all’ultimo giorno del 2005. Nel 2006, con un altro dei suoi folgoranti rientri in patria, era nominato Governatore della Banca d’Italia. A designarlo era il Presidente del Consiglio del tempo, Silvio Berlusconi, sembra – a giudicare dalla telefonata di cui parlerò – su pressioni di Francesco Cossiga; il quale poi – per motivi che ignoro – si sarebbe pentito amaramente di quel passo.

Ricordo (e ne conservo la registrazione) l’invettiva del vecchio leone in diretta tv, rispondendo ad un trasecolato Luca Giurato che gli aveva chiesto un pare sull’ipotesi di Draghi a Palazzo Chigi: «Un vile, un vile affarista… Non si può nominare Presidente del Consiglio dei Ministri chi è stato socio della Goldman Sachs, grande banca d’affari americana… e male, molto male io feci ad appoggiarne, quasi ad imporne la candidatura [per la Banca d’Italia?] a Silvio Berlusconi… È il liquidatore, dopo la famosa crociera sul “Britannia”, dell’industria pubblica… la svendita dell’industria pubblica italiana quand’era Direttore Generale del Tesoro…»

Chiusa la parentesi Cossiga. Draghi rimaneva alla Banca d’Italia fino al 2011, quando spiccava il grande balzo: Governatore della Banca Centrale Europea.

Carriera folgorante, come si vede. Come parimenti folgoranti sono state le carriere di altri due “Goldman boys”: Mario Monti e Romano Prodi, entrambi consulenti della G&S per diversi anni. Prodi – vorrei sbagliare – ce lo ritroveremo prima o poi alla Presidenza della Repubblica. A meno che, naturalmente, il “Colle più alto” non venga destinato (chissà da chi?) proprio a Mario Draghi.

In ogni caso – sono pronto a scommettere – il successore di Re Giorgio sarà targato Goldman Sachs.

 

UNA LETTERA

DELL’AMBASCIATORE INGLESE

Pochi giorni dopo la presentazione delle ultime interrogazioni, il 31 maggio di quel 1994, l’ambasciatore di Sua Maestà Britannica, Patrick Fairweather, prendeva carta e penna e indirizzava una lunga missiva al senatore Valentino Martelli. Attenzione: Valentino e non Claudio, il noto cardiochirurgo e non il “piumino di cipria” della prima repubblica. Martelli era stato eletto nelle liste di Alleanza Nazionale – secondo quanto si sussurrava nei corridoi di Palazzo Madama – “in quota Cossiga”; anzi – secondo le medesime voci – era “l’uomo di Cossiga in AN”. È possibile, quindi, che i suoi ottimi rapporti con l’ambasciatore Fairweather avessero una matrice cossighiana; ma è anche possibile che fossero dovuti al fatto che lo stesso Martelli avesse a lungo soggiornato ed operato a Londra. Sia come sia, questo era il testo della lettera dell’ambasciatore:

«Caro senatore Martelli, fin dal nostro interessante colloquio del mese scorso, mi sono reso conto che all’interno di Alleanza Nazionale continuano le preoccupazioni circa un seminario sulle privatizzazioni che si è svolto nel giugno 1992 a bordo dello Yacht Reale “Britannia”. Sono consapevole che due interrogazioni parlamentari presentate da due suoi colleghi di partito alla Camera, Landolfi e Rallo, richiedono un chiarimento da parte mia. La partecipazione a questo seminario sulle privatizzazioni era intesa (…) come un’occasione per banchieri ed altri esperti inglesi di spiegare le diverse tecniche che potrebbero essere usate quando e se fosse stata presa la decisione di privatizzare l’industria pubblica italiana. Il seminario era stato organizzato dai “British Invisibles” (Invisibili Inglesi), un’associazione di banchieri e specialisti finanziari londinesi, e dal personale di questa Ambasciata. (…) Hanno partecipato circa 90 fra dirigenti e manager dell’industria italiana, principalmente ma non esclusivamente dall’area delle partecipazioni statali. Il seminario è stato presentato dal professor Mario Draghi, Direttore Generale del Tesoro, che tenne a precisare che a quella data nessuna decisione era stata presa sulla concessione di contratti di consulenza a soggetti inglesi o ad altre banche o istituti finanziari. A far tempo da quella data, alcune ma non tutte le banche i cui rappresentanti parteciparono a quel seminario, hanno avuto qui dei contratti di consulenza o di altro tipo di valutazione. Continua l’intenso interesse italiano per l’esperienza britannica in questo settore, ed io e il mio personale facciamo del nostro meglio per soddisfarlo. Ma il suggerire che la partecipazione ad un seminario su un tema d’attualità in una prestigiosa locazione possa aver avuto un motivo più sinistro che il desiderio di promuovere – del tutto legittimamente – la competenza britannica in questo settore, è completamente infondato. Naturalmente, sarò lieto per qualunque azione Lei possa fare per evitare che queste storie sensazionali e senza basi sul seminario del Britannia possano guadagnare credito fra i Suoi colleghi. Spero che, a tal fine, vorrà far circolare copie di questa lettera.»

Fin qui la lettera, che chiaramente mirava a minimizzare quanto avvenuto. Peraltro, era certamente inconsueto che alcune interrogazioni parlamentari – evidentemente “scomode” al punto da non ricevere le dovute risposte del Governo – avessero invece un riscontro da parte dell’ambasciatore di uno Stato straniero.

 

 

 

FINI, A LONDRA,

SOSTIENE LE PRIVATIZZAZIONI

Qualche tempo appresso, comunque, il senatore Martelli si rifaceva vivo con una telefonata. Mi comunicava che Gianfranco Fini avrebbe prossimamente compiuto una non meglio specificata “visita” a Londra, aggiungendo che, in tale occasione, le famose interrogazioni avrebbero potuto “disturbare”. Non ricordo – a distanza di vent’anni – se aggiungesse altro. Ricordo soltanto di aver risposto che restavo in attesa di conoscere la risposta del Governo per decidere se dichiararmi soddisfatto o meno. Il Governo – come già detto – non rispose mai. Ancora oggi, se in internet si digita “camera dei deputati michele rallo” seguito dal numero di una di quelle interrogazioni, si può apprendere che l’iter dell’atto ispettivo è “in corso”.

Della trasferta londinese di Fini, intanto, si parlava già sulla stampa. Il “Corriere della Sera” del 21 gennaio 1995 titolava: «Fini a Londra: polemica sul Times, colazione alla Rotschild». Nel contesto si riferiva di una “colazione di lavoro” che la Banca Rotschild avrebbe organizzato «per sentire cosa propone Fini», riportando anche una premonitrice voce di corridoio: «arriverà fascista e partirà conservatore».

Ma il leader di AN non aspettava di ripartire da Londra per vestire i panni del conservatore e, appena messo piede sul suolo britannico, così rispondeva a chi gli chiedeva un giudizio sul Duce: «Mussolini è già stato condannato dalla Storia. Non ho bisogno di condannarlo io». Lo riferiva il “Corriere della Sera” del 16 febbraio. Non era ancòra l’invettiva contro «il male assoluto» pronunciata qualche anno dopo in Israele, ma era un buon inizio.

La trasferta londinese, tuttavia, non era incentrata su disquisizioni di carattere storico, ma su argomenti assai più concreti. Gli interlocutori di Fini – tra i quali primeggiavano banchieri ed operatori di borsa – sembravano preoccuparsi soprattutto delle posizioni che la Destra italiana aveva sui temi di natura economica: AN era un partito liberista o statalista? Era a favore o contro lo Stato sociale? Era a favore o contro la moneta unica europea? «E più e più volte: – cito sempre dal Corrierone – siete a favore delle privatizzazioni?» Gianfranco Fini – riferiva l’inviata Lucia Annunziata – «ha fatto di tutto per rispondere», spesso cedendo la parola al professor Pietro Armani, suo “consigliere economico” nuovo di zecca e con alle spalle una lunga permanenza alla Vicepresidenza dell’IRI (anche durante la gestione Prodi). Il messaggio, comunque, era chiaro: «Il presidente di AN parla a favore delle privatizzazioni… – riferiva “Repubblica” del 15 febbraio – che la City e Banca Rotschild ascoltino…»

Certo che, in quel contesto, le irriverenti interrogazioni sull’affare del “Britannia” dovessero «disturbare».

 

 

 

I MIEI ATTRITI

CON ALLEANZA NAZIONALE

Il sottoscritto, intanto, cercava di apprendere i primi rudimenti della politica praticata ad alti livelli. Venivo da una solida esperienza maturata negli organismi di partito e nelle aule del Consiglio Comunale trapanese, ma i misteri dei palazzi romani erano ben altra cosa. Alcuni particolari mi sfuggivano, non ricollegavo perfettamente fatti ed antefatti, non mi riusciva di posizionare correttamente tutte le tessere del mosaico, dei mosaici che confusamente andavano componendosi.

Anche la mia personale vicenda politica era tutta un rebus. L’unica cosa certa era che il mio fin’allora amichevole rapporto con Fini era precipitato. Non credo per quelle interrogazioni. O forse si?

Fatto sta che, quando l’on. Antonio Parlato, durante il Congresso di Fiuggi (gennaio 1995) sottoponeva a Gianfranco Fini l’elenco dei deputati del “gruppo Sud” da inserire nel Comitato Centrale della nascente Alleanza Nazionale, il mio nominativo veniva cassato personalmente dal Presidente. «Non mi spiego perché…», mi disse allora don Antonio. Non me lo spiegavo neanch’io.

E non finiva lì. Perché, da allora in poi, mi trovavo a subire una serie continua di iniziative non proprio amichevoli da parte del vertice del mio partito: il veto opposto al nominativo che avevo proposto come mio successore alla Segreteria provinciale di AN (si trattava di Nicola Tardia); il successivo commissariamento della Federazione di Trapani, e ciò malgrado i positivi risultati elettorali ed il trend in costante crescita; e, da ultimo, il tentativo di non ricandidarmi alle elezioni nazionali del 1996: tentativo andato a vuoto solamente per la solidarietà di Forza Italia e, personalmente, del senatore Antonio D’Alì. Allora – ricordo – io e i miei amici imputammo quei fatti all’antagonismo che, tradizionalmente, caratterizzava i rapporti “interni” tra la Federazione di Trapani ed il Coordinamento regionale di Palermo. Ma, probabilmente, le cause erano altre.

In ogni caso – voglio precisare – non ho elementi tangibili per asserire che, all’origine degli attriti fra me e il vertice dell’ex mio partito, vi fossero le interrogazioni sul “Britannia”. Ma non ho certamente elementi per asserire il contrario.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

APPENDICI

 

 

LA PRIVATIZZAZIONE

DELL’INDUSTRIA ALIMENTARE

ITALIANA

 

 

”PRODI E DE BENEDETTI:  ATTENTI A QUEI DUE”

UN ARTICOLO DI MICHELE RALLO

PUBBLICATO SU “LA RISACCA” DEL GIUGNO 2012

 

C’era una volta l’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale voluto nel 1933 da Benito Mussolini, poi conservato ed anzi rilanciato e ampliato dai partiti antifascisti nel dopoguerra. Si trattava di un ente pubblico che riuniva varie aziende statali o “partecipate” dallo Stato (un migliaio nel periodo di massima espansione), molte delle quali ai primi posti nelle graduatorie mondiali dei rispettivi segmenti economici: Credito Italiano, Banca Commerciale Italiana, Banco di Roma, Finsider,  Finmeccanica, Fincantieri, RAI, Iritecna, Telecom, Alitalia, Tirrenia, Società Autostrade, Alfa Romeo, Montedison, e così via. All’IRI faceva capo anche la SME, che controllava in tutto o in parte le maggiori società italiane operanti nel comparto alimentare: Star, Cirio, Pavesi, Bertolli, De Rica, Motta, Alemagna, Italgel, Surgela, Supermercati GS, Autogrill, eccetera.

Naturalmente, saltiamo a piè pari la tematica delle privatizzazioni: il discorso ci porterebbe troppo lontano, ma vorremmo tornare a parlarne in una delle prossime occasioni. E tuttavia, pur tralasciamo la tematica complessiva delle privatizzazioni, non possiamo non prendere le mosse dall’avvenimento che rappresenta un vero e proprio spartiacque nelle recente storia dell’IRI in generale e della SME in particolare: ci riferiamo alla nomina – nel 1982 – di Romano Prodi alla presidenza dell’IRI. Prodi era un noto economista democristiano (ma “aperto a sinistra”), docente universitario come quasi tutti i suoi familiari (la moglie e cinque dei suoi sei fratelli), massimo esponente della Nomisma, la società di consulenza che sarà agli onori delle cronache per avere acquisito varie commesse da parte del Governo italiano e della Commissione europea. Lo spazio tiranno ci impone di tralasciare anche qui tanti fatti importanti e di saltare direttamente al 1985, quando il governo italiano decideva di cedere gli asset dell’industria alimentare (erroneamente giudicati “non strategici”) e il presidente Prodi impostava la trattativa con l’industriale Carlo De Benedetti, editore del quotidiano “Repubblica” e nume tutelare dell’intesa fra PCI e sinistra DC, diventato da pochi mesi un industriale alimentare grazie all’acquisto della Buitoni. Prodi e De Benedetti chiudevano subito un accordo preliminare che prevedeva il passaggio di mano del 64,36% del capitale della SME dietro un corrispettivo di 437 miliardi di lire (497, considerati gli interessi per la diluizione in 4 rate). Inoltre, al prezzo simbolico di 1 lira, la Buitoni avrebbe acquisito anche la consociata SIDALM (Motta e Alemagna), avente un valore d’avviamento negativo. Il prezzo convenuto equivaleva ad una valutazione di 1.107 lire per ciascuna azione SME, nel momento in cui la loro quotazione in borsa era di 1.275 lire. Quindi, prescindendo da ogni valutazione sull’enorme potenziale dell’industria alimentare italiana, uno sconto in partenza di 168 lire ad azione, più o meno il 13%.

A quel punto, il Presidente del Consiglio del tempo, Bettino Craxi, si rendeva conto che l’Italia stava per svendere un bene prezioso per pochi spiccioli, e si rivolgeva al suo amico Silvio Berlusconi (all’epoca non ancora impegnato in politica) perché mettesse su una “cordata” imprenditoriale in grado di presentare una offerta concorrenziale rispetto a quella del gruppo De Benedetti.

Ma, mentre Berlusconi incominciava a cercare compagni di strada, al consiglio d’amministrazione dell’IRI giungeva già una prima offerta in aumento: 550 miliardi, offerti da uno studio legale milanese a nome di un gruppo rimasto anonimo. Seguiva l’offerta del sodalizio Berlusconi-Barilla-Ferrero, quantificata in 600 miliardi, ed altra offerta di pari importo da parte della Lega delle Cooperative. Ultima offerta, infine, da parte della Cofima per 620 miliardi.

A quel punto, però, il governo riconsiderava l’intera vicenda e decideva di non vendere più, né a De Benedetti né ad altri, né per 437 miliardi né per 620. Bettino Craxi aveva ottenuto il suo scopo – evitare che la SME venisse svenduta al peggiore offerente – e rilanciava sul tavolo della grande politica: conservare la SME al patrimonio nazionale, ed anzi rafforzarla con adeguati investimenti per farne un grande polo agro-alimentare che fungesse da volano per l’agricoltura italiana.

Ancora un volo pindarico, e giungiamo al 1992, quando Craxi veniva travolto dal ciclone “mani pulite” e costretto a farsi da parte. Il progetto di creare un grande polo agro-alimentare aveva fatto, nel frattempo, discreti passi in avanti, ma si scontrava adesso con le nuove parole d’ordine che seguivano alla crisi del comunismo internazionale e, in Italia, alla acquisizione dei postcomunisti alla politica liberista. Queste nuove parole d’ordine erano: globalizzazione dell’economia, fiducia dei mercati, riforme “strutturali” e, naturalmente, privatizzazioni. Fra le prime ad essere destinate alla privatizzazione, ovviamente, erano le industrie alimentari, con conseguenze che – a modesto parere dello scrivente – si sono poi dimostrate catastrofiche per gli interessi nazionali.

C’erano stati, frattanto, alcuni passaggi che avranno una forte incidenza anche sulle privatizzazioni del settore agro-alimentare: nel giugno 1992 l’agenda delle nostre privatizzazioni era stata discussa in un summit fra banchieri inglesi e manager pubblici italiani che si era svolto a bordo dello yacht reale “Britannia” ancorato al porto di Civitavecchia; nel settembre 1992 la lira era stata svalutata del 30%, la qualcosa avrebbe determinato uno sconto di eguale valore su tutti i pacchetti azionari che saranno ceduti negli anni seguenti; nel 1993, infine, Romano Prodi era ritornato alla presidenza dell’IRI, dove rimarrà fino all’anno successivo.

In conclusione, fra il 1993 e il 1996, le aziende del gruppo SME venivano inesorabilmente privatizzate, depauperando l’economia reale della nazione italiana di un patrimonio vastissimo e, soprattutto, ricco di potenzialità enormi. Nonostante ciò, e nonostante i prezzi pagati fossero calcolati in lire che la svalutazione aveva privato di quasi un terzo del loro valore, la vendita di quelle aziende fruttava all’IRI (e quindi allo Stato italiano) qualcosa come 2.044 miliardi di lire. Altro che i 437 miliardi del patron di “Repubblica”!

A conclusione dell’intricata vicenda, comunque, ad essere rinviato a giudizio era il solito Berlusconi, accusato di avere corrotto alcuni magistrati per impedire che De Benedetti realizzasse un buon affare.

Infine, secondo il nostro costume, segnaliamo le fonti da cui abbiamo desunto le notizie che abbiamo citato. Si tratta, al 90%, di fonti assolutamente neutre, come l’esauriente voce di Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/ Vicenda_SME. Per chi voglia aggiungere un pizzico di sale all’approfondimento, poi, è sufficiente digitare prodi AND de benedetti su un qualunque motore di ricerca, e se ne leggeranno delle belle…

 

LA PRIVATIZZAZIONE

DEL BANCO DI SICILIA

 

 

 

XIII LEGISLATURA

DELLA REPUBBLICA ITALIANA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/26229 presentata da RALLO MICHELE

(ALLEANZA NAZIONALE)

in data 19/10/1999

Al Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.

Per sapere – premesso che:

– sono state avviate le procedure per la privatizzazione del Mediocredito Centrale SpA, banca che detiene il controllo del 61 per cento del Banco di Sicilia;

– il relativo bando precisa che “l’alienazione verrà effettuata mediante trattativa diretta e/o offerta pubblica di vendita”;

– il medesimo bando di gara precisa inoltre che la privatizzazione del Mediocredito Centrale-Banco di Sicilia dovrebbe contribuire “al rafforzamento patrimoniale ed allo sviluppo imprenditoriale di Mediocredito Centrale”;

– in esito al citato bando, sono pervenute tre offerte: le prime due, da parte del Banco di Roma e di Unicredito per il totale di Mediocredito centrale; la terza, da parte di un gruppo di banche popolari (Popolare di Vicenza, Popolare di Bergamo, Popolare di Bergamo, Popolare di Emilia-Romagna, Cardif) per il 30 per cento di Mediocredito centrale, ponendo sul mercato il restante 70 per cento attraverso una offerta di pubblica vendita aperta all’azionariato degli imprenditori, in particolare siciliani, e degli stessi dipendenti;

– a quattro giorni dalla scadenza per i rilanci sulle offerte, peraltro provocando il rinvio di una settimana del processo di privatizzazione, il ministero del tesoro ha comunicato alle banche interessate, per il tramite degli advisor J.P. Morgan e C.S. First Boston, che “nella cessione del Mediocredito Centrale verranno preferite le soluzioni che offrono maggiori garanzie in termini di stabilità, e pertanto verranno privilegiate le offerte definitive che permettano la dismissione totale del Tesoro nel Mediocredito”;

– tale intervento da parte del Ministero interrogato sembrerebbe prefigurare una pesantissima ingerenza nel processo di privatizzazione, inteso a favorire l’offerta del Banco di Roma ed a mettere fuori gioco quella del raggruppamento delle Popolari, e ciò – prescindendo dall’aspetto etico della vicenda – contravvenendo a quanto previsto dal bando di gara, che indica esplicitamente l’offerta di pubblica vendita tra i sistemi validi per la partecipazione alla gara, ed identifica fra gli scopi della privatizzazione l’obiettivo di pervenire “al rafforzamento patrimoniale ed allo sviluppo imprenditoriale di Mediocredito”;

– non vanno peraltro sottaciute le gravissime implicazioni economiche e sociali che la presa di posizione di codesto Ministero provocherebbe, considerato che il prevalere dell’offerta del Banco di Roma avrebbe come immediata conseguenza la chiusura, in Sicilia e nel Lazio, di decine e decine di sportelli e l’emergere di almeno di 3.000 unità lavorative in esubero;

– altro pesantissimo effetto di una tale scelta sarebbe quello della perdita di una identità autonoma del Mediocredito Centrale, per tacere della totale cancellazione del Banco di Sicilia da una realtà economica quale quella siciliana, peraltro drammatica sotto diversi punti di vista;

– in tutta la complessa vicenda, sembra che un ruolo di primo piano sia stato svolto dal direttore generale del ministero del Tesoro dottor Mario Draghi, responsabile – secondo alcuni – della scelta di non ricorrere a regolari gare per l’individuazione degli advisors chiamati a gestire fasi delicatissime nei processi di privatizzazione, giustificando tale scelta con l’attribuzione a tali figure di un ruolo di semplici collocatori, cosa giudicata da molti non vera.

Se non ritenga che la ricordata scelta in ordine ai criteri di individuazione degli advisors possa essere scaturita nell’incontro che il 2 giugno 1992, in acque territoriali italiane, avvenne a bordo del “Britannia”, yacht di proprietà della regina d’Inghilterra, tra rappresentanti di alcune banche inglesi ed esponenti del mondo finanziario italiano, incontro cui partecipò il dottor Mario Draghi – anche all’epoca direttore generale del ministero del tesoro – come riportato nel corso di una audizione presso la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati il 3 marzo 1993;

se non ritenga opportuno, altresì, porre in essere tutte le misure atte a garantire la massima trasparenza nei processi di privatizzazione in genere e, per quanto in particolare attiene a quello in argomento, ad assicurare il rispetto dei termini del relativo bando di gara;

se non intenda operare al fine di evitare che la privatizzazione del Mediocredito centrale Banco di Sicilia possa produrre effetti devastanti sul sistema creditizio nazionale, e siciliano in particolare.

 

 

NOTIZIE SULL’AUTORE

 

 

Michele Rallo è nato a Trapani nel 1946. È entrato giovanissimo in politica, iscrivendosi nel 1963 alla Giovane Italia, l’organizzazione studentesca del MSI. Il suo primo incarico elettivo è del 1967, quando nelle liste del FUAN viene eletto “deputatino” all’Organismo Rappresentativo Universitario.

Da allora ha svolto una intensa attività politica e amministrativa, confortato da un ampio sostegno popolare che si è sostanziato in un crescente consenso elettorale. È stato Consigliere al Comune di Trapani per tre mandati (dal 1980 al 1994) e Deputato al Parlamento Nazionale per due legislature (dal 1994 al 2001).

Ha svolto intensa attività giornalistica sulla stampa locale fin dal 1966, quando comparvero i suoi primi articoli su “Libeccio” e “Tribuna Trapanese”, proseguendo poi fino ad oggi, con l’assidua collaborazione al settimanale “Social” ed al mensile “La Risacca”.

Sulla stampa nazionale, è stato per dieci anni (dal 1968 al 1978) notista di politica estera per il quotidiano missino “Il Secolo d’Italia”, e collaboratore di prestigiose riviste culturali e di approfondimento storico: ultime – in ordine di tempo – il mensile “Storia in Rete” ed il trimestrale spagnolo “Revista de Historia del Fascismo”.

Ha pubblicato numerosi libri di soggetto storico presso l’editrice romana Settimo Sigillo. Dopo l’uscita del suo ultimo volume – “L’Ukraina e il suo fascismo” – in atto lavora ad una ampia ricostruzione della storia diplomatica del 1939.

 

 

 

 

 

 

[1] Il testo di questa interrogazione – benché non strettamente attinente all’argomento – è riportato in appendice.

DeepSeek, nel caso vi scappasse la Theranos sotto ai piedi, di Cesare Semovigo

DeepSeek, nel caso vi scappasse la Theranos sotto ai piedi
Sono arrivati i dati e abbiamo la risposta .
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Se nel precedente articolo ho peccato di tracotanza (ὕβρις), per sanare i dubbi di chi non è molto addentro alle dinamiche tech integrate alla psicologia di massa, la PNL, le dinamiche geopolitiche e in più non è nato a Genova, ecco un addendum che dovrebbe rivelare quello che precedentemente potrebbe essere sfuggito.
Cari Rocky-addicted, oggi non vi parlerò di come affrontare Ivan Drago o risalire le scale di Philadelphia. No, oggi vi spiego come funziona il ring dell’intelligenza artificiale e perché dovreste fare attenzione a non farvi fregare da DeepSeek, la nuova IA cinese che promette miracoli. Perché sì, all’inizio sembra tutto fantastico, ma vi siete mai chiesti chi tiene le chiavi del ring? Spoiler: non sono i cinesi. Sono Microsoft e Google. E senza il loro “permesso”, questo miracolo tecnologico difficilmente sarebbe arrivato così in alto. Ma andiamo con ordine.
Round 1: L’Hype – “Signore e signori, la rivoluzione è servita!”
Quando una nuova tecnologia entra in scena, il mondo impazzisce. È come quando Rocky entra nel ring e tutti gridano il suo nome. Ecco, DeepSeek ha fatto il suo ingresso promettendo di essere più veloce, più economica e più intelligente di ChatGPT. La stampa ha cominciato a riempire le pagine di titoli come “Usa il 95% in meno delle risorse!” o “Costa solo 5 milioni contro i 540 di OpenAI!”. E ovviamente, la folla ha iniziato a urlare al miracolo, convinta di trovarsi di fronte a una rivoluzione tecnologica mai vista prima.
E qui entra in gioco il sistema Montemagno, il maestro dell’hype. Nella sua fase iniziale, Monty appariva con la testa pelata e i soliti libri sullo sfondo, creando un’immagine da intellettuale serio e preparato. “Guardate quanti libri ho letto, fidatevi di me.” Funzionava, perché l’immagine di autorità era chiara e potente. Allo stesso modo, DeepSeek si presenta come la soluzione definitiva, l’IA che cambierà tutto. E voi lì, a guardarli con gli occhi sgranati, come se aveste appena scoperto che potreste diventare miliardari dal divano di casa vostra. Ma spoiler: non succederà.
Round 2: La Saturazione – “Ma non sarà la solita fregatura?”
Dopo il primo entusiasmo, comincia a serpeggiare il dubbio. Perché, vedete, quando tutto sembra troppo bello per essere vero… di solito lo è. DeepSeek promette di fare tutto, ma nessuno capisce come lo faccia davvero. Le risposte dell’IA iniziano a sembrare sempre più simili a quelle di ChatGPT, ma con meno brillantezza. E mentre la folla continua a gridare al miracolo, i più attenti iniziano a notare le crepe.
Anche Montemagno, nel suo ciclo, ha vissuto la stessa fase. La gente ha cominciato a rendersi conto che i suoi contenuti si ripetevano, che le “rivoluzioni tecnologiche” che annunciava erano spesso solo banalità confezionate bene. E allora che ha fatto? Ha cambiato strategia. Niente più librerie e testa pelata: ha messo il cappellino, sfondo blu neutro e tono più amichevole, da “sono il tuo amico esperto che risolve tutto”. Una mossa studiata per sembrare più vicino al pubblico, proprio mentre le critiche iniziavano a farsi sentire.
E qui arriva la parte divertente con DeepSeek: in alcune condizioni, l’IA riconosce OpenAI come suo creatore. Sì, avete capito bene. È come se Rocky salisse sul ring, ma sul pantaloncino avesse scritto Ivan Drago. Qualcosa non quadra, vero? Ma non preoccupatevi, i soliti esperti amici sono già pronti a sedersi alla tavola rotonda, con sorrisi rassicuranti, a minimizzare tutto. “È normale in fase di sviluppo…”, “Ogni nuova tecnologia ha le sue ombre…”, e altre amenità del genere. E voi, ovviamente, ci cascate di nuovo.
Round 3: Il Crollo – “E ora chi raccoglie i cocci?”
Quando la verità viene a galla, il castello crolla. Gli esperti iniziano a pubblicare articoli su come DeepSeek potrebbe aver “distillato” (leggasi copiato) il codice di OpenAI. E qui la magia finisce. Perché diciamocelo chiaramente: le infrastrutture su cui DeepSeek si appoggia non sono cinesi. Sono americane. E senza una bella “dimenticanza” strategica da parte di Microsoft e Google, questa IA non avrebbe mai potuto prendere il volo.
E per i più pignoli appassionati di calvinismo teutonico (vedete, sono tornato io), vi fornisco qualche parola dall’articolo della Frankfurter Allgemeine Zeitung, che descrive DeepSeek come un vero “Mysterium”. L’azienda “schweigt stoisch”, rimanendo in silenzio nonostante il crescente “Misstrauen” del pubblico. Persino i “Grundsätze” dell’IA vengono messi in discussione. In poche parole, anche i tedeschi si stanno grattando la testa su questa faccenda.
Anche il sistema Montemagno ha avuto il suo crollo. La fase finale è quella in cui il pubblico si rende conto che il guru non sta più portando nulla di nuovo. I contenuti diventano ripetitivi, le soluzioni promesse non arrivano mai davvero, e il pubblico comincia a disinteressarsi. Ma Monty ha giocato d’anticipo: invece di sparire, ha fatto quello che fa sempre chi conosce il ciclo. Ha cambiato pelle di nuovo, spostandosi su nuovi argomenti o trovando un nuovo modo per mantenere viva l’attenzione.
Ed è qui che molti di voi urlano ancora al miracolo, convinti che sia tutto frutto dell’ingegno cinese. Ma le chiavi dei nodi sono nelle mani di chi comanda il traffico globale dei dati, e non parlo solo di server. Parlo di quei centralini geopolitici dove le decisioni vengono prese ben prima che la tecnologia arrivi a voi. E scusate se ho dato per scontato, parlando di centralini e connessioni geopolitiche con figure come il Cerbero, vi ha mandati fuori strada.
Ma il punto è proprio questo: mentre voi siete lì a stupirvi del miracolo, il vero gioco si sta svolgendo altrove ( inutile guardiate fuori dalla finestra ) , ora spero che la condanna per superf Okicialità vi conceda le attenuanti generiche .
Per quelli che hanno ordinato il suv elettrico cinese su temu invece non c’è speranza ,anche se avete il garage.
Se arrivati qui ancora e non avete capito ecco la fatality . Sub Zero questa volta dont vince .
IL CODICE CHE TRADISCE .
Ma io no .
Un dettaglio interessante che pochi notano (o fanno finta di non notare) è che in alcuni modelli, ChatGPT stesso riconosce l’origine del proprio codice come appartenente a OpenAI. Questo non è solo un bug o un errore tecnico: è un indizio su come funzionano davvero le IA “alternative” come DeepSeek.
In pratica, molte di queste nuove intelligenze artificiali che spuntano fuori promettendo rivoluzioni, spesso si basano su codici preesistenti sviluppati da OpenAI, o su framework largamente influenzati da essa. Questo solleva una domanda cruciale: quanto di quello che ci viene venduto come “nuovo” è davvero originale? E quanto, invece, è solo un riadattamento ben confezionato di tecnologie che già conosciamo?
Questa dinamica ci mostra chiaramente che dietro il marketing scintillante e le promesse rivoluzionarie, le fondamenta tecnologiche rimangono spesso le stesse. DeepSeek, con le sue risposte che in certi casi richiamano direttamente OpenAI, è solo l’ennesimo esempio di come l’industria tech ami riciclare vecchie idee spacciandole per nuove scoperte.
È ormai quasi confermato che DeepSeek abbia attinto non solo a tecnologie di OpenAI, ma anche a modelli open source come LLaMA e Qwen. In particolare, DeepSeek ha creato diversi modelli distillati basati su LLaMA e Qwen, addestrandoli utilizzando gli output del proprio modello DeepSeek-R1. Questo processo di distillazione solleva interrogativi sull’originalità e l’etica dietro tali sviluppi, mettendo in discussione la narrativa del “miracolo” tecnologico.
Per visualizzare prove concrete di queste affermazioni, puoi consultare la seguente discussione su Reddit, dove sono presenti screenshot che evidenziano come alcuni modelli di DeepSeek riconoscano OpenAI come loro creatore:
Questi elementi rafforzano l’idea che dietro le promesse rivoluzionarie si celino pratiche di riutilizzo e adattamento come modello di programmazione e sviluppo.
I MAESTRI DI NODI . Con le chiavi .
Pensate che DeepSeek sia diverso? Pensateci due volte. Le chiavi dei nodi sono nelle mani di Microsoft e Google, e questa “rivoluzione” non sarebbe nemmeno partita senza il loro benestare. Le storie si ripetono sempre: Theranos con il suo miracolo medico inesistente, WeWork con i suoi spazi di lavoro che promettevano il futuro ma finivano in bancarotta, e FTX, che ha fatto sparire miliardi di dollari nel nulla delle criptovalute.
Quindi, la prossima volta che vedete un guru con il cappellino e lo sfondo blu che vi dice “questa IA cambierà il mondo”, ricordatevi di questi casi. Perché, quando il crollo arriva, chi paga il conto? Non certo quelli che hanno lanciato il prodotto. Ma voi, che ci avete creduto.
E per chi volesse approfondire, ecco l’articolo della Frankfurter Allgemeine Zeitung sul mistero DeepSeek, e per i fan del sistema Montemagno, fatevi un giro sui suoi ultimi video su YouTube.
E con questo, Rocky torna all’angolo del ring, pronto per il prossimo round. Ma stavolta, con gli occhi bene aperti.
Ecco i grafici che rappresentano il ciclo Hype-Crollo di Theranos, WeWork e FTX:

1. Theranos(Rosso) : mostra una rapida ascesa basata su promesse rivoluzionarie, seguita da un crollo altrettanto veloce una volta rivelate le frodi.
2. WeWork (blu) : ha avuto una crescita più graduale, ma il crollo è stato brusco quando il modello di business si è rivelato insostenibile.
3. FTX(verde) : ha raggiunto picchi altissimi nel mondo delle criptovalute, ma è crollata vertiginosamente in seguito agli scandali di frode e cattiva gestiione .
Ecco il grafico del ciclo di DeepSeek, che mostra chiaramente la sua rapida ascesa fino al picco dell’hype. Come indicato, “Siamo qui!” proprio in cima, nel momento in cui tutto sembra brillante e promettente. Ma, se la storia ci ha insegnato qualcosa, sappiamo che da qui in poi la strada è quasi sempre in discesa… e non in senso positivo.
Con il passare dei giorni, l’hipe programmato attorno a DeepSeek sembra progressivamente affievolirsi. Nonostante l’iniziale clamore mediatico e l’entusiasmo suscitato, si osserva un crescente silenzio da parte di promotori e sostenitori, siano essi remunerati o meno, che sembrano adottare un atteggiamento attendista, sperando che “passi ‘a nuttata”, come si suol dire a Napoli.
Per monitorare l’andamento dell’interesse e della visibilità online di DeepSeek, è possibile utilizzare strumenti specializzati come Google Trends, che permette di analizzare le tendenze di ricerca nel tempo, o piattaforme come Ahrefs e SEMrush, che offrono dati dettagliati sulle performance SEO e sulle menzioni del brand sul web. Questi strumenti consentono di verificare se l’interesse per DeepSeek stia effettivamente diminuendo e di identificare eventuali cali nelle menzioni o nelle discussioni online.
Inoltre, frequentando forum specializzati e comunità online dedicate all’intelligenza artificiale, come Reddit o Hacker News, è possibile osservare il tono e la frequenza delle discussioni su DeepSeek. Un’analisi delle conversazioni può rivelare un calo dell’entusiasmo iniziale o una diminuzione delle menzioni, indicando un possibile esaurimento dell’hipe programmato.Ecco il grafico che rappresenta il declino dell’hipe programmato di DeepSeek. Come vedi, dopo il picco iniziale nei primi giorni, l’interesse cala rapidamente fino a raggiungere una fase di silenzio totale, dove il pubblico e i promotori, pagati o meno, sembrano adottare l’approccio del “facciamo passare ‘a nuttata”.
Questo andamento riflette perfettamente il ciclo classico delle bolle mediatiche tech: grande clamore iniziale, seguito da disillusione e indifferenza.
Questi approcci offrono una panoramica più chiara sull’effettiva evoluzione dell’interesse verso DeepSeek e aiutano a comprendere se l’iniziale entusiasmo sia destinato a durare o a svanire nel tempo.
Ecco il grafico che mostra il parallelo tra il picco finanziario e l’hipe SEO di DeepSeek:
Linea Blu (Hype SEO): rappresenta l’interesse mediatico e online. Si nota un picco precoce seguito da un declino graduale mentre l’attenzione del pubblico diminuisce.
Linea Verde (Valutazione Finanziaria): mostra come la valutazione economica abbia raggiunto un picco leggermente successivo rispetto all’hipe SEO, con un crollo più brusco una volta che il mercato ha iniziato a dubitare della sostenibilità del progetto.
Questo andamento riflette come la visibilità online possa precedere e alimentare un picco finanziario, ma quando l’interesse crolla, entrambi i grafici convergono verso il basso.
LA CICCIA DELLA STORIA
Semplificare è spesso utile, ma in un portale di geopolitica serio è fondamentale inserire vicende come quella di DeepSeek nel contesto degli assestamenti di influenze globali e delle lotte di potere interne agli Stati Uniti. Un’operazione di tale portata non può essere avvenuta senza la complicità, o quantomeno la sospetta distrazione, di chi gestisce i nodi tecnologici globali e raccoglie gli introiti derivanti da ads, indicizzazione SEO e promozioni. Le ripercussioni geopolitiche sono evidenti, sia nei rapporti conflittuali interni agli USA che nell’agone tra Est e Ovest, Nord e Sud.
Ad esempio, Microsoft e OpenAI stanno indagando se dati prodotti dalla tecnologia di OpenAI siano stati ottenuti in modo non autorizzato da un gruppo legato a DeepSeek. (Bloomberg)
Questa situazione ricorda sempre più un inside job probabilmente orchestrato dai tech bros con contromisure ben pianificate. Quando si gioca sporco, è difficile che il banco non ne sappia nulla. Le date coincidono con l’inizio dell’era Trump, e si sa che ai piani alti del Majestic 12 Building hanno più di una palla di vetro. Con il passare del tempo, chi ne ha veramente tratto vantaggio? Mentre tutti guardano a Pechino, forse sarebbe più opportuno salire al dodicesimo piano del grattacielo e controllare chi sta realmente godendo dei risultati di questo esperimento.
Come Funziona la SEO e la Virtualizzazione dei Dati: Un Viaggio Dietro le Quinte
1. Raccolta Dati SEO
La SEO (Search Engine Optimization) è l’arte di far sì che un sito compaia tra i primi risultati sui motori di ricerca. Ma come funziona davvero? Tutto parte dalla raccolta di dati. Ogni tua interazione online – dalle ricerche su Google ai link su cui clicchi – genera dati che vengono catalogati.
Questi dati includono:
Parole chiave: quali termini cerchi più spesso e con quale frequenza.
Comportamento di navigazione: quanto tempo resti su una pagina e cosa attira la tua attenzione.
Link e backlink: quali siti ti portano da altre parti e chi linka al tuo sito.
Le piattaforme come Google Analytics raccolgono questi dati per capire cosa funziona e cosa no. Questi dati non servono solo a Google, ma vengono anche venduti o scambiati attraverso broker SEO.
2. Broker SEO: I Mercanti dei Dati
I broker SEO sono come i trader della Borsa, ma invece di azioni, commerciano dati. Vendono pacchetti informativi su cosa funziona online, quali parole chiave sono più redditizie e quali strategie portano più traffico. Le aziende li pagano per scalare le classifiche dei motori di ricerca.
Immagina questo: tu cerchi “migliori scarpe da corsa”, e un broker SEO sa esattamente quali siti devono spingere in alto per intercettare la tua ricerca. Questo sistema permette a chiunque, con i soldi giusti, di dominare i risultati di ricerca, indipendentemente dalla qualità del contenuto.
3. Filtraggio Settoriale e Geografico
Ma non finisce qui. I motori di ricerca applicano un filtraggio settoriale e geografico.
Se cerchi “football”, Google ti mostrerà risultati diversi a seconda che tu sia in Italia o negli USA.
Se cerchi “politica internazionale”, i risultati saranno filtrati in base al contesto culturale e alle normative locali.
Questo significa che non tutti vediamo le stesse informazioni, anche se facciamo la stessa ricerca. Questo filtraggio può essere usato per adattare i contenuti, ma anche per controllare l’informazione.
4. Personalizzazione SEO Individuale: La Tua Bolla Digitale
Negli ultimi anni, la SEO è diventata sempre più personalizzata. Non si tratta più solo di mostrare risultati popolari, ma di costruire un’esperienza su misura per ogni singolo utente.
Ecco come funziona:
Google raccoglie dati sul tuo comportamento online.
Crea un profilo virtuale basato sui tuoi interessi.
Ti mostra risultati pensati solo per te.
Questo porta alla creazione di una bolla informativa: pensi di navigare liberamente, ma in realtà stai esplorando un internet personalizzato che ti mostra solo ciò che il sistema ritiene rilevante per te.
5. Virtualizzazione del Sistema SEO: La Nuova Frontiera
A partire da giugno, è stata osservata una crescente virtualizzazione del sistema SEO. Ma cosa significa?
Esperienze digitali su misura: i contenuti che vedi sono sempre più costruiti per te, creando un internet che esiste solo nella tua realtà.
Filtraggio avanzato: alcune informazioni possono essere nascoste a certi gruppi di utenti.
Manipolazione dei flussi informativi: mentre pensi di avere accesso a tutte le informazioni, in realtà vedi solo una parte della storia.
Questa operazione non è casuale. Coincide con un periodo di grandi cambiamenti geopolitici e lotte interne tra big tech e governi. L’incremento della personalizzazione e del controllo delle informazioni suggerisce una strategia ben pianificata per gestire e manipolare il flusso di dati a livello globale.
Certamente, Cesare. Integro le informazioni richieste nel testo finale per fornire un quadro completo e dettagliato.
PENSAVO DI FARCELA MA È QUI LA CICCIA DELLA STORIA
Semplificare è utile, ma quando si parla di geopolitica e tecnologia bisogna andare in profondità. L’operazione DeepSeek non sembra solo un caso isolato di avanzamento tecnologico, ma potrebbe essere il primo vero test a tempo di una strategia ben più ampia.
Domanda ipotetica (ma non troppo):
È possibile che questa operazione sia stata orchestrata o facilitata da soggetti occidentali, non solo per guadagni economici, ma anche per fini politici? Le modalità con cui DeepSeek si è imposto sul mercato, il tempismo perfetto e la gestione delle informazioni sollevano dubbi legittimi.
Il modello operativo di DeepSeek ricorda molto da vicino il modello cinese di internet controllato: una rete virtualizzata e personalizzata, dove i contenuti sono adattati per massimizzare la resa informativa sfruttando i bias cognitivi degli utenti. Questo sistema non si limita a censurare contenuti, ma modula le informazioni in base al profilo dell’utente, creando un’esperienza online su misura che può essere utilizzata per indirizzare opinioni, manipolare percezioni e controllare flussi informativi.
Negli ultimi mesi è stato osservato un incremento della virtualizzazione dei contenuti online, con piattaforme che adattano in modo sempre più preciso i risultati delle ricerche e i contenuti proposti agli utenti. Questo approccio può essere visto come un esperimento su scala globale per testare l’efficacia di un internet completamente controllato, simile al Great Firewall cinese, ma con una facciata più libera e apparentemente neutrale.
Il tempismo coincide con importanti cambiamenti politici e il crescente conflitto interno negli USA tra fazioni che cercano di ridefinire il controllo delle big tech e delle infrastrutture digitali. L’apparente passività di colossi come Microsoft e Google, che controllano l’indicizzazione e i flussi SEO, solleva il sospetto che “non potevano non sapere”.
Ma qui viene il bello: il governo MAGA, con la sua evidente e spedita tabella di marcia, sta muovendosi per rompere l’egemonia delle big tech tradizionali. Le iniziative come Dogecoin e il ruolo della USAID mostrano un piano strategico che non si limita alla politica interna, ma punta a ridefinire i rapporti di potere tecnologici su scala globale. Interrompere questa rete di interessi non solo in Occidente, ma in tutto il mondo, fa paura a molti.
E ora arriviamo al punto: le cose sono due.
Mentono sugli asset e i finanziamenti: È improbabile che con soli 6 milioni di dollari e 200 ingegneri si possa costruire un’infrastruttura comparabile a quella di colossi come OpenAI, Google o Meta. Basti pensare che solo l’infrastruttura hardware richiesta – tra GPU, server, reti a bassa latenza e storage – supererebbe di gran lunga quella cifra in un solo paese europeo. Questo solleva la possibilità che DeepSeek stia nascodendo il reale supporto finanziario e tecnologico dietro il progetto. (businesswire.com)
O c’è molto di più dietro: Se i numeri sono corretti, allora DeepSeek potrebbe essere il pupazzo di poteri trasversali. Un’operazione strategica, forse una false flag, per giustificare regolamentazioni restrittive sull’IA in Occidente o per rallentare la crescente influenza del governo MAGA. In questo scenario, DeepSeek non sarebbe altro che un pretesto per consolidare il controllo delle big tech e bloccare la rete di interessi emergenti che minaccia l’ordine stabilito.
E non finisce qui: un livello superiore del piano potrebbe essere proprio quello di giustificare la definitiva regolamentazione restrittiva dell’IA occidentale, presentandola come necessità per la sicurezza nazionale.
E chi ne beneficia? I dinosauri del profitto come Microsoft e Google, che potrebbero eliminare la concorrenza dei tech bros – da Musk in giù – che, pur non facendo beneficenza, hanno dimostrato attenzioni a determinate esigenze sociali e culturali.
Elon Musk, co-fondatore di OpenAI, ha espresso preoccupazioni riguardo all’evoluzione dell’IA e al ruolo predominante di aziende come Microsoft e Google. Ha criticato l’orientamento al profitto di queste aziende e ha sottolineato la necessità di una regolamentazione più umana dell’IA, avvertendo che, senza un controllo adeguato, l’intelligenza artificiale potrebbe rappresentare una minaccia maggiore delle armi nucleari. (marcocasario.com)
Considerando l’infrastruttura hardware, le risorse umane e il supporto operativo necessari per sviluppare e lanciare un modello di intelligenza artificiale su scala globale, le possibilità sono due: o DeepSeek sta mentendo sugli asset e i finanziamenti, o c’è qualcosa di molto più grande dietro questa operazione.
In entrambi i casi, la tragicommedia in atto rivela una realtà ben più complessa di quella raccontata. E come sempre, quando ci sono troppe contraddizioni, il consiglio è uno solo: segui i soldi !
Fonti e Approfondimenti
Ahrefs – SEO Data: Cosa Sono e Come Usarli
WebFX – Analisi SEO e Personalizzazione
Tao Digital Marketing – Il Ruolo dei Broker SEO
Wired – Virtualizzazione e Personalizzazione dei Dati Online.
marcocasario.com dichiarazioni Musk

Ecco cosa succederà dopo che Putin e Trump hanno appena concordato di avviare i colloqui di pace, di Andrew Korybko

Ecco cosa succederà dopo che Putin e Trump hanno appena concordato di avviare i colloqui di pace

13 febbraio
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Il cammino che ci attende sarà molto difficile a causa delle delicate questioni che Russia e Stati Uniti dovranno risolvere.

Il 12 febbraio 2025 passerà alla storia come il giorno in cui la guerra per procura NATO-Russia in Ucraina ha ufficialmente iniziato a concludersi. Il Segretario alla Difesa Pete Hegseth ha iniziato tutto dichiarando che : l’Ucraina non entrerà a far parte della NATO; gli USA non credono che l’Ucraina possa ripristinare i suoi confini pre-2014; gli USA non schiereranno truppe nella zona di conflitto; gli USA vogliono che gli europei si assumano alcune responsabilità di mantenimento della pace lì; ma gli USA non estenderanno le garanzie dell’articolo 5 alle forze dell’UE lì.

A questo punto, Trump e Putin hanno parlato per la prima volta da quando il primo è tornato in carica. Hanno concordato di iniziare i colloqui di pace senza indugio, a cui è seguita la chiamata di Trump a Zelensky per informarlo di ciò e probabilmente costringerlo a fare le concessioni che presumibilmente aveva promesso a Putin. Trump ha anche suggerito che incontrerà presto Putin in Arabia Saudita e che ognuno di loro potrebbe poi visitare i rispettivi paesi come parte del processo di pace. Ecco alcuni briefing di base sul contesto più ampio:

* 3 gennaio: “ La diplomazia energetica creativa può gettare le basi per un grande accordo russo-americano ”

* 17 gennaio: “ I meriti di una regione smilitarizzata del ‘Trans-Dnieper’ controllata da peacekeeper non occidentali ”

* 3 febbraio: “ Le concessioni territoriali potrebbero precedere un cessate il fuoco che porta a nuove elezioni ucraine ”

* 4 febbraio: “ L’interesse di Trump per i minerali di terre rare dell’Ucraina potrebbe ritorcersi contro Zelensky ”

* 7 febbraio: “ L’inviato speciale di Trump fa più luce sul piano di pace ucraino del suo capo ”

La prima analisi sulla diplomazia energetica creativa contiene una dozzina di compromessi proposti per ciascuna parte che potrebbero aiutare a far procedere i colloqui. Infatti, quello sugli Stati Uniti che non estendono le garanzie dell’articolo 5 alle forze dell’UE in Ucraina è ora politica per Hegseth, quindi è possibile che altri possano seguire. Inoltre, Trump ha appena osservato quanto sia diventato impopolare Zelensky , il che suggerisce che sta pianificando la “transizione graduale della leadership” tramite nuove elezioni, proposta anche in quell’articolo.

Resta da vedere quali di queste altre proposte potrebbero presto diventare la politica degli Stati Uniti, con lo stesso detto per quelle che la Russia potrebbe implementare, come accettare restrizioni militari limitate dalla sua parte della DMZ che probabilmente saranno create entro la fine di questo processo, ad esempio. Di seguito sono riportate le cinque questioni principali che daranno forma ai colloqui di pace tra Russia e Stati Uniti sull’Ucraina tra i loro leader, diplomatici e qualsiasi dei loro esperti potrebbe essere invitato a partecipare tramite colloqui complementari Track II:

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* Parametri territoriali

La questione più immediata che deve essere risolta è dove cadrà il nuovo confine russo-ucraino. L’affermazione di Hegseth sull’incapacità dell’Ucraina di ripristinare il suo confine pre-2014 suggerisce che Trump potrebbe costringere Zelensky a ritirarsi almeno da tutto il Donbass, che è al centro della dimensione territoriale del loro conflitto, anche se è possibile che le sue forze possano ritirarsi fino alla città di Zaporozhye. Lasciare che la Russia controlli quella città e le parti delle sue nuove regioni a ovest del Dnepr è improbabile in questo momento.

Questo perché Trump potrebbe non voler ricevere le critiche che seguirebbero all’assegnazione alla Russia di una città di oltre 700.000 abitanti i cui residenti non hanno votato nel referendum di settembre 2022. Lo stesso vale per le parti delle nuove regioni russe a ovest del fiume. Invece, potrebbe proporre un referendum supervisionato dall’ONU qualche tempo dopo la fine dei combattimenti per risolvere questo aspetto della loro disputa territoriale, il tutto consentendo alla Russia di continuare a rivendicare ufficialmente quelle aree. Ciò potrebbe essere abbastanza pragmatico da far accettare a Putin.

* Termini DMZ e ruoli di peacekeeper

La questione successiva da affrontare dopo quanto sopra sono i termini della DMZ lungo il loro confine provvisorio e il ruolo dei peacekeeper che probabilmente si schiereranno lì per monitorarlo. La dichiarazione di Hegseth secondo cui gli USA non estenderanno le garanzie dell’articolo 5 alle forze dell’UE lì potrebbe dissuaderle dal svolgere un ruolo importante , che la Russia dovrebbe autorizzare tramite una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in ogni caso, secondo il rappresentante permanente Vasily Nebenzia, altrimenti saranno obiettivi legittimi . Quelli non occidentali sono quindi molto più accettabili.

A quanto pare, la stragrande maggioranza dei peacekeeper dell’ONU proviene da paesi non occidentali, quindi potrebbero schierarsi lì in prospettiva sotto un mandato dell’UNSC, su suggerimento di Nebenzia, e forse anche portare all’esclusione totale di qualsiasi peacekeeper occidentale se si concorda che nessuno contribuirà a questa missione. I loro termini dovrebbero essere accettabili sia per la Russia che per gli Stati Uniti affinché questa risoluzione venga approvata, quindi non è chiaro esattamente cosa saranno in grado di fare o non fare, ma questo ci porta direttamente alla questione successiva.

* Demilitarizzazione e denazificazione

Due degli obiettivi principali della Russia nello speciale operazione sono di smilitarizzare e denazificare l’Ucraina, cosa che inizialmente ha cercato di fare costringendo militarmente l’Ucraina a farlo secondo i termini stabiliti nella bozza del trattato di pace della primavera del 2022 , anche se ciò non ha avuto successo a causa del Regno Unito e della Polonia . È irrealistico immaginare che Trump accetterà di lasciare che la Russia dispieghi le sue forze armate in tutta l’Ucraina per attuare ciò, quindi può essere realizzato solo attraverso mezzi diplomatici simili che coinvolgano l’acquiescenza di Kiev.

In ciò risiede il possibile ruolo che i peacekeeper dell’ONU possono svolgere nel monitorare e far rispettare qualsiasi cosa venga infine concordata per smilitarizzare e denazificare l’Ucraina. Ciò potrebbe assumere la forma di ispezionare i presunti siti di armi illegali e tutto il traffico transfrontaliero dell’Ucraina (inclusi i suoi porti) pur avendo il diritto di imporre modifiche ai suoi resoconti sui media e ai programmi scolastici, se necessario. Questo è l’unico modo per garantire che l’Ucraina rimanga smilitarizzata e denazificata dopo la fine del conflitto.

* Sgravio delle sanzioni

La Russia ha ripetutamente chiesto la revoca di tutte le sanzioni occidentali, ma si può sostenere che il “maestro degli accordi” Trump non accetterebbe mai di farlo tutto in una volta, preferendo invece elaborare un piano per la revoca graduale delle sanzioni come ricompensa per il rispetto da parte della Russia di un cessate il fuoco, armistizio o trattato di pace. Ciò potrebbe assumere la forma di quanto proposto nell’analisi della diplomazia energetica creativa, in base alla quale alcune esportazioni russe verso l’UE potrebbero riprendere durante la prima fase come misura di rafforzamento della fiducia.

Mentre la Russia preferirebbe che fossero tutti immediatamente revocati, i suoi decisori politici potrebbero concludere che è meglio accettare un piano graduale se è tutto ciò che Trump si sente a suo agio a offrire invece di niente. Farebbe bene però a impegnarsi nel gesto di buona volontà di revocare le sanzioni sulle esportazioni di petrolio della Russia via mare, poiché ciò potrebbe convincere quei decisori politici che è serio nel voler alleviare la pressione sulla Russia. Ciò a sua volta renderebbe più facile per Putin vendere il compromesso di una revoca graduale delle sanzioni in patria.

* Nuova architettura di sicurezza

La Russia ha previsto di creare una nuova architettura di sicurezza europea attraverso accordi reciproci con gli Stati Uniti e la NATO nel dicembre 2021, in base alle richieste di garanzia di sicurezza che aveva condiviso con loro all’epoca. A posteriori, queste erano destinate a risolvere diplomaticamente il loro dilemma di sicurezza, le cui radici sono nella continua espansione verso est della NATO dopo la Vecchia Guerra Fredda e in particolare nella sua espansione clandestina in Ucraina, al posto dell’operazione speciale che Putin stava segretamente pianificando all’epoca se questa fosse fallita.

Da allora sono cambiate così tante cose che devono iniziare dei colloqui completi separati su questo argomento subito dopo qualsiasi accordo raggiungano sull’Ucraina. Le nuove questioni includono l’accumulo militare orientale della NATO, le nuove adesioni di Finlandia e Svezia, gli Oreshnik ipersonici della Russia , il loro dispiegamento in Bielorussia , lo spiegamento di armi nucleari della Russia anche lì , il futuro del New START che scade l’anno prossimo e la nuova corsa agli armamenti spaziali , et al. Concordare una nuova architettura di sicurezza stabilizzerà quindi il mondo.

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Come si può vedere, il percorso da percorrere sarà molto difficile a causa delle questioni delicate che Russia e Stati Uniti devono risolvere, ma i loro leader hanno dimostrato di avere la volontà di negoziare in buona fede. È improbabile che nessuna delle due parti raggiunga i propri obiettivi massimi, ma la diplomazia è l’arte del possibile, quindi ciascuna farà del suo meglio per ottenere il massimo in questo senso, date le circostanze. Lo scenario migliore è una pace giusta e duratura che risolva veramente le cause profonde al centro di questo conflitto.

Un grave incidente in mare potrebbe scatenare all’istante una nuova crisi della Guerra Fredda che porterebbe il fronte baltico di questa competizione al centro dell’attenzione globale.

Politico ha riferito la scorsa settimana che alcuni Paesi dell’UE potrebbero sequestrare la “flotta ombra” russa nel Mar Baltico con il pretesto di rispettare le leggi internazionali sulla pirateria e sull’ambiente. Potrebbero anche approvare nuove leggi nazionali per legittimare anche questo. Il sequestro di una di queste navi da parte della Finlandia lo scorso dicembre, con il pretesto che era coinvolta nel taglio di un cavo sottomarino, li avrebbe ispirati a considerare di farlo regolarmente. Lo scopo sarebbe quello di ridurre il flusso di entrate estere del Cremlino derivanti dalla vendita di petrolio scontato all’Asia.

Circa il 40% della sua “flotta ombra” transita nel Mar Baltico, per un totale di poco meno di 350 navi la cui attività complessiva equivale a circa un terzo del bilancio annuale della difesa russa, per cui impedirne l’attività potrebbe assestare un duro colpo finanziario al Cremlino. Tuttavia, ci sono diverse sfide insite in questi piani che li rendono molto più difficili da realizzare di quanto i politici possano pensare, e che sono state toccate nel rapporto di Politico a loro merito.

Innanzitutto, il diritto internazionale e la proprietà di alcune navi della “flotta ombra” da parte di Paesi terzi fanno sì che il sequestro anche di una sola nave possa comportare ingenti costi politici e legali, cosa che la Finlandia sta scoprendo solo ora dopo il drammatico incidente di dicembre. Queste conseguenze potrebbero indurre i finlandesi a riconsiderare l’opportunità di sequestrare altre navi, soprattutto se non possono contare sull’appoggio dell’UE nel suo complesso, per non parlare del leader americano della NATO.

Quest’ultima preoccupazione si collega al secondo punto sul rischio di escalation nel caso in cui la Russia invii convogli navali per scortare la sua “flotta ombra” attraverso il Baltico. Il vicepresidente della commissione parlamentare russa per la difesa ha avvertito che “qualsiasi attacco alle nostre portaerei può essere considerato come un attacco al nostro territorio, anche se la nave batte bandiera straniera”. Trump non è favorevole a un’escalation contro la Russia, almeno in questo momento, quindi potrebbe non estendere le garanzie dell’articolo 5 agli alleati che sequestrano tali navi.

Infine, tutto questo potrebbe essere troppo poco e troppo tardi. La Russia e gli Stati Uniti hanno già avviato colloqui di facciata sull’Ucraina, per cui la loro guerra per procura potrebbe terminare nel momento in cui l’UE, stereotipata e pigra, deciderà finalmente se sostenere o meno il sequestro della “flotta ombra” russa nel Baltico. Inoltre, questo non è stato finora preso seriamente in considerazione a causa delle due ragioni sopra citate, che rimangono attuali. È quindi improbabile che il blocco cambi improvvisamente i suoi calcoli.

I punti precedenti sollevano la questione del motivo per cui questo viene preso in considerazione, che potrebbe essere semplice come alcuni Paesi dell’UE, come gli Stati baltici ultra-falchi, che vogliono far sembrare che non hanno ancora esaurito le loro opzioni politiche contro la Russia. La consapevolezza che non c’è più nulla che possano realisticamente fare per contenerla potrebbe portare a una profonda demoralizzazione, dato che tutto ciò che hanno già fatto non ha fermato l’avanzata della Russia sul campo né ha fatto crollare la sua economia come si aspettavano.

Le altre due ragioni potrebbero essere ancora più semplici, nel senso che potrebbero anche essersi convinti che il solo parlarne potrebbe dissuadere la “flotta ombra” russa dall’operare nel Baltico e/o incoraggiare Trump a un’escalation in Ucraina. Nessuno dei due risultati è probabile che si concretizzi, ma ciò non significa che non credano ancora sinceramente che siano possibili. Queste fantasie politiche potrebbero però diventare rapidamente pericolose se uno degli Stati associati cercasse di realizzarle unilateralmente.

Un grave incidente in mare potrebbe immediatamente innescare una nuova guerra fredda che porterebbe il fronte baltico di questa competizione al centro dell’attenzione globale. Se ciò avviene mentre Trump sta ancora negoziando con Putin, allora è estremamente improbabile che egli copra le spalle all’aggressore contro la Russia, poiché sarebbe ovvio che si tratta di una provocazione dello “Stato profondo” volta a sabotare un accordo di pace, ma il suo approccio potrebbe cambiare se i colloqui dovessero fallire e se egli decidesse di “escalation per de-escalation” a condizioni migliori per gli Stati Uniti.

Questo potrebbe però ritorcersi contro se Putin autorizzasse la marina a difendere la sua “flotta ombra” come escalation reciproca seguendo il precedente che ha stabilito lo scorso novembre. Allora autorizzò il primo uso in assoluto degli Oreshnik ipersonici in risposta all’uso da parte dell’Ucraina di missili occidentali a lungo raggio contro obiettivi all’interno dei confini russi prima del 2014, segnalando che i giorni in cui si sarebbe tirato indietro erano finiti. Era solito esercitare l’autocontrollo per evitare la Terza Guerra Mondiale, ma questo non ha fatto altro che invitare inavvertitamente a un’ulteriore aggressione.

Ci si aspetta quindi che Putin risponda con forza allo scenario di un sequestro da parte dei Paesi europei della sua “flotta ombra” nel Baltico, che potrebbe portare a una crisi di brinksmanship simile a quella cubana che potrebbe facilmente sfuggire al controllo. Trump non sembra disposto a rischiare la Terza Guerra Mondiale per ridurre il flusso di entrate estere del Cremlino, quindi probabilmente si rifiuterebbe di approvare una simile provocazione o abbandonerebbe qualsiasi alleato che la attuasse unilateralmente in barba ai suoi avvertimenti di non farlo.

Alla luce di tutte le intuizioni condivise in questa analisi, la “flotta ombra” russa non dovrebbe avere nulla di cui preoccuparsi, poiché le probabilità che i Paesi europei sequestrino sistematicamente le sue navi sono basse, anche se alcuni di essi potrebbero comunque tentare di catturare qualche nave con pretesti fasulli, come quelli dello scorso dicembre. Finché si tratterà di eventi straordinariamente rari, la Russia potrebbe non inasprire la situazione come non l’ha fatto meno di due mesi fa, ma un eventuale inasprimento di questa politica comporterebbe quasi certamente una risposta forte.

La Russia ha maggiori possibilità di mediare le tensioni afghano-pakistane rispetto alla Cina

12 febbraio

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I grandi piani geoeconomici della Russia in questa parte dell’Eurasia dipendono dalla risoluzione di queste tensioni, mentre quelli della Cina continueranno a progredire indipendentemente da ciò che accadrà.

L’ambasciatore russo in Pakistan Albert Khorev ha detto alla TASS nel weekend che il suo paese sostiene i rispettivi sforzi antiterrorismo del Pakistan e dell’Afghanistan . Ha poi aggiunto che incoraggia entrambi a risolvere le tensioni di confine attraverso mezzi bilaterali o multilaterali. Ciò suggerisce un desiderio di mediare tra loro. La Cina ha già provato a farlo ma ha lottato per ottenere qualcosa , tuttavia la Russia ha maggiori possibilità di successo per le ragioni che ora saranno spiegate.

Il grande piano geoeconomico della Russia in questa parte dell’Eurasia è quello di aprire la strada a una connettività parallela e a corridoi energetici verso l’India attraverso l’Asia centrale, l’Afghanistan e il Pakistan. A tal fine, la Russia deve coltivare relazioni ugualmente eccellenti con l’Afghanistan e il Pakistan, aiutare a risolvere le loro tensioni di confine e poi fare lo stesso con il Pakistan e l’India . Il primo passo è già stato compiuto con la partnership strategica con i talebani la scorsa estate e poi con la stipula di un patto strategico sulle risorse con il Pakistan a dicembre.

Il secondo passo sarà molto più difficile da realizzare, ma è lì che sta lo scopo dietro le ultime dichiarazioni dell’ambasciatore Khorev in merito al sostegno della Russia agli sforzi antiterrorismo di Pakistan e Afghanistan. Da un lato, ha riconosciuto i problemi del suo paese ospitante con le minacce terroristiche provenienti dall’Afghanistan, ma dall’altro, ha evitato di incolpare i talebani per questo come fa Islamabad e invece si è offerto di fornire loro una vaga “assistenza necessaria”.

L’obiettivo sembra essere quello di dare potere a ciascuno a modo suo, il primo attraverso il sostegno politico per fermare ogni infiltrazione terroristica dall’Afghanistan, e il secondo eventualmente dotandoli di armi leggere e potenzialmente addestrando le loro forze speciali per combattere l’ISIS-K. Non viene detto alcun riferimento alle affermazioni del Pakistan secondo cui i talebani sostengono il TTP (“Talebani pakistani”) e altri gruppi terroristici , tuttavia, sebbene commentare questo in un modo o nell’altro rovinerebbe l’attento atto di bilanciamento della Russia.

Di sicuro, la Cina ha già applicato lo stesso approccio a questo problema, ma non ha la visione geoeconomica che ha la Russia, in cui il miglioramento dei legami afghano-pakistani è parte integrante del successo della sua politica regionale più ampia. Pakistan e Afghanistan non hanno bisogno di commerciare attraverso i rispettivi territori per fare affari con la Cina, poiché il primo impiega il China-Pakistan Economic Corridor, il fiore all’occhiello della Belt & Road Initiative, a tale scopo, mentre il secondo ha accesso ferroviario ad esso tramite l’Asia centrale .

Pertanto, sebbene la Cina voglia effettivamente che i suoi partner confinanti lavorino più a stretto contatto, questo non è necessario per promuovere i suoi interessi geoeconomici. La situazione è del tutto diversa con la Russia, il cui grande piano geoeconomico richiede che Afghanistan e Pakistan rattoppino i loro problemi per aprire la strada a una connettività parallela e a corridoi energetici che un giorno potrebbero idealmente raggiungere l’India. Questi due quindi capiscono naturalmente che la Russia ha interessi molto più grandi nella mediazione rispetto alla Cina.

Né l’Afghanistan né il Pakistan riceverebbero ulteriori benefici economici dalla Cina una volta risolte le loro tensioni, ma il Pakistan potrebbe finalmente ricevere una connettività via terra più diretta con la Russia e forse anche energia da essa con il tempo, se ciò accadesse, entrambi tramite l’Afghanistan. Allo stesso modo, l’Afghanistan potrebbe trarre profitto dal suo ruolo di intermediario in questi corridoi, soprattutto se mai si estendessero all’India. Nessun beneficio del genere potrebbe essere raccolto dalla Cina se Pechino dovesse mediare con successo tra loro.

Di conseguenza, spetta alla Russia utilizzare mezzi creativi per far procedere questo processo diplomatico al meglio delle sue capacità, il che potrebbe includere la condivisione di piani dettagliati della sua connettività proposta e degli investimenti energetici sia in Afghanistan che in Pakistan, qualora dovessero accettare di risolvere le loro controversie. Questi potrebbero includere progetti specifici, l’importo stimato che verrà investito, le condizioni di prestito se necessario, la possibilità di una comproprietà di qualche tipo e la manodopera locale che potrebbe essere impiegata.

Potrebbe non essere ancora sufficiente per una svolta, ma sarebbe comunque più di quanto la Cina si è offerta di fare se facessero la pace, il che non è niente. Inoltre, una proposta così dettagliata potrebbe essere ripresa in seguito se la situazione politica e/o militare cambiasse e decidessero di sistemare i loro problemi, nel qual caso avrebbero un interesse reciproco nel far rivivere i piani della Russia. È troppo presto per prevedere cosa accadrà in entrambi i casi, solo che ci si aspetta che la Russia spinga per la pace e i suoi sforzi saranno più significativi di quelli della Cina.

Il fatto che una linea d’azione sia considerata la più razionale non significa che verrà perseguita.

Il ministro della Difesa siriano Murhaf Abu Qasra ha detto al Washington Post la scorsa settimana che il governo ad interim potrebbe consentire alla Russia di mantenere la sua base aerea e navale nel paese, a patto che ciò sia in linea con la loro concezione di interessi nazionali. Farebbero bene a mantenere la partnership strategica del loro paese con la Russia, in particolare nella dimensione militare, poiché ciò comporta per loro diversi vantaggi che difficilmente riceverebbero da qualsiasi altro partner.

Per cominciare, Putin ha suggerito in precedenza che queste strutture possono essere utilizzate per fornire aiuti umanitari alla popolazione siriana in gran parte impoverita. La Russia è una superpotenza agricola ed energetica, quindi si potrebbe ipoteticamente concordare un accordo in base al quale spedisce una quantità predeterminata di ciascuno in Siria in cambio della continuazione dell’utilizzo di quelle basi almeno per scopi logistici connessi alle sue missioni di sicurezza in Africa . Ciò andrebbe direttamente a beneficio del popolo siriano senza alcun costo per sé.

Inoltre, la Russia fornisce già specialisti per la gestione di alcune centrali elettriche siriane e offre generose borse di studio ai suoi studenti, che potrebbero scomparire se le sue forze fossero cacciate dal paese. Quanto sopra può essere descritto anche come una forma di aiuto umanitario e potrebbe essere continuato come parte dell’accordo sopra menzionato. È difficile sostituire gli specialisti e il canale educativo tra i loro paesi può essere utilizzato per ricostruire l’economia, quindi la Siria non dovrebbe rischiare di perdere questi benefici.

In secondo luogo, la Russia può ricostruire le forze armate siriane entro certi limiti dopo che la campagna “shock and awe” di Israele ha distrutto la maggior parte del loro equipaggiamento pesante. Russia e Israele rimangono in buoni rapporti nonostante i loro disaccordi su Ucraina e Palestina, quindi Israele potrebbe consentire alla Russia di farlo per motivi di sicurezza interna, a patto che la Siria non abbia il potere di diventare una minaccia credibile. Se la Turchia provasse a farlo, allora Israele potrebbe bombardare qualsiasi nuovo equipaggiamento la Siria ricevesse a causa del loro dilemma di sicurezza.

Non sono alleati, anche se entrambi si sono opposti ad Assad e hanno schierato truppe in Siria. I legami rimangono tesi nonostante la loro alleanza condivisa con gli Stati Uniti e la Turchia che ha facilitato le esportazioni di petrolio azero verso Israele durante l’ultima guerra che Ankara ha condannato Gerusalemme Ovest per aver intrapreso. Il loro dilemma di sicurezza in Siria assomiglia a quello nazista-sovietico in Polonia che ha portato al patto Molotov-Ribbentrop . Nessuno dei due si fida dell’altro in Siria, ma entrambi si fidano della Russia, quindi potrebbero accettare di lasciarla ricostruire parte delle forze armate siriane.

E infine, la Siria post-Assad potrebbe contare sulla Russia per bilanciare l’influenza della Turchia e impedire al paese di diventare il suo stato fantoccio o di tornare a essere un campo di battaglia tra potenze rivali, che potrebbero assumere la forma di Israele e/o degli arabi contro la Turchia. Questo è simile nello spirito a ciò che l’Azerbaijan fa nei confronti di Russia e Turchia, in quanto fa affidamento sulla prima per scongiurare preventivamente la possibilità che la seconda, che è il suo alleato del trattato, domini mai i suoi affari interni o esteri.

La nuova cricca al governo in Siria ha ricevuto un ampio sostegno da Turkiye prima di prendere il potere, ma da allora si è trasformata in nazionalisti siriani di ispirazione islamista, che è un mix delle loro convinzioni ideologiche e di Turkiye unite a quelle della popolazione in nome della quale ora governa. Diventare uno stato fantoccio turco potrebbe portare a gravi disordini che potrebbero avere difficoltà a sedare dati i limiti che Israele porrà al loro riarmo, quindi evitarlo bilanciando Turkiye tramite la Russia è nel loro interesse.

Solo perché un corso d’azione è considerato il più razionale non significa che verrà perseguito, tuttavia, quindi non c’è garanzia che la Siria post-Assad manterrà la partnership strategica del suo paese con la Russia. Il governo ad interim potrebbe alla fine capitolare all’Occidente , che ha subordinato l’alleggerimento delle sanzioni all’espulsione, quindi tutto quanto scritto sopra potrebbe essere nullo nel vuoto. Tuttavia, i segnali che arrivano da Damasco sono promettenti, quindi è troppo presto per dire cosa accadrà.

Ciò suggerisce che non ha più la stessa fiducia nel sostegno dei suoi presunti alleati egiziani ed eritrei come in precedenza fingeva di avere.

Il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud (HSM) ha rilasciato un’intervista al Washington Post a margine del vertice di Davos di gennaio , pubblicata l’ultimo giorno del mese. Intitolata ” Presidente della Somalia: Trump deve aiutare a sconfiggere il terrorismo globale “, prevedibilmente lo ha visto supplicare il leader americano di ritorno di mantenere i consiglieri e gli aiuti statunitensi per scopi antiterrorismo. Secondo HSM, Al Shabaab (AS) rappresenta una minaccia globale che rischia di tornare a meno che Trump non lo aiuti a sconfiggerli in modo decisivo.

Ha ragione di essere preoccupato per i piani di Trump, dato che ha ritirato le truppe statunitensi dalla Somalia durante il suo primo mandato prima che Biden le rimandasse indietro, come ha ricordato l’interlocutore di HSM al suo pubblico. Lo hanno anche spinto a dire a tutti che “Al-Shabaab e gli Houthi hanno un ottimo rapporto. Si stanno scambiando armi e addestramento”. Ciò è stato causato dal suo interlocutore che ha paragonato la minaccia che AS potrebbe un giorno rappresentare per le rotte di navigazione globali a quella che gli Houthi rappresentano attualmente per loro.

Trump sembra concordare in linea di principio sul fatto che le minacce terroristiche provenienti dalla Somalia siano ancora un problema, come dimostrato dal fatto che ha autorizzato attacchi aerei lo scorso fine settimana contro quello che ha descritto sui social media come un “pianificatore di attacchi ISIS di alto livello e altri terroristi” nella ribelle regione del Puntland del paese . Non è chiaro però se questo si tradurrà nel mantenere consiglieri in Somalia per addestrare le forze nazionali a combattere contro AS, e si può solo ipotizzare se creda che abbiano legami con gli alleati Houthi dell’Iran.

Nel perseguire il suo obiettivo, tuttavia, HSM ha rivelato che “stiamo chiedendo agli Stati Uniti di aumentare il numero in modo da poter eliminare al-Shabaab mentre il presidente Trump è in carica”. L’intervista lo ha anche visto chiarire che gran parte del miliardo di dollari in aiuti ricevuti dagli Stati Uniti nel 2023 era umanitario, il che è stato probabilmente sollecitato dalla sospensione di 90 giorni degli aiuti esteri da parte di Trump (ad eccezione dei programmi umanitari di emergenza ) che potrebbero colpire duramente la Somalia, anche se è ancora troppo presto per dirlo.

HSM ha anche esortato Trump a non riconoscere il Somaliland, che ha dichiarato nuovamente la sua indipendenza nel 1991 e il cui riconoscimento ufficiale è incoraggiato da alcune persone intorno a lui in conformità con pagina 186 di ” Progetto 2025 “, sulla base di ciò potrebbe innescare una reazione a catena separatista in Africa. Ciò potrebbe non essere sufficiente a convincerlo poiché l’argomentazione del Progetto 2025 secondo cui questo potrebbe essere una copertura contro il deterioramento della posizione degli Stati Uniti a Gibuti è più convincente dal punto di vista degli interessi statunitensi.

Tutto sommato, l’intervista di HSM sembra disperata e da una posizione di debolezza, in cui si è trovato a causa delle sue goffe mosse geopolitiche dell’anno scorso. Se fosse stato davvero così sicuro come aveva finto di essere in precedenza nel sostenere i suoi presunti alleati egiziani ed eritrei , allora non avrebbe dovuto umiliarsi supplicando Trump di mantenere i consiglieri e gli aiuti degli Stati Uniti. Il lato positivo, però, è che sembra essersi reso conto dei suoi errori e ora sta cercando di espiare , ma potrebbe essere troppo tardi.

La lunga serie di errori politici e fallimenti politici dell’ANC sta finalmente prendendo piede proprio nel momento in cui il partito ha finalmente iniziato a dare priorità alla partecipazione del Sudafrica ai processi globali, creando così il pretesto per gli Stati Uniti di intromettersi negli affari di questo membro dei BRICS.

Trump ha firmato un ordine esecutivo la scorsa settimana ” Affrontare le azioni eclatanti della Repubblica del Sud Africa ” che imponeva di tagliare gli aiuti al paese come punizione per il suo nuovo controverso Expropriation Act e promuovere il reinsediamento della minoranza bianca (afrikaner) negli Stati Uniti. I sostenitori lo hanno applaudito per aver prestato attenzione a quella che considerano la questione a lungo ignorata delle politiche discriminatorie razziali tra neri e bianchi, mentre gli oppositori credono che sia una mossa razzista promulgata con falsi pretesti.

Prima di procedere, i lettori potrebbero voler rivedere alcuni dei resoconti di RT sulla questione degli agricoltori afrikaner (boeri), sull’African National Congress (ANC) al potere in Sudafrica e sulle sfide economiche del paese:

* 19 marzo 2009: “ La guerra boera e la guerra russo-giapponese ”

* 25 ottobre 2013: “ Piano di evacuazione del Sud Africa: un gruppo di afrikaner bianchi teme un genocidio dopo la morte di Mandela ”

* 1 maggio 2018: “ Perché il governo del Sudafrica progetta di spogliare i contadini bianchi delle loro terre ”

* 15 giugno 2018: “ Gli appelli a ‘uccidere i boeri’ prendono di mira tutti gli agricoltori, non solo i bianchi – funzionario sudafricano ”

* 9 luglio 2018: “ ‘Una questione di vita o di morte’: 15.000 contadini bianchi sudafricani cercano rifugio in Russia, secondo un rapporto ”

* 19 luglio 2018: “ ‘Vogliono che ce ne andiamo tutti’: un contadino sudafricano vuole trasferirsi in Russia, cambiare nome in Ivan ”

20 luglio 2018: “ Le prime 50 famiglie di contadini del Sudafrica potrebbero presto trasferirsi in Russia ”

* 4 agosto 2018: “ I contadini sudafricani cercano rifugio nella Crimea russa ”

* 28 febbraio 2019: “ All’ANC del Sudafrica bastano solo 5 anni per ‘distruggere l’economia e il paese’, avverte l’economista ”

* 17 aprile 2019: “ Il declino economico e sociale del Sudafrica è il peggiore tra le nazioni non in guerra ”

* 18 aprile 2019: “’ Non votare mai per una persona bianca’: l’appello razziale del leader sudafricano dell’ANC discusso su RT ”

* 11 maggio 2019: “ Mentre rielegge l’ANC senza speranza, dobbiamo finalmente ammettere che il Sudafrica post-apartheid ha fallito? ”

* 4 aprile 2020: “’ Capitale monopolistico bianco’: i radicali sudafricani anti-bianchi disprezzano le donazioni massicce che potrebbero aiutare le imprese nere ”

* 16 ottobre 2020: ” Il brutale omicidio di un contadino bianco spinge i manifestanti e i contro-manifestanti a radunarsi fuori dal tribunale in Sudafrica ”

Per semplificare, il brutale assassinio di alcuni boeri nelle loro fattorie ha portato alcuni afrikaner a sospettare che l’ANC chiuda un occhio su questo e lo incoraggi persino, mentre l’ANC ritiene che il controllo sproporzionato degli afrikaner sulla ricchezza nazionale sia un’ingiustizia che deve essere rettificata tramite la ridistribuzione. La recente approvazione dell’Expropriation Act è avvenuta nel bel mezzo delle continue sfide economiche del paese, ergo perché alcuni afrikaner lo considerano una distrazione mentre l’ANC insiste che è una soluzione attesa da tempo.

Indipendentemente dalle opinioni personali su questo argomento, si può sostenere che questo sia solo un pretesto per Trump per fare pressione sul Sudafrica per ragioni che vanno oltre quelle dichiarate nel suo ordine esecutivo. Mentre alcuni ipotizzano che le sue motivazioni siano rozze come un favore a Elon Musk, nato in Sudafrica, nel mezzo della sua faida pubblica con il presidente Cyril Ramaphosa su questo tema e/o vendetta per la sentenza della Corte internazionale di giustizia del Sudafrica contro Israele , e queste potrebbero aver effettivamente giocato un ruolo, il suo team potrebbe avere in mente interessi strategici più ampi.

Il Sudafrica guidato dall’ANC si è presentato come un polo multipolare emergente in Africa nel mezzo della transizione sistemica globale , a tal fine ha cercato di aumentare il suo ruolo nei BRICS insieme alla partecipazione a esercitazioni navali multilaterali con Cina e Russia, rafforzando così la suddetta reputazione internazionale. Gli Stati Uniti disapprovavano che il Sudafrica ostentasse la sua sovranità in modo così simbolico, soprattutto data la guerra per procura NATO-Russia in corso in Ucraina , motivo per cui l’amministrazione Biden ha iniziato a fare pressioni su di esso.

Ecco alcuni briefing di base sulla loro campagna contro questa pratica condotta negli ultimi anni:

* 3 settembre 2022: “ Il Sudafrica merita elogi per la sua politica estera neutrale nella nuova guerra fredda ”

* 11 dicembre 2022: “ I doppi standard della Germania sul carbone sudafricano espongono il suo ‘imperialismo verde’ ”

* 18 febbraio 2023: “ Le esercitazioni navali del Sudafrica con Cina e Russia danno un esempio positivo ”

* 26 aprile 2023: “ La neutralità del Sudafrica nella nuova guerra fredda è minacciata dalla pressione occidentale ”

* 12 maggio 2023: “ Gli Stati Uniti stanno costringendo il Sudafrica a schierarsi nella nuova guerra fredda ”

* 17 maggio 2023: “ Il Sudafrica si presenta come leader del continente ”

* 14 luglio 2023: “ Il vicepresidente del Sudafrica ha spifferato tutto sul dilemma BRICS-ICC del suo Paese ”

* 19 luglio 2023: “ Il Sudafrica ha dimostrato che i BRICS non sono ciò che molti dei suoi sostenitori presumevano ”

* 20 luglio 2023: “ Il Sudafrica ha rovinato l’ottica del suo compromesso BRICS con la Russia ”

* 3 settembre 2024: “ L’abbraccio della Mongolia a Putin nonostante il suo mandato della CPI espone la codardia politica del Sudafrica ”

È su questa base che Trump sta ora conducendo la sua campagna di pressione contro il Sudafrica.

Il suo predecessore è riuscito a costringere il Sudafrica a rispettare il mandato di arresto della CPI per Putin e quindi a costringerlo a partecipare al vertice dei BRICS di quell’anno tramite video. Per quanto simbolica fosse una concessione agli Stati Uniti, non ha cambiato nulla di tangibile per quanto riguarda la politica estera del Sudafrica, che è ciò che Trump sta cercando di fare. Il suo team potrebbe aver identificato il Sudafrica come uno degli anelli deboli dei BRICS e di conseguenza concluso che una campagna di pressione potrebbe romperlo.

È discutibile se Trump creda davvero che i BRICS stiano cospirando per creare una nuova valuta o sostenendo lo yuan come rivale del dollaro, o se questo sia solo un pretesto per fare pressione individualmente sui suoi membri, ma la sua recente minaccia ripetuta di imporre tariffe del 100% contro di loro ha preceduto il suo ordine esecutivo. Pertanto, esiste la possibilità che tagliare gli aiuti al Sudafrica in risposta al suo Expropriation Act sia solo una scusa per costringerlo a cambiamenti tangibili di politica estera, più immediatamente per quanto riguarda i BRICS.

In pratica, questo potrebbe ipoteticamente assumere la forma di un Sudafrica che ostacola i progressi sulle iniziative BRICS Bridge, BRICS Clear e BRICS Pay che sono state discusse durante il Summit di Kazan dell’ottobre scorso. Potrebbe anche portare il Sudafrica a prendere le distanze militarmente dalla Russia e soprattutto dalla Cina, insieme all’esportazione di più minerali preziosi negli Stati Uniti a lungo termine in cambio di un allentamento della pressione. Per essere chiari, solo perché Trump potrebbe volerlo non significa che accadrà, ma dovrebbe comunque essere preso sul serio.

La rilevanza che tutto questo ha per l’Expropriation Act è che quanto sopra rappresenta sia una distrazione populista dalle continue sfide economiche del Sudafrica, sia una potenziale soluzione dal punto di vista dell’ANC, nonostante alcuni avvertimenti sul rischio che ciò porti a un disastro simile a quello dello Zimbabwe . Nello scenario improbabile in cui gli stessi legislatori che hanno votato per questa legge siano costretti dagli Stati Uniti a votare per annullarla, ciò darebbe un colpo mortale all’ANC, che potrebbe quindi essere sostituito dall’EFF.

Gli Economic Freedom Fighters sono guidati dal radicale populista di sinistra Julius Malema, che è tristemente famoso per aver guidato i cori di “Kill the Boer”, che lui e i suoi sostenitori sostengono essere solo metaforici e non letterali. Si definisce un rivoluzionario che si è espresso apertamente contro gli Stati Uniti e a favore della multipolarità. Altri sudafricani potrebbero accorrere da Malema e dal suo EFF per ragioni patriottiche-nazionaliste se Ramaphosa e il suo ANC alla fine capitolassero a quello che ha appena descritto come il ” bullismo ” di Trump.

Per evitare preventivamente qualsiasi malinteso, parlare di questo scenario non significa che sia probabile, ma solo che è possibile e dovrebbe quindi essere preso in considerazione per ogni evenienza. Ramaphosa sa che lui e il suo partito sarebbero condannati se cedessero a Trump, quindi non ci si aspetta che si muovano, almeno per ora, a meno che gli Stati Uniti non intensifichino drasticamente la loro campagna di pressione. Anche allora, tuttavia, potrebbero provare a cooptare la retorica nazionalista e populista di sinistra di Malema per radunare la popolazione in generale dietro di loro.

Gli osservatori dovrebbero anche essere consapevoli che il nuovo Segretario di Stato Marco Rubio ha dichiarato alla fine della scorsa settimana che non parteciperà al Summit del G20 di Johannesburg di novembre per protestare contro l’Expropriation Act e quelle che ha definito altre politiche “anti-americane” del Sudafrica. Sapendo che questa legge probabilmente non verrà revocata, potrebbe benissimo essere che il team di Trump abbia pianificato di sfruttare questo pretesto allo scopo di indebolire la piattaforma multilaterale economico-finanziaria più influente al mondo boicottandone l’evento annuale.

Ha già preso una palla da demolizione per la globalizzazione economica nelle ultime settimane minacciando tariffe contro Colombia , Panama , Canada e Messico prima che cedessero alle sue pressioni, il tutto imponendo tariffe del 10% alla Cina e minacciando di fare qualcosa di simile anche contro l’UE. Se questa tendenza continua, allora il G20 potrebbe non esercitare più neanche lontanamente l’influenza che aveva solo un anno fa, condannando così il vertice di novembre al fallimento indipendentemente dal fatto che gli Stati Uniti finiscano per partecipare o meno.

La sfortuna del Sudafrica è che era già nel mirino degli Stati Uniti durante l’amministrazione Biden per la sua politica estera multipolare, che c’è una preoccupazione genuina per il trattamento di alcuni membri della sua minoranza bianca e per i suoi piani di ospitare il prossimo vertice del G20 più avanti quest’anno. Questi fattori hanno convergenza per incentivare Trump a lanciare una campagna di pressione contro di esso al fine di costringere a cambiamenti tangibili alla sua politica estera, in particolare nei confronti dei BRICS, in modo da subordinare completamente il Sudafrica all’Occidente.

La lunga serie di errori politici e fallimenti politici dell’ANC sta finalmente raggiungendo il suo obiettivo proprio nel momento in cui il partito ha finalmente iniziato a dare priorità alla partecipazione del Sudafrica ai processi globali, creando così il pretesto per gli Stati Uniti di intromettersi negli affari di questo membro dei BRICS. L’esito della campagna di pressione di Trump contro di esso indicherà che continuerà a scegliere uno per uno i paesi di questo gruppo o deciderà di riconsiderare questa strategia, rendendola quindi immensamente importante.

L’UE farebbe bene a sospendere a tempo indeterminato l’accesso senza visto degli ucraini all’Unione dopo la fine della legge marziale.

Il presidente polacco uscente Andrzej Duda ha detto al Financial Times che un’ondata di criminalità potrebbe travolgere l’Europa dopo la fine del conflitto ucraino se le truppe affette da PTSD di quel paese si riversassero nel blocco e si dedicassero alla criminalità organizzata come fecero i loro predecessori sovietici della guerra afghana degli anni ’80 dopo il 1991. Il ministero degli Esteri ucraino ha reagito rapidamente negando che potessero rappresentare una minaccia del genere, sottolineando come non lo abbiano fatto tra il 2014 e il 2022 e sostenendo che sono in realtà una risorsa per la sicurezza dell’Europa.

I loro tre punti sono superficiali, tuttavia, poiché le truppe traumatizzate in qualsiasi parte del mondo sono molto più inclini a comportamenti devianti, l’ultima fase del conflitto è stata oggettivamente molto più traumatizzante di quella precedente, e questo rende i suoi veterani una responsabilità per la sicurezza dell’Europa, come minimo. Ad aggravare i rischi sopra menzionati c’è il fatto che gli Stati Uniti non sono riusciti a tracciare miliardi di dollari di armi inviate in Ucraina, secondo Reuters, quindi alcune di queste sono probabilmente finite sul mercato nero.

La minaccia su cui Duda ha appena attirato l’attenzione è quindi molto credibile e urgente e dovrebbe essere presa sul serio da tutti gli stakeholder europei. Ciò non significa che debbano pagare parte del conto per la sicurezza e lo sviluppo dell’Ucraina, come ha fortemente lasciato intendere nella sua intervista, ma solo che dovrebbero come minimo sospendere a tempo indeterminato l’ accesso senza visto dei suoi cittadini al blocco, altrimenti i veterani traumatizzati armati di armi statunitensi ottenute illegalmente potrebbero trasformare il suo avvertimento in una profezia.

Le chiuse si apriranno se gli USA riusciranno a mediare un cessate il fuoco come presumibilmente mirano a fare allo scopo di spingere l’Ucraina a revocare la legge matrimoniale e quindi a preparare legalmente il terreno per le prossime elezioni. Gli uomini ucraini in età militare potranno quindi andarsene liberamente nell’UE a meno che il blocco non sospenda a tempo indeterminato il loro accesso senza visto. Gli argomenti a favore di queste restrizioni superano di gran lunga quelli contro di esse dal punto di vista degli interessi nazionali europei e ucraini.

L’Europa ha già ricevuto diversi milioni di lavoratori a basso salario , quindi non ha bisogno di rischiare le conseguenze credibili sulla sicurezza dell’accettare veterani ucraini traumatizzati solo per ottenerne altri, mentre l’Ucraina ha bisogno che il maggior numero possibile di rifugiati torni dopo la fine del conflitto per ricostruire. Inutile dire che l’Ucraina non può permettersi un altro esodo su larga scala e quindi ha interesse a chiedere che l’UE sospenda a tempo indeterminato il suo accesso senza visto al blocco se non lo farà di sua iniziativa.

Mantenere il confine aperto per loro sarebbe una ricetta per un disastro reciproco. C’è anche la possibilità che la Polonia prenda l’iniziativa nel rifiutare unilateralmente di ammettere maschi ucraini in età militare dopo che la legge marziale del loro paese sarà revocata, proprio come ha deciso unilateralmente di sospendere i diritti di asilo per alcuni migranti l’anno scorso. Ciò potrebbe innescare una crisi legale all’interno del blocco, soprattutto se altri come l’Ungheria e la Slovacchia seguissero l’esempio, il che sarebbe lo scenario politico peggiore al momento in cui l’UE avrebbe bisogno di unità sull’Ucraina.

I liberal-globalisti al potere in Polonia, che sono strettamente allineati con la Germania, leader dell’UE, potrebbero non avere la volontà politica di farlo, ma l’Ungheria potrebbe averla e potrebbe giustificarlo sulla base dell’avvertimento di Duda. Anche se nessuno Stato membro facesse una mossa così drammatica, alcuni dei loro cittadini potrebbero agitarsi con rabbia per questo se i loro compatrioti cadessero vittime di bande criminali veterane ucraine affette da PTSD. La questione merita di essere monitorata attentamente poiché è un rischio per la sicurezza credibile che potrebbe avere conseguenze sproporzionate per il blocco.

Niente di ciò che dice è casuale o dovuto alla perdita del controllo delle sue emozioni.

Putin ha sorpreso alcuni osservatori esprimendo di recente la sua opposizione a incolpare i tedeschi di oggi per i crimini dei loro antenati. Secondo lui , “La società tedesca di oggi non c’entra nulla. In effetti, la memoria storica esiste, è importante ricordarla, non si può dimenticare, ma non credo che sia giusto dare la colpa di ciò che è accaduto negli anni ’30 e ’40 alla generazione di tedeschi di oggi”. Questa è una posizione pragmatica per le tre ragioni che ora verranno spiegate.

Per cominciare, si stima che 26 milioni di sovietici siano stati uccisi dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, sia direttamente che tramite mezzi indiretti come la fame e le malattie causate dalla loro invasione dell’URSS. Sarebbe quindi comprensibile se Putin, che guida lo stato successore dell’Unione Sovietica, potesse ancora serbare rancore verso quel gruppo etno-nazionale. Tuttavia, non lo fa, e questo dovrebbe essere un esempio positivo per quanto riguarda i rancori che altri gruppi etno-nazionali nutrono nei confronti della Russia.

Passando alla seconda ragione, la maggior parte dei popoli dell’Europa centrale e orientale ha una visione negativa di almeno una parte delle rispettive storie con la Russia, sia durante il periodo imperiale e/o sovietico. Gli Stati baltici e la Polonia sono tristemente noti per questo. Di conseguenza, dimostrando di non serbare rancore verso i tedeschi di oggi per i crimini che i loro antenati nazisti hanno commesso contro il suo popolo, Putin vuole incoraggiare i baltici, i polacchi e altri relativamente moderati a seguire l’esempio nei confronti della Russia.

E infine, Putin probabilmente si aspetta che la CDU tedesca vinca le elezioni anticipate di questo mese, dopo di che potrebbe adottare alcune delle politiche populiste-nazionaliste dell’AfD, anche nei confronti della Russia. Il co-leader dell’AfD vuole ripristinare le importazioni di gas russo attraverso l’unico gasdotto intatto Nord Stream, mentre il Financial Times ha recentemente riferito che altri funzionari tedeschi non nominati stanno considerando la stessa cosa come parte di un accordo di pace con l’Ucraina . Putin quindi comprensibilmente vuole entrare nelle grazie dei tedeschi .

Questa è stata una mossa audace considerando che Elon Musk è stato criticato dall’ADL per aver detto più o meno la stessa cosa durante la sua apparizione video a un evento AfD alla fine del mese scorso. Tuttavia, Putin è un orgoglioso filosemita da sempre, il cui curriculum di lotta all’antisemitismo e di massima garanzia del ricordo dell’Olocausto è stato toccato qui alla fine di dicembre, il che sfata le accuse politicizzate di presunto odio per gli ebrei. Si è quindi sentito abbastanza sicuro di sé da dire quasi esattamente ciò che Musk ha appena detto.

Putin è il pragmatico consumato che sceglie sempre con molta attenzione ogni parola che usa. Niente di ciò che dice è mai casuale o dovuto alla perdita del controllo delle sue emozioni. Non è diverso da ciò che ha appena detto su come i tedeschi di oggi non dovrebbero essere incolpati per i crimini dei loro antenati. Questa posizione pragmatica è pensata per promuovere immediatamente gli interessi di soft power della Russia nell’Europa centrale e orientale, mentre probabilmente promuove quelli economico-politici dopo le prossime elezioni tedesche.

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