La riforma dello Stato, di Giancarlo Elia Valori

In calce un articolo particolarmente interessante di Giancarlo Elia Valori che affronta il tema della riforma dello Stato, di fatto il tema della modalità di selezione di una classe dirigente e di esercizio del potere in un contesto altro rispetto al bipolarismo, fase nella quale di fatto si è formata la classe dirigente emersa, già in stato abortivo al suo sorgere, dalle pesanti scorie di una tangentopoli mai terminata, ormai a trenta anni di distanza dal suo inizio. L’uscita di Valori ha coinciso con la drammatica crisi del coronavirus. La concomitanza non è detto che sia voluta, ma non è certo casuale. La crisi pandemica, sia pure ancora incipiente, già colpisce emotivamente le popolazioni e le stesse classi dirigenti, destruttura ulteriormente, in maniera ormai irreversibile, i residui equilibri geopolitici e il sistema di relazioni economiche fondati su una visione unipolare e multilaterale dei rapporti internazionali. Una visione accantonata formalmente dalla Russia di Putin sin dall’importante discorso alla conferenza di Monaco del 2007, ma che verrà ormai sancita definitivamente ob torto collo anche dalle élites dominanti della Cina e degli Stati Uniti lungo un percorso al cui traguardo non si può prefigurare al momento un vincitore certo. Non si deve mai trascurare in politica l’aspetto emotivo di una crisi, specie se dal carattere così dirompente, legato alle modalità stesse di esistenza delle persone e delle formazioni sociali. Accresce le esigenze di efficacia e centralizzazione del potere. Se le formazioni sociali sono sufficientemente articolate ma provviste di una identità forte la realizzazione di questa esigenza produce formazioni e soggetti coesi in grado di navigare con sufficiente autonomia nelle incertezze del multipolarismo; al contrario si rischia la formazione di élites arroccate nelle proprie cittadelle e sempre più dipendenti dal volere degli agenti esterni. Dall’articolo di Valori appare chiaramente questo sentimento. L’esigenza, però, di una redifinizione dei centri e delle modalità di esercizio non può prescindere ed è connaturata agli obbiettivi strategici e alla collocazione geopolitica delle aspiranti nuove élites di potere. La collocazione politica e specificatamente geopolitica di Valori, strettamente e indefettibilmente atlantista e filoisraeliana, tanto per stigmatizzarne un aspetto che da adito a tali perplessità da far temere la mutazione di una azione di trasformazione delle dinamiche di esercizio magari ben intenzionata in quella di una classica operazione trasformistica. Il richiamo alle grandi virtù della tradizione liberale senza citarne i macroscopici difetti, messe a nudo soprattutto nella fase politica di fine ‘800 e di fine ‘900, propedeutiche alle crisi stagnanti e logoranti successive, destano più di qualche sospetto. Una visione di “bene pubblico” insita nell’azione politica di una possibile nuova classe dirigente troppo neutra, tipicamente propria del punto di vista liberale. Non vi è cenno nell’articolo sulla funzione positiva di un conflitto sociale ben indirizzato e sulla funzione di coesione delle associazioni, in un contesto però agli antipodi di quello parassitario, remissivo e decadente dell’Italia presente; manca una caratterizzazione e distinzione tra le figure politiche trainanti ed espressive di una strategia politica e l’azione dei centri strategici più o meno presenti negli ambiti nevralgici di esercizio del potere, nonché un disvelamento delle dinamiche di conflitto interno ai centri e di relazione con i centri esterni al paese; come pure viene sottovalutata colpevolmente la funzione regressiva e ammorbante di gran parte di quei centri accademici e di elaborazione che dovrebbero formare altrimenti élites alternative. La via di formazione di queste ultime si prospetta purtroppo molto più tortuosa, defatigante, approssimativa e avulsa dai centri istituzionali principalmente preposti. Forse è chiede troppo ad un semplice articolo; l’impressione, però, è che queste omissioni svelino il limite di un tema sollevato meritoriamente. Ciò nonostante l’articolo mette in evidenza aspetti, dinamiche virtuose e punti di crisi decisivi, corroborati coraggiosamente dalla rievocazione di figure politiche, quali Cossiga, da riconsiderare e ricollocare storicamente. Buona lettura_Giuseppe Germinario

tratto da https://formiche.net/2020/03/stato-cossiga-costituzione-italia-governo-presidente-del-consiglio/

La riforma dello Stato si può fare. Le istruzioni di Valori

La riforma dello Stato si può fare. Le istruzioni di Valori

A partire dal 1991 la nostra Costituzione è cambiata. Ora si può ancora riformare lo Stato centrale. Ma bisogna stare attenti a…

Fin dal suo messaggio alle Camere del 26 giugno 1991, Francesco Cossiga ebbe chiarissimo che il sistema degli equilibri costituzionali, nel dopo-Guerra fredda, stava inevitabilmente per saltare.
Nella sua visione, c’era un insieme di processi positivi e di altri potenzialmente pericolosi, che avevano messo entrambi in crisi il grande progetto iniziale della Costituzione repubblicana: l’aumento della partecipazione popolare non direttamente politica, poi la trasformazione dei partiti, da non dimenticare nemmeno la fine dell’equilibrio bipartitico della suddetta guerra fredda, poi ancora la diversa collocazione, dopo la “caduta del Muro”, delle forze politiche, infine una ulteriore differenza del ruolo dell’Italia rispetto a quello del mondo dei due blocchi contrapposti.
La Costituzione nasceva dalla Guerra fredda. Finita quest’ultima, doveva cambiare anche la Carta fondamentale e lo Stato.

Poi, per Cossiga c’era un altro elemento strutturale da notare: tutti i partiti immaginavano, in fase costituente, di poter essere, un giorno, collocati all’opposizione, e non si sa nemmeno quanto democratica, quindi programmarono di concerto un sistema di controlli e contrappesi quasi paralizzante.

Niente esecutivi forti e stabili, quindi, solo continue e successive maggioranze deboli, temporanee, e con un grande partito di opposizione, da dover essere escluso, per ovvi motivi internazionali, dal potere: ma che comunque era presente con un meccanismo ad consociandum nelle amministrazioni locali, negli apparati (tutti) poi nel sistema economico, nel potere territoriale.
Un equilibrio paradossale tra centro e periferia che disegnava anche il flebile potere, garantito dalla Costituzione, di poter rimanere nella Nato e in Occidente.

Salvo, poi, dare al Pci e ai suoi alleati il potere di fatto di destabilizzare lentamente il Governo, ma senza destabilizzare, per quanto possibile, il Paese. Ognuno dei due schieramenti si presentava con la capacità di interdire la realizzazione dell’egemonia, termine gramsciano, all’altro. Questa, la destabilizzazione dico, la fecero altri, amici e nemici.

In quegli anni ero molto vicino a Francesco Cossiga, e di queste cose ne parlammo appassionatamente per mesi, prima del suo straordinario messaggio alle Camere. Per il presidente, finita la Guerra fredda, e trasformatasi l’entità, la natura e la forma del sistema politico italiano, occorreva riformare subito la Costituzione e l’intero Stato. Aveva ragione, come spesso gli è capitato, ma oggi siamo davvero alla morte cerebrale e fisica del nostro sistema politico.

Non mi riferisco, ovviamente, a questo o quel partito, ma l’incapacità patologica di reggere le sorti del Paese è ormai evidente in tutti i gruppi parlamentari. Dopo la crisi della fine della Guerra fredda, che parlava di noi, soprattutto di noi, con la trasformazione rapida dell’Est e dei Balcani, la nuova dimensione politica e militare del mondo arabo, la crisi programmata dei vecchi alleati africani e islamici dell’occidente, con le “primavere arabe”, poi il jihad della spada, la conclusione delle nostre alleanze nel Mediterraneo, infine la fine di un automatismo fin troppo facile, nella Nato, e anche tra noi e gli Usa, tutto doveva far pensare, nella povera testa delle nuove classi politiche, che occorreva cambiare soprattutto una cosa: l’architettura costituzionale.
Per evitare, almeno, di entrare nel XXI secolo con un vecchio automezzo degli anni ’60. Ora, siamo alla fine definitiva del sistema politico incompleto che ha seguito, rabborracciato e spesso inane, la fine della Guerra fredda.

Ed è stata la lunga epoca, invece, il post-Guerra fredda italiano, dei modesti succedanei.
Invece di pensare, le classi politiche successive alla guerra fredda si sono baloccate soprattutto con la “comunicazione”. Che non è un sostituto del pensiero, anzi. Chi sa non parla, chi non parla sa, come diceva il saggio cinese Lao-Tzu. Ovvero, abbiamo assistito, dopo la crisi del 1994, generata dall’operazione Tangentopoli, alla creazione del partito-brand pubblicitario, con il solito uomo solo al comando che, però, comanda ben poco e si annoia a far politica, che lascia fare ad altri, ma che poi seleziona i parlamentari con il criterio del casting Tv; poi abbiamo anche avuto il riciclaggio del vecchio Partito democratico Usa, in un lungo remake, con tanto di asinelli e di primarie, e ci mancavano solo gli hot dogs e la pessima senape.

Sembrava un vecchio film di Bud Spencer e Terence Hill. Quando ci si vende, in politica, è bene mascherare l’identità del compratore. Ed è morto, invece, caduto sempre nella rete della operazione Tangentopoli, che operazione infatti fu, il Centro democratico e liberale, in ossequio alla vecchia battuta, detta proprio in Assemblea Costituzionale, di Togliatti: “fuori i pagliacci”. E si perse così, nella cultura politica italiana attuale, il senso della tradizione risorgimentale, liberale, statuale.
Ed è morta proprio la tradizione risorgimentale, asse dello Stato unitario, che era stata inserita nella Costituzione Repubblicana sia dai cattolici che da socialisti, con figure del calibro di Don Sturzo, Costantino MortatiFanfaniMoroLa PiraVittorio FoaMario ZagariPaolo Rossi.

Il cattolicesimo politico è stato certamente anti-risorgimentale, ma non ha distrutto la tradizione dello Stato unitario, questo lo si deve ad altri. Ogni fenomeno politico del post-guerra fredda, in Italia, è quindi stata la continuazione, con altri mezzi, come la guerra in Von Clausewitz, della vecchia guerra fredda, ma a polveri bagnate. Il meccanismo della inutile litigiosità da spot pubblicitario è oggi lo stesso, il livello di scontro è ancora elevatissimo, ma il reale meccanismo costituzionale è figlio di una fase storica definitivamente passata e, anzi, produttrice di sventati anacronismi e inutili, pericolosi, impedimenti.

Cossiga scrisse, dopo i tentativi dell’on. Aldo Bozzi, di De Mita e di Nilde Iotti, fino alla intelligente e sfortunata operazione della Bicamerale di Massimo d’Alema, nel 1997, che venne dopo, un tracciato chiaro e inevitabile: l’uso dell’art.138 Cost. per il rinnovamento della Carta Costituzionale, la fine della sciocca diminutio capitis dell’Esecutivo, che non è un luogo di transazioni, infine il ripensamento, militare, geopolitico, economico del ruolo italiano nel Mediterraneo.

La fine, in altri termini, del vecchio sistema derivato dal Trattato di Parigi del 1947. Chi aveva vinto con il solo eroismo litigioso di De Gaulle, ma che aveva patito la vastissima Repubblica di Vichy, chi poi aveva sofferto il dramma del frazionamento della patria tedesca, con il controllo alleato perfino della emissione dei francobolli, chi aveva patito la dittatura spagnola, tutti si ritrovavano, nel post-guerra fredda, in un nuovo contesto, privo delle leve strategiche del mondo diviso in due blocchi. Era, questa, la riedizione del documento di Camaldoli, insomma, a cui partecipavano anche, lo ricordiamo, laici e cattolici. E che fu poco ascoltato, anche all’inizio. Ritornare lì è ancora essenziale. Leve, quelle strategiche, che allora si trovavano ovunque, peraltro. La pervasività della lotta tra i due blocchi non permetteva una concentrazione del potere e dell’esecutivo.

Cosa fare, allora?
a) garantire la stabilità dell’esecutivo, non tramite alchimie elettorali, ma con garanzie costituzionali, poi b) evitare il frazionismo estremo delle rappresentanze regionali, provinciali, comunali, consortili, o comunque altrimenti ordinate, c) incentrare nel duopolio presidente del Consiglio-presidente della Repubblica, senza eccessive mediazioni, la responsabilità strategica e militare della politica estera italiana, che opera a contrappassi parlamentari post-factum, ma non di più di quelli, d) riformare i servizi, ancora una volta, in modo che siano strumento efficientissimo e potente dell’esecutivo; e anche capaci di azioni efficacissime e immediate, senza inutili noie parlamentari, che casomai lavorano, lo abbiamo detto, ex post, d) riformare il comando dell’economia, che è oggi troppo policefalo e, talvolta, anche acefalo.

Il mondo è fatto di velocità, di decisioni quasi immediate, di mediazioni, quando ci sono, con entità che poco hanno a che fare con i vecchi partiti politici. Altro che Aula: oggi, chi manovra il potere reale, ha a che fare con ben altri gruppi di potere. Occorre uno Stato capace di parlare e talvolta imporsi a questi nuovi attori geopolitici, finanziari, tecnologici. Il mito del mercato che si autoregola va bene per gli studenti di economia che leggono, annoiati, certi manuali che, ai miei tempi, avrebbero fatto ridere generazioni di studiosi.

Occorre dunque velocità e accuratezza insieme dell’esecuzione dell’atto di governo, la cui verifica di legittimità, qualora occorra, è demandata ad altri organi tecnici, non solo a intermediazioni politiche. Che arrivano, se arrivano, in seconda istanza. Cosa proporre, quindi, come riforma dello Stato, dopo che la nostra Repubblica soggiace a una torma di ragazzini che credono di salvare il mondo, come in un vecchio romanzo di Elsa Morante?

1. Un sistema elettorale con una soglia accettabile e razionale per l’entrata in Parlamento, ma non è poi questo il vero problema. Occorre, invece, un sistema elettorale che possa selezionare automaticamente i “campioni” rappresentativi. Ma non è nemmeno questo il punto, addirittura. Occorre, alla fine, che il governo non possa essere sciolto da una serie di costrizioni parlamentari che riprendono il vecchio modello della guerra fredda, ma senza motivo alcuno. Per esempio, la questione militare, che è troppo “commissionata”. Oppure, la inevitabile longa manus dell’Esecutivo sulla Banca d’Italia, al di là di chiacchiere illuministe sull’autonomia, peraltro mai verificatesi nella realtà.

a) La durata del governo liberamente eletto deve essere davvero di cinque anni, con un meccanismo come la tedesca sfiducia costruttiva. Lo so bene che, in questo caso, si arriva rapidamente alla conta (o al mercato) delle vacche, ma questo è sempre l’applicazione di un vecchio detto di Voltaire, “un piccolo male per un grande bene”. Al governo devono arrivare tutte le decisioni essenziali della politica, dell’economia, della strategia globale, senza mediazioni inutili, poi esso deve trattarle, ma com grano salis, e solo quando occorre, in Parlamento. Basta con le mediazioni infinite tra commissioni, sottosegretari avversi, lobbies, apparati burocratici. Chi decide è solo il governo liberamente eletto, poi si vedrà.

b) La regolamentazione delle lobbies. 200 sono oggi le organizzazioni di interessi registrate in Parlamento dal 2017 a oggi, ma in Parlamento Europeo sono 11.882 con ben 7526 persone fisiche accreditate. Se un parlamentare non sa farsi una idea dei problemi da solo, allora vada a casa.
c) Quindi, regolamentazione durissima dei “rappresentanti di interessi”, ma anche una raccolta dei dati di prima mano che sia a disposizione di tutti i parlamentari. Certo, già Costantino Mortati riteneva che il Parlamento futuro fosse soprattutto “in Commissione”, dove si lavorano i particolari e si tralascia la retorica ufficiale, ma qui siamo arrivando a una vera e propria privatizzazione della rappresentanza politica eletta.
d) L’autonomia relativa dei corpi separati, che va sostenuta. Che saranno comandati solo dai vertici politici e non da una infinita mediazione parlamentar-partitica. Basta con la vecchia tradizione per la quale i Servizi di Sicurezza, per esempio, erano obbligati a eseguire gli ordini del Presidente del Consiglio, o alcuni gruppi del Consiglio di Stato per questa o quella corrente politica. Possibilità di interlocuzione, riserva di scelta al ministro o al presidente del Consiglio, responsabilità tecnica e anche politica (Mortati parlava di alta burocrazia come politica) delle burocrazie.

e) Espansione dei settori che davvero contano: Intelligence, controllo delle transazioni finanziarie, ordinamenti di pubblica sicurezza, Forze Armate, Ricerca & Sviluppo, politica tecnologica e di investimenti. Il resto va bene per i consorzi agrari, detto senza offesa per i Consorzi stessi.
f) Ogni scelta futura verso la stabilità del sistema politico italiano avrà a che fare soprattutto con l’ideologia europeista. Anche l’Italia, Paese fondatore, deve utilizzare l’UE à la carte, per quel che gli serve, e rendere tranquillamente inutile quello che non gli serve. Come fanno gli altri Paesi europei, peraltro.

g) La nostra naturale direzione strategica è disegnata dalla geografia: il Mediterraneo, il Medio Oriente, il Maghreb, perfino certe aree dell’Estremo Oriente. Altro non v’è. Quindi, la nostra espansione commerciale, pacifica, in accordo non necessariamente ovvio con gli alleati Nato e Ue deve essere in queste zone, non nel Nord Europa dove, come diceva Napoleone per l’Europa dell’Est, “c’è troppo pieno”. Quindi, mano libera, nei limiti del possibile, in queste aree, ma anche capacità di spostare i limiti del possibile, quando occorra.

h) Una selezione diversa delle cariche pubbliche. Basta con il gioco degli sherpa che, dopo aver fatto i ghost writers, divengono burocrati, ma iniziare a creare burocrati tramite le normali filiere che tutti i Paesi moderni usano. Ovvero le grandi università, le Scuole di eccellenza, i Centri di Ricerca, i think tank di qualità. La porta girevole tra Pubblica amministrazione e professioni, alta cultura, burocrazia, scienza, deve funzionare stabilmente. Basta con questa sceneggiata russoviana e assolutista del Concorso pubblico, si inizi la chiamata ad personam di chi ha amplissimi titoli. La burocrazia, che va riformata ab initio, deve diventare il passaggio naturale, stabile o meno, delle migliori intelligenze del Paese. Quindi, molti posti senza lista di riferimento e indipendenti (lo fa già il mercato, con le società di recruiting) e, poi, una carriera possibile dentro o fuori lo Stato. Magari, tutto questo lo potrebbe fare la presidenza della Repubblica.

i) Basta con la “immonda anzianità”, come la chiamavano i Futuristi. Chi è bravo, verificabilmente bravo, va avanti, chi è solo vecchio rimane dove è. I meccanismi giuridici si possono fare in un attimo, basta volerlo.
j) Elezione dal basso del presidente della Repubblica, che deve avere un peso politico tale da obbligare parti del sistema politico a tacere, quando occorra.
k) Unica Camera. Ma le Regioni avranno, per i loro interessi, le varie strutture di settore che già operano benissimo. Le quali comunicheranno con la presidenza del Consiglio. Se riforma dello Stato dovrà essere, sarà certamente meno ossessivamente regionalista/localista della ormai pluridecennale tradizione politica post-guerra fredda, che credeva di risolvere tutti i busillis del sistema distruggendo lo “Stato centrale”, mostro puerilmente pericoloso. Una ingenuità davvero pericolosa. Il problema è la riforma dello Stato centrale, non la sua diluizione in piccole Patrie. La Svizzera è, infatti, esattamente il contrario: una federazione fortissima e centralizzata che devolve ai Cantoni solo quello che intralcerebbe la Grosse Politik di Berna.

ALLE FRONTIERE DELL’APOCALISSE, di Grigoriou Panagiotis

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Alle frontiere dell’apocalisse

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Tempi di apocalisse. La parola è greca e designa l’atto di distinzione di ciò che è coperto e nascosto. Ci si immerge quindi nel regno della verità rivelata agli uomini, prima o anche dopo ogni teologia. E’ anche l’epoca corrente. Il paese reale sta riscoprendo la geopolitica che le è propria, e le ultime notizie dal nostro confine alle porte dell’Europa sono che l’esercito turco sta usando apertamente i propri veicoli corazzati per abbattere le barriere, così come sta lanciando i propri jihadisti infiltrati con i suoi stessi commando per attaccare la Grecia perché i migranti sono stati apertamente e respinti nelle sacche. Almeno per il momento…

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Al di là della strumentalizzazione legata alla preparazione e alla raccolta di un tale numero di migranti essenzialmente non siriani, destinati a incarnare il ruolo di comparse ,  va ricordato che quanto sta avvenendo al confine terrestre e marittimo tra Grecia e Turchia non è una crisi migratoria, ancor meno una crisi di rifugiati. Si tratta ora, apertamente, di una guerra ibrida, o addirittura di una guerra classica sotto forma di invasione umana, iniziata dalla Turchia, anche con i suoi veicoli corazzati che sparano sulle barriere di confine.

https://youtu.be/CHru4G3NLTY

Possiamo ancora sentire alla radio, dalle prime ore del mattino, quelle del primo caffè, “che tempi galoppanti: i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse, come si sa personaggi celesti e misteriosi, menzionati nel Nuovo Testamento nel sesto capitolo del libro dell’Apocalisse, sono fuori. In altre parole, il nostro tempo presente è in linea con il loro simbolismo, generalmente mantenuto nei tempi moderni, cioè la Conquista, la Guerra, la Carestia e la Morte. Ed è un altro momento di parossismo attraverso la Hybris e la malattia che affligge la nostra povera Umanità. Tanto per il nostro tempo presente, sempre tra guerra e malattia. Ci si chiede se, come ai tempi di Omero, le nostre guerre possano poi fermarsi sotto gli effetti della pandemia”, trasmissione mattutina su 90.1 FM del 10 marzo.

Guarda caso, la Turchia è il paese che dichiara zero casi di coronavirus, zero portatori e zero morti. Il corrispondente di radio 90.1 FM ha detto che “il regime di Erdogan ha vietato tutti i riferimenti al coronavirus attraverso i media e anche i social network strettamente monitorati. Quando qualcuno su Facebook ha avuto l’idea di dire che c’erano alcuni casi non annunciati, la domanda è stata posta al ministro della Salute, [il quale] ha risposto che la polizia si sarebbe occupata del suo caso”, radio 90.1 FM, programma di Lámbros Kalarrýtis la sera del 10 marzo. Si può immaginare la già fallace argomentazione di Erdogan, apritemi i confini… e accettate il coronavirus a braccia aperte.

Geopolitica, guerra, Germania, Turchia e… coronavirus. I greci stanno guardando quello che sta succedendo in Italia in questo momento e il loro cuore è pesante. “Ah… i nostri amici italiani sono tristi”, sospirava un farmacista del nostro quartiere ad Atene l’altro giorno. In Grecia l’epidemia è appena iniziata, meno di un centinaio di casi ufficiali e noti, e nessun morto, per il momento. Torna il tempo di minacce e invasioni, ed è poi, con tutto il rispetto per i mondialisti, gli immigrati e gli altri sinistrorsi, un tempo di frontiere e di patria.

Su Internet in Grecia, le chiese dedicate alla Madonna sono a volte addobbate in città e villaggi vicino al confine con la Turchia, e poi da Cipro, Austria, Ungheria e Polonia arrivano rinforzi simbolici ma necessari in termini di materiale e di manodopera. Erdogan lascia Bruxelles visibilmente arrabbiato, e la Germania ora finge di criticare l’aggressività del suo storico alleato, la Turchia, in modo gentile.

L’apparato si è certamente ritirato dalle sue posizioni di appena un mese fa, speriamo che non sia per… balzare meglio in avanti. E sul terreno popolare, diciamo, il patriottismo rimane un valore sicuro che porta speranza, proprio come i confini di un Paese, di una nazione o di una società, perché ne incarnano il cordone sanitario in senso stretto, e anche in senso figurato. E il nostro confine tiene, grazie agli uomini e alle donne delle forze armate, grazie alla mobilitazione degli abitanti sul posto e anche in tutta la Grecia.

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Mentre la situazione è sempre più tesa al confine e i turchi non esitano a usare le loro armi, come ad esempio tentare mini intrusioni per intimidire e poi mettere alla prova le forze armate greche, senza successo, alcuni dettagli prima nascosti non passano più inosservati. Apocalisse.

Prima c’è questa… misteriosa questione del confine tra Bulgaria e Turchia. Il 27 febbraio, quando la diplomazia turca ha dichiarato che il suo Paese stava aprendo le porte “ai rifugiati che volevano andare in Europa”, in poche ore migliaia di persone sono state trasportate al confine greco sul fiume Evros. “Possiamo attraversare il confine liberamente. La polizia turca ci ha detto che le frontiere sono aperte da entrambi i lati”, hanno detto i migranti, secondo le agenzie di stampa internazionali sul territorio turco.

Di conseguenza, decine di migliaia di persone raggiungono il confine euro-turco. O per essere più precisi, decine di migliaia di persone raggiungono il confine greco-turco, lungo 212 chilometri, cercando di entrare illegalmente nel territorio europeo. Eppure nessuno appare sui 259 chilometri del confine terrestre bulgaro-turco. Bella, questa. Le autorità bulgare hanno certamente affermato che dissuadere gli immigrati è stata a lungo la loro priorità. Ciò che non spiegano, tuttavia, sono le ragioni. Anche i tedeschi della Deutsche Welle sollevano direttamente la domanda: “Perché tanta pace sul confine turco-bulgaro?”, stampa greca dell’8 marzo 2020.

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La crisi creata dalla responsabilità di Ankara sul confine greco-turco, ufficialmente per ricattare l’UE, è in realtà e prima di tutto un atto di guerra contro la Grecia, secondo una pianificazione storica della Turchia, a prescindere da Erdogan tra l’altro, e non in generale la volontà di far passare i migranti in Europa…. per un miracolo, i contrabbandieri, le mafie delle Ong dell’Onu e di Sóros, nonché il grande tour operator per i migranti musulmani clandestini che è lo Stato turco, “dimenticano” che anche la Bulgaria sarebbe un passaggio verso l’Europa. Ma non è così, e certamente questa scelta non è né casuale né del tutto estranea al punto di vista di Berlino.

Va notato che in un recente viaggio ufficiale in Turchia, il 2 marzo, il presidente bulgaro Boiko Borisov è stato ricevuto a braccia aperte da Erdogan ad Ankara e che la Germania, da parte sua, sostiene di fatto la politica di Erdogan. È stato a questo proposito che, quando una barca di una ONG tedesca che si occupa di immigrazione è stata cacciata dai porti di Lesbo per tre volte lo scorso fine settimana, l’ambasciata di Berlino ad Atene ha ritenuto opportuno rivolgersi direttamente all’ufficiale greco che comanda la guardia costiera dell’isola, anche attraverso una lettera inviata direttamente alla capitaneria di porto di Mitilene, capitale e porto principale di Lesbo.

“Tutto sommato, Berlino, come al solito nella sua consuetudine di forza occupante all’interno dell’UE, ha ritenuto opportuno farlo”. Gli interrogativi derivanti da questa vicenda sono apertamente trasmesse su Internet in Grecia, e anche alcuni media generalisti hanno finito per parlare di questa ennesima… vicenda tedesca in Grecia come la radio 90.1 FM, trasmessa da Lámbros Kalarrýtis, il 9 marzo 2020.

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“È vero che il capo dell’ufficio legale dell’ambasciata tedesca ad Atene, Wiebke Brahe, ha contattato ieri l’autorità portuale centrale di Mitilene? Da quando gli avvocati dell’ambasciata tedesca contattano i comandanti militari greci locali al posto della loro leadership politica?

“È vero che questa comunicazione riguardava la nave di una ONG, quella che nella sua lettera lei chiama semplicemente associazione, quando si sa che proprio questa ONG ha causato tanti problemi alla popolazione locale per anni? È vero che l’ambasciata tedesca ha voluto fornire i dati dei passeggeri tedeschi a bordo della nave e di un cittadino francese, senza dubbio in modo che la capitaneria di porto di Mitilene desse loro un trattamento preferenziale? È vero, infine, che un funzionario dell’Ambasciata tedesca insiste e interviene presso le autorità marittime del Ministero della Difesa e della Marina Greca su una questione di esclusiva competenza del governo greco e in particolare dei ministeri interessati”, 90.1 FM, trasmessa da Lámbros Kalarrýtis, 9 marzo 2020. e dalla stampa greca.

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Il nazionalismo turco è atavico, ufficiale e quindi messo in pratica, dalla Siria alla Grecia e dall’Iraq a Cipro. Allo stesso modo, e a parte le potenze coinvolte nel Mediterraneo orientale, la Germania, come la Bulgaria in misura minore, è tra gli alleati storici della Turchia, sia prima che dopo il kemalismo. Per inciso, ci sono quasi quattro milioni di turchi naturalizzati in Germania, che a quanto pare obbediscono innanzitutto agli ordini di ogni Erdogan di turno il giorno prima di andare a votare, e anche questo è un pezzo del puzzle, ma non il più importante.

Allo stesso tempo, e nella serie sulla geopolitica della fusione tra Paesi islamici, la Turchia invita le forze navali del Pakistan a partecipare alle esercitazioni congiunte nel Mar Egeo; inutile dire che anche la marina greca è altrettanto mobilitata e vigila sull’area, stampa greca del 10 marzo 2020. Non dimentichiamo che “dal basso verso l’alto”, tra i migranti che sono stati sfruttati e trasferiti alla frontiera greca dalla Turchia ci sono molti pakistani e afgani; tutto è coerente, è un piano e una guerra che non ha ancora mostrato tutti i suoi denti.

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Il tempo dei confini è così tornato, anche e già per le nazioni e i paesi europei. Rimane… il fronte interno. Da qualche giorno e anche da qualche notte per alcuni, la sfera di sinistra, l’antifa à la Soros e assimilata, così come molti accademici traboccanti di europeismo, così come dei loro sussidi, si sono opposti, ora che sappiamo che secondo sondaggi apparentemente attendibili, quasi il 90% dei greci è favorevole alla chiusura delle frontiere, e a fermare la migrazione e la colonizzazione de facto della Grecia da parte di queste popolazioni musulmane strumentalizzate.

Insomma, non si tratta di un delirio, come si potrebbe dire gratuito, rivolto ai popoli musulmani, che i greci hanno storicamente conosciuto e rispettato nei loro rispettivi Paesi, ma, prima di tutto, di una logica reazione di un patriottismo ancora profondamente radicato e che ha poca voglia di vedere la Grecia diventare un Paese musulmano, per di più, due secoli dopo la Rivoluzione nazionale e cristiana che ha portato alla liberazione dei greci dall’occupazione turca sotto l’Impero ottomano. Ciò che ha fatto traboccare il calderone è il numero di migranti e l’evidenza degli obiettivi espansionistici della Turchia, così come la volontà globalista di Soros, dell’ONU e di altri, di affondare o addirittura di smembrare l’attuale Grecia. Ecco quanto si dice apertamente in questo momento in Grecia.

È proprio questa evidenza che sfugge alla sfera sinistra e ad altri antifa. Allo stesso modo, è sempre più spesso suggerito da alcuni analisti e giornalisti in Grecia, come Kalarrýtis e Trángas su 90.1 FM, “che tra queste persone, ce ne sono alcune che sono pagate direttamente da Soros, o anche altrettante dalla Turchia. Queste persone hanno certamente il diritto di parlare e questo è normale, tranne che hanno dovuto mostrare un minimo di logica perché il nostro Paese è sotto attacco. Nonostante ciò, le loro argomentazioni sono esattamente quelle generate più spesso dalla propaganda di Erdogan; è triste dirlo, ma tutta questa marmaglia, compreso SYRIZA, forma al suo interno una vera e propria quinta colonna, molto attiva e dannosa. Mi dispiace, tra loro e noi c’è ora un intero confine che ci separa, come quello tra la Grecia e la Turchia sul fiume Evros. E per queste persone, la loro patria è visibilmente sul versante turco, oltre il confine”, Lámbros Kalarrýtis su 90.1 FM, 9 marzo 2020.

Detto questo, bisogna diffidare di Mitsotákis tanto quanto del suo “governo”. Ad esempio, come abbiamo appena appreso, in un incontro tra il Ministro delle politiche migratorie Mitarákis e i Presidenti delle Regioni, il 10 marzo, i politici regionali sono stati invitati ad accogliere i migranti presenti sulle isole greche del Mar Egeo, sistemandoli in numerosi appartamenti della città. Il resto non è ancora noto; relazione, 90.1 FM, 10 marzo 2020. Nulla è più ovvio di quanto non lo fosse in passato, poiché l’atmosfera è visibilmente cambiata.

Infine, come segno dei tempi, i soldati sono ovunque acclamati dagli abitanti del paese reale greco, come anche questa settimana a Lesbo, abitanti che per la sinistra, totalmente ceca di fronte al suo definitivo ritiro dalla storia europea, sono solo seguaci dell’estrema destra.

https://youtu.be/frDzPJDA1SU

E sul lato del… lavoro pratico ad Atene, gli antifa pro-Soros e i pro-Turchi, dopo aver saccheggiato la stazione della metropolitana sotto l’Acropoli, hanno appena assalito nel centro di Atene la statua dell’eroe della Rivoluzione nazionale greca del 1821, Theódoros Kolokotrónis. Tra gli slogan che hanno profanato la statua c’era il famoso “la Grecia deve morire”, oltraggiosamente sostenuto in ogni occasione da questi individui. Noto che per queste persone, solo l’idea della nazione greca è poi imbarazzante e dannosa; tutte le altre nazioni devono ovviamente prosperare. La quinta colonna funziona in modo così classico.Un altro tema della propaganda globalista ed egualmente turca, che viene rilanciato dagli apolidi della sinistra, ad eccezione di Míkis Theodorákis e dell’attivista storico Karambélias, è la questione del diritto internazionale e degli accordi internazionali che presumibilmente impediscono alla Grecia di monitorare, controllare e persino chiudere i suoi confini se necessario di fronte a tale invasione e – allo stesso tempo – all’atto di guerra da parte della Turchia, che costituisce quindi una minaccia multipla per la sicurezza nazionale. “In questi tempi critici, il mio pensiero va ai nostri figli che difendono i confini della patria e ai coraggiosi uomini e donne del fiume Evros”, ha detto Theodorákis, stampa del 9 marzo.

Greek Press Photograph

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L’accademico Kóstas Grívas, che non è di sinistra, ha semplicemente ricordato “che dobbiamo tornare ai principi fondamentali del diritto internazionale per non soccombere a queste opinioni fuorvianti e subdole, che fanno parte dell’attacco in questa particolare guerra a tutto campo che la Grecia sta attualmente subendo. Soprattutto, dobbiamo ricordare che il soggetto fondamentale del diritto internazionale, ma anche il suo elemento strutturale fondamentale, sono gli Stati”.

“Sono quindi i Paesi che danno un senso al diritto internazionale. Senza di loro, non esiste nemmeno; dobbiamo anche ricordare che il sistema internazionale è fatto di Paesi e che nessuna autorità sovranazionale è al di sopra di essi. Le Nazioni Unite, come suggerisce il nome, non sono altro che una struttura burocratica che permette ai Paesi di interagire e persino di raggiungere accordi. Non funziona al di sopra di loro e solo i paesi con la loro adesione gli permettono finalmente di esistere. E per poterle dare sostanza, devono anche e prima di tutto avere una propria sostanza”, stampa greca del 9 marzo 2020.

All rights reserved.

Non è più il tempo degli agnelli, figuriamoci delle pecore. In breve, tempi apocalittici. La stampa avverte dell’esistenza di nuclei jihadisti in Grecia, introdotti con la gentile partecipazione della Turchia, così come di quella dei governi di destra e di sinistra per più di dieci anni, compreso l’attuale governo di Mitsotákis, anche se la sua ultima gestione dell’emergenza sembra essere minima, in senso più logico. I servizi segreti greci stanno poi cercando… questi jihadisti dormienti all’interno del paese, tranne che c’era la necessità di un migliore controllo delle frontiere, forse a monte.

“Il presidente turco Erdogan aveva dichiarato in un momento insospettabile che 1201 membri dello stato islamico erano detenuti nelle prigioni turche, mentre la Turchia aveva arrestato 287 jihadisti in Siria. E questa è un’altra delle carte segrete di Erdogan, che potrebbe poi svelare nei prossimi giorni. L’attenzione si concentra anche sugli islamisti fanatici che non provengono dalla Siria ma dall’Afghanistan, dall’Iraq, dal Marocco, mescolati a migranti e rifugiati che minacciano di entrare clandestinamente o che sono già entrati in Grecia nelle ultime settimane”,- stampa greca del 10 marzo.

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Rivelazione ancora una volta, la parola è quindi greca, e designa l’azione di distinguere ciò che è nascosto. Ci immergiamo quindi nel regno della verità, rivelata agli uomini, prima o dopo qualsiasi teologia. Probabilmente è anche di quel periodo, perché le chiese del paese sono ormai piuttosto piene, anche a dispetto del coronavirus.

Martedì sera, 10 marzo, è stato annunciato sulla stampa greca che tutte le scuole e le università sarebbero state chiuse.

Il paese reale riscopre poi tutta la geopolitica che è propria… più il coronavirus. Sempre una questione di confini e di sopravvivenza, i nostri…  gatti si azzuffano, è la stagione.

http://www.greekcrisis.fr/2020/03/Fr771.html?fbclid=IwAR36gyAyHjUn8FIJ_wsX7hj1pSHDqxsLcaZRUqvJ0d2Q1ds0PNO26CYaOLc#deb

EMERGENZA CORONAVIRUS_UN APPELLO

Qui sotto il testo di un appello-documento che proponiamo ai lettori e agli altri blog ed iniziative editoriali. Una volta raccolta l’adesione di altri gruppi editoriali, ci proponiamo di predisporre la sua diffusione e il suo sostegno politico. Sul sito sono disponibili gli indirizzi email e sui socianetwork

EMERGENZA CORONAVIRUS_UN APPELLO

I dati forniti ogni giorno dalla Protezione Civile sulla diffusione del coronavirus nel nostro Paese non lasciano dubbi riguardo al fatto che ci si trovi ad affrontare una gravissima emergenza sanitaria; una criticità che ha già richiesto l’adozione di eccezionali misure di sicurezza pubblica. Attualmente la regione più colpita è la Lombardia, il motore economico dell’Italia; la regione che dispone per altro di cospicue ed efficienti strutture sanitarie, le migliori attualmente disponibili nel paese. Ciononostante, perfino la sanità lombarda rischia il collasso, non tanto per il numero di casi di contagio quanto per l’inusitato numero di ricoveri negli ospedali e soprattutto nei reparti di terapia intensiva. Vi entrano sempre più malati di quanti ne escano. Medici e infermieri stanno facendo il possibile e l’impossibile. Uomini, mezzi e risorse (posti letto inclusi) però sono insufficienti e, mancando non si sa per quanto un vaccino per il coronavirus, esposto al rischio di contagio. Se la situazione della sanità lombarda è già così critica, si può allora immaginare cosa accadrebbe se il virus si diffondesse, come pare ormai stia facendo, nelle altre regioni, in particolare quelle del Sud le quali non dispongono di strutture sanitarie di pari livello. Certo, si deve riconoscere che la maggior parte dei cittadini ha accettato consapevolmente la restrizione della propria libertà di movimento, comprendendo che è necessario rallentare il decorso e limitare ad ogni costo l’assalto ai reparti di terapia intensiva. In gioco, difatti, non vi è solo la vita di anziani debilitati ma anche la “tenuta” del nostro sistema sanitario nazionale (peraltro già reso assai fragile dai numerosi tagli, sia di uomini che di mezzi, decisi in questi ultimi anni). È in gioco la salute di tutti i cittadini, la coesione sociale e l’integrità del nostro apparato economico. Occorre quindi che le misure di sicurezza decise dal governo (e che ci si augura possano dare qualche risultato nelle prossime settimane) siano rispettate non solo dalla maggioranza dei cittadini ma da tutti i cittadini, nessuno escluso. In altri termini, bisogna anche farle rispettare. Se si tollera che alcuni possano violarle (per leggerezza, per scarso spirito civico o per qualunque altro motivo) si rende di fatto vano anche il sacrificio (pure economico) di tutti gli altri. Le forze dell’ordine stanno svolgendo i propri compiti con grande impegno, ma è evidente la loro condizione di sovraccarico. Vi sono però anche le Forze Armate! Dispongono di uomini, mezzi e competenze tali da potere svolgere con efficienza buona parte dei compiti che adesso svolgono le sole forze dell’ordine e della Protezione Civile. Le Forze Armate sono perfettamente in grado di presidiare il territorio, di svolgere compiti di “sostegno” e di soccorso. Sono estremamente utili e preziose in questa situazione di emergenza. Chiediamo dunque al governo di non esitare ad impiegare al più presto le nostre unità militari – come del resto è già accaduto in occasione di alcune calamità naturali – per far fronte a questa grave emergenza sanitaria. Le Forze Armate possono certamente dare un contributo indiretto ma decisivo alla difesa del nostro sistema sanitario nazionale e alla tutela della sicurezza e della salute pubblica di tutti gli italiani. Loro, assieme alle forze dell’ordine, ai vertici della sanità. Non solo e non basta. È evidente che il contesto geopolitico, la diffusione della pandemia, le incognite sul futuro lasciano sperare ben poco in un sostegno internazionale fattivo. Il coronavirus stesso è diventato un veicolo ed uno strumento di confronto e conflitto geopolitico. Gli aiuti sono estemporanei, limitati al momento al contributo della sola Cina, per altro in apparenza responsabile della diffusione del virus, interessati e soprattutto del tutto inadeguati alla necessità. Occorrono una autorità decisionale, una gerarchia, un coordinamento di sforzi che possano garantire non solo l’assistenza sanitaria, la limitazione della diffusione di un virus ancora di fatto sconosciuto, l’ordine pubblico. Non basta. Devono provvedere a rappresentare realisticamente la situazione, a ricostruire un tessuto economico con promozioni, sollecitazioni, incentivi ed interventi diretti a ricostruire le filiere produttive necessarie a garantire nel miglior modo possibile le forniture di sussistenza e i materiali sanitari minimi necessari ad affrontare l’emergenza. La nazione è ancora ricca delle capacità e competenze professionali ed imprenditoriali necessarie; sono da motivare, incentivare e coordinare. Il Governo e buona parte dei vertici istituzionali purtroppo stanno rivelando, pur in una condizione di straordinaria emergenza, la loro inadeguatezza e la loro scarsa autonomia decisionale, la loro permeabilità alle pressioni esterne. Una incertezza deleteria solo in parte comprensibile in una condizione di emergenza inusuale. Una condizione suscettibile di sviluppi e tentazioni inquietanti e dirompenti se non corretta da una attribuzione chiara di responsabilità ed obbiettivi ad organismi direttamente preposti alla gestione della crisi e sotto la diretta responsabilità politica della massima autorità dello Stato. Ai giuristi il compito di definire l’ambito di intervento compatibile e alla massima istituzione di porre in atto le decisioni e le strutture organizzative.

 

L’Italia alla prova del coronavirus (e degli avvoltoi) di Patriottismo Costituzionale

L’Italia alla prova del coronavirus (e degli avvoltoi)

di Patriottismo Costituzionale

 

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
(…)
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai

 

Dal punto di vista più strettamente sanitario, il pericolo del coronavirus è rappresentata dalla grande velocità di contagio nella forma di areosol associata all’alta percentuale di contagiati che hanno bisogno di cure specialistiche. Si parla di una percentuale del 10-15-20%. Nessun sistema sanitario al mondo può reggere un peso simile.

Fino alla produzione del vaccino l’unico rimedio è quello di rallentare il contagio. Questo obiettivo è reso molto complesso dal fatto che, come già scritto, il coronavirus si diffonde per aerosol, come spiega il professor Marc G. Wathelet, noto virologo che ha guidato un gruppo di studio sulla SARS, che può diffondere il virus su grandi distanze e tra persone che non interagiscono faccia a faccia.

L’unica soluzione quindi è quella cinese: fermarsi. A meno che non si sia disposti a sopportare una ecatombe.

E qui sta il punto.

Il coronavirus sta facendo saltare in aria il sogno globalista di un unico mercato mondiale dove capitali, merci e forza lavoro si muovono ininterrottamente e senza incontrare ostacoli secondo le convenienze del capitale e dei suoi profitti. Un mondo da sogno in cui le catene della produzioni si dislocano laddove i costi sono minori per poi spostare le merci laddove la domanda è maggiore. Un mondo dove sembrava possibile la realizzazione del grande sogno del capitalista: vivere sotto l’unica legge dell’accumulazione di ricchezza e potere, slegato completamente da qualsiasi altra considerazione e freno che riguardino uomini, comunità e luoghi. In questi giorni tutto questo sta crollando, e il grande capitale deve trovarsi un luogo e accettare nuovamente di arrivare a compromessi con uomini e comunità.

Se il mondo nato negli anni Ottanta del secolo scorso sta crollando, uno nuovo dovrà pur nascere. Non sappiamo come sarà. Siamo a una biforcazione della storia: potremmo procedere avanti e superare le contraddizioni di un modello produttivo, politico e sociale che ormai non ha più nessuna soluzione in positivo da offrire all’umanità; oppure potremmo rivelarci talmente svuotati di vitalità, saggezza e intelligenza da rimanere prigionieri di un sistema che ha bisogno di disastri, guerre e immani distruzioni per poter ripartire.

Il coronavirus sta rivelando chiaro e nitido che abbiamo bisogno di uno stato. È allo stato e ai suoi bracci operativi che in questo momento i cittadini di ogni paese si rivolgono per avere protezione e sicurezza. E sono gli stati che in questi decenni hanno mantenuto un ruolo e una presenza robusta nella protezione sociale e nell’economia ad avere maggiore successo nella lotta al diffondersi dell’epidemia. Dove invece lo stato è stato sottoposto all’attacco dell’ideologia neoliberista che gli assegnava il ruolo di semplice regolatore e facilitatore della concorrenza privata, lì ha rivelato tutta la difficoltà a cambiare passo e assumersi responsabilità che pensava di non doversi più assumere, perché “il privato sa fare meglio di lui”.

Il coronavirus sta spingendo gli stati e i governi ad ampliare la propria sfera di controllo e a limitare le normali libertà personali dei suoi cittadini. Come in uno stato di guerra. E proprio questa è la nostra situazione attuale. Siamo in guerra. Una guerra atipica, strana, surreale, dove c’è un nemico chiaro anche se così microscopico che non si vede a occhio nudo, e tanti nemici nascosti e non dichiarati che però si vedono benissimo, ci stanno molto vicino. Anzi, li abbiamo proprio in casa ai massimi vertici della macchina statale. Il coronavirus, infatti, sta indirettamente rivelando con chiarezza il muso da sciacallo e il becco da avvoltoio dei nostri fratelli europei che per sfruttare appieno le nostre difficoltà anticipano la riunione dell’Eurogruppo per l’approvazione del MES. Ma sta anche evidenziando la contraddizione di un governo che, da una parte, mostra i muscoli imponendo una sorta di legge marziale ai suoi cittadini (necessaria, peraltro) e, dall’altra, persiste imperterrito nella sua politica di sottomissione allo straniero e cessione di sovranità a favore della Unione europea, alias Germania.

Il coronavirus sta mettendo in rilievo in tutta la sua evidenza l’opposizione tra due modelli economici: il primo basato sulla pianificazione da parte del grande capitale finanziario e monopolistico privato, che governa stati e popoli attraverso la paura del fantasma dei mercati, lo stuzzicamento continuo del desiderio e l’indottrinamento alla religione della competizione e del merito attraverso il totale controllo dei mezzi di comunicazione di massa; il secondo basato sul concetto di economia mista, dove libera impresa e imprese pubbliche convivono e si integrano sotto la direzione e la regia di uno stato che controlla i settori strategici, la moneta e quindi la finanza. La realtà di questi giorni sta rivelando tutto il pericoloso irrealismo fallimentare del primo modello e tutta la necessità storica del secondo. Resta tutto da vedere verso quale stato e verso quale cittadinanza ci stiamo dirigendo. Ma questo è un altro discorso.

Come ne usciremo noi Italiani? Anche in questo caso siamo a un bivio: potremmo essere alla vigilia di un nuovo 8 settembre, oppure alla prova del momento le classi dirigenti italiane sapranno rivelare al loro interno risorse tenute nascoste e soffocate dalla marea liberista ed eurista di questi ultimi quaranta anni. Logica e realismo fanno purtroppo pendere la bilancia sulla prima ipotesi. Quarant’anni di selezione artificiale del personale dirigente a ogni livello (amministrazione dello stato, università, media, pensiero economico, scuola, esercito, ecc.) ci hanno portato nella condizione che chi ha in mano le leve del potere letteralmente è incapace a pensare soluzioni che evadano dal quadro concettuale vigente. Non ce la fanno. Hanno passato tutta la loro vita formativa e lavorativa in un ambiente che li ha segnati e resi inservibili.

Eppure qualche segnale di speranza c’è:

Se l’Europa continua a tentennare segnerà definitivamente la sua fine. E se lo farà … l’Italia dovrà procedere per conto proprio. (…) Dieci anni fa, in occasione di una crisi finanziaria drammatica … i soldi per salvare le banche sono stati trovati. Ora vanno trovati i soldi per salvare l’economia reale, l’economia delle imprese. (Fabio Tamburini, direttore del quotidiano economico Sole 24 Ore)

Non è tempo di chiedere conti, di chiedere al direttore Tamburini dov’era tutto questo tempo, o perché è stato necessario un evento tanto drammatico come una pandemia per costringere il padronato a cominciare a pensare di rinunciare al suo tanto caro strumento di dominio e sottomissione del mondo del lavoro italiano. O per fargli notare che i soldi per le banche non sono stati esattamente “trovati”, bensì sono stati “creati” dalle banche centrali di tutto il mondo. Non è questo il momento di polemizzare e indebolire il fronte che si sta creando a difesa della nostra indipendenza e sovranità. Verrà il tempo per i chiarimenti. E, chissà, forse avremo anche noi la nostra Norimberga.

Lentamente il governo italiano sta prendendo consapevolezza dell’entità della sfida e sta sollevando il livello degli stanziamenti per combattere la diffusione del virus e dei suoi effetti sull’economia e sul corpo sociale. Ma ancora non basta. E soprattutto non basta perché finché quei miliardi verranno stanziati all’interno delle regole contabili e finanziarie europee, finché li chiederemo ai mercati, li dovremmo ripagare in futuro noi cittadini con interessi salati nella forma di tagli, tasse, tributi e ulteriori dismissioni. Si riveleranno l’ennesima arma regalata ai nostri “fratelli” europei e ai creditori, e l’8 settembre sarà solo rinviato. Le uniche vere soluzioni sono due: o cambia radicalmente l’Ue (il che significa limitarne radicalmente i poteri e rivedere dalle fondamenta le regole di convivenza fra gli stati pienamente sovrani che ne facciano parte) o l’Italia ne esce fuori. La terza alternativa è la nostra totale sottomissione.

https://patriottismocostituzionale.blog/2020/03/13/litalia-alla-prova-del-coronavirus-e-degli-avvoltoi/?fbclid=IwAR1x8wtN-KIgjq44NqaFRJ0jZul7aFzAk5AIaEkmWuFyGYuiJt2sa3-3crg

Coronavirus, politica e geopolitica, con Piero Visani e Gianfranco Campa

Qui sotto una conversazione con Gianfranco Campa e Piero Visani, registrata una settimana fa, sulle pesanti implicazioni politiche e geopolitiche della pandemia ormai in corso. L’Italia è ormai uno dei paesi più esposti ma la crisi è destinata a coinvolgere drammaticamente sempre più paesi e contribuirà a sconvolgere ulteriormente gli equilibri. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Il Fiero Pasto, di Giuseppe Masala

Qui sotto alcune pregnanti riflessioni di Giuseppe Masala. In questi giorni si sono susseguiti gli appelli e le stigmatizzazioni per indurre tutto il paese e le forze politiche ad adottare uno spirito unitario e di concordia nazionale indispensabile a fronteggiare l’emergenza sanitaria. Emergenza che allo stato riguarda la contagiosità piuttosto che la letalità del virus. Appelli che poggiano in gran parte su un equivoco più che mai deleterio e subordinato a dinamiche politiche potenti. La diffusione del corona virus e la gestione dell’emergenza sanitaria sono l’occasione e lo strumento per rideterminare i rapporti di forza e le relazioni geopolitiche. Da una parte il colpevole ritardo della Cina nel comunicare ed affrontare l’epidemia. Nella fattispecie vediamo che per ragioni di gestione interna e di implicita attribuzione a soggetti esterni, gli untori di turno, delle responsabilità della diffusione, tra questi numerosi paesi europei, in particolare Francia e Germania si adoperano a nascondere, minimizzare e manipolare i dati di contaminazione del virus nei propri territori nazionali; dall’altro i suddetti, spalleggiati tempestivamente dai funzionari della Unione Europea, stanno spingendo per l’approvazione definitiva entro metà marzo del MES2 ed una accelerazione della Unione Bancaria. Due trattati particolarmente deleteri per il nostro paese, in particolare nell’attuale contingenza. Una operazione di vero e proprio sciacallaggio del resto consueta nel sistema di relazioni internazionali. Per quanto riguarda le dinamiche politiche interne al paese, i provvedimenti del Governo sono comunque il frutto di pressioni, punti di vista ed interessi contrastanti; ne parleremo a tempo debito. Stanno evidenziando le crepe e le disarticolazioni delle quali soffre particolarmente il nostro apparato statale ed amministrativo. Ancora una volta anzichè a un Giuseppe, continuiamo ad assistere a più “Giuseppi”, di Mattei ne abbiamo già almeno due; bastano ed avanzano. A questo punto un Governo che si vorrebbe di “afflato nazionale”, che invoca la concordia nazionale, che cerchi piena legittimità ed autorevolezza, dovrebbe contraccambiare la richiesta di responsabilità con l’accantonamento quanto meno delle scelte più divisive del paese e delle forze politiche. Il MES2 e l’Unione Bancaria sono appunto tra le scelte più divisive e su questo le forze di governo sembrano troppo ben disposte a cedere e accondiscendere. La gestione interna dell’emergenza sta assumendo toni contraddittori e ormai grotteschi. Il virus segue certamente una logica ed una dinamica più potente delle intenzioni politiche, anche le migliori; la contraddittorietà, la comunicazione e l’uso spesso maldestri dei provvedimenti sono il frutto di un progressivo disordine istituzionale ormai ultratrentennale e di un senso civico ed uno spirito di unità nazionale quantomeno carente tanto da rendere improbo il sacrificio degli operatori impegnati nell’emergenza. Non pare proprio che questa classe dirigente, questo Governo e la stessa PdR siano in grado di contrastare queste dinamiche; ne sembrano piuttosto una espressione. Non riesce ad ottenere dai fratelli europei nemmeno forniture di mascherine, medicinali e disinfettanti, nè pare porsi il problema di cominciare a produrne in casa propria.  Pare piuttosto propensa a manipolare ad uso proprio le progressive limitazioni. Il potere è protezione, e la protezione implica sempre il dominio. Non esiste la decretazione d’emergenza che si basa sul “per favore”. Le talpe che hanno diffuso in anticipo il decreto governativo di ieri vanno individuate, sanzionate, esposte al pubblico ludibrio. Lo stesso vale per i fuggitivi. Se la situazione si fa seria, e pare sia così, il governo si avochi i poteri necessari, metta fine al disordine istituzionale, consultata l’opposizione nomini un responsabile esecutivo (meglio un militare). L’opposizione, in particolare la Lega, all’inizio dell’emergenza virus ha gravemente sbagliato, attaccando il governo e facendo leva sul disordine istituzionale nel tentativo di accedere al governo. Poi i sondaggi l’hanno informata che el pueblo non gradiva, e si è corretta. Ora fa benissimo a contestare con la massima forza il tentativo di far passare i provvedimenti dei cravattari della UE come il MES. Può dunque con piena ragione condizionare il suo indispensabile appoggio alla necessaria avocazione governativa dei poteri emergenziali. Niente MES, e responsabile esecutivo dell’emergenza scelto di comune accordo. Parafrasando Giuseppe Masala ” Se la prossima settimana a Palazzo Chigi ci fosse un Generale dei Carabinieri non mi stupirei”. L’importante è che non si chiami Pietro Badoglio._Giuseppe Germinario, Roberto Buffagni

Il Fiero Pasto.

Fonti dell’Eurogruppo hanno fatto sapere che è attesa l’approvazione definitiva della riforma del Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) per il 16 di Marzo. Ecco, allora, non è che ci vuole Nostradamus per capire che per l’Italia la firma del Mes significherebbe suicidarsi. Le nostre banche stanno crollando in borsa e conseguentemente lo spread Btp/Bund sta salendo. E’ evidente che avremo bisogno di finanziamenti e quelli della Bce sono vincolati all’attivazione del Meccanismo Europeo di Stabilità. Herr Weidman ha parlato chiaro: non sono all’orizzonte misure straordinarie di erogazione di liquidità da parte della Banca Centrale Europea. Letto in controluce significa: <<Chi ha bisogno di liquidità usi le procedure ordinarie attivando il Mes e firmando un Memorandum of Understanding in stile greco>>.

Ancora meno si può parlare di approvazione di norme capestro quali quella della dell’Unione Bancaria che prevedono la ponderazione del peso dei titoli di stato nazionali nel portafoglio titoli delle banche. Il cosiddetto doom loop tra banche e governi” è un concetto tortuoso e illogico che solo gli economisti – categoria maestra di pensiero gregario – può accettare. In una situazione di crollo generalizzato la logica dello spalmare il rischio sia nello spazio che nella diversificazione degli asset class non funziona: crolla tutto. Il concetto di Risk-Weighted Assets (RWA) è stato semplicemente demolito come concetto dal crollo del 2008. I tedeschi fanno finta di crederci e vorrebbero imporlo perchè è funzionale ai loro disegni. L’Italia ha un un’allocazione dei risparmi/capitali fortemente concentrata sui titoli di stato italiani e questa situazione va smontata (dal loro punto di vista) con la scusa dell’effetto contagio banche-governo. Ma le banche spagnole che hanno una distribuzione più incentrata sull’estero sono messe meglio? Non mi pare proprio, hanno centinaia di miliardi impelagati in quell’Argentina che non riesce manco a pagare le rate dell’FMI e in quella Turchia impegnata in due guerre a bassa intensità (Siria e Libia) e come se non bastasse che rischia uno scontro con la Grecia. E’ forse questa un allocazione delle risorse più razionale e meno rischiosa? Non mi pare proprio.

Perchè i tedeschi vorrebbero una allocazione meno incentrata sul nazionale da parte dell’Italia? Siamo alle solite: comportarsi alla prussiana mantenendo una parvenza di correttezza con la quale fare pistolotti morali agli altri. Ovviamente loro con questa manovra intendono attivare un meccanismo virtuoso per loro e mortale per l’Italia: convogliare verso gli assets tedeschi parte del risparmio italiano abbassando i tassi sui bund che sono già negativi e sottoponendo i capitali esteri che vi sono convogliati a una patrimoniale di fatto. Ovvero sia, le spese per l’emergenza sanitaria glielo pagano i risparmiatori italiani (che però non possono pagarle per se stessi). I tassi dei titoli italiani saliranno vista la mancanza dell’afflusso di risparmio italiano? Non c’è problema secondo loro, lo stato italiano può tranquillamente attivare il Mes firmando un Memorandum of Understendig che ci vincolerà per decine di anni a ciò che decide una società privata di diritto lussemburghese (questo è il Mes). Questo è il meccanismo. Non entro neanche nel discorso su come definire il vincolo del parlamento italiano e del governo alle decisioni di una società privata di diritto lussemburghese, dico solo che io nella costituzione italiana non vedo questa opzione che vincola il parlamento italiano nell’approvazione della legge finanziaria al placet di una società privata. Un colpo di stato bello e buono.

Semplicemente con l’attivazione di questo meccanismo mortale si vedrebbe la riedizione di quanto è accaduto con la crisi finanziaria partita nel 2008: il primo che cade viene usato come fiero pasto dagli altri che si rafforzano ed evitano così a loro volta di cadere semplicemente spolpando come degli avvoltoio il malcapitato. Chiedere ad Atene in cosa si sostanzia questo concetto. Solo che questa volta a rischiare di essere i primi a cadere siamo noi.

Scusate il sermone di primo mattino.

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NOTE A MARGINE
  • per amore di verità, spiega però che gran parte degli scenari che descrivi a partire dal secondo paragrafo fanno parte dell’Unione bancaria e non propriamente del MES2.
  • In realtà, il MES2 è preparatorio all’UB, va solo precisato che su quella l’Eurogruppo è ancora indietro. Ma non di molto. E con questo governo…
  • e si, le due cose vanno di pari passo….del resto è stato Conte a parlare di “logica di pacchetto” non avendo capito che è proprio il pacchetto che ci uccide…

tratto da https://www.facebook.com/bud.fox.58/posts/3078210225570615

Mai sprecare un’arma: la guerra ibrida degli Stati Uniti contro la Cina, di Pepe Escobar

Qui sotto un articolo di Pepe Escobar che ipotizza, praticamente afferma, la natura sintetica del coronavirus la cui diffusione potrebbe essere un atto  proditorio della guerra ibrida ormai in corso tra gli Stati Uniti e le potenze (ri)emergenti, in particolare la Cina, in predicato quest’ultima di soppiantare in tempi brevi gli Stati Uniti nel ruolo di paese guida se non addirittura di potenza egemone. Tuttavia, se è vero che il confronto geopolitico e il conflitto tra stati e formazioni sociali sta assumendo un carattere sempre più virulento, mi pare che l’autore tenda a forzare un po’ troppo l’interpretazione delle dinamiche di un confronto ancora allo stato iniziale e dall’esito in realtà tutt’altro che scontato.

Partiamo dalla ipotizzata natura artificiale del corona virus. E’ vero che a Wuhan, epicentro della epidemia, sono localizzati laboratori batteriologici. Sono siti installati dai francesi e cogestiti da europei, americani e cinesi. Se in una prima fase la manipolazione era di fatto in mano totalmente agli occidentali, da diversi anni in realtà la Cina ha acquisito le abilità necessarie alla manipolazione e di conseguenza è in grado di controllare  attentamente i cicli operativi e le sperimentazioni. Non vanno sottovalutate inoltre le condizioni igieniche particolarmente precarie delle attività agricole, di trasformazione e distribuzione dei prodotti agricoli e animali; un ambiente nel quale virus e batteri trovano alimento e possibilità di mutazione. L’ipotesi quindi di un ciclo naturale trova anch’esso un fondamento anche se le particolari condizioni “favorevoli” non confliggono con l’ipotesi della manipolazione. Quanto al controllo dei processi e all’intenzionalità eventuale del contagio, date le capacità acquisite, sarebbe più riconducibile a qualcosa sfuggito accidentalmente ad opera dei cinesi. La guerra batteriologica, comunque, presenta ancora notevoli controindicazioni legate alla diffusione scarsamente controllabile del virus con tutti i rischi conseguenti a carico degli stessi provocatori. L’autore stesso, del resto, parrebbe in attesa di accertamenti più attendibili da parte delle autorità cinesi. Stessa riserva di giudizio un po’ troppo “ottimistico” sul livello di equilibrio del confronto tra Stati Uniti e Cina. La Cina ha indubbiamente saputo approfittare del processo di globalizzazione e di decentramento dei processi produttivi per acquisire rapidamente una potenza economica ed una capacità tecnologica sorprendente; come d’altronde gli Stati Uniti, per non parlare dei paesi europei ormai geopoliticamente fuori della partita, stanno rischiando seriamente di perdere il controllo di importanti e strategici settori della componentistica e della catena produttiva. La conseguenza di fatto di una visione troppo economicistica del proprio dominio e di una grave sopravvalutazione della propria capacità egemonica. Visione, tra l’altro, che sembra contaminare lo stesso Pepe Escobar quando tende ad assimilare ed identificare la potenza politica e il confronto geopolitico con la competizione e la guerra economica. Per proseguire il ragionamento, la Cina però non ha ancora raggiunto una efficienza ed una dinamicità sistemica tale da poter competere ed eventualmente superare gli Stati Uniti. Soffre ancora di grandi aree ancora depresse e marginali e di un mercato interno insufficiente che solo con l’ultimo piano quinquennale sta cercando di alimentare. Il suo sviluppo tecnologico è ancora settoriale e spesso, dietro i marchi nazionali, nasconde ancora almeno parzialmente il controllo occidentale. Lo stesso dato sui brevetti acquisiti, citato trionfalmente dal saggista, può essere particolarmente fuorviante se non si analizza qualitativamente il fenomeno. Gode di una espansione commerciale estera rilevante se non ridondante, necessaria ad una sorta di accumulazione primitiva, ma non ancora supportata dalla necessaria influenza politica e potenza militare. Parrebbe adottare una modalità operativa più simile a quella delle potenze di fine ‘800, senza per altro gli eccessi interventisti di allora, piuttosto che a quelle ben più sofisticate messe a punto e in opera alla fine del secolo scorso. Quest’ultima, la potenza militare e la capacità di influenza politica, ha raggiunto un livello sufficiente tale da garantire la difesa efficace del paese che prescinda dalla deterrenza nucleare, ma non ha ancora un carattere offensivo e di presidio territoriale, specie dei mari, paragonabile a quello statunitense. Lo stesso progetto di relazioni ed influenza legato alla nuova “via della seta” inizia ad evidenziare importanti contraddizioni e limiti nel relativo sistema di relazioni intessuto con gli altri paesi. Per non parlare della contraddizione politico-economica tra un settore indutriale privato medio-piccolo dipendente ancora dalla tecnologia occidentale ed un sistema di grandi industrie di fatto ristrutturato e molto più autonomo tecnologicamente nonché degli scompensi ricorrenti misconosciuti tra una amministrazione centralizzata e i centri periferici politicamente molto influenti. Gli Stati Uniti d’altro canto, pur con gli scompensi enormi creati dalle delocalizzazioni, non possono essere considerati “un guscio vuoto dedito al gioco d’azzardo”. Più che di un declino assoluto, si deve parlare di un declino relativo tale da indurre in tempi non remoti ad un confronto dall’esito però assolutamente non predeterminato. La truce lotta politica in corso negli Stati Uniti ha assunto questo come posta in palio e da quell’esito dipendono in gran parte le dinamiche geopolitiche mondiali. Una maggior cautela e riserva di giudizio mi paiono quindi opportune._Germinario Giuseppe

Mai sprecare un’arma: la guerra ibrida degli Stati Uniti contro la Cina

Markus 23 Febbraio 2020 , 10:01 Armamenti, Armi batteriologiche, Cina, Deep State, Eurasia, Guerra, Opinione, Pandemia 329 Viste
Pepe Escobar strategic-culture.org
La politica delle nuove vie della seta, o Belt and Road Initiative (BRI), era iniziata con il Presidente Xi Jinping nel 2013, prima in Asia centrale (NurSultan) e poi nel sud-est asiatico (Jakarta).
Un anno dopo, l’economia cinese, a parità di potere di acquisto, aveva superato quella degli Stati Uniti. Inesorabilmente, anno dopo anno dall’inizio del millennio, la quota statunitense dell’economia globale si è andata riducendo, mentre quella della Cina è in costante ascesa.

La Cina è già il centro nevralgico dell’economia globale e il principale partner commerciale di quasi 130 nazioni.
Mentre l’economia degli Stati Uniti è un guscio vuoto e il modo, tipico dei giocatori d’azzardo, con cui il governo degli Stati Uniti si autofinanzia (i mercati dei pronti contro termine e tutto il resto) viene visto come un incubo distopico, lo stato della civiltà avanza in una miriade di aree della ricerca tecnologica, anche grazie al Made in China 2025.
La Cina supera di gran lunga gli Stati Uniti nel numero dei brevetti registrati e produce almeno otto volte più laureati STEM [Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica] all’anno rispetto agli Stati Uniti, guadagnandosi lo status di miglior contributore alla scienza globale.
Una vasta gamma di nazioni in tutto il Sud globale ha sottoscritto accordi per entrare a far parte della BRI, che dovrebbe essere completata nel 2049. Solo l’anno scorso, le aziende cinesi hanno firmato contratti per un valore di 128 miliardi di dollari per progetti di infrastrutture su larga scala in decine di nazioni.
L’unico concorrente economico degli Stati Uniti è impegnato a ricollegare la maggior parte del mondo con la versione del 21° secolo, completamente interconnessa, di un sistema commerciale che era stato al suo apice per oltre un millennio: le vie della seta eurasiatiche.
Inevitabilmente, questa è una cosa che la classe dirigente statunitense non è assolutamente in grado di accettare.
Considerare la BRI come una “pandemia“

Mentre i soliti sospetti si arrovellano sulla “stabilità” del Partito Comunista Cinese (PCC) e dell’amministrazione Xi Jinping, il fatto è che la leadership di Pechino ha dovuto affrontare tutta una serie di problemi estremamente gravi: un’epidemia di influenza suina che ha ucciso la metà dei capi, la guerra commerciale voluta da Trump, la Huawei accusata di estorsione e prossima ad essere esclusa dall’acquisto dei chip prodotti negli Stati Uniti, l’influenza aviaria, il coronavirus che ha praticamente bloccato metà della Cina.
Aggiungeteci l’incessante raffica di propaganda da guerra ibrida del governo degli Stati Uniti, superata solo da una massiccia dose di sinofobia; tutti, dai “funzionari” sociopatici ai consiglieri autonominatisi, stanno consigliando alle imprese di spostare le catene di approvvigionamento globale al di fuori della Cina o si lanciano in vere e proprie richieste di cambio di regime, con ogni possibile forma di demonizzazione intermedia.
In questa offensiva totale, tutto è permesso per tirare calci al governo cinese mentre è a terra.
Alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, una nullità del Pentagono definisce, ancora una volta, la Cina come la più grande minaccia, economicamente e militarmente, per gli Stati Uniti e, per estensione, all’Occidente, costringendo una UE traballante e già subordinata alla NATO a sottomettersi ulteriormente a Washington in questo remix di Guerra Fredda 2.0.

L’intero complesso dei media aziendali statunitensi ripete fino allo sfinimento che Pechino sta “mentendo” e sta perdendo il controllo. Scendendo ai livelli più bassi e razzisti, questi scribacchini arrivano ad accusare la stessa BRI di essere una pandemia, con la Cina “impossibile da mettere in quarantena.”
Tutta roba forte, per non dire altro, che arriva dagli schiavi generosamente ricompensati di un’oligarchia senza scrupoli, monopolistica, estrattiva, distruttiva, depravata, criminale, che usa il debito in modo offensivo per aumentare la propria ricchezza e il proprio potere, mentre le masse proletarie statunitensi e globali sono costrette ad usare il debito in modo difensivo, per cercare di sopravvivere. Come ha dimostrato in modo conclusivo Thomas Piketty, la disuguaglianza si basa sempre sull’ideologia.
Siamo immersi in una feroce guerra di informazioni. Dal punto di vista dell’intelligence cinese, l’attuale cocktail tossico non può essere semplicemente attribuito ad una serie casuale di coincidenze. Pechino ha seri motivi per considerare questa straordinaria catena di eventi come parte di una guerra ibrida coordinata, un attacco alla Cina a tutto campo.
Prendiamo l’ipotesi di lavoro del Dragon Killer: un attacco con un’arma biologica in grado di causare immensi danni economici ma protetta da una plausibile negabilità. L’unica mossa possibile da parte della “nazione indispensabile” sulla scacchiera del Nuovo Grande Gioco, considerando che gli Stati Uniti non possono battere la Cina con le armi convenzionali e non sono in grado di vincere una guerra nucleare contro di essa.

Un’arma da guerra biologica?
All’apparenza, il coronavirus è un’arma biologica da sogno per coloro che sono intenzionati a provocare il caos in tutta la Cina nella speranza di un cambio di regime.
E’ comunque una cosa complicata. Questo articolo fa uno sforzo decente nel tentativo di tracciare le origini del coronavirus. Confrontalo ora con le intuizioni del Dr. Francis Boyle, professore di diritto internazionale presso l’Università dell’Illinois e autore, tra gli altri, di Biowarfare and Terrorism. È la persona che aveva redatto la bozza della proposta di legge antiterrorismo sulle armi biologiche degli Stati Uniti del 1989, approvata da George H. W. Bush.
Il dottor Boyle è convinto che il coronavirus sia un’arma offensiva da guerra biologica uscita dal laboratorio di Wuhan BSL-4, anche se “non dice che era stato fatto deliberatamente.”
Il Dr. Boyle aggiunge: “Tutti questi laboratori BSL-4 di Stati Uniti, Europa, Russia, Cina, Israele sono stati fatti per ricercare, sviluppare, testare agenti per la guerra biologica. In verità, non vi è alcun motivo scientifico legittimo per avere laboratori BSL-4.” A tutto il 2015, le sue stesse ricerche sulle armi batteriologiche erano arrivate a far spendere al governo degli Stati Uniti la bellezza di 100 miliardi di dollari: “Abbiamo oltre 13.000 presunti scienziati che dovrebbero occuparsi di medicina e che qui, negli Stati Uniti, … testano armi biologiche. In realtà, questo va molto indietro nel tempo, anche prima dell’11 settembre.”

Il Dr. Boyle accusa direttamente “il governo cinese di Xi e dei suoi compagni” di una copertura “fin dall’inizio. Il primo caso segnalato si era verificato il 1° dicembre, e avevano temporeggiato fino a quando non era stato più possibile. E tutto ciò che vi stanno dicendo è una bugia. È propaganda.”
Per il Dr. Boyle anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è d’accordo: “Hanno approvato molti di questi laboratori BSL-4 (…) Non potete fidarvi di ciò che dice l’OMS perché sono tutti comprati e pagati da Big Pharma e lavorano in combutta con il CDC [Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie], che è il governo degli Stati Uniti e lavorano in combutta con Fort Detrick.” Fort Detrick, ora un laboratorio all’avanguardia per la guerra biologica, in precedenza era un noto centro di ricerca della CIA per gli esperimenti sul controllo mentale.
Basandosi su decenni di ricerca nel campo della guerra biologica, il Deep State statunitense ha una notevole familiarità con tutta la gamma delle armi biologiche. Da Dresda, a Hiroshima e Nagasaki alla Corea, al Vietnam e a Falluja, i dati storici mostrano che il governo degli Stati Uniti non batte ciglio quando si tratta di scatenare armi di distruzione di massa su civili innocenti.
Da parte sua, la Defense Advanced Research Project Agency (DARPA) del Pentagono ha investito una fortuna nelle ricerche sui pipistrelli, sui coronavirus e sulle armi biologiche per l’editing genico. Guarda caso, proprio adesso, come se questa fosse una forma di intervento divino, gli “alleati strategici” della DARPA sono stati scelti per sviluppare un vaccino genetico.
La Bibbia dei Neoconservatori del 1996, il Progetto per un Nuovo Secolo Americano (PNAC), affermava in modo inequivocabile che “le forme avanzate di guerra biologica in grado di ‘colpire’ genotipi specifici possono far uscire la guerra biologica dal regno del terrore e trasformarla in uno strumento politicamente utile.”
Non c’è dubbio che il coronavirus, finora, sia stato uno strumento politicamente utile inviato dal Cielo, permettendo di raggiungere, con il minimo investimento (rafforzato da un’offensiva propagandistica senza sosta), gli obiettivi della massima potenza globale, gli Stati Uniti, mentre la Cina si è ritrovata relativamente isolata e con l’economia semi paralizzata.
Però bisogna vedere le cose in prospettiva. Il CDC ha stimato che durante la stagione influenzale 2018-2019, negli Stati Uniti si erano ammalate 42,9 milioni di persone. 647.000 erano state state ricoverate in ospedale. 61.200 erano morte.
Questo articolo descrive in dettaglio la “guerra popolare” cinese contro il coronavirus.
Tocca ai virologi cinesi decodificare la sua origine, probabilmente sintetica. Il modo in cui la Cina reagirà, a seconda dei risultati, avrà conseguenze sconvolgenti, letteralmente.
Preparare il palcoscenico per i Ruggenti Anni Venti

Dopo essere riusciti, a loro vantaggio, a trasferire in Eurasia le catene di approvvigionamento commerciali e a svuotare il continente americano, le élite statunitensi (e quelle occidentali subordinate) stanno ora fissando il vuoto. E il vuoto sta guardando verso di loro. Un “Occidente” guidato dagli Stati Uniti si trova ora di fronte all’irrilevanza. La BRI è in procinto di invertire almeno due secoli di dominio occidentale.
In nessun modo l’Occidente e soprattutto il “leader di sistema,” gli Stati Uniti, lo consentiranno. Tutto era iniziato con le operazioni sporche che avevano causato problemi nella periferia dell’Eurasia, dall’Ucraina alla Siria al Myanmar.
Ora è il momento in cui il gioco si fa davvero duro. L’assassinio mirato del Magg. Gen. Soleimani e in più il coronavirus, l’influenza di Wuhan, hanno davvero preparato il palcoscenico per i Ruggenti Anni Venti. In realtà, il nome giusto dovrebbe essere WARS, Wuhan Acute Respiratory Syndrome. Questo smaschererebbe immediatamente il gioco, facendo capire che si tratta di una Guerra contro l’Umanità, indipendentemente dalla sua provenienza.
Pepe Escobar
Fonte: strategic-culture.org Link: https://www.strategic-culture.org/news/2020/02/21/no-weapon-leftbehind-the-american-hybrid-war-on-china/

https://comedonchisciotte.org/mai-sprecare-unarma-la-guerra-ibrida-degli-stati-uniti-contro-la-cina/

Coronavirus e struzzi politicamente corretti, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto la pubblicazione di alcune incisive considerazioni di Andrea Zhok e Vincenzo Cucinotta, tratti da facebook, riguardanti le implicazioni e la gestione di una eventuale se non probabile diffusione epidemica o peggio pandemica del coronavirus. L’argomento meriterà sicuramente ulteriori riflessioni sulla falsariga di quanto sottolineato da Zhok e sostenuto a più riprese, ormai da anni, da questo blog a proposito della fragilità e della sempre più incipiente crisi di un sistema globalizzato di relazioni fondato su una visione unipolare ed economicistica del sistema di relazioni. Al momento preme sottolineare due aspetti della gestione casereccia di questa situazione di crisi.

  • L’atteggiamento della stampa e del sistema di informazione nella loro quasi totalità. I telegiornali ormai dedicano pressoché le intere edizioni alla crisi in atto. In realtà non fanno che soffermarsi ossessivamente sul numero dei casi, sulla condizione dei pazienti e sulle misure di isolamento dei soggetti e delle comunità implicati. Nessuna seria azione di vigilanza, puntualizzazione e critica dell’azione governativa a cominciare dalla verifica dei poteri di vigilanza e di efficacia di azione conferiti alla Protezione Civile e agli altri organismi preposti. Con il pretesto di evitare di concedere spazio alla strumentalizzazione politica, in parte effettiva, operata in particolare da Matteo Salvini, non fa che riportare pedissequamente e diligentemente l’azione governativa. Un atteggiamento di apparente neutralità ed oggettività che nasconde la funzione surrettizia di sostegno politico a questi ultimi; una mistura esplosiva di allarmismo sterile e conformismo politico innescata da un meccanismo a scoppio ritardato dalle conseguenze potenzialmente disastrose.
  • L’atteggiamento delle forze al governo. La preoccupazione primigenia di costoro è stata quella di lanciare “messaggi di inclusione” a contrasto e in polemica con un razzismo di fatto inesistente e irrilevante, almeno per il momento, nel nostro paese. Una strumentalizzazione politica peggiore di quella degli avversari e un messaggio che rischia di sminuire l’azione individuale di prevenzione. Lasciamo perdere per il momento il tema del ridimensionamento, deperimento delle strutture amministrative e di servizio del paese. Con tutti gli strumenti invasivi di controllo individuale disponibili, legati all’uso di carte di pagamento, di pedaggi e prenotazioni e via dicendo, pare che siano stati utilizzati strumenti più approssimativi e informali di individuazione dei focolai primigeni con conseguenti ritardi e carenze che costringeranno probabilmente a modificare la natura e la drasticità degli interventi futuri riguardo ad una patologia preoccupante più che per la mortalità per la contagiosità e l’oneroso trattamento medico necessario in buona parte dei casi il cui corso potrebbe portare al collasso il sistema ospedaliero.

Non pare, quindi, per chiosare Zhok, che il Governo sia consapevole della posta in palio e se lo è preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto piuttosto che andarsene.

Andrea Zhok

Qualche osservazione sparsa e da profano sugli ultimi eventi relativi al ‘coronavirus’.

1) Il problema fondamentale rappresentato da una possibile epidemia di Covid-19 non sta nella mortalità, che è di poco superiore ad una normale influenza, ma nella pesantezza del decorso, che richiede spesso ricovero ospedaliero.

2) Quindi l’impatto problematico del Covid-19 si manifesta (potenzialmente) in primo luogo sulle strutture ospedaliere, che incidentalmente sarebbero lì per occuparsi di una pluralità di problemi, e che si possono trovare rapidamente al collasso. – In quest’ottica si comprende sia la sollecitudine (e mostruosa efficienza) cinese nella costruzione di nuovi ospedali, sia la preoccupazione di molti operatori ospedalieri italiani in un settore scarnificato dai tagli negli ultimi anni.

3) In seconda battuta, l’impatto del Covid-19 è particolarmente severo sull’intero sistema delle transazioni, sul ‘libero movimento di merci e persone’. In quest’ottica poche cose illustrano in modo più plastico di questa epidemia il sistema di interconnessioni ed interdipendenze globali. Al contempo ciò mostra l’immensa strutturale fragilità di sistemi produttivi così estesi, che dopo essere stati più volte messi sotto accusa per le ripercussioni ambientali di questa ‘frenesia di movimento’, e per le loro ripercussioni in termini di destabilizzazione economica (delocalizzazioni, ecc.), ora mostrano anche la corda nei termini di fragilità del controllo nazionale (quando il controllo nazionale è l’unica cosa cui puoi ricorrere, come in caso di epidemia).

4) Nel caso italiano temo che il rischio di essere il vaso di coccio del sistema sia altissimo. Paesi come la Cina giocano le loro carte sull’export, ma hanno un forte controllo nazionale, e ciò gli consentirà plausibilmente, nonostante una situazione inizialmente assai più grave, di rimettersi in carreggiata tra uno o due mesi. Se la curva dei contagi, come sembra, continua a ridursi, la Cina riprenderà (non senza strascichi) il suo ruolo attuale di ‘fucina del mondo’.
Altri paesi, come gli USA, hanno un mercato interno forte, che risentirà relativamente di eventuali prolungate interruzioni delle ‘supply chains’ mondiali.
I paesi europei sono quelli destinati a soffrire di più nel caso di un prolungarsi od aggravarsi della situazione, e l’Italia più di tutti, perché dipende più di ogni altro dalle proprie relazioni internazionali (sia come export, che come settore turistico).

5) Sul piano strettamente empirico, in Italia, in questo quadro c’è un particolare che finora mi sembra curiosamente assente dalla discussione. Siamo di fronte a due focolai distinti, di cui uno ha un possibile paziente zero (ma per ora non confermato), mentre nell’altro caso non mi risulta che ci sia alcun paziente zero.
Ora, la mancata individuazione dei focolai originanti dell’infezione è un evento di straordinaria gravità. Se il/i soggetto/i che diffonde il virus non viene isolato può contagiare un numero indefinito di persone, che visti i tempi di incubazione (da 2 a 15 giorni, sembra), potrebbe provocare una condizione pandemica in capo a un paio di settimane.

Ci si potrebbe trovare, e non è una proiezione particolarmente pessimistica, con una situazione di dimensioni ‘cinesi’. Scarsa consolazione sembra provenire dalla presunta stagionalità del virus, giacché a quanto pare si sta diffondendo anche in aree calde. Un quadro del genere può significare per l’Italia essere tagliati fuori come anelli dell’approvvigionamento europeo e come destinazione turistica.

Il tutto in una cornice già economicamente logorata e socialmente tesa.

E, per inciso, senza la possibilità di poter ricorrere a pratiche di autofinanziamento statale (per la ben nota deprivazione della potestà sulla propria erogazione di moneta).

Direi la tempesta perfetta.

Spero vivamente che chi ci governa abbia chiaro davanti agli occhi questo scenario, al momento non solo di principio possibile, ma significativamente probabile. Non è un momento in cui si può aspettare e stare a vedere cosa succede, per poi metterci delle toppe. Le toppe sono già quasi finite, e potremmo essere solo all’inizio.

 Vincenzo Cucinotta

Conte dice “stiamo facendo tutto il possibile”.
Il punto è che non si fa mai tutto il possibile, perchè se ciò che si fa esaurisce tutto il possibile, allora, non ci sarebbe nulla da decidere.
Quel Conte mi pare l’emblema stesso di questo aspetto più ignobile dell’italianità, questa approssimazione, questo volemose bene, uno che dice che gli italiani possono stare tranquilli perchè il governo sta facendo del suo meglio.
Vedo che non ci sono grandi consensi alla mia posizione “estrema”, cioè affrontiamo il contagio senza illuderci di poterlo contenere, ma credo che non sia chiaro che ogni battaglia che si intraprende, lo si fa per vincerla.
Mi chiedo allora coloro che sono nel panico per ogni possibile estensione del contagio, a quali sacrifici estremi siano pronti, a rimanere barricati in casa fino a esaurimento delle scorte, e poi affidarsi a lanci di derrate alimentari da elicotteri? Non so, non capisco, forse non è chiaro a tutti che ormai abbiamo una pluralità di fonti di contagio, molte delle quali tuttora ignote, e ognuna di queste può rapidamente dar luogo a numerosissime fonti di contagio. Come possiamo davvero credere che si riesca a controllarle tutte?
Mi chiedo se siano così scemi o se siano solo furbi, e invece di puntare a delimitare il contagio, stiano solo tentando di difendere la propria immagine dicendo appunto che “hanno fatto tutto il possibile”. A noi, che facciano tutto il possibile non interessa per niente, vogliamo risultati, e quindi se qualcuno ha un’idea in proposito, che adottino una strategia ben definita e articolata, sennò sarebbe meglio che non facessero nulla, il possibile di cui parlano può essere molto pernicioso.

http://www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-31/14163

Lega Nord e Unione Europea, a cura di Giuseppe Germinario

Continuiamo ad affrontare il tema del sistema di relazioni tra i paesi europei. E’ la volta della mozione congressuale presentata da Giancarlo Giorgetti ed approvata al Congresso della Lega Nord del maggio 2017. Si tratta probabilmente del testo più critico e compiuto tra le elaborazioni prodotte dai partiti presenti in parlamento. Il documento non si limita ai soliti cavalli di battaglia: la politica monetaria, quella di austerità e la moneta unica.  Appare però incerto sulla natura delle istituzioni europee e glissa sulla postura geopolitica di tali realtà. Rimane il problema dei passi necessari ad affrontare con buone probabilità di successo il conseguente confronto e scontro politico. Non è poco alla luce di quanto già successo in Grecia con Tsipras, con la Brexit in corso e con i recenti aggiustamenti nella Lega di Salvini._Giuseppe Germinario

MOZIONE CONGRESSUALE N° 4

Presentata da Giancarlo Giorgetti – Presidente Lega Nord – Lega Lombarda

VERSO UNA NUOVA ALLEANZA DI NAZIONI E POPOLI EUROPEI LIBERI E SOVRANI

CONSIDERATO: A. che sessant’anni fa nasceva l’Unione Europea, soggetto politico che, oggi, ha tradito i propri scopi di “promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli” mirando “alla piena occupazione e al progresso sociale” ;

B. che oggi in Europa si contano 120 milioni di disoccupati , dei quali 116 milioni vivono nell’eurozona, con una cronaca impietosa di fabbriche che chiudono e produzioni storiche smantellate, di lavoratori licenziati, con famiglie sul lastrico e grandi tensioni sociali;

C. che, per la prima volta, in Europa assistiamo ad un saldo negativo del tasso di natalità tra la popolazione residente, e che la domanda interna è sostenuta sempre di più ricorrendo, ed erodendo, il risparmio delle famiglie;

D. che l’Unione Europea ha modellato, attraverso l’euro e le regole monetarie da un lato e l’accondiscendenza nei confronti dell’immigrazione di massa dai Paesi extracomunitari dall’altro, un modello di sviluppo che basa la sua competitività sulla compressione dei salari e sull’eliminazione dei principali diritti sociali, costringendo interi settori produttivi a dover competere a prezzi analoghi a quelli delle aree meno avanzate del mondo;

E. che le regole monetarie sulle quali si basa l’Euro e gli stessi parametri di Maastricht non sono rispettati da alcuni Stati membri con la più completa connivenza delle Istituzioni europee e degli istituti di vigilanza, amplificando così il loro vantaggio competitivo e di surplus commerciale nei confronti degli altri Paesi dell’UE;

F. che l’UE ha manifestamente dimostrato di interferire direttamente nei processi democratici elettorali di alcuni Stati membri con la propria esposizione a favore di capi di Governo, anche non eletti dai cittadini europei, che portassero avanti le “riforme necessarie” e applicassero le regole di austerità utili alle proprie politiche monetarie;

G. che queste ultime, pubblicizzate all’opinione pubblica come necessarie al contenimento del debito degli Stati, implicano l’impossibilità per gli stessi di intervenire direttamente non solo nei settori privati dell’economia, ma anche per l’erogazione dei servizi pubblici fino alle situazioni di emergenza come le calamità naturali, e che, a questa stregua, qualsiasi Governo, indipendentemente dall’orientamento politico, è di fatto ingessato nella propria azione e nella tutela degli interessi dei propri cittadini e del loro futuro;

H. che, di fatto, è in atto una sostituzione delle popolazioni residenti attraverso l’immigrazione di massa incontrollata; questa, oltre ad essere funzionale al modello di sviluppo dell’UE, rappresenta uno dei principali vettori per il terrorismo islamico e pregiudica la possibilità di dedicare adeguata protezione ai rifugiati e a chi merita diritto di asilo (3% del totale, il resto sono dunque immigrati economici);

I. che l’UE, a causa di una produzione normativa eccessiva e rispondente agli interessi di pochi grandi gruppi multinazionali, ha distorto il concetto e il sistema stesso delle regole del Mercato Interno impedendo che i consumatori e le piccole e medie imprese legate al territorio in cui operano potessero giovare dell’indicazione di origine obbligatoria sui prodotti; che le norme europee non permettono lo sviluppo di appalti a beneficio delle aziende locali e la limitazione di pratiche pericolose come il ricorso eccessivo allo strumento del sub-appalto e che l’UE, forte delle prerogative conferitele dai Trattati, non permette agli Stati e alle Regioni di supplire in ragione del principio di sussidiarietà a queste gravi mancanze;

J. che la Commissione Europea ha competenza esclusiva in materia di politica commerciale e che, anziché concentrare la propria attenzione sulla protezione anti-dumping per combattere la concorrenza sleale di chi penetra i nostri mercati non rispettando alcuna regola sociale e ambientale e ricevendo sovvenzioni pubbliche, al contrario, negozia senza soluzione di continuità nuovi accordi di libero scambio che si rivelano pericolosi per la salute dei consumatori e per la tenuta del tessuto di piccole e medie imprese fondamentale per i nostri territori, prevaricando, inoltre, le competenze di Stati Membri e Regioni con potestà legislativa specialmente in materia di tutela, informazione e salute dei cittadini;

K. che la prima parte della nostra Costituzione definisce il modello sociale dove si parla di “lavoro” e non di mercato, e che questo entra in contrasto con l’obbiettivo di una “economia sociale di mercato” sancito dai trattati europei che definisce un modello incompatibile con i principi fondamentali delle costituzioni scaturite dalla vittoria sul nazifascismo;

L. che i finanziamenti comunitari, lungi dallo svolgere il compito di compensazione degli squilibri fra le diverse Regioni d’Europa sono invece diventati un meccanismo che li ha amplificati a causa del principio del cofinanziamento, della strutturalità che li rende assai non flessibili e della condizionalità a politiche definite a Bruxelles, ovvero lontano dagli Stati Membri e ancor più lontano dalla Regioni che le subiscono senza poter incidere concretamente nella loro definizione;

M. che, di conseguenza, i cicli di programmazione pluriennale non soddisfano le priorità delle Regioni, ma rappresentano un controllo eterodiretto delle loro possibilità di spesa, un obbligo al conseguimento di obiettivi programmatici non condivisi, il tutto nell’ambito di una mancanza di flessibilità che non tiene in alcun modo conto del continuo mutare del contesto macro-economico;

N. che la programmazione delle politiche UE dei settennati, che ricorda molto da vicino i piani quinquennali sovietici, ha fallito nel suo obiettivo principale, ossia nella politica di coesione, come dimostrato dai dati macroeconomici fallimentari come quelli relativi alla mancata crescita e alla disoccupazione in specie quella giovanile;

O. che, nell’ambito di un processo iniziato a Maastricht nel 1992 e rafforzato inesorabilmente a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, i Parlamenti Nazionali e Regionali svolgono ormai gran parte della propria attività normativa per il recepimento e l’applicazione della normativa europea a carattere vincolante, con un contestuale ridimensionamento delle proprie politiche di bilancio al fine di rispettare il vincolo esterno;

P. che per rispondere ai limiti degli Stati nazionali non si può assecondare il disegno che ci vorrebbe parte di un “superstato” e che è necessario e urgente fare alcuni decisi passi indietro nel fallito processo di “integrazione europea” sovranazionale in favore di nuove forme di cooperazione tra Nazioni e Regioni europee libere e sovrane;

Q. che a seguito della “Brexit” l’Unione perderà i contributi di uno dei pochi (insieme all’Italia) contributori netti al bilancio UE e tenuto presente che i partiti e le lobbies europeiste hanno intenzione di proporre di utilizzare i seggi che saranno lasciati vacanti dai Parlamentari Europei Britannici per la creazione di un collegio elettorale “pan-Europeo”.

CONSIDERATO, ALTRESI:

R. che gli eventi storico-politici degli ultimi decenni hanno fatto sì che la Lega Nord in Parlamento Europeo abbia tenuto collocazioni diverse passando da una breve esperienza nel gruppo liberale ad una ancor più effimera con alcuni partiti autonomisti, alla compagine dei non iscritti, al gruppo dei nazionalisti e, in seguito, ad una prima famiglia di euroscettici per giungere, infine, sotto la Segreteria di Matteo Salvini, alla formazione di un gruppo autonomo composto da sovranisti, identitari ed autonomisti uniti dalla necessità politica che si riassume nel motto di “padroni a casa nostra” rispetto all’eurocrazia di Bruxelles;

S. che è dunque l’esigenza politica e le priorità delle diverse fasi storiche a “collocare naturalmente” la Lega Nord e le sue istanze autonomiste all’interno dei gruppi politici europei; che oggi è prioritario svincolarsi dalle appartenenze ideologiche per giocare un ruolo da protagonisti nel confronto tra globalizzazione e identità, tra l’interesse del grande capitale e quello dei popoli e delle loro peculiarità;

T. che i partiti indipendentisti in Parlamento Europeo – per ragioni diverse, scarsa collaborazione e differenze di ordine ideologico – siedono in Gruppi Politici differenti che vanno dall’estrema sinistra, ai Verdi, ai Popolari, all’Europa delle Nazioni e della Libertà (ENL) di Lega Nord e Vlaams Belang;

U. che essere critici nei confronti dell’Unione Europea non significa essere contro l’Europa, autarchici, isolazionisti; che il libero mercato, quando governato da regole giuste, è un valore inderogabile e i popoli continueranno a commerciare e scambiare le merci come è sempre avvenuto fin dall’alba del genere umano, ma su ritrovate basi di equa reciprocità, affinché i benefici possano ricadere sulla totalità dei cittadini e dei lavoratori;

V. che la pace e il benessere possono essere perseguiti efficacemente soltanto se viene ripristinato il corretto flusso della ricchezza, dall’alto verso il basso, dove la distribuzione viene garantita non certo da meccanismi di esproprio o di sussistenza imposti dall’alto (lo Stato, o un’entità sovranazionale a-democratica), bensì dal reddito da lavoro, ossia da un capitalismo nuovamente fondato sulla manifattura prodotta in loco: non più l’ingegneria finanziaria scatenata dalla “libera circolazione” del capitale, bensì l’industria e l’artigianato, i due fattori che hanno sancito l’affermazione della piccola Europa nel mondo;

W. che l’UE nella sua attuale conformazione è modellata per rispondere esclusivamente agli interessi del grande capitale trans-nazionale e delle grandi multinazionali, ovvero di soggetti che hanno la necessità di superare ogni confine Statale e Regionale per eliminare ogni diversità e peculiarità, per giungere alla completa omologazione e standardizzazione del Mercato Interno UE;

IL CONGRESSO FEDERALE

Il ruolo della Lega Nord

1. conferma con convinzione l’attuale collocazione della Lega Nord nel Gruppo ENL insieme ai partiti sovranisti, identitari e indipendentisti che ne fanno parte, pone l’obiettivo di allargarne gli orizzonti ai cosiddetti “Stati di Visegrad” e a tutti gli altri movimenti identitari ed eurocritici con la consapevolezza del fatto che finché l’attuale UE non sarà ricostruita, non vi sarà libertà né democrazia per i popoli Europei;

2. afferma con convinzione che, a partire dalla prossima legislatura europea, la Lega Nord e il Gruppo ENL dovranno porsi l’obiettivo di costituire una minoranza di blocco nei confronti di ogni azione ostile (legislativa e non) messa in atto da parte della burocrazia UE nei confronti degli Stati Membri e delle Regioni, specificando sempre che le alleanze del Movimento sono tattiche su punti precisi di programma e che l’impegno politico è finalizzato a rispondere alle esigenze dei popoli, svincolandosi da posizioni ideologiche e di parte; La necessità dell’avvio di una revisione dei Trattati

3. impegna il Movimento a richiedere, nelle sedi e nei modi consentiti, l’attivazione di una procedura di revisione ordinaria dei trattati volta a restituire sovranità agli Stati membri e alle Regioni con potestà legislativa, intervenendo 5 con abrogazione e/o modifica secondo le seguenti condizioni minime:

a) sovranità monetaria ed economica

  •  Unione Economica e Monetaria (UEM).
  •  Competenza esclusiva sulla politica commerciale.

b) sovranità territoriale

  • Principio di libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali.
  • Politica estera comune ossia del SEAE.
  • Ripristino del pieno controllo di ciascuno Stato sulle proprie frontiere, ossia abrogazione di Schengen e del regolamento di Dublino.

c) sovranità legislativa

  • Supremazia del diritto degli Stati membri su quello dell’Unione.
  • Corte di Giustizia dell’UE.
  • Personalità giuridica dell’UE, ossia del potere di concludere accordi internazionali a nome degli Stati membri.

 

d) ripristino della sussidiarietà

  • Riportare all’esclusiva competenza degli Stati membri la maggior parte delle competenze concorrenti e tutte le competenze di sostegno.
  • Accrescere il potere di controllo dell’applicazione del principio di sussidiarietà e proporzionalità in capo ai parlamenti nazionali e alle Regioni.

4. sottolinea la necessità di tornare quantomeno allo status pre-Maastricht, ovvero a una forma di libera e pacifica cooperazione tra Stati di natura prettamente economica; ritiene tuttavia indispensabile una profonda correzione del funzionamento del mercato interno, tesa a: debellare i fenomeni di dumping interno all’Unione, a cominciare dalle norme sulla mobilità dei lavoratori; abolire le norme aliene alle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri; arrestare l’eccesso di omologazione, che uccide le biodiversità e favorisce unicamente le produzioni su scala multinazionale. Un sistema di regole a misura delle nostre imprese

5. sostiene la necessità di ridisegnare il Mercato Interno per puntare allo sviluppo e all’innovazione salvaguardando al contempo le caratteristiche di alto livello degli standard produttivi europei e per valorizzare la qualità del nostro “saper fare” e delle nostre eccellenze industriali e agro-alimentari;

6. chiede con forza che l’Unione riduca e semplifichi il complesso sistema di regole che rende sempre più difficile raggiungere il vero potenziale del Mercato Interno UE e che la Lega Nord continui l’impegno per giungere a una vera indicazione di origine obbligatoria sui prodotti destinati ai consumatori a tutela dei produttori onesti e quale strumento fondamentale per rendere efficace la lotta contro la contraffazione, la violazione dei marchi e la circolazione del falso “made in Italy”;

7. denuncia la volontà politica da parte della Commissione Europea di non tutelare i legittimi interessi di chi sceglie di non delocalizzare altrove la propria produzione attraverso accordi di libero scambio e sistemi di preferenze commerciali dannosi per il nostro sistema industriale ed agricolo e sottolinea, inoltre, come in questo ambito occorra al più presto istituire, sul modello Statunitense, un sistema di regole per la promozione del consumo e dell’acquisto locale, e norme di difesa commerciale efficaci, rapide e severe. Più democrazia e coinvolgimento dei territori

8. esorta il Movimento a supportare tutte le iniziative volte alla definizione di una nuova “governance” per un maggiore controllo democratico sulle istituzioni europee, assegnando al Parlamento il potere d’iniziativa legislativa, anche parziale , garantendo alle Regioni una rappresentanza effettiva, attraverso l’elezione del Parlamento su base regionale ; ciò permetterebbe alle Regioni di mediare in maniera effettiva con gli Stati rappresentati nel Consiglio, anche in sede di iter legislativo;

9. evidenzia l’opportunità di valutare l’istituzione di un nuovo strumento di cooperazione militare che superi la NATO, a esclusivo scopo di mutua difesa e di deterrenza verso l’esterno , con la conseguente creazione di una filiera industriale 8 di sistemi d’arma “made in Europe” la quale sarebbe parte del rilancio dell’industria di alta gamma necessario al fine della ripartenza della domanda interna grazie all’aumento dei salari;

Meno denaro, meno sprechi, più sussidiarietà, più autonomia

10. chiede che il Movimento imponga la massima attenzione nei confronti della programmazione UE post 2020 e sottolinea che il mancato apporto del contributo Britannico dovrà imporre una conseguente riduzione della dotazione finanziaria del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale;

11. afferma che, contrariamente alla volontà che sta emergendo da parte della Commissione Europea, si dovrà evitare ogni ulteriore accentramento decisionale o passaggio di competenze a Bruxelles e che l’intera programmazione dovrà essere ridotta a quanto davvero necessario per obiettivi di sviluppo e innovazione realizzabili;

12. chiede con forza che la contribuzione che ogni Stato destina al funzionamento generale dell’UE sia notevolmente ridotta, che i seggi che saranno lasciati vacanti dai Parlamentari Europei Britannici siano eliminati e si oppone alla costituzione di qualsivoglia collegio pan-europeo che non risponderebbe al controllo dei cittadini e ai loro bisogni di rappresentanza e vicinanza tra elettore ed eletto. L’opzione inevitabile senza riforme è l’uscita

13. avverte tuttavia che, in assenza di condizioni o di volontà politica affinché questi passaggi siano decisi in maniera concordata tra gli Stati membri, allora come misura estrema non resterà che l’alternativa di un negoziato bilaterale tra Italia e UE ricorrendo alla clausola di rescissione ; avverte inoltre che, a differenza del Regno Unito, l’Italia è soggetta a molti più vincoli, derivanti dall’appartenenza alla zona euro, per cui spetterà al Governo italiano adottare contestualmente tutti i provvedimenti necessari e urgenti, secondo i poteri affidatigli dalla Costituzione, per permettere all’Italia di affrontare il negoziato in una posizione che non sia di svantaggio o sudditanza, come accaduto per la Grecia.

Il Presidente Nazionale Lega Nord – Lega Lombarda

Giancarlo Giorgetti

Il Deep State contro Roger J. Stone, Jr: A Cautionary Tale, di Christian Josi

Qui sotto un articolo pubblicato sul periodico Townhall con un resoconto sufficientemente dettagliato e attendibile della vicenda giudiziaria, una vera e propria feroce persecuzione, nella quale è incappato Roger Stone. L’inaudita violenza della campagna mediatica e giudiziaria di questi anni non ha realizzato l’obbiettivo più ambito: la defenestrazione e la neutralizzazione del Presidente Trump. Ne hanno pesantemente condizionato e limitato l’indirizzo e l’agibilità politica costringendolo ad azioni contraddittorie e a legami politici che hanno pesato soprattutto nelle sue scelte di politica estera.  Non potendo eliminare il protagonista, le attenzioni più livide si sono rivolte ai personaggi determinanti che hanno costruito l’ascesa politica di Trump, Roger Stone, che gli hanno offerto supporto di relazioni, Paul Manafort, che gli avrebbero consentito solide basi di sostegno negli apparati di sicurezza e maggiore coerenza in politica estera rispetto ai proclami della campagna presidenziale, il generale Flynn. Una condotta spietata, indice di uno scontro politico feroce, inedito nella sua virulenza e durata, che ha come posta in palio il riconoscimento o meno di un mondo multipolare ormai in atto e la individuazione e le modalità di contrasto degli avversari strategici della potenza americana. Trump al momento è riuscito a venirne fuori pur  se a caro prezzo e riuscirà a contendere a fine anno la presidenza. Con le forze disponibili ha iniziato a reagire, tardivamente, con un vero e proprio repulisti di alcuni apparati importanti (NSC), ma senza disporre di sufficienti ed affidabili ricambi. Ha cominciato a chieder conto anche all’estero, anche in Italia, questa estate delle collusioni nelle macchinazioni ai suoi danni, come nell’affare Mifsud. Alcuni articoli sulla stampa estera,   https://www.telegraph.co.uk/news/2020/02/13/joseph-mifsud-mysterious-professor-trump-russia-scandal-heard-crossfire/?fbclid=IwAR0_pRqbHt9Y6maavGA7Z2utVUUzCowcEGtxdbna7q-RxDJvsjoJGZTXHFY  e nazionale https://www.lastampa.it/topnews/economia-finanza/2020/02/12/news/link-university-gli-affari-a-londra-con-il-falso-arcivescovo-1.38455817?fbclid=IwAR0wTALMQKU5dzxEIJi8TvUZnCqKWaSTPlYSuSclY4TYkLCdq2rjgRFurHQ sembrano il preannuncio di nuove attenzioni nei prossimi giorni, questa volta più circostanziate verso alcuni alti funzionari pubblici, di chiamate a correo e di denuncia delle ovvie  coperture politiche di tali azioni. Alcune di tali coperture ormai troppo al sicuro nei corridoi comunitari di Bruxelles, altri un po’ più esposti e vulnerabili per i riconoscimenti ostentati nell’ultima cena presidenziale di qualche anno fa. Trump è il Presidente degli Stati Uniti, insediatosi per affermare gli interessi degli Stati Uniti secondo il punto di vista di una elite alternativa in via di formazione di quel paese. La virulenza di quello scontro politico e le stesse offerte di una componente di quel teatro, prospettate più o meno esplicitamente, specie nel campo di azione del Mediterraneo, avrebbero potuto essere opportunità di un ricambio positivo di classi dirigenti nel nostro paese. Manca purtroppo la componente soggettiva in grado di cogliere le occasioni. Gli sviluppi dei prossimi giorni potrebbero essere una delle residue circostanze in una congiuntura destinata a chiudersi, in un modo o nell’altro, con le prossime elezioni americane, verso una direzione più definita e delimitata. Il ceto politico alternativo, o presunto tale, sorto in questi ultimi anni in Italia, sembra percorrere ancora una volta una strada opposta e subire il richiamo della foresta ai primi contraccolpi, già così traumatici per soggetti così fragili. Da una parte  torna a prevalere il richiamo e il vincolo europeista. Giancarlo Giorgetti così recita “Il punto è che farà la Cdu-Csu. Andrà a sinistra, verso verdi e socialisti? O si alleerà con i liberali? Da questo dipenderà la politica europea del Partito popolare. E noi dobbiamo essere “potabili” quando arriverà il momento” https://www.corriere.it/politica/20_febbraio_13/resteremo-nell-euro-migranti-si-collaboriora-bruxelles-ha-capito-ed945cec-4e9f-11ea-977d-98a8d6c00ea5.shtml?fbclid=IwAR0_zSZ2S_7Hn_8AV5TgCB-TVwG9PP1822fEZQCNoF07TvJ_rGxKFwqJhxg   

Rivelatore, oltre le intenzioni, l’aggettivo “potabile”. Non si tratta più di essere digeribili, assimilabili, metabolizzabili; bisogna diventare non inquinati, depurati e non tossici, con componenti da eliminare. E’ vero che qualcosa sta cambiando nella UE e nella sua politica economica; molto meno nella collocazione internazionale dei paesi europei. E’ ancora più vero che i cambiamenti che si preannunciano continuano a prevedere il sacrificio del nostro paese senza neppure la sponda offerta in questi ultimi due anni. Su questa base più che un partito nazionale e patriottico, può risorgere un movimento localista sostenitore di un federalismo d’accatto, privo però di uno stato centrale degno di questo nome. L’infamia dell’autorizzazione a procedere ai danni del Ministro dell’Interno Matteo Salvini rappresenta un passo di tale normalizzazione.

Dall’altro un movimento nazionalista fondato sulla religione, su dio e sulla civiltà. La nazione costituita dal popolo eletto che solo una costruzione politica su base religiosa come quella di Israele può permettersi di reggere pur con enormi costi politici e la forza di un paese a postura imperiale può sostenere. Non a caso che l’esplicitazione di un tale orientamento sia scaturita dalla recente partecipazione ad un convegno della Fondazione “Edmund Burke”. Ci aveva già provato tempo fa in Italia e in Europa con scarso successo Bannon; questa operazione appare oggi più promettente. Una base culturale ed ideologica, fideistica, manipolatoria ed elitaria, a dispetto dei reiterati appelli al popolo, da cui era riuscito a rifuggire in gran parte persino il fascismo di Benito Mussolini. Dubito che Giorgia Meloni riesca ancora a cogliere le pesanti implicazioni politiche e geopolitiche di un tale approccio culturale. 

Quello che una volta di più appare chiaro è che ci troviamo in un paese ormai drammaticamente povero di cultura e di cultura politica propria in particolare, ignaro della propria esperienza e tradizione millenaria. Un humus dal quale, più che una classe dirigente ambiziosa e consapevole dei propri limiti, può sorgere e proliferare un ceto politico remissivo e prostrato, il cui rappresentante più mellifluo appare il nostro PdC oppure un ceto tribunizio vittima del proprio impeto cieco e/o del proprio trasformismo più o meno consapevole. Entrambi in cerca di casa come profughi; entrambi però appesi voluttuosamente alla lenza dei pescatori più pazienti ed intraprendenti_Giuseppe Germinario

 

The Deep State contro Roger J. Stone, Jr: A Cautionary Tale

Scritto da Christian Josi | Fonte: TownHall | 14 febbraio 2020 19:01

The Deep State contro Roger J. Stone, Jr: A Cautionary Tale

La condanna del mio amico e collega Roger Stone è fissata per la prossima settimana a Washington, DC, e il circo che lo assedia è già in piena attività.

Questo caso, o la “strada ferrata”, come viene chiamato più appropriatamente, era concluso prima che iniziasse. Non avrebbe mai avuto una conduzione adeguata in questa sede, con questa giuria e soprattutto con il Giudice di Obama, Amy Berman Jackson e il fosco equipaggio dei pubblici ministeri del Deep-State sul caso (beh, in precedenza sul caso da quando tutti hanno lasciato questa settimana; ma perché Roger ha effettivamente preso una pausa quando il Presidente giustamente si è alzato in piedi per lui). È qualcosa che dovrebbe disturbare terribilmente tutti gli americani, indipendentemente da come potrebbero vedere Roger. Comunque, ho pensato che sarebbe stato un buon momento per rivisitare la narrazione ed evidenziare il modo brutto, vendicativo e davvero incostituzionale in cui questo affare si è svolto.

Come risultato del blackout mediatico sulle “notizie false” riguardanti l’accusa di Stone da parte di Robert Mueller e del Dipartimento di Giustizia (DOJ), pochi americani comprendono come e perché il consulente politico e lealista di lunga data di Trump è stato condannato per aver mentito al Congresso, quanto sia fragile il castello di accuse contro di lui e il modo in cui è stato trascinato in un processo in stile sovietico a Washington, DC, durante il quale il giudice ha precluso ogni efficace linea di difesa e ha accuratamente impilato una giuria anti-Trump composta completamente da democratici liberali.

Roger Stone è, come noto, il veterano stratega repubblicano, autore di bestseller del New York Times, esperto e consulente di lunga data della Trump Organization.

È un ex assistente del senatore Bob Dole, nonché dei presidenti Nixon e Reagan. Stone, 67 anni, è un veterano di 10 campagne presidenziali repubblicane. Il suo ruolo fondamentale nell’emersione politica di Donald Trump è dettagliato nella recente serie del documentario PBS su Donald Trump e nel pluripremiato documentario Netflix “Get Me Roger Stone”. Ha ricoperto il ruolo di Presidente del Comitato esplorativo presidenziale di Donald Trump nel 2000 e 2012 e vive a Fort Lauderdale con la sua affascinante moglie di 29 anni, Nydia Bertran Stone. Il presidente Trump è stato ospite d’onore al loro matrimonio a Washington, DC

Un’intensa indagine multimilionaria di due anni su Roger Stone ad opera del consigliere speciale Robert Mueller, iniziata nel 2017, non ha prodotto prove di collusione russa, nessuna collaborazione con Wikileaks e nessuna prova del fatto che Roger Stone avesse avuto un preavviso sulla fonte o sul contenuto di qualsiasi divulgazione di Wikileaks, comprese le e-mail di John Podesta prima della loro uscita; Robert Mueller alla fine ha accusato Roger Stone di “mentire al Congresso”. (A proposito, quando potremo accusare il Congresso di averci mentito quotidianamente?)

Il mese prima dell’arresto ostentato di Roger Stone, il presidente Trump ha twittato su Twitter: “Non testimonierò mai contro Trump” Questa affermazione è stata recentemente di Roger Stone, in sostanza affermando che non sarà costretto da un estorsore e da un procuratore fuori controllo a inventare bugie e storie sul “presidente Trump” È bello sapere che alcune persone hanno ancora coraggio “(3 dicembre 2018).

Il 25 gennaio 2019 l’FBI ha organizzato uno straordinario raid paramilitare prima dell’alba durante il quale 29 agenti dell’FBI in uniforme SWAT hanno fatto irruzione nella casa di Fort Lauderdale del 67enne consigliere di Trump, a bordo di 17 veicoli corazzati e utilizzando un’unità K-9, un elicottero sopra la testa e due unità anfibie sul canale dietro la casa di Stone per arrestarlo.

I pubblici ministeri sapevano che Stone era rappresentato da un avvocato e che lui aveva parlato con l’avvocato il giorno precedente. La successiva affermazione dei pubblici ministeri secondo cui Stone doveva essere arrestato in questo modo perché era considerato a “rischio di fuga” fu smentita ore dopo quando il governo non si oppose al suo rilascio senza una cauzione in contanti. Stone non aveva né un passaporto valido né un’arma da fuoco quando Il giudice Jackson ha proibito ai suoi avvocati di contestare le azioni dell’FBI in tribunale.

Sebbene la strada in cui viveva Stone fosse sigillata dall’FBI, la CNN era in prima fila a filmare l’arresto notturno di Stone.

Il video di sorveglianza domestica di Stone mostra un equipaggio della CNN che arriva e si installa a soli 25 piedi dalla sua porta di casa 11 minuti prima dell’arrivo dell’FBI con le armi d’assalto sguainate. Josh Campbell, ex assistente speciale del direttore dell’FBI James Comey ora con la CNN, è stato il primo corrispondente di notizie a denunciare l’arresto di Stone. Gli stessi avvocati di Stone hanno appreso dell’arresto del loro cliente da una telefonata di un produttore della CNN. L’FBI ha negato una richiesta FOIA per esibire tutte le e-mail tra l’FBI e la CNN nei giorni precedenti il ​​raid a casa di Stone, questione ora oggetto di una causa separata. Il senatore Lindsay Graham ha rilasciato una lettera al Dipartimento di Giustizia e all’FBI chiedendo chi ha disposto il raid nella casa di Stone. Non esiste alcuna documentazione pubblica di una risposta. Il consigliere speciale Robert Mueller ha rifiutato di commentare se l’ufficio del consulente speciale o l’FBI hanno lasciato la CNN prima dell’arresto di Stone per la TV durante la sua testimonianza al Congresso. Dopo l’arresto di Stone, il presidente Trump stesso ha twittato “Chi ha avvisato la CNN di essere lì?”

Al fine di giustificare i mandati di ricerca per e-mail, messaggi di testo e telefonate di Stone, così come le perquisizioni della casa e dell’ufficio di Stone in Florida e del suo appartamento a New York City, i pubblici ministeri hanno riferito a un giudice federale che avevano una probabile causa di riciclaggio di denaro straniero in contributi per campagne, frodi postali, frodi telefoniche e vari reati informatici tra cui l’accesso non autorizzato a un server di computer.

In realtà i pubblici ministeri non avevano prove del genere oltre al feed Twitter di Stone. Tutti i tweet di Stone erano basati su informazioni disponibili al pubblico. I mandati di perquisizione non hanno trovato conferme di nessuno di questi crimini e Stone è stato infine accusato di mentire al Congresso e di ripetuti tentativi di manomissioni dei testimoni. L’accusa inquisitoria di Stone è stata elaborata dal deputato Mueller Andrew Weissman sulla base dei meta-tag sulla accusa esplosiva spedita via e-mail alla stampa alle 7 del mattino del suo arresto (anche se un magistrato federale non ha denunciato l’accusa fino alle 9 : 30 di quella stessa mattina) in cui Weissman ha lasciato le sue iniziali.

Successivamente, l’ufficio del Special Counsel ha sostenuto che il caso di Stone sarebbe stato sottoposto al giudice Amy Berman Jackson perché avevano affermato che la vicenda era legata al caso non ancora trattato in cui Mueller accusava 75 russi per il presunto hackeraggio del Comitato nazionale democratico, sostenendo che l’indirizzo di posta di Stone è stato trovato da un mandato di ricerca in quel caso.

Il team di Mueller ha affermato che questa indagine è legata a quella di Stone per due motivi: primo, che alcuni “documenti rubati” sono un argomento in entrambi i casi, e in secondo luogo, che i mandati utilizzati nel caso degli hacker russi hanno fatto emergere “certe prove rilevanti” per il caso di Stone . In realtà, nessuna prova del caso di hacking russo è stata introdotta nel processo di Stone. Nulla nell’accusa di Stone avvalorava che avesse accesso a “documenti rubati”. Mueller fu essenzialmente autorizzato a “Judge Shop”, che è ampiamente considerato un abuso della Corte.

Il giudice Jackson, designato da Obama, è un attivista liberale che ha respinto la causa di morte per negligenza contro il segretario di Stato Hillary Clinton, oltre a respingere la causa da parte della Chiesa cattolica contestando il requisito di Obamacare secondo cui i datori di lavoro forniscono una copertura gratuita per la contraccezione e l’aborto.

La decisione di Jackson è stata annullata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Jackson ha anche presieduto il caso dell’ex responsabile della campagna Trump Paul Manafort durante il quale Manafort è stato incarcerato prima e durante il suo processo, nonostante non fosse stato condannato per nessun crimine. Una mozione preliminare per un giudice diverso e una sede diversa depositata dagli avvocati di Stone è stata negata, ovviamente.

Jackson ha decretato la prosecuzione dell’accusa contro ogni mozione degli avvocati di Stone tranne in un caso.

È stato riferito che il giudice spesso sorrideva e alzava gli occhi verso la giuria quando gli avvocati di Stone arringavano in tribunale.

Dopo un processo in stile sovietico di cinque giorni in cui il giudice Jackson ha vietato a Stone di costruire qualsiasi efficace linea di difesa, Stone è stato condannato da una giuria DC democratica su tutti e sette i capi di accusa ai suoi danni e ora affronta l’eventualità di molti, molti anni di prigione. Alcuni sostengono che ci sarà una mossa per prenderlo in custodia al momento della condanna, il che sarebbe una mossa molto insolita in un caso come questo e sottolinea semplicemente il disprezzo del Deep State contro il quale Stone si è scontrato.

Pochi minuti dopo la condanna di Stone, il presidente Trump ha twittato “Ora hanno condannato Roger Stone per aver mentito al Congresso e vogliono concedergli un lungo periodo di detenzione.

Che dire di Crooked Hillary, Comey, Strzok, Page, McCabe, Brennan, Clapper, Schiff, Ohr, Steele e Mueller stesso i qiuali hanno mentito e non sono stati perseguiti. Questo è un doppio standard come mai visto prima nel nostro paese “.

In effetti, Comey, Brennan, Clapper, McCabe, Strzok, Page, Rosenstein, Ohr e Mueller hanno mentito tutti sotto giuramento al Congresso su questioni consequenziali, ma il giudice Jackson ha espressamente vietato agli avvocati difensori di Stone di sostenere che il caso di Stone fosse un esempio di “accusa selettiva”. Naturalmente.

Il presidente Trump ha detto a FOX News alla vigilia di Natale 2019 che Stone era un “bravo ragazzo che piace a molte persone” e che ritiene che “fosse una brava persona” che, insieme al generale Michael Flynn, era stato trattato “molto ingiustamente” nel suo procedimento giudiziario dal consigliere speciale Robert Mueller e dal procuratore degli Stati Uniti per il distretto di Columbia.

Trump ha definito l’accusa di Stone e Flynn una “beffa di poliziotti sporchi”.

Roger Stone è stato incriminato per aver mentito al Congresso, nonostante l’incapacità di Mueller di trovare un crimine di fondo su cui basare la menzogna di Stone.

Al processo, i pubblici ministeri hanno fornito prove del fatto che Stone ha tentato (senza successo) di apprendere il contenuto delle rivelazioni di Wikileaks annunciate (che non è un crimine). Mueller ha criminalizzato le attività politiche perfettamente legali nell’accusa e nella condanna di Stone. Naturalmente.

A supervisionare il caso di Stone per l’Office of Special Counsel c’era Jeannie Rhee, che rappresentava Hillary Clinton e la Clinton Foundation nel grande caso di posta elettronica.

Rhee ha dato il massimo contributo alle campagne di Hillary nel 2008 e 2016 così come di Obama nel 2008. Aaron Zelinsky, ex editorialista di Huffington Post e assistente del procuratore degli Stati Uniti, è stato raccomandato dal procuratore generale Rod Rosenstein per assistere Rhee nell’accusa di Stone. Il caso di Stone alla fine sarebbe stato perseguito dall’assistente procuratore generale Jonathan Kravis, che era stato consigliere associato della Casa Bianca per il presidente Barack Obama. Adam Jed, un funzionario del DOJ di Obama che ha sostenuto con successo che l’atto del Congresso che bandiva il matrimonio gay era incostituzionale, ha completato l’accusa di Mueller contro Stone. Stone è stato perseguito dai suoi oppositori politici faziosi.

L’accusa incriminata di Rhee, avvocato di Hillary Clinton, è probabilmente correlata alla pubblicazione del libro di Stone, “The Clintons ‘War on Women”, che non solo descriveva gli attacchi sessuali seriali di Bill Clinton a più donne, ma anche il ruolo di Hillary nell’intimidazione, nel bullismo e nel silenziamento delle vittime. Ancora più importante, Roger Stone è stato il primo a esporre il collegamento Epstein-Clinton, documentando i 28 voli di Bill Clinton verso il condannato pedofilo nell’isola privata di Jeffrey Epstein e il ruolo di Epstein nella istituzione della Fondazione Clinton.

La violazione del False Statement Act per il quale Stone è stata accusato, richiede non solo che l’affermazione sia falsa, ma anche che sia materiale e che ci fosse l’intenzione di ingannare.

L’affermazione dell’accusa secondo cui Stone ha mentito perché “la verità non porterebbe bene a Donald Trump” è ridicola in considerazione del fatto che il candidato Trump stesso ha parlato apertamente dell’interesse della sua campagna per la divulgazione di Wikileaks:

10 ottobre 2016 a Wilkes-Barre, Pennsylvania: “Questo è appena uscito”, ha detto Trump. “WikiLeaks, adoro WikiLeaks.”

12 ottobre 2016 a Ocala, FL: “Questa roba su Wikileaks è incredibile”, ha detto Trump. “Ti dice il cuore interiore, devi leggerlo.”

13 ottobre 2016 a Cincinnati, OH: “È stato fantastico ciò che è uscito su WikiLeaks.”

31 ottobre 2016 a Warren, MI: “Ne è arrivato un altro oggi”, ha detto Trump. “Questo Wikileaks è come un tesoro.”

4 novembre 2016 a Wilmington, OH: “Scendendo dall’aereo, stavano solo annunciando nuovi WikiLeaks e volevo rimanere lì, ma non volevo farti aspettare”, ha detto Trump. “Ragazzo, adoro leggere quelle WikiLeaks.”

In effetti, il candidato Trump ha menzionato WikiLeaks 141 volte nel mese prima delle elezioni del 2016, secondo MSNBC.

Quindi, cosa stava nascondendo Stone? Stone, che è comparso volontariamente davanti al comitato e non in giudizio, non aveva motivo di mentire su ciò che era un’attività politica completamente legale. Durante il processo di Stone non c’erano testimonianze del fatto che avesse detto a qualsiasi funzionario della campagna Trump di Wikileaks che non avrebbero potuto leggere sul feed Twitter di Stone. Il comitato di intelligence della Camera ha votato per consegnare la testimonianza classificata di Stone su richiesta di Mueller, ma non ha rinviato Stone per l’accusa. Il rapporto finale della commissione non ha rilevato che Stone aveva indotto in errore la commissione.

Anche un’altra narrazione, “manomissione dei testimoni”, è falsa.

Stone aveva già divulgato alla House Intelligence Committee che il conduttore radiofonico progressista e l’impressionista comico Randy Credico, con il quale Stone aveva nobilmente lavorato sulla riforma della giustizia penale, era la sua fonte per quanto riguarda il significato e i tempi delle prossime rivelazioni di Wikileaks alla House Intelligence Committee. Stone ha esortato Credico a far valere i suoi diritti sul Quinto emendamento per non testimoniare davanti al Comitato di intelligence della Camera perché, secondo Stone, Credico ha affermato di aver temuto l’esposizione pubblica nella comunità progressista perché aveva “contribuito a eleggere Trump”. Credico ha ammesso che il suo avvocato gli ha consigliato di far valere i suoi diritti sul Quinto emendamento così come numerosi giornalisti e l’ACLU.

Le accuse sostenute dai pubblici ministeri, secondo cui Stone aveva minacciato di “rubare il cane di Credico” per costringerlo al silenzio, furono specificamente negate da Credico al processo. Il 20 gennaio 2020, Credico ha scritto una lettera al giudice Jackson affermando che “non si è mai sentito minacciato da Stone”. Tuttavia Stone è stato condannato con l’accusa di manipolazione di testimoni. L’accusa ha insistito sul fatto che Credico non era la fonte di Stone riguardo al contenuto generale e rilascio di ottobre delle rivelazioni di Wikileaks, nonostante il rilascio di Stone di una catena di e-mail  indiscutibilmente dimostrano che lo era.

I pubblici ministeri federali hanno insistito sul fatto che il dott. Jerry Corsi era la fonte della limitata conoscenza dei piani di Wikileaks da parte di Stone, ma i pubblici ministeri non hanno prodotto alcuna prova per dimostrarlo e non ha indicato intenzionalmente Corsi come testimone del processo di Stone. Uno scambio di e-mail del 2 agosto tra Stone e Corsi, prodotto dal governo durante il processo, ha dimostrato che i pronostici di Corsi che una grande mole di dati di Wikileaks sarebbe arrivata in agosto e che riguardava la Clinton Foundation erano errati. Uno scambio di testi tra Corsi e Stone il 3 ottobre riconosceva che “Assange non ha nulla e si è preso gioco di se stesso”.

Il criminale condannato Rick Gates ha testimoniato al processo di Stone di aver sentito una conversazione al telefono cellulare tra Stone e Trump mentre era su un SUV sulla strada per l’aeroporto di LaGuardia nell’agosto 2016.

Gates ha ammesso di non poter ascoltare la vera conversazione e che i pubblici ministeri federali non hanno prodotto registrazioni telefoniche o testimoni aggiuntivi per confermare questa affermazione, sebbene Gates abbia affermato che c’erano due agenti dei servizi segreti nel SUV. Sia Trump che Stone hanno negato che questa conversazione abbia mai avuto luogo. Nelle risposte scritte alle domande di Mueller, il presidente Trump ha negato espressamente di aver mai discusso delle rivelazioni di Wikileaks. Gates, condannato per cospirazione e mentendo all’FBI, ricevette solo una condanna a 45 giorni in cambio della sua testimonianza contro Stone. I pubblici ministeri federali hanno anche rifiutato di perseguire Gates per non aver pagato tasse su milioni di dollari di entrate; introiti che ha ammesso di aver sottratto al suo partner Paul Manafort.

Naturalmente, il D.C. La giuria ha ritenuto Stone colpevole di tutte le accuse. Mentre un giurato (un collaboratore di Beto O’Rourke) ha dichiarato al Washington Post che la giuria era “diversa per età, genere, razza, etnia, reddito, istruzione e occupazione”. La sua affermazione è fuorviante per non dire altro. La giuria non includeva repubblicani, né veterani militari, né cattolici della chiesa romana, né uomini neri e nessuno con un’istruzione universitaria inferiore ma includeva un ex candidato democratico al Congresso, due avvocati che lavoravano nelle amministrazioni democratiche, tre giurati con legami con FBI, tre giurati con legami con il Dipartimento di Giustizia e due giurati con legami con la CIA e un incaricato di Obama nella posizione di direttore delle comunicazioni di un dipartimento federale. È ed è sempre stato discutibile se un repubblicano possa ottenere un processo equo nel Distretto di Columbia.

La premessa alla base dell’accusa federale a Roger Stone contenuta nelle prime due pagine del disposto è che i russi hanno violato il DNC e fornito questi dati presumibilmente compromessi con Wikileaks. Tutte le domande a cui Stone avrebbe mentito si riferivano a questa presunta azione, ma il giudice Amy Berman Jackson non avrebbe permesso agli avvocati di Stone di confutare ciò chiamando testimoni forensi come per l’NSA Bill Binney. Avendo basato l’accusa contro Stone su questa premessa, i pubblici ministeri federali ora hanno insistito sul fatto che era irrilevante.

Quando il governo ha ammesso di scoprire che l’FBI non aveva mai ispezionato i server DNC e aveva invece fatto affidamento su una bozza di promemoria redatta da Crowdstrike, una società IT strettamente legata a Hillary Clinton, l’ammissione ha ottenuto un’ampia copertura mediatica.

Il governo ha quindi presentato un’ulteriore risposta al tribunale affermando di avere altre fonti di conferma che il DNC era stato violato dai russi ma ha rifiutato di fornire qualsiasi conferma fattuale di tale affermazione.

Il giudice Jackson ha vietato agli avvocati di Stone di sollevare qualsiasi questione relativa alla cattiva condotta del procuratore speciale, del DOJ, dell’FBI o dei membri del Congresso.

“Non ci saranno indagini sugli investigatori nella mia aula di tribunale”, ha detto, nonostante la nomina del consigliere speciale John Durham, ad opera del procuratore generale Bill Barr, per fare esattamente questo.

Il deputato Adam Schiff ha ammesso che il suo coordinamento con l’ufficio del Consiglio speciale ha violato le regole della Camera in una lettera al presidente del Comitato di intelligence Devin Nunes.

Tuttavia, il giudice Jackson ha proibito agli avvocati di Stone di perseguire queste prove di un “insediamento” di Schiff. Il Washington Post ha riferito che Mueller aveva in anticipo una copia della testimonianza classificata di Stone (un’altra violazione delle regole della Camera) prima della votazione da parte del comitato completo per rilasciare la testimonianza al Consiglio speciale su richiesta di Mueller, ma lo ha fatto senza rinvio a giudizio per falsa testimonianza. Schiff, il deputato Eric Swallwell e il deputato Joaquin Castro hanno predetto tutti, immediatamente dopo la testimonianza di Stone, che sarebbe stato incriminato per spergiuro – impossibile per loro sapere senza aver visto gli esiti della sorveglianza su Stone.

https://townhall.com/columnists//christianjosi/2020/02/15/the-deep-state-v-roger-j-stone-jr-a-cautionary-tale-n2561371

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