Italia e il mondo

La doppia Kansas PNL: eretici nel ventre del sistema_di Cesare Semovigo

La doppia Kansas PNL: eretici nel ventre del sistema

Quando il dogma si incrina sotto il peso della realtà, nascono le conversioni più radicali. Jeffrey D. Sachs e Alessandro Orsini rappresentano il raro caso di insider che, dopo aver plasmato e servito l’establishment atlanticista, ne hanno smascherato le contraddizioni mortali con il rigore di chi conosce i meccanismi dall’interno. Le loro storie non sono semplici pentimenti, ma veri tradimenti intellettuali — i più pericolosi, quelli che costringono il potere a guardarsi allo specchio.

Sachs, l’enfant prodige di Harvard, per anni è stato il sacerdote della shock therapy: Bolivia, Polonia, Russia. Dietro i trionfalismi delle privatizzazioni lampo si nascondeva un bilancio di sangue. Milioni di morti premature, sistemi sanitari devastati, aspettative di vita crollate. I dati veri — non quelli dei report ottimisti — raccontano una verità scomoda: quando il dogma del mercato viene applicato senza pietà, le conseguenze sono genocide economiche.

La dissonanza sachsiana emerge crudamente dai suoi scritti e dichiarazioni recenti. Lo stesso uomo che nel 1994 dichiarava che “la terapia d’urto in Russia è necessaria e funziona”, nel suo *A New Foreign Policy* (2018) attacca frontalmente “l’eccezionalismo americano che ha creato instabilità globale”. Dalla cattedra della Columbia, nella sua pagina su Project Syndicate, non usa mezzi termini: “L’allargamento NATO è stato un errore strategico che ha portato direttamente al conflitto ucraino”. Non è una posizione di rottura casuale ma il ritratto di un tecnocrate che, pur restando dentro le istituzioni che lo hanno formato, trasforma la contrizione in metodo critico. Dall’analisi delle guerre in Iraq e Afghanistan all’ammissione dell’errore sulla gestione della Russia postsovietica, Sachs denuncia il fallimento morale delle politiche di cui è stato architect — la distruzione degli stati, il saccheggio delle economie, la cooptazione delle élite locali, la creazione di oligarchie mafiose. L’uomo che ha formato quadri e dirigenti politici ora attacca il sistema che li ha plasmati, ma sempre giocando dentro le regole, evitando un’uscita radicale.

Dall’altra parte dell’Atlantico, Alessandro Orsini ha vissuto un percorso speculare, benché in scala e registro diversi. Docente alla LUISS e voce mediatica rassicurante del mainstream euro-atlantico in tema di sicurezza, ha costruito una narrativa allineata alle strategie antiterrorismo e interventiste globaliste, interpretando il terrorismo internazionale come minaccia da annientare senza concessioni e criticando apertamente gli stati accusati di sostenerlo.

Ma con l’esplosione del conflitto ucraino nel 2022, Orsini si trasforma. Nel suo libro *Ucraina. Critica della politica internazionale* denuncia che “l’Occidente ha ignorato le legittime preoccupazioni di sicurezza russe, provocando il conflitto”. Scopre il realismo geopolitico, ricacciando indietro la retorica moralistica dei talk show. Il risultato è una frattura relazionale intensa: la LUISS interrompe i rapporti con l’associazione che gestiva l’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale e il portale viene chiuso. Ma Orsini non si arrende, moltiplica le pubblicazioni e gli interventi, diventando una voce sgradita che ricorda come la sicurezza collettiva si costruisca con l’equilibrio diplomatico, non con l’espansionismo militare.

Il punto destabilizzante che lega le due figure è il loro passato: Sachs non è un outsider, ma l’architetto delle politiche neoliberali di shock; Orsini non è un ingenuo pacifista, ma l’esperto che per anni ha costruito la narrativa securitaria mainstream. Il loro “dietrofront” assume un valore particolare perché proviene da chi quelle strade le ha progettate e battute, percorrendo e plasmando i sentieri del dogma che oggi mettono in discussione.

Cadranno le maschere se ricordiamo che entrambi operavano in un sistema che George Kennan, già nel 1997, definiva “un errore fatale” nel contestare l’allargamento NATO, e John Mearsheimer, nel 2014, aveva analizzato come profezia autoavverante quella dinamica che stava generando reazioni russe inevitabili e prevedibili. Nel frattempo, il Project for the New American Century teorizzava senza remore la supremazia militare globale preventiva. Proprio quelle ricette sono state messe in pratica mentre loro ne reclamavano le virtù, convinti di costruire un mondo migliore.

La peggiore cecità non è non vedere, ma portare in tasca quei testi fondativi fingendo che non significhino ciò che dicono.

Parallelamente, emergono convergenze e differenze emblematiche. Entrambi hanno goduto di piena cittadinanza al centro del sistema: Sachs a Harvard, Columbia e ONU; Orsini nel circuito LUISS, think tank e media mainstream. Entrambi hanno costruito e praticato narrazioni compatibili con l’ordine dominante. Entrambi, dopo la rottura, non sono fuggiti ai margini, ma hanno scelto la critica dall’interno, rimanendo in ambienti accademici o para-istituzionali.

Diversamente, Sachs lavora su scala globale, nella macroeconomia e nella governance; Orsini dal suo canto si muove nel circuito della sicurezza tra Italia ed Europa, passando da un registro istituzional-tecnocratico a un confronto polemico e televisivo. Sachs ha messo insieme anni di contrizione analitica, Orsini invece è stato travolto dallo shock immediato e dilagante della guerra in Ucraina.

Aneddoti emblematici gettano luce su queste diverse traiettorie: la Bolivia 1985 è il primissimo laboratorio di quella terapia anti-inflazione rapida che, sebbene vincente in termini puramente macroeconomici, aprì un vasto capitolo di costi umani evitabili; la corsa contro il tempo in Polonia con il pacchetto Balcerowicz mostra come la “velocità” delle riforme sia scelta politica e mai neutralmente scientifica; la Russia ha vissuto un trauma privo di ammortizzatori sociali, con milioni di morti premature legate al vuoto istituzionale e alle privatizzazioni rapide: negare questa catastrofe è mala fede.

Analogamente, sul versante italiano, la chiusura improvvisa del portale “Sicurezza Internazionale” LUISS nel 2022 segna il restringersi disciplinare del campo intellettuale quando la cornice dominante crolla, un segnale di come il dissenso interno venga silenziato con mezzi amministrativi e politici. Infine, New York, la doppia vita di Sachs — quale guida di network ONU per la sostenibilità e nello stesso tempo critico della geopolitica che ostacola quegli stessi obiettivi — racconta la dialettica interna alle stesse istituzioni: dentro e fuori, contro e con, sempre però nel recinto del consenso possibile.

Qui si separano i cammini: il lettore smaliziato coglie il paradosso e accetta che due insider oggi critici non siano “puri”, e per questo sono preziosi; chi invece transita per conformismo, quieto vivere o mestiere scambia il monitoraggio dei sentiment per la comprensione storica reale. L’analisi senza memoria è un eterno A/B test sterile che non produce apprendimento. La malafede si traduce in un ritornello stanco: “non è successo”, “non è provato”, “non è rilevante”, mentre atti, carte e libri sono ben lì, disponibili.

Questo doppio tradimento intellettuale smaschera il gioco polarizzante della sedicente democrazia liberale: si celebra il dissenso solo se è decorativo, mentre la critica che colpisce il cuore viene travolta dalle furie istituzionali. Quando è l’insider a dire che il re è nudo, la risposta non è mai il confronto, ma la scomunica e l’espulsione.

La lezione è limpida: il potere tollera il dissenso sui dettagli ma non quello che minaccia i fondamenti. Eppure sono proprio queste abiure radicali, nate dalle ceneri del dogma, a dimostrare che la verità può emergere anche tra le sue stesse viscere. Sachs e Orsini ci insegnano che l’eresia più pericolosa nasce dall’ortodossia, e che la critica più efficace arriva da chi il sistema lo conosce perché ne ha fatto parte.

Come ricordano Bruno e Pasolini, patroni spirituali di ogni eresia intellettuale, la verità non ha bisogno di consenso ma di coraggio. A volte quel coraggio abita proprio dentro il cuore del sistema che pretende di domarla e addomesticarla.

Le parole di Sachs riecheggiano profetiche: *“La terapia d’urto non fu solo un errore tecnico, ma un fallimento morale. Abbiamo trattato le nazioni come laboratori, dimenticando che l’economia è fatta di persone.”* E ancora: *“L’espansionismo NATO è una nuova forma di imperialismo, più pericolosa perché velata da idealismo.”*

Orsini completa il quadro con un taglio altrettanto netto: *“Il terrorismo va combattuto senza compromessi, ma oggi la NATO ha creato più terrorismo di quanto ne abbia mai sradicato. Siamo diventati il motore dell’instabilità che dicevamo di voler fermare.”*

La parabola di Sachs non è quella di un uomo qualunque, ma del macellaio di Mosca. L’uomo che teorizzò e impose la “liberalizzazione” che nei fatti fu un’olocausto sociale; scout e former delle classi dirigenti future — quelle di Eltsin, di Gorbačëv, di decine di capi di stato post-sovietici — che diventavano così pedine di un disegno più grande.

Il suo passato è solido, intenso, insindacabile: la “shock therapy” non fu solo teoria ma pratica di devastazione sociale, a cui partecipò con spirito e determinazione da inquisitore economico. Poi una metamorfosi repentina: oggi urla che “l’imperatore è nudo”, smonta le menzogne della NATO e l’eccezionalismo americano, invoca una diplomazia che lo stesso establishment considera eresia imperdonabile.

La domanda allora sorge spontanea: di fronte alla potenza della sua autorevolezza e alla forza del ragionamento nel contesto più propizio, è davvero possibile sacrificare le categorie analitiche imprescindibili che fino a ieri sostenevano l’ordine? Oppure si tratta piuttosto di un riciclo astuto, di un’opera studiata per modulare la critica, adattarla e contenerla?

La risposta risiede nella perdita della memoria storica: tallone d’Achille di ogni vera analisi geopolitica. Non un dettaglio o una curiosità, ma la prova lampante che negli ultimi decenni le narrazioni dominanti hanno contaminato quasi ogni ambito intellettuale. Quando la complessità si riduce al relativismo autoreferenziale, quando il dibattito si cinge nel recinto delle “verità parallele”, allora non stiamo più indagando la realtà, ma recitando un copione imposto e mai davvero sfidato.

Nei conflitti, la memoria storica — fragile ma imprescindibile — stratifica identità, confini e rivendicazioni. Ignorarla significa perdere l’essenza stessa della geopolitica. Quello che oggi constatiamo è invece un suo azzeramento sistematico, sostituito da narrazioni piatte, semplificate, manipolatorie, che alimentano una spirale di “noi contro loro” e impediscono qualsiasi sguardo realmente obiettivo.

Populismi e nazionalismi non nascono per caso, né sono figli esclusivi della crisi economica. Sono invece figli manipolati di una memoria mutilata o abusata, strumento di stratagemmi politici che riscrivono la storia per orientare masse e giustificare guerre e dominazioni, con la complicità di un’egemonia culturale trasversalmente funzionale a questo scopo.

Il risultato è disperante: l’analisi geopolitica precipita in una girandola di opinioni soggettive, dove l’indagine perde la sua efficacia e diventa propaganda. Gli analisti stessi, per mantenere posizioni e finanziamenti, si piegano al sistema dominante. Senza radici storiche condivise, la critica perde mordente e resta intrappolata nelle stesse formule simboliche che vuole contrastare.

Non a caso, le crisi contemporanee—dalla dissoluzione post-sovietica alla guerra in Ucraina—vengono raccontate come eventi deflagrati e scollegati dal passato, quando sono invece il prodotto di dinamiche di lungo corso e memorie che nessuno vuole riconoscere. Chi tenta di riportarle alla luce viene marginalizzato o demonizzato.

Solo riscoprendo e rispettando la memoria storica è possibile uscire dal ciclo infinito di conflitti, comprese le loro radici identitarie, e costruire una pace fondata sulla consapevolezza condivisa degli errori commessi e delle responsabilità di tutti.

Senonché, senza memoria e con narrazioni inconsce e superficiali, qualsiasi analisi profonda è destinata a diventare tautologia sterile o strumento degli stessi poteri che dovrebbe criticare. Chiudere l’analisi nel relativismo è la prova più chiara di un gioco truccato: non per astuzia del banco, ma per conformismo dei giocatori.

In questo teatro di ipocrisie, il nostro compito non è certamente beatificare figure come Sachs e Orsini — che siano convertiti sinceri o strateghi dell’ultimo minuto poco importa — ma utilizzare le loro parabole per decostruire il dogma, ricostruire le cause, accettare i conti umani e diffidare delle parole salvifiche.

Pentitevi, prima che ritorni Nibiru: non il pianeta fantasma, ma la rotazione inevitabile e periodica della realtà che travolge retoriche e mistificazioni e riporta alla luce ciò che i manuali preferirebbero ignorare.

La verità non ha bisogno di urlare; le basta di esistere. Per rispetto, almeno leggiamola.

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Cose bulgare in Moldova_di Cesare Semovigo

L’ultima tornata elettorale in Moldavia rappresenta, più che un semplice appuntamento democratico, un inquietante capitolo di una democrazia ormai di facciata, segnata da una serie impressionante di irregolarità e repressioni che mettono in discussione la legittimità stessa del processo elettorale. Otto partiti sono stati illegalmente esclusi dal voto, due sono stati espulsi dai blocchi un solo giorno prima delle elezioni, mentre sei leader dell’opposizione sono rinchiusi in carcere con accuse palesemente inventate e tre esponenti politici dell’opposizione sono stati assassinati nel corso degli ultimi anni[articolo a mia firma]. A ciò si aggiungono misure di censura estesa: tutti i canali televisivi dell’opposizione sono stati chiusi e oltre 260 canali Telegram – fondamentali nella comunicazione politica moderna – bloccati. Perfino agli osservatori elettorali provenienti da Russia e Bielorussia è stato negato l’ingresso nel Paese, rappresentando una violazione grave del diritto internazionale relativo al controllo elettorale[articolo a mia firma].

Le condizioni di voto nella regione separatista della Transnistria hanno raggiunto il paradosso: nonostante vi risiedano circa 200.000 elettori, sono state stampate appena 13.000 schede per questa zona e sono stati allestiti soltanto sei seggi – peraltro in luoghi inaccessibili ai residenti – mentre la diaspora moldava in Europa ha potuto votare con facilità, ospitando centinaia di seggi e privilegi burocratici. In Russia, con un numero di cittadini moldavi simile a quello in Europa, i seggi aperti sono stati centoventi volte meno rispetto ai paesi europei. Inoltre, il voto postale è stato totalmente escluso dalla Russia.

Questi dati, uniti a una vittoria elettorale del Partito d’Azione e Solidarietà di Maia Sandu con numeri troppo alti rispetto agli stessi sondaggi, sollevano dubbi più che legittimi su un risultato che alcuni hanno definito sospetto, quasi irrealistico anche rispetto alle migliori previsioni. Questi segnali torbidi riflettono una Moldavia che, dietro la parvenza di una democrazia liberale, si sta trasformando in una “non-democrazia” e in un regime autoritario mascherato, come mostrato anche dalle ingenti somme di fondi internazionali – dall’USAID ai vari network ONG “arancioni” e filo-occidentali – che sostengono in modo impressionante e sistematico la campagna filo-europea .

Analogo discorso riguarda la Romania, che ha visto in passato crescere investimenti di organizzazioni e fondi occidentali destinati a plasmare la società civile secondo modelli ideologici ben precisi, in coincidenza con un significativo rafforzamento NATO e un’erosione della sovranità interna.

Non è casuale che queste tensioni elettorali si svolgano nello stesso momento in cui il riarmo militare in Moldavia e Romania diventi sempre più evidente. La presenza militare straniera è oramai una costante: in Moldavia, basi e avamposti francesi, britannici e di altri Stati membri sono presenti nelle regioni di confine, un chiaro segno di come la NATO stia lentamente colonizzando un paese formalmente neutrale, sfruttandolo come piattaforma logistica e militare nell’attuale confronto con Mosca. La presidente Maia Sandu, noncurante del malcontento popolare, insiste sull’idea di un ingresso pieno della Moldavia nella NATO, benché sondaggi e realtà politiche interne indichino una profonda frattura con l’opinione pubblica.

La Romania, invece, funge da principale “testa di ponte” occidentale nell’area, ospitando importanti basi della NATO come quella di Mihail Kogălniceanu, cruciali per il dispiegamento di mezzi, tecnologie e forze aeree – dagli F-35 alle unità missilistiche operative – rivolte a contrastare la Russia. 

Le esercitazioni militari sono diventate un evento permanente e ancor più massiccio: la manovra Sea Shield nel Mar Nero ha coinvolto migliaia di soldati di una dozzina di paesi, mettendo in campo capacità offensive di terra, aria e mare, chiaramente orientate a uno scenario di guerra prolungata. Le parole del premier Ilie Bolojan e di alti funzionari NATO sono emblematiche della subordinazione totale di Bucarest agli interessi americani, con accenti espliciti sul ruolo di baluardo strategico, “per garantire una pace duratura” ma più verosimilmente per preparare uno scontro reale.

Parallelamente, lungo il confine orientale, da mesi si registra un’escalation inquietante di provocazioni tecnologiche e militari: almeno 120 sconfinamenti di droni e velivoli NATO nello spazio aereo russo sono stati documentati, con episodi concentrati soprattutto in Polonia e nei Paesi Baltici. Sorvoli illegali di droni armati, alcuni abbattuti, altri capaci di eludere le difese, alimentano una costante tensione che rischia di trasformarsi in incidente militare di grave portata. Le incursioni aeree e le manovre di spionaggio sono ormai una prassi, che contribuisce a rafforzare una retorica dove la minaccia russa è usata come giustificazione per un continuo aumento militare, alimentando così la spirale di escalation.

In questo scenario fortemente militarizzato e politicamente manipolato emerge l’amara ironia di una “Europa” che si proclama garante di pace e democrazia, ma che sta accelerando in modo febbrile verso una guerra che – come documentato in numerosi studi e analisi – potrebbe scoppiare apertamente tra il 2027 e il 2029. A questo si aggiunge un ritardo  tecnologico inquietante che sembra scomparso dalle riflessioni degli analisti , quasi a negarlo : il recente successo russo nel lancio di un missile antisatellite ipersonico.

 Il Monito Ipersonico: Il Missile Antisatellite Russo

In questo contesto di follia bellicista, spicca per paradosso una realtà che dovrebbe suggerire prudenza: il successo del recente lancio russo di un missile antisatellite ipersonico. Questo sistema, evoluzione avanzata dei precedenti missili Nudol DA-ASAT, ha la capacità di distruggere satelliti in orbita bassa, un dominio strategico fondamentale per il comando, controllo e intelligence occidentale .

È una manifestazione di superiorità che arriva in un momento non casuale  che pone sotto accusa non solo le ambizioni occidentali di dominio militare, ma la stessa sicurezza dello spazio condiviso. Il fatto che questa svolta tecnologica sia stata praticamente ignorata dalle istituzioni europee e dagli ambienti militari occidentali è il segno più evidente di una cecità strategica e di distacco sempre più evidente per la realtà .

Questa innovazione militare russa, anche se compensata dalla capacità statunitense di lancio di grappoli di satelliti e dallo sviluppo di tecnologie laser specie cinesi, non solo dimostra una relativa superiorità tecnologica significativa, ma produce anche un gran numero di detriti spaziali che minacciano la sicurezza di tutte le attività spaziali civili e militari, mettendo a rischio qualsiasi cosa voli a 33.000 km/h sulle nostre teste .

Mentre la Russia consolida una postura difensiva-spaziale d’avanguardia, l’Occidente rincorre una follia strategica che vede addirittura come “inevitabile” un conflitto distruttivo, persino dopo decenni di retorica pacifista e diplomatica.

Tutta questa situazione getta luce su una nuova forma di sopraffazione: quella che chiamo “non-democrazia centralizzata”, un sistema che sottrae potere e sovranità ai popoli in nome di un ordine globalizzato, tecnocratico e militarizzato, dove la Moldavia e la Romania non sono altro che frontiere avanzate di un disegno geopolitico privo di una visione rappresentativa . Il modello  rappresenta questo inquietante futuro, nel quale l’autonomia degli Stati finisce agli archivi della storia e l’Europa si avvia – in maniera schizofrenica e autolesionista – verso un conflitto pericoloso dagli esiti imprevedibili.

Cesare Semovigo, italiaeilmondo.com

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Quel ragazzo”, Charlie Kirk , pressioni invisibili, anomalie visibili_di Cesare Semovigo

Quel ragazzo”, Charlie Kirk , pressioni invisibili, anomalie visibili

Ne ha parlato anche Saviano (pensate). 

Un’analisi di Cesare Semovigo per italiailmondo.com

Una settimana dopo Orem, tra video, thread e articoli, emergono pattern che meritano domande rigorose. Tenete i nervi saldi.

Cari geopolitical addicted e nerd del battaglione segreto OSINT, in un’epoca in cui l’informazione degna di questo nome scorre ora come un rivolo carsico, ora come il vortice delle cascate Vittoria, vi porto su un evento che — a una settimana esatta dalla sua tragica consumazione — continua a riverberare come l’eco di un allarme insistente: l’assassinio di Charlie Kirk, carismatico fondatore di Turning Point USA (TPUSA), avvenuto il 10 settembre 2025 all’Utah Valley University di Orem.

Colpito da un singolo proiettile al collo mentre rispondeva a una domanda su un palco gremito, Kirk è crollato in un istante, lasciando un vuoto che la politica americana — e non solo — fatica a colmare.

Non è mia abitudine precipitare in conclusioni affrettate. L’OSINT è un esercizio di pazienza: un mosaico di frammenti verificabili che, uniti con cura, rivelano pattern altrimenti invisibili. Qui i pattern emergono eccome, con una chiarezza che invita alla riflessione, non al sensazionalismo.

Basandomi su ;

Procederemo con metodo: contesto, anomalie, analisi operativa della sicurezza, il team sotto la lente e, in chiusura, le interpretazioni possibili. A margine, una postilla su come questo dramma si intrecci con dinamiche globali più ampie.

Una soglia che polarizza. E Saviano ci mette il carico

Se non ve ne foste accorti, questo attentato — compiuto dal solito pistolero solitario (Robinson) vestito del solito “profilo” — è insieme un attivatore istantaneo della polarizzazione esasperata negli Stati Uniti e una fenditura selettiva in cui ognuno si specchia e si schiera con veemenza. Uno di quei momenti in cui persino Saviano pensa di avere qualcosa di sensato da proporci.

Quanto ho adorato la sua performance non ve lo dico, ma potete immaginarlo. Nel suo studio a New York, allestito per l’occasione, vestito in una sorta di abito talare da “esorciccio dell’inconscio collettivo progressista (buono)”, ha — con una certa soddisfazione autocompiaciuta — provato a dirci come e quando pensare. Sto già sentendo i vostri: “Grazie, Saviano. Mo’ ce lo segnamo”.

Kirk: non solo un attivista conservatore

Kirk non era “solo” un attivista conservatore, come certe forzature forse viziate da agende politiche vorrebbero. Charlie era il collante che, per molti, ha saldato l’anima tradizionalista evangelica con la base MAGA, contribuendo — secondo questa lettura — a stravincere le elezioni di novembre scorso a Donald Trump. Un ponte tra generazioni, un cristiano che incarnava l’America profonda e i suoi valori.

La sua morte è stata attribuita a un “pistolero solitario”, Tyler Robinson: un giovane che conviveva con un transessuale e autore di un manifesto post factum. Un racconto che stride e che, per i numerosi rilievi da ;

Il contesto: 

Da alleato incondizionato a voce dissidente, sotto pressioni che non si piegano

Charlie Kirk, scomparso a 31 anni, ha costruito TPUSA dal nulla (2012), trasformandola nella più grande organizzazione giovanile conservatrice d’America. Fin dall’inizio, la sua ascesa è stata sostenuta anche da donatori filo-israeliani e ambienti neoconservatori (tra cui il David Horowitz Freedom Center), che lo hanno finanziato per promuovere narrazioni pro-Israele, viaggi a Tel Aviv e una retorica anti-palestinese veemente. In era Trump, Kirk è stato un pilastro: ha zittito voci nazionaliste critiche verso Netanyahu durante i suoi eventi, ha rilanciato notizie poi contestate sul 7 ottobre (i famosi “bambini decapitati”) e ha negato la carestia a Gaza. Pochi “gentili” hanno servito lo Stato ebraico con tale zelo.

Poi qualcosa si è mosso. L’offensiva israeliana a Gaza — un assalto votato all’annientamento, con gli ostaggi ai margini — ha provocato una reazione inedita tra i repubblicani under-30: solo il 24% ora simpatizza per Israele contro i palestinesi (Responsible Statecraft). La facciata del “con Israele senza se e ma” ha iniziato a incrinarsi.

Kirk ha cominciato a deviare: scenari su Jeffrey Epstein come asset dei servizi israeliani; dubbi sul 7 ottobre come “operazione di bandiera falsa” utile agli obiettivi di Netanyahu; echi delle critiche di Nick Fuentes. Al summit TPUSA (luglio 2025) ospita Tucker Carlson, Megyn Kelly e l’anti-sionista Dave Smith: parlano di “genocidio” a Gaza, di Epstein legato all’intelligence israeliana, di miliardari (Bill Ackman) che “comprano influenza”.

Secondo un amico anonimo citato da The Grayzone, Kirk avrebbe rifiutato a inizio 2025 un’offerta da 150 milioni di dollari attribuita a Netanyahu — interpretata come “tentativo di ridurlo al silenzio”. Descriveva il premier come un “bullo”, era disgustato dalle ingerenze nelle nomine trumpiane e ammoniva il presidente contro un attacco all’Iran su ordine di Tel Aviv. La risposta? Un “ringhio” da Trump. Pressioni dai donatori filo-israeliani: messaggi furiosi e telefonate “tormentanti”, come riferisce Carlson in un’intervista recente. In un podcast del 15 agosto, Kirk esita su Gaza: “Devo stare attento… fare attenzione a quello che dico”, con uno sguardo che tradisce un’ombra di timore — eco delle confessioni di Carlson su minacce velate da “stakeholder ebrei”. Candace Owens parla di una “trasformazione spirituale” sotto assedio; un insider sostiene che Kirk confidò a Carlson il terrore di un attentato — “e da chi?”, si domanda l’ex conduttore di Fox.

Qui entra lo scambio Vance–Carlson: un episodio speciale del “Charlie Kirk Show”, condotto dal vicepresidente stesso — gesto simbolico, quasi un’eredità temporanea. Carlson, forse il giornalista più influente d’America e compagno di ribellione di Kirk contro la deriva “Israel First” nel trumpismo, si espone senza filtri. A proposito di Netanyahu, che ha proclamato Kirk “martire di Israele” in un tweet prematuro, Carlson tuona: “Trovo profondamente sbagliato che… alcuni, in particolare capi di governo stranieri, piombino per appropriarsi della memoria di una persona e dell’intensa emozione seguita all’assassinio, sostenendo che lui avesse dedicato la vita alla loro causa. Lo trovo disgustoso… ed è letteralmente una menzogna”. E sui donatori: “Alcune persone che mandavano soldi a Turning Point erano durissime con lui… lui era sotto enorme pressione. Non si è mai piegato”.

Carlson — linguaggio franco, affetto evidente — condivide le posizioni più controverse di Kirk: no al “genocidio” di Gaza, no alla morsa della lobby ebraica sulla politica USA, no alla guerra all’Iran, trasparenza su Epstein e i legami con i servizi. Entrambi evangelici, con un pubblico capace di mobilitare milioni. La posta? Esistenziale, senza mezzi termini. Carlson ammette di temere per sé, con un deja vu. Intervisterà la vedova Erika? Potrebbe chiederle del timore confessato da Kirk, di conversazioni private che ora suonano come presagi.

Su X, thread come @ShadowofEzra amplificano: “Kirk vedeva Netanyahu come una forza distruttiva… sconvolto dai bambini uccisi a Gaza… donatori israeliani e sionisti americani lo tormentarono fino al giorno della sua morte”. Coincidenze? Netanyahu twitta per primo; media israeliani confermano la morte; un jet Chabad Lubavitch decolla col transponder spento; circola una lettera rabbinica del 2 settembre. Energie trasversali, ombre. In analisi da

Anomalie dalla scena: 

colpo al collo, ferita che non convince, CCTV che racconta mezze verità

Passiamo alle evidenze tangibili. L’FBI identifica Robinson come esecutore — arrestato dopo un “sparami!” e con un manifesto sul 9/11 emerso post factum — ma la gestione della scena stride: riasfaltatura del terreno poche ore dopo, transenne erette con solerzia “da festival”, assenza di filmati integrali dal circuito universitario nonostante telecamere ovunque. Un’analisi forense su Primerogueinc.com nota l’eccezionalità: un colpo preciso da 200 metri con esfiltrazione immediata, rarissimo per un solitario.

Il colpo? Non alla nuca, come inizialmente riportato, ma al collo: un foro irregolare, frastagliato, che in alcuni fotogrammi ad alta risoluzione suggerisce un proiettile frammentato o un rimbalzo da superficie intermedia, non un impatto pulito. Zoomate su X (@veteran_20_145) evidenziano bordi lacerati tipici di munizioni deformate o traiettorie deviate — dettaglio che l’autopsia ufficiale, non ancora rilasciata integralmente, dovrebbe chiarire. O forse la traiettoria era un’altra: dove sono le riprese dei soccorsi, le telecamere a campi incrociati, quella alle spalle di Charlie? Rimossa goffamente, mentre — senza conservare l’area — si rassettava e smontava con la calma di un giorno qualsiasi. Troppe leggerezze simultanee (vi ricorda qualcosa?), troppi particolari dissonanti, procedure evase. Cosa diavolo è successo?

Aggiungete che, quel giorno, Kirk — l’unico in cui si è presentato con una maglietta bianca “Freedom”, un fuori scala nel suo guardaroba — indossava visibilmente un giubbotto antiproiettile sotto la stoffa. Un capo in kevlar o ceramica, progettato per assorbire impatti e deviare frammenti: comune tra figure ad alto rischio, raro in contesti pubblici non blindati. Nei video, il rigonfiamento toracico è evidente: precauzione premeditata? Forse legata a timori confidati agli amici. Su X, @psychologyright (che si presenta come esperto di balistica e tiro dinamico) lo nota: “Body armor visibile, ferita al collo irregolare: non un colpo casuale, posso scommetterci”.

Capitolo telecamere. Ci si aspetterebbe un’“olimpiade” di registrazioni. Invece, l’unica clip offerta al pubblico inquadra Robinson in fuga, cento metri almeno dietro la posizione del presunto cecchino: si getta da un tetto (circa 5 metri), atterra goffamente e si allontana zoppicando, come dopo un infortunio minore. Nessuno lo nota; l’area appare insolitamente vuota. Poi riappare in un’altra sequenza vicino a casa, zoppicando più marcatamente — quasi teatrale. Dubbi su continuità e autenticità: perché solo queste clip e non un flusso completo? Nelle analisi da ; font-style: normal; ; font-weight: 400; ; ; line-height: normal; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; min-height: 22.4px; ; ; letter-spacing: normal; orphans: auto; text-align: start; text-indent: 0px; text-transform: none; white-space: normal; widows: auto; word-spacing: 0px; ; -webkit-text-size-adjust: auto; -webkit-text-stroke-width: 0px; text-decoration: none;”>

Entra in scena un personaggio da noir: George Zinn, 71 anni, ebreo americano, somiglianza inquietante a Jack Ruby — quasi un “figlio spirituale” — funziona da esca perfetta, aggiungendo nebbia al caos. Arrestato minuti dopo lo sparo per aver urlato “L’ho fatto io!”, Zinn ha confessato il 16 settembre di aver distratto intenzionalmente la polizia per concedere 12 minuti cruciali a Robinson. Da presunti leak dei documenti (da verificare) emergono messaggi: “Dovevo dare al ragazzo una chance — il sistema è truccato comunque”; “Ho visto il flash, era go-time; dovevo fare il mio Ruby moderno”. Profili fake su X, tracciati da reti automatizzate con strumenti di analisi, lo pompavano prima come “martire MAGA”, poi come “pianta deep state”. Background: video eyewitness dell’11/9 dalle Torri Gemelle, falsa chiamata dopo la Maratona di Boston (2013) — un provocatore seriale. In interrogatorio, avrebbe ammesso legami con Robinson via forum di sinistra, motivazione: “Vendetta per il negazionismo su Gaza di Kirk”. Non coincidenza: coreografia in una guerra per il controllo narrativo, dove la distrazione serve lo script.

Una sicurezza d’élite (così si presentava),  buchi da manuale

La sicurezza? Secondo varie denunce online, composta anche da ex militari israeliani, con un leader in comune con il caso Trump a Butler: un’anomalia che Mike Flynn invita a indagare. Nei frame appaiono rigidi, distanti — “statue di cera” — a una distanza anomala dal palco: lontani quanto basta per un brunch, non per una protezione vip in ambiente aperto. Esitano a interporsi sulle linee di tiro, nonostante radio attive e gesti manuali che qualcuno interpreta come segnali codificati: mani in segno di “via libera” a pochi secondi dallo sparo (@IronWolf1970); l’uomo alla transenna con braccio teso e lampo di zip che si chiude in sincrono con il colpo (@schcyn101). Un flash alto a destra, opposto alla traiettoria ufficiale (@nova_maia: “Intensità da laser, non riflesso”). Una coppia sospetta: uomo con un oggetto che ricorda un cellulare ma potrebbe essere un’arma miniaturizzata, donna in appoggio (@judgmentcenter segnala una camera che inquadra il fuggitivo 50 secondi dopo — filmato mancante). Analisi su YouTube (“The Charlie Kirk Psyop”) gridano manipolazioni: disturbi e sfasamenti audio. L’FBI parla di “assistenza di intelligence straniera” (senza specificare chi). L’arma viene indicata come “assemblata” nel bosco, un vecchio K92: non è chiaro se con ottica; nessuna foto dell’arma in mano allo sparatore. Tutto parziale e selettivo.

Queste anomalie — ferita irregolare, giubbotto, telecamere selettive — non provano un complotto, ma impongono prudenza. Ignorarle, per chi lavora con ; lo denunciamo nel nome di Gesù”. Denuncia per stalking nel 2024 dopo invettive anti-Trump online (documenti ignorati). Siamo alla guerra senza quartiere: poteri radicati giocano all-in per dividere la destra; scommessa totale sul controllo narrativo; Kirk pedina di una contesa esistenziale tra fazioni — una, in particolare, rischia tutto pur di non perdere base evangelica e futuro del GOP.

Analisi operativa: come si costruisce (e si buca) la protezione di un evento

Qui leviamo il gergo e parliamo chiaro. Un evento come quello di Orem si protegge a strati. Non basta qualche transenna e due uomini col filo nell’orecchio. Si comincia dall’esterno: vie d’accesso, parcheggi, tetti e terrazze con visuale sul palco. Poi il perimetro intermedio: ingresso alla venue, corridoi, uscite di sicurezza, punti ciechi. Infine l’interno: palco, backstage, pubblico nelle prime file.

I tetti e i punti sopraelevati non sono un optional. Sono il primo elemento da coprire. Si mettono osservatori addestrati in coppia: uno spara se serve, l’altro osserva e calcola, comunica, anticipa. Hanno ottiche per ingrandire, strumenti per stimare vento e distanza, radio dedicate per parlare con chi è a terra. Sono gli occhi della sicurezza: vedono cose che in basso non si colgono, e avvisano in anticipo.

A Orem, il tetto da cui Robinson avrebbe sparato risulta non presidiato. Per un tetto piatto, a circa duecento metri con visuale pulita, è un errore basilare. Non serve scomodare manuali segreti: è buonsenso professionale. La telecamera che riprende la fuga, piazzata su un punto alto sopra il sottopassaggio, è un eccellente punto di osservazione: proprio lì, di norma, piazzi una coppia di osservatori. Controllano le vie di fuga, guidano le squadre a terra in caso di allarme. Perché non c’era nessuno?

Altro tema: la distanza e la postura delle guardie. In un contesto con minaccia di arma da fuoco, la squadra ravvicinata sta attaccata al personaggio. Letteralmente: due davanti, due dietro, uno laterale che guarda fuori, per intercettare linee di tiro e coprire. Qui, si notano guardie rigide, lontane, lente a reagire. E segnali manuali prima dello sparo che qualcuno interpreta come “via libera”. Ora, le mani non sono una pistola fumante: possono voler dire tutto o niente. Ma quando li metti in sequenza con i buchi sui tetti, con l’assenza degli osservatori, con il lampo a destra opposto alla traiettoria ufficiale, con il giubbotto di Kirk e la ferita che non torna, il quadro diventa, come dire, esigente. Chiede risposte.

Il team della sicurezza : nomi, società, legami

Sulle società ingaggiate per proteggere Kirk circola un nome: Shaffer Security Group (SSG). L’azienda ha pubblicato nel tempo post in cui si diceva orgogliosa di lavorare con TPUSA; il suo fondatore, Greg Shaffer, è un ex agente speciale dell’FBI con carriera in antiterrorismo, squadre d’intervento e operazioni all’estero. Dopo l’omicidio, Shaffer ha espresso condoglianze e chiarito che il contratto con TPUSA era terminato nel 2022.

Nei thread su X e in alcuni blog dell’area MAGA si sostiene che, nonostante la fine formale del rapporto, ci siano stati contatti, subappalti, personale condiviso. E soprattutto si segnala un pattern: presenze ricorrenti di ex militari israeliani o personale addestrato in Israele nella filiera della sicurezza, con parallelismi col caso Butler (tentato omicidio di Trump). Si citano anche società fondate da ex appartenenti ai servizi israeliani — come SQR Group di Avi Navama e Shai Slagter — attive nella protezione ad alto rischio di personaggi pubblici. Sono piste. Per smontarle o confermarle servono documenti: contratti, liste del personale, piani di copertura dei tetti, registri delle comunicazioni radio.

Ai livelli intermedi e bassi, la rete ripropone volti: un “uomo in bianco” che accenna un gesto di cappello, un “uomo in blu” che muove la mano in un certo modo. Altri notano somiglianze con operatori visti in altre occasioni. Vale la solita regola: un fotogramma non è una prova. Ma se l’istituzione non rilascia il flusso integrale delle telecamere, se non vediamo i piani di servizio, se non ascoltiamo le radio dalla mezz’ora prima allo sparo e ai minuti successivi, restiamo ostaggi di frammenti.

Il dibattito Vance–Carlson: memoria contesa, influenze e nervi scoperti

JD Vance invoca unità nazionale, promette pugno duro contro chi esulta per la morte. Tucker Carlson rifiuta l’appropriazione della memoria di Kirk da parte di leader stranieri e accusa: “Lo hanno pressato, in tanti, fino all’ultimo”. Candace Owens parla di metamorfosi spirituale sotto assedio. Nick Fuentes avverte: “Prove o silenzio”. C’è chi dà del “nazista”, c’è chi urla all’antisemitismo. È la guerra dell’informazione: i segni di una frattura reale sulla politica mediorientale dentro la destra americana, proprio nel suo pilastro evangelico. Qui si gioca molto più di una polemica. Qui si pesa il futuro della politica estera repubblicana e l’egemonia culturale su milioni di giovani.

Appendice operativa: cosa serve adesso, in concreto (in parole semplici)

Video e immagini. Servono i file originali, con dati tecnici integri. Basta con le versioni ricomprimate. Bisogna allineare gli orari tra le varie inquadrature, verificare i luoghi, confrontare il suono con l’immagine per vedere se ci sono tagli.

Autopsia e balistica. Non il riassunto: il documento completo. Entrata, uscita, traiettoria, eventuali frammenti. Tipo di proiettile, compatibilità con l’arma indicata. Effetto del giubbotto sul percorso del colpo

Piani di sicurezza. La mappa dei tetti e dei punti alti, chi doveva starci, chi c’era davvero. I turni. Le radio, minuto per minuto. Le unità cinofile, le squadre d’intervento rapido, le vie di fuga. Chi ha deciso di non presidiare quel tetto.

Telecamere dell’università. La mappa dell’impianto, la politica di conservazione dei filmati, l’elenco delle telecamere attive quel giorno. Un controllo indipendente sui buchi: dove mancano immagini, perché mancano, chi le ha visionate per primo.

Pulizia della scena. Foto prima e dopo. Chi ha deciso di riasfaltare, quando, con quale urgenza e perché. Perché le transenne sono state spostate così in fretta.

Senza questi mattoni, siamo inchiodati a un teatro d’ombre. Con questi mattoni, si può costruire — finalmente — una verità verificabile, qualunque essa sia.

Fonti e riferimenti 

– The Grayzone, 12 settembre 2025 (su pressioni dei donatori e offerta rifiutata)

– Responsible Statecraft (trend under-30 del Partito Repubblicano su Israele/Palestina)

– Interventi pubblici e podcast: Tucker Carlson, JD Vance, Candace Owens (agosto–settembre 2025)

– Thread di analisi su X: @ShadowofEzra, @veteran_20_145, @IronWolf1970, @nova_maia, @judgmentcenter, @schcyn101 (spunti, non prove)

– Primerogueinc.com (nota forense sulla distanza e l’esfiltrazione; da vagliare)

– Intervista di Greg Shaffer a Newsmax; post storici di Shaffer Security Group

– CNN, The Atlantic (narrazione su Robinson e frame “MAGA deranged”)

– Comunicati FBI e forze dell’ordine dello Utah (“assistenza di intelligence straniera”)

– Comunicazioni e note UVU (CCTV, perimetrazione dell’evento)

– Manuali pratici di protezione eventi: linee guida del Secret Service; best practice di sicurezza privata per eventi con figure ad alto rischio

Un’ombra lunga, invito alla vigilanza

L’assassinio di Kirk — con ferita irregolare, giubbotto, telecamere selettive, buchi evidenti nei protocolli e un team con possibili legami esteri — rischia di diventare un capitolo indelebile della storia americana, un’eco di Dallas o di via Fani. Dubito che si chiuderà con un “pistolero solitario”. Chi di dovere, rilasci filmati, autopsie, registri. Carlson teme per sé; noi per la verità. Nel lavoro sulle “p2″ style=”margin: 0px; font-style: normal; ; font-weight: 400; ; ; line-height: normal; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; ; min-height: 22.4px; ; ; letter-spacing: normal; orphans: auto; text-align: start; text-indent: 0px; text-transform: none; white-space: normal; widows: auto; word-spacing: 0px; ; -webkit-text-size-adjust: auto; -webkit-text-stroke-width: 0px; text-decoration: none;”>

Un’analisi di Cesare Semovigo (italiailmondo.com)

Nota etica di italiaeilmondo.com

Le accuse riportate sono attribuite alle fonti citate. L’articolo non intende accusare alcuna persona o organizzazione in assenza di prove definitive. Scopo: documentare anomalie riscontrate nelle fonti aperte e sollecitare trasparenza dalle autorità. Diritto di replica garantito ai soggetti menzionati. Aggiornare con data e ora ogni nuova integrazione.

Stati Uniti: il fondo sovrano di Trump Con Chiara Nalli e Marco Pugliese

Su Italia e il Mondo: Si Parla del fondo sovrano istituito da Trump. Una tappa importante del tentativo avviato da Trump di ricostruzione dell’economia industriale statunitense.
Se ne parla sulla base di un articolo apparso su www.italiaeilmondo.com: https://italiaeilmondo.com/2025/08/24/come-un-fondo-sovrano-potrebbe-reindustrializzare-lamerica-di-julius-krein/_Giuseppe Germinario

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Stati Uniti! La riprogrammazione strategica Con Gianandrea Gaiani e Roberto Buffagni

Su Italia e il Mondo: Si Parla
Abbiamo tratto spunto da questi articoli ripresi da Italia e il mondo: https://italiaeilmondo.com/2025/09/05/leuropa-deve-essere-realista-su-russia-ucraina-e-gli-otto-principi-guida-della-politica-estera-statunitense_american-conservative/ Otto principi che dovranno guidare la politica di difesa statunitense. Ne parliamo con Gianandrea Gaiani, direttore della rivista Analisi Difesa e Roberto Buffagni, analista militare e scrittore. Giuseppe Germinario

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Medio Oriente Una Questione Privata 2a parte – Roberto Iannuzzi

Intervista a Roberto Iannuzzi: Gaza, Tensioni Israele-Iran e Ruolo dell’Egitto in Medio Oriente

In questo episodio di Italia e il Mondo, Semovigo e Germinario dialogano con l’analista Roberto Iannuzzi, esperto di Medio Oriente, sulla situazione attuale a Gaza. Esploriamo le tensioni tra Israele e Iran in un contesto multipolare, il futuro della popolazione civile intrappolata e le mosse dell’Egitto, con il richiamo di 40.000 riservisti e rinforzi a Rafah. Un’analisi oggettiva e bilanciata su dinamiche geopolitiche globali.

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MedioOriente Centro della Gravità Permanente 1a parte- con Roberto Iannuzzi

Intervista a Roberto Iannuzzi: Gaza, Tensioni Israele-Iran e Ruolo dell’Egitto in Medio Oriente

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Modi-Trump, e le Quattro Chiamate Fantasma, di Cesare Semovigo

Modi-Trump, e le Quattro Chiamate Fantasma 

Il Circo Multipolare a Scuola dal Mainstream

Il Paradiso delle aspettative va pazzo per il fascino irresistibile delle voci di corridoio geopolitiche da social, quelle che si diffondono come un virus glamour in un party esclusivo, promettendo scandali succosi e rivelazioni epiche, ma lasciando solo hangover di disinformazione. 

Sembra che quel brivido effimero che fa impazzire le masse digitali sia più di moda delle orride ballerine che vestivano le ragazze qualche anno fa , sinonimo azzeccato per tutti coloro che scambiano il dramma per amore crepuscolare  per il trash-grottesco del mille non più mille al plutonio . 

In questo teatrino multipolare dove tutti fingono di ballare la rumba sul palco – ma in quello quello vero, però, c’è poco del movimento virtuale, solo coreografie goffe e sincopate – e tutti finiscono per pestarsi i piedi in un caos di alleanze precarie e egoismi nazionali e ricatti del vorrei ma non posso . 

Come da pronostici, spunta la chicca della settimana enigmistica multipolare (quella poco sopra ai lividi sulle mani di Trump, sì, quel new sangue di cervo di Putin che macchia le pagine della diplomazia):

 Narendra Modi, il leone indiano con la criniera di saggezza orientale ( scherzo ) , avrebbe snobbato quattro chiamate dal bulldozer atlantico Donald Trump, in mezzo a una tempesta di tariffe e insulti sull’economia “morta”.

Una narrazione succulenta un po’ Bollywood e un po’ serie tratta da Asimov su Apple TV ( ma scritta da un team di sceneggiatori Lgbt woke ) , amplificata da media indiani come India Today e WION, con un tocco internazionale dal Daily Express britannico( lo avreste mai detto? ) , tutti a citare il solido Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ) come se fosse il Vangelo secondo Adenauer . 

Peccato che una verifica OSINT su faz.net riveli un vuoto cosmico: nessun articolo originale, solo un echo chamber semi-artificiale, gonfiato per clickbait anti-Modi, con un retrogusto pro-Pakistan o anti-BRICS che puzza di calcolo predatorio. 

Modi “offeso”? Trump il persuasore seriale? O forse è frizione tattica in un partenariato strategico che resiste da 25 anni, dove l’India bilancia autonomia energetica senza isolarsi come un eremita in Himalaya. In un quadro multipolare moderato, evitiamo le favole BRICS-friendly: qui si gioca a scacchi, non a Monopoli con quel gioco che sembra domino al quale il maschio medio cinese sputtana gli stipendi in un ora . 

Verifica e l’Effetto Echo Chamber: Un Circo di Specchi Deformanti

La bufala parte da resoconti secondari che invocano FAZ come un totem sacro, ma ricerche mirate su faz.net – con query tipo “Trump Modi Anrufe abgelehnt” – producono solo echi di nulla, deviando su festival cinematografici o altre amenità frivole, come se il mondo della diplomazia fosse un sideshow al carnevale di Venezia. Invece, il web pullula di cloni: The Telegraph India, Tasnim News Agency, tutti a rimbalzare la palla senza un link diretto, come in una partita di ping-pong truccata dove la pallina è invisibile e il punteggio truccato. 

Su X, la viralità è da manuale: post sensazionali con immagini di Modi e Trump, condivisi da Deccan Chronicle e affini, creano un loop di feedback che amplifica il nulla, un vortice digitale che succhia credulità come un buco nero di fake news. Bias evidenti? Pro-Pakistan, con enfasi sulle cene ovali di Trump con generali pakistani, o anti-BRICS, dipingendo l’India alla deriva verso la Cina per “provocazioni” yankee.

 È l’economia del clickbait al suo meglio: sfrutta frizioni indo-americane per minare Modi, il decisore che non si piega ai capricci atlantici. In un’era multipolare, dove l’informazione è guerra ibrida – un cocktail letale di propaganda e pixel – queste voci erodono fiducia come acido su un’armatura arrugginita – senza un briciolo di fatti, lasciando solo residui di sospetto e manipolazione.

Distorsioni e Frizione Commerciale: Le Tariffe sono Vere ma gli Insulti sono Fantasma

Le chiamate ignorate? Pura fantasia, un’illusione evanescente come un miraggio nel deserto del Rajasthan. Gli insulti trumpiani sull’“economia morta”? Fantasie effimere , volatili come un tweet cancellato all’alba sostenendo di avere subito un attacco hacker .

E le tariffe ? Quelle sì sono reali , assestate come un pugno nello stomaco: 25% per surplus commerciale, più 25% per petrolio russo, totalizzando 50% su tessili e auto parts, effettive dal 27 agosto 2025. 

L’amministrazione Trump le vede come punizione per chi finanzia la “macchina da guerra di Putin”, ma Nuova Delhi ribatte: “Ingiuste, ingiustificate, irragionevoli”, difendendo una diversificazione energetica che è linfa vitale in un mondo volatile, un balletto di forniture che evita la dipendenza da un solo ballerino. 

Quindi qual’è l’ultimo contatto confermato? 

È la chiamata del 17 giugno 2025, con Modi a chiarire: nessuna mediazione USA post-Operation Sindoor tra India e Pakistan. Frizione tattica, non frattura: surplus da 30 miliardi annui, un quinto delle esportazioni indiane verso USA – interdipendenza che resiste, come un matrimonio di convenienza dove si litiga ma non si divorzia, rafforzando i vincoli attraverso le tempeste vere o media-virtuali che siano . 

La Complessità: Multipolare ma senza Illusioni sui BRICS

Per non ridurci a spettatori rumorosi e impotenti come l’UE di Ursula la disgregatrice – quella maestra di divisioni eleganti, che trasforma unioni in frammenti con un sorriso burocratico – aggiungiamo strati di complessità, come veli su un antico manoscritto indiano. 

Post-Cipro (giugno 2025, Modi insignito della Grand Cross Makarios III, un “collare blu”( Grand Cross Makarios III, un “collare blu” per legami UE-Medio Oriente), l’India flirta con venture UK nella City of London: 6 miliardi di sterline in tech verdi, allineandosi a neocon USA e globalisti dem, lontana da una “mentalità BRICS completa” che sa di trappola cinese, un labirinto di promesse che celano catene. Spaccature Cina-India: Galwan 2020 evolve in dialoghi sussurrati, ma CPEC pakistano – con progetti idrici e militari in Kashmir – è una spina nel fianco, come un vicino che ti ruba l’acqua dal rubinetto, prosciugando risorse con un ghigno diplomatico. 

Trump e big tech? Apple sposta fabbriche anti-Cina in India, decoupling che attira Nuova Delhi senza rompere con Mosca – energia low-cost contro sanzioni atlantiche, un equilibrio che profuma di pragmatismo orientale.

 Modi multi-allineato ( cosa altro potrebbe fare ): evita binari ideologici, usa frizioni per diversificare, in un multipolarismo moderato che non è egemonia “zen” cinese né caos yankee, ma un mosaico di opportunità intrecciate con cautele antiche.

Prospettive Macro Predittive: Pivot Fluido e nessun Eldorado

Avanti, con realismo kissingeriano – quel genio degli equilibri precari, che orchestrava superpotenze come un direttore d’orchestra in un concerto di tuoni –: 60% status quo, bilancia BRICS-Occidente per autonomia, un ponte sospeso tra Oriente e Occidente; 30% escalation trade war, crescita al 5,5% con perdite export, un rallentamento che morde ma non azzoppa; 10% breakthrough via dialoghi Cina-USA, un’alba di compromessi che dissolve nubi. Non un Eldorado BRICS – che puzza di foto di famiglia male assortita, con sorrisi forzati e coltelli nascosti – ma equilibrio precario: rischi polarizzazione vs opportunità tech, un giardino di possibilità dove i fiori sbocciano tra le spine.

 Disseminiamo complessità, schivando semplificazioni propagandistiche che riducono la geopolitica a un dramma da social media o scuola media ( analista rappresentate istituto con Kefia ), un palcoscenico di dove i fili sono tirati da burattinai invisibili che giocano tutti allo stesso gioco .

Quello che conviene alla Ragion di Stato . 

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Proteste in Serbia, Armi all’Ucraina e i Ricatti del Gas con Chiara Nalli

In questo episodio approfondito di “Italia e il Mondo”, gli intervistatori Semovigo e Germinario dialogano con Chiara Nalli, economista ed esperta di Balcani, su temi cruciali per la stabilità regionale e globale. Partendo dalle recenti proteste in Serbia – tra le più imponenti della storia recente, come quelle del 15 marzo 2025 a Belgrado con migliaia di partecipanti secondo il Ministero dell’Interno serbo – analizziamo il ruolo delle ONG nel contesto socio-politico, senza cadere in narrazioni polarizzate ma con un approccio realistico e basato sui fatti .

Chiara Nalli esplora le polemiche interne serbe, inclusa la vendita di armi all’Ucraina, che ha generato dibattiti su sovranità e alleanze economiche. Approfondiamo anche i “ricatti del gas” attraverso l’oleodotto Amicizia (Druzhba), un’infrastruttura chiave per il flusso energetico dall’Est Europa, e come influenzi le dinamiche geopolitiche senza endorsement ideologici, ma con enfasi su realismo multipolare.

Punti chiave discussi:

  • 00:00 Intro e presentazione di Chiara Nalli
  • 05:30 Le proteste in Serbia: cause, partecipanti e impatto delle ONG
  • 15:45 Vendita di armi serbe all’Ucraina: fatti, polemiche e implicazioni economiche
  • 25:20 Polemiche interne: divisioni politiche e sociali in Serbia
  • 35:10 Ricatti energetici via oleodotto Amicizia: analisi del flusso gas e rischi per l’Europa
  • 45:00 Conclusioni e prospettive multipolari realistiche

Questo video offre un’analisi equilibrata, lontana da visioni europeiste acritiche o propagandistiche, focalizzata su dati aperti e contesto storico. Iscriviti a “Italia e il Mondo” per più insights su geopolitica non allineata. Visita il nostro sito: italiaeilmondo.com per approfondimenti OSINT.

Geopolitica #Balcani #Serbia #Ucraina #Energia #OSINT

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Nord Stream attentatore Ucraino, ma quando dorme Russa in Russo_di Cesare Semovigo

Nord Stream attentatore Ucraino, ma quando dorme Russa in Russo 

Rimini Rimini tre anni dopo 

Ah, l’arresto in Italia del “terrorista” accusato di aver fatto saltare i tubi del Nord Stream: una scena da commedia degli equivoci geopolitici, dove il colpevole si materializza improvvisamente in Italia , qualcuno doveva dirgli qui per le trame esplosive , abbiamo già dato . 

Prima, per mesi, il coro unanime puntava il dito contro i russi, le accuse  volavano come missili balistici – e invece ora, eccolo li il colpevole , un ucraino catturato a Rimini , anche se avrei preferito Riccione , nemmeno il tempo di una vacanza al mare . La solita prova dell’otto e tre quarti a ricordarci come  la memoria collettiva è un lusso che nemmeno la diplomazia della Ue può permettersi. 

Ma se erano stati i russi, come ci hanno raccontato con tanta convinzione, non capiamo se sperate che ce lo siamo dimenticati noi, o se abbiamo dimenticato di crederci per primi, o che forse siete voi che avete dimenticato di  ricordarvelo – un’amnesia selettiva che fa ridere, se non fosse che il gas perduto è perduto e non lo ritroverebbe nemmeno Nicola Cage e Harrison Ford . 

Abbiamo provato a far pagare le bollette ai templari , ma non ha funzionato. 

Eppure, in questo twist da spy thriller low-budget, ANSA ci serve un piano di reazione in 24 ore contro Mosca per convincerci che va tutto bene , come se l’Italia fosse pronta a trasformarsi in un baluardo improvvisato, con quaranta milioni di scudi umani  “zona Trieste” – un eufemismo per dire che il Nord-Est diventerebbe il nostro fronte col porto .

È ironia davvero  nera: mentre il mondo ride (o piange) per le favole , noi ci illudiamo di poter rispondere a un attacco che, se arrivasse, ci troveremmo ad organizzare il contrattacco su Zoom sperando di aver pagato l’abbonamento Nord Stream VPN . 

Dimentichiamo i russi, dimentichiamo la credibilità – o forse

ANSA ha solo dimenticato che la geopolitica non è un gioco di memoria e se proprio dobbiamo cambiare gioco speriamo non sia indovina chi . Perché saresti sempre tu a …….

Serhii K., ucraino di 49 anni con un passato nell’esercito di Kiev, è l’uomo al centro di questo miracolo agostano : lo hanno arrestato in un paesino vicino Rimini mentre accompagnava il figlio, vorrebbe restare che si trovava bene ma  l’estradizione in Germania è assicurata , dove è accusato di aver coordinato il gruppo  che piazzò gli esplosivi sui gasdotti nel 2022.

Rumors da fonti investigative suggeriscono legami con operazioni shadow, ma senza claim ufficiali ovviamente , resta un identikit da film: ex militare, forse mercenario, in un arresto che sa di ritorsione geopolitica più che di giustizia lampo.

Intanto lui saluta con il tridente Ucraino proprio come nei fumetti usati che da piccoli leggevamo dal barbiere . 

Il Piano Anti-Russia si chiama  “Fuori in 24 h “ ( O 24 secondi )

Scudo umano da 40 Milioni di italiani in zona Trieste? 

40 milioni lungo il Perimeter potrebbero non bastare .

Ah, l’Italia, terra di poeti, navigatori e, a quanto pare, di scudi umani improvvisati: ecco che ANSA ci regala l’ultima perla della difesa nazionale, un piano che promette di reagire in sole 24 ore se Mosca decidesse di attaccare, invocando un Art. 5 NATO in versione ‘light’, come se fosse un Menù con decaffeinato e spremuta all’autogrill delle stronzate .

Sai , per non disturbare troppo i saggi di Bruxelles. 

Immaginate la scena: quaranta milioni di italiani, concentrati in quella che chiameremo “zona Trieste” – un eufemismo per l’intero Nord-Est, dal Friuli alla Lombardia, trasformati in un baluardo umano contro l’orso russo, mentre i nostri generali coordinano il tutto con la stessa efficienza di un’assemblea condominiale su Zoom. 

E in control room : Draghi , Meloni ( è sua sorella ) e Giuli che compie riti esoterici pagani per i migliori auspici .

È humor puro, quasi da commedia all’italiana: in 24 ore, il tempo di un giro di orologio, dovremmo mobilitare forze che, in realtà languono tra tagli al bilancio e equipaggiamenti datati, lasciando i cittadini a fare da tampone vivente. 

L’età media delle forze armate è la stessa del dopolavoro ferroviario , ma spezzeremo le reni ai russi giocandocela a Carambola . 

È il coordinamento militare? 

Un capolavoro di burocrazia europea, dove ogni alleato NATO light attende il via libera dall’altro, mentre Putin potrebbe già brindare con vodka a Kaliningrad e aver già trasformato il corridoio di Suwalki in campo di prigionia per i Blatici e Polacchi .

Non è strategia, è una roulette russa giocata con le vite altrui, e noi, i quaranta milioni ( gli altri sono gestiti da INPS ( in comodi campi di lavoro  Death Smart Working )  , siamo la pallina sgonfia  che non rimbalza , sogni e illusioni di prontezza e la cruda realtà :

un’alleanza che, quando serve, si rivela più un club di dibattito più che un patto di ferro , visto che l’acciaio ha portato sfiga . 

Ma andiamo al sodo, perché il black humor si fa amaro ? 

Quando pensiamo a cosa significhi davvero questo “plan” parte un video promozionale di quelle fatidiche 24 ore, mentre i nostri leader evocano lo spirito di Trieste come frontiera simbolica – quella città che ha visto imperi crollare e confini ridisegnati – i quaranta milioni di “scudi umani” nella zona estesa dal Triveneto al Po si troverebbero a fare i conti con un attacco che esiste solo nella Wish List bagnata della Kallas che, light o non light, la Russia non aspetterebbe di sentire permesso prima di entrare .

Come se la BlitzKrieg l’avessero inventata ieri.

E un po’ come se ANSA ci stesse dicendo , con il solito meta messaggio nascosto tra le righe , che l’Italia è pronta a sacrificarsi per questo l’Articolo 5 depotenziato in virtù di un meccanismo che suona più come un optional alla Chamberlain che come un obbligo sacro . 

Profumo di profani .

Pagine di burocrazia autoreferenziale  che ricordano le litigiose riunioni UE sui fondi senza @borghi_claudio(claudio )e Bagnai . 

Immaginate i nostri soldati, armati di coraggio e poco altro, a fronteggiare un nemico che non bada a orari di ufficio, mentre i partner NATO discutono protocolli via email. 

È una predizione caustica, ma realistica: in questo scenario, le 24 ore non sono un tempo di reazione, ma un countdown per un disastro annunciato, dove Trieste diventa metafora di un’Italia usata come cuscinetto umano in una guerra che nessuno vuole, ma che tutti fingono di poter gestire con un orologio svizzero clonato in Cina , ma fermo.

E noi Ridiamo per non piangere, sapendo che il vero scudo è la speranza che Mosca non prema il bottone , visto che Ghedi , Aviano e Camp Derby sarebbero i primi target a essere colpiti .

40 milioni lungo il nostro Perimeter potrebbero non bastare .

Cesare Semovigo 

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