Questo cambia tutto!_di Aurelien

Dipende da cosa si sta cercando di fare.
AURELIEN
31 GEN 2024
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Il consumatore casuale dei media, che si abbuffa di notizie occasionali sulle molte guerre minacciate, temute o effettivamente in corso in questo momento, potrebbe essere perdonato per aver pensato che tutti i conflitti riguardano lo sviluppo e la messa in campo di armi sempre più nuove e luccicanti, che regolarmente “cambiano tutto”. Se non fosse che, a quanto pare, alcune di queste armi non cambiano molto nella pratica e, anzi, potrebbero rivelarsi poco o per nulla efficaci, o addirittura meno efficaci delle armi che hanno sostituito. È tutto molto confuso.
Non è necessario che lo sia. Le forze di sicurezza dispongono di strumenti (che comprendono le armi ma anche altre cose) che consentono loro di svolgere i compiti, per fortuna con successo. A volte, gli strumenti non sono adeguati al compito e il compito non può essere svolto: un punto su cui tornerò. Altre volte, gli strumenti vengono usati male perché sono tutto ciò che si ha a disposizione. Nelle cosiddette guerre del merluzzo dei primi anni Settanta, le fregate della Royal Navy proteggevano i pescherecci britannici dalle pattuglie di pescatori islandesi interponendosi fisicamente. Era un uso bizzarro di navi da guerra costose e fragili, ma era tutto quello che c’era a disposizione.
Le armi possono essere inadeguate al compito o troppo potenti. Davvero, direte voi? Ma che dire delle armi nucleari? Non sono l’argomento definitivo? Non proprio: le armi nucleari hanno usi molto precisi, per lo più politici, e sono invece di fatto inutilizzabili in qualsiasi conflitto normale. Un buon esempio è la guerra delle Falkland del 1982, in cui deve essere sembrato straordinario agli occhi degli esterni che l’Argentina, di fatto, abbia attaccato una potenza nucleare, rischiando così di essere annientata. Ma in realtà, non c’è mai stato un momento in cui l’opzione nucleare è stata presa in considerazione: era in un altro spazio concettuale, e lì è rimasta. Semplicemente non era rilevante per il conflitto.
È quindi comprensibile che quando arriva una nuova tecnologia che promette effettivamente di fornire qualcosa di molto nuovo e molto potente, si tenda a entusiasmarsi per essa. Ma in realtà, la tecnologia di per sé non cambia la natura del conflitto o gli esiti delle guerre reali. Ciò che (a volte) li cambia è l’applicazione della tecnologia a una situazione particolare con un obiettivo particolare. Così, per molto tempo, ad esempio, la tecnologia laser utilizzata in modo aggressivo è stata una soluzione alla ricerca di un problema in conflitto da risolvere. Tuttavia, la sua applicazione effettiva nel settore della difesa è molto limitata. Se si riuscisse a generare rapidamente una potenza sufficiente da una fonte di energia abbastanza piccola, potremmo finalmente trovarci nel territorio di Guerre Stellari. Ma fino ad allora esistono modi migliori, più economici e più affidabili per raggiungere gli stessi obiettivi. Al momento, la Musa degli scrittori di difesa tecno-feticisti si incarna nella tecnologia dei droni, in particolare negli sciami di droni e nei droni con visuale in prima persona. “Questo cambia tutto!”, ci dicono. Forse, ma tutto dipende dal contesto. I droni soffrono di molte limitazioni, tra cui le condizioni meteorologiche, e di contromisure elettroniche e di altro tipo già in fase di sviluppo. Ma soprattutto, finora hanno dimostrato il loro valore nella guerra difensiva, basata sul logoramento. Non è ovvio che avranno gli stessi vantaggi netti in altri tipi di guerra in altri ambienti.
Questa settimana, quindi, cercherò di abbozzare alcune idee su quali tecnologie, se correttamente utilizzate, potrebbero influenzare gli equilibri strategici e i risultati strategici dei prossimi anni. Non mi addentrerò troppo nelle tecnologie in sé, né negli scenari militari, perché non sono un esperto di nessuno dei due: Cercherò di concentrarmi sul piano politico e strategico.
Un buon punto di partenza, forse, è il saggio di George Orwell del 1945 You and the Atomic Bomb, in cui sosteneva che:
“le epoche in cui l’arma dominante è costosa o difficile da fabbricare tenderanno a essere epoche di dispotismo, mentre quando l’arma dominante è economica e semplice, la gente comune ha una possibilità”. Così, ad esempio, carri armati, corazzate e aerei da bombardamento sono armi intrinsecamente tiranniche, mentre fucili, moschetti, archi lunghi e bombe a mano sono armi intrinsecamente democratiche. Un’arma complessa rende il forte più forte, mentre un’arma semplice – finché non c’è una risposta ad essa – dà gli artigli al debole”.
Ora, Orwell, che tra l’altro era un soldato addestrato, sapeva di cosa stava parlando per quanto riguarda le armi del suo tempo e di quelli precedenti, per esperienza personale. Ma l’argomentazione può ovviamente essere estesa oggi alla fazione armata e al livello internazionale, mettendo da parte i giudizi di valore normativo su democrazia e totalitarismo e concentrandosi piuttosto sull’equilibrio di potere tra diversi tipi di Stati e organizzazioni politiche. La vera questione è: in che tipo di situazione ci troviamo oggi e come sta cambiando? Siamo in una situazione in cui la tecnologia rende più forti gli Stati sofisticati e sviluppati, o piuttosto le tecnologie emergenti aiutano gli Stati più poveri e gli attori non statali, a seconda, evidentemente, di come e in quale contesto vengono utilizzate?
Possiamo prendere come esempio lo sviluppo della tecnologia dei carri armati. Nel campo di battaglia della Prima guerra mondiale sul fronte occidentale, l’aspettativa, e quasi il risultato, era una guerra di manovra rapida, con un ruolo importante svolto dalla cavalleria. Le armi difensive, come le mitragliatrici, ebbero una priorità minore, perché gli eserciti delle due potenze trascorsero la maggior parte della fine del 1914 nel disperato tentativo di aggirarsi a vicenda. I carri armati (se fossero stati disponibili) sarebbero stati semplicemente troppo lenti e inaffidabili per svolgere un ruolo importante. Alla fine, nessuno dei due schieramenti riuscì ad aggirare l’altro, a causa del numero di soldati coinvolti: le linee si stabilizzarono e la guerra di logoramento posizionale prese il sopravvento. Sul fronte orientale, tuttavia, almeno fino al conflitto russo-polacco del 1921, la cavalleria rimase molto importante e vennero combattute enormi battaglie di cavalleria. Cavalli, quasi letteralmente, per i corsi.
Sebbene il grande killer numerico sul fronte occidentale fosse l’artiglieria, erano le mitragliatrici a rendere difficili o impossibili i movimenti e quindi a rendere gli attacchi molto costosi. Inoltre, il vero gap di capacità – che sarebbe stato colmato solo negli anni Quaranta – era rappresentato dalle comunicazioni. L’artiglieria poteva uccidere i difensori e sopprimere il fuoco difensivo, in misura diversa, ma una volta che le truppe in avanzata erano fuori dal raggio visivo, non c’era modo di sapere in quali aree gli attacchi avevano avuto successo e in quali erano falliti. Di conseguenza, non c’era modo di sapere quali attacchi dovessero essere rafforzati. Mentre gli attaccanti esitavano, senza ordini, le truppe tedesche avanzavano dalle retrovie per attaccarli a loro volta. Solo con l’introduzione delle radio nei carri armati e negli aerei, nel 1940, il problema fu parzialmente risolto (Guderian, non dimentichiamolo, era un ufficiale dei servizi segreti).
La soluzione al dominio del campo di battaglia da parte della mitragliatrice fu, non a caso, chiamata prima “distruttore corazzato di mitragliatrici”, poi “nave da guerra” e infine “carro armato”. Si trattava di un’arma d’attacco (ed è per questo che i tedeschi vi dedicarono pochi sforzi: dopotutto, erano soprattutto in difesa). Il concetto era quello di un’arma mobile e protetta che potesse attraversare tutti i terreni e distruggere le mitragliatrici, oltre a impegnare la fanteria nemica, consentendo così il tanto desiderato sfondamento. Ma anche in questo caso, il massimo che ci si poteva aspettare era un guadagno tattico locale, dato che i carri armati non avevano modo di segnalare dove erano riusciti ad arrivare. (Nemmeno l’aviazione, il grande non-evento della Prima Guerra Mondiale, poteva essere d’aiuto in questo caso, poiché il tempo che intercorreva tra lo scattare le fotografie, svilupparle e farle pervenire al quartier generale era troppo lungo, anche se ci fosse stato un modo per segnalare ai carri armati cosa fare dopo).
Sebbene all’epoca il carro armato fosse visto come un’arma miracolosa, con pochi avversari, era il prodotto di una particolare situazione strategica e aveva una sola applicazione. Sarebbe stato inutile per i tedeschi schierare i carri armati in prima linea o vicino ad essa, dove sarebbero stati rapidamente distrutti dallo sbarramento dell’artiglieria. Negli anni Venti e Trenta, alcuni visionari, più realistici di altri, iniziarono a sviluppare piani ambiziosi per interi eserciti di carri armati, invulnerabili alle misure difensive, in grado di spazzare via tutto e travolgere intere nazioni. È giusto dire che questi piani non avevano alcun rapporto con le effettive capacità tecniche dei carri armati dell’epoca, né con la capacità degli eserciti di comandare e controllare un movimento rapido su così vasta scala. Ma soprattutto, avevano senso solo per gli eserciti che si aspettavano di essere all’offensiva strategica. L’Armata Rossa sviluppò la sua dottrina della battaglia profonda sotto Tukhachevsky, un ex ufficiale di cavalleria, proprio per evitare, ancora una volta, una guerra combattuta sul suo territorio. La dottrina tedesca dei Panzer era completamente orientata alla guerra aggressiva, per recuperare i territori persi nel 1918, per sistemare una volta per tutte la Francia e per conquistare l’agognato lebensraum a est. Era anche la dottrina di un Paese povero di risorse naturali che poteva condurre solo una guerra breve e di conquista.
Questo non era vero per i francesi. L’esercito francese del periodo tra le due guerre è stato molto criticato per il suo orientamento “difensivo”, come se, in qualche modo, non dovesse effettivamente difendere. Il fatto è che nel 1918 la Francia aveva recuperato tutti i suoi territori e, in qualsiasi guerra potenziale, la strategia di gran lunga migliore sarebbe stata quella di lasciare che i tedeschi venissero da loro. Gli storici anglosassoni si sono divertiti molto con la presunta mancanza di “spirito offensivo” dell’esercito francese e la sua apparente passività nell’inverno del 1939-40, ma questo non coglie il punto. Per vincere, i tedeschi dovevano attaccare, quindi perché non lasciarli fare? Dopo tutto, quali sarebbero stati gli obiettivi di un attacco francese? È istruttivo guardare la mappa. Non ho mai visto un ipotetico piano offensivo francese per il 1940, ma quali sarebbero stati i suoi obiettivi? Berlino si trovava a 800 km di distanza da qualsiasi percorso ragionevole, e i francesi avrebbero dovuto occupare almeno la Ruhr, Hannover e Amburgo a nord, e Monaco a sud, lungo la strada. E per cosa? Come hanno dimostrato i recenti avvenimenti in Ucraina, è molto meglio lasciare che un attaccante si faccia prima a pezzi contro le vostre posizioni difensive.
I francesi avevano posizioni difensive nella linea Maginot così forti che i tedeschi non pensarono mai di attaccarle. Erano quindi costretti ad attraversare il Belgio come avevano fatto nel 1914 (e questa volta anche i Paesi Bassi) e i francesi e gli inglesi sarebbero avanzati per incontrarli, conservando alcune truppe contro un possibile attacco tedesco attraverso le Ardenne. In uno scenario difensivo di questo tipo, i carri armati non venivano utilizzati allo stesso modo. I tedeschi si affidavano a colonne corazzate in rapido movimento che colpivano in profondità le retrovie nemiche, il che non è certo una tattica difensiva. Questo è il motivo della tanto criticata decisione di britannici e francesi di dividere le loro forze corazzate in piccole unità a supporto della fanteria. Ma la fanteria non aveva altra vera arma di difesa contro i carri armati se non un altro carro armato, quindi aveva senso dare loro protezione, visto che si stavano difendendo. Il tipo di tattiche corazzate di massa favorite da De Gaulle (che, per quanto ne sappiamo, non era mai entrato in un carro armato quando ne parlava in modo così lirico) non solo erano del tutto irrealizzabili, dato lo stato della tecnologia dell’epoca, ma erano anche del tutto inadatte a una nazione che si trovava sulla difensiva strategica. Al contrario, la tanto sminuita linea Maginot fu un’iniziativa eccellente. Il fatto che i tedeschi abbiano vinto – per pura fortuna, ma non solo – tende a nascondere il fatto che le due parti, con obiettivi strategici diversi, avevano necessariamente anche dottrine ed equipaggiamenti tattici diversi.
Solo a guerra inoltrata furono messi in campo sistemi anticarro realmente portatili in gran numero, ma anche allora la loro efficacia era limitata. L’idea dei carri armati come regina del campo di battaglia, contrastati solo da altri e migliori carri armati, ha fatto parte del pensiero militare convenzionale fino agli anni ’70, ed è per questo che l’uso egiziano di armi anticarro guidate portatili nella guerra del 1973 fu una sorpresa apparente. Ancora una volta, l’uso dipende dal contesto. L’obiettivo strategico egiziano era quello di recuperare il Sinai, cosa che ritenevano di poter fare al meglio infliggendo un’umiliazione militare a Israele (una vittoria militare completa nel Sinai non era fattibile). Così, scelsero la tattica difensiva, attraversando il Canale di Suez e poi trincerandosi, aspettando che gli israeliani attaccassero e rispondendo con raffiche di missili anticarro (e antiaerei), a cui gli israeliani erano impreparati. Inutile dire che gli opinionisti cominciarono presto a insistere che l’era dei carri armati era finita e che il futuro apparteneva ai missili ad alta precisione. In realtà, le nazioni occidentali erano ben consapevoli del problema e da alcuni anni stavano sviluppando corazze difensive composte per i carri armati. Anche i russi svilupparono contromisure più esotiche, come corazze esplosive e laser. Ma anche in questo caso, le opzioni scelte dipendevano dall’uso che si intendeva fare dei carri armati.
Inoltre, anche il pezzo di tecnologia militare più bizzarro ha un’utilità limitata se non fa parte di una forza completa. L’idea, ventilata brevemente in Germania negli anni ’80, di una milizia di cittadini armata di milioni di uomini con armi anticarro, soffriva del piccolo svantaggio che il nemico avrebbe potuto semplicemente allontanarsi e ucciderli tutti con l’artiglieria e i missili. E come riconquistare un territorio perso, armati solo di armi anticarro?
Il punto di questa rapida carrellata sulla tecnologia militare è che i recenti sviluppi che hanno ricevuto molta attenzione da parte dei media potrebbero non cambiare così tanto la guerra, e quindi la strategia, al di fuori di contesti specifici. Passerò ora a discutere alcuni esempi, concentrandomi meno sugli aspetti puramente tecnologici e più sulle conseguenze politiche. Cominciamo con la citazione di George Orwell.
Quando la tecnologia utilizzata da ciascuna parte è ampiamente comparabile, le battaglie vengono vinte o perse essenzialmente per questioni di fattori umani. Nelle guerre africane, la parte con un addestramento e una leadership migliori vinceva quasi sempre, perché l’equipaggiamento tendeva a essere simile. Quando le due parti erano più o meno ugualmente competenti e utilizzavano armi simili, come nella guerra civile ruandese del 1990-93, il risultato è stato un sanguinoso stallo. Al contrario, quando i mercenari sudafricani migliorarono l’addestramento delle forze governative in Angola negli anni ’90, iniziarono rapidamente a sconfiggere i ribelli dell’UNITA. In entrambi i conflitti, la fanteria era il braccio principale impiegato da entrambe le parti e le forze di fanteria adeguatamente addestrate e guidate hanno fatto una grande differenza. D’altra parte, mentre l’equipaggiamento utilizzato dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti in Iraq nel 1991 non era molto più moderno ed efficace di quello degli iracheni, il risultato fu una vittoria totale con poche vittime. Le simulazioni della ricerca operativa dopo la guerra sono riuscite a duplicare quel risultato (che non era stato previsto) solo ammettendo che circa il 90% della differenza tra le due parti fosse dovuto all’addestramento e alla leadership, non all’equipaggiamento.
I problemi sono piuttosto diversi quando le capacità e gli obiettivi delle due parti sono asimmetrici, come tendono ad essere al giorno d’oggi: Voglio sviluppare questo punto nel resto del saggio. Come ho sottolineato più volte in altri contesti, vincere e perdere a livello strategico, sia a livello politico che militare, non è un semplice gioco a somma zero. Se gli obiettivi sono diversi, il risultato stesso può essere asimmetrico. Quindi, secondo qualsiasi criterio, i Talebani hanno “vinto” la guerra in Afghanistan contro gli Stati Uniti e i loro alleati. Ma gli obiettivi delle due parti erano fondamentalmente diversi: l’Occidente stava cercando di stabilire nel Paese un sistema politico ed economico di tipo occidentale, completo di forze armate di tipo occidentale. I Talebani cercavano semplicemente di espellere gli invasori e di prendere il potere. Le armi ad alta tecnologia messe in campo dall’Occidente, tra cui droni e aerei a reazione avanzati che sparano missili, hanno avuto uno scarso impatto generale perché erano in numero limitato e difficili da applicare con successo. In effetti, l’equipaggiamento sofisticato fornito all’Esercito nazionale afghano si è rivelato uno svantaggio, perché ha imposto all’ANA di combattere una guerra in stile occidentale, con un equipaggiamento che non comprendeva appieno e che doveva essere mantenuto da appaltatori statunitensi. I Talebani, invece, hanno usato armi e tattiche coerenti con i loro obiettivi. L’attacco suicida, talvolta chiamato “drone umano”, poteva essere molto più preciso ed efficace di un missile sparato da chilometri di distanza, ed era infinitamente più economico e semplice da organizzare.
Una delle ragioni per cui l’Occidente ha potuto combattere in Afghanistan è stata la facilità di proiezione e di mantenimento della forza, grazie al controllo completo dello spazio aereo (e altrove dello spazio marino) necessario per queste funzioni. Sebbene ci fosse una minaccia da parte delle forze talebane nelle montagne intorno a Kabul (che ha reso interessanti i modelli di atterraggio e partenza all’aeroporto), i talebani potevano fare ben poco, in pratica, per impedire l’arrivo delle forze occidentali e il loro successivo sostentamento. In effetti, la maggior parte del cibo consumato dagli occidentali a Kabul arrivava via camion attraverso il Pakistan, e le compagnie di trasporto dovevano pagare tangenti ai Talebani per farli passare, contribuendo così al loro budget operativo. (Ma se i Talebani avessero avuto la volontà o gli armamenti per fermare questi convogli, o se fossero stati in grado di chiudere l’aeroporto di tanto in tanto, allora l’occupazione non sarebbe potuta continuare e i Talebani avrebbero “vinto”, indipendentemente dal numero di combattenti uccisi sul campo di battaglia. E ora sembra che i Talebani abbiano la capacità militare di impedire comunque ogni nuovo tentativo di invasione…
È probabile che questo sia lo schema per il futuro. Come ho sostenuto altrove, la facile proiezione delle forze occidentali che ha reso così facile l’Iraq 1 e 2 e la Libia sta probabilmente finendo. Una tecnologia relativamente bassa, applicata correttamente, può rendere tale proiezione di forze troppo costosa in termini di vite e denaro, o semplicemente irraggiungibile. È per questo motivo che storicamente anche il militarista più sfrenato di Washington non ha mai parlato seriamente di invadere la Corea del Nord. Le forze convenzionali di questo Paese possono essere obsolete, ma da decenni dispone di un arsenale di missili a corto e medio raggio che potrebbero devastare non solo la Corea del Sud, ma anche il Giappone, e distruggere le infrastrutture che consentirebbero la proiezione di forze. Ora sono stati dispiegati anche missili a più lungo raggio. Più recentemente, i progressi nella tecnologia nucleare e nella progettazione delle testate sembrano aver dato loro la capacità di distruggere le risorse navali statunitensi a centinaia di chilometri di distanza. Non c’è alcun obiettivo concepibile che possa valere il rischio di un tale attacco, e in ogni caso è improbabile che l’attacco abbia successo. Sun Tzu avrebbe quindi approvato il fatto che, a livello politico, la battaglia per l’indipendenza della Corea del Nord è stata vinta senza combattere.
Ora, il punto più generale è che la proiezione di forza richiede, per definizione, capacità asimmetriche. Un attaccante deve portare le proprie forze nel posto giusto in modo sicuro, proteggerle, sostenerle, rinforzarle se necessario e infine ritirarle intere. Il difensore deve semplicemente interrompere questa sequenza ordinata. Inoltre, è altamente improbabile che la nazione o le nazioni proiettanti abbiano a cuore gli obiettivi dell’operazione tanto quanto il Paese bersaglio per la sua indipendenza, e quindi la sua tolleranza per le perdite sarà molto più bassa. Stando così le cose, non c’è motivo per cui il Paese bersaglio faccia lo stesso gioco dell’aggressore. Può essere tecnicamente vero che gli Stati Uniti “vincerebbero” una battaglia tra flotte con la Marina cinese, ma non c’è motivo per cui i cinesi dovrebbero voler giocare a questo gioco. Gli sbarramenti missilistici che colpiscono i gruppi da battaglia delle portaerei e un ombrello di difesa aerea proiettato a diverse centinaia di chilometri di distanza dal mare infliggerebbero alle forze statunitensi molti più danni di quanto sarebbe politicamente accettabile. Almeno qualcuno a Washington deve capirlo. Sun Tzu annuisce di nuovo con approvazione.
È probabile che questo sia il modello per il futuro, ma notate, ancora una volta, che la superiorità dipende dal contesto. In questi esempi, i nordcoreani e i cinesi si stanno difendendo. Quando i cinesi cercheranno di proiettare la forza, incontreranno gli stessi problemi. Nella misura in cui i cinesi possono proiettare la forza localmente sotto un ombrello di difesa missilistica e aerea (fino a Taiwan, per esempio), questo può essere gestito: dopo di che, tutto dipende da dove vogliono andare.
In generale, sembra che ci stiamo avvicinando a un punto in cui anche i Paesi più piccoli, dotati di armi adeguate, possono ottenere dalle grandi potenze un prezzo per attaccarli che queste non sono disposte a pagare. Orwell direbbe senza dubbio che ci stiamo avvicinando a una forma di democratizzazione della capacità militare: non all’interno degli Stati, ma tra di essi. La difesa sta diventando, se non sempre più facile, almeno più conveniente dell’aggressione. Uno squadrone di aerei da combattimento di nuova generazione e i relativi piloti rappresentano un investimento così massiccio che può essere utilizzato solo in circostanze in cui le perdite saranno minime o preferibilmente nulle. Inviare uno squadrone di F-35 a bombardare una “sospetta base ribelle” con una manciata di bombe o missili a caduta libera e perderne due o tre sarebbe impensabile. Ma una simile minaccia potrebbe essere rappresentata da raffiche di missili di difesa aerea relativamente vecchi ma ancora efficaci.
Le nuove tecnologie e la loro proliferazione rendono la situazione più complessa. L’Occidente pensa ancora in larga misura all’occupazione fisica del territorio e al controllo dello spazio aereo sopra di esso. Per questo motivo, ha storicamente trascurato altre tecnologie, in particolare i missili e le armi ad effetto indiretto a lungo raggio in generale. (L’uso dei droni, ad esempio, si è limitato ad attacchi in profondità e ad assassinii, piuttosto che a obiettivi strategici). Ma la guerra in Ucraina ha già dimostrato che è possibile controllare efficacemente il territorio in altri modi. Per decenni, i gruppi ribelli e i movimenti di resistenza hanno utilizzato mine antiuomo e anticarro per rendere difficile e costoso il movimento delle forze di invasione. Sebbene l’Occidente sia riuscito a far vietare la produzione di nuove mine con la Convenzione di Ottawa del 1997, i gruppi di ribelli hanno continuato a usare quelli che vengono chiamati, in modo un po’ goffo, ordigni esplosivi improvvisati, con ottimi risultati, in Afghanistan e altrove. Questo tipo di tecnologia rimane una delle armi preferite dai poveri e dai deboli e, se da un lato non può garantire il controllo effettivo di un’area (poiché ovviamente anche voi siete a rischio di mine), dall’altro può negare il controllo effettivo della stessa area al vostro nemico o a un invasore.
L’uso russo delle mine in Ucraina ha ricevuto meno pubblicità rispetto ad altre tecnologie, ma rimane importante e ha contribuito in modo determinante all’esito disastroso dell’offensiva ucraina del 2023. Ma la moderna tecnologia delle mine ne consente l’uso come una sorta di arma offensiva limitata, almeno per recuperare il territorio perso da un invasore. Le mine possono essere trasportate da razzi e droni per distanze considerevoli e possono costringere il nemico a evacuare un’area perché diventa impossibile manovrarla e trovare e distruggere le mine è costoso, lungo e pericoloso. Tuttavia, la tecnologia moderna consente di programmare le mine in modo che si autodistruggano o semplicemente diventino inoperanti dopo un certo periodo di tempo, consentendo così alle forze di rientrare. In questo modo, uno Stato con risorse piuttosto modeste potrebbe sconfiggere efficacemente un attacco da parte di un nemico più grande e più forte. Ancora una volta, torniamo all’asimmetria degli obiettivi: se questo tipo di tecnologie fosse stato a disposizione degli iracheni nel 2003, il livello delle vittime avrebbe potuto rapidamente aumentare oltre i limiti accettabili per l’Occidente.
Lo stesso discorso generale vale per lo spazio aereo. I concetti occidentali di dominio dell’aria si basano su velivoli molto costosi e ad alte prestazioni, in grado di sconfiggere gli aerei dell’opposizione e di consentire lo svolgimento di operazioni a terra con il supporto di aerei amici. Ma cosa succede se l’avversario decide di non fare lo stesso gioco? Attualmente esiste una proliferazione di missili di difesa aerea a lungo raggio abbastanza capaci, e ce ne saranno altri e di migliore qualità. Questi sistemi sono generalmente mobili e i lanciatori e i missili sono relativamente economici rispetto agli aerei. L’addestramento degli operatori missilistici richiede mesi, anziché anni, e gli operatori sono molto più facili da trovare e addestrare rispetto ai piloti. Il controllo effettivo del proprio spazio aereo, dove è inaccettabilmente pericoloso per il nemico operare, sarà presto alla portata di alcune nazioni di medie dimensioni.
Naturalmente, valgono le stesse argomentazioni del controllo del territorio. È possibile difendere il proprio spazio aereo con questi sistemi, ma è molto difficile proiettare il potere verso l’esterno con questo livello di tecnologia. In Ucraina, i russi hanno utilizzato tecnologie molto più complesse e costose per cercare di ottenere il controllo dello spazio aereo, ma non ci sono ancora riusciti completamente. E quasi per definizione, il controllo dell’aria non implica automaticamente il controllo del suolo: nessun Paese è mai stato conquistato con la sola forza aerea.
Infine, c’è il controllo delle comunicazioni, soprattutto dei choke-point marittimi. È una vecchia storia, anche se è tornata improvvisamente alla ribalta con le attività degli Houthi nello Yemen. Anche in questo caso, la questione è asimmetrica: droni e missili relativamente poco costosi non possono darvi il controllo del mare, ma possono impedire ad altri di averlo e di godere di un passaggio sicuro attraverso di esso. Come abbiamo visto, le compagnie di navigazione commerciale non sono generalmente disposte a correre rischi oltre un certo punto, e questo punto potrebbe essere molto presto nel processo di escalation. Un attacco occasionale e riuscito a una nave mercantile, anche senza gravi danni, può essere tutto ciò che serve per fermare il commercio marittimo. Al contrario, cercare di mantenere aperte tali rotte richiederebbe sforzi massicci, continui e costosi, che probabilmente sarebbero al di là delle risorse dell’Occidente per un qualsiasi periodo di tempo. Inoltre, poiché la perdita di anche una sola nave occidentale a causa di un attacco missilistico sarebbe un disastro politico, non è certo che molti Stati vogliano partecipare a tali sforzi. Come ha dimostrato l’esperienza in Ucraina, il numero di missili in attacco è di per sé importante e le navi occidentali che hanno esaurito i loro mezzi di difesa aerea, anche se non hanno subito danni, saranno praticamente obbligate a lasciare l’area.
In conclusione, un paio di osservazioni generali. In primo luogo, l’argomento dei costi relativi non deve essere preso troppo alla leggera. Come abbiamo visto, armi relativamente economiche come i missili anticarro possono sconfiggere sistemi costosi e complessi come i carri armati in determinate circostanze tattiche. Ma non si può lanciare un contrattacco con i missili, e se si dispone solo di missili le proprie forze saranno spazzate via dall’artiglieria. Tutto dipende, ancora una volta, da ciò che si sta cercando di fare. Dopotutto, considerate l’estensione finale di questo argomento. Un soldato di fanteria umano costa decine di migliaia di unità monetarie ($, £, €) all’anno solo di stipendio, per non parlare del reclutamento, dell’addestramento e dell’equipaggiamento. Quindi un singolo soldato con cinque anni di servizio potrebbe rappresentare un investimento di mezzo milione di LCU. Eppure il soldato può essere ucciso da un singolo proiettile che costa solo pochi LCU. Certo, oggi i soldati sono protetti da elmetti e corazze (ancora più costose), ma anche in questo caso un proiettile di vecchio calibro 7,62 può penetrare alcune corazze, mentre il calibro 12,7 certamente sì. Questo significa che il giorno del soldato sul campo di battaglia è finito? Ovviamente no, perché per sparare i proiettili servono altri soldati, per non parlare di combattere e vincere la battaglia. Spero che abbiate capito il senso.
Il che significa che tutto dipende dal contesto, ma, per estensione, il contesto detta ciò che si può ottenere. L’era delle guerre d’auto contro i piccoli Paesi è quasi certamente finita, perché questi Paesi stanno rapidamente acquisendo la capacità di infliggere danni sproporzionati agli aggressori. Allo stesso modo, l’assoluta “libertà dei mari” potrebbe essere presto consegnata alla storia, data la capacità delle nazioni costiere di utilizzare missili relativamente economici per disturbare la navigazione e minacciare le navi militari. Ancora una volta, è importante uscire dall’abitudine mentale di pensare a “vincere” e “perdere”. Abbiamo già visto come gli Houthi stiano usando la loro capacità missilistica (relativamente limitata) per interrompere la navigazione commerciale nel Mar Rosso e per fare pressione sugli Stati Uniti affinché Israele interrompa la sua guerra a Gaza. Gli Stati Uniti e le altre nazioni occidentali hanno una potenza militare enormemente superiore a quella degli Houthi, ma le due parti stanno cercando di fare cose fondamentalmente diverse. È impossibile dire se l’obiettivo degli Houthi di fare pressione sugli Stati Uniti avrà successo, ma il loro obiettivo intermedio di interrompere il traffico marittimo è molto più facile da raggiungere rispetto all’obiettivo del loro avversario di mantenere la libertà di navigazione.
È probabile che questo sia il modello per il futuro. Il potere militare diventerà sempre più localizzato e specifico, e diversi Paesi, e forse gruppi di Paesi, acquisiranno un diverso potenziale militare contro gli esterni e gli uni contro gli altri. È probabile che la difesa (o perlomeno la frustrazione degli obiettivi del nemico) attraversi una fase di maggiore facilità rispetto all’attacco (o perlomeno al raggiungimento di tali obiettivi). Tutto ciò rappresenta una nuova situazione strategica, ma che sarà amorfa e in costante mutamento nei dettagli. Sarà interessante vedere se l’opinionismo strategico occidentale e la politica occidentale saranno all’altezza delle sfide intellettuali che ne deriveranno.
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IL DISADATTAMENTO DELLE ÉLITES OCCIDENTALI. INTERVISTA A ROBERTO NEGRI

Abbiamo posto giorni fa ad Aurelien quattro domande alle quali l’analista ci ha rapidamente e compiutamente risposto. Abbiamo pubblicato il 23 agosto qui la sua replica.

Su suggerimento di alcuni lettori abbiamo esteso ad altri autori ed analisti l’invito a rispondere alle medesime. Proseguiamo con la pubblicazione del punto di vista di Roberto Negri. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 RISPONDE ROBERTO NEGRI

1) Quali sono le ragioni principali dei gravi errori di valutazione commessi dai decisori politico-militari occidentali nella guerra in Ucraina?

Prima del – lungo – elenco di motivazioni, credo vada ricordato il loro sottofondo ideologico comune, l’eccezionalismo americano e la visione quasi messianica del ruolo degli Stati Uniti come elemento ordinatore e di governo del mondo, che anche in élite migliori di quelle attuali implica il rischio di ignorare il potenziale, e tanto più le motivazioni e la determinazione degli antagonisti. Su questo substrato si innestano una serie di circostanze ed eventi, fra cui un trentennio di dominio pressoché incontrastato; alcune prove di forza vinte facilmente contro avversari strutturalmente inferiori; il plauso servile degli alleati anche di fronte a operazioni sorrette da motivazioni smaccatamente artefatte e una conseguente convinzione di totale impunità che vediamo replicata anche oggi; una classe dirigente mediocre e incompetente, formata e perpetuata per cooptazione, eterodiretta da conglomerati economici, interessata soprattutto alla propria autoconservazione; un impoverimento culturale che non si limita alla sfera politica ed economica ma tocca anche quella militare e informativa, cosa in qualche misura inevitabile quando le verità scomode possono stroncare una carriera. In un quadro di questa natura non solo la sottovalutazione del potenziale economico, militare e industriale della Russia è una conseguenza quasi logica, ma soprattutto anche i margini per eventuali correzioni di rotta sono di fatto molto limitati.

2) Sono errori di una classe dirigente o di un’intera cultura?

A mio modo di vedere, nel contesto che stiamo esaminando ogni errore tecnico è innanzitutto, e forse principalmente, un errore culturale latu sensu (vedi le considerazioni della risposta precedente). Non imputerei peraltro questa inadeguatezza alla sola classe dirigente, e non solo perché, con tutti i limiti che le democrazie del dopoguerra stanno evidenziando, i decisori formali sono pur sempre eletti dal popolo. Ad oggi, ad esempio, è senza dubbio vero che gran parte della popolazione mostra nei confronti della guerra in Ucraina un orientamento che spazia dal tiepido al francamente contrario; ma pensare che solo per gli Stati Uniti lo stile di vita occidentale non sia negoziabile è a mio avviso un errore, e questo rende possibile che, poste di fronte alle conseguenze concrete di una sconfitta strategica del blocco occidentale e in particolare alla fine del dominio postcoloniale su interi continenti e dei vantaggi economici da questo derivanti, le opinioni pubbliche occidentali si schierino alla fine al fianco di qualsiasi classe dirigente si proponga di arrestare o quanto meno rallentare questa evoluzione, che – mi pare valga la pena ricordarlo – non prevede alcun ritorno al business as usual. Insomma, ho l’impressione che la vita delle scelte strategiche di questa élite, magari con volti diversi e con minore rozzezza, sia ancora lontana dall’essere al termine.

3) La guerra in Ucraina manifesta una crisi dell’Occidente. È reversibile? Se sì, come? Se no, perché?

Oltre all’assenza della volontà politica e della lucidità necessarie a prendere atto del fatto che il nostro modello di sviluppo illimitato non è più sostenibile né accettabile per chi finora ne ha pagato il costo, non credo che oggi il mondo occidentale disponga delle risorse culturali e intellettuali per invertire un processo che peraltro, anche in presenza di tali risorse, credo si sarebbe probabilmente comunque prodotto pur se in tempi e con connotati differenti. Quelle che ancora sopravvivono sono silenziose per scelta, costrizione o obliterazione da un dibattito pubblico la cui ragione sociale, spogliata dai fronzoli, sembra essere la distruzione di tutto quanto, pur fra errori e macchie a volte indelebili, ha dato un senso e un valore alla nostra storia, e di conseguenza anche delle risorse necessarie a invertire la rotta. Non fosse per la straordinaria mediocrità degli attori in gioco verrebbe quasi la tentazione di interpretare quanto sta accadendo ad ogni livello – economico, politico, culturale – come un cosciente cupio dissolvi dettato dalla consapevolezza di avere esaurito la nostra parabola, ma la realtà ci restituisce piuttosto l’immagine del proverbiale cavaliere che “andava combattendo, ed era morto”.

 4) Cina e Russia, le due potenze emergenti che sfidano il dominio unipolare degli Stati Uniti e dell’Occidente, dopo il crollo del comunismo si sono ricollegate alle loro tradizioni culturali premoderne: Il confucianesimo per la Cina, il cristianesimo ortodosso per la Russia. Perché? Il ritorno all’indietro, letteralmente “reazionario”, può attecchire in una moderna società industriale?

Innanzitutto trovo significativo il fatto che Cina (che credo non abbia mai veramente abbandonato il proprio retaggio culturale) e Russia sembrano avere imboccato anche sotto questo aspetto una direzione diametralmente opposta alla nostra, che siamo al contrario apparentemente impegnati a distruggere qualsiasi pensiero non in linea con lo Zeitgeist imposto dall’agenda modernista. Senza dubbio, nel caso di questi due paesi, le rispettive tradizioni rappresentano un elemento ordinatore, identitario e di coesione, tanto più utile e funzionale di fronte a tempi che non saranno privi di difficoltà per nessuno, oltre che un presidio e un elemento di difesa contro le derive culturali di un Occidente che entrambi vedono come irrimediabilmente corrotto e fonte di possibile corruzione. Per rispondere invece alla domanda, anche senza necessariamente inclinare per l’antimodernismo del Pasolini di Difendi, conserva, prega bisogna innanzitutto chiedersi se la tradizione abbia ancora qualcosa da dire nel mondo contemporaneo che si sta profilando. Non dispongo degli strumenti filosofici per azzardare una risposta che sia qualcosa di più e di diverso da una posizione  personale; la mia, a maggior ragione in un mondo e un tempo che identificano erroneamente la modernità come progresso tout court, propende senz’altro per il si, se non altro come richiamo e punto di riferimento a un “altrove” culturale ed esistenziale che – non casualmente – si tenta quotidianamente di cancellare.

Blinken alla Russia, a cura di Roberto Buffagni

http://johnhelmer.net/blinken-concedes-war-is-lost-offers-kremlin-ukrainian-demilitarization-crimea-donbass-zaporozhe-and-restriction-of-new-tanks-to-western-ukraine-if-there-is-no-russian-offensive/#more-70567

 

http://johnhelmer.net/blinken-concedes-war-is-lost-offers-kremlin-ukrainian-demilitarization-crimea-donbass-zaporozhe-and-restriction-of-new-tanks-to-western-ukraine-if-there-is-no-russian-offensive/#more-70567

 

Di John Helmer, Mosca

@bears_with

David Ignatius (immagine principale, a sinistra) è stato per tutta la carriera un portavoce del Dipartimento di Stato americano. È stato appena chiamato dall’attuale Segretario di Stato Antony Blinken (a destra) per trasmettere un nuovo messaggio urgente al Presidente Vladimir Putin, al Consiglio di Sicurezza e allo Stato Maggiore di Mosca.

Per la prima volta dall’inizio dell’operazione militare speciale l’anno scorso, il partito della guerra a Washington sta offrendo termini di concessione agli obiettivi di sicurezza della Russia in modo esplicito e diretto, senza che gli ucraini si mettano in mezzo.

I termini che Blinken ha detto a Ignatius di stampare sono apparsi nell’edizione del 25 gennaio del Washington Post. Il paywall può essere evitato continuando a leggere.

Le concessioni territoriali presentate da Blinken includono la Crimea, il Donbass e il “ponte di terra che collega Crimea e Russia” di Zaporozhye e Kherson. A ovest del fiume Dnieper, a nord intorno a Kharkov e a sud intorno a Odessa e Nikolaev, Blinken ha presentato per la prima volta l’accettazione da parte degli Stati Uniti di “uno status smilitarizzato” per l’Ucraina. Inoltre, gli Stati Uniti hanno accettato di limitare il dispiegamento degli HIMARS, dei veicoli da combattimento per la fanteria degli Stati Uniti e della NATO e dei carri armati Abrams e Leopard in un punto dell’Ucraina occidentale da cui possano “manovrare… come deterrente contro futuri attacchi russi”.

Si tratta di un’offerta di compromesso – la spartizione attraverso una zona demilitarizzata (DMZ) nell’est dell’Ucraina in cambio dell’arresto della prevista offensiva russa che distruggerà le fortificazioni, gli snodi ferroviari, i cantoni per le truppe e i campi d’aviazione nell’ovest, tra i confini polacco e rumeno, Kiev e Lvov, e un risultato che Blinken propone per entrambe le parti di chiamare “una pace giusta e duratura che sostenga l’integrità territoriale dell’Ucraina”.

Nella proposta di accordo di Blinken c’è anche l’offerta di un accordo diretto tra Stati Uniti e Russia su “un eventuale equilibrio militare postbellico”; “nessuna terza guerra mondiale”; e nessuna adesione dell’Ucraina alla NATO con “garanzie di sicurezza simili all’articolo 5 della NATO”.

Blinken ha anche detto al Washington Post di annunciare che gli Stati Uniti rispetteranno “il filo di sicurezza di Putin per l’escalation nucleare” e accetteranno la “forza di riserva russa che comprende bombardieri strategici, alcune armi a guida di precisione e, naturalmente, armi nucleari tattiche e strategiche”.

Il Presidente Putin ha offerto un accenno della risposta russa che ha discusso con lo Stavka e il Consiglio di Sicurezza la scorsa settimana.

Mercoledì scorso, poche ore dopo la pubblicazione di Blinken, Putin ha parlato a un incontro con gli studenti universitari. “Penso che persone come voi”, ha detto il presidente, “capiscano in modo molto chiaro e preciso la necessità di ciò che la Russia sta facendo ora per sostenere i nostri cittadini in questi territori, compresi Lugansk, Donetsk, l’area del Donbass nel suo complesso, e Kherson e Zaporozhye. L’obiettivo, come ho spiegato più volte, è principalmente quello di proteggere la popolazione e la Russia dalle minacce che stanno cercando di creare per noi nei nostri territori storici adiacenti. Non possiamo permetterlo. Quindi, è estremamente importante che giovani come voi difendano gli interessi della loro piccola e grande Madrepatria con le armi in pugno e lo facciano consapevolmente”.

Continuate a leggere, con molta attenzione, comprendendo che i russi non si fidano di nulla di ciò che dice un funzionario statunitense, tanto meno per bocca di Blinken, Ignatius e del Washington Post; e comprendendo che ciò che Putin e lo Stavka dicono di intendere con i “territori storici adiacenti” e la “piccola e grande Madrepatria” della Russia è stato abbastanza chiaro.

Seguite ciò che Blinken ha detto a Ignatius di stampare, prima che Putin pubblicasse la sua risposta. I termini propagandistici sono stati evidenziati in grassetto per significare il contrario – le posizioni pubbliche da cui Blinken sta cercando di ritirarsi per mantenere la faccia.

25 gennaio 2023

Blinken riflette sull’ordine post-bellico in Ucraina

Di David Ignatius

L’amministrazione Biden, convinta che Vladimir Putin abbia fallito nel suo tentativo di cancellare l’Ucraina, ha iniziato a pianificare un eventuale equilibrio militare postbellico che aiuterà Kiev a scoraggiare qualsiasi ripetizione della brutale invasione russa.

Il Segretario di Stato Antony Blinken ha delineato la sua strategia per l’endgame ucraino e la deterrenza postbellica durante un’intervista rilasciata lunedì al Dipartimento di Stato. La conversazione ha offerto un’insolita esplorazione di alcune delle questioni più spinose relative alla risoluzione di un conflitto ucraino che ha minacciato l’ordine globale.

Blinken ha elogiato esplicitamente il sostegno militare della Germania all’Ucraina, in un momento in cui Berlino è stata messa sotto accusa da alcuni alleati della NATO per non aver fornito rapidamente carri armati Leopard a Kiev. “Nessuno avrebbe previsto la portata del sostegno militare della Germania” all’inizio della guerra, ha detto Blinken. “Questo è un cambiamento epocale che dovremmo riconoscere”.

Ha inoltre sottolineato la determinazione del Presidente Biden ad evitare un conflitto militare diretto con la Russia, anche se le armi statunitensi contribuiscono a polverizzare la forza d’invasione di Putin. “Biden ha sempre sottolineato che uno dei suoi requisiti in Ucraina è che non ci sia una terza guerra mondiale”, ha detto Blinken.

Il colossale fallimento della Russia nel raggiungere i suoi obiettivi militari, secondo Blinken, dovrebbe ora spronare gli Stati Uniti e i suoi alleati a iniziare a pensare alla forma dell’Ucraina postbellica – e a come creare una pace giusta e duratura che sostenga l’integrità territoriale dell’Ucraina e le permetta di dissuadere e, se necessario, di difendersi da qualsiasi aggressione futura. In altre parole, la Russia non dovrebbe essere in grado di riposare, riorganizzarsi e riattaccare.

Il quadro di deterrenza di Blinken è in qualche modo diverso dalle discussioni dello scorso anno con Kiev sulle garanzie di sicurezza simili all’articolo 5 della NATO. Piuttosto che un impegno formale in un trattato, alcuni funzionari statunitensi ritengono sempre più che la chiave sia dare all’Ucraina gli strumenti necessari per difendersi. La sicurezza sarà garantita da potenti sistemi di armamento – soprattutto blindati e difesa aerea – insieme a un’economia forte e non corrotta e all’adesione all’Unione Europea.

L’attuale enfasi del Pentagono sul fornire a Kiev armi e addestramento per la guerra di manovra riflette questo obiettivo a lungo termine di deterrenza. “L’importanza delle armi di manovra non è solo per dare all’Ucraina la forza di riconquistare il territorio, ma anche come deterrente contro i futuri attacchi russi”, ha spiegato un funzionario del Dipartimento di Stato che ha familiarità con le idee di Blinken. “La manovra è il futuro”.

La conversazione con Blinken ha offerto alcuni spunti sulle intense discussioni in corso da mesi all’interno dell’amministrazione su come si possa porre fine alla guerra in Ucraina e mantenere la pace in futuro. La formula standard dell’amministrazione è che tutte le decisioni devono essere prese in ultima istanza dall’Ucraina, e Blinken ha ribadito questa linea. Egli sostiene anche il desiderio dell’Ucraina di ottenere significativi guadagni sul campo di battaglia quest’anno. Ma anche il Dipartimento di Stato, il Pentagono e il Consiglio di Sicurezza Nazionale stanno pensando al futuro.

La Crimea è un particolare punto di discussione. È opinione diffusa a Washington e a Kiev che riconquistare la Crimea con la forza militare potrebbe essere impossibile. Eventuali progressi militari ucraini quest’anno nell’oblast’ di Zaporizhzhia, il ponte di terra che collega la Crimea alla Russia, potrebbero minacciare il controllo russo. Ma una campagna ucraina a tutto campo per conquistare la penisola di Crimea non è realistica, secondo molti funzionari statunitensi e ucraini. In parte perché Putin ha indicato che un assalto alla Crimea sarebbe un’esca per un’escalation nucleare.

L’amministrazione condivide l’insistenza dell’Ucraina sul fatto che la Crimea, conquistata dalla Russia nel 2014, debba essere restituita. Ma nel breve periodo, ciò che è fondamentale per Kiev è che la Crimea non serva più come base per attacchi contro l’Ucraina. Una formula che mi interessa sarebbe uno status smilitarizzato, con il rinvio della questione del controllo politico finale. I funzionari ucraini mi hanno detto l’anno scorso di aver discusso di questa possibilità con l’amministrazione.

Nel valutare le opzioni in Ucraina, Blinken si è mostrato meno preoccupato dei rischi di escalation rispetto ad alcuni osservatori. In parte perché ritiene che la Russia sia controllata dallo strapotere della NATO. “Putin continua a tenere alcune cose in riserva a causa della paura mal riposta che la NATO possa attaccare la Russia”, ha spiegato il funzionario che ha familiarità con i pensieri di Blinken. Questa forza di riserva russa comprende bombardieri strategici, alcune armi a guida di precisione e, naturalmente, armi nucleari tattiche e strategiche.

Il rifiuto di Blinken di criticare la Germania sulla questione del rilascio dei carri armati Leopard illustra quello che è stato più di un anno di gestione dell’alleanza per evitare la frattura della coalizione pro-Ucraina. Blinken ha impiegato centinaia di ore – al telefono, in riunioni video e in viaggi all’estero – per mantenere intatta la coalizione.

Questa coesione diventerà ancora più importante man mano che la guerra in Ucraina si avvia verso la conclusione. Quest’anno, l’Ucraina e i suoi alleati continueranno a combattere per espellere gli invasori russi. Ma come negli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale, è già iniziata la pianificazione dell’ordine postbellico e la costruzione di un sistema di alleanze militari e politiche in grado di ripristinare e mantenere la pace che la Russia ha distrutto.

 

Clicca per seguire le osservazioni di Putin nella traduzione ufficiale del Cremlino.

Nel testo di Blinken è evidenziata in grassetto la frase “un’economia forte e non corrotta e l’adesione all’Unione Europea”. Questo è il messaggio di Blinken al Cremlino: gli Stati Uniti vogliono preservare l’economia agricola dell’Ucraina, i suoi porti per l’esportazione di grano e i termini commerciali concordati con l’Unione Europea prima della guerra. Blinken riconosce anche che la mossa di Vladimir Zelensky all’inizio di questa settimana di forzare le dimissioni e il licenziamento di alti funzionari significa che gli Stati Uniti stanno prendendo le decisioni a Kiev e Lvov.

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PERCHÉ L’UCRAINA NON PUÒ VINCERE CONTRO LA RUSSIA?_di Roberto Buffagni

PERCHÉ L’UCRAINA NON PUÒ VINCERE CONTRO LA RUSSIA?

Che cosa vuole dire che “l’Ucraina non può vincere contro la Russia”?

Vuole dire che:

  1. Le risorse strategiche russe (popolazione, “potenza latente” economica, “potenza manifesta” militare, ossia truppe mobilitate e mobilitabili + armamenti e materiali + arsenale atomico tattico e strategico) sono di gran lunga superiori alle risorse strategiche ucraine, nonostante gli aiuti militari e finanziari occidentali.
  2. Il contesto delle ostilità in Ucraina è la strategia statunitense: prolungamento della guerra a tempo indeterminato, dissanguamento e destabilizzazione politica della Russia, regime change, frammentazione politica della Federazione russa, in vista del contenimento del nemico principale, la Cina. In sintesi, i dirigenti ucraini hanno noleggiato la loro popolazione, il loro Stato, le loro FFA per il perseguimento di questa strategia statunitense.
  3. La strategia statunitense rappresenta una chiara minaccia esistenziale per la Federazione russa, che non può permettersi di perdere il confronto militare con l’Ucraina, che è una sineddoche del confronto Russia/USA-NATO.
  4. Ciò implica che l’Ucraina non può fare ricorso all’unica strategia politico-militare possibile per il debole nei confronti del forte: rendere sfavorevole, per il forte, il rapporto costi/benefici del conflitto con il debole.Tu mi puoi sconfiggere e conquistare, ma ti costerà più di quel che ti rende.” È il criterio ordinatore della strategia di “dissuasion du faible au fort” elaborata dal gen. Gallois per l’istituzione della force de frappe nucleare francese voluta da de Gaulle.
  5. Mi spiego meglio. Il debole, in questo caso l’Ucraina, può infliggere gravi perdite umane, materiali e politiche al forte, la Russia. Se la posta in gioco fosse limitata, ad esempio una controversia territoriale, patendo l’accanita resistenza del debole il forte potrebbe, in base a un calcolo costi/benefici, accettare un compromesso, riducendo le sue esigenze politiche a quanto ritiene strettamente necessario; o addirittura rinunciare a combattere e ritirarsi, come fecero gli Stati Uniti in Vietnam.
  6. Se invece il forte, come nel presente caso, non può permettersi di perdere la guerra, perché una sconfitta decisiva mette a rischio la sua sopravvivenza politica, esso sarà disposto a sopportare qualsiasi costo del conflitto, e impiegherà tutte le sue risorse strategiche per vincerlo. Al debole, dunque, non basterà infliggere ripetute sconfitte tattiche al forte, né infliggergli gravi perdite, anche superiori alle proprie, per spezzare la sua volontà di combattere.
  7. Dunque, paradossalmente, è proprio l’unanime schieramento occidentale a sostegno dell’Ucraina a garantire che l’Ucraina sarà sconfitta dalla Russia.
  8. Infatti, il sostegno occidentale all’Ucraina non può spingersi fino a un conflitto diretto NATO-Russia, per l’elevato rischio di una escalation nucleare, tattica ma anche strategica, delle ostilità, che metterebbe a rischio lo stesso territorio statunitense. Dunque, lo schieramento NATO non può riequilibrare i rapporti di forza tra le risorse strategiche ucraine e le risorse strategiche russe.
  9. Lo schieramento NATO in appoggio all’Ucraina, invece, sortisce l’effetto paradossale di alzare la posta del conflitto fino al cielo, per la Russia, perché ne minaccia la sopravvivenza politica e dunque la costringe a vincere ad ogni costo, perché per la Russia, qualsiasi costo delle ostilità sarà sempre minore della propria distruzione.
  10. Questa maestosa eterogenesi dei fini fa sì che l’Ucraina sia matematicamente condannata alla sconfitta. Scrivo “matematicamente” perché se l’Ucraina non può adottare la strategia “du faible au fort”, rendendo sfavorevole per la Russia il rapporto costi/benefici del conflitto, ad operare sarà la semplice proporzione matematica tra le risorse strategiche ucraine e le risorse strategiche russe, più che sufficiente a predeterminare l’esito del conflitto.

Illusioni pericolose, di Dimitri K. Simes

Confrontiamo i termini del dibattito in corso negli Stati Uniti e in Italia. Chi sono i protagonisti, chi le comparse?_Giuseppe Germinario

Illusioni pericolose

I responsabili politici negli Stati Uniti e in Europa hanno adottato la posizione che la loro missione è promuovere la democrazia in tutto il mondo, sostenendo regolarmente che se falliscono, i governi autoritari sfrutteranno la moderazione americana e uniranno le forze.

DOPO più di sei mesi in carica, l’amministrazione Biden sembra incline ad adottare la visione utopica della promozione della democrazia come principio guida della strategia globale degli Stati Uniti. Questa dottrina, o, se preferite, persuasione, sostiene che l’America dovrebbe, per quanto possibile, piegare il mondo secondo le preferenze degli Stati Uniti e dei suoi alleati in gran parte europei. Fortunatamente, il presidente Joe Biden è un uomo di esperienza e di istinto pragmatico. Qualunque siano i suoi impulsi, finora è stato attento a non bruciare i ponti dell’America e, al contrario, ha preso provvedimenti per migliorare i legami con i principali alleati europei, per riavviare il dialogo con la Russia e per ridurre un po’ l’intensità del confronto con la Cina. Tale flessibilità tattica, tuttavia, non cambia la direzione fondamentale della politica estera statunitense, che a volte è quasi orwelliano nella sua tendenza a emulare concetti dell’ex Unione Sovietica. Era una convinzione fondamentale di Vladimir Lenin e Leon Trotsky che l’URSS, per la propria sicurezza, non potesse tollerare l’esistenza del cosiddetto “ambiente capitalista”. Presumono che i capitalisti non avrebbero mai accettato la coesistenza con il nuovo stato comunista e quindi hanno rifiutato lo status quo come un’opzione irrealistica. Oggi, accanto all’Unione europea, gli Stati Uniti hanno adottato la posizione che la loro missione è promuovere la democrazia in tutto il mondo. I leader di Washington sostengono regolarmente che se non riescono a svolgere questa missione, i governi autoritari sfrutteranno la moderazione americana e uniranno le forze, non solo per minare il potere americano, ma per distruggere la stessa democrazia, privando gli Stati Uniti delle loro amate libertà.

Queste mappe ti lasceranno a bocca aperta

È notevole che questo concetto sia diventato un principio chiave della politica estera americana senza alcun serio dibattito al Congresso, nei media o all’interno della comunità di politica estera. Al centro di questo approccio c’è il presupposto che la democrazia sia intrinsecamente superiore ad altre forme di governo, sia moralmente che in termini di capacità di fornire prosperità e sicurezza. Si presume che la promozione della democrazia sia una parte di vecchia data della tradizione della politica estera statunitense piuttosto che un radicale allontanamento da essa. L’amministrazione Biden parla come se il mondo in generale, a parte i malvagi tiranni, accogliesse con favore la sua spinta per la democrazia e accettasse l’evidente giustizia dell’America e dell’Unione Europea, piuttosto che opporre una potente resistenza che potrebbe danneggiare gli interessi di sicurezza americani, libertà e lo stile di vita americano.

ANCORA DEMOCRAZIA non ha un record stellare nel corso della storia. Il meglio che si può dire di esso, come ha osservato una volta Winston Churchill, è che nella maggior parte delle circostanze rimane superiore a tutte le altre forme di governo testate. Ma perché ciò sia vero, la democrazia deve essere veramente liberale, basata sulla legge e includere protezioni credibili per i diritti delle minoranze. Tali garanzie spesso non vengono prese. Fin dalla sua concezione, la democrazia è stata segnata dal peccato originale della schiavitù. L’antica Atene, la prima democrazia conosciuta, non solo tollerava la schiavitù, ma era di fatto fondata su di essa. Cittadini e schiavi formavano i due lati del sistema politico ateniese. Come scrive lo storico Paulin Ismard, “la schiavitù era il prezzo da pagare per la democrazia diretta”. Gli schiavi consentivano ai cittadini di allontanarsi dal lavoro e di partecipare direttamente al governo,

Negli Stati Uniti, i Padri Fondatori tollerarono similmente la schiavitù, rendendo la sua incorporazione implicita nella Costituzione degli Stati Uniti. Il concetto costituzionale delle relazioni tra gli Stati presupponeva l’esistenza della schiavitù, e fu necessaria una guerra civile per portare all’emancipazione degli schiavi da parte di Abraham Lincoln nel 1863. L’Impero russo in modo notevole – e senza spargimenti di sangue – abolì del tutto la servitù nel 1861, a differenza del Stati Uniti, dove la schiavitù era, per convenienza politica, consentita in alcuni stati dell’Unione fino alla fine della guerra civile. Anche in seguito, la democrazia americana ha continuato a privare le donne e gli afroamericani del diritto di voto per molti altri decenni. Non è ovvio che una democrazia che limita i diritti politici a una minoranza di uomini bianchi sia intrinsecamente così superiore a uno stato autoritario “benevolo” che possiede uno stato di diritto elementare e abbraccia il concetto di uguale protezione per i suoi sudditi. Esempi contemporanei includono la Russia sotto Alessandro II, le cui riforme legali introdussero per la prima volta in Russia il concetto di uguaglianza davanti alla legge, o la Germania sotto Otto von Bismarck, che istituì il primo stato sociale moderno offrendo assicurazione sanitaria e sicurezza sociale ai lavoratori classe. Più vicino al nostro tempo, l’autoritarismo illuminato di Lee Kuan Yew di Singapore ha sollevato milioni di persone dalla povertà e ha mantenuto l’armonia in un paese multietnico. Esempi contemporanei includono la Russia sotto Alessandro II, le cui riforme legali introdussero per la prima volta in Russia il concetto di uguaglianza davanti alla legge, o la Germania sotto Otto von Bismarck, che istituì il primo stato sociale moderno offrendo assicurazione sanitaria e sicurezza sociale ai lavoratori classe. Più vicino al nostro tempo, l’autoritarismo illuminato di Lee Kuan Yew di Singapore ha sollevato milioni di persone dalla povertà e ha mantenuto l’armonia in un paese multietnico. Esempi contemporanei includono la Russia sotto Alessandro II, le cui riforme legali introdussero per la prima volta in Russia il concetto di uguaglianza davanti alla legge, o la Germania sotto Otto von Bismarck, che istituì il primo stato sociale moderno offrendo assicurazione sanitaria e sicurezza sociale ai lavoratori classe. Più vicino al nostro tempo, l’autoritarismo illuminato di Lee Kuan Yew di Singapore ha sollevato milioni di persone dalla povertà e ha mantenuto l’armonia in un paese multietnico.

FINO ALLA fine della Guerra Fredda, la promozione della democrazia non era un elemento costitutivo della tradizione di politica estera degli Stati Uniti: il termine “democrazia” non compare nemmeno nella Costituzione degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti non hanno fatto la guerra per diffondere la democrazia, nemmeno nella propria sfera di influenza nelle Americhe. L’alleanza della NATO, al suo inizio nel 1949, era diretta direttamente contro la minaccia geopolitica sovietica e abbracciò volentieri membri autoritari come il Portogallo sotto António de Oliveira Salazar, che molti consideravano fascisti. Altri alleati americani del primo periodo della Guerra Fredda includevano la Corea del Sud e Taiwan, nessuna delle due era una democrazia a quel tempo. Perché gli Stati Uniti hanno assicurato la protezione di queste non democrazie? Era per proteggerli dall’acquisizione da parte degli avversari degli Stati Uniti. Nel processo, questa politica ha permesso agli alleati americani di avere la libertà di scelta, democratica o meno. Dopo la seconda guerra mondiale, l’America si è posizionata come il vero leader del mondo libero, consentendo alle nazioni con interessi, sistemi di governo e tradizioni diversi di determinare il proprio destino.

Il credo della promozione della democrazia è, al contrario, molto diverso. Va ben oltre la protezione dello status quo internazionale e sostiene una politica apertamente revisionista, progettata non semplicemente per contenere altre grandi nazioni non democratiche, ma per cambiare i loro sistemi di governo. Quando si tratta di grandi potenze, profonde trasformazioni di questa natura di solito derivano da cambiamenti interni o da una vera e propria sconfitta militare; le pressioni economiche e diplomatiche da sole in genere non ottengono molto, a meno che, naturalmente, come nel caso del Giappone prima di Pearl Harbor, non inneschino una guerra con chiari vincitori e vinti. L’amministrazione Biden non parla di cambio di regime, ma le sue parole e azioni contribuiscono a far sospettare sia a Pechino che a Mosca che il cambio di regime sarebbe proprio il risultato del cedimento alle pressioni americane.

Ancora più importante, la promozione della democrazia non è necessaria (almeno per motivi geopolitici) perché ci sono poche prove che Cina e Russia, se lasciate a se stesse, sarebbero desiderose di formare un’alleanza autoritaria globale. Nessuna delle due potenze mostra molta inclinazione a vedere la geopolitica o la geoeconomia principalmente attraverso il prisma di una presunta grande divisione tra democrazia e autocrazia. La Cina sembra perfettamente disposta a stabilire stretti legami economici con l’Unione Europea e, del resto, anche con gli Stati Uniti. Gli obiettivi cinesi sembrano piuttosto tradizionali: acquisire influenza, sviluppare amici e clienti, senza essere particolarmente preoccupati in un modo o nell’altro del loro standard di libertà. A differenza dell’Unione Sovietica negli anni ’20 e ’30, la Cina non sta difendendo una rete internazionale di movimenti comunisti. Quando si tratta di prevaricare i vicini, in particolare nel Mar Cinese Meridionale e oltre, Pechino fa poca distinzione tra paesi relativamente democratici come le Filippine e quelli autocratici come il Vietnam. Nonostante la sfida comune che devono affrontare dagli Stati Uniti, Pechino e Mosca rimangono riluttanti a concludere un’alleanza politica o militare formale. La loro effettiva cooperazione militare va poco al di là di manovre militari in gran parte simboliche e scambi limitati di informazioni militari. Entrambi i paesi sottolineano di essere allineati contro gli Stati Uniti e, in una certa misura, l’Unione europea, ma non hanno formato alcuna alleanza significativa. La Cina, ad esempio, non ha riconosciuto l’annessione russa della Crimea ed è persino diventata il partner commerciale numero uno dell’avversario russo, l’Ucraina. Anche la Russia è raramente riluttante a vendere hardware militare avanzato al rivale della Cina, l’India. Resta quindi un interesse fondamentale americano non creare una profezia che si autoavvera che avvicini Cina e Russia.

ANCHE NEL relativamente stabile sistema politico statunitense, dove le tutele istituzionali hanno solitamente funzionato nelle circostanze più difficili, dal Watergate alla transizione Trump-Biden, è ampiamente riconosciuto che l’ingerenza straniera è inaccettabile. Perché allora i funzionari e i politici statunitensi si aspettano che Cina e Russia, senza una simile legittimità democratica e senza garanzie legali per proteggere le loro élite in caso di sconfitta, siano pronti ad accettare l’interferenza straniera nei loro fondamentali accordi interni? Cina e Russia non sono alleati naturali, ma questo fatto non significa che la creazione di un’assertiva “alleanza delle democrazie” non spingerebbe insieme un riluttante Xi e Putin. La percezione di un’imminente minaccia comune potrebbe costringere entrambi i leader a concludere che, qualunque siano le loro differenze di tattica, cultura politica, e gli interessi a lungo termine, almeno nel breve periodo, devono collaborare per contrastare il pericolo dell’egemonia democratica. Se Xi Jinping e Vladimir Putin raggiungeranno questa conclusione, sarà sempre più difficile per loro parlare agli Stati Uniti con voci diverse, anche su questioni in cui sarebbe perfettamente logico in termini di interessi sostanziali farlo.

In modo abbastanza appropriato, oggi gli Stati Uniti vedono Cina e Russia come avversari, ma c’è poco appetito per esaminare le radici dei disaccordi americani con loro. Mettendo da parte il disgusto degli Stati Uniti per le pratiche autoritarie cinesi e russe, nel campo della politica estera, la democrazia non è certo la questione chiave. Infatti, dal crollo sovietico, Mosca non ha mai usato la forza militare contro nessuna nazione per sopprimere la democrazia. Nel 2008, la Russia ha invaso la Georgia, ma solo dopo che le forze georgiane avevano attaccato l’Ossezia del Sud, che era protetta dalle forze di pace russe. Nel 2014, la Russia ha usato la forza per annettere la Crimea e per sostenere i separatisti nel Donbass, ma solo dopo una ribellione filo-occidentale a Kiev che ha rimosso dal potere il presidente corrotto, ma legittimamente eletto, Viktor Yanukovich. In ogni caso, con il presidente Mikheil Saakashvili in Georgia e il nuovo governo ucraino, la Russia si è trovata di fronte a forze ostili desiderose di aderire alla NATO, intente a sfruttare la loro appartenenza come scudo protettivo contro Mosca. La lotta ebbe origine da dispute territoriali e rimostranze sull’eredità sovietica. La stessa democrazia ha svolto, nel migliore dei casi, un ruolo marginale, tranne che per un aspetto molto importante. Come avvertì George F. Kennan nel 1997, l’espansione della NATO nelle ex repubbliche sovietiche minacciava di “infiammare le tendenze nazionalistiche, anti-occidentali e militariste dell’opinione pubblica russa” e di “avere un effetto negativo sullo sviluppo della democrazia russa”. La Russia stessa deve assumersi la responsabilità primaria della sua deriva dalla democrazia e del suo movimento in una direzione autocratica. Ma il modo in cui la NATO e l’Unione Europea hanno gestito la Russia negli anni ’90 ha contribuito fortemente alla sua successiva disillusione nei confronti della democrazia. Non è stato difficile discernere che l’approfondimento del confronto con la Russia non l’avrebbe resa più tollerante o pluralista ma, al contrario, avrebbe screditato gli elementi filo-occidentali e fornito più autorità alle forze di sicurezza. La politica occidentale di ampie sanzioni ha fornito a Putin una giustificazione patriottica per consolidare il controllo politico e portare molte persone istruite e di successo – persone che altrimenti sarebbero state desiderose di una maggiore libertà politica ed economica – nel suo campo. screditare gli elementi filo-occidentali e fornire più autorità alle forze di sicurezza. La politica occidentale di ampie sanzioni ha fornito a Putin una giustificazione patriottica per consolidare il controllo politico e portare molte persone istruite e di successo – persone che altrimenti sarebbero state desiderose di una maggiore libertà politica ed economica – nel suo campo. screditare gli elementi filo-occidentali e fornire più autorità alle forze di sicurezza. La politica occidentale di ampie sanzioni ha fornito a Putin una giustificazione patriottica per consolidare il controllo politico e portare molte persone istruite e di successo – persone che altrimenti sarebbero state desiderose di una maggiore libertà politica ed economica – nel suo campo.

Nel caso della Cina, è altrettanto difficile dimostrare un caso in cui Pechino ha attaccato un vicino per rovesciare la democrazia. Hong Kong, che la Gran Bretagna ha restituito al dominio cinese nel 1997, è la notevole eccezione. Anche qui il giro di vite maggiore è arrivato solo dopo lunghi disordini. Certamente, la Cina è stata piuttosto pesante con molti dei suoi vicini, ma tali azioni non hanno mai riguardato la democrazia. Sono nati da controversie sul territorio, risorse minerarie ed energetiche e il più ampio desiderio di arginare il dominio americano nella regione. Come nel caso della Russia, nel periodo post-Mao gli interventi militari sono stati rari, solo una volta nel 1979, quando il Vietnam comunista invase la Cambogia comunista.

Questa storia mina l’idea che una sfida autoritaria globale ora provenga da Cina e Russia. Sono piuttosto gli Stati Uniti e l’Unione Europea che mirano a rendere il mondo “sicuro per la democrazia”, nella misura in cui anche grandi potenze come Cina e Russia dovrebbero abbandonare i loro sistemi politici prescelti.

LA RESTRIZIONE SENSIBILE non equivale alla pacificazione o alla resa; al contrario, deve diventare un elemento centrale della strategia globale degli Stati Uniti se l’America spera di continuare a svolgere un ruolo di primo piano nel mondo negli anni a venire. Un ruolo di primo piano non richiede egemonia o un atteggiamento del “nostro modo o dell’autostrada”, che offende la dignità di innumerevoli altre nazioni, anche perfettamente democratiche. Invece, richiede che gli Stati Uniti mantengano la loro superiorità militare, rafforzino le loro alleanze ed evitino inutili dispute con gli alleati, il tutto pur essendo sempre consapevoli del fatto che le alleanze sono strumenti della politica estera statunitense piuttosto che fini a se stesse. Il rafforzamento delle alleanze, in altre parole, non deve diventare un obiettivo fondamentale di politica estera che va a scapito dei maggiori interessi strategici statunitensi, come la preclusione di un condominio sino-russo. Nessun aiuto dall’Ucraina o dalla Georgia può compensare il fatto che l’America si trovi di fronte a una nuova e più pericolosa alleanza che domina l’Eurasia. Sia la Cina che la Russia dovrebbero inoltre essere fortemente ricordate agli impegni dell’America nei confronti dei suoi alleati, in particolare nei confronti dei membri della NATO protetti dall’articolo 5 e di Taiwan. Sulla questione del commercio, è perfettamente legittimo difendere con assertività gli interessi americani e respingere quando necessario. I cinesi, per inciso, capiscono che questo tipo di respingimento è una parte normale della conduzione degli affari globali. A differenza dell’area della promozione della democrazia, qui sono disposti a fare accordi. Pechino e Mosca preferirebbero sicuramente qualcosa di meglio di una fredda pace con Washington, ma dato il sistema democratico americano, è giusto ricordare loro chiaramente che la brutalità in casa non è compatibile con l’amicizia con gli Stati Uniti. Nella maggior parte dei casi, questa leva positiva può essere più efficace delle sanzioni.

Allo stesso tempo, la ricerca americana per l’egemonia democratica tende a dimenticare che molti governi in tutto il mondo hanno le proprie lamentele con Washington e non necessariamente si schiereranno dalla parte degli Stati Uniti in uno scontro con la Cina o la Russia. Facendo il punto sul fallimento della promozione della democrazia in Medio Oriente, Brent Scowcroft una volta ha giustamente osservato: “l’idea che all’interno di ogni essere umano batte questo istinto primordiale per la democrazia non mi è mai stata dimostrata”. Contrariamente al trionfalismo democratico americano, non esiste una legge ferrea nella storia che imponga che le democrazie prevarranno sempre sui loro avversari autocratici. L’Atene di Pericle lo ha imparato a proprie spese quando ha intrapreso la guerra contro Sparta e i suoi alleati e, nel processo, ha perso il suo dominio regionale e il suo governo democratico. La ricerca di un trionfo inutile, anche se attraente, a scapito degli interessi fondamentali di una nazione è controproducente.

https://nationalinterest.org/feature/dangerous-illusions-192078?page=0%2C1

Romanomics 1: Il commercio nell’antica Roma, la globalizzazione oggi, di Michael Severance

Questa serie “Romenomics” mira a studiare il commercio nell’antica Roma, includendo alcuni dettagli unici, divertenti e illuminanti, al fine di apprezzare meglio il presente economico.

Un articolo di Michael Severance per Acton Institute.

Alban Wilfert traduzione per Conflits

 

La Caput Mundi non è sempre stata al vertice dell’economia. Gli 11 secoli di esistenza dell’antica Roma furono quelli di un lungo e faticoso viaggio. Quando fu fondata nel 753 a.C., fece i primi passi come un’ambiziosa rete di villaggi. Successivamente, ha dimostrato la sua potenza politica durante un’inarrestabile espansione repubblicana nel bacino del Mediterraneo per mezzo millennio. Infine, per cinque secoli, fu quell’Impero onnipresente e onnipotente, anche se spesso disfunzionale, che occupò il 25% del mondo conosciuto. Alla fine cadde sotto il peso della propria decadenza morale, politica ed economica dopo la deposizione nel 476 dell’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo Augustolo, da parte di invasori barbari.

Proprio come studiamo ancora il latino per comprendere meglio la nostra lingua moderna, riflettere sull’economia antica è utile per comprendere alcune delle leggi economiche fondamentali dei mercati e dei relativi sistemi culturali, che sono sopravvissuti fino alla stessa Città Eterna.

Avvertimento : Molte persone credono ingenuamente nella gloria dell’antica Roma. Vedendola attraverso un prisma di archi trionfali, palazzi di marmo, vasti fori [1] e iconici busti di uomini che hanno portato ordine, pace e prosperità in un’era primitiva della storia umana, sono abbagliati. Lo pensiamo anche noi, sapendo che la Roma pagana non era nell’insieme migliore, almeno moralmente e spiritualmente, dei cosiddetti barbari da essa conquistati.

Spesso, l’antica economia romana è essa stessa osservata attraverso questi occhiali idealistici. Non c’è dubbio che abbia creato il primo Commonwealth operativo transcontinentale e che abbia rappresentato il primo vero tentativo di globalizzazione, ma non si può dire che la sua vita commerciale sia sfuggita a tutte le crisi o che sia stata diretta con mano divina da guru degli affari.

È tuttavia affascinante osservare il funzionamento e, a fortiori , l’efficienza dell’economia romana in un tempo così lungo, con un flusso costante di invenzioni, connessioni e creazione di ricchezza su tre continenti. Questa serie “Romenomics” offrirà l’opportunità di esaminare diversi fattori importanti dell’economia antica, vale a dire:

  • Lavoro e salario;
  • centri commerciali;
  • Settori di mercato;
  • Offerta, domanda, distribuzione;
  • Prezzi, controlli, inflazione;
  • Moneta e politica monetaria;
  • Fiscalità e sussidi;
  • diritto commerciale;
  • Fede, Rischio e gli “Dei” del Commercio;
  • Miracoli e disastri economici

Leggi anche:  La caduta di Roma. Fine di una civiltà, di Bryan Ward-Perkins

Romanomica 1: Lavoro e salario

Poiché il cuore di qualsiasi mercato funzionante – antico o moderno – essendo il talento umano e la produzione dietro compenso, vale la pena iniziare con una panoramica dei mestieri, delle professioni, delle industrie e dei servizi quotidiani che esistevano nell’antica Roma, compreso il lavoro non retribuito o forzato ( servitù ). A meno che tu non abbia mai aperto un libro di storia antica o visto un peplo come Spartacus, tu sai che la schiavitù rappresentava proporzioni immense della produzione economica romana, per opere private e pubbliche. Si stima che al suo apice, l’Impero Romano avesse un PIL equivalente agli odierni 32 miliardi di dollari. Durante il periodo più intenso di costruzione finanziata dallo stato (strade, stadi, teatri, templi, ingegneria civile), il lavoro degli schiavi ha rappresentato circa il 20-30% dell’attività economica. Questo era particolarmente vero durante i regni di Traiano e Adriano, che costruirono alcuni dei monumenti più antichi di Roma.

Gli schiavi, serviti in latino, fornivano anche una serie di servizi di cui oggi nessuno si lamenterebbe troppo, tanto più che ora sono ben pagati: cucina, parrucchiere, massoterapia, e anche assistenza tecnica a professioni come avvocati, cartografi, ingegneri e persino coloro che hanno aiutato la nomenclatura a mantenere enormi elenchi di nomi e associazioni in rete per politici e l’élite degli affari (molto simile a un antico Rolodex o ai profili dei social network di oggi).

Va da sé che i servi erano chiamati a sfidare la morte negli spettacoli, nei combattimenti di gladiatori e nelle corse dei carri, e nella sicurezza alimentare, cioè nei compiti di garanzia della qualità, quando assaggiavano cibi e bevande per assicurarsi che non fossero avvelenati. Le schiave erano talvolta costrette alla prostituzione o alla sua forma domestica un po’ meno dura, il contubernium , un rapporto in cui un padrone viveva apertamente con il suo schiavo.

Cosa facevano della loro vita i cives , i liberi cittadini? Innanzitutto molti di loro, soprattutto i plebei di rango inferiore, vivevano in condizioni anche peggiori dei servi appartenenti o donati dai nobili patricii , cioè nei bassifondi delle insulae . Hanno dovuto lavorare sodo per raggiungere uno standard di vita molto modesto. I lavori della plebe non erano molto diversi da quelli degli operai o delle piccole imprese familiari di oggi [2]. Gestivano piccoli negozi, chioschi di mercato e taverne, noleggiavano muli, coltivavano piccoli appezzamenti, servivano come “meccanici dei carri armati”, mantenevano stalle e svolgevano compiti di segreteria e logistici. Alcuni erano guide poco pagate, ma il loro lavoro nelle terre straniere appena conquistate era importante. Per la maggior parte, i plebei erano riparatori, fornitori e prestatori di servizi quotidiani di base.

Reddito pro capite nelle province romane. (Credito fotografico: mappe brillanti)

 

Ma quanto era alto il salario dei plebei? Gli antichi economisti hanno tentato di stimare il reddito pro capite durante il periodo di massimo splendore dell’Impero. Alcuni stimare il reddito annuo di Roma all’inizio del I ° secolo a 570 dollari di oggi. Non è molto, anche se il pane e molti altri alimenti di base fortemente sovvenzionati erano più economici, spesso gratuiti. Quasi l’intero impero viveva ben al di sotto della soglia di povertà. Come oggi, molti redditi sono stati guadagnati “al buio” e non sono stati ufficialmente dichiarati per evitare il tributo (imposta sul reddito). I registri delle entrate pubbliche erano probabilmente imprecisi.

Nel I secolo, i soldati romani potevano guadagnare una miseria o essere tra i salariati più ricchi. Gli imperatori arruolavano ogni anno decine di migliaia di soldati, comandanti e tecnici, mentre Roma si espandeva in uno slancio inarrestabile. Certo, gli stipendi dei militari rappresentavano un pesante fardello per le finanze pubbliche. Un legionario , fante, guadagnava un misero sesterzio al mese. Ma quanto era questo misero stipendio? Cercare di convertire un sesterzio nell’odierna parità di potere d’acquisto (PPP) non è un’impresa facile. Fortunatamente, i romani avevano una sorta di gold standard, poiché siamo in grado di calcolare quanti sesterzi valevano una moneta d’oro ( aureus). Se l’oro è valutato in media, diciamo, di $ 1.200 per oncia troy [3] (che in realtà vale $ 1.700 oggi, a seguito del forte aumento dovuto alla crisi legata al Covid-19), allora una singola moneta di sesterzi era vale $ 3,25 alla conversione di oggi. Citazione da GlobalSecurity.org:

Se consideriamo il valore moderno dell’oro di circa $ 1000 l’oncia, un aureus varrebbe circa $ 300, il denaro d’argento [25 per fare un aureus ] circa 12 dollari e un sesterzio [4 per un denaro] circa $ 3. A metà del 2010, il prezzo dell’oro superava i 1.200 dollari l’oncia, posizionando un aureus a circa 325 dollari, un denario d’argento a circa 13 dollari e un sesterzio [4 denari] a 3,25 dollari.

In ogni caso i soldati romani non potevano vivere con 3,25 dollari al mese. Furono quindi massicciamente incoraggiati a vincere battaglie e conquistare nuovi territori. Ottime prestazioni sul campo di battaglia hanno fruttato loro generose somme aggiuntive, “commissioni”, attraverso la distribuzione del bottino e della guerra. Inoltre, i Legionari ricevevano concessioni terriere esentasse al momento del pensionamento in alcune delle regioni più fertili dell’impero, oltre a cibo, bevande, riparo e vestiti per la durata del loro servizio attivo. Un’altra parte del loro stipendio era il “pagamento in natura”. Infatti, la parola stipendio deriva dalla parola salche significa sale. Perché ? Gli ufficiali di rango inferiore godevano di vantaggi più speciali, come ricevere piccoli sacchi di sale, che valevano all’incirca una paga giornaliera, in cambio della protezione delle strade per le miniere di sale romane o dell’accompagnamento di carovane di sale in province aspre come la Germania. Gli ufficiali più talentuosi e più anziani, come i centurioni che gestivano truppe di un centinaio di soldati, invece, non avevano salari bassi, non lavoravano a fianco e non beneficiavano di incentivi. Erano solo molto ben pagati, fino a 300 sesterzi al mese ($ 10.000).

 

L’equivalente dello stipendio di un lavoratore oggi era di circa 120 sesterzi (390 dollari) al mese, nella migliore delle ipotesi. Non era ancora molto, quindi le persone che guadagnavano quello stipendio facevano lavori saltuari, come molti ora sono costretti a fare di notte e nei fine settimana. I lavoratori agricoli guadagnavano fino a 150 sesterzi (circa $ 500) al mese, più parte del raccolto e spesso alloggi locali.

Stipendi patrizi mensili molto più elevati venivano concessi all’élite istruita e politica e, allo stesso modo, a coloro che seguivano percorsi professionali che si andavano esaurendo, come professori specializzati, precettori o “allenatori” della famiglia imperiale (8.000 sesterzi), medici (30.000 sesterzi) e proconsoli governatori provinciali e coloniali, che avevano redditi molto alti (82.000 sesterzi al mese).

Per quanto riguarda gli artigiani e le loro PMI, spesso hanno guadagnato molto, soprattutto nelle città. Naturalmente, questi erano profitti fluttuanti e non salari fissi come quelli dei dipendenti di oggi. I piccoli imprenditori potevano quindi avere rendite nette molto allettanti, come quelle di proconsoli e medici, soprattutto se le loro competenze tecniche erano molto richieste (come vasai, gioiellieri, metalmeccanici, mugnai e pellettieri) o se l’amministrazione imperiale li assumeva. Poiché quasi tutti i documenti aziendali (conservati su rotoli di papiro e tavolette di legno) sono andati perduti, è possibile stimare solo una somma tonda di 1.000 sesterzi (circa $ 3.300) di profitto al mese nelle grandi città come Roma, Londinium eNeapolis [4] .

Secondo un antico storico, altri professionisti erano ben pagati, specialmente nelle arti dello spettacolo, sebbene non fossero della stessa specie degli odierni “stipendi di Hollywood”:

“Erano artisti, comici, ballerini e attori, che potevano guadagnare dagli 80 ai 150 sesterzi al giorno [dagli 8000 ai 14.500 dollari al mese] senza contare le spese di vitto e viaggio, e che avevano anche la garanzia di una serie di spettacoli annuali . Certo, gli artisti più famosi potrebbero ottenere molto di più. ”

In sintesi, era possibile vivere molto bene nell’antica Roma, anche se la stragrande maggioranza del populus romanus era estremamente povera.

Sulla base di quanto abbiamo osservato, ci sono alcune leggi economiche che vale la pena considerare.

Innanzitutto, più sei qualificato nel tuo talento individuale e più rara è la tua professione, più è probabile che tu sia generosamente remunerato dal mercato per lunghi periodi di tempo. Nell’antica Roma, un educatore d’élite, un retore come il medico di oggi, era pagato molto più di un professore moderno. Non che fosse più abile nel mondo accademico, ma 2000 anni fa c’erano significativamente meno intellettuali professionisti rispetto a oggi. Oggi i dottorati si contano sulle dita di una mano. D’altra parte, si potrebbe dire che i retori valevano “diecimila” una dozzina!

Un’altra legge insuperabile del mercato è la tendenza ad aumentare la retribuzione in base al costo della vita adeguato nelle aree urbane e suburbane. Il costo della vita corretto di un calzolaio attivo potrebbe essere di 100 sesterzi al giorno a Pompei, ma raggiungere i 200 sesterzi a Roma, ed essere molto inferiore nella Sicilia agraria o nelle province periferiche come la Dacia (Romania), raggiungendo i 20 sesterzi al giorno. In particolare, i calzolai erano più richiesti dove si camminava molto ogni giorno, soprattutto se servivano la fanteria vicino ai castra.militari e cittadini. Di conseguenza, la legge non è necessariamente quella dell’offerta, ma quella della domanda. Questo è ciò che alla fine rende i redditi dei calzolai romani rispettivamente molto più alti o più bassi.

 

In conclusione, il divario salariale nell’antica Roma era enorme. Era più simile a quello dei moderni mercati ricchi e povericome il Brasile e l’Argentina, dove i quartieri finanziari dei grattacieli corrono lungo le baraccopoli di Rio de Janeiro e Buenos Aires a poche strade di distanza. I differenziali salariali e gli standard di vita erano estremi, soprattutto perché (come nei paesi cosiddetti meridionali di oggi) le possibilità di avanzamento erano minori e più precarie. C’erano tasse soffocanti, corruzione dilagante, criminalità organizzata, scarsa istruzione, mercati neri disconnessi e livelli più elevati di malattie, sfortuna e vincoli geografici estremi. Montagne, paludi, regioni vulcaniche e terremotate potrebbero spazzare via intere economie in un solo giorno. Ricordi cosa è successo a Pompei? Questa antica città sarà una delle protagoniste del nostro prossimo blog:

 

[1] plurale latino di forum (NDT).

[2] “mamma e pop” (NDT).

[3] Unità di misura dei minerali (NDT).

[4] Attuale Napoli (NDT).

LA DIASPORA DEI COMPAGNUCCI DELLA PAROCCHIETTA, di Antonio de Martini

LA DIASPORA DEI COMPAGNUCCI DELLA PAROCCHIETTA
Lanciando l’idea di un candidato italiano competente e affidabile a segretario generale NATO per rafforzare l’immagine del patto Atlantico nell’immaginario collettivo, mi si é rivelato un mondo.
Dopo D’Alema che si è scoperto la vocazione del miliardario ritirandosi tra barca e vigneti, Minniti che si è sistemato a Leonardo, Martina a vicenonsocchè della FAO, la fuga degli esponenti PD dal partito che fu di Gramsci e Di Vittorio prosegue con Enrico Letta e la Mogherini che pare vogliano candidarsi a segretario Generale della NATO.
L’unico che non é riuscito a sistemarsi – per ora- é Rutelli cui é fallito il colpo – tentato con insistente approssimazione – di passare all’UNESCO.
Sistemazione precaria per Renzi che fa …conferenze da ottantamila a marchetta in paesi disagiati ma danarosi.
L’idea che il partito servisse a trovare una sistemazione a disoccupati era ampiamente nota, ma la credevo limitata agli uscieri.
Vedo invece che – prevedendo come donna Letizia Bonaparte – l’imminente crollo della congrega – gli uomini e donne di vertice stanno spendendo le ultime risorse per abbandonare il TITANIC e sistemare la famiglia.
Appartenere a un’area politica che abbia votato l’adesione al patto Atlantico e essere competenti nel campo per essere candidati, non serve: per posti da trecentomila dollari annui più immunità diplomatica, ci si toglie i guanti e si pretende in curriculum almeno sei mesi da segretario del PD.

SE QUESTO É ANCORA UNO STATO?!, di Augusto Sinagra

SE QUESTO É ANCORA UNO STATO?!

La “comandante” della Sea Watch III, la ormai famosa pasionaria Carola Rackete, in commissione di una serie interminabile di reati e da ultimo l’ingresso illegale in acque territoriali italiane e, prima, di complicità con scafisti e trafficanti di esseri umani, fingendo di salvare naufraghi (i filmati ne sono prova), oltre che di sequestro di persona e tratta di esseri umani e violazione delle leggi sull’immigrazione (delitti che prevedono l’arresto suo e dell’equipaggio), pretende di scaricare in Italia e solo in Italia la sua mercanzia umana facendosi beffe del Governo italiano e delle sue leggi.

E ciò a scopo di suo lucro personale (diversamente non la pagano) e a illegittimo scopo della ONG di riferimento.

Premesso che uno dei principali “gestori” della ONG in questione è quel tale Gregor Gysi, già agente della polizia segreta della DDR (la famigerata STASI: sicuramente Rebecca Merkel se lo ricorda) e la medesima ONG fa capo a ignobili speculatori di ogni genere e si colloca nel più vasto contesto di una preordinata destabilizzazione dello Stato italiano oltre che specificamente del Governo in carica, se lo Stato italiano esiste ancora e non si è trasformato in un “cabaret”, esso attraverso i suoi organi deve:

1. trarre in arresto l’equipaggio della Sea Watch e per prima la sua “comandante”.

2. Sequestrare la nave come corpo di reato per poi procedere alla confisca e quindi alla demolizione (Patronaggio permettendo ma sicuramente l’aria è cambiata anche per lui).

3. Procedere all’immediato fermo di tutti i clandestini con immediato trasbordo su unità della Marina Militare italiana, con adeguata scorta armata, riportandoli al punto della loro partenza volontaria e cioè in Libia anche perché pure in Libia funzionano bene i costosissimi cellulari di ultima generazione di cui sono in possesso.

4. Richiamare immediatamente l’Ambasciatore italiano all’Aja e dichiarare l’Ambasciatore olandese a Roma “persona non grata” dandogli 48 ore di tempo per lasciare il territorio nazionale.

Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini si sta giocando tutta la sua credibilità e il vasto consenso elettorale che ha avuto. Lui sa bene che i voti vanno e vengono. Ne tiri le conseguenze anche a costo di provocare una crisi parlamentare di governo.

Il figlio di Bernardo Mattarella non si permetta di aprire bocca. Non ha più autorità istituzionale né politica e né morale. Lui è finito.

Il pampero argentino si taccia e la finisca di frantumare le balle al Popolo italiano e lo si avverta che le intese concordatarie possono essere anche denunciate così i suoi “dipendenti” e cioè i vescovi delle Diocesi italiane che ammorbano l’aria, e fanno perdere la fede ai credenti. La finiscano di interferire negli affari interni dello Stato fino al punto di istigare alla disapplicazione delle leggi.

Alla denuncia del Concordato non fa ostacolo l’art. 7 della Costituzione, come ben sanno i miei Colleghi costituzionalisti. E se è necessario si modifichi l’art. 7 della Costituzione. Qualcuno avverta il pampero argentino che in Italia non c’è più la “religione di Stato”.

A parte il fatto che è proprio il pampero argentino che nega la religione cattolica, offendendo Cristo, i Santi, gli Apostoli e falsificando il Vangelo e le Scritture. Lui non è solo scismatico o eretico, lui è un apostata.

Qui sotto, invece, le dichiarazioni dell’Ammiraglio Nicola De Felice, fino al 2018 comandante di Mariscilia

“Caso Sea Watch: arrestare la Comandante e convocare gli ambasciatori di Paesi Bassi e Germania*

Le convenzioni internazionali sul diritto del Mare delle Nazioni Unite, Il Codice Italiano della Navigazione e le direttive nazionali sulla Sicurezza richiedono delle azioni politiche e giuridiche inoppugnabili: le infrazioni commesse dal Comandante della nave Sea Watch sono tali da richiederne l’immediato arresto se non addirittura l’estradizione in Libia qualora richiesto visto che le prime infrazioni sono state commesse in acque di competenza libica. Inoltre, il passaggio illegale dei migranti è stato commesso in territorio olandese e – in ottemperanza all’articolo 13 del Trattato di Dublino dell’UE – l’Olanda deve farsi carico dei migranti saliti a bordo sulla Nave battente bandiera olandese. La Germania è la nazione della ONG responsabile del misfatto. Ai sensi delle più elementari regole diplomatiche internazionali, gli ambasciatori di tali Stati devono essere immediatamente convocati per giustificare l’inerzia dei rispettivi Governi in tali misfatti. La nave va sequestrata, vanno applicate le sanzioni amministrative previste ivi comprese le spese sostenute dallo Stato per la gestione del caso, come previsto dall’art 84 del codice di navigazione. Tutto ciò va fatto in tempo reale onde evitare che il misfatto sua emulato da altri incoscienti. Ne va della dignità di uno Stato sovrano come il nostro”

 

DANTE CESARE TELESFORO VACCHI. IL PORTOGALLO DELL’ESTADO NOVO E L’ITALIA.REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO_di Massimo Morigi

Lo scritto è composto per un terzo dal saggio e per il resto da note e richiami

Si tratta di un lavoro originariamente commissionato dallo Studio portoghese e “girato” poi anche in senso filosofico-politico; il senso, cioè, del Repubblicanesimo Geopolitico. Comunque, dal punto di vista storico, si parla del fascista ed ex repubblichino Dante Cesare Telesforo Vacchi, un italiano (e romagnolo) che agli inizi degli anni Sessanta creò dal nulla i commandos portoghesi per combattere la guerriglia nelle colonie africane (e per questo motivo “strategico” viene ampiamente elogiato: i portoghesi non sono stati molto contenti che ad un fascista sia stato riservato un così sentito apprezzamento ma la motivazione “strategica” dell’elogio e non dell’apologia del fascismo ha, alla fine, fatto passare tutto in cavalleria); mentre, dal punto di vista meramente tecnico, attraverso questo documento viene attuato un “congelamento” tramite WebCite ed Internet Archive, dei documenti presenti in Rete relativi a questo oscuro e molto importante personaggio (vedi seconda parte del documento; la ratio tecnica e filosofico-politica di questo “congelamento” viene comunque ben spiegata nella prima parte del documento). Strictu sensu non è l’articolo sull’ “oblio dello strategico” ma è, come recita il titolo un “atto di riparazione strategica” in favore di Dante Cesare Vacchi perché questo personaggio non venga dimenticato. Si tratta anche di un atto concreto contro “l’oblio dello strategico”: quindi, concretamente parlando, è un’applicazione concreta attraverso un concreto case study della strategia del Repubblicanesimo Geopolitico volta a combattere (e a far riaffiorare) il momento strategico. Ovviamente il prossimo contributo per “L’Italia e il mondo” partendo da Dante Cesare Telesforo Vacchi, parlerà proprio dell’oblio dello strategico, costituendo questo documento una sorta di premessa applicativa storico-politica. Giuseppe Germinario

I rapporti fra il Portogallo dell’Estado Novo e l’Italia fascista e del secondo dopoguerra in relazione al problema coloniale africano. Atto di riparazione strategica n°1: Primo inventario e “congelamento” tramite WebCite ed Internet Archive delle fonti Internet   riferentisi a Dante Cesare Vacchi, il creatore dei commandos portoghesi in occasione della guerra coloniale portoghese. Fonti primarie e secondarie presenti in Internet per una storia dei commandos portoghesi nella guerra coloniale del Portogallo in Africa, dei rapporti fra il Portogallo dell’Estado Novo ed Italia fascista e del secondo dopoguerra riguardo al problema coloniale africano e per un’applicazione su uno specifico case study, il fascista ed ex repubblichino  Dante Cesare Vacchi che crea i commandos portoghesi, della teoria politologica e filosofico-politica  del Repubblicanesimo   Geopolitico.   MASSIMO MORIGI

 

Full fadom five thy father lies;

Of his bones are coral made;

Those are pearls that were his eyes;

Nothing of him that doth fade,

But doth suffer a sea change

Into something rich and strange.

Sea-nymphs hourly ring his knell:

(Burthen: Ding-dong.)

 

William Shakespeare,  Ariel’s Song (The Tempest, Act 1, Scene 2)

 

Si dice che ci fosse un automa costruito in modo tale da rispondere, ad ogni mossa di un giocatore di scacchi, con una contromossa che gli assicurava la vittoria. Un fantoccio in veste da turco, con una pipa in bocca, sedeva di fronte alla scacchiera, poggiata su un’ampia tavola. Un sistema di specchi suscitava l’illusione che questa tavola fosse trasparente da tutte le parti. In realtà c’era accoccolato un nano gobbo, che era un asso nel gioco degli scacchi e che guidava per mezzo di fili la mano del burattino. Qualcosa di simile a questo apparecchio si può immaginare nella filosofia. Vincere deve sempre il fantoccio chiamato “materialismo storico”. Esso può farcela senz’altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che oggi, com’è noto, è piccola e brutta, e che non deve farsi scorgere da nessuno.

Walter Benjamin, I Tesi di filosofia della storia

 

       Dante Cesare Telesforo Vacchi è uno di quei personaggi che la storia sembra ci abbia consegnato per sfidare (e quindi per sfidarci) tutti coloro che – sulla scia più o meno riconosciuta di Francis Fukuyama – vorrebbero  mettere la parola fine sul Secolo breve. Intanto perché pur partendo dal lato “sbagliato” del problema – Dante Vacchi durante la Repubblica Sociale Italiana aveva operato alle dirette dipendenze dei tedeschi in una formazione di controguerriglia, “La banda delle ombre” –, non accettò mai quello che di sicuramente c’era (e c’è) di terribilmente oscuro nella soluzione del problema stesso, la fine della storia, ed infatti dopo la RSI e dopo aver scontati alcuni anni di condanna per questo suo collaborazionismo, Vacchi, probabilmente, secondo quanto affermano – alcune in forma dubitativa altre con sicurezza ma senza esibire una decisiva documentazione – le poche fonti a disposizione, vorrà continuare la sua storia personale di uomo d’arme prima nella Legione straniera combattendo, forse, nelle guerre coloniali francesi d’Indocina e di  Algeria, e poi, e questo è invece chiaramente acclarato anche se non con abbondanza di fonti documentato, aiutando agli inizi degli anni Sessanta il morente impero coloniale portoghese dando un contributo fondamentale alla  creazione,  di sua personale iniziativa e attraverso il suo diretto impegno nella zona dove si svolgevano le operazioni di controguerriglia, dei costituendi primi nuclei di commandos portoghesi, che ebbero il loro primo battesimo del fuoco in Angola.

 

       Come Dante Cesare Vacchi sia non solo riuscito ad unirsi all’esercito portoghese che combatteva in Africa ma anche a diventarne una sorta di fondatore in un aspetto così importante (non solo allora in quella guerra coloniale perduta dal Portogallo ma ancor più oggi dove le forze speciali negli eserciti di tutto il mondo hanno assunto un ruolo sempre più importante e decisivo) non abbiamo, allo stato, alcun elemento affidabile per ricostruirlo: devono ancora essere, in primo luogo, indagati  i verosimili legami di Vacchi con la PIDE; gli – eventuali – contatti con l’OAS, l’Organisation de l’armée secrète  – i suoi commilitoni in Africa ritengono che Vacchi avesse appartenuto alla Legione straniera e che in questa veste avesse precedentemente combattuto contro il movimento di liberazione algerino, ma sono notizie solo di relato –,  poi, infine, con l’Aginter Press di Guerin Serac – che sebbene fondata nel 1966, ben prima dell’impegno di Vacchi in Angola, non nacque dal nulla ma sorse su un precedente terreno di fascismo internazionale debitamente coltivato dall’Estado Novo portoghese; ma tutti questi legami, cioè l’appartenenza organica di Vacchi all’ “internazionale nera” e le concrete modalità attraverso le quali questa appartenenza si estrinsecò, sono ovviamente, vista l’oscurità del personaggio,  ancora tutti da verificare. (Per i rapporti della PIDE con il fascismo italiano, sul ruolo della PIDE nella guerra coloniale del Portogallo in Africa e su come in questo contesto s’inserì l’operato dell’Aginter  Press di Yves Guérin-Sérac (vero nome: Yves Guillou) cfr. José Manuel Duarte De Jesus (com a  colaboração redaccional de  Inês De Carvalho Narciso), A guerra secreta de Salazar em Àfrica. Aginter Press: Uma rede internacional de contra-subversão e espionagem sediada em Lisboa, Dom Quixote, 2012, che però non fa menzione di Vacchi; e non menzionano Vacchi neppure Fabrizio Calvi, Frédéric Laurent,  Piazza Fontana: la verità su una strage, Milano,  Mondadori, 1997, che pur ottimo nel far affiorare i legami dell’Aginger Press con la strategia della tensione in Italia non nomina Vacchi; i fondamentali  Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, Editori Riuniti, 1984, Id., La strage. L’atto d’accusa dei giudici di Bologna, Roma, Editori Riuniti, 1986 e Id., I servizi segreti in Italia. Dal fascismo all’intelligence del XXI secolo (nuova ed. aggiornata), Milano,  Sperling & Kupfer, 2010; l’utile per un primo approfondimento della problematica, ma corrivo, Andrea Sceresini, Internazionale nera. La vera storia della più misteriosa organizzazione terroristica europea, Milano, Chiarelettere, 2017 e l’assai più scientifico, ma ugualmente taciturno su Dante Vacchi, Eduardo González Calleja, Le reti di protezione del terrorismo di destra in Europa e il ruolo di Stefano Delle Chiaie e Yves Guérin-Sérac, in Carlo Fumian, Angelo Ventrone (a cura di)  Il terrorismo di destra e di sinistra in Italia e in Europa: storici e magistrati a confronto, Padova, Padova University Press, 2018; mentre solo per un’allusione in merito ai contatti di Dante Vacchi con l’OAS cfr. Fernando Cavaleiro Ângelo (pref. Óscar Cardoso), Os Flechas: A Tropa Secreta da PIDE/DGS na Guerra de Angola (1967-1974), 1a ed. Alfragide, Casa das Letras, 2017: «Durante a estada da OAS em Portugal, Óscar  Cardoso desconhece que os seus agentes tenham ministrado cursos de guerrilha às nossas  forças   armadas. Existiu, contudo, um Italiano, Dante Vacchi, que deu instruçao aos Comandos do […]». Citazione interrotta ed anche numero di pagina da noi non determinabile – citazione da noi riportata anche al congelamento n° 31 del presente repertorio – perché non si è avuta visione diretta del documento ma solo tramite il motore di ricerca di Google libri che, in questo caso, non mostra né la frase intera né il numero della pagina in cui si colloca la frase monca in questione: ovviamente sarà nostra cura, nel prosieguo della ricerca, verificare la forma cartacea di tutti quelle  fonti primarie e secondarie esistenti nella doppia versione cartacea ed “internettiana”. Per ultimo, e mai come in questo caso vale il detto last but not the least, sul ruolo svolto dall’Aginter Press per animare il terrorismo di destra internazionale e per contrastare i movimenti di liberazione in Africa cfr. – anche se quest’ultima fonte secondaria non nomina  Vacchi – il Grundtext di tutta la letteratura scientifica sull’argomento ‘internazionale nera’: Frédéric Laurent (avec la colaboration de Nina Sutton), L’Orchestre noir, Stock, 1978 (ultima edizione: L’Orchestre noir. Enquête sur les réseaux néo-fascistes, Paris, Nouveau  Monde éditions, 2013). E lo citiamo anche con un certo orgoglio, non foss’altro che un orgoglio di semplici (internettiani) archivisti,  perchè questo documento, che abbiamo appurato tramite ricerca effettuata con l’OPAC SBN – Catalogo del Servizio Bibliotecario Nazionale – essere assente dalle biblioteche italiane collegate a questo sistema di ricerca telematica,  abbiamo noi accertato essere consultabile in Rete presso l’URL https://www.scribd.com/doc/198445048/L-orchestre-noir-pdf. Anche se questa fonte non nomina Vacchi ma in piena coerenza con la metodologia, esplicitata nel titolo di questo repertorio, di “congelamento” documentario delle fonti storicamente rilevanti presenti in Rete, vista l’importanza di questa fonte secondaria assente dalle biblioteche italiane e la cui consultabilità In Italia era in pratica, prima di questo nostro intervento,  affidata unicamente ad una piattaforma Internet commerciale di preservazione documenti, Scribd,   e che perciò non può dare alcuna garanzia in merito alla preservazione für ewig dei documenti ivi depositati,   abbiamo quindi proceduto a congelare URL e documento presenti in Scribd prima tramite WebCite agli URL  http://www.webcitation.org/75gGFlhra  e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fwww.scribd.com%2Fdoc%2F198445048%2FL-orchestre-noir-pdf&date=2019-01-24  (congelamento tecnicamente di scarsa qualità), poi a caricare su Internet Archive il documento formato PDF che siamo riusciti a scaricare dall’URL originale di Scribd: agli URL https://archive.org/details/LorchestreNoir e https://ia601500.us.archive.org/25/items/LorchestreNoir/L-orchestre-noir.pdf (operazione invece perfettamente riuscita) e poi a congelare URL e documento stesso generati dal caricamento su Internet Archive ricorrendo nuovamente a WebCite (in questo caso operazione parzialmente riuscita: ottimo risultato con salvataggio  all’URL   http://www.webcitation.org/75gHq68RX e totale fallimento al secondo URL prodotto da WebCite  per l’URL e il docunento in questione generati su Internet Archive  ,      http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601500.us.archive.org%2F25%2Fitems%2FLorchestreNoir%2FL-orchestre-noir.pdf+&date=2019-01-24: e i “congelamenti” non riusciti del presente inventario saranno sempre segnalati con una apposita nota). Per questa nostra “ridondanza” nel creare nuovi URL, vedi infra, dove vengono più ampiamente spiegati i criteri tecnici –  ma detto brevissimamente: rendere citabili le fonti Internet, altrimenti non citabili per la loro breve aspettativa di vita – che hanno presieduto alla creazione del presente inventario delle fonti Internet su Dante Cesare Vacchi.).

 

       Ancor più ovviamente, ça va sans dire, tutta la ricerca internettiana e cartacea di fonti primarie e secondarie che verrà svolta e, soprattutto, archivistica su Dante Vacchi troverà il suo snodo principale e momento di verifica risalendo a ritroso in una  ricerca sui rapporti fra  Italia fascista e Portogallo estadonovista e di come questi rapporti furono influenzati dai rispettivi problemi coloniali in Africa, in uno svolgimento dell’indagine basato sull’ipotesi  di una sorta di continuità di questi rapporti influenzati dal problema coloniale fra l’Estado Novo e l’Italia fascista prima e quella del secondo dopoguerra poi, rapporti, anche dopo la caduta della dittatura politica in Italia, in cui il fascista Vacchi non costituisce un episodio fortuito ma la manifestazione concreta – ed anche il simbolo incarnato attraverso la sua biografia politica – di una loro non  totale soluzione di continuità nonostante la pubblica differenza ideologica fra i due regimi politici e l’assenza da entrambe le parti durante il secondo dopoguerra di una qualsiasi forma di pubblicità di questi rapporti, specialmente per quanto riguarda il problema coloniale. (Durante il fascismo un preoccupato António Ferro intervistò Mussolini in merito ad un eventuale interesse dell’Italia sulle colonie africane portoghesi – cfr. , a questo proposito Stefano Salmi, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista e l’Estado Novo (dissertação de doutoramento, apresentada à Faculdade de Letras da Universidade de Coimbra, sob a orientação do Prof. Doutor Luís Reis Torgal e a co-orientação do Prof. Doutor Alberto De Bernardi), Faculdade de Letras da Universidade de Coimbra, 2012  e, ad ogni buon conto, forniamo ora anche una breve bibliografia dei lavori scientifici – ma ci risulta pressochè completa – sui rapporti fra Italia e Portogallo in rapporto al problema coloniale in epoca fascista: Vittorio Antonio Salvadorini, Italia e Portogallo dalla guerra d’Etiopia al 1943, Palermo-São Paulo, ILA Palma, 2000; E. D. R. Harrison, On Secret Service for the Duce. Umberto Campini in Portuguese East Africa, 1941-1943, “The English Historical Review”, Volune CXXII, Issue 449, 1 December 2007, pp. 1318-1349, https://doi.org/10.1093/ehr/cem347 e Daniele Serapiglia, Una questione d’impero: la stampa dell’Estado Novo di fronte alla guerra d’Etiopia, “Storicamente”, N° 12-2016 (data di pubblicazione: 23/04/2017, DOI:10.12977/stor653), pp. 1-42 ; e in Rete presso l’ URL https://storicamente.org/serapiglia_estado_novo_portogallo_fascismo, che rinvia al formato PDF del documento presso https://storicamente.org/sites/default/images/articles/media/1967/serapiglia_estado_novo_portogallo_fascismo.pdf; URL e documento da noi “congelati” tramite WebCite agli URL http://www.webcitation.org/75XUlBagX e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fstoricamente.org%2Fsites%2Fdefault%2Fimages%2Farticles%2Fmedia%2F1967%2Fserapiglia_estado_novo_portogallo_fascismo.pdf&date=2019-01-19 e ulteriore “congelamento” del documento presso Intenet Archive agli URL https://archive.org/details/UnaQuestioneDimperoLaStampaDellestadoNovoDiFronteAllaGuerra e https://ia801504.us.archive.org/30/items/UnaQuestioneDimperoLaStampaDellestadoNovoDiFronteAllaGuerra/Serapiglia_estado_novo_portogallo_fascismo2.pdf; documento caricato su Internet Archive a sua volta “congelato” e nell’URL e nel documento stesso sempre presso WebCite agli URL http://www.webcitation.org/75XVjtvid e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801504.us.archive.org%2F30%2Fitems%2FUnaQuestioneDimperoLaStampaDellestadoNovoDiFronteAllaGuerra%2FSerapiglia_estado_novo_portogallo_fascismo2.pdf&date=2019-01-19. Infine per quanto riguarda, su un piano più generale,  i rapporti fra Portogallo estadonovista ed Italia fascista, oltre a Stefano Salmi, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo cit.,   segnaliamo altre 5 tesi di laura o di dottorato – reperibili sempre solo in formato cartaceo – depositate presso l’Università degli Studi di Firenze: Pamela Fedeli, Il fascismo e “l’Estado Novo”. Le relazioni tra l’Italia e il Portogallo dal 1930 allo scoppio della Seconda guerra mondiale (relatore Antonio Varsori, corso di laurea: Scienze Politiche), 2000 (per accertarne la consultabilità rivolgersi alla Biblioteca di Scienze Sociali. Collocazione: SPTL2000000000371 depositata presso Biblioteca di Scienze Sociali); Alessandra Cillerai, I rapporti politici tra l’Italia fascista e il Portogallo nelle prime fasi della Seconda guerra mondiale (1938-1941) (relatore Antonio Varsori, corso di laurea: Scienze Politiche), 2001 (per accertarne la consultabilità rivolgersi alla Biblioteca di Scienze sociali. Collocazione: SPTL2001000000159 depositata presso Biblioteca di Scienze Sociali); Davide Daresta, Roma Universa: il fascismo e il consolidamento dell’Estado Novo di Salazar (relatore Bruna Bagnato, corso di laurea: Relazioni Internazionali e Studi Europei), 2013 (per accertarne la consultabilità rivolgersi alla biblioteca di Scienze Sociali. Collocazione: SPTL2013000000055 depositata presso Biblioteca di Scienze Sociali); Marco Francesco Ibba, Rapporti italoportoghesi (1939-1941), Università degli studi di Parma, 2011 e Vincenzo Pepe,  Rapporti italo-portoghesi (1942-1945), Università degli Studi di Parma, 2013; due tesi, ma in formato elettronico e presenti in Rete.  La prima della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Venezia: Alberto Ragogna, Il Portogallo: una sconfitta del progetto espansionistico fascista (Relatore prof.re Rolf Petri, Corso di Laurea in Scienze del Testo Letterario Moderno e Contemporaneo), Anno Accodemico 2008-2009 (agli URL https://www.academia.edu/31173194/Il_Portogallo_-_una_sconfitta_del_progetto_espansionistico_fascista e http://www.academia.edu/attachments/51601069/download_file?st=MTU0NzQ1NjY1NSwxMzcuMjA0LjEzMy4xNTU%3D&s=swp-splash-paper-cover; WebCite: salvataggio URL e documento tecnicamente non possibile; Internet Archive: https://archive.org/details/Il_portogallo_-_una_sconfitta_del_progettoEspansionisticoFascista e https://ia601500.us.archive.org/2/items/Il_portogallo_-_una_sconfitta_del_progettoEspansionisticoFascista/Il_portogallo_-_una_sconfitta_del_proget1.pdf; nuovo “congelamento” del documento di Internet Archive su WebCite: https://ia601500.us.archive.org/2/items/Il_portogallo_-_una_sconfitta_del_progettoEspansionisticoFascista/Il_portogallo_-_una_sconfitta_del_proget1.pdf e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601500.us.archive.org%2F2%2Fitems%2FIl_portogallo_-_una_sconfitta_del_progettoEspansionisticoFascista%2FIl_portogallo_-_una_sconfitta_del_proget1.pdf&date=2019-01-21). La seconda della Facoltà di Lettere dell’Università di Porto: Bruno João da Rocha Maia, A entrada da Itália na Segunda Guerra Mundial vista pela diplomacia portuguesa (1939-1940) (sob a orientação do Prof. Doutor Manuel Loff, dissertação de Mestrado em História Contemporânea), 2010 (documento presso l’URL https://repositorio-aberto.up.pt/bitstream/10216/57339/2/tesemestbrunomaia000127777.pdf; WebCite: http://www.webcitation.org/75YzJ4e5d e http://www.webcitation.org/75YzV5elI; Internet Archive: https://archive.org/details/tesemestbrunomaia000127777 e https://ia801508.us.archive.org/14/items/tesemestbrunomaia000127777/tesemestbrunomaia000127777.pdf  e, infine, nuovo “congelamento” del documento di Internet Archive su WebCite: http://www.webcitation.org/75Z0QAhLT e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801508.us.archive.org%2F14%2Fitems%2Ftesemestbrunomaia000127777%2Ftesemestbrunomaia000127777.pdf&date=2019-01-20) e, infine, un’altra tesi, sempre in formato elettronico e sempre in Rete, Vera Margarida Coimbra De Matos, Portugal e Itália. Divergências e  convergências em quarenta e  três anos de relações diplomáticas (tese de Doutoramento em Altos Estudos em História, especialidade de Época Contemporânea, orientada pela Professora Doutora Maria Manuela Tavares Ribeiro, apresentada ao Departamento de História, Estudos Europeus, Arqueologia e Artes da Faculdade de Letras da Universidade de Coimbra), setembro 2014, che per l’arco temporale che copre riguardo i rapporti fra il Portogallo dell’Estado Novo prima e “democratico” poi e l’Italia fascista prima e sempre “democratica” poi – dal capitolo 1: “Salazar, Mussolini e a diplomacia luso-italiana” fino all’ultimo cap. 3 : “A Itália e a  negociação da  adesão de Portugal à CEE” – è documento con intenti di ricerca in qualche modo paralleli ai nostri ma che, piuttosto che cercare come nella nostra ricerca che prende le mosse dal case study di Dante Vacchi che fonda i commandos portoghesi le linee di continuità dei rapporti dell’Italia fascista e dopo dell’Italia del secondo dopoguerra col Portogallo dell’Estado Novo, privilegia in questi rapporti le soluzioni di continuità fra l’Italia fascista e “democratica” poi (ovviamente, non viene menzionato Dante Vacchi, ma su questo non è da muovere alcun appunto, perché Vacchi è un illustre sconosciuto che la nostra ricerca intende finalmente mettere sotto i riflettori; più grave, invece, che non venga menzionata l’internazionale nera, in cui fascisti italiani ebbero un peso di rilievo e come viene messo invece in luce in  Stefano Salmi, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista e l’Estado Novo cit., pp. 404-424, dove si analizzano, fra gli altri, i rapporti di Pino Rauti con l’Estado Novo). L’URL originale di questo comunque importante documento è https://estudogeral.sib.uc.pt/bitstream/10316/26785/1/Portugal%20e%20It%C3%A1lia%20%3A%20diverg%C3%AAncias%20e%20converg%C3%AAncias.pdf, successivo nostro “congelamento” presso WebCite agli URL http://www.webcitation.org/75ZTbsQJJ e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Festudogeral.sib.uc.pt%2Fbitstream%2F10316%2F26785%2F1%2FPortugal%2520e%2520It%25C3%25A1lia%2520%253A%2520diverg%25C3%25AAncias%2520e%2520converg%25C3%25AAncias.pdf&date=2019-01-20 ; presso Internet Archive: https://archive.org/details/PortugalEItlia_DivergnciasEConvergncias e https://ia801507.us.archive.org/28/items/PortugalEItlia_DivergnciasEConvergncias/PortugalEItlia_DivergnciasEConvergncias.pdf  e  infine, more solito,  nuovo “congelamento” del documento di Internet Archive su WebCite: http://www.webcitation.org/75ZUSYyvl e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801507.us.archive.org%2F28%2Fitems%2FPortugalEItlia_DivergnciasEConvergncias%2FPortugalEItlia_DivergnciasEConvergncias.pdf&date=2019-01-20. Mentre per quanto riguarda le fonti secondarie che non sono  tesi di laurea o di dottorato ma saggi  di indiscusso alto contenuto scientifico ma diffusi solo attraverso la classica editoria in cartaceo  segnaliamo   Mario Ivani, Il Portogallo di Salazar e l’Italia fascista: una comparazione, “Studi Storici”, 2005, n° 2, pp. 347-406; Id., Esportare il fascismo: collaborazione di polizia e diplomazia culturale tra Italia fascista e Portogallo di Salazar (1928-1945), Bologna, Clueb, 2008; e sempre per quanto riguarda la collaborazione e le affinità culturali tra il Portogallo estadonovista e l’Italia fascista, Goffredo Adinolfi, Ai confini del fascismo: propaganda e consenso nel Portogallo salazarista (1932-1944), Milano,  Franco Angeli Editore, 2007; Id.  L’uomo che costruì il consenso di Salazar. L’itinerario politico di   António Ferro dal futurismo al salazarismo, “Nuova Storia Contemporanea”, 2007, n° 4, pp. 61-75; Jorge Pais de Sousa (prefácio de Luís  Reis Torgal), Uma Biblioteca Fascista em Portugal. Publicações do Periodo Fascista Existentes no Instituto do Estudos Italianos da Facultade de Letras da Universidade de Coimbra, Coimbra, Imprensa da Universidade de Coimbra, 2007. Infine, dopo i documenti presenti in Rete sulle reazioni portoghesi sull’aggressiva politica estera del regime fascista,  Bruno João da Rocha Maia, A entrada da Itália na Segunda Guerra Mundial vista pela diplomacia portuguesa (1939-1940) cit. e Vera Margarida Coimbra De Matos, Portugal e Itália. Divergências e  convergências em quarenta e  três anos de relações diplomáticas cit.,  un’ultima segnalazione di una fonte secondaria in cartaceo  che riguarda la reazione della diplomazia portoghese verso l’ invasione italiana dell’Etiopia e che completa l’elenco dei già menzionati Stefano Salmi, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista e l’Estado Novo cit.,  Vittorio Antonio Salvadorini, Italia e Portogallo dalla guerra d’Etiopia al 1943 cit., E. D. R. Harrison, On Secret Service for the Duce. Umberto Campini in Portuguese East Africa, 1941-1943 cit. e  Daniele Serapiglia, Una questione d’impero: la stampa dell’Estado Novo di fronte alla guerra d’Etiopia cit. : Maria Antonieta Gomes Raposo, A invasão da Etiópia em 1935 vista pela diplomacia portuguesa, Lisboa,  Edições Colibri, 2003, opera comunque utile per un primo approfondimento della problematica.).

       Comunque sia, Dante Cesare Vacchi nel corso di questo sua importantissima e straordinaria vicenda all’interno di un ganglio vitale dell’Estado Novo, l’esercito portoghese, e contro i movimenti di liberazione africani attraverso la creazione di sua mano di un fondamentale settore dell’esercito portoghese (a riprova dell’assoluta necessità di un lavoro da svolgere sulla sua figura, a nostra notizia vi sono solo quattro  saggi  sulla guerra coloniale portoghese che parlano  di Vacchi: il primo è il summenzionato lavoro di Fernando Cavaleiro Ângelo. Os Flechas cit.;  il secondo è John P. Cann,  The Fuzileiros: Portuguese Marines in Africa, 1961–1974, [S. l.], Helion & Company, 2016, dove a p. 24 si citano come fotografi del conflitto Anne Gaüzes, giornalista e probabilmente la donna dell’uomo d’arme italiano, e Dante Vacchi, vedi congelamento n. 26 del repertorio il terzo è Idem, The Flechas: Insurgent Hunting in Eastern Angola, 1965-1974, [S. l.],  Helion & Company,  2013 (di questo lavoro segnaliamo anche la sua versione in portoghese, sulla quale però non è stato possibile verificare, tramite Google libri,  se Vacchi vi sia citato: John P. Cann, Óscar  Cardoso, Os Flechas. Os Caçadores Guerreiros do Leste de Angola 1965-1974, Parede,  Tribuna da História, 2018), dove a pp. 17-18, al capitolo secondo “Learning counterinsurgency” si scrive: «As the war progressed, particurarly  the reoccupation of the north, the urgent need for specially trained troops became clear, that is those troops whose training went well beyond the traditional instruction and even beyond that of the CCEs.  Such troops would be formed into units capable of operating independently for extended periods in the field. This need came to the fore during the employment in early 1962 of an infantry battalion to the vicinity of Nóqui, a frontier port of the Congo River. Accompanying the battalion was an Italian journalist, Cesare Dante Vacchi, who held a wealth of combat experience from both Indocina and Algeria and wrote for Paris Match. He befriended the officers and men of the battalion, and, as he learned their language, began to offer instruction based not only in the technical tradecraft of soldiering but also, and more importantly, in the psychological preparation that enabled the troops to acclimate quickly to the confusion of combat. As the strong results of Vacchi’s coaching became widely apparent, it was felt that this more sophisticated and advanced preparation should be the basis of a specialized body of highly capable troops. Consequently, in late 1962, after extensive briefings of key generals, Colonel José Bettencourt Rodrigues, the Chief of Staff of the Military Region, was given a free hand in establishing the new units and their training centre at Zemba, a site about 80 miles northeast of Luanda. In 1963, the first of these new troops, called commandos, were deployed in small numbers and organized in platoon-sized commando groups (grupos de commandos). In September 1964, the 1st Company of Commandos began operations from Belo Horizonte, the new commando base located in the North of Angola. These commandos also proudly wore the new, distinctive crimson beret.», mentre a p. 7 dello stesso saggio viene riprodotta una foto relativa al confine nord fra Angola e Congo che nella didascalia viene attribuita a Dante Vacchi, vedi congelamento n. 31 del  repertorio; il quarto è José Freire Antunes, A Guerra de África – 1961-1974, Lisboa, Círculo de Leitores, 1995,  dove Dante Vacchi, secondo il motore di ricerca di Google libri, viene citato tre volte, pp. 233, 234 e 464: a p. 233 dove Vacchi viene definito giornalista di “Paris Match”, a p. 234 dove lo stralcio dell’immagine della pagina operata da Google libri non ci consente di dire molto altro tranne che segnalare la citazione ed infine p. 464 dove compare un diretto riferimento alla PIDE ma dove l’immagine restituitaci da Google libri esclude il nome di Vacchi, nonostante il motore di ricerca di Google libri ci abbia indirizzato anche a quella pagina. Per più dettagli in merito al saggio di José Freire Antunes, vedi congelamento n. 34 del presente repertorio delle fonti Internet e, ad ancora maggior ragione,  vale pure qui la necessità della verifica sulla forma cartacea dei documenti esistenti nella doppia versione cartacea ed “internettiana”) si era conquistato  una enorme stima da parte dei suoi compagni portoghesi impegnati in Africa nella guerra contro i movimenti di liberazione ma questo eccezionalmente positivo apprezzamento verso Dante Cesare Vacchi non fu elargito solo dai militari che furono da lui istruiti sul campo nelle operazioni di controguerriglia (vedi video e relative interviste ai suoi commilitoni al “congelamento” documentale della scheda n° 1 del presente inventario) ma anche da parte delle alte sfere del regime estadonovista, visto che già nel 1961, ancor prima del suo impegno nelle operazioni di controguerriglia in Angola, Vacchi aveva potuto intervistare e fare un servizio fotografico su Salazar. («L’intervista fu pubblicata in portoghese sulla rivista «Notícia» del 14 luglio 1961, accompagnata da tre fotografie di Salazar. Il reportage è annunciato con le seguenti parole: «pela primeira vez um jornalista consegue penetrar na intimidade do presidente português». La stessa intervista sarà poi pubblicata in italiano nel n° 60 (anno XIII) di «Epoca», dell’8 aprile del 1962, con il titolo Come ho fatto a fotografare Salazar in casa sua. La singolare avventura di un giornalista a Lisbona (pp. 44-47, 49, 50)»: Giovanni Damele, Dante Vacchi e i Comandos portoghesi. Appunti per una ricerca, p. 3. Questo articolo del Damele, allo stato il primo lavoro con criteri scientifici su Vacchi, è stato da noi reperito in Rete e non siamo riusciti a sapere se prima o contestualmente sia stato pubblicato in cartaceo. Ad ogni buon conto, al punto 2 di questo inventario forniamo l’URL presso il quale è possibile prenderne visione assieme ai “congelamenti” WebCite ed Internet Archive che consentono a questo articolo di diventare una fonte internettiana di sicura e durevole citabilità).

       Non è questa la sede per ricostruire la biografia di Cesare Dante Vacchi («Dante Cesare Telesforo Vacchi [era] nato a Conselice il 21 maggio del 1925 da Giuseppe e Anita Gentilini [e] Morirà a Cervia il 5 maggio del 1994.»: Ivi, pp. 4 e 8) anche perché – anzi soprattutto perché – attualmente la documentazione disponibile è veramente scarsa (per esempio, per quanto  riguarda il suo ruolo svolto nella formazione dei commandos portoghesi, al momento, a parte le fonti primarie e secondarie in Rete qui inventariate e “congelate”, siamo venuti a conoscenza, anche se non ancora nella nostra disponiblità nella forma cartacea, solo dei summenzionati quattro saggi a stampa che menzionano – e tre, a quanto pare, anche piuttosto di sfuggita – Dante Vacchi); basti dire che a parte le sue non numerossime iniziative pubblicistiche e giornalistiche (Dante vacchi era anche giornalista, o perlomeno amava presentarsi come tale), non sappiamo veramente molto altro, a parte il già accennato impegno come consigliere militare, di Dante Cesare Vacchi e quindi per cominciare a tracciare un profilo di questo personaggio la ricerca dovrà esaminare, oltre alle fonti archivistiche e testimoniali portoghesi, oltre i  summenzionati saggi  (le citazioni che abbiamo tratto da questi non derivano da una visione diretta dei  documenti  in questione ma sono state fatte tramite motore di ricerca all’interno della pagina Google libri, ricerca che potrebbe avere omesso, visto che in Google libri alcune pagine non vengono pubblicate, altri luoghi dove viene citato Vacchi; e tanto per sottolineare la necessità di andare oltre questa prima forma di approfondimento tramite Internet sui saggi sulla guerra coloniale portoghese, di John P. Cann segnaliamo anche Counterinsurgency in Africa: The Portuguese Way of War, 1961-1974,  [S. l.], Praeger,1997, saggio sul quale il motore di ricerca non ha fornito alcun riscontro su Vacchi ma che, per le suddette ragioni, non è proprio detto che Vacchi non vi compaia in qualche modo) e oltre anche tutti i lavori dei diversi autori che si sono occupati della guerra coloniale portoghese (ma che in relazione alla ricerca Google non hanno dato alcuna segnalazione positiva su Dante Vacchi), anche le opere a stampa di Dante Vacchi, che  riguardano – ma non solo  – l’Angola, sulle quali finora non è stato compiuto alcun lavoro scientifico e delle quali forniamo ora un elenco che – presumibilmente –  dovrebbe essere completo (il presente inventario riguarda le fonti Internet  e dei lavori giornalistici di Vacchi, in cui pur sappiamo dalle fonti Internet fin qui consultate che Vacchi pur vi si cimentò – per es. l’intervista a Salazar – in Internet praticamente non v’è rimasta alcuna traccia né per quanto riguarda una immisione in Rete del testo di questi articoli né, tantomeno, anche per la sola citazione di essi e questa situazione è analoga anche per i libri che in vita pubblicò, di cui siamo venuti a conoscenza solo tramite il sistema OPAC e nessuno dei quali è stato immesso in Rete: libri e articoli di Vacchi dovranno quindi necessariamente subire un esame in cui la ricerca internettiana è quasi interamente fuori gioco): Anne Gaüzes, Dante Vacchi, Angola 1961-1963, Lisboa, Bertrand, 1963, libro sugli inizi della guerra in Angola, da noi non ancora esaminato. Scrive di questo libro Giovanni Damele, Dante Vacchi e i Comandos portoghesi cit., pp. 2-3: «Una prima ricostruzione basata su materiali reperibili in Portogallo, e compiuta in gran parte dal già citato tenente colonnello Neves, consente di datare al 1961 l’arrivo in Angola di Dante Vacchi, il quale si identifica come fotoreporter di «Paris Match», con il compito ufficiale (evidentemente autorizzato dallo stato maggiore portoghese) di realizzare un reportage sul contrasto della guerriglia indipendentista. Il reportage darà in seguito origine al volume Angola 1961-1963, scritto in coautoria con Anne Gaüzes.»; Dante Vacchi, Penteados de Angola [S.l., s.n., ma Lisbona, Litografia Portugal ], 1965, libro fotografico contenente 53 foto sulle acconciature delle donne angolane, da noi non ancora esaminato ma che dalle fonti Internet da noi consultate, vedi congelamenti n. 8,  9 e 14, appare come un testo con evidenti intenti di documentazione etnografica; Dante Vacchi, Anne Gaüzes, Porto, Seixal, Mundet & C., 1965 (il libro è stato pubblicato anche in Italia, con lo stesso titolo, probabilmente in italiano, a Milano, sempre nel 1965 presso l’editore Alfieri & Lacroix; entrambe le edizioni, portoghese ed italiana, da noi non ancora esaminate. Vacchi volle presentare personalmente questo libro a Salazar e per questo scrisse una lettera al dittatore portoghese chiedendo di essere ricevuto, cfr. Giovanni Damele, Dante Vacchi e i Comandos portoghesi cit., p. 3); Anne Gauzes, Dante Vacchi, Raffaello: la Stufetta del cardinale Bibbiena, Lugo di Ravenna,  Bruno Contarini, 1976, libro da noi non ancora esaminato; Dante Vacchi, La mano monca di Dio: cinque anime in striptease, una serie di malattie a puntate, un esercito alla formalina, donne rurali in video regionale, femmine pappagalle mal scopate, un uomo ex pugnetta con carta da visita, Ravenna [S. n., s.d., ma probabilmente EB, 1979], libro da noi non ancora esaminato; Dante Vacchi, Il padrino verde,  Ravenna, Brigantino, 1983, libro da noi non ancora esaminato; Dante Vacchi, Anne Vuylsteke (il vero nome di Anne  Gaüzes), Les jésuites en liberté, Paris, Filipacchi, 1990, libro da non non ancora esaminato, vedi recensione al congelamento n. 14.

        E parliano ora un po’ più a fondo, dopo i precedenti brevi cenni,  della ratio tecnica di questo documento, questo Primo inventario delle fonti Internet riferentisi a Cesare Dante Vacchi,  la cui compilazione è propedeutica ad una ricerca (su Dante Vacchi che fonda i commandos portoghesi) volta all’applicazione e alla verifica della  teoria politologica e filosofico-politica del Repubblicanesimo Geopolitico. Quasi tutto quello che allo stato ci è dato sapere su Dante Vacchi proviene da fonti internettiane ma questo tipo di fonti scontano un terribile peccato originale, sono volatili ed è stato calcolato che la  loro durata prima di svanire nel nulla sia in media quattro-cinque anni (quando va bene). Se si vuole quindi  iniziare a costruire un percorso di ricerca su Dante Cesare Vacchi, è prima di tutto necessario “congelare” e gli URL originali  attraverso i quali possiamo risalire a questa prima documentazione su Dante Vacchi e i documenti stessi che attraverso questi URL possono essere consultati. Dopo i download da Internet, siamo quindi ricorsi agli upload sia verso WebCite sia verso Internet Archive e le pagine e gli indirizzi salvati con questa procedura sono 34 (fra i quali è compreso anche il salvataggio ma solo su Internet Archive, tecnicamente l’unica opzione possibile, di tre video sui commandos portoghesi originariamente postati su YouTube: due menzionano il Vacchi, uno no – si tratta di un documento filmato che sottolinea il ruolo della PIDE nella guerra coloniale portoghese – e  quest’ultimo l’abbiamo incluso in questo inventario perché contiene materiale filmato  comune con uno dei due che menziona Vacchi, e ciò ci fa capire quanto la memoria su Vacchi fondatore dei commandos portoghesi sia a tutt’oggi un campo di scontro e divisivo).

       Anche se per tutte le pagine oggetto di download si è provveduto al doppio congelamento WebCite ed Internet Archive (ed inoltre le pagine caricate su Internet Archive sono state a loro volta congelate tramite WebCite, in modo da far svolgere ad  Internet Archive anche il ruolo di una sorta di sito originale di secondo livello: come già sottolineato, per noi la ridondanza è un valore assoluto) non sempre questo doppio “congelamento” ha dato esiti positivi, nel senso che è capitato che non sempre una delle due piattaforme abbia accettato i documenti che venivano caricati. Ma anche nel caso di questi fallimenti siamo comunque riusciti con questa procedura del doppio “congelamento” – e variando il formato originario del documento che si voleva “congelare”: tutti i documenti in HTML sono stati convertiti in Word ed in PDF  – a salvare ogni documento rendendone possibile la citabilità, e proprio perché si sta svolgendo un lavoro scientifico che anche nell’onesto rendiconto meramente tecnico del suo procedere deve trovare uno dei suoi capisaldi, questi fallimenti non sono  stati cancellati dall’inventario e il lettore potrà benissimo personalmente avvedersene cliccando sull’URL che non ha prodotto un felice risultato (ed anche leggendo l’apposita nota che indica il fallimento).

       Un ultimo breve accenno sull’impostazione del presente inventario. Come abbiamo già detto, l’inventario contiene il “congelamento” a scopo di citabilità scientifica di 34 documenti scaricati da Internet. Nei “congelamenti” effettuati su Internet Archive, nella pagina offerta da questa piattaforma per illustrare i documenti ivi caricati, abbiamo ritenuto di inserire, oltre il “congelamento” dell’URL  su WebCite e l’URL originario del documento stesso, anche  i  salvataggi su WebCite ed Internet Archive di tutti i rimanenti documenti dell’inventario, in modo che, attraverso anche un solo documento “congelato” su Internet Archive, sia possibile avere a disposizione tutto l’inventario e quindi risalire a tutti i documenti dell’inventario stesso.

       Insomma questa introduzione, a cui seguono immediatamente i 34 documenti “congelati” sia nell’URL che nel testo e debitamente numerati progressivamente nell’inventario (la sequenza di questa numerazione è unicamente quella dell’ordine cronologico con cui i documenti sono giunti alla nostra conoscenza), è posta alla fine della presentazione di ogni pagina salvata su Internet Archive e, prima ancora del presente inventario completo, è messa nella pagina di presentazione di Internet Archive anche quella parte dell’inventario stesso, ovviamente debitamente contrassegnato dal numero ordinale, relativo al documento in questione.

       Inoltre, nel completamento di questo inedito – e sotto molto aspetti autenticamente rivoluzionario – lavoro archivistico internettiano teso a rendere citabile tutta una serie di fonti presenti in Rete indispensabili per scrivere una storia dei rapporti fra il Portogallo estadonovista e l’Italia fascista e del secondo dopoguerra con particolare riguardo al problema coloniale, questo stesso inventario – con questa sua nota introduttiva – ha avuto il suo debito “congelamento” tramite la piattaforma Internet Archive (per ovvie ragioni non è stato possibile il congelamento primario dell’URL e del documento su WebCite perché si tratta di un documento originale  che non è stato scaricato da Internet ma, comunque, sempre in omaggio al principio di ridondanza –  e come si è fatto, quando possibile, per tutti i documenti dell’inventario – , l’URL e il relativo documento generati da Internet Archive sono congelati su WebCite).

       Per finire, una veloce spiegazione della inedita locuzione che s’incontra all’inizio del sottotitolo dell’inventario ‘atto di riparazione strategica’. Come enuncia il resto del sottotitolo, il percorso di ricerca che prende inizio dall’indagine  sulla figura di Dante Vacchi è (e sarà) ispirato dall’impostazione politologica e filosofico-politica del Repubblicanesimo Geopolitico, il quale trova il suo caposaldo, in radicale antitesi all’ideologia universalistica di derivazione giusnaturalistica ed illuministica,  nel momento geopolitico, il quale però abbia definitivamente perso ogni automatismo meccanicistico di origine positivista e/o neopositivista che segnava negativamente, anche se non ne annullava il profondissimo valore euristico e dialettico,  la vecchia geopolitica novecentesca (in Friedrich Ratzel, il fondatore della geopolitica e il creatore del termine ‘Lebensraum’, il termine ‘spazio vitale’ di suo conio trovava il suo ambiguo significato fra uno stretto determinismo di stampo positivistico e un sottofondo vitalistico più aperto ad una sua espressività dialettica; Rudolf  Kjellén, il creatore del termine ‘geopolitica’, nel  suo Staten som lifsform del 1916[1]Lo Stato come forma di vita – era parimenti pencolante fra un’interpretazione deterministica di questa forma di vita ed una più dinamica e dialettica) e abbia, al contrario, positivamente ed integralmente accolto, fino a depurarla al suo massimo grado e quindi consentendone la sua più piena entelechia, la filosofia della prassi di matrice idealistico-hegelo-marxiana.

       Ed è appunto attraverso  questa rinnovata filosofia della prassi (i  cui capostipiti sono il Niccolò Machiavelli del Principe e  dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio e il Giambattista Vico della Scienza Nuova  e della De antiquissima Italorum sapientiaverum  et ipsum factum  e verum et factum convertertur –  e i massimi esponenti nel Novecento sono l’Antonio Gramsci dei Quaderni del Carcere con la folgorante creazione del mito di machiavelliano conio  del moderno Principe,  il György Lukács di Storia e coscienza di classe, il Karl Korsch di Marxismo e filosofia, l’Adorno de L’idea della storia naturale, il Walter Benjamin di Tesi di filosofia della storia ed, infine,  il Giovanni Gentile de La filosofia della prassi (1899), la cui lettura, sulla scorta di una rivoluzionaria ed idealistica interpretazione delle marxiane Tesi su Feuerbach, della filosofia del filosofo e rivoluzionario di Treviri come filosofia della prassi  non è  solo l’incunabolo dell’attualismo ma anche gestalticamente il Grundtext dialettico, prassistico ed antipositivistico non solo dei  precedenti cinque pensatori novecenteschi ma anche di tutto  quel marxismo occidentale che sempre si oppose alla  falsa vulgata staliniana del marxismo e della dialettica che va sotto il nome di Diamat – acronimo in cirillico ‘диамат’, ovvero per esteso ‘Диалектический материализм’, cioè ‘dialektičeskij materializm’ traslitteraterando la locuzione in alfabeto latino) che trova un decisivo e rivoluzionario allargamento semantico la parola ‘strategia’, ora intesa dal Repubblicanesimo Geopolitico non solo come un atteggiamento e una serie di mosse finalizzate a prevalere sull’avversario, sull’ambiente naturale, culturale e/o storico, ma come il momento iniziale ed ontogenetico dell’espressione e creazione della realtà attraverso il rapporto dinamico e dialettico del soggetto con l’oggetto[2].

       Per chi voglia documenentarsi sul Repubblicanesimo Geopolitico non è questa la sede  per perdersi in approfondite discussioni, a questo scopo abbondante materiale può essere reperito in Rete (però, qualche indicazione è giusto fornirla: la discussione sul Repubblicanesimo Geopolitico si è sviluppata prima sulle pagine del blog di geopolitica “Il Corriere della Collera” – URL di riferimento https://corrieredellacollera.com/ –; ha registrato qualche intevento sulla rivista on line di studi neomarxisti “Conflitti e Strategie” – URL di riferimento http://www.conflittiestrategie.it/ –, particolarmente significativa su questa rivista la videointervista sul Repubblicanesimo Geopolitico Repubblicanesimo geopolitico. Intervista al prof. Massimo Morigi – presso la pagina di “Conflitti e Strategie” all’URL  http://www.conflittiestrategie.it/repubblicanesimo-geopolitico-intervista-al-professor-massimo-morigi, intervista che rinvia anche all’URL di YouTube https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=VeOUHYC8zq8 , videointervista che, infine, si è anche provveduto a “congelare” su Internet Archive all’URL https://archive.org/details/RepubblicanesimoGeopoliticoIntervistaAlProfessorMassimoMorigi –; ha infine animato il dibattito, con diversi interventi, sulla rivista on line di geopolitica “L’Italia e il mondo” – URL di riferimento http://italiaeilmondo.com/ –; e sul Repubblicanesimo Geopolitico segnaliamo, infine,  tre documenti: Massimo Morigi, Teoria della Distruzione del Valore (Teoria fondativa del Repubblicanesimo Geopolitico e per il superamento/conservazione del Marxismo), Idem, Dialecticvs Nvncivs. Il punto di vista del Repubblicanesimo Geopolitico attraverso i Quaderni del Carcere e Storia e Coscienza di Classe per il rovesciamento della gerarchia della spiegazione meccanicistico-causale e dialettico-conflittuale, per il rinnovamento degli studi marxiani e marxisti e per l’ Aufhebung della gramsciana e lukacsiana Filosofia della Praxis e Idem, Repubblicanesimo Geopolitico Anticipating Future Threats. Dialogo sulla Moralità del Repubblicanesimo Geopolitico più Breve Nota all’Intervista del CSEPI a La Grassa (di Massimo Morigi): documenti facilmente reperibili in Rete); quello che si cerca, in conclusione, di far comprendere con la locuzione ‘atto di riparazione strategica’ è che non sì è vuole riabilitare introducendo surrettiziamente un concetto inedito ma vago, una figura certamente espressione  di quella parte che è uscita sconfitta  – e ci sia consentito di dire giustamente sotto tutti i punti di vista – dal secondo conflitto mondiale (e poi da riabilitare rispetto a cosa? allo stato sappiamo veramente molto poco su Dante Vacchi, tranne il fatto che per tutta la vita fu certamente fascista e che, evidentemente, mai accettò  di non poter più svolgere il mestiere per il quale si sentiva più vocato, l’arte della guerra: ma se si dovesse scaraventare agli inferi un personaggio storico solo per questo tipo di pulsione e pratica bellica, veramente le nazioni non avrebbero  più né eroi né padri più o meno nobili… il che non è detto che sarebbe necessariamente un male ma però questa opzione etica – o, meglio,  questa deformazione “giustiziera” piuttosto che correttamente “giustificatrice” della storia, come ebbe modo già di dire don Benedetto  nel lontano 1917 in Teoria e storia della storiografia – nell’attività storiografica non può mai essere a senso unico e glissando sulle pulsioni e pratiche violente dei vincitori…), ma si vuole far emergere, attraverso lo studio di Dante Vacchi – prima fase di un inedito sforzo interpretativo sui rapporti fra Estado Novo e Italia fascista e poi “democratica” in cui, alla luce dell’impostazione dialettico-strategica del Repubblicanesimo Geopolitico, verrà verificata l’ipotesi non di una loro pedissequa continuità nel secondo dopoguerra ma, perlomeno, di un loro precario equilibrio fra le ragioni rappresentative, un tempo si sarebbe detto ‘sovrastrutturali’,   delle opposte ideologie dei due Stati e le profonde ragioni geopolitiche della collocazione atlantica ed anticomunista dei due paesi –, il caposaldo fondante e fondamentale del Repubblicanesimo Geopolitico, vale a dire il momento ontogenetico dall’azione-conflitto dialettico-espressivo-strategico, una azione che nel caso di Dante Vacchi, nonostante la  scarsa documentazione in nostro  possesso ma univoca nell’indicare il ruolo di protagonista del Vacchi, emerge essere stata di grandissima portata (non accettò, comunque se ne possano giudicare le motivazioni, la fine della storia emersa come esito apparentemente immodificabile del secondo conflitto mondiale, arrivando a prestare la sua arte militare ad un regime morente, quello del Portogallo salazarista, fascista e totalitario, ma attraverso un operato, la creazione dei commandos portoghesi, i cui effetti si riverbano ancor oggi nell’organizzazione militare del Portogallo “democratico”: almeno su questo dato di fatto concorda tutta la scarsa documentazione disponibile), ma che, questa azione, rischiava e rischia tuttora di rimanere per sempre incognita e/o di disperdersi in fugaci apparizioni nella Rete (con danno evidente, nel caso di un suo irrimediabile oblio, per la comprensione non minata dalle fumisterie ideologiche dell’universalismo “democratico” ma innervata dalla realistica filosofia della prassi del Repubblicanesimo Geopolitico dei reali rapporti nel secondo dopoguerra fra il Portogallo dittatoriale e l’Italia “democratica”, ma “democratica” d’importazione, solo per limitarci alla genesi strettamente événementielle delle nostre “libere” istituzioni). E quindi “atto di riparazione strategica” non perché Vacchi possa tramutarsi da fascista irriducibile in una image d’Épinal buona da spendersi per il politicamente corretto dell’ideologia della fine della storia ma per il semplice fatto che il  ‘momento strategico’  espresso da Vacchi (pur notevole  e di primissimo livello sul piano biografico della sua vicenda umana con tratti eccezionali ma, soprattutto, tassello  fondamentale – e  di collegamento e di continuità fra Italia fascista ed Italia democratica o, meglio, postfascista –  per comprendere, come recita il titolo di questa comunicazione, I rapporti fra il Portogallo dell’Estado Novo e l’Italia fascista e del secondo dopoguerra in relazione al problema coloniale africano) rischiava di perdersi e  quindi, per evitare questa dispersione – o, meglio, questo ‘oblio dello strategico’ che, simile all’ ‘oblio dello strategico’ verso tutti coloro che nel corso della storia umana sono risultati fra gli sconfitti dell’azione-conflitto dialettico-espressivo-strategico, rischia di coinvolgere non solo una vita singola ma un aspetto fondamentale degli ultimi decenni del Novecento italiano e portoghese – era necessario un doveroso atto di riparazione (che certamente, visto il tipo di fonti privilegiate, ha un suo lato tecnico indubbiamente innovatore e debitore delle problematiche tecnico-informatiche del XXI secolo e della correlata volatilità delle fonti Internet ma che, dal punto di vista filosofico, nel suo riparatorio e rimemorante opporsi all’ ‘oblio del momento strategico’ – e di un individuo, Dante Cesare Vacchi che fonda i commandos portoghesi, e di una fase storica, i rapporti fra Italia e Portogallo determinati, al di là delle fumisterie ideologiche, dall’appartenenza al medesimo blocco atlantico anticomunista – si ricollega direttamente al messianismo di Walter Benjamin e alla possibilità  che nel Jetztzeit sprigionato dal procedere dialettico-strategico di una vera attività storiografica[3], nel caso del presente inventario un tempo-ora generato dalla tecnologie informatiche e cibernetiche del Web ma eternizzato  dal nostro artigianale “congelamento” delle fonti in Rete, possa benjaminamente manifestarsi quel Messia che operi quella restitutio ad integrum di coloro che erano stati sommersi dal conflitto strategico dal quale nasce e col quale è costituita la storia umana[4]; quindi il nostro “congelamento delle fonti  Internet”, come una sorta di messianico tempo-ora  non solo per Dante Cesare Vacchi ma anche per la storia – dialettica,  espressiva, conflittuale e strategica – di un secondo dopoguerra segnato dalla divisione del mondo in due blocchi e verso il quale il nostro storiografico salvataggio rimemorante è l’unica possibilità che ci è data per un suo reale superamento che non sia, come pretenderebbe l’ideologia della fine della storia, una sua criminale rimozione-falsa uccisione, allo scopo, come effettivamente oggi accade, di riproporne una sua riproposizione sotto mentite spoglie, democratiche formalmente ma intrinsecamente fasciste nella realtà), che si è concretizzato, come prima sua tappa, attraverso l’inventario delle fonti Internet che lo riguardano e che senza i “congelamenti” da noi operati e debitamente indicati in questo repertorio rischiavano di svanire.

       Nel titolo di questa comunicazione, accanto alla locuzione ‘atto di riparazione strategica’, abbiamo posto il numero ordinale ‘1°’. Certamente primo per quanto riguarda Dante Vacchi, un personaggio cui nessuno prima d’ora aveva dedicato un interesse scientifico non esaurito in sé stesso ma che ponesse le basi per un più vasta ricerca storica sui rapporti fra Portogallo estadadonovista ed Italia fascista prima ed Italia postfascista poi mettendo in luce quegli elementi di continuità che nel secondo dopoguerra non furono più di contiguità ideologica come lo furono durante il Ventennio ma che, come ormai  già sembra dimostrare la figura di Dante Cesare Vacchi, si avvalsero di personaggi o direttamente legati col passato regime fascista italiano o pubblicamente nostalgici dello stesso (come abbiamo già detto, l’unico studio scientifico finora pubblicato su Dante Cesare Vacchi è Giovanni Damele, Dante Vacchi e i Comandos portoghesi. Appunti per una ricerca cit. ma è uno studio strettamente biografico e non con i propositi di ricerca da noi appena enunciati; e se il già menzionato Stefano Salmi, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista e l’Estado Novo cit. è impotante per quanto riguarda  i rapporti fra l’Italia fascista e il Portogallo estadonovista, si deve ricorrere a questo studio anche per quanto riguarda un primo approccio sulla problematiche di ricerca ora  enunciate nel presente inventario, dedicando  sì questa tesi di laurea una parte significativa della sua analisi su come i rapporti fra i due paesi totalitari  si intrecciarono attorno alle loro rispettive problematiche coloniali e di come queste problematiche a loro volta li influenzarono e quindi questa tesi ponendosi come ideale premessa, per il periodo affrontato e per gli argomenti trattati, degli  studi che si dovranno dipanare dalla ricerca sulla figura di Dante Vacchi, che riguardano i rapporti fra Italia e Portogallo nel secondo dopoguerra, ma anche saggio che getta un ponte diretto con la nostra ricerca sulla figura di Dante Cesare  Vacchi, in quanto vi si indaga anche dei rapporti di Pino Rauti  con l’Estado Novo portoghese – cfr. Stefano Salmi, Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista e l’Estado Novo cit.,  pp.  404-424 –,  aprendo quindi la strada allo studio sul ruolo  svolto dal neofascismo italiano del secondo dopoguerra nel rafforzare e a livello interno e nelle sue proiezioni internazionali e coloniali l’Estado Novo; un ruolo svolto dal neofascismo italiano la cui definizione è lo scopo precipuo dell’indagine su Dante Vacchi e in una definizione di questo ruolo che prima del nostro studio su Vacchi era stato anche egregiamente affrontato – vedi le fonti secondarie già citate – ma che, prima d’ora, non aveva mai puntato i suoi riflettori su uno straniero protagonista assoluto nella costruzione di un ganglio fondamentale  dell’apparato statale estadonovista: il francese Yves Guérin-Sérac, figura affrontata da pur  egregi studi sull’internazionale nera da noi citati, fonda nel 1966 l’Aginter Press ma si tratta di uno strumento, seppur importante per il terrorismo internazionale e per l’appoggio della politica coloniale portoghese, esterno allo Stato portoghese; l’italiano Dante Cesare Vacchi fonda i commandos portoghesi, strumento fondamentale per la guerra coloniale portoghese e apparato assolutamente interno allo Stato e all’esercito dell’Estado Novo), ma anche primo per il Repubblicanesimo Geopolitico, che attraverso lo studio di questo personaggio come punto di fuga prospettica del  più vasto affresco storico dei rapporti dell’Estado novo con l’Italia fascista e poi postfascista del secondo dopoguerra, intende innervare per la prima volta una specifica ed originale ricerca storica della sua Weltanschauung dialettico-espressivo-conflittuale-strategica.

       Un ‘atto di riparazione strategica’, quindi, che si manifesta come un  ‘contro-atto di oblio dello strategico’ propedeutico, se non diretta espressione, di quella ‘epifania dello strategico’ di cui abbiamo già ampiamente detto in altri luoghi a proposito del Repubblicanesimo Geopolitico e ‘contro-atto di oblio dello strategico’ e/o ‘epifania strategica’[5] che nella sua prassistica attiva ‘rimemorazione strategica’ della quale intende infondere la sua ricerca, si riallaccia direttamente, trovandovi il suo Grundtext, alle soteriologiche benjminiane Tesi di filosofia della storia, attraverso una prassi storiografica in cui l’atto messianico viene finalmente realizzato dal ‘tempo-ora’ della ‘rimemorazione dello strategico’, un momento strategico rimemorato e quindi salvato e quindi reso disponibile ad una prassi umana che proietta in avanti, e in un certo senso “eternizza”, l’originario  Jetztzeit  del procedere storico strategico (nel duplice ma convergente senso – in Gestalt dialettico-espressivo-conflittuale-strategica –  di ‘storia’ inteso come accadimento e come sua narrazione)  e che, nel nostro caso, con fulcro e punto iniziale di fuga prospettica in Dante Cesare Vacchi che fonda i commandos portoghesi, sarebbe stato altrimenti perso per sempre, sommerso (dagli apparentemente) vincitori idola theatri post 1989[6].

E soprattutto per consentirci questa ‘epifania strategica’ che questo rimemorante ‘atto di riparazione’ è dal punto di vista del Repubblicanesimo Geopolitico primo, nel senso di assoluta priorità ed urgenza realizzativa, dopo le sue molte e ripetute elaborazioni prevalentemente teoriche, ed è soprattutto che, per poterci consentire questa concreta applicazione su un concreto case study della Weltanschauung del Repubblicanesimo Geopoliltico,  abbiamo un grande debito di riconoscenza verso Dante Cesare Vacchi, perché Dante Cesare Vacchi ci consente un riaffioramento del concetto di ‘conflitto strategico’ sempre in bilico fra il rischio del suo oblio (il politicamente corretto e la surrettiziamente ribadita fine della storia) e la speranza della sua Epifania (oggi espressa, dopo la fine del marxismo – ma sarebbe meglio dire la sua Aufhebung attraverso il Repubblicanesimo Geopolitico –, con piena consapevolezza teorica dal Repubblicanesimo Geopolitico ma, per fortuna,  certamente con minore consapevolezza ma con non disprezzabile energia da tutti coloro che, pur da contrapposte barricate, decisamente ed espressamente rifiutano la fukuyamesca fine della storia).

       Allo stadio iniziale della nostra ricerca, non ci è dato conoscere se Dante Cesare Vacchi abbia mai sviluppato non diciamo una filosofia ma perlomeno un pensiero politico all’altezza dei suoi grandi risultati strategico-militari e di State Building (Vacchi non solo combattè con indubbia efficacia nella guerra coloniale portoghese ma, come già sottolineato, nel farlo creò ex nihilo all’interno della fabrica dell’esercito portoghese un’articolazione indispensabile dell’Estado Novo, il corpo dei commandos che in questa guerra furono la punta di lancia contro i movimenti di liberazione) che caratterizzarono il suo passaggio su questa terra (i suoi libri elencati nel presente documento devono trovare ancora una lettura complessiva, organica e significativa dal punto di vista scientifico, e sarà uno dei nostri compiti eseguirla, come pure si dovrà procedere per gli articoli per i periodici che Vacchi scrisse e in questa introduzione da noi neppure elencati per la semplice banale ragione che le fonti Internet se possono dare notizia, come nel caso di Vacchi, anche di opere librarie di autori molto poco conosciuti, quasi sempre tacciono completamente per quanto riguarda l’attività giornalistica di questi personaggi. Per andare nello specifico: come si vede dal repertorio delle fonti Internet da noi qui prodotto, il mercato dell’antiquariato librario segnala le opere di Vacchi, e attraverso i sistemi OPAC italiano e portoghese, consultabili solo  tramite Internet – OPAC: On-line public access catalogue –, è ugualmente possibile ricostruire un sostanzioso elenco di opere librarie di Vacchi, ricostruzione internettiana  che non è stata assolutamente possibile per gli articoli di Vacchi: comunque tutte queste fonti primarie su Vacchi, sia i libri che gli scritti per i periodici, saranno da noi non solo minuziosamente  repertoriate al di là delle risorse archivistiche offerte dalla Rete – ma risorse archivistiche che solo attraverso il nostro lavoro di “congelamento” si sono tramutate da virtuali a reali – ma anche attentamente esaminate), ma   per fornire una Gestalt che non sia solamente autoreferenziale di ‘Epifania strategica’ e, al contempo, per fornire anche il segno sotto il quale – pensiamo – si svolse, al di là di un pensiero politico ancora da noi tutto da focalizzare, la vita di Cesare Dante Vacchi, forse la  migliore approsimazione ci può essere prestata da come Roberto Esposito, in Pensiero vivente, sintetizza la peculiarità del pensiero italiano, un pensiero italiano che, non sappiamo ancora quanto consapevolmente – ma amiamo ritenere profondamente – guidò Dante Cesare Vacchi: «È qui, appunto, che si radica il primo asse paradigmatico del pensiero italiano, riconducibile alla figura, altamente complessa, dell’immanentizzazione dell’antagonismo. Che il conflitto sia costitutivo dell’ordine – che, cioè, non sia ipotizzabile, e neanche auspicabile, un ordine escludente il conflitto – segnala l’emergenza dell’origine all’interno della storia che tende, invano, a disfarsene. L’origine non può essere eliminata da un ordine che, nella sua concretezza fattuale, non soltanto ne deriva, ma continua incessantemente a riprodurla. Questo presupposto costituisce uno dei vettori fondamentali e ricorrenti della filosofia, non solo politica, italiana.»: Roberto Esposito, Pensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana, Torino, Einuadi, 2010, p. 25.

       Solo da un pensiero che fondi il suo sviluppo sulla  ‘immanentizzazione del conflitto’ che fu in primo luogo di Niccolò Machiavelli ma  anche il filo rosso che lega indissolubilmente le migliori e più originali espressioni del pensiero italiano –  e queste solo per limitarci al Novecento,  sotto il segno di una consapevole anche se variamente declinata filosofia della prassi, Gentile, Gramsci, Croce, con le più scaltrite e intimamente dialettiche manifestazioni del marxismo occidentale, György Lukács e Karl Korsch; per finire con Walter Benjamin che, stricto sensu, marxista non fu ma la cui intima e poetizzata Weltanschauung dialettica, il momento-ora attraverso il quale possono irrompere e manifestarsi quelle potenzialità messianiche presenti in ognuno di noi che rendano possibile la restitutio ad integrum di coloro che nel corso del conflitto strategico sono stati sconfitti e sepolti[7],  lo pone come una delle più umanamente ed umanisticamente dense espressioni, sia sul piano personale, filosofico ed anche religioso, della filosofia della prassi e una sorta di prefigurazione dell’ ‘Epifania strategica’ del Repubblicanesimo Geopolitico –, solo un pensiero che, detto altrimenti, sappia manifestare una piena  ‘Epifania strategica’ consapevole erede di tutta la miglior tradizione espressivo-dialettico-conflittuale-strategica della filosofia occidentale (che iniziata dall’aristotelico ζῷον πολιτικόν trova nel Secolo breve col gramsciano moderno Principe la sua più efficace e teoricamente evoluta sintesi politico-sociale[8], e tradizione espressivo-dialettico-conflittuale-strategica che nel XXI secolo ha manifestato  la sua ultima sistemazione col Repubblicanesimo Geopolitico che, ben oltre il “timido prassismo” costruttivista alla Alexander Wendt[9] e piuttosto trovando un suo antesignano nell’antideterministica e antimeccancistica polemologia del Carl von Clausewitz del Vom Kriege, rinnova, alla luce di una visione della scienza non meccanicistica ed anche ispirata all’intima dialetticità dell’epigenetica e della fisica quantistica – sulla “dialetticità” del nuovo modo di intendere la biologia che abbandona paradigmi meccanicistici per sottolineare il rapporto olistico e dialettico fra organismi e specie con l’ambiente vedi The Dialectical biologist (Richard Levins, Richard Lewontin, The Dialectical Biologist, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1985 (Delhi, Aakar Books for South Asia, 2009, documento in Rete  presso https://athens.indymedia.org/media/upload/2016/09/02/LEWONTIN_-_THE_DIALECTICAL_BIOLOGIST.pdf . Nostri “congelamenti”: WebCite: http://www.webcitation.org/75i27bpR1 e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fathens.indymedia.org%2Fmedia%2Fupload%2F2016%2F09%2F02%2FLEWONTIN_-_THE_DIALECTICAL_BIOLOGIST.pdf&date=2019-01-26; Internet Archive:  https://archive.org/details/TheDialecticalBiologist e https://ia801507.us.archive.org/26/items/TheDialecticalBiologist/Lewontin_-Levins_the_dialectical_biologist.pdf; WebCite su Internet Archive: http://www.webcitation.org/75i3BdM3Q e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801507.us.archive.org%2F26%2Fitems%2FTheDialecticalBiologist%2FLewontin_-Levins_the_dialectical_biologist.pdf&date=2019-01-26), e per quanto riguarda l’ aspetto dialettico dell’epigenetica cfr.   Eva Jablonka, Marion J. Lamb,  Evolution in Four Dimensions: Genetic, Epigenetic, Behavioral, and Symbolic Variation in the History of Life, Bradford Books/The MIT Press. 2005, dove, in una sorta di opportuno ritorno all’impostazione che fu prima di Lamark e poi di Lisenko, che sostenevano il principio di una selezione naturale dove l’organismo non viene solo selezionato dall’ambiente ma questo è in grado di rispondere attivamente e creativamente agli stimoli ambientali, è prefigurato una sorta di modello biologico che ha profonde attinenze con l’impostazione della filosofia della prassi del rapporto dinamico e dialettico fra soggetto ed oggetto e sfatando quindi in Eva Jablonka, Marion J. Lamb,  Evolution in Four Dimensions cit., il dogma della biologia della barriera di August Weismann dove vi si sosteneva l’esistenza di un barriera insormontabile negli organismi fra le cellule somatiche e quelle germinali; mentre per la sottolineatura dell’eliminazione del principio di non contraddizione naturale portato  del principio della superposition  della fisisca quantistica cfr. Garrett Birkhoff, John Von Neumann, The Logic of Quantum Mechanics, “The Annals of Mathematics”, 2nd Ser., Vol. 37, No. 4. (Oct., 1936), pp. 823-843[10], John von Neuman, On Alternative System of Logics, unpliblished manuscript, 1937, von Neumann Archives, Library of Congress, Washington    e Id., Quantum Logics (Strict-and Probability-Logics),  unpliblished manuscript, 1937, von Neumann Archives, Library of Congress, Washington –, la grande tradizione della filosofia della prassi in un’ottica di radicale abolizione dell’idea della separazione fra scienze umane e scienze della natura e dell’illusorio iato, come già stigmatizzato da Adorno in L’idea della storia naturale, fra storia e natura[11]), potrà salvare non solo una morente  democrazia italiana ma anche l’oramai definitivamente esausta modernità politica democratica, che dopo l’abbattimento con l’Illuminismo e la sua traduzione politica nella Rivoluzione francese della ipostatica teologia politica dell’ ancien régime dell’origine divina del potere e della conseguente alleanza fra trono ed altare, non ha saputo far altro che incardinare il suo concetto di libertà su altrettanto metafisici diritti dell’uomo e su una molto meno metafisica  ma altrettanto stupida – e criminale – concezione pratica della libertà basata sulla robinsonata  dell’ individualismo metodologico di stampo liberale (capostipiti di questo monadico individualismo, Thomas Hobbes e John Locke e, nel secolo che è appena tramontato, su un piano di assoluta volgarità storica e filosofica ma di gran fortuna sul piano pubblicistico Francis Fukuyma, la cui ridicola previsione di fine della storia non è che il compendio ed exitus novecentesco di tutta una tradizione liberale antidialettica ed antiumanistica iniziata nel ’600 e che trova tragica espressività nelle hobbessiane metafora dell’homo homini lupus e nella grandiosa e tenebrosa allegoria del Leviatano).

       Siano quindi gli studi che si dipartiranno dalla figura di Dante Cesare Vacchi un grande ‘atto di riparazione strategica’: verso quest’uomo d’arme ma, soprattutto, verso noi stessi e la grande tradizione del pensiero italiano che con la sua primogenitura nel concepimento dell’ ‘immanentizzazione del conflitto’ pose le basi, ancora tutte da sviluppare, per quell’ ‘epifania strategica’ che costituisce quel fiume carsico di energia filosofica e politica che aveva visto nascere agli albori della civiltà occidentale quel concetto di libertà intesa non come arbitrio ma come interscambio dialettico dell’espressività e creatività delle volizioni e pulsioni soggettive col più vasto ed olistico contesto del momento politico e sociale – lo Zoon politikon aristotelico dell’ Etica nicomachea e della Politica – e che oggi, catastrofe iniziata in era moderna col seicentesco rifiuto meccanicicistico delle potenzialità dialettiche dell’umanesimo, ha subito, a causa  della libertà così come è stata concepita, e purtroppo assolutamente deformata e praticata, dalla visione liberale dell’individualismo metodologico, un tragico – ma siamo sicuri, solo provvisorio – arresto.

        Ed anche operando una restitutio ad integrum della figura del fascista ed uomo d’arme Dante Cesare Vacchi che fonda i commandos portoghesi, fondamentali per un morente Portogallo totalitario nella guerra contro i movimenti di liberazione nelle sue colonie africane,  pensiamo che  messianicamente – seppur non pretendendo come Benjamin di avere come alleato il nano brutto ma bravissimo della teologia ma solo ed unicamente un prosaico Sancho Panza che ha imparato a maneggiare le molto immanentistiche armi di una nuova storiografia espressivo-dialettico-strategica dell’ ‘immanentizzazione del conflitto e/o antagonismo’ – sia possibile dare il nostro contributo per la salvezza della migliore e più profonda tradizione politica e filosofica occidentale.

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                           CONGELAMENTO 1 DI 34

 

Video sui commandos portoghesi – durata 1 ora, trentanove minuti e 21 secondi –  dove viene fatto esplicito  riferimento a Cesare Dante Vacchi. Il video è stato caricato su YouTube il 25 agosto 2016 da António José de Deus Gonçalves sotto il titolo  COMANDOS TROPAS ESPECIAIS DE ELITE Da Zemba a Besmayah – 1962/2015. Il video è stato prodotto nel 2007 a cura della Associação de Comandos col titolo COMANDOS UM CONTRIBUTO PARA A HISTÓRIA. Al 27 dicembre 2017  risultano su YouTube 14.665 visualizzazioni, 130 Like e 3 Dislike. In calce agli URL di questo congelamento n° 1, il testo di   presentazione su YouTube del video.

 

ORIGINAL URL: https://www.youtube.com/watch?v=jZ82gML5jSg

 

GLI URL E I VIDEO DI YOUTUBE NON POSSONO ESSERE CONGELATI  TRAMITE WEBCITE.

 

https://archive.org/details/COMANDOSUMCONTRIBUTOPARAAHISTRIA

https://ia601508.us.archive.org/32/items/COMANDOSUMCONTRIBUTOPARAAHISTRIA/COMANDOS%20UM%20CONTRIBUTO%20PARA%20A%20HIST%C3%93RIA.mp4

 

COMANDOS UM CONTRIBUTO PARA A HISTÓRIA

14.784 visualizzazioni

 

António José de Deus Gonçalves

Pubblicato il 25 ago 2016

ISCRIVITI 376

COMANDOS TROPAS ESPECIAIS DE ELITE Da Zemba a Besmayah – 1962/2015 A história dos Comandos do Exército Português está escrita, há livros e inúmeros artigos sobre o tema (ver a Cronologia Oficial no final do artigo), vamos apenas fazer aqui uma síntese, organizando-a em épocas que nos parecem diferenciadas. O espírito Comando, esse, atravessa todo este tempo se não de modo igual, pelo menos muito semelhante, e no essencial, tem sido o cimento e a principal razão do sucesso com que têm enfrentado os “ventos da história”. Consideramos assim, 5 grandes épocas: Guerra de contra-guerrilha no antigo Ultramar, entre 1962 e 1974, na qual os diferentes centros de instrução (Angola – Zemba, Quibala, Luanda; Moçambique – Namaacha, Montepuez; Guiné – Brá; Lamego), prepararam cerca de 9.000 Comandos para missões de contra-guerrilha nas quais obtiveram excelentes resultados operacionais e por isso foram distinguidos com as mais elevadas condecorações quer a título individual quer colectivo. Foram 12 anos como unidades de intervenção, sempre na primeira linha dos combates, onde pagaram um elevado preço de sangue: 357 mortos, 771 feridos e 28 desaparecidos. Período revolucionário e a normalização democrática em Portugal, entre 1974 e 1976, na qual se assistiu à criação do Regimento de Comandos na Amadora e a introdução da boina vermelha, tendo a acção do Regimento sido determinante na chamada normalização democrática, contribuindo para a derrota pela força das armas, em 25 de Novembro de 1975, das facções consideradas radicais que dominaram a cena política em Portugal depois do golpe militar de 25 de Abril de 1974; Guerra-fria na Europa e a Cooperação Técnico-Militar em África, de 1976 até 1993, na qual o Regimento de Comandos, procurou o seu lugar num sistema de forças virado para eventual conflito na Europa, integrou a Brigada de Forças Especiais do Exército e participou com pequenos destacamentos em exercícios internacionais no âmbito da NATO, iniciando ao mesmo tempo com sucesso, diferentes acções de Cooperação Técnico-Militar em África, sendo a mais relevante e que ainda se mantém, com Angola; Extinção do Regimento de Comandos e criação do Centro de Tropas Comandos, de 1993 a 2006, na qual o Regimento foi extinto, poucos militares comandos quiseram frequentar o curso de pára-quedismo para integrar a Brigada Aerotransportada criada no Exército a partir das unidades, pessoal e meios das Tropas Pára-quedistas da Força Aérea, também extintas. Manteve-se no Exército a possibilidade de oficiais e sargentos frequentarem o Curso de Comandos em Lamego, no Centro de Instrução de Operações Especiais, com várias finalidades, nomeadamente manter viva a Cooperação Técnico-Militar, o que foi conseguido, e preservar conhecimentos, capacidades e tradições consideradas necessárias ao ramo terrestre. Em 2002 foi criada a 1.ª Companhia de Comandos (100.º Curso de Comandos), depois a 2.ª Companhia e finalmente o Batalhão de Comandos, no Regimento de Infantaria n.º 1 (Serra da Carregueira). Em 2006 foi legalmente criado o Centro de Tropas Comandos, em Mafra, onde se manteve até 2008, ano em que regressou à Serra da Carregueira. Missões expedicionárias, desde 2004 até aos dias de hoje. Em 2004, uma companhia de comandos é integrada no Agrupamento Hotel (com base num Batalhão da Brigada Ligeira de Intervenção) e parte para Timor-Leste participando na missão das Nações Unidas no território, dando assim início ao envolvimento dos Comandos, com unidades constituídas, nas missões expedicionárias(*). No ano seguinte uma Companhia de Comandos integra a força da NATO no Afeganistão e este vai ser um teatro de operações onde os comandos permanecem até 2014, embora com uma ou outra interrupção dando lugar a outras forças da Brigada de Reacção Rápida. Primeiro como uma companhia como Força de Reacção Rápida e depois, com efectivos variáveis, por vezes em conjunto com outras unidades nacionais, integrando a Protecção da Força do Contingente Nacional, mas também fornecendo oficiais e sargentos para diferentes cargos de assessoria/mentoria, os Comandos foram a força nacional que mais tempo permaneceu no Afeganistão. Já este ano, coube ao CTC preparar o contingente português que está no Iraque, no âmbito da Coligação Internacional liderada pelos EUA para combater o “estado islâmico”. A maioria da Força Nacional Destacada é composta por militares Comandos, estando empenhados em missões de assessoria, instrução e segurança em Besmayah nos arredores de Bagdad, numa base espanhola.

 

 

 

 

              CONGELAMENTO  2 DI 34

 

Dante Vacchi e i Comandos portoghesi. Appunti per una ricerca. Autore: Giovanni Damele. Caricato da Giovanni Damele su Scribd il 2 ottobre 2015 (Uploaded by Giovanni Damele on Oct 02, 2015). Allo stato è la ricerca più completa, seppur breve,  su Dante Cesare Vacchi.

ORIGINAL URL:  https://www.scribd.com/document/283472616/Dante-Vacchi-e-i-Comandos-portoghesi-Appunti-per-una-ricerca

 

http://www.webcitation.org/74sn7eCbT

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fwww.scribd.com%2Fdocument%2F283472616%2FDante-Vacchi-e-i-Comandos-portoghesi-Appunti-per-una-ricerca&date=2018-12-23

 

https://archive.org/details/DanteVacchiEICommandosPortoghesi

https://ia601508.us.archive.org/22/items/DanteVacchiEICommandosPortoghesi/283472616-Dante-Vacchi-e-i-Comandos-portoghesi-Appunti-per-una-ricerca.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/75WnWf5OF

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601508.us.archive.org%2F22%2Fitems%2FDanteVacchiEICommandosPortoghesi%2F283472616-Dante-Vacchi-e-i-Comandos-portoghesi-Appunti-per-una-ricerca.pdf&date=2019-01-18

                          

                          

                           CONGELAMENTO 3 DI 34

 

Pagina caricata senza indicazione di data e con generica indicazione di autore (Elementos cedidos por um colaborador do portal UTW). Si tratta della proposta della vendita on line del libro fotografico di Dante Vacchi ed Anne Gauze Angola 1961-1063.

 

ORIGINAL URL:  http://ultramar.terraweb.biz/06livros_AnneGauzes_%20e_%20Dante%20Vacchi.htm

 

http://www.webcitation.org/74uaFWVy8

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fultramar.terraweb.biz%2F06livros_AnneGauzes_%2520e_%2520Dante%2520Vacchi.htm&date=2018-12-24

 

 

 

https://archive.org/details/Livros-Angola1961-1963-AnnaGauzesEDanteVacchi

https://archive.org/details/TrabalhosTextosSobreAGuerraDoUltramarOuLivros

https://archive.org/details/TrabalhosTextosSobreAGuerraDoUltramarOuLivrosDanteVacchi

https://ia601509.us.archive.org/26/items/TrabalhosTextosSobreAGuerraDoUltramarOuLivrosDanteVacchi/TrabalhosTextosSobreAGuerraDoUltramarOuLivrosDanteVacchi.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FVwNDqA

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601509.us.archive.org%2F26%2Fitems%2FTrabalhosTextosSobreAGuerraDoUltramarOuLivrosDanteVacchi%2FTrabalhosTextosSobreAGuerraDoUltramarOuLivrosDanteVacchi.pdf&date=2019-02-17

                      

 

                      

 

                           CONGELAMENTO 4 DI 34

 

 Pagina caricata il 2 ottobre 2015 da Giovanni Damele. Titolo: Storia di Dante Vacchi: il fotografo italiano che fondò i Comandos portoghesi. Costituisce una versione ridotta dell’articolo di questo autore già citato al punto 2 di questo inventario intitolato Dante Vacchi e i Comandos portoghesi. Appunti per una ricerca.

 

ORIGINAL  URL: http://lusosfera.blogspot.com/2015/10/storia-di-dante-vacchi-il-fotografo_2.html#more

 

http://www.webcitation.org/74ud8oxxU

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Flusosfera.blogspot.com%2F2015%2F10%2Fstoria-di-dante-vacchi-il-fotografo_2.html%23more&date=2018-12-24

 

https://archive.org/details/CaleidoscopioLusitano_StoriaDiDanteVacchi_IlFotografoItalianoChe

https://ia801503.us.archive.org/1/items/CaleidoscopioLusitano_StoriaDiDanteVacchi_IlFotografoItalianoChe/CaleidoscopioLusitano_StoriaDiDanteVacchi_IlFotografoItalianoCheFondIComandosPortoghesi.html

https://archive.org/details/CaleidoscopioLusitano_StoriaDiDanteVacchi_IlFotografoItalianoChe_994

 

https://archive.org/details/CaleidoscopiolusitanoDanteVacchi

https://ia601502.us.archive.org/3/items/CaleidoscopiolusitanoDanteVacchi/CaleidoscopiolusitanoDanteVacchi.pdf

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FWhIqos

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601502.us.archive.org%2F3%2Fitems%2FCaleidoscopiolusitanoDanteVacchi%2FCaleidoscopiolusitanoDanteVacchi.pdf&date=2019-02-17

 

 

                         CONGELAMENTO  5 DI 34

Pagina caricata il 10 febbraio 2017 a firma di  Guido Bruno. Titolo dell’articolo: Dante Vacchi: il fascista che creò le forze speciali portoghesi. Al 27 dicembre 2018, l’articolo risulta avere 2853 visualizzazioni.

ORIGINAL URL: https://www.ilprimatonazionale.it/esteri/dante-vacchi-il-fascista-che-creo-le-forze-speciali-portoghesi-57378/

http://www.webcitation.org/74udQiPC2

 

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fwww.ilprimatonazionale.it%2Festeri%2Fdante-vacchi-il-fascista-che-creo-le-forze-speciali-portoghesi-57378%2F&date=2018-12-24

 

https://archive.org/details/EccoLaStoriaDiUnVeroArci-italiano_DanteVacchiProfessione

https://ia801505.us.archive.org/16/items/EccoLaStoriaDiUnVeroArci-italiano_DanteVacchiProfessione/EccoLaStoriaDiUnVeroArci-italiano_DanteVacchiProfessioneAvventuriero.html

 

https://archive.org/details/DanteVacchi-IlPrimatoNazionale

 

https://archive.org/details/DanteVacchiIlPrimatoNazionale

https://ia601507.us.archive.org/34/items/DanteVacchiIlPrimatoNazionale/Dantevacchiilprimatonazionale2.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FXUpA2E

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601507.us.archive.org%2F34%2Fitems%2FDanteVacchiIlPrimatoNazionale%2FDantevacchiilprimatonazionale2.pdf&date=2019-02-17

 

                                        

                           CONGELAMENTO  6 DI 34

 

Pagina caricata sul sito dell’associazione “Azimut”  il 12 febbraio 2017. Si tratta sempre dell’articolo di Guido Bruno di cui si è già detto al congelamento  n° 5.

ORIGINAL URL: https://azimutassociazione.wordpress.com/2017/02/12/attualita-su-trump-papa-francesco-incidenti-a-genova-cyber-attacchi-contro-italia-la-storia-e-personaggi-sconosciuti-dante-vacchi-ledicola-e-altre-news/

 

http://www.webcitation.org/74udptiHx

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fazimutassociazione.wordpress.com%2F2017%2F02%2F12%2Fattualita-su-trump-papa-francesco-incidenti-a-genova-cyber-attacchi-contro-italia-la-storia-e-personaggi-sconosciuti-dante-vacchi-ledicola-e-altre-news%2F&date=2018-12-24

 

https://archive.org/details/Attualita_SuTrumpPapaFrancescoIncidentiAGenovaCyberAttacchiContro

https://ia801509.us.archive.org/23/items/Attualita_SuTrumpPapaFrancescoIncidentiAGenovaCyberAttacchiContro/Attualita_SuTrumpPapaFrancescoIncidentiAGenovaCyberAttacchiControItalia_LaStoriaEPersonaggiSconosciutiDanteVacchiLedicolaEAltreNews_AssociazioneAzimut.html

 

https://archive.org/details/IlFascistaCesareDanteVacchiELaCreazioneDeiCommadosPortoghesi

 

https://archive.org/details/IlFascistaCesareDanteVacchiELaCreazioneDeiCommandosPortoghesi

https://ia601507.us.archive.org/6/items/IlFascistaCesareDanteVacchiELaCreazioneDeiCommandosPortoghesi/IlFascistaCesareDanteVacchiELaCreazioneDeiCommandosPortoghesi.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FYMnqop

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601507.us.archive.org%2F6%2Fitems%2FIlFascistaCesareDanteVacchiELaCreazioneDeiCommandosPortoghesi%2FIlFascistaCesareDanteVacchiELaCreazioneDeiCommandosPortoghesi.pdf&date=2019-02-17

 

 

 

                             

 

                               CONGELAMENTO  7 DI 34

 

Storia di Dante Vacchi: il fotografo italiano che fondò i Comandos portoghesi. Sempre lo stesso articolo, sempre a firma di Giovanni Damele, di cui al congelamento n° 4 del presente inventario. Pagina caricata il 15 ottobre 2015.

 

ORIGINAL URL:

https://sosteniamopereira.org/2015/10/15/storia-di-dante-vacchi-il-fotografo-italiano-che-fondo-i-comandos-portoghesi/

 

http://www.webcitation.org/74ueBgWlc

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fsosteniamopereira.org%2F2015%2F10%2F15%2Fstoria-di-dante-vacchi-il-fotografo-italiano-che-fondo-i-comandos-portoghesi%2F&date=2018-12-24

 

https://archive.org/details/StoriaDiDanteVacchi_IlFotografoItalianoCheFondIComandosPortoghesi

https://ia601500.us.archive.org/35/items/StoriaDiDanteVacchi_IlFotografoItalianoCheFondIComandosPortoghesi/StoriaDiDadanteVacchi_IlFotografoItalianoCheFondIComandosPortoghesi_SosteniamoPereira.html

https://archive.org/details/StoriaDiDanteVacchi

 

https://archive.org/details/StoriaDiDanteVacchi_733

https://ia601502.us.archive.org/16/items/StoriaDiDanteVacchi_733/Storiadidantevacchi2.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FZ2K6Rc

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601502.us.archive.org%2F16%2Fitems%2FStoriaDiDanteVacchi_733%2FStoriadidantevacchi2.pdf&date=2019-02-17

 

 

 

CONGELAMENTO  8 DI 34

 

Pagina caricata il 12 agosto 2009 da (probabilmente) Alexandre Pomar. Si tratta della presentazione del libro di Dante Vacchi, Penteados de Angola, pubblicato nel 1965, allo scopo di effettuarne la vendita sul mercato dell’antiquariato librario.

 

 

ORIGINAL URL: https://alexandrepomar.typepad.com/alexandre_pomar/2009/12/penteados.html

 

http://www.webcitation.org/74vPISpik

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Falexandrepomar.typepad.com%2Falexandre_pomar%2F2009%2F12%2Fpenteados.html&date=2018-12-25

 

https://archive.org/details/AlexandrePomar_PenteadosDeAngolaDanteVacchi

https://ia801503.us.archive.org/1/items/AlexandrePomar_PenteadosDeAngolaDanteVacchi/AlexandrePomar_PenteadosDeAngolaDanteVacchi.html

https://archive.org/details/DanteVacchiPenteados

 

https://archive.org/details/DanteVacchiPenteados_997

https://ia601507.us.archive.org/30/items/DanteVacchiPenteados_997/Dantevacchipenteados2.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FZXBuLN

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601507.us.archive.org%2F30%2Fitems%2FDanteVacchiPenteados_997%2FDantevacchipenteados2.pdf&date=2019-02-17

 

 

 

 

 

CONGELAMENTO 9 DI 34

 

Sempre sul libro Penteados de Angola e, come riferito al congelamento n° 8,  pagina pubblicata allo scopo di effettuare la vendita del libro attraverso il mercato dell’antiquariato librario. Pagina caricata il 7 dicembre 2009, autore della pagina e del caricamento sconosciuto.

 

ORIGINAL URL: http://aervilhacorderosa.com/2009/12/penteados-de-angola/

 

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Faervilhacorderosa.com%2F2009%2F12%2Fpenteados-de-angola%2F&date=2018-12-25  (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

https://archive.org/details/PenteadosDeAngola_AErvilhaCorDeRosa

https://ia801507.us.archive.org/23/items/PenteadosDeAngola_AErvilhaCorDeRosa/PenteadosDeAngola_AErvilhaCorDeRosa.html (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE  TECNICAMENTE  FALLITO)

 

 

https://archive.org/details/PenteadosDeAngola

 

https://archive.org/details/PenteadosDeAngola_56

https://ia601505.us.archive.org/24/items/PenteadosDeAngola_56/Penteadosdeangola3.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76Fa9aCTG

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601505.us.archive.org%2F24%2Fitems%2FPenteadosDeAngola_56%2FPenteadosdeangola3.pdf&date=2019-02-17

 

 

 

                                CONGELAMENTO 10 DI 34

 

Pagina caricata probabilmente nel gennaio 2018 sul giornale online  “Observador”. Titolo dell’articolo: Dante Vacchi. O pai fantasma dos Comandos portugueses. Autore dell’articolo: Pedro Raínho. Al 27 dicembre 2018,  probabilmente 2.263 visualizzazioni.

 

 

 

ORIGINAL URL: https://observador.pt/especiais/dante-vacchi-o-pai-fantasma-dos-comandos-portugueses/

 

http://www.webcitation.org/74sJYJOxT

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fobservador.pt%2Fespeciais%2Fdante-vacchi-o-pai-fantasma-dos-comandos-portugueses%2F&date=2018-12-23

 

https://archive.org/details/DanteVacchi.OPaiFantasmaDosComandosPortuguesesObservador

https://ia801505.us.archive.org/18/items/DanteVacchi.OPaiFantasmaDosComandosPortuguesesObservador/DanteVacchi.OPaiFantasmaDosComandosPortuguesesObservador.html

 

https://archive.org/details/ObsevadorDanteVacchi.docx

 

https://archive.org/details/ObsevadorDanteVacchi

https://ia601508.us.archive.org/2/items/ObsevadorDanteVacchi/Obsevadordantevacchi2.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76FaXoPgR

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601508.us.archive.org%2F2%2Fitems%2FObsevadorDanteVacchi%2FObsevadordantevacchi2.pdf&date=2019-02-17

                        

                         CONGELAMENTO 11 di 34

 

Pagina Facebook caricata presumibilmente a cura dell’associazione “Associação de Comandos – Bataria da Lage”. Si riferisce alla conferenza, tenuta probabilmente nel giugno 2014 dal TCor CMD António Neves, sulla vita di Dante Vacchi. Titolo di questa conferenza: DANTE VACCHI – Um nómada do mundo.

 

ORIGINAL URL: https://www.facebook.com/pg/batariadalage/photos/?tab=album&album_id=1428029860812228

GLI URL  DI FACEBOOK  NON POSSONO ESSERE CONGELATI  TRAMITE WEBCITE.

https://archive.org/details/AssociaoDeComandos-BatariaDaLage

https://ia801503.us.archive.org/32/items/AssociaoDeComandos-BatariaDaLage/131AssociaoDeComandos-BatariaDaLage-Foto.html

(CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO)

https://archive.org/details/ConvegnoSuCesareDanteVacchi-Immagini

https://ia801500.us.archive.org/19/items/ConvegnoSuCesareDanteVacchi-Immagini/Cattura.pngCesareDanteVacchiConvegno.png

 

https://archive.org/details/ConvegnoSuCesareDanteVacchi

 

https://archive.org/details/ConvegnoSuCesareDanteVacchi_638

https://ia601501.us.archive.org/28/items/ConvegnoSuCesareDanteVacchi_638/Convegnosucesaredantevacchi4.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76Gy0usSw

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601501.us.archive.org%2F28%2Fitems%2FConvegnoSuCesareDanteVacchi_638%2FConvegnosucesaredantevacchi4.pdf&date=2019-02-18

 

 

 

CONGELAMENTO 12 DI 34

 

Pagina caricata “domingo, 3 de junho de 2018”,  autore  Alexandre Pomar. Titolo della scheda: Dante Vacchi, fotógrafo, aventureiro e fantasma. Si presumono scopi commerciali sul libro di Dante Vacchi  Penteados de Angola, come già riferito ai congelamenti n° 8 e n° 9.

 

ORIGINAL  URL:

https://alxpomar.blogspot.com/2018/06/dante-vacchi.html

 

http://www.webcitation.org/74vTNBFAd

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Falxpomar.blogspot.com%2F2018%2F06%2Fdante-vacchi.html&date=2018-12-25

 

https://archive.org/details/AlexandrePomar_DanteVacchiFotgrafoAventureiroEFantasma

https://ia801508.us.archive.org/5/items/AlexandrePomar_DanteVacchiFotgrafoAventureiroEFantasma/AlexandrePomar_DanteVacchiFotgrafoAventureiroEFantasma.html

 

https://archive.org/details/DanteVacchiFotografoAvventurieroFantasma

 

https://archive.org/details/DanteVacchiFotografoAvventurieroFantasma_12

https://ia601509.us.archive.org/4/items/DanteVacchiFotografoAvventurieroFantasma_12/Dantevacchifotografoavventurierofantasma2.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76GyX0BHR

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601509.us.archive.org%2F4%2Fitems%2FDanteVacchiFotografoAvventurieroFantasma_12%2FDantevacchifotografoavventurierofantasma2.pdf&date=2019-02-18

 

                         CONGELAMENTO 13 DI 34

 

Pagina caricata il 12 aprile 2009 sulla rivista on line di argomenti militari “Operacional”. Autore dell’articolo LANÇA-FOGUETES DE 37 mm PARA TROPAS TERRESTRES, dove si parla diffusamente  Di Cesare Dante Vacchi, è Miguel Machado.

ORIGINAL URL:

http://www.operacional.pt/lanca-foguetes-de-37mm-para-tropas-terrestres/

 

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fwww.operacional.pt%2Flanca-foguetes-de-37mm-para-tropas-terrestres%2F&date=2018-12-25

https://archive.org/details/Lana-foguetesDe37mmParaTropasTerrestres_Operacional.CesareDante

 

https://ia801504.us.archive.org/8/items/Lana-foguetesDe37mmParaTropasTerrestres_Operacional.CesareDante/Lana-foguetesDe37mmParaTropasTerrestres_Operacional.html

 

https://archive.org/details/LanciagranateDanteVacchi

 

https://archive.org/details/LanciagranateDanteVacchi_452

https://ia601508.us.archive.org/29/items/LanciagranateDanteVacchi_452/Lanciagranatedantevacchi3.pdf

 

 

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76GyxIDzu

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601508.us.archive.org%2F29%2Fitems%2FLanciagranateDanteVacchi_452%2FLanciagranatedantevacchi3.pdf&date=2019-02-18

 

 

                                       CONGELAMENTO  14 DI 34

 

Pagina pubblicata il 12 agosto 2009 da Alexandre Pomar. Valgono  i commenti ai congelamente n° 8, n° 9 e n°12.

 

 

ORIGINAL URL:

https://alexandrepomar.typepad.com/alexandre_pomar/2009/12/penteados.html

 

http://www.webcitation.org/74vqlvjaY

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Falexandrepomar.typepad.com%2Falexandre_pomar%2F2009%2F12%2Fpenteados.html&date=2018-12-25

 

https://archive.org/details/AlexandrePomar_PenteadosDeAngolaDanteVacchi_969

https://ia801500.us.archive.org/3/items/AlexandrePomar_PenteadosDeAngolaDanteVacchi_969/AlexandrePomar_PenteadosDeAngolaDanteVacchi.html

https://archive.org/details/CesareDanteVacchiPendeadosAngola

 

https://archive.org/details/CesareDanteVacchiPendeadosAngola_410

https://ia601506.us.archive.org/9/items/CesareDanteVacchiPendeadosAngola_410/Cesaredantevacchipendeadosangola3.pdf

 

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76GzNMsnP

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601506.us.archive.org%2F9%2Fitems%2FCesareDanteVacchiPendeadosAngola_410%2FCesaredantevacchipendeadosangola3.pdf&date=2019-02-18

 

CONGELAMENTO 15 DI 34

 

Il documento in questione è un lungo articolo intitolato Historiography of the Society of Jesus: The Case of France after the Order’s Restoration in 1814, e vi cita il libro di Dante Vacchi e Anne Vuylsteke (cioè Anne Gauze) Les jésuites en liberté. Autori dell’articolo Historiography of the Society of Jesus: The Case of France after the Order’s Restoration in 1814 sono Dominique Avon e Philippe Rocher. Il documento non ha data di caricamento.

ORIGINAL URL:

 https://referenceworks.brillonline.com/entries/jesuit-historiography-online/*-COM_192562

IL DOCUMENTO  HA RIFIUTATO IL CARICAMENTO SU WEBCITE.

 

https://archive.org/details/HistoriographyOfTheSocietyOfJesus_TheCaseOfFranceAfterTheOrders

https://ia601502.us.archive.org/7/items/HistoriographyOfTheSocietyOfJesus_TheCaseOfFranceAfterTheOrders/HistoriographyOfTheSocietyOfJesus_TheCaseOfFranceAfterTheOrdersRestorationIn1814-BrillReference.html

 

https://archive.org/details/GesuitiDanteVacchi

 

https://archive.org/details/GesuitiDanteVacchi_231

https://ia601500.us.archive.org/3/items/GesuitiDanteVacchi_231/Gesuitidantevacchi2.pdf

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76GzxVJCA

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601500.us.archive.org%2F3%2Fitems%2FGesuitiDanteVacchi_231%2FGesuitidantevacchi2.pdf&date=2019-02-18

 

                     CONGELAMENTO  16 DI 34

 

Questo documento è la versione elettronica in formato PDF della rivista dei commandos portoghesi MAMASUME (Propriedade da Associação de Comandos Instituição de utilidade pública, fundada em 14 de Novembro de 1975 Membro Honorário da Ordem do Infante D. Henrique No de Contribuinte: 501082875) e si tratta del numero del dicembre-gennaio 2012 (Janeiro/Dezembro 2012 Registo no I.C.S. nº. 124782 Depósito Legal Tiragem 2500 exemplares). La rivista dichiara 2500 copie ma non sappiamo quanto visite abbia ottenuto questo caricamento in rete della rivista. Ad ogni buon conto, a pagina 41 di questo numero compare un articolo di Victor M. C. Santos Monsieur Dante, “Le Renard”.

 

 

ORIGINAL URL: http://www.aofa.pt/rimp/MAMASUME_JAN_DEZ_2012.pdf

 

http://www.webcitation.org/74smRkHah

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fwww.aofa.pt%2Frimp%2FMAMASUME_JAN_DEZ_2012.pdf&date=2018-12-23ù

 

https://archive.org/details/Mamasume_jan_dez_2012CesareDanteVacchi

https://ia601508.us.archive.org/25/items/Mamasume_jan_dez_2012CesareDanteVacchi/MAMASUME_JAN_DEZ_2012.pdf

ULTERIORE CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H0ncDpm

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601508.us.archive.org%2F25%2Fitems%2FMamasume_jan_dez_2012CesareDanteVacchi%2FMAMASUME_JAN_DEZ_2012.pdf&date=2019-02-18

 

 

 

CONGELAMENTO 17 DI 34

 

Il sito reca il titolo “Blogue do “Povo de Portugal”” e alla pagina all’ORIGINAL URL qui in calce riporta un articolo dal titolo História dos Comandos portugueses, Raúl Folques (Cor) e António Neves (Ten-Cor) desde o início A historia dos Comandos ma l’autore di questo articolo (ma sarebbe meglio chiamarlo articolo-intervista) non è né Raúl Folques né António Neves (lo stesso che al congelamento n°  11 abbiamo riferito che nel giugno 2014 aveva tenuto una conferenza dal titolo DANTE VACCHI – Um nómada do mundo) ma Paulino Fernandes. Purtroppo, non viene riportata la data di caricamento di questo importante documento  sul “Blogue do “Povo de Portugal”” e neppure il numero di visite che  sono state effettuate su questa pagina. Vacchi in questo fondamentale documento viene citato ben 58 volte.

 

ORIGINAL URL:

http://jornalpovodeportugal.eu/2017/01/15/historia-dos-comandos-portugueses-raul-folques-cor-e-antonio-neves-ten-cor-desde-o-inicio/

 

http://www.webcitation.org/74sr5TqQG

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fjornalpovodeportugal.eu%2F2017%2F01%2F15%2Fhistoria-dos-comandos-portugueses-raul-folques-cor-e-antonio-neves-ten-cor-desde-o-inicio%2F&date=2018-12-23

 

https://archive.org/details/HistriaDosComandosPortuguesesRalFolquescorEAntnioNeves

https://ia801506.us.archive.org/21/items/HistriaDosComandosPortuguesesRalFolquescorEAntnioNeves/HistriaDosComandosPortuguesesRalFolquescorEAntnioNevesten-corDesdeOIncio_blogueDo_povoDePortugal_.html

 

https://archive.org/details/HistriaDosComandosPortugueses

 

https://archive.org/details/HistriaDosComandosPortugueses_510

https://ia601500.us.archive.org/23/items/HistriaDosComandosPortugueses_510/Histriadoscomandosportugueses2.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H1Vd40G

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601500.us.archive.org%2F23%2Fitems%2FHistriaDosComandosPortugueses_510%2FHistriadoscomandosportugueses2.pdf&date=2019-02-18

 

 

CONGELAMENTO  18 DI 34

 

Sito Internet che reca il titolo “Guerra Colonial 1961-1974”. La pagina dall’ ORIGINAL URL in calce riporta una scheda dal titolo Comandos. Nella scheda si cita Dante Cesare Vacchi ma storpiandone il cognome in Vachi («A história dos Comandos portugueses começou em 1962, quando, em Zemba, no Norte de Angola, foram constituídos os primeiros seis grupos daqueles que seriam os antecessores dos comandos. Para a preparação destes grupos foi criado o CI 21 – Centro de Instrução Especial de Contraguerrilha, que funcionou junto do Batalhão de Caçadores 280, comandado pelo tenente-coronel Nave, e que teve como instrutor o fotógrafo italiano Dante Vachi, com experiência das guerras da Argélia e da Indochina.»). Autore della sceda: non riportato. Data dell’immissione della scheda in rete: non riportata. Numero di accessi: non riportati.

ORIGINAL URL:  http://www.guerracolonial.org/index.php?content=310

 

http://www.webcitation.org/74stXVAzz

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fwww.guerracolonial.org%2Findex.php%3Fcontent%3D310&date=2018-12-23

 

https://archive.org/details/GuerraColonial1961-1974 (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO)

https://ia801501.us.archive.org/1/items/GuerraColonial1961-1974/GuerraColonial__1961-1974.html   (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

 

https://archive.org/details/GuerraColonial

 

https://archive.org/details/GuerraColonial_938

https://ia601504.us.archive.org/0/items/GuerraColonial_938/Guerracolonial2.pdf

 

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H2HzJfA

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601504.us.archive.org%2F0%2Fitems%2FGuerraColonial_938%2FGuerracolonial2.pdf&date=2019-02-18

 

 

CONGELAMENTO 19 DI 34

 

Dissertação de Mestrado em Jornalismo svolta nell’ambito della FCSH, Faculdade de Ciências Sociais e Humanas da Universidade NOVA de Lisboa,  titolo: Guerra Colonial na revista Notícia A cobertura jornalística do conflito ultramarino português em Angola. Autore: Sílvia Manuela Marques Torres. A p. 62 Cesare Dante Vacchi viene citato due volte in relazione ad un servizio giornalistico che Vacchi fece su Salazar: «Salazar surge pela primeira vez na Notícia a 14 de Julho de 1961. A reportagem de duas páginas, a preto e branco, sem direito a qualquer menção na capa, foi da autoria de Dante Vacchi. O jornalista conta tudo o que fez desde o dia em que pediu autorização para fotografar o “palacete senhoril” até à conversa que teve com Salazar. Duas idas à casa do “homem que, sozinho e em silêncio, governa um país inteiro” foram necessárias para o resultado final. A casa é retratada ao pormenor; os passos dados e as pessoas com quem se cruza são descritos por ordem. Três fotografias ilustram a peça: na primeira página, Salazar está sentado com os olhos postos num jornal; na segunda, uma fotografia maior mostra o presidente sentado numa poltrona a consultar um dossier e, na mais pequena, Salazar está de pé, no jardim, junto a um galinheiro. O artigo dá também destaque a uma caixa que revela que “pela primeira vez um jornalista consegue penetrar na intimidade do presidente português”. Em As Origens da Reportagem – Televisão154, Jacinto Godinho encontrou o mesmo cenário de “suspense” na primeira reportagem televisiva feita sobre Salazar, da autoria de Baptista Rosa. A 28 de Abril de 1958, o telespectador, curioso por “ver o que raramente aparecia”, entra de facto na casa do “pouco visível mas omnipresente homem do poder português”, mas não na sua vida íntima, como desejava. Entre um “distanciamento aproximado” e uma “proximidade distante”, o telespectador, assim como o leitor da reportagem de Dante Vacchi, “viu mas sem ver”, continuando, na realidade, a intimidade de Salazar num abrigo inultrapassável.» La tesi riporta come data marzo 2012 ma non è possibile  risalire alla data dell’immissione in rete né al numero delle visite effettuate sulla pagina.

 

ORIGINAL URL:

https://run.unl.pt/bitstream/10362/7280/1/Disserta%C3%A7%C3%A3o%20de%20Mestrado_S%C3%ADlvia%20Torres_aluna20606.docx.pdf

 

http://www.webcitation.org/74suTo18B

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Frun.unl.pt%2Fbitstream%2F10362%2F7280%2F1%2FDisserta%25C3%25A7%25C3%25A3o%2520de%2520Mestrado_S%25C3%25ADlvia%2520Torres_aluna20606.docx.pdf&date=2018-12-23

 

https://archive.org/details/DissertaoDeMestrado_slviaTorres

https://ia601502.us.archive.org/29/items/DissertaoDeMestrado_slviaTorres/DissertaoDeMestrado_slviaTorres_aluna20606.docx1.pdf

 

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H2dBjB0

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601502.us.archive.org%2F29%2Fitems%2FDissertaoDeMestrado_slviaTorres%2FDissertaoDeMestrado_slviaTorres_aluna20606.docx1.pdf&date=2019-02-18

 

                          

                        

                            CONGELAMENTO 20 DI 34

 

Sempre lo stesso numero della rivista MAMASUME di cui si è già detto al congelamento n° 16.

 

URL ORIGINALI:

http://associacaocomandos.pt/associacao-comandos/publicacoes/revista-mama-sume/revista-mama-sume-no-075/, http://docplayer.com.br/11553723-Mamasume-revista-da-associacao-de-comandos.html#show_full_text e https://drive.google.com/file/d/0B-579B5eCQ29UWt3aEFOR2MxWEk/view

 

http://www.webcitation.org/74svYITOD   (CONGELAMENTO  WEBCITE  TECNICAMENTE  FALLITO)

 

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fdrive.google.com%2Ffile%2Fd%2F0B-579B5eCQ29UWt3aEFOR2MxWEk%2Fview&date=2018-12-23  (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

 

https://archive.org/details/MamasumeRevistaDaAssociaoDeComandos

 

https://archive.org/details/MamasumeRevistaDaAssociaoDeComandos_628

https://ia601502.us.archive.org/2/items/MamasumeRevistaDaAssociaoDeComandos_628/Mamasumerevistadaassociaodecomandos4.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H34dUhz

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601502.us.archive.org%2F2%2Fitems%2FMamasumeRevistaDaAssociaoDeComandos_628%2FMamasumerevistadaassociaodecomandos4.pdf&date=2019-02-18

 

 CONGELAMENTO  21 DI 34

 

“Diário de Notícias” del 09 Junho 2007. Autore: Manuel Carlo Freire. Titolo dell’articolo: Nascidos na guerra. Citazione: «Um jornalista italiano da revista francesa Paris-Match com duvidosa experiência em conflitos militares está na origem do modelo de treino das tropas Comandos, criadas a contra- -relógio pelo Exército, nos anos 1960, para a luta de contra-guerrilha em África. Cesare Dante Vacchi, antigo sargento da Legião Estrangeiro, “afirmava ter uma grande experiência de guerra, porque tinha vivido alguns conflitos. Nunca cheguei a perceber muito bem se todos como jornalista ou alguns como combatente. Ele também não era muito claro nisso”, lembra o então tenente Caçorino Dias, instrutor dos dois grupos de operacionais que dariam origem (em 1963/64) às forças especiais de Comandos.»). Non si riporta il numero di accessi alla pagina.

 

ORIGINAL URL: https://www.dn.pt/arquivo/2007/interior/nascidos-na-guerra-659045.html

 

http://www.webcitation.org/74tsFgXqw

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fwww.dn.pt%2Farquivo%2F2007%2Finterior%2Fnascidos-na-guerra-659045.html&date=2018-12-24

 

https://archive.org/details/NascidosNaGuerra

https://ia601509.us.archive.org/14/items/NascidosNaGuerra/NascidosNaGuerra.html

 

https://archive.org/details/NascidosVacchi.docx

 

 

https://archive.org/details/NascidosVacchi

https://ia601503.us.archive.org/27/items/NascidosVacchi/Nascidosvacchi2.pdf

 

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H3eLo0h

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601503.us.archive.org%2F27%2Fitems%2FNascidosVacchi%2FNascidosvacchi2.pdf&date=2019-02-18

 

 

 

 

CONGELAMENTO 22 DI 34

 

Senza data e senza autore. Articolo intitolato As Forças Armadas Portuguesas nel quale viene citato Dante Vacchi. Passaggio dove viene citato Dante Vacchi: «Atualmente, os Comandos estão vocacionados para a realização das seguintes missões: Operações de ataque em profundidade na área da retaguarda do inimigo; Operações aerómoveis; Operações de contra insurreição; Operações como força de intervenção no âmbito da Segurança da área da retaguarda; Operações de apoio à paz, com prioridade para as operações de imposição de paz; Operações humanitárias, com prioridade para as operações de evacuação de não combatentes (NEO). História Os Comandos nasceram como força especial de contra-guerrilha, correspondendo à necessidade do Exército Português de dispor de unidades especialmente adaptadas a este tipo de guerra com que, em 1961, se viu enfrentada, durante a Guerra do Ultramar. A força destinava-se a: Realizar acções especiais em território português ou no estrangeiro; Combater como tropas de infantaria de assalto; Dotar os altos comandos políticos e militares de uma força capaz de realizar operações irregulares. A instituição torna-se operacional em 25 de junho de 1962, quando, em Zemba, no Norte de Angola, foram constituídos os primeiros seis grupos do que seriam considerados os antecessores dos comandos. Seria criado o CI 21 (Centro de Instrução de Contra-Guerrilha), que funcionou perto do Batalhão de Caçadores 280, e que contou como instrutor com o fotógrafo italiano e antigo sargento da Legião Estrangeira, Dante Vacchi, que já trazia experiência das guerras em Argélia e Indochina. Dado que os seis grupos preparados neste centro obtiveram excelentes resultados operacionais, o comando militar em Angola decidiu integrá-los na orgânica do Exército entre 1963 e 1964, criando os CI 16 e CI 25, na Quibala, Angola. Surgia assim, pela primeira vez, a designação de “Comandos” para as tropas aí instruídas. A 26 de Abril de 1985 o Regimento de Comandos foi agraciado com o grau de Membro-Honorário da Ordem Militar da Torre e Espada, do Valor, Lealdade e Mérito e a 13 de Dezembro de 1993 com o grau de Membro-Honorário da Ordem Militar de Avis.»

ORIGINAL URL: http://defesanacional.org/index.php/espaco-menu/historia-de-portugal/555-as-forcas-armadas-portuguesas

IL DOCUMENTO  HA  RIFIUTATO IL CARICAMENTO SU WEBCITE.

https://archive.org/details/AsForasArmadasPortuguesas

https://ia801507.us.archive.org/1/items/AsForasArmadasPortuguesas/AsForasArmadasPortuguesas.html

 

https://archive.org/details/HistriaDosComandosPortuguesesCesareDanteVacchi

https://archive.org/details/HistriaDosComandosPortuguesesCesareDanteVacchi_702

https://ia601505.us.archive.org/35/items/HistriaDosComandosPortuguesesCesareDanteVacchi_702/Histriadoscomandosportuguesescesaredantevacchi2.pdf

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H4PDNCZ

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601505.us.archive.org%2F35%2Fitems%2FHistriaDosComandosPortuguesesCesareDanteVacchi_702%2FHistriadoscomandosportuguesescesaredantevacchi2.pdf&date=2019-02-18

 

                     CONGELAMENTO 23 DI 34

 

Pagina a scopo di mercato antiquario dove si presenta il libro di Dante Vacchi Angola 1961-1963. Autore pagina sconosciuto ma pagina forse caricata nel 2016 da Le Plac’Art Photo. Valgono i commenti ai congelamenti  n° 8, n° 9 e n° 12.

 

ORIGINAL URL: https://placartphoto.com/book/150/angola_1961_-_1963-_anne_gauzes__dante_vacchi

 

http://www.webcitation.org/74yyS0tKQ

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fplacartphoto.com%2Fbook%2F150%2Fangola_1961_-_1963-_anne_gauzes__dante_vacchi&date=2018-12-27

 

https://archive.org/details/AnneGauzes

 

https://archive.org/details/AnneGauzes_105

https://ia601502.us.archive.org/22/items/AnneGauzes_105/Annegauzes2.pdf

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H4o3JD9

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601502.us.archive.org%2F22%2Fitems%2FAnneGauzes_105%2FAnnegauzes2.pdf&date=2019-02-18

 

 

CONGELAMENTO 24 DI 34

 

Pagina caricata il 9 dicembre 2013 per presentare il libro Porto di Dante Vacchi ed Anne Gauze («‘PORTO’ De Dante Vacchi e Anne Gauzes Edição de Milão 1965»). Autore: sconosciuto. Numero di accessi: sconosciuti. Pagina caricata a scopi commerciali per il mercato antiquario del libro come da congelamenti  n° 8, n° 9, n° 12 e n° 23.

ORIGINAL URL: http://livrosultramarguerracolonial.blogspot.com/2013/12/portugal-porto-de-dante-vacchi-e-anne.html

 

http://www.webcitation.org/74zrswLW3

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Flivrosultramarguerracolonial.blogspot.com%2F2013%2F12%2Fportugal-porto-de-dante-vacchi-e-anne.html&date=2018-12-28

https://archive.org/details/PortugalPortoDanteVacchiEAnneGauzes

 

https://archive.org/details/PortugalPortoDanteVacchiEAnneGauzes_583

https://ia601504.us.archive.org/13/items/PortugalPortoDanteVacchiEAnneGauzes_583/Portugalportodantevacchieannegauzes2.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H560oIK

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601504.us.archive.org%2F13%2Fitems%2FPortugalPortoDanteVacchiEAnneGauzes_583%2FPortugalportodantevacchieannegauzes2.pdf&date=2019-02-18

 

CONGELAMENTO 25 DI 34

Pagina caricata a scopo commerciale per la vendita del libro di Anne Gauze e Dante Vacchi Porto. Non si conosce autore pagina, data di caricamento e numero di accessi. Commento, come ai punti n° 8, n° 9, n° 12, n° 23 e n° 24.

 

ORIGINAL URL: https://fr.shopping.rakuten.com/offer/buy/19407373/Gauzes-Anne-Porto-Livre.html

 

http://www.webcitation.org/74ztNS76q (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Ffr.shopping.rakuten.com%2Foffer%2Fbuy%2F19407373%2FGauzes-Anne-Porto-Livre.html&date=2018-12-28  (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

https://archive.org/details/LibroSuPortoDanteVacchi

 

https://archive.org/details/LibroSuPortoDanteVacchi_876

https://ia601502.us.archive.org/28/items/LibroSuPortoDanteVacchi_876/Librosuportodantevacchi3.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H5eioQ0

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601502.us.archive.org%2F28%2Fitems%2FLibroSuPortoDanteVacchi_876%2FLibrosuportodantevacchi3.pdf&date=2019-02-18

 

 

CONGELAMENTO  26 DI 34

 

A pagina 24 di The Fuzileiros: Portuguese Marines in Africa, 1961–1974 di John P. Cann si citano come fotografi Anne Gaüzes e Dante Vacchi.

 

ORIGINAL URL: https://books.google.it/books?id=cpW0DAAAQBAJ&pg=PA24&lpg=PA24&dq=Anne+Ga%C3%BCzes&source=bl&ots=TGkjENUGM6&sig=jZagR056ss4oRfvgJl9pZCDgobM&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiiiMOC7rzfAhXN_KQKHTESBTUQ6AEwCXoECAQQAQ#v=onepage&q=Anne%20Ga%C3%BCzes&f=false

 

http://www.webcitation.org/76H5tRt77 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fbooks.google.it%2Fbooks%3Fid%3DcpW0DAAAQBAJ%26pg%3DPA24%26lpg%3DPA24%26dq%3DAnne%2BGa%25C3%25BCzes%26source%3Dbl%26ots%3DTGkjENUGM6%26sig%3DjZagR056ss4oRfvgJl9pZCDgobM%26hl%3Dit%26sa%3DX%26ved%3D2ahUKEwiiiMOC7rzfAhXN_KQKHTESBTUQ6AEwCXoECAQQAQ%23v%3Donepage%26q%3DAnne%2520Ga%25C3%25BCzes%26f%3Dfalse&date=2019-02-18 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

https://archive.org/details/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann- (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO

https://ia801505.us.archive.org/15/items/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann-/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann-GoogleLibri.html  (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

https://archive.org/details/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann-_985 (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

 

https://ia601503.us.archive.org/7/items/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann-_985/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann-GoogleLibri.html (CONGELAMENTO  INTERNET ARCHIVE TECNICAMENTE  FALLITO)

https://archive.org/details/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.CannDante

 

https://archive.org/details/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann

https://ia601508.us.archive.org/12/items/TheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann/Thefuzileiros_portuguesemarinesinafrica19611974-johnp.cann2.pdf

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76H6SbDI1

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601508.us.archive.org%2F12%2Fitems%2FTheFuzileiros_PortugueseMarinesInAfrica19611974-JohnP.Cann%2FThefuzileiros_portuguesemarinesinafrica19611974-johnp.cann2.pdf&date=2019-02-18

 

                     CONGELAMENTO 27 DI 34

 

Alle pp. 6, 7 e 18 di The Flechas: Insurgent Hunting in Eastern Angola, 1965 1974 di John P. Cann si cita Cesare Vacchi.

 

ORIGINAL URL:

https://books.google.it/books?id=JeXZAwAAQBAJ&printsec=frontcover&dq=The+Flechas:+Insurgent+Hunting+in+Eastern+Angola,+1965-1974&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiszP7E79bfAhVM1VkKHdhTB8UQ6AEIKDAA#v=onepage&q=VACCHI&f=false

 

http://www.webcitation.org/76I9TvzU5 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fbooks.google.it%2Fbooks%3Fid%3DJeXZAwAAQBAJ%26printsec%3Dfrontcover%26dq%3DThe%2BFlechas%3A%2BInsurgent%2BHunting%2Bin%2BEastern%2BAngola%2C%2B1965-1974%26hl%3Dit%26sa%3DX%26ved%3D0ahUKEwiszP7E79bfAhVM1VkKHdhTB8UQ6AEIKDAA%23v%3Donepage%26q%3DVACCHI%26f%3Dfalse&date=2019-02-18 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

https://archive.org/details/Vacchi-Flechas

 

https://archive.org/details/Vacchi-Flechas-Caan

https://ia601507.us.archive.org/0/items/Vacchi-Flechas-Caan/Vacchi-Flechas-Caan.pdf

 

 

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76I9nwjjl

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601507.us.archive.org%2F0%2Fitems%2FVacchi-Flechas-Caan%2FVacchi-Flechas-Caan.pdf&date=2019-02-18

      

                          CONGELAMENTO 28 DI 34

 

Autore: Victor Santo, articolo: De Noqui À Amodora, pp. 16-21. Buona parte dell’articolo è dedicato a o francês, « «Monsieur» Dante Vacchi …», e il soprannome era dovuto alla sua fama che faceva dire «Ele mesmo, o Francês. Consta que combateu na Argélia e fez parte dos « Comandos», vocês sabem o que é… essa tropa especial que às vezes aparece nos filmes …» La pagina PDF è tratta da “Mamasume” dell’aprile 1980. Allo stato della ricerca, questo è la più vecchia fonte secondaria che parla di Cesare Dante Vacchi come fondatore dei commandos portoghesi. Si ignora data di immissione nel Web della pagina.

 

ORIGINAL URL:

http://associacaocomandos.pt/_warehouse/mamasume/rvms-pdf/RVMS-009-1980c-Abril.pdf

http://www.webcitation.org/76IAe56jm

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fassociacaocomandos.pt%2F_warehouse%2Fmamasume%2Frvms-pdf%2FRVMS-009-1980c-Abril.pdf&date=2019-02-18

 

https://archive.org/details/Rvms-009-1980c-abril.pdfMamasume-Vacchi

https://ia601505.us.archive.org/35/items/Rvms-009-1980c-abril.pdfMamasume-Vacchi/Rvms-009-1980c-abril.pdfMamasume-Vacchi.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76IA6p8Oc

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601505.us.archive.org%2F35%2Fitems%2FRvms-009-1980c-abril.pdfMamasume-Vacchi%2FRvms-009-1980c-abril.pdfMamasume-Vacchi.pdf&date=2019-02-18

 

 

                               CONGELAMENTO 29 DI 34

 

Video su YouTube intitolato Tropa de Elite Portuguesa em Africa – Comandos Flechas, caricato da “Angola Documentários”, pubblicato l’ 8 novembre 2017. Al 7 febbrario 2018, 1753 visualizzazioni. Dopo circa 3 minuti dall’inizio del video, si parla di Dante Vacchi.  In calce ai relativi URL, copiaincollato il commento al video, ove vi si cita Dante Vacchi.

 

ORIGINAL URL:

https://www.youtube.com/watch?v=-EwjO4Aar_I

GLI URL E I VIDEO DI YOUTUBE NON POSSONO ESSERE CONGELATI  TRAMITE WEBCITE.

 

https://archive.org/details/TropaDeElitePortuguesaEmAfrica-ComandosFlechas

https://ia601506.us.archive.org/33/items/TropaDeElitePortuguesaEmAfrica-ComandosFlechas/TropaDeElitePortuguesaEmAfrica-ComandosFlechas.mp4

Tropa de Elite Portuguesa em Africa – Comandos Flechas

1.528 visualizzazioni

160CONDIVIDISALVA

Angola Documentários

Pubblicato il 8 nov 2017

 

O Regimento de Comandos, Centro de Tropas Comandos ou os Comandos são uma força de elite do Exército Português com treino avançado para a realização de operações ou manobras que envolvam alto risco e baixo índice de sucesso, que poderiam ser apenas realizados por uma infantaria altamente qualificada. Os Flechas foram forças de operações especiais dependentes da Polícia Internacional e de Defesa do Estado (PIDE), criadas, inicialmente em Angola, para actuar na Guerra do Ultramar. Os membros dos Flechas eram recrutados entre determinados grupos nativos, nomeadamente ex-guerrillheiros e membros da etnia bosquímane (khoisan). Os bosquímanos que historicamente tinham sido invadidos pelos povos Bantu não tinham qualquer problema a aliar-se aos portugueses, dado que viam nos movimentos de libertação o Bantu invasor do seu território. Estes eram especialmente escolhidos pelas seus conhecimentos do inimigo, conhecimento do terreno, conhecimento das populações locais, etc. É de salientar que os bosquímanos eram um povo caçador-recolector, logo exímios intérpretes de rastos e pistas deixadas no terreno pelo inimigo dada a sua experiência em perseguição de caça. Esses membros nativos eram enquadrados por oficiais do Exército Português e por agentes da PIDE e recebiam treino de forças especiais. Os Comandos nasceram como força especial de contra-guerrilha, correspondendo à necessidade do Exército Português de dispor de unidades especialmente adaptadas a este tipo de guerra com que, em 1961, se viu enfrentada, durante a Guerra do Ultramar. A força destinava-se a: – Realizar acções especiais em território português ou no estrangeiro; – Combater como tropas de infantaria de assalto; – Dotar os altos comandos políticos e militares de uma força capaz de realizar operações irregulares. A instituição torna-se operacional em 25 de junho de 1962, quando, em Zemba, no Norte de Angola, foram constituídos os primeiros seis grupos do que seriam considerados os antecessores dos comandos. Seria criado o CI 21 (Centro de Instrução de Contra-Guerrilha), que funcionou perto do Batalhão de Caçadores 280, e que contou como instrutor com o fotógrafo italiano e antigo sargento da Legião Estrangeira, Dante Vacchi, que já trazia experiência das guerras em Argélia e Indochina.

 

 

 

 

CONGELAMENTO 30 DI 34

 

Video su YouTube Os Flechas – A Tropa Secreta da PIDE/DGS 1967 (Angola Portuguesa), pubblicato da Miguel Ferreira, l’ 8 settembre 2018. Al 7 febbraio 2019, 168  visualizzazioni. Il video non cita Vacchi in relazione alla fondazione dei commandos portoghesi, ma si diffonde ampiamente sul ruolo della PIDE nella guerra coloniale portoghese e sia questa sottolineatura sul ruolo della sì famigerata polizia politica ma, comunque, portoghese sia non citare Vacchi dimostra che a tuttoggi il riconoscimento dell’operato di Vacchi nella guerra coloniale portoghese non è ancora una memoria condivisa. In calce agli URL, copiaincollato il testo di commento al video.

 

 

ORIGINAL URL:

https://www.youtube.com/watch?v=p3jDL98Nstg

GLI URL E I VIDEO DI YOUTUBE NON POSSONO ESSERE CONGELATI  TRAMITE WEBCITE

https://archive.org/details/OsFlechas-ATropaSecretaDaPide_dgs1967angolaPortuguesa

https://ia601500.us.archive.org/26/items/OsFlechas-ATropaSecretaDaPide_dgs1967angolaPortuguesa/OsFlechas-ATropaSecretaDaPide_dgs1967angolaPortuguesa.mp4

 

 

Durante a guerra de Angola, a PIDE/DGS criou um grupo paramilitar de bosquímanos, um povo africano. Os Flechas nasceram na região do Cuando-Cubango, propagaram-se à vila de Gago Coutinho (Lumbala Nguimbo) e, na fase final do conflito, chegaram à região de Luanda, Luso (Luena) e Caxito. Em 1967, seis anos depois do início da guerra em Angola, a PIDE/DGS começou a recrutar novos membros entre algumas etnias africanas com o objectivo de integrá-los num novo grupo paramilitar autóctone, criado nesse ano pelo inspector Óscar Cardoso. Foi o próprio Óscar Cardoso que lhes escolheu o nome, por utilizarem arcos e flechas envenenadas para caçarem. A ordem era que capturassem os opositores e os levassem para serem interrogados. Porém, isso raramente acontecia — na maioria das vezes, os “Flechas” acabavam por matar os insurgentes durante os confrontos. Alimentavam-se de raízes, carochas, insectos, frutos e animais, e negavam as rações de combate. Na única ocasião em que lhes foram fornecidas rações de combate, os bosquímanos comeram literalmente tudo de uma vez. Nem os plásticos que protegiam alguns alimentos se safaram. Em Angola, os missionários protestantes e católicos eram os únicos capazes de comunicar com os bosquímanos e outros grupos étnicos.

 

 

 

 

 

 

CONGELAMENTO  31 DI 34

 

Da Fernando Cavaleiro Ângelo (pref. Óscar Cardoso), Os Flechas: A Tropa Secreta da PIDE/DGS na Guerra de Angola (1967-1974), 1a ed. Alfragide, Casa das Letras, 2017 (numero di pagina non determinabile tramite motore di ricerca di Google libri): «Durante a estada da OAS em Portugal, Óscar  Cardoso desconhece que os seus agentes tenham ministrado cursos de guerrilha às nossas  forças   armadas. Existiu, contudo, um Italiano, Dante Vacchi, que deu instruçao aos Comandos do […] [citazione interrotta perché la pagina mostrata dal motore di ricerca Google libri, oltre a non mostrare il numero della pagina, non riporta nemmeno la frase intera].»

ORIGINAL URL:

https://books.google.it/books?id=4lEsDgAAQBAJ&printsec=frontcover&dq=inauthor:%22Fernando+Cavaleiro+%C3%82ngelo%22&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjZoO-bndvfAhVR2KQKHekTDTwQ6AEIKDAA#v=onepage&q=vachi&f=false

http://www.webcitation.org/76IAtD44J (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fbooks.google.it%2Fbooks%3Fid%3D4lEsDgAAQBAJ%26printsec%3Dfrontcover%26dq%3Dinauthor%3A%2522Fernando%2BCavaleiro%2B%25C3%2582ngelo%2522%26hl%3Dit%26sa%3DX%26ved%3D0ahUKEwjZoO-bndvfAhVR2KQKHekTDTwQ6AEIKDAA%23v%3Donepage%26q%3Dvachi%26f%3Dfalse&date=2019-02-18 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

 

 

https://archive.org/details/OsFlechasTropaSecretaVacchi

 

https://archive.org/details/OsFlechasTropaSecretaDanteVacchi

https://ia601509.us.archive.org/26/items/OsFlechasTropaSecretaDanteVacchi/OsFlechasTropaSecretaDanteVacchi.pdf

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76IB57sZ8

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601509.us.archive.org%2F26%2Fitems%2FOsFlechasTropaSecretaDanteVacchi%2FOsFlechasTropaSecretaDanteVacchi.pdf&date=2019-02-18

 

CONGELAMENTO   32 DI 34

 

Dante Vacchi citato in Wikpedia alla voce “Comandos (Exército Português)”

 

ORIGINAL URL:

https://pt.wikipedia.org/wiki/Comandos_(Ex%C3%A9rcito_Portugu%C3%AAs)

 

http://www.webcitation.org/76IBM8Jsw

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fpt.wikipedia.org%2Fwiki%2FComandos_%28Ex%25C3%25A9rcito_Portugu%25C3%25AAs%29&date=2019-02-18

 

https://archive.org/details/ComandosexrcitoPortugusWikipdiaAEnciclopdiaLivre

https://ia801506.us.archive.org/35/items/ComandosexrcitoPortugusWikipdiaAEnciclopdiaLivre/ComandosexrcitoPortugusWikipdiaAEnciclopdiaLivre.html

 

https://archive.org/details/COMANDOSVACCHIWIKIPEDIA

https://ia801506.us.archive.org/18/items/COMANDOSVACCHIWIKIPEDIA/COMANDOS%20VACCHI%20WIKIPEDIA.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76ICcXkRS

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801506.us.archive.org%2F18%2Fitems%2FCOMANDOSVACCHIWIKIPEDIA%2FCOMANDOS%2520VACCHI%2520WIKIPEDIA.pdf+&date=2019-02-18 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

 

CONGELAMENTO  33 DI 34

Articolo:  Contra-Insurreição em África. O Modo Português de Fazer a Guerra (1961-1974). Autore: John P. Cann. Si tratta di una recensione dell’autore in merito a José Freire Antunes, Guerra de África – 1961-1974, Vol. I .  In calce agli URL ampia citazione della pagina in cui viene citato Vacchi (ma Caan non precisa il numero della pagina). Immesso in Rete: quarta-feira, 31 de maio de 2017.

 

 

ORIGINAL URL:

http://liceu-aristotelico.blogspot.com/2017/05/contra-insurreicao-em-africa-o-modo.html

 

http://www.webcitation.org/76ID5clAs

http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fliceu-aristotelico.blogspot.com%2F2017%2F05%2Fcontra-insurreicao-em-africa-o-modo.html&date=2019-02-18

 

https://archive.org/details/MiguelBrunoDuarte_Contra-insurreioEmfrica.OModoPortugusDe

https://ia601505.us.archive.org/16/items/MiguelBrunoDuarte_Contra-insurreioEmfrica.OModoPortugusDe/MiguelBrunoDuarte_Contra-insurreioEmfrica.OModoPortugusDeFazerAGuerra1961-1974.html

 

https://archive.org/details/RecensioniCaan-Vacchi

https://archive.org/details/RecensioniCaan-DanteVacchi

https://ia601505.us.archive.org/4/items/RecensioniCaan-DanteVacchi/RecensioniCaan-DanteVacchi.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76IDSJxUd

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601505.us.archive.org%2F4%2Fitems%2FRecensioniCaan-DanteVacchi%2FRecensioniCaan-DanteVacchi.pdf&date=2019-02-18

 

«Para os primeiros cursos de comandos, em Angola, contrataram um indivíduo franco-italiano, o Dante Vacchi, que tinha sido sargento na Legião Estrangeira. Sem dúvida que tinha limitações na sua formação e na parte táctica, mas tinha uma preparação técnica muito grande entre arame farpado. Trouxe grandes inovações. Os oficiais que estavam à frente aceitaram o homem, naturalmente dando-lhe o desconto na parte táctica porque ele, como sargento, tinha limitações. Mas dentro do arame farpado foi extraordinário.
Nessa altura tinham saído e andavam em voga aqueles livros franceses, Os CenturiõesOs Pretorianos, etc. “Bebíamos” aqueles livros. Para nós, portugueses, a experiência francesa foi muito rica. Foram os homens que estiveram na Indochina, estiveram prisioneiros, depois foram para a Argélia. Houve oficiais portugueses que estiveram meses na Argélia a estagiar. Para mim, o modelo francês foi o mais seguido. Até porque, sendo um país com um passado com algumas semelhanças com o nosso, havia que aproveitar. A Indochina e a Argélia foram exemplos a seguir. Outra coisa que nós tínhamos era um certo cuidado, principalmente os oficiais. De certa maneira, tínhamos que dar o exemplo. Posso dizer que das baixas que tivemos nos comandos, uma percentagem elevada foram graduados, oficiais e sargentos. Para além disso, em cada cinco homens, um era oficial ou sargento, enquanto que na tropa normal, em cada trinta homens, havia um oficial e três sargentos. Nos comandos, em cada vinte e cinco homens havia um oficial e em cada cinco havia um sargento. Posso dizer que foram eliminados dos cursos de comandos vários oficiais do Quadro Permanente, incluindo alguns que são hoje colunáveis. Dou um exemplo: Uma noite dormimos em Mueda num dos quartéis, porque normalmente ficávamos em barracas. Dormíamos nas casernas, no chão, ao lado do nosso pessoal, como sempre fazíamos em operações e campanha. Fomos tomar café à messe dos oficiais de Mueda e, quando entrámos, apercebemo-nos de uma grande zaragata na caserna. E o maior orgulho que tive foi ouvir sussurrar numa companhia de caçadores que lá estava: “Porra, se tivéssemos oficiais como os vossos também éramos bons!” Havia da nossa parte uma postura que era importante e determinante.
Durante o curso, uma pessoa levava em cima, durante trinta noites seguidas, com altifalantes que lhe diziam: “Tu és o melhor do mundo!” Um gajo ficava mesmo convencido de que era bom. Acredito que isso seja muito criticado, mas era fundamental. Não direi que houvesse um espírito de superioridade. Estávamos convictos do valor que tínhamos. Nós próprios ficávamos admirados com a capacidade de resistência que tínhamos. Trabalhávamos muitas vezes no limite do esforço. Mas acima do espírito comando estava a Pátria. O nosso dia, nas unidades ou no mato em instrução, começava sempre com o hastear da bandeira nacional – compareciam todos – e com a leitura do código do comando, onde a Pátria é exaltada. Um jornalista disse um dia que os comandos estavam muito ligados a África e defendiam valores ultrapassados. De facto, nós, os comandos que estivemos em África e lá adquirimos a plenitude, éramos capazes de ficar lá toda a vida. O espírito de corpo que temos vem desses anos em África, das comissões de dois anos em que os indivíduos viviam em conjunto os problemas do dia-a-dia. Era o fulano a quem morreu o filho, o fulano que a namorada deixou, o fulano a quem a mulher pôs os cornos, os problemas de vária ordem que se sentiam a viver em companhia. O espírito de corpo foi cimentado em África, e isso não desaparece. Se agarrar num jornal, vê que é raro o mês em que não há reuniões de batalhões e de companhias. Isto não é por acaso, há um espírito de corpo que ficou, há qualquer coisa que os une. Foi o Santos e Castro – o comando número um – que introduziu o grito “Mama Sume!”, que significa isto: “Aqui estou!” Em Angola, uma das provas que os bailundos faziam para atingirem a maturidade era sair e caçar um leão, com lança. Na altura em que atiravam a lança gritavam: “Estou aqui, não tenho medo”. Por isso, e porque os comandos nasceram em Angola, o Santos e Castro achou que esse era um grito a adoptar, porque era a plenitude de um jovem que ia matar um leão com uma lança, e ao dar esse grito sentia-se com força e coragem. Ainda hoje se usa nas cerimónias comando. Na guerra, às vezes íamos a correr atrás dos gajos e gritávamos “Mama Sume!”».
Jaime Neves («Mama Sume!», in José Freire Antunes, «Guerra de África – 1961-1974», Vol. I).»

 

 

 

 

CONGELAMENTO  34 DI 34

 

Da Google libri, dal quale risulta che Dante Vacchi in José Freire Antunes, A Guerra de África – 1961-1974, Lisboa, Círculo de Leitores, 1995 viene citato tre volte: pp. 233, 234 e 464. Dalla pagina all’URL http://liceu-aristotelico.blogspot.com/2017/05/contra-insurreicao-em-africa-o-modo.html (congelamento n° 33), risulta che esso viene citato anche in un altro luogo di  José Freire Antunes, A Guerra de África cit. ma il numero di questa pagina non viene mostrato.

 

ORIGINAL URL:

https://books.google.it/books?hl=it&id=MXAFAQAAIAAJ&dq=Jos%C3%A9+Freire+Antunes%2C+%C2%ABGuerra+de+%C3%81frica+-+1961-1974%C2%BB%2C+Vol.+I&focus=searchwithinvolume&q=VACCHI

http://www.webcitation.org/76IDerGMg (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fbooks.google.it%2Fbooks%3Fhl%3Dit%26id%3DMXAFAQAAIAAJ%26dq%3DJos%25C3%25A9%2BFreire%2BAntunes%252C%2B%25C2%25ABGuerra%2Bde%2B%25C3%2581frica%2B-%2B1961-1974%25C2%25BB%252C%2BVol.%2BI%26focus%3Dsearchwithinvolume%26q%3DVACCHI&date=2019-02-18 (CONGELAMENTO  WEBCITE TECNICAMENTE  FALLITO)

 

https://archive.org/details/AGuerraDefrica-DanteVacchi

 

https://archive.org/details/AGuerraDefrica-DanteCesareVacchi

https://ia601509.us.archive.org/29/items/AGuerraDefrica-DanteCesareVacchi/AGuerraDefrica-DanteCesareVacchi.pdf

 

ULTERIORE  CONGELAMENTO  WEBCITE  SU INTERNET ARCHIVE:

http://www.webcitation.org/76IDxrZHm

http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601509.us.archive.org%2F29%2Fitems%2FAGuerraDefrica-DanteCesareVacchi%2FAGuerraDefrica-DanteCesareVacchi.pdf&date=2019-02-18

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Diego Rodríguez de Silva y Velázquez, Las Meninas, 1656

 

 

 

 

 

[1] Rudolf  Kjellén, Staten som lifsform, Stockholm, Gebers, 1916.

[2] In particolare, per quanto riguarda la profondissima influenza che la gentiliana Filosofia della  prassi ebbe sul pensiero e sulla politica dell’Italia del  Novecento, non troviamo nulla di meglio che stralciare dalle bozze del nostro Glosse al Repubblicanesimo Geopolitico (di prossima ma sempre rinviata pubblicazione) le seguenti considerazioni: «Ma torniamo ora alla filosofia della praxis. Sebbene questa locuzione, come abbiamo precedente visto, sia larghissimamente impiegata nei Quaderni del carcere da Gramsci, il termine non fu da lui coniato ma ha invece due padri che lo avevano preceduto. Il primo è Antonio Labriola e il secondo è Giovanni Gentile. Tuttavia in Labriola e Gentile il significato è radicalmente diverso. Per semplificare: Antonio Labriola riteneva che il marxismo fosse una filosofia della prassi perché esso metteva al centro del suo discorso non un’astratta dialettica delle idee ma il concreto rapporto dell’uomo col suo lavoro destinato a modificare il suo ambiente naturale e sociale. Giovanni Gentile invece, dava a ‘filosofia della praxis’ il significato che il soggetto poteva conoscere non impiegando kantaniamente astratte categorie trascendentali ma confrontandosi direttamente con l’oggetto, un oggetto che però non è astrattamente posto ma creato dall’attività conoscitiva del soggetto stesso. Siamo, come è di tutta evidenza, dalle parte di un Fitche e della sua dialettica fra un io che deve porre per manifestarsi un non io (fra l’altro molto stranamente ma forse proprio per non dover pagare debiti troppo elevati, Gentile mai riconoscerà l’importanza di questo filosofo) ma siamo anche dalle parti, anzi vi si entra direttamente, delle Tesi su Feuerbach di Karl Marx, Tesi che, come ora vedremo, risulteranno in pratica non solo l’esordio filosofico di Giovanni Gentile ma anche il motivo animatore di tutta la dinamica interna della filosofia dell’atto puro di Gentile. Giovanni Gentile affronta il tema delle marxiane Tesi su Feuerbach nel 1899 nell’opera La filosofia di Marx (Giovanni Gentile, La filosofia di Marx. Studi critici, Pisa, E. Spoerri, 1899). Quest’opera contiene due saggi. Il primo è Una critica del materialismo storico, che aveva avuto anche una precedente pubblicazione, il secondo è La filosofia della prassi, dove oltre a porre sulla base delle Tesi su Feuerbach l’interpretazione gentiliana del pensiero di Marx, queste Tesi vengono pubblicate (e tradotte per la prima volta in Italia) da Gentile. Ma qual è, in concreto, il cuore dell’operazione ermeneutica intrapresa da Gentile con quest’ultimo saggio? Consiste in questo: poggiandosi sulla prima tesi su Feuerbach, ove il filosofo di Treviri afferma che la realtà è Gegenstand e non Objekt, Gentile afferma che per Marx la realtà è sempre e solo  il prodotto di una vicenda storica che non risponde ad alcuna legalità esterna tranne la sua peculiare dinamica interna che si sostanzia proprio nel rapporto diretto e non passivo fra soggetto e oggetto. Quindi, nell’interpretazione di Marx data da Gentile, la realtà non è un dato che prescinde dal soggetto ma è una realtà prodotta direttamente dal soggetto; fichtianamente, anche se con linguaggio diverso da Fichte, il soggetto attraverso la sua oggettivazione produce il soggetto. Di fatto, La filosofia della prassi è non solo il più profondo testo su Marx mai apparso in Italia ma è anche il testo che inquadrando la filosofia del pensatore di Treviri come filosofia della prassi nel senso attivistico del soggetto che forma l’oggetto ha anche direttamente ispirato tutta quella schiera di rivoluzionari italiani che, partendo dal totale rifiuto del positivismo, volevano lottare per il totale rivoluzionamento della società. Anche parte del fascismo trasse linfa iniziale da  questi slanci rivoluzionari ed attivistici di matrice idealistico-marxiana filtrati da Gentile, i futuristi indubbiamente ebbero  nel loro album di famiglia ideologico anche la Weltanschauung gentilo-marxiana; sull’altro versante in Gobetti sono molto rigogliosi i semi rivoluzionari di stampo gentiliano  ma l’autore che ha subito il più profondo marchio dall’interpretazione attivistica di Marx che emerge dalla Filosofia della prassi di Gentile è senza alcun dubbio Antonio Gramsci. Tanto per essere chiari e delimitare il campo degli argomenti (e degli uomini) con cui può essere utile sviluppare una dialettica e quelli che semplicemente devono essere considerati dei traditori belli e buoni del pensiero gramsciano. C’è chi ha recentemente affermato che il solo accostare il nome di Gramsci a quello di Gentile costituisce una sorta di sacrilegio perché il primo fu rinchiuso nelle carceri fasciste mentre il secondo fu uno degli ideologi di quel fascismo che incarcerò Gramsci. Per costoro non c’è nessuna risposta razionale e basata sui dati di fatto che possiamo fornire. Quando espresso in sincerità si tratta di un ragionamento di tipo religioso che non ricorre ad alcuna argomentazione razionale ma all’affermazione ripetuta e stordita di puri atti di fede (di falsa sinistra). Purtroppo, coloro che hanno il compito di dare una veste formale a questi deliri, sono tutt’altro che degli ingenui ma sono i professionisti dell’antifascismo militante il cui compito è, appunto, stordire  gli ingenui ai fini della propria carriera personale. Ci sono poi coloro, filologicamente un po’ più onesti, che dicono che l’attualismo gentiliano fu sì importante per Gramsci ma che questo influsso si fermò alle soglie degli anni Venti del Novecento. Sulla scorta di un’attenta lettura dei Quaderni, si dimostrerà che la “filosofia della praxis” versione Gentile fu determinante e centrale nel pensiero di Gramsci. C’è poi infine chi afferma, in base all’influsso diretto di Gentile su Gramsci, che Gramsci deve essere definito un filosofo idealista. Pur nel pieno rispetto di questa opinione, mostreremo una realtà molto diversa. Per quanto riguarda però  coloro che con tutta le sfumature possibili di una buona o cattiva coscienza affermano che è un sacrilegio accostare il nome di Gramsci a quello di Gentile, bastino le seguenti parole che Antonio Gramsci scrisse nel 1918 su Giovanni Gentile giudicandolo «il filosofo italiano che più in questi ultimi anni abbia prodotto nel campo del pensiero. Il suo sistema della filosofia è lo sviluppo ultimo dell’idealismo germanico che ebbe il suo culmine in Hegel, maestro di Marx, ed è la negazione di ogni trascendentalismo, l’identificazione della filosofia con la storia, con l’atto del pensiero in cui si uniscono il vero e il fatto in una progressione dialettica mai definitiva e perfetta.»: Antonio Gramsci, Il socialismo e la cultura attuale, in “Il Grido del Popolo”, 19 gennaio 1918. Veniamo ora a coloro che pur riconoscendo l’importanza di Gentile nel primo Gramsci, la vogliono negare per quanto riguarda i Quaderni del Carcere. Ora se è chiaro che nei Quaderni non sono presenti entusiastici apprezzamenti di Gramsci su Gentile del tipo di quello apparso  nel ’19 nel “Grido del popolo” (e sarebbe veramente strano aspettarseli visto che Gramsci era stato incarcerato dal regime fascista, quello stesso regime di cui Gentile tanto faticava a presentarsi come l’ideologo ufficiale), è di  altrettanta  solare evidenza che è proprio la filosofia della praxis versione gentilo-marxiana la vera colonna vertebrale filosofica che struttura tutti i Quaderni. Solo qualche citazione in proposito:[…]».

 

[3] « «L’origine è la meta»: Karl Kraus, Worte in Versen I [Parole in versi]. «La storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è il tempo omogeneo e vuoto, ma quello pieno di momento-ora [Jetztzeit]. Così, per Robespierre, la Roma antica era un passato carico di momento-ora [Jetztzeit], che egli faceva schizzare dalla continuità della storia. La Rivoluzione francese si autorappresentava come una Roma rediviva. Citava  l’antica Roma esattamente come la moda cita un costume d’altri tempi. La moda ha il senso del momento-ora [Jetztzeit], dovunque esso viva nella selva di quello che fu. Essa è un balzo di tigre nel passato. Ma questo balzo ha luogo in un’arena dove comanda la classe dominante. Lo stesso balzo, sotto il cielo libero della storia, è quello dialettico, come Marx ha concepito la rivoluzione.»: Walter Benjamin, XIV Tesi di filosofia della storia.

 

 

[4] « «Una delle caratteristiche più notevoli dell’animo umano, – scrive Lotze, – è, fra tanto egoismo nei particolari, la generale mancanza di invidia del presente verso il proprio futuro». La riflessione porta a concludere che l’idea di felicità che possiamo coltivare è tutta tinta del tempo a cui ci ha assegnato, una volta per tutte, il corso della nostra vita. Una gioia che potrebbe suscitare la nostra invidia, è solo nell’aria che abbiamo respirato, fra persone a cui avremmo potuto rivolgerci, con donne che avrebbero potuto farci dono di sé. Nell’idea di felicità, in altre parole, vibra indissolubilmente l’idea di redenzione. Lo stesso vale per la rappresentazione del passato, che è il compito della storia. Il passato reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C’è un’intesa segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla terra. A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, è stata data in dote una debole forza messianica, sui cui il passato ha un diritto. Questa esigenza non si lascia soddisfare facilmente. Il materialista storico lo sa.»: Walter Benjamin, II Tesi di filosofia della storia. 

 

[5] «Il materialista storico non può fare a meno del concetto di presente che non è passaggio ma in cui il tempo ha origine ed è arrivato ad un arresto. Poiché questo concetto definisce precisamente il presente in cui egli scrive la storia per sé stesso. Lo storicismo dipinge un’immagine “eterna” del passato, il materialista storico, un’esperienza con esso, che si erge autonoma. Egli lascia che altri sprechino le proprie forze con la prostituta «C’era una volta» nel bordello dello storicismo. Egli rimane signore delle sue forze: uomo abbastanza per far saltare il continuum della storia: Walter Benjamin, XVI Tesi di filosofia della storia. «Lo storicismo culmina legittimamente nella storia universale. Da nessuna come da questa impostazione più  chiaramente si differenzia, dal punto di vista metodologico, la storiografia materialista. La prima non ha un’armatura teoretica. Il suo procedimento è quello dell’addizione; essa fornisce una massa di fatti per riempire un tempo omogeneo e vuoto. Alla base della storiografia materialistica è invece un principio costruttivo. Il pensiero comporta non  solo il movimento dei pensieri, ma anche il loro arresto. Quando il pensiero si arresta di colpo in una costellazione straripante di tensioni, le impartisce un urto per cui esso si cristallizza in una monade. Il materialista storico affronta un oggetto storico unicamente e solo dove esso gli si presenta come una monade [corsivo nostro]. In questa struttura egli riconosce il segno di un arresto messianico degli eventi o, detto altrimenti, di una chance rivoluzionaria nella lotta per il passato oppresso. Egli la coglie per far saltare un’epoca determinata dal corso omogeneo della storia; così facendo esplodere una determinata vita fuori dalla sua epoca, o una determinata opera fuori dall’opera complessiva di una vita. Il guadagno netto di questo modo di procedere consiste in questo:  che l’opera della vita  è conservata e superata nell’opera, l’epoca nell’opera della vita, e l’intero corso della storia nell’epoca. Il frutto nutriente dello storicamente concettualizzato ha nel suo nucleo il  concetto di tempo, come il seme prezioso ma privo di sapore.»: Walter Benjamin, XVII Tesi di filosofia della storia.  « «I cinque scarsi decenni dell’homo sapiens, – dice un biologo moderno – rappresentano, in rapporto alla storia della vita organica sulla terra, qualcosa come due secondi al termine di una giornata di ventiquattr’ore. La storia infine dell’umanità civilizzata  occuperebbe, riportata su questa scala, un quinto dell’ultimo secondo dell’ultima ora».  Il momento-ora [Jetztzeit], che, come modello del tempo messianico, riassume in una grandiosa abbreviazione la storia dell’intera umanità, coincide esattamente con la parte che la storia dell’umanità occupa nell’universo. Corollario a) Lo storicismo si accontenta di stabilire un nesso causale fra i momenti diversi della storia. Ma  nessun fatto, in quanto causa, è solo per questo storico. Lo diventerà solo dopo, postumamente, in seguito a fatti che possono essere divisi da millenni. Lo storico che muove da questa constatazione, cessa di lasciarsi scorrere fra le dita la successione dei fatti come un rosario. Coglie la costellazione in cui la sua  epoca è entrata in contatto con un’epoca anteriore alla sua. E fonda così un concetto del presente come del momento-ora [Jetztzeit], in cui sono sparse schegge di quello messianico. Corollario b)  È certo che il tempo non era vissuto dagli indovini, che cercavano  di divinare cosa era nascosto nel grembo del futuro,  né come omogeneo né come vuoto. Chi tenga presente questo, può forse farsi un’idea del modo in cui il passato era vissuto come  l’azione stessa del ricordare: e cioè nello stesso modo. È noto che agli ebrei era vietato investigare il futuro. La Torah e la preghiera li istruivano, al contrario, alla memoria. Ciò li liberava dal fascino del futuro, a cui soggiacciono quelli che cercano informazioni presso gli indovini. Ma non per questo il futuro diventò per gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto. Poiché ogni secondo, in esso, era la piccola porta da cui poteva entrare il Messia.»: Walter Benjamin, XVIII Tesi di filosofia della storia. XVI Tesi di filosofia della storia, XVII Tesi di filosofia della storia e XVIII Tesi di filosofia della storia:  una grandiosa  ‘appropriazione dello strategico’  (e/o ‘epifania strategica’) che non ha avuto pari nella storia e nella cultura del Novecento se non nella filosofia della prassi di Antonio Gramsci e  che pone Walter Benjamin come uno dei più diretti antesegnani del Repubblicanesimo Geopolitico.

 

 

[6] «La lotta di classe, che è sempre davanti agli occhi dello storico educato su Marx, è una lotta per le cose rozze e materiali, senza le quali non esistono quelle più fini e spirituali. Ma queste ultime sono presenti, nella lotta di classe, in altra forma che non sia la semplice immagine di una preda destinata al vincitore. Esse vivono, in questa lotta, come fiducia, coraggio, umore, astuzia, impassibilità, e agiscono retroattivamente nella lontananza dei tempi. Esse rimetteranno in questione ogni vittoria che sia toccata nel tempo ai dominatori. Come i fiori volgono il capo verso il sole, così, in forza di un eliotropismo segreto, tutto ciò che è stato tende a volgersi verso il sole che sta salendo nel cielo della storia. Di questa trasformazione, meno appariscente di ogni altra, deve intendersi il materialista storico. »: Walter Benjamin, IV Tesi di filosofia della storia. «La vera immagine del passato passa di sfuggita.  Solo nell’immagine, che balena una volta per tutte nell’attimo della sua conoscibilità, si lascia fissare il passato. «La verità non può scappare» – questo motto, che è di Gottfried Keller, segna esattamente il punto, nella concezione storicistica della storia, in cui essa è spezzata dal materialismo storico. Poiché è un’immagine irrevocabile del passato che rischia di svanire ad ogni presente che non si riconosca significato, indicato in esso. (La lieta novella che lo storico del passato porta senza respiro, viene da una bocca che forse, già nel momento in cui si apre, parla nel vuoto).»: Walter Benjamin, V Tesi di filosofia della storia.  «La tradizione degli oppressi ci insegna che lo «stato di emergenza» in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la creazione del vero stato di emergenza; e ciò migliorerà la nostra posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da ultimo, in ciò che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso come di una legge storica. Lo stupore perché le cose che viviamo sono «ancora» possibili nel ventesimo secolo è tutt’altro che filosofico. Non è all’inizio di nessuna conoscenza, se non quella che l’idea di storia da cui proviene non sta più in piedi.»: Walter Benjamin, VIII Tesi di filosofia della storia. « «Bedenkt das Dunkel und die grosse Kälte in diesem Tale das von Jammer schalt [Considerate il buio e il grande freddo in questa valle, che risuona di sofferenza] »: Bertold Brecht, Die Dreigroschenoper [L’opera da tre soldi]. Fustel de Coulanges raccomanda allo storico che voglia rivivere un’epoca di sgombrare la mente di tutto ciò che appartiene al corso successivo della storia. Non si potrebbe definire meglio il procedimento con cui il materialismo storico ha rotto i ponti. È un procedimento di immedesimazione. La sua origine è l’indolenza del cuore, l’acedia, che dispera di impadronirsi dell’immagine storica autentica, balenante per un attimo. Essa era considerata, dai teologi del Medioevo, come il fondamento ultimo della tristezza. Flaubert, che ne aveva fatto la conoscenza, scriveva: «Peu de gens devineront combien il a fallu être triste pour ressusciter Carthage [Pochi capiranno quanta tristezza ci sia voluta per risuscitare Cartagine]». La natura di questa tristezza si chiarisce se ci si chiede per chi   lo storico dello storicismo prova empatia. La risposta suona inevitabilmente: per il vincitore. Quelli che oggi comandano sono quindi gli eredi di coloro che un tempo furono i vincitori. L’empatia col vincitore è così ogni volta  indirizzata verso gli odierni dominatori. Questo è tutto quello che c’è da sapere per il materialista storico. Chiunque ha riportato fino ad oggi la vittoria, partecipa al corteo trionfale in cui i dominatori di oggi passano sopra quelli che oggi giacciono a terra. La preda, come si è sempre usato, è trascinata nel trionfo. Essa è designata con l’espressione ‘patrimonio culturale’. Esso dovrà avere, nel materialista storico, un osservatore distaccato. Poiché tutto il patrimonio culturale che egli abbraccia con lo sguardo ha immancabilmente un’origine a cui non può pensare senza orrore. Esso deve la propria esistenza non solo alla fatica dei grandi geni che lo hanno creato, ma anche alla schiavitù senza nome dei loro contemporanei. Non c’ è mai stato documento di cultura senza essere, nello stesso tempo, documento di barbarie. E come, in sé,  non è immune dalla barbarie, non lo è nemmeno il processo della sua trasmissione, attraverso il quale passa da una mano all’altra. Il materialista storico si distanzia quindi da esso nella misura del possibile. Egli considera come suo compito passare a contropelo la storia.»: Walter Benjamin, VII Tesi di filosofia della storia.

 

[7] «Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo «come propriamente è stato». Significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell’istante di un pericolo. Per il materialismo storico si tratta di fissare l’immagine del passato come essa si presenta improvvisamente al soggetto storico nel momento del pericolo. Il pericolo sovrasta tanto il patrimonio della tradizione quanto coloro che lo ricevono. Esso è lo stesso per entrambi: di ridursi a strumento della classe dominante. In ogni epoca bisogna cercare di strapare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla. Il Messia non viene solo come redentore, ma come vincitore dell’Anticristo. Solo quello storico ha il dovere di accendere nel passato la favilla della speranza, che è penetrato dall’idea che anche i morti non saranno al sicuro del nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere.»: Walter Benjamin, VI Tesi di filosofia della storia.

 

[8] Certamente non si deve omettere il grande merito di Hannah Arendt che con Vita Activa (Vita Activa. La condizione umana, odierno titolo della traduzione italiana  pubblicata in Italia nel  1964 per i tipi di Bompiani del saggio originalmente pubblicato nel 1958 negli Stati uniti: Hannah Arendt, The Human condition, University of Chicago Press, 1958) ha introdotto prepontemente nel Novecento  lo Zoon politikon come figura archetipa dell’agire politico. Ma con Antonio Gramsci questo Zoon politikon cessa di essere un elemento di archeologia politica legato al mondo ellenico per dialettizzarsi integralmente e nella storia e nella filosofia del XX secolo (e anche del XXI) attraverso la figura mitologica di conio machiavelliano – ma  figura mitologica carica di una dirompente carica prassistica – del moderno Principe.

 

[9] Su questo “timido prassismo” wendtiano, timido soprattutto perchè è completamente dimentico della grande tradizione della filosofia della prassi ma comunque importante perchè introduce all’interno dello studio delle relazioni internazionali fondamentali spunti volontaristici e umanistici tratti da questa impostazione  filosofico-politica, cfr. Alexander Wendt, Anarchy is what States Make of it: The Social Construction of Power Politics in “International Organization”, Vol. 46, No. 2. (Spring, 1992), pp. 391-425, articolo consultabile all’URL https://people.ucsc.edu/~rlipsch/migrated/Pol272/Wendt.Anarch.pdf, dai noi  caricato su WebCite agli URL  http://www.webcitation.org/76DqnzgU1 e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fpeople.ucsc.edu%2F~rlipsch%2Fmigrated%2FPol272%2FWendt.Anarch.pdf&date=2019-02-16; su Internet Archive agli URL https://archive.org/details/AnarchyIsWhatStatesMakeOfIt.TheSocialConstructionOfPowerPolitics.pdf e https://ia601506.us.archive.org/7/items/AnarchyIsWhatStatesMakeOfIt.TheSocialConstructionOfPowerPolitics.pdf/AlexanderWendt.AnarchyIsWhatStatesMakeOfIt.TheSocialConstructionOfPowerPolitics.pdf, con successivo finale caricamento della stessa pagina di Internet Archive su WebCite agli URL http://www.webcitation.org/76DoCJ4ia e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia601506.us.archive.org%2F7%2Fitems%2FAnarchyIsWhatStatesMakeOfIt.TheSocialConstructionOfPowerPolitics.pdf%2FAlexanderWendt.AnarchyIsWhatStatesMakeOfIt.TheSocialConstructionOfPowerPolitics.pdf&date=2019-02-15.

[10] In Rete anche presso l’original URL http://www.fulviofrisone.com/attachments/article/451/the%20logic%20of%20quantum%20mechanics%201936.pdf; “congelamento” WebCite agli URL  http://www.webcitation.org/76DzVbjNK  e http://www.webcitation.org/query?url=http%3A%2F%2Fwww.fulviofrisone.com%2Fattachments%2Farticle%2F451%2Fthe%2520logic%2520of%2520quantum%2520mechanics%25201936.pdf&date=2019-02-16; Internet Archive: https://archive.org/details/TheLogicOfQuantumMechanics1936 e   https://ia801506.us.archive.org/0/items/TheLogicOfQuantumMechanics1936/the%20logic%20of%20quantum%20mechanics%201936.pdf e infine “congelamento” della pagina Internet Archive agli URL WebCite http://www.webcitation.org/76E0F0hI7 e   http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801506.us.archive.org%2F0%2Fitems%2FTheLogicOfQuantumMechanics1936%2Fthe%2520logic%2520of%2520quantum%2520mechanics%25201936.pdf&date=2019-02-16 .

 

 

[11] L’idea della storia naturale, conferenza tenuta da Adorno nel  1932, può essere considerata e uno dei più efficaci attacchi nel Novecento, assieme alle Tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin, all’impostazione similpositivistica dello storicismo tedesco che aveva abbandonato tutti gli spunti dialettici della grande stagione dell’idealismo e contestualmente – e conseguentemente – come la presa d’atto, anche se espressa in maniera tutt’altro che cristallina, che la divisione fra mondo della natura retto da deterministiche leggi e mondo storico dell’uomo, che in ragione dell’impossibilità ad essere inquadrato in tali leggi sarebbe separato dal mondo della natura da un’alterità addirittura ontologica,  dal punto di vista teorico non aveva alcun fondamento: «Se si vuole che la domanda sul rapporto tra natura e storia abbia una risposta concreta, bisogna riuscire a comprendere l’essere storico stesso come un essere naturale, ossia a comprenderlo nelle sue determinazioni naturali, proprio laddove esso è maggior­mente storico; oppure riuscire a comprendere la natura come un essere storico proprio laddove essa si mostra come natura apparente.»: Die Idee der Naturgeschichte, trad. it. di M. Farina, L’idea della storia naturale, in T. W. Adorno, L’attualità della filosofia. Tesi all’origine del pensiero critico, Mimesis, Milano 2009, p. 69. Il tema dell’impraticabilità teorica della separazione fra mondo della natura e mondo storico-sociale dell’uomo verrà infine completamente sviluppato da Adorno in Dialettica negativa, dove si può anche apprezzare un suo notevolissimo approssimarsi ad un modello filosofico-politico dell’azione-conflitto dialettico-espressivo-strategico, unito però ad  una non soddisfacente focalizzazione della problematica del rapporto fra natura e storia in Marx, dove il filosofo e rivoluzionario di Treviri viene da Adorno praticamente – ed erroneamente – del tutto assolto delle degenerazioni della dialettica verificatesi tramite il Diamat staliniano: «Il concetto di storia universale, dalla cui validità la filosofia hegeliana è ispirata quanto quella kantiana da quella delle scienze naturali, divenne tanto più problematico, quanto più il mondo unificato si approssimava ad un processo globale. Da un lato la scienza storica avanzante con metodo positivistico ha disgregato la concezione di una totalità e di una continuità senza interruzioni. Rispetto ad essa la costruzione filosofica aveva il dubbio vantaggio di una minore conoscenza dei dettagli, che voleva spacciare fin troppo facilmente per una sovrana distanza; e veramente anche meno timore di dire qualcosa di essenziale, che si profili soltanto alla distanza. Dall’altro una filosofia sviluppata doveva cogliere l’accordo tra storia universale e ideologia (1)  e la vita sconvolta come discontinua [nota 1 di p. 287 di Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Dialettica negativa, Torino, Einuadi, 1966: «Cfr. Benjamin, Scriften cit., vol. I, pp. 494 sgg. [pp. 81 sgg.].»]. Hegel stesso aveva concepito la storia universale come unitaria solo grazie alle sue contraddizioni. Con la sua riformulazione materialistica l’accento maggiore fu posto sulla comprensione della discontinuità di ciò che non era tenuto insieme da alcuna unità consolatoria dello spirito e del concetto. Tuttavia bisogna pensare insieme storia universale e discontinuità. Cancellare quella come residuo di superstizione metafisica, consoliderebbe la mera fattualità come l’unica cosa da conoscere e quindi da accettare, allo stesso modo della  sovranità precedente, che ordinava i dati nell’avanzata totale dello spirito uno, confermandoli con le sue manifestazioni. La storia universale si deve costruire e negare. Sarebbe cinico affermare dopo le catastrofi e nell’attesa delle future un piano mondiale verso il miglioramento che si manifesti nella storia e la unifichi. Però non si deve negare perciò l’unità, che salda insieme i momenti e fasi discontinui, caoticamente disgregati dalla storia, quella del dominio della natura, progredente nel dominio sugli uomini ed infine sulla natura interiore. Non c’è una storia universale che conduca dal selvaggio all’umanità, ma certo una che porta dalla fionda alla megabomba. Essa termina nella minaccia totale dell’umanità organizzata contro gli uomini organizzati, la quintessenza della discontinuità. Così Hegel viene terribilmente verificato e messo sulla testa. Se egli trasfigurava la totalità della sofferenza storica in positività dell’assoluto che si realizza, l’uno e il tutto che si sviluppa per prender fiato fino ad oggi è teleologicamente la sofferenza assoluta. La storia è l’unità di continuità e discontinuità. La società si mantiene in vita non malgrado il suo antagonismo, ma tramite esso; l’interesse al profitto, e quindi il rapporto di classe sono oggettivamente il motore del processo produttivo, da cui dipende la vita di tutti e il cui primato ha il suo punto di fuga nella morte di tutti. Ciò implica anche l’elemento conciliante nell’inconciliabile: poiché esso soltanto permette agli uomini di vivere; senza di esso non ci sarebbe nemmeno la possibilità di una vita trasformata. Ciò che quella possibilità creò storicamente, può anche distruggere. Lo spirito del mondo, degno oggetto di definizione, dovrebbe essere definito come catastrofe permanente.  Sotto il principio d’identità che assoggetta tutto, ciò che non si dissolve  nell’identità  e si sottrae alla razionalità pianificante nell’ambito dei mezzi diventa angoscioso, rappresaglia per quel male che il non identico subisce da parte dell’identità. La storia potrebbe difficilmente essere interpretata altrimenti, senza trasformarla magicamente in idea [evidenziazione nostra].»: Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Dialettica negativa, cit., pp. 286-88. «L’oggettività della vita storica è quella di una storia naturale. Marx lo ha riconosciuto contro Hegel, e precisamente in stretta connessione con l’universale realizzantesi sopra le teste dei soggetti: «Anche quando una società è riuscita a intravvedere la legge di natura del proprio movimento – e fine ultimo al quale mira quest’opera è di svelare la legge economica del movimento della società moderna – non può  né saltare né eliminare per decreto le fasi naturali dello svolgimento… Non dipingo affatto in luce rosea le figure del capitalista e del proprietario fondiario. Ma qui si tratta delle persone soltanto in quanto sono la personificazione delle categorie economiche, incarnazione di determinati rapporti e di determinati interessi di classe. Il mio punto di vista, che concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale, può meno che mai rendere il singolo responsabile di rapporti dei quali egli rimane socialmente creatura, per quanto soggettivamente possa elevarsi al di sopra di essi (1) [nota 1 di p. 319 di Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Dialettica negativa, cit.: «Marx, Das Kapital cit., Vol. I, prefazione alla 1° ed., pp. 7 sg. [vol. I, I, p. 18].»].» Non s’intende certo il concetto antropologico di natura di natura di Feuerbach, contro il quale Marx ha rivolto il materialismo storico, nel senso di una ripresa di Hegel contro gli hegeliani di sinistra (2) [nota 2 di p. 319 di Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Dialettica negativa, cit.: «Cfr. Schmidt, Der Begriff der Natur in der Lehre von Marx cit., Vol. II, p. 15 [cap. I, sez. A].»]. La cosiddetta legge naturale, che  pure è solo una legge della società capitalistica, viene perciò chiamata mistificazione da Marx: «La legge dell’accumulazione capitalistica mistificata in legge di natura esprime dunque in realtà il fatto che la sua natura esclude ogni diminuzione del grado di sfruttamento del lavoro o ogni aumento del prezzo del lavoro che siano tali da esporre a un serio pericolo la costante riproduzione del rapporto capitalistico e la sua riproduzione su scala sempre più allargata. Non può essere diversamente in un modo di produzione entro il quale l’operaio esiste per i bisogni di valorizzazione di valori esistenti, invece che, viceversa, la ricchezza materiale per i bisogni di sviluppo dell’operaio (1). [nota 1 di p. 320  di Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Dialettica negativa, cit.: «Marx, Das Kapital cit., Vol. I, pp. 652 sg. [Vol. I, 3, p. 69»].].» Tale legge è naturale a causa del carattere della sua inevitabilità sotto i rapporti di produzione dominante. L’ideologia non si sovrappone all’essere sociale come uno strato che si possa staccare, ma gli inerisce. Essa si fonda sull’astrazione, che è essenziale per il processo di scambio. Ciò implica nel processo della vita reale fino ad oggi un’apparenza socialmente necessaria. Il suo nocciolo è il valore della cosa in sé, «natura». La quasi naturalità della società capitalistica è reale e nello stesso tempo apparenza. Che l’assunto di legge naturale non deve essere preso alla lettera, e tanto meno ontologizzato nel senso di un qualche progetto del cosiddetto uomo, è confermato dal motivo più potente della teoria marxiana in generale, quello dell’eliminabilità di tali leggi . Dove inizia il regno della libertà, non varrebbero più. La distinzione kantiana fra un regno della libertà e uno della necessità viene trasposto al succedersi delle fasi, mobilitando come mediazione la filosofia della storia hegeliana. Soltanto uno stravolgimento dei motivi marxisti come il Diamat, che prolunga il regno della necessità assicurando che sia quello della libertà, poteva cadere nell’errore  di falsificare il concetto polemico marxiano di  normatività naturale da una costruzione della storia naturale in una dottrina scientistica di invarianti . Con ciò il discorso marxiano sulla storia naturale non perde nulla del suo contenuto di verità, appunto quello critico. Hegel si aiutò ancora ricorrendo ad un soggetto personificato trascendentale, che perde però già la natura di soggetto; Marx denuncia non solo la trasfigurazione hegeliana, ma la fattispecie che ne è oggetto. La storia umana, il progressivo dominio sulla natura, prosegue quella inconsapevole della natura, mangiare ed essere mangiato. In senso ironico Marx era un socialdarwinista: ciò che i socialdarwinisti esaltano e secondo cui godono di agire, per lui è la negatività, in cui si risveglia la possibilità della sua negazione [evidenziazione nostra].»: Theodor Ludwig Wiesengrund Adorno, Dialettica negativa, cit., pp. 319-320. E a questo proposito – e, riteniamo, senza bisogno di ulteriori commenti se non sottolineare che il  modello dell’azione-conflitto dialettico-espressivo-strategico del Repubblicanesimo Geopolitico permette di affrontare con un’inedita e rivoluzionaria prospettiva situazioni storiche e/o filosofiche ritenute fino ad oggi fuori dalle “magnifiche sorti e progressive” del mondo liberal-liberista del secondo dopoguerra: dalla storia  «che porta dalla fionda alla megabomba» – ma anche alle elaborazioni culturali dalle più popolari alle più alte, fino a giungere all’espressività artistica e scientifica!  fino al fascista Dante Cesare Vacchi che crea i commandos portoghesi per aiutare il morente Portogallo salazarista nella guerra contro i movimenti di liberazione in Africa – accostiamo alla citazione adorniana una da una nostra riflessione, il Dialectivs Nvncivs (agli URL di Internet Archive: https://archive.org/details/DialecticvsNvncivs.IlPuntoDiVistaDelRepubblicanesimoGeopolitico_866 e https://ia801603.us.archive.org/7/items/DialecticvsNvncivs.IlPuntoDiVistaDelRepubblicanesimoGeopolitico_866/DialecticvsNvncivs.IlPuntoDiVistaDelRepubblicanesimoGeopoliticoAttraversoIQuaderniDelCarcereEStoriaECoscienzaDiClasse.pdf, e di WebCite:

http://www.webcitation.org/76Q9qTn9X e http://www.webcitation.org/query?url=https%3A%2F%2Fia801603.us.archive.org%2F7%2Fitems%2FDialecticvsNvncivs.IlPuntoDiVistaDelRepubblicanesimoGeopolitico_866%2FDialecticvsNvncivs.IlPuntoDiVistaDelRepubblicanesimoGeopoliticoAttraversoIQuaderniDelCarcereEStoriaECoscienzaDiClasse.pdf&date=2019-02-24): «Dal punto di vista del Repubblicanesimo Geopolitico, (1) oltre alla “falsificazione” di Marx, innumeri volte rappresentata da La Grassa in tutta la sua opera e ora per ultimo di nuovo molto opportunamente ripetuta nella Intervista (teorica) a Gianfranco La Grassa (di F. Ravelli), cioè la nascita mai avvenuta della nuova classe al potere del lavoratore collettivo cooperativo associato, sulla quale ci soffermeremo fra poco, siamo di fronte a due ulteriori “crampi” del pensiero marxiano che, uniti alla “falsificazione” di cui sopra ci consentono davvero, alla luce dell’impostazione conflittuale-strategica lagrassiana, di compiere un passo decisivo per lo sviluppo delle scienze sociali e storiche che, non solo rivoluzionino gli attuali paradigmi teorici, ma anche possano dare l’inizio ad una reale prassi sociale anch’essa rivoluzionaria rispetto agli stantii paradigmi politici democraticistici [nota 1 di p. 3 di Massimo Morigi, Dialecticvs Nvncivs. Il punto di vista del Repubblicanesimo Geopolitico attraverso i Quaderni del Carcere e Storia e Coscienza di Classe per il rovesciamento della gerarchia della spiegazione meccanicistico-causale e dialettico-conflittuale, per il rinnovamento degli studi marxiani e marxisti e per l’ Aufhebung della gramsciana e lukacsiana Filosofia della Praxis: si omette la citazione del testo della nota]. Partiamo, molto semplicemente, dal passo fondamentale del Capitale  dove Marx individua il carattere del tutto ideologico dell’allora (e tuttora) imperante economia politica: «Al possessore di denaro, che trova il mercato del lavoro come particolare reparto del mercato delle merci, non interessa affatto il problema del perché quel libero lavoratore gli compaia dinanzi nella sfera della circolazione. E a questo punto non interessa neanche a noi. Noi, dal punto di vista teorico, ci atteniamo al dato di fatto, come fa il possessore di denaro dal punto di vista pratico. Però una cosa è evidente. La natura non produce da un lato possessori di denaro o di merci e dall’altro semplici possessori della propria forza lavorativa. Tale rapporto non risulta dalla storia naturale né da quella sociale ed esso non è comune a tutti i periodi della storia. È evidente come esso sia il risultato d’uno svolgimento storico precedente, il prodotto di molte rivoluzioni economiche, della caduta di una intera serie di più vecchie formazioni della produzione sociale. (2) [Nota 2 di p. 5 di Massimo Morigi,  Dialecticvs Nvncivs cit.: «Karl Marx, Il Capitale, trad. it., Roma, Newton Compton, 1970, I, pp. 199-200.»].»  Marx ci dice quindi, al contrario di quanto sostenevano gli economisti classici (e di quanto sostengono ancor oggi gli attuali economisti), che è la storia e non la natura a produrre la società dominata dal capitalismo e che, di conseguenza, le presunte leggi economiche non sono per niente naturali ma totalmente dovute all’umana evoluzione storica. Questo totale cambio di paradigma segna ad un tempo la grandezza ed anche l’enorme ed invalicabile limite di Marx (e di tutte le varie scuole di pensiero e di azione che da lui prenderanno origine). Detto in estrema sintesi: vero è che la società capitalistica e le presunte leggi dell’economia non hanno affatto l’ineluttabilità della natura ma sono di pura origine storico-sociale. Falso è, come invece traspare chiaramente dal testo appena citato, che sussista una suddivisione reale fra natura e storia. Come ho già affermato in altri luoghi, questa errata epistemologia è l’errore più grande di tutta la tradizione filosofica occidentale, alla quale, con risultati del tutto insoddisfacenti, cercarono di porre rimedio Hegel e Schelling e che, quindi, non si può fare particolare biasimo a Marx per esservi ricaduto. Ma se non si può certo biasimare in particolare Marx per questo errore, sul piano del giudizio storico sono del tutto da deprecare i problemi derivatine. La conseguenza, veramente nefasta, è stata una visione terribilmente ristretta del metodo dialettico dove da una parte, cioè nel cosiddetto Diamat – sviluppo teorico finale delle cosiddette tre pseudoleggi dialettiche di Engels illustrate nella sua Dialettica della Natura e nell’Anti-Dühring (conversione della quantità in qualità, compenetrazione degli opposti e negazione della negazione, tre leggi che sono la scimmiottatura della logica aristotelica) –, la dialettica è diventata una forma corrotta di pensiero positivistico e che, sulla linea dell’ineluttabilità di queste leggi pseudodialettiche engelsiane, ha smesso, appunto, di essere dialettica per trasformarsi in instrumentum regni dei regimi totalitari del socialismo reale […]»: Dialecticvs Nvncivs cit., pp. 3-5. «Torniamo ora a Marx, quando afferma nella prefazione alla prima edizione del Capitale con una evidente contraddizione (per niente dialettica) rispetto al passo sempre del Capitale appena citato: «Una parola ad evitare possibili malintesi. Non ritraggo per niente le figure del capitalista e del proprietario fondiario in luce rosea. Ma qui si tratta delle persone solo in quanto sono la personificazione di categorie economiche, che rappresentano determinati rapporti e determinati interessi di classe. Il mio punto di vista che considera lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale, non può assolutamente fare il singolo responsabile di rapporti da cui egli socialmente proviene, pure se soggettivamente possa innalzarsi al di sopra di essi. (5) [ Nota 5 di p. 10 di Dialecticvs Nvncivs cit.: «Karl Marx, Il Capitale, cit., pp. 6-7.»]» Qui la società è quindi per Marx assimilabile ad una sorta di processo naturale, gli uomini piuttosto che agire in esso sono agiti da forze che li sovrastano e la loro natura, insomma, è quella del Gattungswesen, un ente naturale generico determinato dalle leggi e dalle forze che agiscono nella società stessa. (6) [Nota 6 di p. 10 di Dialecticvs Nvncivs cit.: «Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. Ad un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.»: Karl Marx, Per la Critica dell’Economia Politica cit., p.5 […]»] In questo passaggio si sviluppa sì una linea di pensiero che unisce società e natura ma è una linea di pensiero similpositivistica, anticipatrice della Dialettica della Natura e dell’ Anti-Dühring di Engels prima e poi del Diamat di cui abbiamo già detto. Veniamo ora ai nostri giorni. Il conflittualismo strategico di Gianfranco La Grassa nasce dopo la definitiva consunzione, filosofica prima che politica, di tutta la tradizione marxista che, se a livello storico-politico, è crollata per la tragicomica inefficienza economica dei vari sistemi socialisti effettivamente storicamente realizzatisi unita alle lusinghe (totalmente) false del paese dei balocchi della forma di stato “democratico-capitalistica”, sul piano teorico e filosofico praticamente sin dal suo inizio aveva fatto bancarotta in ragione del suo economicismo, prendendo poi successivamente le forme ideologiche di una pseudodialettica di stato, il Diamat, che altro non era che una forma di positivismo degradato, di pratiche e modelli economici meno inefficienti di quelli del cosiddetto “libero mercato” capitalistico e, last but not the least, di una visione filosofica dell’uomo come Gattungswesen, un ente naturale generico completamente sottoposto alle determinazioni sociali, con la non irrilevante conseguenza che alla mitizzata classe operaia (mito che era una versione degradata del marxiano lavoratore collettivo cooperativo associato) veniva riservato un trattamento da Gattungswesen, appunto, mentre alla nomenklatura veniva, in pratica, violentemente concesso di “elevarsi al di sopra” di essa; realizzando cioè nella prassi, a solo uso e consumo della burocratica classe dominante, un compiuto modello conflittuale-strategico, in cui il dominato era la tanto mitizzata (e presa per il fondelli) classe operaia-gattungswesen. Il conflittualismo strategico di Gianfranco La Grassa, portando esplicitamente il conflitto al centro dell’interpretazione della società, mantiene e approfondisce la fondamentale critica marxiana sulla falsa naturalità dell’economia politica, chiude quindi definitivamente con tutta questa tradizione marxista economicistico-positivistica da una parte (Diamat, altrimenti detto marxismo orientale) o dialettico-dimidiata dall’altra (il cosiddetto marxismo occidentale: uno dei massimi esempi di questa seconda – immensamente più feconda però per il futuro, nonostante le segnalate contraddizioni, della deriva diamattina – quella avanzata da György Lukács in Storia e Coscienza di Classe) e però, per il completo sviluppo rivoluzionario del suo paradigma, è per il Repubblicanesimo Geopolitico assolutamente necessario un dialettico riorientamento gestaltico sia della prassi del conflitto strategico che del suo stesso concetto. (7) [Nota 7 di p.11 di Massimo Morigi, Dialecticvs Nvncivs cit. : si omette la citazione del testo della nota] Questo riorientamento passa A) attraverso un deciso abbandono della mainstream impostazione della cultura occidentale che vede una suddivisione fra storia e natura (o cultura e natura: sotto questo punto di vista, l’annullamento cioè dell’antidialettico discrimine fra natura e cultura, è possibile ricuperare e superare, rovesciandolo, il significato del concetto di alienazione, facendolo, cioè, poggiare saldamente sui piedi di un sodo realismo politico e di un’altrettanto concreta epistemologia politico-filosofica prassistica anziché su una testa positivista e/o genericamente gattungsweseniana; l’uomo, comunque si intenda il marxiano Gattungswesen – in senso deterministico-positivista o come un segno delle sue potenzialità e libertà – non è un ente generico, ma è, polarmente al contrario, un ente naturale strategico, anzi il massimo ente strategico prodotto dalla natura, o per dare conseguente e migliore definizione a quanto fin qui affermato, il massimo ente strategico prodotto dalla natura/cultura – per un approfondimento su questo inestricabile rapporto natura/cultura e sull’uomo ente naturale strategico, il presente nunzio anticipa Glosse al Repubblicanesimo Geopolitico per una Fenomenologia della Dialettica della Natura e della Cultura attraverso il Conflitto Espressivo-Cognitivo-Evoluzionistico-Strategico. Nuovo Nomos della Terra, Nuovo Principe, Rivoluzione e Dialettica della Filosofia della Praxis Espressiva, Conflittuale e Strategica del Repubblicanesimo Geopolitico (Aufhebung della Rivoluzione e dell’Azione Strategica nello Sviluppo Storico-Dialettico della Cultura e della Natura), di prossima pubblicazione –, una nuova semantica dell’alienazione così interpretata ed indagata, contrariamente all’accezione negativa marxiana, attraverso il rioerientamento compiuto su di questa dal concetto e dalla prassi dell’azione-conflitto strategico e, perciò, come la felice concreta manifestazione della dialettica di tale conflitto; felice anche da un punto di vista soggettivo solo se, è ovvio, questo processo alienante è vissuto consapevolmente e strategicamente da un agente alfa-strategico e non risulta, invece, dall’imposizione di un dominio esterno di un agente alfa-strategico su un agente omega-strategico – sulle dinamiche dei rapporti fra agenti alfa-strategici e agenti omega-strategici, i portatori storici, quest’ultimi, del negativo marxiano significato originario di ‘alienazione’ e, quindi, il permanente lato “infelice” dell’alienazione, cfr. la Teoria della Distruzione del Valore. Teoria Fondativa del Repubblicanesimo Geopolitico e per il Superamento/conservazione del Marxismo, riferimenti bibliografici in nota 1) e passa quindi B) attraverso un ripudio delle categorie positivistiche, in primis quella di legge di natura deterministica e immodificabile ed immutabile. Insomma, e qui dissento da La Grassa, il punto non è se il pensiero possa o meno riprodurre la realtà, il punto è che il pensiero, se veramente pensiero e quindi pensiero integralmente strategico e quindi strategia realmente in azione, produce – o, meglio, crea – la realtà. E ora mi taccio, in parte perché la giustificazione di questa mia ultima fondante e fondativa affermazione dovrebbe essere trovata nelle parole che l’hanno qui preceduta (e che, oltre a quanto si è già precedentemente scritto o ora espresso nel presente Dialecticvs Nvncivs – che introduce le prossime Glosse al Repubblicanesimo Geopolitico che svolgono, attraverso il taglio del nodo gordiano natura/cultura o storia/natura, la dialettica del Repubblicanesimo Geopolitico stesso –, seguono il filo rosso di una filosofia della praxis che, partendo dalle marxiane Glosse a Feuerbach, approda prima in Giovanni Gentile – cfr. del filosofo dell’attualismo La Filosofia di Marx del 1899 – e poi nella filosofia della praxis compiutamente espressa da Antonio Gramsci nei Quaderni del Carcere) (8) [nota 8 di p.15 di Massimo Morigi, Dialecticvs Nvncivs cit.: si omette la citazione del testo della nota]  e  in parte perché, oltre La Grassa, altri grandi (vedi la teoria del rispecchiamento di Lenin (9) [nota 9 di p. 18 di Massimo Morigi, Dialecticvs Nvncivs cit. : si omette la citazione del testo della nota]   in Materialismo e Empiriocriticismo) hanno sempre espresso una differente opinione, un contraddittorio che necessita acribia e anche una puntuta analisi delle relative fonti e non certo il presente discorso da intendersi solo come inquadramento generale – anche se con tutta la dignità ed autorevolezza che, in via di consolidata storica consuetudine, ogni nunzio merita che gli si accordi – del necessario e, ormai, non più rinviabile dibattito. Massimo Morigi, luglio-25 dicembre 2016.»: Dialecticvs Nvncivs cit., pp. 9-23. Nota finale di qualche tempo dopo (febbraio-marzo 2019) e in circostanze non solo teoriche (una riflessione non solo filosofico-politica ma anche l’inizio dello studio sul fascista Dante Cesare Vacchi che crea i commandos portoghesi): l’invito al dibattito con Gianfranco La Grassa è tuttora valido.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GIUDICI E GOVERNO, di Teodoro Klitsche de la Grange

GIUDICI E GOVERNO

A valutare la vicenda della Diciotti secondo i parametri (prevalenti nei commenti sui media) dell’ “uno vale uno” e della legalità (egualitaria) si perde solo tempo in discussioni senza senso e senza base. Meglio ragionare in termini a un tempo più realistici e più ordinamentali, e tener conto del pensiero politico-giuridico qualitativamente prevalente.

La questione è se Salvini (ma ormai mezzo governo) debba essere giudicato per aver tenuto la Diciotti e i suoi migranti “a bagno maria” non permettendone lo sbarco. A seconda dell’angolo visuale da cui si guarda la vicenda il tutto può costituire un reato (approccio giuridico-causidico-forenzese) ovvero una misura per la tutela di un interesse azionale (visione politico-ordinamentale). E può essere – e tante volte nella storia lo è stato – entrambi: un reato cioè, ma, al tempo. una misura politicamente opportuna. Scriveva Vittorio Emanuele Orlando (il quale da giurista e statista se ne intendeva)  che se avesse dovuto essere processato per tutti i passaporti falsi che aveva rilasciato da Ministro, avrebbe trascorso in galera tutta la vita. Solo che quei passaporti falsi “s’avevano da dare” per raccogliere le informazioni opportune per vincere la guerra. Ossia a rispettare la legge avrebbe compromesso l’interesse nazionale. E dato che salus rei publicae surtema lex, la via “retta” era (ed è) evidente.

Ciò non toglie che debba esserci un rimedio per conciliare le opposte conseguenze che derivavano dalla prospettiva (visuale) diversa.

Dato che lo Stato democratico-liberale è uno status mixtus che si regge sia sui principi di forma politica che su quelli dello stato borghese, il sistema per conciliare i punti di frizione è stato particolarmente sviluppato. E la giustizia penale sui politici è quella che ha raccolto più interesse anche “mediatico” da qualche secolo. Anzi già da prima Machiavelli scriveva che la giustizia “politica” è opportuna in una repubblica: ma di stare attenti alla composizione dell’organo giudicante “perché i pochi sempre fanno a modo de’ pochi”. Dalla riflessione dei teorici dello Stato borghese (Constant per primo) si desume che la giustizia “politica” non può che essere derogatoria: non cioè uguale a quella ordinaria. Ne deriva che secondo Carl Schmitt “il carattere politico della questione o l’interesse politico all’oggetto della controversia può venire così fortemente in risalto che anche in uno Stato borghese di diritto deve essere presa in considerazione la caratteristica politica di questi casi…per specie particolari di vere controversie giuridiche è previsto a causa  del loro carattere politico un procedimento speciale o una speciale istanza (in cui)… deriva sempre il caratteristico allontanamento dalla forma giurisdizionale tipica dello Stato di diritto, la considerazione del carattere politico attraverso particolarità organizzatorie o d’altro genere con le quali si attenuta il principio tipico dello Stato di diritto della giurisdizione generale”.

Se però tali deroghe e particolarità non sono poste in essere le conseguenze sono:

1) che l’organo competente a decidere diventa un’istanza politica o addirittura l’organo reale di direzione politica (così da ufficio giudiziario diventa autorità politica). Lo Stato non è più uno Stato democratico-rappresentativo, ma uno Justizstaat, ossia uno Stato giurisdizionale. E l’organo deputato alla giustizia politica è quello politicamente più influente come, un tempo il Consiglio dei dieci a Venezia.

2) che se i magistrati costituiscono una burocrazia reclutata per concorso – come avviene, per lo più, nelle democrazie moderne – il carattere democratico-rappresentativo dello Stato va perso. Avendo il potere di carcerare chi governa – nei fatti rimuovendolo – a decider chi deve governare sarebbero i Tribunali e non i governati che li hanno eletti.

Per ovviare a questo evidente inconveniente un giurista francese, Duguit, riteneva che l’organo di governo (nella specie il Capo dello Stato) potesse continuare a svolgere le proprie funzioni pur in stato di detenzione.

A questa soluzione Orlando replicava ironicamente: come avrebbe fatto il Presidente detenuto a ricevere un ambasciatore o anche un altro capo di Stato invece che all’Eliseo, “in una cella della prigione della Santé”?

E il giurista siciliano continuava qualificando impostazioni come quelle “aberrazioni, contro cui resiste la forza delle cose” cioè la realtà dell’istituzione politica, nella quale, con riguardo al problema, occorre conciliare il principio di responsabilità  con la necessità dell’inviolabilità (assoluta o relativa) di determinati organi dello Stato. Cosa che si realizza nella democrazia, rimettendo il giudizio sul governante ai governati, cioè al corpo elettorale, che come ha il potere di eleggerlo, così quello di rimuoverlo (direttamente o indirettamente).

Teodoro Klitsche de la Grange

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