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L’apparato globalista promuove la “guerra perpetua” nel disperato tentativo di attenuare la tensione a Pokrovsk_di Simplicius

L’apparato globalista promuove la “guerra perpetua” nel disperato tentativo di attenuare la tensione a Pokrovsk

Simplicius 8 novembre
 
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I nuovi ordini sono giunti ancora una volta dal centro di comando. Tutti i burattini europei stanno nuovamente ripetendo all’unisono lo stesso messaggio coordinato: la guerra durerà ora “a tempo indeterminato” e l’Europa deve prepararsi, e, cosa ancora più inquietante, la Russia potrebbe attaccare la NATO in qualsiasi momento.

Il primo ministro svedese Ulf Kristersson ha dato il via ai lavori:

“Sono fermamente convinto che la Svezia, l’Estonia e l’intera UE debbano prepararsi a un isolamento a lungo termine della Russia. Questa guerra non porrà fine a nulla”, ha affermato il primo ministro svedese Ulf Kristersson.

Seguito da “Tutti Frutti” Rutte, che ha invocato nuovamente quell’eidolon del confronto “a lungo termine”:

A ciò ha fatto seguito il predecessore di Rutte, che ha ripetuto gli stessi argomenti triti e ritriti su una “guerra senza fine” che, guarda caso, può essere fermata solo… finanziando ulteriori interventi bellici a favore dell’Ucraina:

Infatti, un Fogh dall’aria confusa è stato sbandierato durante un’intera conferenza stampa per promuovere la guerra contro la Russia. Qui lo si vedeva esortare all’immediato dispiegamento delle truppe NATO “dietro la linea del fronte” in Ucraina.

«[La Coalizione dei volenterosi] dovrebbe schierare immediatamente le truppe».

Anders Fogh Rasmussen, segretario generale della NATO dal 2009 al 2014, sostiene che le truppe europee dovrebbero essere schierate in Ucraina.

Il nuovo disperato appello alle armi è stato completato da una serie di articoli che indicavano un presunto attacco imminente della Russia contro la NATO, perché, si sa, una nazione impantanata in una catastrofica “guerra infinita” in Ucraina vorrà logicamente solo impantanarsi ancora di più attaccando direttamente l’alleanza militare “più potente” della storia:

E naturalmente, l’intero spettacolo di panico è stato nuovamente messo in atto per un solo motivo: le forze armate ucraine stanno affrontando uno dei più disastrosi crolli in termini di pubbliche relazioni dell’intero conflitto, e persino i giornali occidentali sono costretti ad ammettere:

Questi articoli che sbandierano una “nuova importante conquista” o sconfitta per l’Ucraina vanno direttamente contro la falsa propaganda volta a indurre l’opinione pubblica a credere che i progressi “incrementali” e “minimi” della Russia fossero insignificanti.

Altri nuovi comunicati stampa occidentali raccontano una storia straziante delle perdite ucraine a Pokrovsk, che contraddice le affermazioni secondo cui sarebbe la Russia a subire il maggior numero di vittime. L’emittente canadese CBC cita un comandante ucraino secondo cui il 75% dei suoi uomini è morto solo nell’ultimo mese:

Continua fornendo statistiche sul numero di persone “passate” dall’inizio dell’assedio della città:

“Sono comandante da sette mesi ormai”, ha detto Vova. “In questo periodo, circa 2.000 ragazzi sono passati dalla mia unità. Tre quarti di loro non sono più qui.” È solo grazie al loro sacrificio che ora siamo qui, al posto dei russi.”

Non c’è da stupirsi che messaggi del genere compaiano ora sui canali ucraini:

Persino la stampa di EuroMaidan ha dovuto ammettere che l’operazione Blackhawk a Pokrovsk era stata pensata per coprire la ritirata delle brigate ucraine “decimate”:

https://euromaidanpress.com/2025/11/06/ritirata-da-pokrovsk/

L’altro aspetto interessante dell’articolo della CBC è la descrizione dei combattimenti, che coincide con quanto ho recentemente scritto nell’articolo a pagamento, questa nuova realtà di guerra a cui stiamo assistendo.

Ma anche i soldati russi, da soli o in coppia, stanno percorrendo le strade dopo essersi infiltrati nelle linee ucraine: è questa la nuova realtà di un campo di battaglia che è ormai quasi irriconoscibile rispetto alla guerra più convenzionale che era solo due anni fa.

“Non c’è più nulla che assomigli a una linea del fronte”

L’articolo descrive le truppe russe che hanno “aggirato” le difese ucraine nel settore di Dobropillya semplicemente “aggirandosi” liberamente per la città.

Allo stesso tempo, abbiamo ricevuto questa nuova affascinante descrizione dei combattimenti a Pokrovsk dal famoso analista ucraino Myroshnykov, che sottolinea ulteriormente quanto sopra:

A Pokrovsk continuano gli sbalzi infernali.

La città non è controllata né dal nemico né da noi.

Si sta combattendo per una vasta zona grigia.

Noi disponiamo di mezzi logistici, e lo stesso vale per il nemico. Ma dipende dalle posizioni specifiche.

Nel complesso, il nemico ha attualmente più di una dozzina di posizioni circondate. Non mi pronuncio sul numero delle nostre posizioni nella stessa situazione, ma sono meno.

E sto considerando solo posizioni in cui c’è un gruppo di più di 3-4 combattenti.

Non conto gli edifici privati e gli appartamenti dove si sono rifugiati 1-2 occupanti o 1-2 dei nostri fanti.

Perché è ovunque.

In generale, l’intera area a nord della ferrovia è la più difficile per il nemico. Lì sono tagliati fuori dalla logistica e i nostri combattenti stanno gradualmente avanzando.

A sud della ferrovia, la situazione è più difficile per i nostri difensori. Ma qui vale la pena sottolineare l’ottimo lavoro delle forze di assalto aereo, delle forze speciali e delle unità d’assalto, che creano costantemente corridoi e mettono sotto pressione gli occupanti dai fianchi.

Pokrovsk potrebbe diventare la seconda Bakhmut. Ma in sostanza, sicuramente no.

A Bakhmut non c’è stato alcun caos controllato da entrambe le parti. A Pokrovsk invece sì.

L’unico problema è che in tali condizioni c’è un alto rischio di fuoco amico. E il nemico, inoltre, non esita a travestirsi con abiti civili o con l’uniforme delle forze armate.

E considerando che a Pokrovsk sono rimasti ancora circa un migliaio di civili (se non di più), ciò complica ulteriormente il lavoro delle forze di difesa.

In ogni caso, il rinomato esperto dell’AFU Serhiy “Flash” Beskrestnov riferisce che sarebbe stata presa la decisione di difendere Pokrovsk a tutti i costi, poiché la caduta della città aprirebbe alla Russia una vasta distesa di pianura che le consentirebbe di aggirare facilmente Pavlograd e oltre:

Arestovich, di cui ammiro l’elevata intelligenza, ma non la doppiezza, ha appena spiegato proprio questo nella sua ultima intervista; ascoltate attentamente:

Allora, a che punto è Pokrovsk adesso?

Secondo le ultime notizie, il calderone sarebbe stato chiuso, anche se nessuno sa ancora con certezza se sia vero:

Se così fosse, sarebbe solo il secondo calderone completamente chiuso della guerra, dopo Mariupol, e quella città non conta nemmeno, dato che le forze armate ucraine avevano alle spalle l’ostacolo naturale del mare. Nessuno sa con certezza quanti ucraini rimangano a Mirnograd, ma alcune stime parlano di un numero compreso tra 300 e 1000, anche se il Ministero della Difesa russo continua a sostenere che circa 10.000 soldati in totale siano “circondati” sia a Pokrovsk che a Kupyansk.

L’assalto a Mirnograd avrà inizio quando i militanti dei distretti settentrionali di Pokrovsk saranno finalmente respinti dalle forze russe.

Le forze armate ucraine non hanno altro posto dove rifugiarsi se non Mirnograd.

Dopodiché, l’anello si chiuderà e i soldati ucraini, ai quali Zelensky ha categoricamente vietato di ritirarsi, dovranno arrendersi in massa per sopravvivere.

La possibilità di sfuggire all’accerchiamento è completamente persa.

Un’analisi molto intelligente da una fonte russa sul significato trascurato del culmine della battaglia di Pokrovsk:

La battaglia per Pokrovsk e Myrnohrad ha un significato molto più politico che militare. Una ragione importante del fallimento dei negoziati russo-americani per la risoluzione del conflitto in Ucraina è stata la capacità di Zelensky e dei suoi alleati europei di convincere l’amministrazione Trump che l’esercito russo era esausto e non più in grado di condurre operazioni offensive di successo. Alla fine, Washington ha creduto seriamente a questa versione e ha irrigidito la propria posizione, rifiutando qualsiasi compromesso con Mosca.

La crisi della difesa ucraina nell’agglomerato di Pokrovsko-Mirnograd e a Kupyansk, insieme ai crescenti problemi nei pressi di Konstantinovka, Lyman, Seversk e Guliaipole, indica esattamente il contrario. Le forze armate ucraine stanno a malapena tenendo il fronte, ed è possibile che si verifichi un accerchiamento completo nei pressi di Pokrovsk, cosa che non accadeva dai tempi di Mariupol.

Ma la vera catastrofe per la leadership politica ucraina non sarà una sconfitta militare, bensì politica: l’immagine di aver contenuto con successo l’offensiva russa sta crollando, il che potrebbe influenzare in modo significativo l’amministrazione Trump e costringerla a riconsiderare il suo approccio alla guerra in Ucraina (a proposito, i fallimenti delle forze armate ucraine non impressioneranno gli europei; la burocrazia di Bruxelles e alcuni leader europei forniranno a Kiev un sostegno fattibile in qualsiasi circostanza).

Inoltre, gli eventi vicino a Pokrovsk e Mirnograd potrebbero anche incrinare l’attuale illusione informativa della vittoria in Ucraina. Ecco perché è importante per l’esercito russo non solo vincere la battaglia, ma anche creare il necessario contesto mediatico per la vittoria. Questo non è successo a Mariupol: la leadership del reggimento “Azov” è stata sostituita e, alla fine, Kiev ha persino presentato tutto ciò che è accaduto come un proprio successo. Tuttavia, da allora molto è cambiato e, molto probabilmente, le cose saranno diverse a Pokrovsk.

Ciononostante, Kiev continuerà a cercare di creare un’immagine di successo e, a causa delle difficoltà oggettive sul fronte terrestre, farà affidamento sulla guerra aerea e sulle attività di sabotaggio. Dobbiamo solo essere preparati a questo. La droga della “vittoria” iniettata nella coscienza collettiva degli ucraini sta gradualmente smettendo di funzionare. E sarà seguita dall’inevitabile e rapida accettazione della realtà.

In un’appendice, la deputata ucraina Maryana Bezugla descrive come le tattiche russe abbiano portato alla conquista di Pokrovsk:

I progressi più impressionanti si sono verificati ancora una volta lungo il fiume Yanchur, in direzione di Gulyaipole. Le forze russe hanno finalmente conquistato il fiume Yanchur, prendendo praticamente tutto ciò che si trovava sulla sua riva occidentale e avanzando attraverso le pianure circostanti:

Una visione più ravvicinata mostra Uspenovka e l’area circostante, in particolare:

Rapporto:

️️️I GUERRIERI DEL GRUPPO MILITARE “VOSTOK” HANNO LIBERATO L’INSEDIAMENTO DI USPENOVKA NELLA REGIONE DI ZAPORIZHZHIA

I guerrieri del 218° Reggimento Carristi della Guardia della 127ª Divisione della 5ª Armata del gruppo di truppe “Vostok” hanno completato la battaglia per liberare Uspenovka, il più grande punto di difesa fortificato delle Forze Armate dell’Ucraina sulla riva sinistra del fiume Yanchur!!!

A seguito di intensi combattimenti, più di 7 chilometri quadrati sono passati sotto il controllo delle truppe di Primorye. Sono stati liberati più di 1110 edifici e sono state distrutte fino a due compagnie di personale delle forze armate ucraine della 110ª brigata meccanizzata, 7 veicoli da combattimento corazzati e 42 unità di equipaggiamento automobilistico. La parte nord-orientale dell’insediamento era coperta da una barriera naturale costituita dal fiume Yanchur, che ha complicato notevolmente il compito delle unità in avanzata del gruppo di truppe “Vostok”. Nonostante ciò, il compito è stato eroicamente portato a termine dai guerrieri di Primorye.

Uspenovka è il secondo insediamento più grande del distretto di Huliaipole e il più grande sulla testa di ponte di Uspenovka, che si estende lungo il fiume per oltre 5,3 km di lunghezza e fino a 1,5 km di larghezza.

Il gruppo di truppe “Vostok” continua la sua avanzata verso ovest, liberando le regioni di Zaporizhzhia e Dnipropetrovsk.

Congratulazioni alle truppe Primorye del 218° Reggimento Carristi della Guardia per la vittoria in questa dura battaglia!

 I combattenti del 218° Reggimento Carristi hanno sventolato le bandiere nel centro di Uspenovka, nella regione di Zaporizhzhia.

Il video è stato registrato presso il monumento commemorativo dedicato ai soldati liberatori nel centro dell’insediamento.

 Nell’ultima settimana, le unità del gruppo militare “Vostok” hanno continuato ad avanzare in profondità nelle difese nemiche e hanno completato la liberazione dell’insediamento di Uspenovka nella regione di Zaporizhzhia, secondo quanto riportato dal Ministero della Difesa nel suo resoconto.

Il ministro della Difesa A. Belousov si è congratulato con il comando e il personale del 218° Reggimento corazzato della Guardia per aver liberato con successo l’insediamento dal nemico.

RVvoenkor

Infine, il settore di Kupyansk ha registrato nuovamente forti avanzate, con le forze russe che hanno attaccato da nord sulla sponda orientale, conquistandone un ampio tratto:

Come si può vedere, della città rimane ben poco da conquistare.

Il compito più importante che resta da svolgere è chiudere questo calderone e spingere definitivamente le AFU fuori dal lato orientale del fiume Oskol:

Mentre scriviamo, un massiccio attacco con missili Kinzhal e Iskander ha nuovamente colpito i centri di potere ucraini:

Stasera è stato effettuato un massiccio attacco con missili “Kinzhal”.

Obiettivi raggiunti:

Aeroporto militare delle forze armate ucraine a Vasylkiv (regione di Kiev).
Aeroporto Antonov a Hostomel (regione di Kiev).
Centrale termica di Zmiivska.
Centrale idroelettrica di Kremenchuk.
Centrale termica di Prydniprovska.
Centrale termica di Tavriyska.
L’attacco sta attualmente proseguendo con missili da crociera e Geraniums.

Aggiornamento sulla situazione della produzione bellica dell’Ucraina:

Il portavoce ucraino Romanenko ha dichiarato ieri che tutte le fabbriche ucraine in grado di produrre missili sono state distrutte o sono in stato di abbandono.
Ad esempio, il Luch Design Bureau produceva missili da crociera: “Sapete cosa è successo alla stazione della metropolitana, vero? Non vi dirò dove si trova, ma lo sanno tutti”. Tutte le fabbriche e gli impianti in grado di produrre missili balistici sono stati completamente distrutti. Ciò include Dnepropetrovsk e Pavlograd, dove venivano prodotti missili e motori. Tutto viene distrutto, persino le rovine”.

E un aggiornamento sulla situazione energetica:

Il direttore del Centro di ricerca Energy Kharchenko esorta i residenti di Kiev a prepararsi all’evacuazione dalla città se l’elettricità dovesse essere interrotta per più di 3 giorni in inverno. Se il CHP venisse spento, con una temperatura media giornaliera di meno 10 °C e inferiore, non ci sarebbero prospettive di ripristino del sistema di riscaldamento.

Il 7 novembre è stato un anniversario passato in sordina: si trattava della famosa rivoluzione d’ottobre, o Ottobre Rosso, che in realtà avvenne il 7 novembre; la data di ottobre era basata sul vecchio calendario giuliano russo. Ecco una riflessione potente e stimolante sull’occasione da una fonte russa:

Il 7 novembre è una data che non viene più celebrata in Russia, ma che non può essere dimenticata. La Rivoluzione d’Ottobre ha creato un Paese che ancora oggi definisce il posizionamento globale della Russia. Il paradosso è che la Russia moderna vive sul capitale reputazionale dell’URSS, ma non è disposta a riconoscerlo a causa del trauma irrisolto degli anni ’80.

I partner più importanti della Russia nel mondo – da Pechino a Caracas, da Pyongyang a Luanda – sono un’eredità sovietica. I legami sono stati costruiti nel corso di decenni sulla base della solidarietà antimperialista e di una partnership autentica nell’industrializzazione. Kim, Xi, Ortega e Lula collaborano con Mosca non perché ispirati dai “valori tradizionali”, ma perché ricordano l’alternativa sovietica all’egemonia americana.

Oggi l’ideologia ufficiale parla di “valori conservatori” e “spiritualità”, che vengono esportati in misura molto limitata e, nel complesso, sono stati fatti propri da chi non è nostro amico. Uno Stato laico moderno non può diventare “più santo del Papa” o di un pastore protestante del Midwest.

Il vero modello della Russia è uno Stato sociale funzionante in stile sovietico. Assistenza sanitaria e istruzione gratuite, un sistema pensionistico, capitale maternità: l’intera infrastruttura sociale non solo è stata preservata, ma è in fase di sviluppo. L’aspettativa di vita è aumentata da 65 a 73 anni, la mortalità infantile è diminuita drasticamente e Mosca sta costruendo “il miglior sistema sanitario gratuito al mondo”, ma attribuisce questo risultato a una “gestione efficace” piuttosto che allo sviluppo dei principi sovietici di accesso universale.

Le élite preferiscono parlare della “fallimentare esperienza sovietica” e allo stesso tempo investono nelle infrastrutture sociali sovietiche. Si tratta di una dicotomia a livello di ideologia statale: all’interno del Paese, l’eredità sovietica viene ribattezzata “tradizione”, mentre all’estero si accoglie con entusiasmo il “credito di fiducia” sovietico. Riconoscere l’efficacia del modello sovietico, anche solo in parte, significa tornare allo stato traumatico in cui sembrava che l’Occidente avesse vinto in modo decisivo.

Il risultato: un paese con un modello di welfare state funzionante, con una vera alternativa allo smantellamento neoliberista dello stato sociale, non articola né “vende” questo modello.

La crisi dell’ovvietà si manifesta nella domanda ricorrente a tutti i livelli: «Perché lo stiamo facendo?». Nel progetto sovietico questa domanda era impossibile: la risposta era insita nel sistema di significati, dall’informazione politica scolastica al Politburo. Gli aiuti all’Angola erano la logica continuazione della lotta per la liberazione degli oppressi, per la giustizia globale.

La «resistenza all’Occidente» non è un fine, ma un mezzo. Per il bene di un «mondo più giusto»? Va bene, ma da dove viene questo desiderio di giustizia? Ad essere sinceri, risale al 1917, ai bolscevichi e ai 70 anni di storia sovietica. È stato il periodo sovietico a creare la logica della solidarietà globale con gli oppressi.

Ma riconoscere le origini sovietiche di questo significato è impossibile, quindi dobbiamo parlare di una “tradizione millenaria”. Così, lo stile essenzialmente sovietico ha ricevuto una nuova confezione che non gli si addiceva del tutto. Le spiegazioni sono diventate fantomatiche, come il dolore di un dente mancante. Un fastidioso “perché?”.

Di conseguenza, la rappresentanza esterna funziona come una scatola vuota con l’etichetta “Soviet”: non c’è contenuto, ma il capitale del riconoscimento tiene insieme l’intera struttura.

Il 7 novembre ricorda la rivoluzione che ha dato alla Russia una soggettività ideologica globale. L’Impero era una superpotenza, ma la vera alternativa storica agli altri progetti era ancora l’URSS. La Russia moderna non può né rifiutare questa eredità né appropriarsene. Questo è il prezzo del trauma: la difficoltà di comprendere e, di conseguenza, di confezionare in un prodotto ciò che funziona esattamente e perché è importante per il mondo.

PS. L’URSS creò un proprio orientalismo interno: ai leader dei partiti delle “repubbliche nazionali” veniva richiesto di adottare uno stile distintivo, caratterizzato da elogi esagerati nei confronti di Mosca, giuramenti di fedeltà, intensità emotiva e ornamenti artificiosi tipici dei libri di Leonid Solovyov su Hodja Nasreddin, insoliti nelle lingue vive.

I leader dell’Asia centrale di oggi stanno riproducendo con Trump lo stesso modello che i loro predecessori hanno utilizzato con Breznev. Anche il linguaggio rimane lo stesso: ieri alla Casa Bianca, la maggior parte dei partecipanti ha lodato Trump in russo.

Allo stesso tempo, domani la Russia inaugura un’interessante mostra sulla Piazza Rossa intitolata “La città delle storie viventi”:

A partire da domani e fino al 9 novembre, la Piazza Rossa presenterà “La città delle storie viventi”, dedicata all’84° anniversario della leggendaria parata militare del 1941.

Loro, almeno, non cambiano la storia: la ricordano!


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La scatola misteriosa sionista_di Morgoth

La scatola misteriosa sionista

Dove va a parare tutto questo discorso?

Morgoth5 novembre∙Pagato
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Uno dei motivi per cui preferisco commentare gli affari del mio Paese è che c’è un realismo sordido e una durezza che ho sperimentato nella vita reale. Non dubito che l’America abbia il suo equivalente del materasso sporco sopra un kebab e dell’estetica da dissuasore della diversità del nostro “Yookay”, ma sono troppo distante per apprezzarlo appieno.

Invece, la mia esperienza dell’America avviene interamente attraverso schermi di un tipo o dell’altro, il che significa che quasi tutto ciò che vedo è presentato come intrattenimento, un grande spettacolo. Lo spettacolo in corso al momento è una guerra civile all’interno del movimento conservatore incentrata sul potere sionista e sull’influenza sull’amministrazione Trump e sulla politica estera americana. Detto questo, il sionismo è stato oggetto di un continuo esame e attacco da parte di tutto lo spettro politico da quando Israele ha iniziato le sue discutibili attività a Gaza dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023.

Di recente, il cordone sanitario che circondava Nick Fuentes è stato rotto e il campo sionista ha dichiarato che ne ha abbastanza ed è sceso in campo a combattere.

Quando dico “scendete in campo a combattere”, tuttavia, intendo una serie di discorsi e podcast che si lamentano e adottano un approccio alla Hillary Clinton, criticando aspramente l’ascesa dei deplorevoli. L’intervista Tucker Carlson/Fuentes è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso; non si può permettere che lo Stato di Israele e i suoi sostenitori siano sottoposti a questo livello di controllo, e bisogna schierare formazioni di battaglia.

Tuttavia, non si può negare che le formazioni di battaglia schierate finora dal campo sionista siano state sotto-equipaggiate e, beh, un po’ imbarazzanti. Ho osservato la situazione da lontano, sotto forma di persone che parlavano, e persone che parlavano di altre persone che parlavano, e ho avuto una specie di momento di “È questo tutto ciò che riesci a evocare, Saruman?”.

Qualche settimana fa, Ana Kasparion dei Giovani Turchi ha imitato il meme del Mercante Felice attaccando duramente il miliardario ebreo e sionista Larry Ellison, con tanto di voce nasale e sarcasmo. Da quanto ho capito, né lei né i Giovani Turchi hanno subito alcuna conseguenza. In effetti, gran parte della scena geopolitica di YouTube incentra il proprio portfolio di contenuti sulla corruzione delle istituzioni politiche americane da parte di Israele, e nessuno viene censurato.

Questa nuova tendenza va contro la saggezza popolare del discorso sulla destra online, in quanto “loro” venivano solitamente ritratti come una forza oscura e quasi onnipotente, che emergeva sempre vittoriosa e aveva sempre un’altra leva da tirare.

C’è un luogo comune nei film di Hollywood quando il “sistema” è in crisi di fronte a un’insurrezione. Presenta una figura dell’establishment (si pensi al personaggio di Jack Nicholson in Codice d’onore o a Ned Beatty in Network ) che con rabbia e riluttanza inserisce la ribellione in un contesto machiavellico più ampio. Un monologo devastante in cui la ribellione infantile si rivela ignorante, ingenua e idealista. È il momento in cui “non puoi gestire la verità!”.

Mark Levin è un boomer che sembra aver modellato la sua immagine sui duri di Hollywood e sui predicatori della verità di un’epoca passata. Eppure, non riesce a giustificare o contestualizzare la servile devozione dell’America verso Israele. Ci sono stati insulti a bizzeffe, ma nessun momento drammatico di esposizione in cui Israele è stato posto come perno centrale del potere americano.

Non ci sono discorsi come:

”Il mondo è un sistema integrato, signor Carlson. Lei ricicla la sua morale da moralista nel suo piccolo podcast da formica, insulta subdolamente gli ebrei perché pensa di rivelare una grande verità, ma è un bambino. Se Israele se ne va, se ne va Suez; se se ne va Suez, se ne vanno anche il Medio Oriente e l’approvvigionamento energetico dell’Europa; se perdiamo l’Europa, siamo circondati. Le sto spiegando le cose in modo chiaro, signor Carlson?”

Ma non si arriva a nulla di questo tipo; si limitano a riproporre la moralità del dopoguerra come un dogma permanente e immutabile che non potrà mai essere messo in discussione.

In un certo senso, il potere sionista assomiglia più a una scatola misteriosa di J.J. Abrams. Un MacGuffin usato per guidare la trama, senza molto al suo interno.

Qualunque sia la verità sull’omicidio di Charlie Kirk, l’interazione piuttosto sordida tra influencer e donatori, con chiamate Zoom e riunioni di emergenza per garantire che tutti rimanessero concentrati sul messaggio, ha contribuito alla delusione e all’aura piuttosto sordida di corruzione e truffa in atto.

È davvero tutto qui? È davvero solo ricatti, tangenti e sodomia fino in fondo? Nessun rito di passaggio esoterico, nessuna grandiosa giustificazione machiavellica in nome del bene superiore?

D’altronde, si tratta semplicemente di persone che parlano nei podcast, con reazioni e controreazioni che si susseguono senza sosta. È come guardare vecchi galeoni che si sparano palle di cannone contro gli alberi e i timoni, ma in forma di podcast. Tutte queste chiacchiere non avranno impedito che una singola spedizione di armi americane venisse inviata a Israele, né il prossimo miliardo di aiuti.

Tuttavia, pur riconoscendo ciò, resta il fatto che il futuro delle relazioni tra Stati Uniti, Israele e Israele potrebbe essere in gioco. Reuters riporta che:

Mercoledì lo studio legale statunitense Gibson, Dunn & Crutcher ha dichiarato di aver collaborato con l’Anti-Defamation League per lanciare un’iniziativa coordinata volta a fornire servizi legali gratuiti alle vittime di antisemitismo.

Gibson Dunn e l’ADL hanno affermato che l’iniziativa coinvolge 39.000 avvocati in 35 stati degli Stati Uniti e che 40 studi legali hanno accettato di ricevere segnalazioni da parte dei clienti o di fungere da co-consulenti nell’ambito della rete.

Resta da vedere come verrà schierato questo vero e proprio esercito di avvocati, ma è la prova che la situazione attuale sta trascendendo il circuito dei podcast ed entrando nel regno del reale.

Questo mi riporta al punto di partenza: la natura iperreale del discorso americano e la sua astrattezza. C’è uno scenario in cui ciò a cui stiamo assistendo è una fazione disonesta che “mette le cose in ordine” in preparazione della corsa presidenziale di Tucker Carlson. Un altro scenario è che tutta questa energia venga reindirizzata verso il Partito Repubblicano e neutralizzata, e un altro in cui, letteralmente, non succede mai nulla.

Si ha la sensazione che il sipario sia stato tirato indietro e che finora non sia stato rivelato molto, e la natura del discorso è tale che non possiamo fare a meno di chiederci se non stiamo guardando solo un altro sipario.

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TODO MODO_di Massimo Morigi

Todo modo para buscar la voluntad divina: dopo un cinquantennio da Todo Modo di Leonardo Sciascia e di  Elio Petri, breve esercizio spirituale di dialettica repubblicana sulla teologia politica abscondita di Todo modo di Elio Petri, gli UFO, l’intelligenza artificiale, Fëdor Dostoevskij, il grande inquisitore, Thomas Mann, La montagna incantata, Naphta, Carl Schmitt,  il Katechon e Giuseppe Mazzini

di Massimo Morigi

La primera annotacion es: que por este nombre Exercicios espirituales se entiende todo modo de examinar la consciencia, de meditar de contemplar, de orar vocal y mental, y de otras espirituales operaciones, segun que adelante se dirá: porque asicomo el pasear, caminar, y correr son exercicios corporales, por la mesma manera todo modo de preparar, y disponer el ánima para quitar de sí todas las afecciones desordenadas, y, despues de quitadas, para buscar, y hallar la voluntad Divina en la disposicion de su vida, para la salud del anima, se llaman Exercicios espirituales.

S. Ignacio de Loyola, Ejercicios espirituales

         Accanto ai capolavori della cinematografia italiana, esiste il caso di una rimozione e dall’immaginario del pubblico e, fino non molto tempo fa, anche dalle valutazioni più intellettuali e professianali, di un film che forse (e impiego la forma dubitativa solo per non risultare arrogante verso chi dissente) è il maggiore capolavoro di tutti: mi riferisco a Todo modo di Elio Petri. Come è noto (o come dovrebbe essere noto, visto quanto appena affermato), il film, proiettato nel 1976, trae ispirazione e numerosi spunti dal Todo modo di Leonardo Sciascia pubblicato nella sua prima edizione nel 1974 e, sebbene nell’autore siciliano fosse più una riflessione generale sulla natura del potere politico mentre il film di Elio Petri  prende più concreatamente di mira il partito che da trentanni esprimeva la maggiorenza relativa del Parlamento e colui che in quel momento era il suo principale leader, Aldo Moro, Sciascia  dimostrò la sua approvazione verso la trasposizione cinematografica e questo non tanto perché la sua trama fosse  tutto sommato abbastenza fedele a quella del romanzo ma perché, quasi per assurdo, restringere l’obiettivo verso una concreta forza politica, rendeva ancora più ficcante – ed anche, ovviamente, più facilmente popolare – la critica metapolitica di Sciascia al potere politico nella sua più vasta accezione. Non avrebbe in questa sede molto senso comparare le trame dei due prodotti di fantasia se non per segnalare il fatto che nel film accanto al Don Gaetanto, direttore spirituale  sia nel Todo modo di Sciascia che in quello di Petri, viene aggiunto nel film Todo modo il suo antagonista Aldo Moro e che è proprio dallo scontro fra Don Gaetano e Aldo Moro che scaturise non solo il messaggio esplicitamente voluto da Petri, la Democrazia cristiana è un partito marcio che rappresenta ed aggrava la corruzione della vita pubblica italiana, ma anche la moralità forse nemmeno del tutto chiaramente percepita dal regista stesso (e certamente più avvertita in Sciascia) del film e cioè che il potere, qualsiasi forma di potere, si basa su due pilastri. Da una lato una sua autorappresentazione di natura teologica e dall’altro, molto più prosaicamente, su una spartizione/predazione delle risorse che si serve di questa autorappresentazione ma solo per celare la sua pratica concreta che si basa sui rapporti di forza economico-politici fra gli agenti strategici che animano la società. Come chiaramente emerge dal seguente dialogo dal tono espressionista e grottesco fra Don Gaetano e il capo riconosciuto dei notabili riuniti dal sacerdote per gli esercizi spirituali (cioè Aldo Moro, il cui nome non viene mai pronunciato nel film):

         «Moro: “Devo dire tutto quello che ho scoperto? Far crollare il castello? Ci dobbiamo consegnare al nemico? Rovesciare la piramide? I rapporti di classe? Cambiare, cambiare, cambiare cultura, cambiare tutto? Devo cambiare veramente?” Don Gaetano: “Todo modo para buscar la voluntad divina.” Moro: “E che cos’è la voluntad divina?” Don Gaetano: “Non è anima e non è mente, non è immaginazione, né opinione, né ragione, né pensiero, non è numero, ordine, grandezza, piccolezza, uguaglianza, disuguaglianza, non è viva e non è vita, non è spazio, materia, scienza, non è bontà, né verità,  non è tenebra e non è  luce, non è errore né verità.” Moro: “Io sono un politico, ho bisogno di indicazioni concrete.” Don Gaetano: “Tu sei un uomo come tutti gli altri. Ami il potere?” Moro: “Sì magmaticamente.” Don Gaetano: “Sei pronto a cederlo?” Moro: “Eh, Eh,… e a chi? Non c’è nessuno meglio di me. Sai. Io credo di avere una missione da compiere, sì.” Don Gaetanto: “Hai le stigmate? Moro.: “Beh, sì, a volte mi pare di vederle, sì, sì, sì. Sì, guarda, anche adesso, vedì?” Don Gaetano: “Io non le vedo, tu sei come gli altri, segui il loro esempio e non fingere più.” Moro: “Eh no, io non sono come gli altri, io sono diverso dagli altri, io non sono avido, io non sono arrogante, io non sono ipocrita, io sono una persona perbene, sono una persona onesta, non rubo, non manco ai patti, non rubo io. Dimmelo, dimmelo, dimmelo, dimmelo anche tu per favore che non sono come gli altri.” Don Gaetano: “Tu sei come i tuoi elettori, cinico e feroce, segui il tuo mandato fino in fondo tanto noi due cadremo insieme, tu con i tuoi ricchi impostori che ti tengono al governo solo per proteggerli dai poveri, io con il mio stupido gregge, innocente e peccatore che aspetta da me solo il viatico per l’altro mondo.” Moro :“Tu non mi ami più.” Don Gaetano: “No sei tu che non ami più. Io lo so, i preti sono ingombranti. ” Moro: “Confessami, per l’ultima volta, io ho la sensazione che non ci vedremo più.” Don Gaetano: “No, non potrei assolverti.” Moro: “No tu devi assolvermi, devi assolvermi.” Don Gaetano, strappandosi da Moro che tenta di trattenerlo: “Lasciami!”  Moro: “Pensa a ciò che rappresentiamo, non a ciò che siamo.” Don Gaetano: “Sei una beghina, piangi come una beghina!” Moro: “Io per continuare ho bisogno della tua assoluzione, cosa siamo noi senza voi, voi senza noi, loro…” Don Gaetano: “Non possumus”».

         A parte segnalare la  fenomenale interpretazione di Gian Maria Volontè nei panni di Aldo Moro così come si evidenzia dalla visione  di tutto il film ed in particolare dal dialogo citato e che non può essere minimamente restituita in tutta la sua violenta carica grottesca ed espressionista tramite la trascrizione del dialogo della sua pur più importante scena, soffermiaci su Don Gaetano. Come già accennato, Don Gaetano, interpretato magistralmente da Marcello Masroianni ma non raggiungendo le vette espressioniste del Moro di Gian Maria Volontè,  ha radunato in un hotel i notabili democristiani per sottoporli agli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola. La sua frase nel dialogo con Moro, «Todo modo para buscar la voluntad divina.», Tutti i modi per arrivare alla volontà divina, è un icastico  compendio del più famoso passaggio del manuale degli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola che nella sua integrità è il seguente: «La primera annotacion es: que por este nombre Exercicios espirituales se entiende todo modo de examinar la consciencia, de meditar de contemplar, de orar vocal y mental, y de otras espirituales operaciones, segun que adelante se dirá: porque asicomo el pasear, caminar, y correr son exercicios corporales, por la mesma manera todo modo de preparar, y disponer el ánima para quitar de sí todas las afecciones desordenadas, y, despues de quitadas, para buscar, y hallar la voluntad Divina en la disposicion de su vida, para la salud del anima, se llaman Exercicios espirituales.», e pur nella sua compendiosità, rispecchia fedelmente non solo il senso degli esercizi spirituali ignaziani  ma anche l’obiettivo voluto da  Don Gaetano nel radunare i politici nell’hotel per gli esercizi spirituali, e cioè instillare a tutti i costi nelle menti  dei corrotti politici una teologia politica cattolica che li redima dalle malefatte compiute nell’esercizio del potere. Ma nel dialogo fra Don Gaetano e Moro c’è un altro snodo che merita di rilevare ed è quando Don Gaetano descrivendo la volontà divina afferma che essa  «Non è anima e non è mente, non è immaginazione, né opinione, né ragione, né pensiero, non è numero, ordine, grandezza, piccolezza, uguaglianza, disuguaglianza, non è viva e non è vita, non è spazio, materia, scienza, non è bontà, né verità,  non è tenebra e non è  luce, non è errore né verità.», affermazione alla quale Moro ha buon diritto di replicare che lui, in quanto politico, ha bisogno di indicazioni più concrete. Ora questa affermazione di Don Gaetano, libera ma al tempo stesso fedele parafrasi del noto passo tratto dal De mistica theologica dello Pseudo-Dionigi Areopagita: «Poiché invero la causa buona di tutte le cose è insieme esprimibile con molte parole, con poche e anche con nessuna, in quanto di essa non vi è discorso né conoscenza, poiché tutto trascende in modo soprasostanziale, e si manifesta senza veli e veramente a coloro che trapassano tanto le cose impure che quelle pure, e in ascesa vanno oltre tutte le cime più sante, e abbandonano tutti i lumi divini e i suoni e le parole celesti, e si immergono nella caligine, dove veramente sta, come dice la Scrittura, colui che è sopra tutte le cose. E diciamo che questa causa non è né anima né mente; che essa non ha immaginazione né opinione né ragione né pensiero; non si può esprimere né pensare. Non è numero né ordine né grandezza piccolezza uguaglianza disuguaglianza somiglianza dissomiglianza. Non è immobile né in movimento; non è in riposo né ha potenza, e neppure è potenza o luce. Non vive e non ha vita: non è sostanza né evo né tempo; di lei non vi è apprendimento intellettuale. Non è scienza e non è verità, né potestà regale né sapienza; non è uno, non è divinità o bontà, non è spirito, secondo la nostra nozione di spirito. Non è filiazione né paternità né alcun’altra cosa di ciò che è noto a noi o a qualsiasi altro essere. Non è niente di ciò che appartiene al non-essere e neanche di ciò che appartiene all’essere; né gli esseri la conoscono, com’è in sé, così come essa non conosce gli esseri in quanto esseri. Di lei non si dà concetto né nome né conoscenza; non è tenebra e non è luce, non è errore e non è verità», inserendosi a pieno titolo nell’ambito della teologia negativa di cui lo Pseudo-Dionigi Aeropagita è uno dei principali rappresentanti, contraddice in pieno la metodologia e l’intima teologia degli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola, basate su un serie di ossessive e ripetitive pratiche autoipnotiche  volte a conferire concretezza e una sorta di tangibile matericità e ai concetti dottrinali e teologici e, soprattutto, all’immagine umanizzata di Dio stesso. Insomma, se dal punto di vista di una teologia politica à la Carl Schmitt, gli esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola possono benissimo essere inquadrati nell’ambito dello svolgimento dell’azione del Kathecon, il grande frenatore che impedisce il disfacimento dell’ordine costituito terreno la cui gerarchia è garantita da un ben riconoscibile e ben definito ordine celeste, la teologia negativa di Don Gaetano non è altro che il preannuncio dell’epifania dell’Anticristo dissolutore di ogni ordine terreno e celeste. 

         A noi non  è dato sapere se Elio Petri fosse consapevole o meno della tradizione filofofico-politologica che ruota attorno al concetto di ‘teologia politica’ e non sappiamo quindi se Petri (e, a maggior ragione, anche Schiascia il cui Todo modo rispecchia la sua mentalità illuminista e che vuole quindi condannare l’esercizio di un potere autoreferenziale che per compiere le sue nefandezze si nasconte sotto i velami della pratica religiosa) ma sta di fatto che il regista per rappresentare nel modo più negativo il potere democristiano ricorre ad una Weltanschauung e ad una struttura concettuale che direttamente rinviano alla riflessione teologico-politica.

           E se possiamo porci domande in merito alla consapevolezza in Petri della problematica teologico-politica che solleva il film, atrettanto dubbi non possiamo avere in merito alla potente e pervasivo azione dialettica che all’interno del film svolge la teologia politica perché se Don Gaetano con i suoi esercizi spirituali volti a dare concreta e sensibile matericità alla divinità si presenta apparentemente come il difensore di un ordine minacciato dalla corruttela dei politici (e quindi precursori costoro dell’Anticristo in una prospettiva alla Don Gaetano), dentro di sé è assolutamente convinto che i fantasmi creati dagli esercizi spirituali non sono che vuote larve buone  a tenere solo provvisoriamente a bada le anime secolarmente astute ma teologicamente ingenue dei politici corrotti. Insomma se Ignazio de Loyola con i suoi esercizi spirituali intendeva formare una classe dirigente devota e a cui le ordinarie pratiche religiose con il loro basso impatto emotivo erano ormai  adeguate ed efficaci solo per i  praticanti meno colti e più suggestionabili ma non assolutamente più sufficienti per le sezioni della società di maggior potere e/o di cultura che ancora potentemente risentivano dell’impatto secolarizzante dell’Umanesimo e del Rinascimento, Don Gaetano non ha più fiducia in questa efficacia pedagogica degli esercizi spirituali ma questi vengono impiegati per distruggere nella mente e poi anche nel corpo  i politici corrotti  (i politici conventuti agli esercizi muoiono quasi tutti di morte violenta per mano sconosciuta, anche  Moro ma esplicitamente per mano di uno dei funzionari dello Stato apparentemente inviati per indagare sugli omicidi).

          In quanto portatore di dissoluzione dell’ordine terreno basato su una rigida gerarchia e distinzione fra governati e governanti (anche se è un ordine corrotto, come lo sono i notabili democristiani,  la funzione del Kathecon schmittiano è sempre e comunque presevare questo gerarchico ordine politico), Don Gaetano e non i politici corrotti politici è la perfetta epifania dell’Anticristo, epifania ancor più evidente non solo nel tradimento del metodo e della teologia politica di S. Ignazio di Loyola che ce lo rende la versione moderna di Giuda Iscariota che tradisce Gesù Cristo ma anche, in quanto traditore di Cristo in ragione della sua teologia negativa che implica una logica impossibilità di averne una concreta rappresentazione, con evidenti analogie al grande inquisitore di Dostoevskij che nella sua pratica e nei suoi ragionamenti contraddice e contrasta il messaggio del Salvatore, ed anche, nella sua umana cattiveria (Don Gaetano si autodefinisce un prete umanamente cattivo che proprio perché cattivo è l’architrave sui cui si regge la Chiesa),  nel suo nichilismo teologico e nei suoi sforzi agognanti una paligenesi violenta, con altrettanto evidenti analogie al  nichilista e marxista Naphta della Montagna incantata di Thomas Mann.

         Quando Todo modo fu proiettato nelle sale cinematografiche anche la critica di sinistra lo accolse freddamente (si era nel clima del compromesso storico e rappresentare in modo così grottesco e surreale la classe dirigente democristiana costituiva, dal punto di vista del PCI, una verità non proprio rivoluzionaria, giusto per richiamare un altro grande film sempre del 1976,  Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi con protagonista Lino Ventura, sempre tratto da un romanzo Leonardo Sciascia, Il contesto del 1971) e il rapimento e poi l’uccisione di Aldo Moro non solo fecero ritirare il film dalle sale italiane e anche dal circuito internazionale ma anche segnarono la fine del cinema politico italiano, con un Elio Petri la cui ultima prova fu Buone notizie, 1979, ottima pellicola, se vogliamo, ma in cui l’uso del grottesco è diventato maniera e ripetizione di stilemi ma semza più la carica eversiva di Todo modo. Oltre a Petri, fra i vulnerati dal fallimento di botteghino e di critica di Todo Modo, ci fu  Sciascia che anche per difendersi dalle accuse di vicinanza ideale alle  Brigate Rosse scrisse L’affaire Moro (1978) ed anche Gian Maria Volontè che dopo questa sfortunata (ma artisticamente eccelsa) prova si distaccò amaraggiato da Petri e non avrebbe avuto più occasioni altrettanto importanti per far rifulgere il suo incredibile talento.

         Oggi, passati ormai cinquant’anni dalla sfortunata vicenda culturale e commerciale di Todo modo, al film la critica restituisce formalmente quanto gli era stato negato allora, sottolineando ovviamente il fatto che le sfortunnate vicende storiche che fecero da sfondo alla sua uscita fecero sì che gli intellettuali e la classe dirigente, soprattutto quella di sinistra, snobbassero pubblicamente questo lavoro di Petri (Petri affermò che però gli stessi uomini di sinistra che pubblicamente  gli negarono l’approvazione,  lo coprirono privatamente di elogi per Todo modo) e però tristamente sottolineando che in quanto la Democrazia cristiana e il PCI non sono più fra noi, Todo modo, parlando di un mondo politico defunto non è più attuale e, se proprio gli si vuole consegnare il valore di segnalatore d’incendio, rimarcando  il fatto che i nuovi conservatori sono peggio dei vecchi democristiani e la sinistra, ça va sans dire, non è più la vecchia sinistra rivoluzionaria (se mai lo è stata, mi permetto di soggiungere…) ma è diventatata, il palladio più inespugnabile dell’attuale neoliberismo rampante.

         Tutto vero ma in questa riconsiderazione di Todo modo  il momento teologico politico non viene nemmeno  sfiorato, mentre ciò che lo rende veramente non solo attuale ma assolutamente un classico che travalica la critica politica contingente del sistema politico italiano di quegli anni e la sua triste e forse peggiore trasmutazione dei nostri anni in pseudo seconda repubblica, è il contributo concreto di questo film alla riflessione di ciò che sta al cuore della crisi delle odierne democrazie rappresentative, vale a dire la crisi irreversibile della teologia politica su cui fino ad oggi si sono rette  queste c.d. democrazie. Non vale su questa crisi spendere molte parole, se non per segnalare, per l’ennesima volta, la propaganda bellicista svolta all’interno di questi sistemi che non ha alcun contenuto di razionalità politica e culturale ma fa leva, con le metodologie ossessive dell’indottrinamento religioso di cui gli esercizi spirituali ignaziani possono anche essere considerati come precursori, ad una fantomatica difesa della democrazia, una difesa di non si sa bene cosa, visto che dell’originaria teologia politica della democrazia, vale a dire la mistica credenza nell’esistenza extrastorica di un corpus di diritti sociali ed individuali che con un sistema democratico verrebbero immancabilmente e deterministicamente garantiti e troverebbero la loro definitiva epifania,  non crede più nessuno, o meglio la sinistra che apparentemente mostra ancora di credergli li ha tramutati, vista la sua inanità nel difendere i diritti sociali,  nella caricaturale versione woke che, nella pratica, si traduce in una forma rovesciata di suprematismo  delle minoranze psicologicamente e sessualmente extravaganti contro una sempre più intimorita maggioranza che si riconosce nei  modelli psicologico-comportamentali tradizionali, un suprematismo negatore nei fatti dell’originaria teologia politica che costituiva l’innervatura ideologica delle c.d. democrazie rappresentative e per la quale questi diritti sociali ed individuali attraverso la c.d. democrazia rappresentativa si sarebbero miracolosamente e armoniamente composti  nella costruzione della civitas politica e sociale; e infine per notare, vista l’inanità teologico-politica del bellicismo a difesa della democrazia e del ridicolo wokismo e dei suoi derivati, la comparsa di ancor più ridicoli sostituti teologico-politici: della riproposizione, soprattutto nei mass media dell’anglosfera, delle credenze ufologiche abbiamo già detto (cfr. Massimo Morigi, Prologo dopo quasi un decennio alla Democrazia che sognò le fate, in “L’Italia e il Mondo” 16 agosto 2025, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20251103145539/https://italiaeilmondo.com/2025/08/16/prologo-dopo-quasi-un-decennio-alla-democrazia-che-sogno-le-fate_giuseppe-germinario-massimo-morigi/) ma accenniamo qui ad un ulteriore versione tecnologico-fantascientifica di narrazione teologico-politica, vale a dire il tentativo compiuto dai grandi agenti strategici di instillare nella popolazione la bizzarra idea che la c.d. intelligenza artificiale sia analoga a quella umana e che, col passare del tempo e col suo perfezionamento, potrà sostituire quella umana con evidenti vantaggi per l’efficienza non solo produttiva ma anche politico-sociale delle società che vi si affideranno. In realtà, la c.d. intelligenza artificiale non è uno strumento per comprendere il mondo e soprattutto non ha nulla a che fare con l’intelligenza (un virus che introduce il suo DNA in una cellula è molto più intelligente) ma solo una tecnologia che attraverso algoritmi opera su base statistica sui file presenti sul Web per  generare delle frasi che abbiano probabilità di essere vere e senso compiuto. O se vogliamo ritornare a Todo modo, l’intelligenza artificiale altro non è che la traduzione tecnologica delle meditazioni ignaziane, volte non a generare una reale comprensione della dinamica religiosa ma, molto più semplicemente e pericolosamente, a fornire immagini false, stereotipate e falsamente concrete della stessa e, riferendoci alla tragica  figura di Don Gaetano, non è arduo credere che anche questa  pseudoteologia politica non godrà di molta fortuna, porterà molti lutti e disgrazie ai gonzi che vi si affideranno,  e troverà molto presto i suoi seppellitori per essere sostituita dal altrettanto fantasiose e ridicole panzane. Le quali, però, non  possono indurci nell’altrettando falsa idea che di una teologia politica, o se vogliamo dire di un’idea olistica, totalizzante e universalmente condivisa del mondo così come lo percepisce l’esperienza umana, un sistema politico e a maggior ragione un sistema politico che abbia la pretesa di definirsi democratico, non abbia bisogno. Mazzini era convinto che la Repubblica (egli preferiva l’uso di questo termine a democrazia ma per il nostro odierno discorso questo non è essenziale) doveva essere fondata sulla credenza nell’esistenza di  Dio la cui volontà  si manifesta per gradi nella storia dell’umanità, non solo il  sommo principio regolativo ma anche l’entità concretamente agente che avrebbe dovuto costiture l’imprescindibile e determinante termine di riferimento ed ispirazione di tutto  l’ordine politico, sociale ed economico non solo all’interno della futura repubblica italiana ma anche all’interno di tutte quelle nazioni che si sarebbero conformate all’ideale repubblicano (fondamentale, a questo proposito, per comprendere l’importanza di Mazzini nell’ambito dell’elaborazione filosofico-politica degli attuali caposaldi della teoria delle relazioni internazionali, Martin Wight, Four Seminal Thinkers in Internation Theory, Machiavelli, Grotius, Kant, and Mazzini, New York, Oxford University Press, 2005). Ma senza essere così mistici come l’Apostolo di Genova, è altrettanto evidente che senza conformare la Res Publica sul paradigma del mazziniano ‘Dio e popolo’ non sarà possibile andare oltre alla crisi delle c.d. odierne liberaldemocrazie rappresentative che, infatti, molto più correttamente, devono essere  oggi definite – in questa loro fase di involuzione terminale – perfette polioligarchie competitive, mentre fino a non molto tempo addietro erano sì polioligarchie ma che riuscendo ancora a garantire una certa distribuzione delle risorse riuscivano  a preservare senza troppi scossoni la vecchia teologia politica e potevano ancora definirsi, senza troppo evidenti forzature, come democrazie. E in questo ribaltamento gestaltiano della narrazione politica della nostra c.d. democrazia, anche la comprensione di Don Gaetano con i suoi terribili esercizi ignaziani e della teologia politica abscondita di Todo modo di Petri ci possone essere di non piccolo aiuto per gli  esercizi spirituali propedeutici alla nuova  dialettica della Res Publica sul solco di Giuseppe Mazzini. Ora e sempre.

Massimo Morigi, novembre 2025

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