Italia e il mondo

Come era verde la mia valle_di WS

 Come Monahan,l’ autore  di questo  articolo,  anche io,  proprio qui  non molto tempo  fa , ho  scritto  un mio “come  era  verde la mia valle”. Infatti il malinconico  rimpianto  del passato  è  un  sottoprocesso inevitabile dell’ invecchiamento.

Ma  in  entrambi   i casi    “le valli”   erano davvero  “verdi”   e bisognerebbe  capire  il perché poi  siano diventate  “grigie”,  essendo l’ odierno  declino    della “classe operaia”    solo una parte   del declino  della classe   di  chi “ deve lavorare per vivere”  , cioè  “i lavoratori” come  erano chiamati allora, una classe in  gran parte   formata   da “salariati”  ( ma  non solo ) e  che ha avuto  i suoi “verdi giorni”     nel secondo dopoguerra 

Su   questi  “giorni  verdi” molti  diranno   che      siano  stati  conquistati   con le   lotte per   “la democrazia”  ,  “le lotte  sindacali “    ect  ect . Ma  ovviamente   non è vero,   come  sa   chi  quella  “estate” l’ ha vissuta;  perché   a quella  “classe”      allora    si   aprivano   facilmente  “ ascensori   sociali ”   che oggi  le vengono  chiusi    nonostante  noi   siamo ancora  “in  democrazia”  e ben forniti  di “sindacati”.

E sono  pochi   quelli che  si chiedono  un  perché   che in realtà è molto  semplice   da capire.  ALLORA,  “  l’altra classe”, quella  che “può  vivere  senza dover lavorare” , aveva  bisogno  della  collaborazione    dei “lavoratori”  per  vincere lo scontro  con  “il comunismo”; un’ altro sistema   composto ovviamente dalle  solite “due classi”  ma in  cui    “la misura  di tutte le cose”  non  era “il danaro”   ma  “l’ appartenenza  ”.

Se infatti il sistema “occidentale ” avesse  nel  1945  conseguito  una vittoria  ANCHE    sull’ URSS, la borghesia  “occidentale” , per usare  termini “marxisti” ,  non avrebbe   poi  dovuto blandire  la sua  “classe lavoratrice”    e si sarebbe presa tutta per  sé     la  ricchezza prodotta,  come in effetti  ha cominciato a fare una volta  crollato “il comunismo”.

Come  spiega  la marxista  “legge ferrea  dei salari” , se niente  glielo impedisce , un  “capitalista”   può  sequestrare  tutto  “il plusvalore”  pagando  ai suoi  salariati  solo il salario minimo  necessario  alla  loro  sopravvivenza.

 Così  il  declino  dei “lavoratori ” americani,       è  comiciato     fin  da quando  a  “chi comanda in “ U$A   è apparso  evidente  che  il  sistema americano”   avrebbe  vinto la “guerra  fredda”  e questa cosa   poi è stata  estesa  anche  a tutte  le province   dell’ Impero.

 E  quel che è peggio, oggi ,  l’ automazione e la  digitalizzazione    riducono progressivamente   il numero  dei   salariati necessari , ponendo la classe  dei “lavoratori”  in  un crescente  stato di necessità     che permette al “padronato”   di  comprimere   sempre più  i  salari in una crisi perenne  e funzionale  solo  a  LORO.

Monahan qui  infatti  parla  degli  effetti  della “crisi  del 2007”  ( o del 1999 ? )  ma non la  inquadra    storicamente . Ci sono  infatti state  prima,   nel 1907  e nel 1929,  altre  crisi    che hanno prodotto prima uno schiacciamento  dei  salari  e poi la  guerra.

Ad esempio , la crisi del ’29 espulse i contadini americani  dalle loro fattorie rastrellate dalle banche creditrici, creando  così milioni di disperati e  morti letteralmente di fame di cui nessuno mai parla , una cosa che mi sorprese leggere , da ragazzo , nell’ amarissimo “Furore” di Steinbeck.

La  gente moriva  di fame e i granai  erano pieni   di  grano invenduto!

Da noi in Europa non era successo niente di simile , nessuno era morto di fame, perché la solidarietà sociale aveva provveduto , saltando “l’ intermediazione del danaro”, con il baratto  di merci , lavoro e cibo . In  America invece la crisi fu  più  dura  perché   niente lì  si poteva  avere   senza   “il danaro”.

Allora  mentre l’ Europa  “andava a destra”  con  stati   divenuti  “imprenditori” , l’ America invece rischiò di “andare a sinistra”. Ma venne Roosevelt a salvare il Capitalismo ” da se stesso” copiando le ricette dei fascismi europei.

La soluzione veramente perseguita non era il tanto  celebrato”New Deal”, ma una guerra mondiale programmata  di soppiatto fin dall’ inizio; il  progetto del B17 l’ aereo di bombardamento strategico a lungo raggio con cui gli americani hanno poi vinto la loro guerra , partì proprio con l’ insediamento di Roosevelt.

La disoccupazione  in USA rimase alta  per  tutti i ‘30. Le  “opere pubbliche”  di Roosevelt  non  erano , come veniva allora  raccontato, realmente   finalizzate  a   “ dare lavoro” ,  ma a costruire  le infrastrutture  che sarebbero  state utili nelle  futura  guerra.

 Ad  esempio la Tennessee Valley Autority   non  restitui  “la terra ai  contadini”,  ma creò  l’  immensa   riserva  di elettricità  poi usata  per  arricchire l’ uranio.

L’essenza  degli USA infatti era già allora    quella   descritta  da Cogan   nel suo monologo  finale    del film  “ Killing  them softly” , un film  talmente penetrante  da non  essere  stato  volutamente   apprezzato.

 E    vale la pena riportare interamente qui  quel monologo  perché  da solo valeva il prezzo  del biglietto.

«“Siamo un solo popolo”: un mito creato da Thomas Jefferson. Amico mio, Jefferson è un santo americano perché ha scritto le parole “tutti gli uomini sono creati uguali“, cosa in cui evidentemente non credeva, visto che fece vivere i suoi figli in schiavitù. Era un ricco enologo stufo di pagare agli inglesi troppe tasse; così scrisse delle belle parole e aizzò la plebaglia, che andò a morire per quelle parole, mentre lui rimaneva a casa a bere il suo vino e a scoparsi la sua schiava. E quello [rivolto a Barack Obama, che sta tenendo un discorso alla nazione dopo la vittoria elettorale] viene a dirmi che viviamo in una comunità? Ma non farmi ridere! Io vivo in America… e in America tu sei solo. L’America non è una nazione, è soltanto affari: e adesso pagami!»

Quindi  quale  è la conclusione?     Che “ci risiamo”.  Anche  questa “crisi”  che intenerisce Monahan    sarà risolta nello  stesso  modo ,  con la differenza  che stavolta  LORO   , “i signori  del denaro”   porteranno  la gente  a morire  “  senza  incentivi”   perché   “il  popolo”   gli  è  ormai  diventato  superfluo   anche per  fare la guerra.

 

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Patria? Alcune idee in ordine sparso_di Ernesto

Non lasciatevi fuorviare dal titolo: questo testo è sostanzialmente una domanda cui si deve cercare di dare una risposta. Il termine patria è particolare: deriva dal latino pater, maschile ma, in italiano, si declina al femminile. I seguaci della cultura liquida dovrebbero apprezzare la circostanza.

Scherzi a parte, mi riallaccio al contributo di WS che trovate qui https://italiaeilmondo.com/2025/10/31/andate-avanti-voi_di-ws/ed al mio commento nel quale chiudevo con la domanda: ci sarà abbastanza realismo nelle pseudo elite italiane rispetto all’evolvere della situazione internazionale con particolare riferimento al teatro Ucraino ed agli ultimi messaggi di Putin?

La situazione italiana mostra da anni, ormai, un completo appiattimento se non servilismo nei confronti delle posizioni di Nato/UE e Usa. Mai una critica una differenziazione una precisazione se non limitata al dichiarato rifiuto di inviare soldati italiani in Ucraina. Ma per tutto il resto piena ed incondizionata approvazione alle decisioni NATO/UE.  Almeno questo è quello che appare  nelle dichiarazioni pubbliche ed a prescindere da chi sia il governante italiano di turno. Da Budapest, invece, ormai da anni, anche prima della crisi Ucraina, giungono sempre differenziazioni ed ora critiche aperte e, inoltre, la creazione di una piattaforma tra Ungheria, slovacchia e repubblica ceca, al fine di elaborare una condotta alternativa alla Nato/Ue rispetto alla crisi Ucraina. Quindi sorge una domanda: che differenza c’è tra Ungheria, ed ex cecoslovacchia e l’Italia? Ed ancora: posto che sia le elezioni Rumene che quelle moldave sono state palesemente alterate, perchè questo giochino non è riuscito nelle tre nazioni anzidette?

Dico la verità: in Orban non vedo una figura di spicco e/o la stazza dello Statista d’eccezione. Tuttavia, è indubbio che abbia sempre assunto posizioni critiche ed autonome rispetto alle rules of life dell’Anglosfera: o almeno, in alcune circostanze nelle quali tali regole erano non coincidenti con l’interesse del suo paese,così è stato. Se guardiamo alla storia dell’Ungheria, troviamo gli aneliti di indipendenza fin da quando faceva parte dell’Impero asburgico ed una indipendenza guadagnata nel 1918 con la dissoluzione di esso. La seconda guerra mondiale la vide alleata dell’Asse fino alla sconfitta ad opera dell’Armata Rossa con successivo ingresso nell’orbita Urss fino al 1991: nel mezzo i fatti del 1956 con la seconda invasione sovietica questa volta per ripristinarne l’orbita attorno all’URSS. Dopo, dissoltasi l’Urss ed il patto di Varsavia, ingresso nell’UE e nella Nato quindi un sostanziale passaggio nell’Anglosfera. Si può quindi dire che, a conti fatti, una vera indipendenza non ci sia mai stata essendo comunque inglobata dentro “alleanze” molto stringenti. E pur tuttavia, i magiari sembrano seguire una loro linea e quindi mi chiedo da dove derivino tali spazi di manovra.  Anche le posizioni riguardo all’immigrazione non sono assolutamente in linea con i dettami universalistici della open society abbracciati dalla UE. E dire che George Soros è proprio di origine ungherese ma non sembra abbia molto seguito nella patria di origine.

Sono consapevole che, qui da noi, il 1991 e poi tangentopoli, hanno radicalmente cambiato lo scenario: la cortina di ferro ha fatto un balzo di mille KM verso est e, quindi, il centro europa, neoassunto nell’anglosfera, poteva avere lo stesso ruolo che ebbe l’Italia tra il 1945 ed il 1991: spazi di manovra maggiori e particolare attenzione da parte del nuovo padrone (gli USA)  quale base di retroguardia dell’ariete Ucraino.

Del resto, il progetto Brezinski, era in piedi da anni ed oggi lo vediamo messo in pratica.

Mutatis Mutandis, quello che fu consentito all’Italia tra il 1945 ed il 1991, seppure entro centri limiti ed in funzione principalmente anti francese e, residualmente, anti inglese, operazione USA tendente ad addomesticare i due alleati vincitori della IIWW (i Francesi che con il Gollismo avevano una deriva eccessivamente autonoma e gli Inglesi ai quali, sostanzialmente, praticarono una fusione per incorporazione mi si passi il termine), dal 1991/1992 è stato consentito al centro europa nel suo complesso (Polonia ed Ungheria in primis) favorendone lo sviluppo economico ed una certa base industriale migliorativa del reddito procapite e conseguente modernizzazione in stile Anglo: questo ovviamente a discapito delle nazioni occidentali, Italia in primis, in un contesto di collaborazione delle stesse Elite occidentali che praticarono la delocalizzazione produttiva nei nuovi assunti dall’Anglosfera nell’Est europa a discapito delle basi industriali nazionali ma con vantaggi di profitto favoriti anche dalla moneta unica. In questo contesto bisognerebbe analizzare  e commentare il ruolo della Germania riunificata e la sua capacità, almeno allora, di guidare questo processo a proprio vantaggio mantenendo una base industriale di tutto rispetto a svantaggio di tutti gli altri in cui il ruolo monetario (l’Euro) non è stato affatto secondario

Però, proprio ora che servirebbero quelle retroguardie, l’Ungheria, se non defeziona del tutto, mette i bastoni tra le ruote: come può permetterselo?

E l’Italia? Con un governo che, almeno di facciata, dovrebbe solidarizzare con le posizioni di Orban, questo disgraziato paese non sembra cogliere nemmeno questa opportunità: così almeno sembrerebbe alla luce dell’ultima visita di Orban di pochi giorni orsono.

Ovviamente non si può sottovalutare la differenza tra le due forme di governo: non conosco il sistema Ungherese nel dettaglio ma la figura del primo ministro sembra avere un peso notevole mentre il nostro sistema costituzionale prevede la figura del Presidente della Repubblica che, come la storia recente conferma, è sostanzialmente un sorvegliante pronto a reindirizzare la politica di qualunque governo entro binari prestabiliti (non vi è giorno che il nostro PdR non esterni la irrevocabilità della scelta UE e Nato e dei valori “occidentali”). La centralità del parlamento, poi, da noi è il veicolo attraverso il quale  maggioranze differenti dal responso elettorale in quanto frutto del noto salto della quaglia, hanno dato spazio a governi tecnici forieri delle peggiori iniziative tutte eterodirette da Washington, Londra e Bruxelles.

Eppure il declino Italiano è palese e l’autocastrazione conseguita dalla decisione di interrompere i rapporti con la Russia è evidente a chiunque.

Qualche tempo fa mi è capitato di vedere un intervista a Enrico Mattei: non saprei collocarla nel tempo ma era ancora in bianco e nero. Mattei raccontava un aneddoto, senza fare nomi, relativo ad una trattativa per la costruzione di una raffineria: Mattei chiudeva l’intervista affermando che gli stranieri intesi come Stati e Mutinazionali, dovevano capire che l’epoca dell’Italia che si approcciava agli altri con il cappello in mano era finita.

So bene la fine che ha fatto Mattei anche, ma non solo, per l’opposizione alle “sette sorelle” e so anche bene che, con l’operazione Tangentopoli, una intera classe politica capace di fare, in qualche modo l’interesse nazionale, è stata cancellata e sostituita da veri e propri incompetenti, quando va bene, ovvero cotonieri (come amava chiamarli il Prof La Grassa) quando va male.

Mi chiedo tuttavia: non è rimasto veramente nulla dell’esperienza di uomini come Mattei?

Ho citato questo esempio non a caso. Mi spiego meglio: dopo la fine della IIWW, l’Italia si trovava in una situazione particolare. Era nazione sconfitta ed aveva uno dei partiti comunisti più grandi d”europa ed a due passi dalla Cortina di ferro. In quel lasso di tempo, il polo di attrazione delle masse era l’appartenenza alle due ideolologie contrapposte: il comunismo ed il liberal capitalismo ed i partiti tradizionali ne erano il collettore: è come se, in tutti quegli anni, si fosse vissuti in un tempo sospeso tra la rivoluzione che sarebbe venuta (seppure con metodi “democratici”) e la sconfitta del comunismo. Nelle more di questo tempo sospeso, in ogni caso, è indiscutibile che il paese si sia evoluto economicamente (da paese rurale a paese industriale) e socialmente. E’ altrettanto innegabile che, tra le due fazioni, si sia sviluppato un certo consociativismo e che il PCI, seppure non formalmente al governo, abbia gestito porzioni di potere.

Quel consociativismo non è stato del tutto negativo: è stato infatti capace, in alcune circostanze, di riconoscere  l’interesse nazionale e l’opera di Mattei ne è, secondo me, un esempio. Ed anche dopo la sua morte, la sua eredità ha consentito la realizzazione del gasdotto tra Europa e Urss cui ha partecipato anche l’Italia che ha così ottenuto una risorsa a basso costo: per quell’accordo, è risaputo,  si mediò attraverso Armando Cossutta i necessari contatti in  URSS e fu invece l’allora Pentapartito a mediare con gli USA i quali bloccarono l’esportazione di alcuni componenti che dovevano essere utilizzati nelle pompe necessarie al gasdotto. Ero poco più di un ragazzino e mio padre, che lavorava all’epoca per l’azienda che necessitava del componente per le pompe che dovevano essere fornite all’ENI, ne discuteva, a sera,  descrivendo le febbrili attività per la ricerca di soluzioni alternative nel mentre l’azienda, che faceva parte di EFIM, si attivava con la parte politica affinchè interagisse con gli Americani.

Come detto tangentopoli spazzò via tutto: fine delle ideologie che costituivano, comunque, polo di attrazione e fine di quel rapporto consociativo nell’interesse della nazione anche se il consociativismo è rimasto ma senza più alcun riferimento all’interesse nazionale. Anzi, direi esattamente l’opposto e cioè un consociativismo contro l’interesse nazionale.

Peraltro, anni di educazione a confondere l’interesse nazionale con il nazionalismo, hanno favorito ciò che poi è avvenuto: il paese, dopo tangentopoli, si è trovato privo di una seppur modesta guida.

Abituati per anni ad emozionarci per la patria solo nelle partite della nazionale di calcio, senza più nemmeno le ideologie, agli Italiani non è rimasto nulla.

E le conseguenze, di tale vuoto, non hanno tardato ad arrivare: panfilo Britannia, privatizzazione di aziende strategiche, liberalizzazione dei servizi, tagli alla spesa sociale, alla spesa per la ricerca, per la scuola e l’università ecc. ecc..

Si ciancia sui giornali di sovranisti ed Orban è indicato tra questi: lui ed il sovranismo sono sostanzialmente rappresentati come fascismo.

E’ quindi chiaro che parlare di patria rischia di essere, in buona o malafede, frainteso.

Tuttavia, faccio comunque le seguenti  domande scomode accollandomi i rischi di fraitendimenti, critiche ed accuse di vetero nazionalismo di ritorno: che cosa è la Patria? Può essere la Patria, una volta definitone il concetto, quella piattaforma ideale capace di creare un senso di appartenenza e di ispirazione? Può essere il filo conduttore di una politica che intenda costruire e difendere una comunità fatta di individui, famiglie, imprese ed apparati statali, in una ottica di interesse generale?

Ripeto e ribadisco: non si tratta di ritornare ai miti novecenteschi o a ideologie superate e sorpassate. Si tratta di trovare un contenitore adatto ad interpretare ed agire, come ente collettivo (lo Stato), nel conflitto strategico internazionale e, nel contempo, interpretare e gestire il conflitto interno tra le varie formazioni sociali che fanno parte dell’Italia: tutto nell’interesse della comunità che la costituisce, della sua autonomia, della sua economia e dei suoi cittadini intesi come complesso di formazioni sociali alle quali, in alcuni casi, dovranno essere chiesti (imposti) sacrifici. Sacrifici alle volte ad alcune Formazioni sociali ed alle volte ad altre formazioni sociali (il nostro WS ha ragione quando ritiene che la vera lotta non sia quella di classe ma il conflitto tra chi per vivere deve lavorare – i molti – e chi invece vive senza dover lavorare – i pochissimi -). Tuttavia compito della politica è quello di imporre anche ai pochi, qualche volta, alcuni sacrifici appunto nell’interesse di tutti.

Non sono in grado di dire se in Ungheria o in Slovacchia o nella Repubblica Ceca, le attuali formazioni politiche, sovraniste o euroscettiche che dir si vogliano, abbiano richiami ideali al concetto di Patria e con quali caratteristiche.

So però che qui, in Italia, l’assenza di un senso di appartenenza, è percepibile ed è terreno fertilissimo per produrre la disgregazione sociale, economica e politica.

In questo senso il vulnus storico di cui soffre l’Italia, dalla caduta dell’impero romano d’occidente, passando per il Medio evo, i comuni, le Signorie, le repubbliche marinare, il rinascimento, gli staterelli vari, il vaticano, fino all’unità nel 1861 nonché, dopo, anche con il ventennio poi seguito dall’epoca repubblicana, è tutta una storia caratterizzata dal perenne intervento esterno e dalla mancanza di una coscienza nazionale che, neppure l’irrendentismo ed il fascismo, sono riusciti a creare.

Insomma, ciò che descrisse il sommo poeta “ahi serva italia di dolore ostello, nave senza nocchier in gran tempesta non donna di provincia ma di bordello” era valido nel 1300 ed è valido ancora oggiusenza alcuna soluzione di continuità.

Se non si trova il modo di creare un rapporto tra enti collettivi (partiti o movimenti o quel che volete) e singoli individui, la massa, che è oggetto mai soggetto, non potrà mai essere il motore, l’energia di un ipotetico cambiamento finalizzato alla costruzione di una comunità, cioè, di una patria.

Chi scrive non ha certo le competenze necessarie allo scopo ma intuisce che in Italia, coloro che fanno parte delle elite politico/economiche, non abbiano alcun senso di appartenenza alla patria: l’attuale classe dirigente, pertanto, non è adatta a prescindere dal colore politico in quanto appositamente scelta tra incompetenti o cotonieri.

Mi chiedo, tuttavia, se tra i così detti intermedi, sia nelle istituzioni che nelle imprese, si possano scorgere barlumi di insofferenza rispetto allo status quo.

Sul punto richiamo una porzione di un recente articolo del Prof Angelo D’Orsi su l’Antidiplomatico, (qui.https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-angelo_dorsi__from_russia_with_love/39602_63351/)  il quale descrivendo un suo recente viaggio in Russia dice: “… mi ha colpito la presenza di tutti i grandi brand della moda europei e italiani in specie: Armani, Boggi, Luisa Spagnoli, Calzedonia, Stefano Ricci, Bottega Veneta, e via seguitando. Nel mio hotel (dove tutta la biancheria è etichettata Frette), c’è un meeting di imprenditori europei, con alcuni italiani: mi avvicino e provo a chiacchierare. Non preciso il settore, perché i miei interlocutori non vogliono essere sanzionati, ma mi spiegano che loro e pressocché tutti i colleghi imprenditori hanno messo a punto sistemi vari che consentono di sfuggire ai controlli sanzionatori, e continuare a fare affari in Russia. Uno di loro, sbotta: “Ma secondo lei io devo smettere di vendere ai russi perché lo dice la von der Leyen?! E la libertà di cui ciancia Draghi non è innanzi tutto quella di commerciare? Per sopravvivere, per far girare l’economia, e quindi far bene al nostro Paese!… Se io non vendo smetto di produrre, e licenzio i miei operai e impiegati. È questo che vogliono?!”. Si infervora e gli scappa qualche bestemmia. E mi saluta con un definitivo: “Questi sono pazzi o cretini, creda a me!”.Alcune aziende hanno seguito un’astuta strategia che potrei definire “di distrazione” cambiando le denominazioni ma continuando a vendere i prodotti di prima. Altre hanno delocalizzato o i luoghi di produzione o di vendita…..”

Quindi un embrione di fronda, forse, esiste.

Si tratta solo di capire se può emergere o come farla emergere.

Patria? Alcune idee in ordine sparso.

Non lasciatevi fuorviare dal titolo: questo testo è sostanzialmente una domanda cui si deve cercare di dare una risposta. Il termine patria è particolare: deriva dal latino pater, maschile ma, in italiano, si declina al femminile. I seguaci della cultura liquida dovrebbero apprezzare la circostanza.

Scherzi a parte, mi riallaccio al contributo di WS che trovare qui https://italiaeilmondo.com/2025/10/31/andate-avanti-voi_di-ws/ed al mio commento nel quale chiudevo con la domanda: ci sarà abbastanza realismo nelle pseudo elite italiane rispetto all’evolvere della situazione internazionale con particolare riferimento al teatro Ucraino ed agli ultimi messaggi di Putin?

La situazione italiana mostra da anni, ormai, un completo appiattimento se non servilismo nei confronti delle posizioni di Nato/UE e Usa. Mai una critica una differenziazione una precisazione se non limitata al dichiarato rifiuto di inviare soldati italiani in Ucraina. Ma per tutto il resto piena ed incondizionata approvazione alle decisioni NATO/UE.  Almeno questo è quello che appare  nelle dichiarazioni pubbliche ed a prescindere da chi sia il governante italiano di turno. Da Budapest, invece, ormai da anni, anche prima della crisi Ucraina, giungono sempre differenziazioni ed ora critiche aperte e, inoltre, la creazione di una piattaforma tra Ungheria, slovacchia e repubblica ceca, al fine di elaborare una condotta alternativa alla Nato/Ue rispetto alla crisi Ucraina. Quindi sorge una domanda: che differenza c’è tra Ungheria, ed ex cecoslovacchia e l’Italia? Ed ancora: posto che sia le elezioni Rumene che quelle moldave sono state palesemente alterate, perchè questo giochino non è riuscito nelle tre nazioni anzidette?

Dico la verità: in Orban non vedo una figura di spicco e/o la stazza dello Statista d’eccezione. Tuttavia, è indubbio che abbia sempre assunto posizioni critiche ed autonome rispetto alle rules of life dell’Anglosfera: o almeno, in alcune circostanze nelle quali tali regole erano non coincidenti con l’interesse del suo paese,così è stato. Se guardiamo alla storia dell’Ungheria, troviamo gli aneliti di indipendenza fin da quando faceva parte dell’Impero asburgico ed una indipendenza guadagnata nel 1918 con la dissoluzione di esso. La seconda guerra mondiale la vide alleata dell’Asse fino alla sconfitta ad opera dell’Armata Rossa con successivo ingresso nell’orbita Urss fino al 1991: nel mezzo i fatti del 1956 con la seconda invasione sovietica questa volta per ripristinarne l’orbita attorno all’URSS. Dopo, dissoltasi l’Urss ed il patto di Varsavia, ingresso nell’UE e nella Nato quindi un sostanziale passaggio nell’Anglosfera. Si può quindi dire che, a conti fatti, una vera indipendenza non ci sia mai stata essendo comunque inglobata dentro “alleanze” molto stringenti. E pur tuttavia, i magiari sembrano seguire una loro linea e quindi mi chiedo da dove derivino tali spazi di manovra.  Anche le posizioni riguardo all’immigrazione non sono assolutamente in linea con i dettami universalistici della open society abbracciati dalla UE. E dire che George Soros è proprio di origine ungherese ma non sembra abbia molto seguito nella patria di origine.

Sono consapevole che, qui da noi, il 1991 e poi tangentopoli, hanno radicalmente cambiato lo scenario: la cortina di ferro ha fatto un balzo di mille KM verso est e, quindi, il centro europa, neoassunto nell’anglosfera, poteva avere lo stesso ruolo che ebbe l’Italia tra il 1945 ed il 1991: spazi di manovra maggiori e particolare attenzione da parte del nuovo padrone (gli USA)  quale base di retroguardia dell’ariete Ucraino.

Del resto, il progetto Brezinski, era in piedi da anni ed oggi lo vediamo messo in pratica.

Mutatis Mutandis, quello che fu consentito all’Italia tra il 1945 ed il 1991, seppure entro centri limiti ed in funzione principalmente anti francese e, residualmente, anti inglese, operazione USA tendente ad addomesticare i due alleati vincitori della IIWW (i Francesi che con il Gollismo avevano una deriva eccessivamente autonoma e gli Inglesi ai quali, sostanzialmente, praticarono una fusione per incorporazione mi si passi il termine), dal 1991/1992 è stato consentito al centro europa nel suo complesso (Polonia ed Ungheria in primis) favorendone lo sviluppo economico ed una certa base industriale migliorativa del reddito procapite e conseguente modernizzazione in stile Anglo: questo ovviamente a discapito delle nazioni occidentali, Italia in primis, in un contesto di collaborazione delle stese Elite occidentali che praticarono la delocalizzazione produttiva nei nuovi assunti dall’Anglosfera nell’Est europa a discapito delle basi industriali nazionali ma con vantaggi di profitto favoriti anche dalla moneta unica. In questo contesto bisognerebbe analizzare  e commentare il ruolo della Germania riunificata e la sua capacità, almeno allora, di guidare questo processo a proprio vantaggio mantenendo una base industriale di tutto rispetto a svantaggio di tutti gli altri in cui il ruolo monetario (l’Euro) non è stato affatto secondario

Però, proprio ora che servirebbero quelle retroguardie, l’Ungheria, se non defeziona del tutto, mette i bastoni tra le ruote: come può permetterselo?

E l’Italia? Con un governo che, almeno di facciata, dovrebbe solidarizzare con le posizioni di Orban, questo disgraziato paese non sembra cogliere nemmeno questa opportunità: così almeno sembrerebbe alla luce dell’ultima visita di Orban di pochi giorni orsono.

Ovviamente non si può sottovalutare la differenza tra le due forme di governo: non conosco il sistema Ungherese nel dettaglio ma la figura del primo ministro sembra avere un peso notevole mentre il nostro sistema costituzionale prevede la figura del Presidente della Repubblica che, come la storia recente conferma, è sostanzialmente un sorvegliante pronto a reindirizzare la politica di qualunque governo entro binari prestabiliti (non vi è giorno che il nostro PdR non esterni la irrevocabilità della scelta UE e Nato e dei valori “occidentali”). La centralità del parlamento, poi, da noi è il veicolo attraverso il quale  maggioranze differenti dal responso elettorale in quanto frutto del noto salto della quaglia, hanno dato spazio a governi tecnici forieri delle peggiori iniziative tutte eterodirette da Washington, Londra e Bruxelles.

Eppure il declino Italiano è palese e l’autocastrazione conseguita dalla decisione di interrompere i rapporti con la Russia è evidente a chiunque.

Qualche tempo fa mi è capitato di vedere un intervista a Enrico Mattei: non saprei collocarla nel tempo ma era ancora in bianco e nero. Mattei raccontava un aneddoto, senza fare nomi, relativo ad una trattativa per la costruzione di una raffineria: Mattei chiudeva l’intervista affermando che gli stranieri intesi come Stati e Mutinazionali, dovevano capire che l’epoca dell’Italia che si approcciava agli altri con il cappello in mano era finita.

So bene la fine che ha fatto Mattei anche, ma non solo, per l’opposizione alle “sette sorelle” e so anche bene che, con l’operazione Tangentopoli, una intera classe politica capace di fare, in qualche modo l’interesse nazionale, è stata cancellata e sostituita da veri e propri incompetenti, quando va bene, ovvero cotonieri (come amava chiamarli il Prof La Grassa) quando va male.

Mi chiedo tuttavia: non è rimasto veramente nulla dell’esperienza di uomini come Mattei?

Ho citato questo esempio non a caso. Mi spiego meglio: dopo la fine della IIWW, l’Italia si trovava in una situazione particolare. Era nazione sconfitta ed aveva uno dei partiti comunisti più grandi d”europa ed a due passi dalla Cortina di ferro. In quel lasso di tempo, il polo di attrazione delle masse era l’appartenenza alle due ideolologie contrapposte: il comunismo ed il liberal capitalismo ed i partiti tradizionali ne erano il collettore: è come se, in tutti quegli anni, si fosse vissuti in un tempo sospeso tra la rivoluzione che sarebbe venuta (seppure con metodi “democratici”) e la sconfitta del comunismo. Nelle more di questo tempo sospeso, in ogni caso, è indiscutibile che il paese si sia evoluto economicamente (da paese rurale a paese industriale) e socialmente. E’ altrettanto innegabile che, tra le due fazioni, si sia sviluppato un certo consociativismo e che il PCI, seppure non formalmente al governo, abbia gestito porzioni di potere.

Quel consociativismo non è stato del tutto negativo: è stato infatti capace, in alcune circostanze, di riconoscere  l’interesse nazionale e l’opera di Mattei ne è, secondo me, un esempio. Ed anche dopo la sua morte, la sua eredità ha consentito la realizzazione del gasdotto tra Europa e Urss cui ha partecipato anche l’Italia che ha così ottenuto una risorsa a basso costo: per quell’accordo, è risaputo,  si mediò attraverso Armando Cossutta i necessari contatti in  URSS e fu invece l’allora Pentapartito a mediare con gli USA i quali bloccarono l’esportazione di alcuni componenti che dovevano essere utilizzati nelle pompe necessarie al gasdotto. Ero poco più di un ragazzino e mio padre, che lavorava all’epoca per l’azienda che necessitava del componente per le pompe che dovevano essere fornite all’ENI, ne discuteva, a sera,  descrivendo le febbrili attività per la ricerca di soluzioni alternative nel mentre l’azienda, che faceva parte di EFIM, si attivava con la parte politica affinchè interagisse con gli Americani.

Come detto tangentopoli spazzò via tutto: fine delle ideologie che costituivano, comunque, polo di attrazione e fine di quel rapporto consociativo nell’interesse della nazione anche se il consociativismo è rimasto ma senza più alcun riferimento all’interesse nazionale. Anzi, direi esattamente l’opposto e cioè un consociativismo contro l’interesse nazionale.

Peraltro, anni di educazione a confondere l’interesse nazionale con il nazionalismo, hanno favorito ciò che poi è avvenuto: il paese, dopo tangentopoli, si è trovato privo di una seppur modesta guida.

Abituati per anni ad emozionarci per la patria solo nelle partite della nazionale di calcio, senza più nemmeno le ideologie, agli Italiani non è rimasto nulla.

E le conseguenze, di tale vuoto, non hanno tardato ad arrivare: panfilo Britannia, privatizzazione di aziende strategiche, liberalizzazione dei servizi, tagli alla spesa sociale, alla spesa per la ricerca, per la scuola e l’università ecc. ecc..

Si ciancia sui giornali di sovranisti ed Orban è indicato tra questi: lui ed il sovranismo sono sostanzialmente rappresentati come fascismo.

E’ quindi chiaro che parlare di patria rischia di essere, in buona o malafede, frainteso.

Tuttavia, faccio comunque le seguenti  domande scomode accollandomi i rischi di fraitendimenti, critiche ed accuse di vetero nazionalismo di ritorno: che cosa è la Patria? Può essere la Patria, una volta definitone il concetto, quella piattaforma ideale capace di creare un senso di appartenenza e di ispirazione? Può essere il filo conduttore di una politica che intenda costruire e difendere una comunità fatta di individui, famiglie, imprese ed apparati statali, in una ottica di interesse generale?

Ripeto e ribadisco: non si tratta di ritornare ai miti novecenteschi o a ideologie superate e sorpassate. Si tratta di trovare un contenitore adatto ad interpretare ed agire, come ente collettivo (lo Stato), nel conflitto strategico internazionale e, nel contempo, interpretare e gestire il conflitto interno tra le varie formazioni sociali che fanno parte dell’Italia: tutto nell’interesse della comunità che la costituisce, della sua autonomia, della sua economia e dei suoi cittadini intesi come complesso di formazioni sociali alle quali, in alcuni casi, dovranno essere chiesti (imposti) sacrifici. Sacrifici alle volte ad alcune Formazioni sociali ed alle volte ad altre formazioni sociali (il nostro WS ha ragione quando ritiene che la vera lotta non sia quella di classe ma il conflitto tra chi per vivere deve lavorare – i molti – e chi invece vive senza dover lavorare – i pochissimi -). Tuttavia compito della politica è quello di imporre anche ai pochi, qualche volta, alcuni sacrifici appunto nell’interesse di tutti.

Non sono in grado di dire se in Ungheria o in Slovacchia o nella Repubblica Ceca, le attuali formazioni politiche, sovraniste o euroscettiche che dir si vogliano, abbiano richiami ideali al concetto di Patria e con quali caratteristiche.

So però che qui, in Italia, l’assenza di un senso di appartenenza, è percepibile ed è terreno fertilissimo per produrre la disgregazione sociale, economica e politica.

In questo senso il vulnus storico di cui soffre l’Italia, dalla caduta dell’impero romano d’occidente, passando per il Medio evo, i comuni, le Signorie, le repubbliche marinare, il rinascimento, gli staterelli vari, il vaticano, fino all’unità nel 1861 nonché, dopo, anche con il ventennio poi seguito dall’epoca repubblicana, è tutta una storia caratterizzata dal perenne intervento esterno e dalla mancanza di una coscienza nazionale che, neppure l’irrendentismo ed il fascismo, sono riusciti a creare.

Insomma, ciò che descrisse il sommo poeta “ahi serva italia di dolore ostello, nave senza nocchier in gran tempesta non donna di provincia ma di bordello” era valido nel 1300 ed è valido ancora oggiusenza alcuna soluzione di continuità.

Se non si trova il modo di creare un rapporto tra enti collettivi (partiti o movimenti o quel che volete) e singoli individui, la massa, che è oggetto mai soggetto, non potrà mai essere il motore, l’energia di un ipotetico cambiamento finalizzato alla costruzione di una comunità, cioè, di una patria.

Chi scrive non ha certo le competenze necessarie allo scopo ma intuisce che in Italia, coloro che fanno parte delle elite politico/economiche, non abbiano alcun senso di appartenenza alla patria: l’attuale classe dirigente, pertanto, non è adatta a prescindere dal colore politico in quanto appositamente scelta tra incompetenti o cotonieri.

Mi chiedo, tuttavia, se tra i così detti intermedi, sia nelle istituzioni che nelle imprese, si possano scorgere barlumi di insofferenza rispetto allo status quo.

Sul punto richiamo una porzione di un recente articolo del Prof Angelo D’Orsi su l’Antidiplomatico, (qui.https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-angelo_dorsi__from_russia_with_love/39602_63351/)  il quale descrivendo un suo recente viaggio in Russia dice: “… mi ha colpito la presenza di tutti i grandi brand della moda europei e italiani in specie: Armani, Boggi, Luisa Spagnoli, Calzedonia, Stefano Ricci, Bottega Veneta, e via seguitando. Nel mio hotel (dove tutta la biancheria è etichettata Frette), c’è un meeting di imprenditori europei, con alcuni italiani: mi avvicino e provo a chiacchierare. Non preciso il settore, perché i miei interlocutori non vogliono essere sanzionati, ma mi spiegano che loro e pressocché tutti i colleghi imprenditori hanno messo a punto sistemi vari che consentono di sfuggire ai controlli sanzionatori, e continuare a fare affari in Russia. Uno di loro, sbotta: “Ma secondo lei io devo smettere di vendere ai russi perché lo dice la von der Leyen?! E la libertà di cui ciancia Draghi non è innanzi tutto quella di commerciare? Per sopravvivere, per far girare l’economia, e quindi far bene al nostro Paese!… Se io non vendo smetto di produrre, e licenzio i miei operai e impiegati. È questo che vogliono?!”. Si infervora e gli scappa qualche bestemmia. E mi saluta con un definitivo: “Questi sono pazzi o cretini, creda a me!”.Alcune aziende hanno seguito un’astuta strategia che potrei definire “di distrazione” cambiando le denominazioni ma continuando a vendere i prodotti di prima. Altre hanno delocalizzato o i luoghi di produzione o di vendita…..”

Quindi un embrione di fronda, forse, esiste.

Si tratta solo di capire se può emergere o come farla emergere.

Di ritorno dal Sol Levante_di Daniele Lanza

DI RITORNO DAL SOL LEVANTE…….**

Si può ritenere che equilibri e dinamiche si siano assestati.

Nel mentre che a Pokrovsk – ora Myrnograd – si consuma l’epilogo del maggiore fatto d’armi del 2025 sul fronte ucraino (analogo a Bakhmut oltre 2 anni orsono), il presidente statunitense ha cercato di bilanciare a modo suo in estremo oriente (….).

In pratica non potendo far nulla di concreto per impedire la disfatta Ucraina sul campo – e non essendo riuscito settimane fa a far ragionare Zelensky facendogli presente la situazione – non gli rimane che far pressione sulla Russia………operazione tutt’altro che semplice o scontata: pressione economica diretta la stanno GIA’ facendo da oltre 3 anni (in realtà sin dal 2014), e ai paesi europei non si può chiedere nulla di più dal momento che hanno GIA’ applicato ogni sanzione loro possibile.

Trump non può chiedere all’occidente di isolare la Russia per il fatto che l’intero occidente è già avversario di Mosca e ha GIA’ isolato la Russia (la quale del resto ha imparato a vivere senza Bruxelles/Londra et affini) e più di così non può farle. Cosa rimane da fare ? Ne rimane solo una anche se estrema: rivolgersi alla cintura di paesi amici di Mosca (quelli del Brics), quelli al di fuori della benestante civiltà occidentale che sono rimasti attorno alla Russia aiutandola a rimanere in piedi malgrado l’assedio economico (che avrebbe eliminato dal gioco qualsiasi stato). Tali pesi tuttavia sono, per l’appunto, AMICI e SOLIDALI con Mosca, per consolidata tradizione………e non bastano sorrisini e pacche sulle spalle per fargli cambiare una politica ventennale di partnership con la Russia. Aggiungendo che l’amministrazione Trump dal suo insediamento ha promesso parecchi dazi a Cina ed altri paesi emergenti il che rende imbarazzante domandare particolari favori.

Nè sarebbe prudente la tattica della minaccia diretta (tipica di Washington), che inasprirebbe il dialogo quando invece ce n’è maggiormente bisogno (…).

Insomma, il quadro è giustamente da definirsi complesso.

IN GENERALE………..D. Trump rientra dal grande meeting di Busan con poco in mano. Alla Cina ha dovuto per forza di cosa abbassare i dazi anche solo per INIZIARE qualcosa che somigli ad un dialogo (già tanto)….lontani anni luce dal convincere Pechino a girar le spalle all’alleato russo. Il tanto atteso incontro Trump-XI Jinping (al posto del mancato incontro Trump-Putin di Budapest) in parole altre non ha concluso molto: Washington proclama – moderatamente – un successo, che in realtà è una specie di nulla di fatto……Cina e USA attenuano le tensioni ridefinendo il proprio rapporto in una serie di intese commerciali che non vedono alcun vincitore sostanzialmente, ma solo puntellano la situazione onde evitare conflitti troppo marcati. Inoltre nè Cina nè India nè il Giappone stesso (più stretto alleato che Washington abbia) hanno affermato che smetteranno di acquistare petrolio russo: l’arma più forte di pressione che si sarebbe potuta usare, in realtà non c’è, non si concretizza.

A parte questo, sembra che del fronte ucraino non si sia nemmeno parlato (cioè, lo si è sicuramente fatto, ma non pubblicamente e per un lasso di tempo brevissimo: e il fatto che il presidente americano di ritorno da Busan non vi faccia accenno può essere un segnale di quanto sia stato inconcludente): era del resto chiaro sin dal principio che non sarebbe stato cosa molto semplice chiedere ad uno stato rivale di fare pressioni su un proprio alleato (controsenso), considerando poi che la Cina è uno dei pochi stati al mondo su cui non si possa usare la forza o ricatti diretti (…).

Trump si dice persino pronto a incontrare in Nord Corea Kim (?!?) e questa è la nota più colorita del viaggio (ammesso che fosse serio): l’uscita mette in luce lo stato di frustrazione della stessa politica estera americana che non sa più a quale santo votarsi……..DEVONO far pressione sulla Russia per non perdere la faccia davanti a tutto l’occidente che se lo aspetta (il ruolo a stelle e strisce è questo, fare lo sceriffo), solo che si trovano davanti a “clienti del saloon” che non possono spostare con i mezzi abituali: occorrerebbe una GUERRA, che però non possono fare.

Questo è quanto.

Trump dal canto suo ha perlomeno assolto il suo dovere di fronte all’opinione pubblica e potrò dire di aver fatto tutto quello che poteva per far pressione su Mosca e quindi alleggerire la posizione di Kiev. D’altro canto aveva AVVERTITO Zelensky 2 settimane orsono, tirando in aria le sue cartine topografiche preannunciandogli quello che sarebbe successo: il presidente ucraino non può quindi recarsi da lui a piangere, dato che partirebbe un sonoro “TE L’AVEVO DETTO…..” e ulteriori intimazioni a cedere il Donbass diplomaticamente.

Il guaio è però anche che il tempo stringe: tra 1 anno a quest’epoca NON vi sarà più un Donbass perchè sarà stato già conquistato (e pertanto le richieste di Mosca riguarderanno ulteriori territori oltre il Donbass….oppure un riconoscimento DE JURE che Kiev rifiuta di dare).

Anche lì, Trump potrà dire:” Ho fatto tutto quello che potevo per aiutarti. Oltre era impossibile: il resto sta a te” (ed è qui che inizia la tragedia: che tutto dipende da Zelensky e la sua cricca da ora in poi).

Conclusione…

Tanto fumo e niente arrosto per la sortita americana in estremo oriente: essa era DI FATTO la vera controffensiva alla vittoria russa a Pokrovsk……ovvero cercare di bilanciare la vittoria russa sul campo con una SCONFITTA sul piano economico internazionale, tagliandole via il partenariato sino-indiano (e pure il Giappone). Insomma il punto è sempre il medesimo: si cerca spasmodicamente questa “sconfitta strategica della Russia” (il concetto è scolpito nei neuroni dei policy maker angloamericani) in qualsiasi luogo e forma sia possibile ottenerla. Sfortunatamente per Washington non è stata ottenuta nemmeno a Busan in Corea (sarebbe stato difficile trovarla del resto): nel frattempo……la linea ucraina del fronte si sta disgregando in modo accelerato.

“Palla in mano” a Kiev ora (per sfortuna degli ucraini stessi: questo perchè la “Volpe”, rassicurata dai leader europei – che promettono cosa non possono mantenere – opterà per resistere ad oltranza, sulla pelle dei propri coscritti…..finchè ce ne sono.

FINE

28 OTTOBRE – IN HOC SIGNO VINCES

E l’Impero divenne cristiano. (Leggersela che conviene*)

Tra mito e realtà: sono passati oltre 300 anni dalla nascita di Cristo, i suoi seguaci si sono organizzati in una chiesa che nel corso del tempo – di centinaia di anni – si è sviluppata e ramificata in tutto l’ecumene di lingua latina e greca. Eppure sempre in stato di semi-legalità: lo stato li tollera come il caldo d’estate…….una setta (ormai di massa quanto a dimensioni) che rigetta il materialismo vittorioso della romanitas per promuovere una più beata e riflessiva dimensione meditativa che consola gli ultimi e premia il fondo della società. Il mondo alla rovescia insomma, visto con occhi pagani.

Poi arriva il momento…….

Diocleziano, impagabile riformatore dell’impero nel 3° secolo, alla sua scomparsa (305 D.C.) lascia un potere politico instabile che vede 2 campioni contendersi lo scettro: MASSENZIO e COSTANTINO.

Il primo tra i due riesce a farsi eleggere imperatore, ma non viene considerato tale fintanto che non affronta il rivale, il che avviene puntualmente 5 anni più tardi, che viene a cadere nel 312.

La guerra e breve: Costantino mette assieme un esercito nelle Gallie e scende in Italia sconfiggendo in 2 grandi battaglie i generali di Massenzio, il quel si barrica a Roma, pianificando di non uscirne.

La reazione popolare fa tuttavia comprendere a Massenzio che nascondersi all’avversario è la cosa peggiore se si vuole essere riconosciuti nel ruolo di imperatore: inoltre un oracolo gli comunica che “il 28 OTTOBRE morirà il nemico dei romani” (Massenzio interpreta la cosa come riferita a Costantino, naturalmente…..)

MORALE =

Nel giorno in questione in due rivali si affrontano sul campo, apertamente: l’esercito di Massenzio è travolto e lui annegato nel fiume (verrà poi ripescato il corpo e decapitato).

COSTANTINO……….si ritrova indiscusso sovrano di tutto lo spazio imperiale d’occidente, ma soprattutto portatore di una nuova IDEA.

Gli storici contemporanei sono arrivati razionalmente alla conclusione che Costantino ancora non aveva realmente abbracciato la cristianità (proveniente lui in fondo da una civiltà pre-cristiana), nè si è certi al 100% in merito al SOGNO che avrebbe rivelato il sostegno divino a Costantino ispirandolo nella battaglia (…): è assai probabile che il segno delle iniziali di Cristo sugli scudi dei propri legionari sia un’invenzione (non è riportato da nessuno se non due fonti a lui fedeli).

Tuttavia, quali che fossero le convinzioni reali dell’uomo………con lui inizia la storia della cristianità LEGALE: mentre Massenzio contava di ripristinare l’antica religione romana mantenendo nella semilegalità il culto cristiano, Costantino I prende la decisione storica di renderlo legale. Forse aveva intuito il futuro ?

Ai tempi dei fatti esposti – rammentiamo – la cristianità equivaleva a circa il 10% della popolazione dell’impero: una minoranza energica, ma pur sempre una minuscola frazione della società.

Volle Costantino essere magnanimo con essi ? Immaginava lui che rendendo la loro chiesa legale, si sarebbe prodotto nel giro del secolo in corso un capovolgimento demografico che l’avrebbe resa maggioritaria ed alla fine addirittura esclusiva ?? (con Teodosio diventa culto unico – 380 dopo Cristo – e quelli pagani vengono banditi 395 D.C.). O forse voleva solo essere generoso con una comunità con la quale non era in conflitto e verso la quale sentiva un mistico ed irrazionale senso di riconoscenza ? Non immaginandosi cosa sarebbe avvenuto dopo ?

Insomma nel giro di 1 SECOLO, muta radicalmente l’identità stessa della romanità, così come era stata concepita sin dai suoi albori: si tingeva di oriente (il cristianesimo ERA oriente per i romani, una corrente dell’ebraismo universalizzatasi – con Paolo – per attecchire tra gli stranieri in particolare europei).

Immaginava Costantino tutto questo, sino in fondo ? Avrebbe approvato ? Nessuno lo saprà mai.

Sarà celebrato a posteriori come colui che cristianizzò l’impero (questo è inesatto a rigore di logica): ma così va il mondo……..la storia spesso la fanno coloro che NON SANNO di farla o meglio non lo sanno sino in fondo. Non hanno immaginazione completa delle conseguenze di un atto (del quale poi saranno considerati eroi e santi….agli occhi di coloro che ne beneficiano).

Interessante, sempre attuale riflessione.

Chi ci sta attorno può amarci (o odiarci) per qualcosa che abbiamo fatto o detto……….ma magari senza che noi la intendessimo per davvero e senza che volessimo sortire tale effetto (magari una cosa fatta involontariamente, addirittura).

Nell’ordine di grandezza della storia, il medesimo fenomeno si replica ma su scala ciclopica: i nostri posteri ci ameranno e odieranno per le nostre azioni e gli effetti che hanno avuto nelle loro vite (anche se magari tali effetti non erano stati da noi precisamente pianificati e si sono prodotti al di là del nostro preciso intento, più casualmente di quanto ci verrà attribuito molto tempo più tardi. Siamo quindi ricordati ed amati (o odiati) non tanto per l’intenzione teorica o il pensiero, quanto per il fatto concreto, l’unico che davvero RESTA, che abbiamo attuato, consapevolmente o meno, nel bene o nel male.

STOP.