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Inizia il crollo: le forze russe guidano la più grande avanzata in un solo giorno dall’inizio della guerra, di Simplicius

Inizia il crollo: le forze russe guidano la più grande avanzata in un solo giorno dall’inizio della guerra

Simplicius 13 agosto∙A pagamento
 
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Beh, alla fine è successo. Le linee ucraine hanno subito quella che potrebbe essere la loro prima grave breccia fino alla profondità operativa, o quasi, quando le forze russe hanno avanzato fino a 20 km a nord di Pokrovsk. Ma la realtà è molto più complessa di così.

Le truppe russe si erano accumulate lì in piccole sacche dalla fine di luglio, preparando il terreno. È scoppiato un acceso dibattito sul fatto che si tratti di “DRG” o di soldati regolari, poiché i resoconti ucraini hanno pigramente etichettato come “DRG” tutto ciò che penetrava la prima linea di difesa, ma in realtà si tratta per lo più di truppe regolari che si sono semplicemente accumulate in una parte indebolita del fronte.

I punti caldi sul fronte, dove sono previsti gli assalti principali, agiscono come una sorta di forza gravitazionale, attirando tutto verso di sé e sottraendo risorse e rinforzi al settore dai fronti vicini con priorità inferiore.

Come potete vedere qui sotto, le linee gialle rappresentano le operazioni di avanzata russe attive, mentre le linee blu rappresentano le risorse ucraine mobilitate per colmare le lacune e arginare il flusso. Tuttavia, queste risorse vengono sottratte a un’area non prioritaria che quindi “esplode” in avanti (linea rossa), a condizione che l’intelligence russa sia sufficientemente consapevole delle carenze operative ucraine in questo settore:

Grazie alla crescente capacità russa, ne sono ben consapevoli. Da notare quanto segue per in seguito:

Ma partiamo dall’inizio e suddividiamo questo rapporto in due sezioni: prima il SitRep di base, semplice e diretto, e poi un’analisi più approfondita delle tattiche effettivamente utilizzate, nonché la prognosi della situazione e le prospettive future.

Innanzitutto, ciò che sappiamo, o almeno sospettiamo fortemente:

Le aree cerchiate in rosso sono le nuove avanzate russe verificate. Quelle che si dirigono verso ovest, in direzione di Pokrovsk, hanno chiaramente l’obiettivo di tagliare la strada principale Dobropillya-Pokrovsk, che è una delle ultime due MRS (Main Supply Route, rotta di rifornimento principale) rimaste in quella zona. L’altra rotta E50 che si dirige a nord-ovest verso Pavlograd è praticamente già sotto il controllo del fuoco, o almeno in parte.

Naturalmente, tra questi ci sono molti campi e piccole strade sterrate non ufficiali, ma non sono mai così praticabili, soprattutto per i mezzi pesanti. Abbiamo già affrontato questa situazione molte volte, da Bakhmut ad Avdeevka, se ricordate. Durante la Rasputitsa, quei campi e quelle strade secondarie sono un incubo ancora più grande per la logistica, ma non siamo ancora arrivati a quel punto.

Secondo fonti ucraine, diverse unità “d’élite” sono state immediatamente inviate come misura d’emergenza per fermare l’avanzata. Tra queste figurerebbero la 92ª Brigata d’assalto, la 4ª Brigata della Guardia Nazionale e la 12ª Brigata delle Forze Speciali “Azov”, parte del 1° Corpo “Azov” guidato dal famigerato Prokopenko:

Per chi se lo stesse chiedendo, Azov è stato riorganizzato in un’unità molto più grande della Guardia Nazionale, ma la brigata centrale di questa unità è quella che è stata inviata a presidiare l’area dell’autostrada Dobropillya-Kramatorsk, appena a nord e nord-ovest della breccia di Zoloti Kolodyaz.

Le implicazioni di questa svolta in corso sono così numerose e varie che potrebbero riempire diversi articoli. Ma, per riassumere, non solo l’area di Pokrovsk è minacciata, ma anche il più ampio agglomerato di Kramatorsk è gravemente minacciato dal taglio dell’autostrada sopra citata:

Questo è particolarmente vero considerando che anche il fronte Lyman a nord di Slavyansk sta subendo forti pressioni, con numerose conquiste recenti che stanno iniziando ad avvicinarsi alle vecchie linee pre-Slavyansk.

Ad esempio, secondo quanto riferito, Torske è stata finalmente isolata e le forze russe si stanno già dirigendo più a ovest:

E a nord di Torske, le forze russe si sono mosse ancora più rapidamente nell’area a sud di Ridkodub.

L’altra importante implicazione è quella di una svolta operativa, con notizie che riferiscono che la Russia avrebbe sfondato le retrovie dell’ultima importante linea di fortificazioni ucraine nella regione di Donetsk:

Tenete presente che la mappa sopra riportata è molto più ottimistica di altre e che la Russia potrebbe non aver ancora tagliato questa autostrada, come si può vedere dalle precedenti mappe di Suriyak, ma lo scopriremo presto. Inoltre, fonti ucraine affermano che gran parte dell’avanzata russa è ora respinta dai rinforzi “d’élite” inviati nella zona.

Va inoltre ricordato che durante tutto questo tempo le forze russe hanno continuato ad avanzare nella città di Pokrovsk, già in fase di isolamento. Lo stesso vale per la zona orientale vicino a Mirnograd, dove le forze russe sono state localizzate mentre irrompevano nei primi isolati di Rodinske e conquistavano una parte di Chervoni Lyman, appena sotto:

È quasi certo che il prossimo obiettivo sarà quello di separare completamente Mirnograd da Pokrovsk tagliando la strada principale, dopodiché Mirnograd crollerà:

Inoltre, sebbene le forze russe abbiano secondo quanto riferito conquistato Nova Shakhove, anche se ciò non è ancora stato completamente verificato e potrebbe trattarsi di unità avanzate che si ritireranno, circolano anche voci secondo cui le “DRG” russe sarebbero già operative alla periferia della città strategica di Dobropillya:

Fonti interne ucraine in preda al panico hanno affermato che alla città restano “due giorni”:

Un aggiornamento dal campo di battaglia non sarebbe completo senza l’immancabile post di Jihad Julian:

Infine, l’analista ucraino Myroshnykov completa il quadro di quanto accaduto, con qualche illusoria speranza come contorno, in particolare la sua conferma della semantica “DRG”:

La situazione operativa-tattica nella direzione di Pokrovsk si sta gradualmente avvicinando a un punto in cui Pokrovsk e Myrnohrad non saranno più salvabili.

Finora la situazione non è ancora arrivata a quel punto. Il momento critico non è ancora arrivato. Ma purtroppo, al momento, tutto sta andando in quella direzione.

L’agglomerato può ancora essere salvato.

Ma questo non si ottiene con assalti frontali, tentativi che sono già stati fatti dalla nostra parte! Il nemico si è adattato da tempo a questo tipo di strategia.

Mando un grande “saluto” a coloro che stanno sacrificando le migliori unità in attacchi frontali senza senso.

Inoltre, c’è caos nel comando a causa del trasferimento delle zone di responsabilità dalla direzione dell’OTU al corpo.

Perché alcuni non riescono a mettersi d’accordo sull’assegnazione delle unità annesse al corpo, non riescono a mettersi d’accordo sui confini esatti delle zone di responsabilità e su molte altre questioni burocratiche.

E spesso le unità annesse svolgono compiti impartiti dal comando di due corpi.

E il nemico colpisce ai punti di congiunzione dei corpi, e entrambi i corpi si precipitano contemporaneamente a “spegnere il fuoco”. Ma le risorse non sono illimitate, e l’occupante ne approfitta volentieri.

Questo è ciò che è accaduto nella direzione Pokrovsko-Dobropilskyi.

L’occupante ha colpito all’incrocio delle truppe. E ora abbiamo questi “risultati”.

Mentre tutti erano impegnati a eliminare il “DRG” a Pokrovsk (compreso il comando militare), stanno emergendo problemi operativi e tattici a nord-est della città.

Perché ho messo DRG tra virgolette? Perché questi non erano (e non sono tuttora) DRG, ma piccoli gruppi di fanteria nemica che, sotto la stretta scorta dei loro droni, sono riusciti a infiltrarsi in profondità nelle nostre linee.

E quando ci sono diverse decine di questi piccoli gruppi, possono strisciare per 10-15 km nello stesso modo.

Lasciarli passare è una cosa, ma cacciarli via costa sangue, sudore, la vita e la salute dei nostri combattenti. E l’esaurimento delle riserve.

Pertanto, anche se quella svolta all’incrocio tra i corpi verso Dobropillia e Druzhkivka è localizzata ed è possibile respingere un po’ gli occupanti, sappiate che dietro questo risultato ci sono le nostre perdite.

Questa è la situazione.

Passiamo ora alla parte principale di questo rapporto, che tratterà un’analisi più approfondita delle tattiche russe e di ciò che ha portato esattamente a questa serie di avanzate senza precedenti a nord di Pokrovsk.

Per prima cosa, diamo un’occhiata all’ORBAT delle unità operative in questa regione dall’account UnitObserver:

Pokrovsk-Kostiantynivka ORBAT Le recenti battaglie sono state caratterizzate da tre aspetti fondamentali:

1. Formazione di gruppi di infiltrazione a sud di Pokrovsk nella seconda zona operativa dell’CAA

2. Graduale ridistribuzione delle unità della 51ª CAA verso Rodyns’ke.

3. Intensi combattimenti lungo la linea Popiv Yar-Katerynivka da parte dell’8° CAA

Secondo UnitObserver, le seguenti unità della 51ª Armata interforze sono state responsabili della penetrazione nel nord:

Drobropillya-Myrnohrad

Nel corso di diversi mesi, la 51ª CAA ha ridispiegato qui quasi tutte le sue unità.

Mentre la 1ª, la 5ª, la 9ª, la 110ª MRB ecc. avanzano verso Rodynske-Myrnohrad, la 132ª avanza rapidamente a est di Drobropillya.

Questa 132ª Brigata Motorizzata della Guardia Separata che sta spingendo verso nord con un attacco in stile “kamikaze” è un’unità ex DPR originariamente guidata da Igor Bezler, uno dei principali uomini di fiducia di Strelkov a Gorlovka. In realtà, l’intera 51ª Armata Interforze di recente formazione non è altro che la “1ª Armata” ribattezzata, nome dato a tutte le forze armate della Repubblica Popolare di Donetsk al momento della sua adesione alla Russia. Ciò significa che molte delle famose “vecchie” unità stanno operando su questo fronte sotto il comando della 51ª, tra cui il Battaglione Somalo di Givi, Vostok, Sparta, ecc.

Come si può vedere, la Russia continua a utilizzare le unità della DPR come avanguardia su alcuni dei fronti più accesi, mentre le forze speciali russe Spetsnaz e altre unità specializzate si infiltrano a Pokrovsk.

Passiamo ora alla parte ucraina per vedere a cosa attribuiscono il crollo i loro esperti. Taras Chmut, capo dell’organizzazione benefica Come Back Alive per le AFU, afferma che le forze ucraine hanno iniziato a fallire sistematicamente a livello di plotone, poi a livello di compagnia (tradotto erroneamente come “bocca” qui sotto), e ora dice che è arrivato il crollo di massa a livello di battaglione:

Fondamentalmente, egli afferma che quando l’Ucraina inizierà a “fallire” a livello di brigata, la Russia sarà in grado di effettuare massicce incursioni con mezzi corazzati nelle retrovie operative, il che equivale praticamente alla fine della partita. È interessante notare che diversi esperti filo-ucraini hanno improvvisamente iniziato a invocare la mitica minaccia di una “massiccia incursione con mezzi corazzati”:

Questo ci porta al punto saliente successivo.

Ricordate gli anni di discussioni sull’imminente “apocalisse dei blindati” in Russia, secondo cui il Paese avrebbe esaurito i carri armati e i veicoli da combattimento e la guerra sarebbe sostanzialmente finita? Ora, come ho già approfondito in precedenza, la narrativa ha subito un cambiamento radicale. Praticamente tutti i principali “analisti” filo-ucraini ammettono tranquillamente che, “Beh, in realtà la Russia non sembra aver bisogno di blindati. Sta avendo successo solo con droni, scooter e asini”.

Si tratta di uno sviluppo sbalorditivo. Basta leggere quanto sopra: le perdite di blindati russi non sono più nemmeno un parametro rilevante della guerra! Quanto sono cambiate le carte in tavola. Ora va di moda liquidare i blindati come reliquie del campo di battaglia del tutto irrilevanti:

Persino lo stesso Zelensky si è unito al coro, costretto ad ammettere che i russi stanno sconfiggendo i suoi potenti difensori addestrati dalla NATO «solo con le armi in pugno»:

Ricordiamo quanta derisione e risate hanno suscitato scene russe come questa solo pochi mesi fa:

A quanto pare, nessuno ride più delle unità d’assalto in scooter. Ricordate, ogni invenzione “imbarazzante” che la Russia ha innovato durante la guerra è diventata un nuovo paradigma, ora imitato dalle forze armate americane e della NATO, dalle gabbie anti-elicottero sui carri armati, ai mop anti-drone, come dimostrato recentemente dal Corpo dei Marines degli Stati Uniti.

Un altro importante “analista” filo-UA ha delineato le tattiche russe responsabili della svolta:

Così, squadre russe composte da due o tre uomini si fanno lentamente strada attraverso una parte diradata del fronte ucraino, guidate da droni. A poco a poco si accumulano lì, questo lo sappiamo già da tempo. Ma è qui che entra in gioco il vero colpo di scena, che spiega più chiaramente il successo di questa tattica apparentemente semplicistica, ovvero perché queste piccole unità russe sono in grado di accumularsi in queste posizioni avanzate senza essere individuate o distrutte.

La risposta è stata elaborata in dettaglio da entrambi Michael Kofman Rob Lee in post separati che si sovrappongono.

Rob Lee espone il punto cruciale fin dall’inizio:

Il fronte è in realtà relativamente permeabile e spesso ci sono meno di 10 soldati a difendere ogni chilometro di fronte, a seconda del terreno. Molte brigate ucraine hanno adottato un approccio difensivo diverso, in cui la fanteria cerca deliberatamente di evitare lo scontro con la fanteria russa, a meno che non sia assolutamente necessario. Si affidano invece agli UAS per fermare la fanteria russa, sia davanti che dietro la linea del fronte.

Egli afferma che le brigate ucraine stanno letteralmente evitando di ingaggiare le truppe russe a meno che non sia “assolutamente necessario”. Perché mai? La sua risposta fa eco a quanto ho detto prima riguardo al miglioramento della consapevolezza russa sul campo di battaglia, all’ISTAR, ecc.:

Hanno adottato questo approccio in parte perché la Russia ha migliorato il proprio processo di individuazione degli obiettivi a livello tattico. Se la fanteria ucraina ingaggia la fanteria russa, le sue posizioni saranno probabilmente distrutte da FPV, Molniya, UAS bombardieri, artiglieria o bombe plananti. Qualsiasi posizione fissa sopra il suolo può essere distrutta con attacchi UAS successivi, quindi quasi tutte le posizioni difensive sulla FLOT si trovano tra gli alberi, nelle foreste o nei seminterrati di case o edifici. In alcuni casi, le forze russe avanzavano utilizzando la fanteria per attirare il fuoco, per poi distruggere le posizioni della linea del fronte con il fuoco.

In breve, il successo e la maggiore padronanza del famoso “Complesso di fuoco di ricognizione” russo (e del suo fratello maggiore, il Complesso di ricognizione e attacco) hanno praticamente “congelato” i difensori ucraini, impedendo loro di sporgere la testa dalle trincee e ingaggiare le truppe russe.

Ricordiamo che alcune settimane fa abbiamo discusso delle mutevoli strategie difensive dell’Ucraina, che prevedevano l’abbandono delle fortificazioni più grandi a favore di posizioni singole, piccole e sparse.

Kofman sottolinea questo punto: leggete attentamente:

In breve, le enormi nuove trincee che l’Ucraina sta costruendo sono ora considerate sempre più inutili perché sono “bersagli facili” per i bombardamenti russi con bombe plananti. L’unica posizione difensiva utilizzabile a questo punto è diventata la piccola trincea mimetizzata in una siepe o in un bosco. Il problema è che queste sono sparse qua e là e creano problemi di comunicazione e coordinamento.

Kofman approfondisce ulteriormente:

La linea è più una serie di picchetti, spesso composti da 2-3 uomini. Gran parte di essa è una zona grigia di zone di sconfitta sovrapposte che coprono la parte anteriore e posteriore di queste posizioni iniziali. I gruppi d’assalto nemici cercano di superare queste posizioni e continuare ad avanzare.

Di conseguenza, numerosi gruppi composti da 2-3 uomini possono attraversare una linea porosa, insieme ad assalti con buggy o motociclette, se non vengono intercettati dalle zone di sconfitta stabilite intorno a quelle posizioni o se le squadre di droni AFU vengono neutralizzate.

Le forze russe hanno anche utilizzato ampiamente bombe plananti UMPK in questa direzione per contribuire a creare le condizioni per questa svolta. Contrariamente alle voci che circolano occasionalmente, non si è verificata una riduzione significativa della loro efficacia.

La sua conclusione finale è quella di mettere in guardia le persone dal continuare a valorizzare i droni come l’unica soluzione per fermare le offensive russe, poiché i droni da soli non possono compensare le numerose altre carenze delle AFU:

In conclusione, non è ancora chiaro come si evolverà la situazione. I prossimi giorni saranno decisivi. Tuttavia, questo avanzamento è un altro indicatore del fatto che le unità di droni, pur essendo fondamentali per la difesa, non sono in grado di compensare completamente le sfide osservate né di stabilizzare il fronte da sole.

Quanto suona drasticamente contraddittorio anche rispetto al trionfalismo bellicoso di alcuni mesi fa, no?

Rob Lee aggiunge ulteriori dettagli sull’evoluzione delle tattiche della fanteria russa:

In precedenza, le tattiche della fanteria russa si concentravano sull’assalto alle posizioni ucraine avanzate, spesso radunandosi davanti a esse, ma ora hanno adottato tattiche di infiltrazione che cercano di spingersi il più lontano possibile fino a quando non vengono fermati. Queste tattiche spesso non sono molto sofisticate e il livello di addestramento richiesto ai soldati non è elevato. Ai singoli soldati verrà assegnato un punto di raccolta oltre la FLOT e diversi soldati saranno inviati lì individualmente o in coppia da diverse direzioni. Questo ha lo scopo di causare il panico tra la fanteria ucraina al fronte e altrove.

L’infiltrazione a Pokrovsk il mese scorso da parte dei soldati della 30ª brigata motorizzata russa ha segnato un cambiamento nelle tattiche di infiltrazione russe. L’operazione è stata condotta in modo più approfondito, era più sofisticata e ha richiesto una pianificazione più accurata. Mi è stato detto che i preparativi sono durati almeno tre mesi. Sono stati selezionati soldati particolarmente motivati, che sono stati riforniti dall’FPV una volta superata la linea del fronte. I loro movimenti erano lenti e calcolati e hanno scelto con cura percorsi che garantivano la massima copertura e che si trovavano tra le aree di responsabilità di due brigate ucraine. Circa 30 soldati sono riusciti a entrare in città e hanno iniziato a tendere imboscate.

Da notare che egli menziona le vie di infiltrazione accuratamente mappate che attraversano deliberatamente le zone di responsabilità di due brigate separate, causando intenzionalmente problemi di comunicazione e coordinamento nelle loro risposte. Ciò rispecchia esattamente quanto affermato riguardo alla nuova avanzata della Russia, che secondo quanto dichiarato in precedenza sarebbe avvenuta proprio nel punto di congiunzione tra due corpi dell’esercito ucraino, causando gli stessi problemi nella risposta.

Egli fa eco anche al mio commento sull’impiego delle brigate del DPR in questo settore:

La Russia sembra aver adottato un approccio simile in questo senso. L’infiltrazione è stata condotta da soldati della 132ª brigata di fucilieri motorizzati della DNR russa, composta da soldati provenienti dalle zone occupate che conoscono meglio il territorio e potrebbero quindi mimetizzarsi più facilmente.

Egli conclude che non si tratta di un caso isolato e che la nuova tattica messa a punto dalla Russia sarà probabilmente impiegata in altri settori per ottenere risultati simili:

Non è chiaro se la Russia sarà in grado di trarre vantaggio da questo sviluppo o se riuscirà a creare le condizioni per impiegare nuovamente i blindati in modo efficace, ma l’infiltrazione a Pokrovsk e a est di Dobropillia dimostrano che la Russia continua ad adattarsi per sfruttare le vulnerabilità ucraine. Potrebbero tentare infiltrazioni simili a Kharkiv, Sumy o in altre parti del fronte. È ancora fondamentale che l’Ucraina affronti i suoi annosi problemi di personale

Infine, diamo un’occhiata al responsabile ad interim di Azov, che ha rivolto un’angosciante frecciata direttamente a Zelensky:

E un ultimo doompost da parte di Julian Roepcke, che implica essenzialmente che questa violazione rappresenta un punto di svolta critico per il futuro di tutta l’Ucraina:

Concludiamo ricordando ciò che ho scritto in un saggio di alcuni mesi fa sulla strategia generale della Russia di avvolgere e strangolare lentamente l’Ucraina con numeri schiaccianti, finché le crepe non inizieranno a trasformarsi in intrusioni importanti, fino a sfociare in crolli sezionali completi:

Era solo questione di tempo prima che iniziassimo a vedere crolli sempre più ampi, man mano che la catastrofica carenza di manodopera dell’Ucraina si trasformava da astrazione a realtà tangibile.

Ricordiamo cheLo stesso Syrsky ha recentemente rivelatoche la Russia ottenga unsurplus nettodi 9.000 soldati al mese:

Il 5 agosto il comandante militare di vertice dell’Ucraina ha avvertito cheLa Russia sta accelerando i suoi sforzi di mobilitazione, con piani per la formazione di 10 nuove divisioni militari entro la fine dell’anno.

Sappiamo da diversi personaggi ucraini di alto livello che l’Ucraina sta soffrendo unaperdita nettadi truppe al mese. È solo questione di tempo prima che la disparità diventi completamente insostenibile. Man mano che le acque impetuose troveranno il percorso di minor resistenza attraverso la diga in disfacimento, sempre più crepe si apriranno in fessure aperte su diversi fronti, finché l’intera diga non crollerà su se stessa.


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Il premio dell’alleanza debole: CENTCOM in Pakistan, di Cesare Semovigo

Il premio dell’alleanza debole: CENTCOM in Pakistan 

L’onorificenza della crisi 

Versione Aspettativa

Il Generale Michael Kurilla, comandante del CENTCOM (United States Central Command), è stato recentemente insignito della prestigiosa onorificenza militare pakistana “Nishan-e-Imtiaz (Military)” dal Presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari. Questo gesto ufficiale serve sia a riconoscere l’impegno di Kurilla nella cooperazione militare e antiterrorismo tra Stati Uniti e Pakistan, sia a ribadire il legame strategico, nonostante le ben note criticità della leadership militare pakistana.

Secondo la nota ufficiale dell’ISPR, questa relazione si basa sia sulla condivisione di intelligence contro il terrorismo sia sulla necessità, per Islamabad, di riaffermare il suo ruolo centrale nella stabilità della regione.

Kurilla, inoltre, ha pubblicamente definito il Pakistan un “partner fenomenale nella lotta al terrorismo”.

La dura realtà

In termini geopolitici, questa dinamica appare come una delle classiche “pezze” in extremis dopo che Washington ha perso influenza proprio in quel Paese che solo otto/dieci anni fa sembrava un feudo impenetrabile.

Lo stato dell’arte dei rapporti tra USA e Pakistan:

onorificenze, dichiarazioni pubbliche scintillanti, impreziosite da improbabili coreografie da parata asiatica.

Questi incontri di altissimo profilo tuttavia si sono presentati esattamente per quello che sono: un carosello trasmesso in tubo catodico in bianco e nero, specchio della temperatura bilaterale estremamente raffreddata tra i due Paesi.

Realisticamente, la necessità tattica di riattivare quel che resta dei contratti in scadenza del comparto militare-industriale USA con Islamabad appare tardiva, specialmente dopo che Pechino ha approfittato, durante l’amministrazione Biden, della rilassatezza a stelle e strisce nell’area, instillando così una progressiva espansione di influenza nel consueto stile da “Dragone”, forniture militari epocali comprese.

Si è parlato ancora di gestione dei Talebani come faceva Bolton dieci anni fa: una ricetta già avariata allora, figuriamoci nel 2025.

Chi di noi non ricorda le immagini in mondovisione della disastrosa “fuga da Kabul” senza un Walter Texaco Norris a salvare la faccia di tutti.

Oltre le apparenze celebrate da convenevoli poco sentiti, è necessario arrivare al dunque, al “non detto” freudiano:

la concorrenza con l’India, sfociata dopo le ripetute provocazioni nel Kashmir nell’operazione Sindoor .

“Per ulteriori dettagli sulle dinamiche indo-pakistane e Operazione Sindoor, si rimanda a un approfondimento precedente a firma Cesare Semovigo su X (@italiaeilmondo) .

https://x.com/italiaeilmondo/status/1924557794323157300?s=61”

A onor del vero, la situazione è estremamente mutata: lo scacchiere pakistano ha oggettivamente perso centralità in perfetta sincronia con il destino dell’Afghanistan.

La complementarietà imposta dagli strateghi della preistorica ricetta del “New American Century” ai due player è unanimemente riconosciuta anche dalle scuole più recalcitranti dell’analisi geopolitica di questa galassia.

Islamabad, infatti, prima che si esaurisse l’onda lunga unipolare, era un volano imprescindibile per consolidare le proiezioni degli Stati Uniti, dove il nuovo Pakistan “sanificato” (vedi Khan) era urbis et orbis “l’alleato privilegiato di soglia” nell’area e solo marginalmente confine e contenimento indiretto per la Cina del futuro.

In sintesi, una formalità predisposta per mandare segnali a Pechino, più che per esprimere reale fiducia nella classe militare pakistana, notoriamente corrotta e abile nel doppio gioco fra le potenze.

Diversi report prodotti dall’arcipelago Rand negli ultimi due anni hanno evidenziato proprio la necessità di recuperare peso alla luce dei rapporti espansivi cinesi nelle forniture, nel cyber e nell’intelligence del Dragone in Pakistan.

Va riconosciuto a Kurilla un certo mestiere nel gestire uno scenario geo-strategico fluido e ad alta complessità come il Pakistan: una nazione autoritaria, ormai da tempo gestita da un cartello militare, dove il fronte interno è pressato da tensioni che chiedono riconoscimento.

Lo scacchiere, dopo il cambio di passo seguito all’espansione cinese in funzione anti-India, è oggi un teatro dove riguadagnare rilevanza per Washington non è tra gli obiettivi più semplici.

Per questo, fatti i conti, va sottolineata la consueta abilità diplomatica del Comandante del CENTCOM, dove quell’opportunismo tattico “rapace” gli ha permesso di modellare le sue alleanze in quella “cage” ad alta incertezza che ben rappresenta la miglior tradizione della “mentalità più infida e sguscevole” dell’Asia meridionale.

Dati aggiornati risaliti all’unico aereoporto non in chiaro

L’Aereoporto di partenza nonostante il transponder fosse spento si è risaliti all’origine : con ottime probabilità si tratta della base dell’aviazione militare PAF Base Nur Khan .
Siamo giunti alla conclusione incrociando il tempo di volo e rotta relativa , a ulteriore sostegno della tesi l’evidenza che il tipo di veicolo è normalmente stanziato in quella base .
1min

Conferme alle nostre previsioni riguardo la visita del Generale
Kurilla in Pakistan : La nostra ricerca OSINT Open Source

Il capo di stato maggiore dell’Army Staff Pakistano, Asim Munir, atterra a Brussels ( scalo compatibile con visita al centro comando Nato ) volando su un PAF Global 6000 (J-758, flight PA786) partendo da Tampa Florida , USA.

Ma questa non è né la prima né tantomeno l’ultima tappa di una complessa rete di incontri diplomatici Stati Uniti – Pakistan Un serie programmata bilaterale ad altissimo livello , intensità e urgenza; le ragioni sono intuibili contestualizzando gli eventi geopolitici che si sono osservati negli ultimi mesi sfociati poi nelle tensioni in Kashmir sfociati in scontri armati tra India e Pakistan .

Un “viaggio” che coerentemente si inserisce alla perfezione in quell’alleanza “debole” emersa nell’articolo di Cesare Semovigo dove abbiamo analizzato i rapporti bilaterali tra Stati Uniti e Pakistan e i ridisegnati giochi di influenze nell’Indo-Pacifico.
A breve in uscita un rapporto OSINT accurato con tutte le fonti Open Source consultabili che documentano come il viaggio del Generale Kurilla ad Islamabad fosse solo l’incipit di consultazioni bilaterali ben più ampie come l’articolo “Usa-Pak l’alleanza debole“ .
Nella foto una anticipazione del nostro lavoro di analisi dati .

Dati aggiornati risaliti all’unico aereoporto non in chiaro

L’Aereoporto di partenza nonostante il transponder fosse spento si è risaliti all’origine : con ottime probabilità si tratta della base dell’aviazione militare PAF Base Nur Khan .
Siamo giunti alla conclusione incrociando il tempo di volo e rotta relativa , a ulteriore sostegno della tesi l’evidenza che il tipo di veicolo è normalmente stanziato in quella base .

1. Premio Nishan-e-Imtiaz a Kurilla: fatti e cornice ufficiale

• Il Generale Michael Kurilla, comandante di CENTCOM, è stato insignito del “Nishan-e-Imtiaz (Military)”, una delle massime onorificenze pakistane, da parte del Presidente Asif Ali Zardari.

• La cerimonia ha avuto luogo ad Islamabad il 26 luglio 2025, nell’ambito di una visita ufficiale che ha compreso riunioni con le più alte sfere politico-militari pakistane, incluso il Capo di Stato Maggiore Munir.

• Il conferimento è stato giustificato esplicitamente come “riconoscimento dell’esemplare servizio e ruolo cardine nell’avanzamento della cooperazione militare duratura fra Pakistan e Stati Uniti, in particolare su intelligence e antiterrorismo” ([The Tribune]4, [Hindustan Times]3.

2. Narrativa ufficiale e funzione diplomatica

• Radio Pakistan (media pubblico statale) sottolinea come la visita e la premiazione confermino “l’impegno del Pakistan a rafforzare i legami con Washington in uno scenario di crescenti pressioni geopolitiche e finanziarie”.

• Kurilla ha pubblicamente definito il Pakistan “un partner fenomenale nella lotta al terrorismo”, dichiarazione risalente a giugno 2025 e ripresa in tutti i comunicati ufficiali ([FirstPost]1
, [SSBCRACK]2, [Hindustan Times]3).

3. Contesto geopolitico e retroscena

• Questo scambio “stinato” avviene mentre l’India accusa apertamente Islamabad di legami non recisi con reti terroristiche (es. caso Pahalgam a giugno), rilanciando nel dibattito internazionale il passato controverso del Pakistan come “safe haven” (bin Laden, 2008; dichiarazioni MEA India, [SSBCRACK]2).

• La mossa è interpretata come tentativo di Islamabad di mantenere la rilevanza strategica presso Washington, in un quadro reso sempre più complicato dalla crescente influenza cinese nel settore militare e infrastrutturale pakistano (analisi regionale riportate dalle stesse fonti e dai think-tank internazionali).

4. Evidenze tecnico-analitiche delle fonti

• Tutte le fonti concordano su alcuni punti-chiave:

• La cerimonia rappresenta una formalità inscritta nella ritualità delle alleanze più che una svolta effettiva (la cooperazione militare reale è oggi assai più fragile di quanto non risultasse dieci anni fa).

• La centralità del Pakistan per gli USA è percepita come in declino, benché sian ripresi tentativi di “re-engagement” su dossier sensibili—fenomeno di cui l’onorificenza a Kurilla è più segnale simbolico che garanzia sostanziale di fiducia ([FirstPost]1, [Tribune]4

• Approfondisci la linea interpretativa, validata dalla convergenza fra notizie “embedded” (Radio Pakistan, ISPR, comunicati ufficiali) e media indipendente/esterno (FirstPost, Hindustan Times), con particolare attenzione alle funzioni “scenografiche” dell’incontro (Tri-Services Guard of Honour ecc.).

Per i lettori contesto e approfondimento fonti specifiche utilizzate nell’articolo 

La visita e l’onorificenza a Kurilla confermano più che altro la volontà delle parti di mantenere aperta una “vetrina” di collaborazione, mentre nella sostanza la relazione soffre pressioni crescenti dovute all’espansione cinese e al ridimensionamento della tradizionale influenza statunitense, come riportato e validato da tutte le principali fonti internazionali citate.

Fonti validate ed estratti:

• 1
 FirstPost: “US CENTCOM chief General Michael Kurilla has been awarded Pakistan’s top military honour…”

• https://www.firstpost.com/world/pakistan-confers-key-honour-on-us-centcom-chief-who-praised-its-counterterror-role-13913660.html

• 2
 SSBCRACK: “The government of Pakistan has awarded the Nishan-e-Imtiaz (Military)…”

• https://shop.ssbcrack.com/blogs/blog/pakistan-awards-nishan-e-imtiaz-to-us-centcom-chief-in-recognition-of-counterterrorism-efforts

• 3
 Hindustan Times: “US Central Command chief General Michael Kurilla was conferred with a big honour…”

• https://www.hindustantimes.com/world-news/pakistan-nishan-e-imtiaz-military-us-general-michael-kurilla-101753568026679.html

• 4
 The Tribune: “President Asif Ali Zardari has conferred the prestigious Nishan-e-Imtiaz (Military) award on General Michael E. Kurilla…”

• https://tribune.com.pk/story/2557993/president-zardari-confers-nishan-e-imtiaz-on-uscentcom-chief-gen-kurilla

Il vertice dell’Alaska: probabile agenda e risultati, di Gordon Hahn

Il vertice dell’Alaska: probabile agenda e risultati

Gordon Hahn11 agosto∙Pagato
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Mentre il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il Presidente russo Vladimir Putin, con i rispettivi team, si preparano al vertice in Alaska, numerosi resoconti giornalistici stanno emergendo e pretendono di riportare i punti fondamentali di un accordo territoriale sull’Ucraina concordato da entrambe le parti. Secondo fonti ufficiali statunitensi non identificate, le due parti avrebbero concordato che un cessate il fuoco avrebbe avuto inizio quando l’Ucraina avrebbe ritirato le sue forze dalle regioni di Donetsk e Luhansk (Lugansk), rivendicate e in gran parte conquistate dalla Russia, e che la Russia avrebbe quindi rinunciato alle sue rivendicazioni sulle oblast di Zaporoshe e Kherson, mantenendo la Crimea. Nessun funzionario americano o russo ha confermato (o smentito) che questo fosse il punto fondamentale di un accordo sul cessate il fuoco, che la Russia ha ripetutamente rifiutato. Pertanto, i commentatori sostengono che Putin abbia raggiunto un compromesso, abbandonando alcuni degli altri obiettivi precedentemente dichiarati per l'”operazione militare speciale” (SMO), che hanno costantemente incluso quanto segue: un impegno concreto da parte dell’Ucraina e della NATO a non diventare membro della NATO né a ricevere assistenza militare dalla NATO, ovvero la neutralità ucraina (la principale richiesta russa e la ragione per cui è stata stipulata la SMO); La denazificazione dell’Ucraina (eliminazione del neofascismo dalla politica ucraina) e la smilitarizzazione (limiti non specificati alla potenza militare e/o al dispiegamento delle forze armate dell’Ucraina). Tutto questo è sbagliato.

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Come ho già sottolineato più volte, è semplicemente impossibile che Putin rinunci alla richiesta fondamentale della Russia di neutralità ucraina. Inoltre, né Putin né quasi nessun altro russo accetterà un impegno verbale da parte di Stati Uniti, NATO, UE o Ucraina in merito a tale neutralità. Mosca richiederà piuttosto una sorta di garanzia legale sotto forma di un trattato formale, una risoluzione ONU che confermi tale trattato e il ripristino nella Costituzione ucraina della clausola che dichiara la neutralità di Kiev e il suo status di non-blocco. La promessa non mantenuta dall’Occidente alla fine della Guerra Fredda, secondo cui la NATO non si sarebbe espansa di un centimetro oltre la Germania riunificata, garantisce che nessun compromesso o impegno verbale di questo tipo in merito alla neutralità ucraina verrà preso in considerazione nemmeno per un secondo al Cremlino.

Alcuni rapporti affermano che questo “accordo” fa parte di un piano di Trump per interrompere il processo negoziale e, soprattutto, l’adesione dell’Occidente alle richieste complete della Russia gradualmente, in un processo negoziale graduale che si concluderà con il presidente ucraino Volodomyr Zelenskiy di fronte al fatto compiuto , che dovrà sottoscrivere o subire il completo abbandono da parte degli Stati Uniti e la ripresa dell’SVO russo, senza alcuna speranza di salvezza per Kiev. Se così fosse, e in una fase successiva la neutralità ucraina si concretizzerà in una fase successiva del processo, con un accordo verbale segreto già esistente da parte di Trump per un divieto legale totale all’adesione dell’Ucraina alla NATO, firmato da Kiev, Washington e Bruxelles e sostenuto da una risoluzione ONU, allora un simile compromesso da parte di Putin è forse possibile, ma altamente, altamente improbabile.

Lo stesso vale per le rivendicazioni russe sulle regioni di Zaporozhye e Kherson. Non è assolutamente possibile che Mosca le abbia abbandonate. Forse, come nel caso della richiesta di neutralità russa, è possibile che Mosca accetti di rinviare a una fase successiva dei colloqui l’accordo di Washington sull’acquisizione de facto (improbabile de jure) di queste due regioni da parte della Russia, incluso il ritiro delle truppe ucraine dalle aree molto più estese ancora controllate da Kiev. Anche questo è improbabile, ma potrebbe essere facilitato dall’intesa che tra due mesi o diverse settimane anche le linee difensive ucraine saranno crollate nelle regioni del Donbass di Donetsk, Luhansk e altre, circondando e/o respingendo decine di migliaia di truppe ucraine verso il fiume Dnepr. A quel punto – con forse nuove offensive mirate a sud e a nord che estenderanno ulteriormente il fronte e l’esercito di Kiev assediato – Kiev sarà felice di rinunciare al resto di Zaporozhye e Kherson in cambio del ritiro della Russia dalle aree in espansione delle regioni su cui non avanza ancora rivendicazioni a Dnipro (Dnepropetrovsk), Poltava, Nikolaev (Mikolaev), Kharkov (Kharkiv), Sumy e chissà dove altro entro la fine dell’autunno/inizio dell’inverno. Potrebbero esserci altri compromessi, come cessate il fuoco parziali espandibili (terra, aria, Mar Nero) o, come ha recentemente proposto Putin e una volta attuato unilateralmente, cessate il fuoco temporanei che la Casa Bianca ha concordato con il Cremlino. Questo e una serie graduale di compromessi occidentali o almeno americani a favore delle quattro richieste chiave della Russia e cessate il fuoco in graduale espansione potrebbero costituire la base di un compromesso in Alaska.

Tuttavia, sospetto che dietro l’urgenza di Trump di un vertice e l’accordo di Putin ci sia un’ulteriore ragione, che va oltre l’Ucraina: l’escalation delle armi nucleari. Questo include l’intensificazione del dispiegamento di missili nucleari a medio raggio negli ultimi mesi e l’imminente scioglimento del nuovo trattato sui missili strategici START a febbraio.

In un recente articolo, ho sottolineato la rischiosa strategia nucleare di Trump nel ridispiegare in Europa armi nucleari tattiche dopo una pausa di decenni e il dispiegamento anticipato di due sottomarini nucleari statunitensi in risposta ai tweet male interpretati pubblicati dal vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Nazionale russo ed ex presidente e primo ministro russo Dmitrij Medvedev ( https://gordonhahn.com/2025/08/05/trumps-suicidal-nuclear-brinksmanship/ ). Sebbene queste mosse, o almeno le prime, possano essere viste come risposte al dispiegamento da parte di Mosca di missili nucleari a gittata intermedia e al promesso dispiegamento dei nuovi razzi Oreshkin a capacità nucleare in Bielorussia, esse non fanno che aumentare le tensioni nucleari in un momento in cui si stanno gradualmente intensificando a causa del declino dell’accordo New START, dell’assenza di colloqui per affrontare questa emergente lacuna di sicurezza e del crollo del fronte ucraino, dell’esercito e forse del regime e dello Stato – i quattro crolli imminenti dell’Ucraina.

Mosca ha dimostrato di essere desiderosa di estendere o sostituire il New START, che detiene circa 6.000 missili nucleari strategici statunitensi e russi ciascuno. Il Cremlino ha immediatamente segnalato la sua disponibilità ad avviare colloqui su un nuovo trattato e altre misure al fine di mantenere la stabilità strategica con l’avvento della seconda amministrazione Trump nel gennaio 2025, vedendola come una finestra di opportunità – forse molto breve – per ristabilire quanti più elementi delle relazioni russo-americane esistenti prima dell’amministrazione Biden, cruciali per il raggiungimento degli obiettivi di sicurezza nazionale della Russia. ( https://gordonhahn.com/2025/05/23/a-new-new-start-putin-sees-trump-administration-as-a-window-of-opportunity-for-strategic-arms-control/ ). Pertanto, è probabile che l’equilibrio nucleare sia in cima all’agenda sia di Trump che di Putin.

Altre questioni che sicuramente saranno affrontate sono il commercio tra Stati Uniti e Russia e la tempistica della futura revoca delle sanzioni. Inoltre, potrebbero essere annunciati passi avanti in merito al ripristino dei consolati russi e delle relative proprietà negli Stati Uniti, chiusi dall’amministrazione Joseph Biden.

In sintesi, non mi aspetto alcun compromesso significativo su nessuno degli obiettivi o delle richieste dell’operazione militare speciale di Putin in questa fase, con compromessi possibili in futuro solo sull’entità della denazificazione e della smilitarizzazione, dato che queste non sono mai state pienamente definite. La neutralità ucraina e l’annessione di Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporozhye e, naturalmente, della Crimea sono non negoziabili per quanto riguarda Mosca, e i russi sono molto uniti su questo punto. I quattro imminenti crolli dell’Ucraina sono evitabili solo attraverso concessioni occidentali e ucraine o cambi di leadership non troppo imminenti a Washington e/o Mosca.

La necessità di un dialogo nucleare e, in ultima analisi, di accordi dovrebbe essere ormai evidente sia a Mosca che a Washington, e questo ambito è tradizionalmente un pilastro delle relazioni tra grandi potenze russe e statunitensi da circa sei decenni, anche nei periodi più tesi. Si tratta quindi di un’evoluzione logica, necessaria e minimalista dell’obiettivo dichiarato di Trump di normalizzare le relazioni con Mosca. Pertanto, un accordo tra Stati Uniti e Russia per sciogliere il ghiaccio nell’emergente stallo nucleare tra Stati Uniti e Russia, procedendo verso un rinnovo dei colloqui New START e forse avviando colloqui sulle armi nucleari non strategiche in Europa, istituendo gruppi di lavoro per entrambi gli obiettivi, è altamente possibile.

In questo modo, la “nuova guerra fredda” si scioglierà un po’ al sole dell’Alaska. Ma l’estate alaskana è breve e l’inverno – nucleare o meno – è gelido.

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Quando la Cina dice “ricordare la storia” della Seconda Guerra Mondiale, sta invocando vendetta?_di Fred Gao

Quando la Cina dice “ricordare la storia” della Seconda Guerra Mondiale, sta invocando vendetta?

Cosa mi hanno insegnato i musei in Giappone, Cina e America sulla psicologia della memoria di guerra

Fred Gao11 agosto
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Domenica scorsa ho visto “Dead To Rights”, un film sul massacro di Nanchino del 1937 che mi ha spinto a riconsiderare il ruolo della memoria storica nelle relazioni sino-giapponesi. Il film racconta il massacro sistematico di civili e l’esecuzione di prigionieri di guerra dopo la presa di Nanchino da parte dell’esercito giapponese nel 1937, nonché la storia di un fotografo cinese che ha rischiato la vita per preservare le prove fotografiche di queste atrocità.

Nel complesso, si tratta di un film di qualità, soprattutto considerando i risultati complessivi al botteghino. Il regista evita due insidie comuni: non trasformare un argomento serio in una predica vuota né sfruttare la brutalità giapponese come uno spettacolo sensazionalistico. Su Douban (l’equivalente cinese di IMDb), i recensori lo hanno definito ” lo Schindler’s List cinese” – una descrizione azzeccata, dato che entrambi i film presentano la tragedia storica attraverso occhi individuali e affrontano eventi cruciali nella memoria storica delle rispettive nazioni.

Sui media mainstream cinesi, l’espressione più ricorrente per descrivere questo film sui social media cinesi è “ricordare la storia” (铭记历史), un’espressione ampiamente condivisa nella società cinese. So che molti si chiederanno: “Per cosa?”. Ci sono alcuni messaggi di protesta su internet, ma i media mainstream e i funzionari non possono certo invocare la vendetta. Il Ministero della Difesa Nazionale ha parlato del film durante la conferenza stampa di oggi e ha affermato: “Le lezioni scritte col sangue non devono essere dimenticate; non si può permettere che le tragedie storiche si ripetano”.

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Alcuni critici liquidano la rinnovata attenzione al massacro di Nanchino come “sfruttamento della storia” o “educazione all’odio”. Avendo studiato in entrambi i sistemi educativi, trovo che questa etichetta sia infondata. All’epoca di Mao, la narrazione era più incentrata sull’imperialismo anti-giapponese che sul semplice nazionalismo. Come scrive, “Il popolo cinese e il popolo giapponese sono uniti; hanno un solo nemico, i militaristi giapponesi e la feccia nazionale cinese”. Durante l’era di Deng Xiaoping, le relazioni sino-giapponesi si riscaldarono e la cooperazione economica, oltre all’accoglienza degli investimenti giapponesi, divenne la narrazione dominante.

Credo che la recente rinascita del massacro di Nanchino come tema centrale derivi da due fattori principali, entrambi legati alla costruzione della memoria storica.

In primo luogo, la continua riluttanza del Giappone a riconoscere il proprio ruolo di “autore” della Seconda Guerra Mondiale nelle narrazioni ufficiali, unita a tendenze revisioniste storiche sempre più evidenti. Sebbene il Giappone non abbia più la capacità di condurre una guerra aggressiva, ciò non giustifica una dimenticanza selettiva della storia. Sebbene vi siano molte voci riflessive all’interno della società civile giapponese (anche nella famiglia reale), la posizione del governo rimane profondamente ambigua. L’inumazione di 14 criminali di guerra di Classe A al Santuario Yasukuni nel 1978, condotta segretamente dal sacerdote capo del santuario, aveva trasformato il sito da un monumento ai caduti in un simbolo di militarismo impenitente. Le successive visite di alti funzionari, tra cui primi ministri come Shinzo Abe, che vi si recò durante il suo mandato, hanno ripetutamente infiammato i rapporti sia con la Cina che con la Corea del Sud.

Questa tendenza revisionista si estende oltre lo Yasukuni, fino alle controversie sui libri di testo che minimizzano l’aggressione giapponese, agli eufemismi ufficiali come “avanzata in” anziché “invasione” della Cina, e alle periodiche dichiarazioni parlamentari che mettono in discussione la portata delle atrocità commesse in tempo di guerra. Questi episodi riflettono un più ampio schema di offuscamento storico che mina gli autentici sforzi di riconciliazione.

Da appassionato di storia, ho visitato ripetutamente musei e siti storici della Seconda Guerra Mondiale sia in Giappone che negli Stati Uniti. Durante il college, mi sono persino recato appositamente a San Diego per rendere omaggio al memoriale del Taffy 3, il terzo squadrone di cacciatorpediniere, in onore di coloro che dimostrarono uno straordinario coraggio nella battaglia di Samar.

Ho scattato quella foto nel 2016

Osservando attentamente, ho scoperto che i musei giapponesi, che si tratti del Cimitero della Marina di Sasebo o del famigerato Museo Yushukan di Tokyo, presentano la storia della Seconda guerra mondiale in modo estremamente evasivo (preferirei la parola 暧昧 in cinese).

Ho visitato il cimitero navale di Sasebo Higashiyama nel 2018

Questa ambiguità si manifesta in diversi modi: o sorvolando sulle origini della guerra o spostando l’attenzione sulle sofferenze dei civili giapponesi sotto i bombardamenti alleati, minimizzando deliberatamente il ruolo del Giappone come aggressore. La cosa più inquietante per me è il modo in cui queste mostre ufficiali utilizzano lettere e diari di piloti kamikaze per romanticizzare gli attacchi suicidi organizzati come una forma di sacrificio “tragico”. L’onnipresente esposizione di vecchie bandiere militari giapponesi, accompagnata da narrazioni del “Giappone che combatte per liberare l’Asia”, crea un disagio sempre maggiore.

Ancora più preoccupante è che, nella maggior parte dei quadri narrativi delle mostre, l’invasione su vasta scala della Cina da parte del Giappone sia relegata sullo sfondo della Guerra del Pacifico. La Cina non appare come una vera e propria “nazione nemica”, ma come uno sfondo incidentale. Questa deliberata negligenza ed emarginazione sono più inaccettabili dell’ostilità vera e propria, perché negano il ruolo storico del popolo cinese nella resistenza all’aggressione.

D’altro canto, la Guerra anti-giapponese occupa una posizione eccezionalmente speciale nella memoria storica cinese. La resistenza all’invasione giapponese fu l’evento catalizzatore che trasformò la Cina da uno stato premoderno privo di coscienza nazionale in un moderno stato-nazione, un’importanza storica paragonabile al ruolo della Guerra civile americana nel forgiare l’unità e l’identità nazionale americana.

Tuttavia, i ricordi cinesi e americani della Guerra del Pacifico presentano una differenza cruciale: la Cina non ha una memoria di vittoria sufficientemente decisiva da bilanciare la sua narrazione incentrata sulla sofferenza. Quando gli americani pensano alla Seconda Guerra Mondiale, sebbene ricordino “il giorno dell’infamia” del 1941, ricordano più facilmente la svolta di Midway del 1942, il trionfo del D-Day del 1944 e l’eroica resistenza di Bastogne. Questi ricordi di vittoria costituiscono il tema dominante della narrazione americana della Seconda Guerra Mondiale.

Al contrario, quando i cinesi pensano alla Guerra Anti-Giapponese, ciò che viene in mente è una sequenza di sconfitte e disperata resistenza piuttosto che vittorie decisive. La guerra iniziò con la perdita della Cina nord-orientale nel 1931, quando l’Armata del Nord-Est si ritirò senza opporre una resistenza significativa. Il massacro di Nanchino del 1937 seguì la caduta della capitale nazionale dopo una breve difesa. Anche i momenti di feroce resistenza sono ricordati più per il tragico eroismo che per il trionfo strategico: la lotta disperata di Changsha nel 1941 esemplifica questo schema. Ancora più doloroso, anche nel 1944, quando le forze giapponesi erano già sotto sforzo e rischiavano un’inevitabile sconfitta, gli eserciti nazionalisti subirono perdite devastanti nella campagna Henan-Hunan-Guangxi (Operazione Ichi-Go), perdendo vasti territori, inclusi aeroporti cruciali. Alla fine della guerra, il Giappone si arrese dopo i bombardamenti atomici e gli attacchi terrestri sovietici, non dopo una decisiva sconfitta terrestre da parte delle forze cinesi. L’inizio della Guerra Fredda rese poi vani i piani alleati per un’occupazione coordinata, lasciando la Cina senza nemmeno una partecipazione simbolica alla ricostruzione del Giappone. La Cina, pur essendo ufficialmente riconosciuta come potenza alleata vittoriosa, emerse con una memoria storica dominata dalle sofferenze subite.

Per la Cina, quella memoria ha alimentato una mentalità che mira a “non dimenticare mai la sofferenza”. Tang Shiping, un rinomato studioso cinese, lo ha spiegato come una sorta di “sinocentrismo” (中国中心主义) , una mentalità inconscia secondo cui la Cina dovrebbe essere intrinsecamente grande. Il divario tra questa aspettativa e la realtà storica crea una psicologia in cui la superiorità culturale coesiste con una profonda insicurezza riguardo allo status nazionale.

La mia osservazione è che è diverso dal modo in cui funzionano tipicamente le narrazioni nazionaliste occidentali. In Occidente, ricordare i torti storici spesso serve come giustificazione per azioni future, che si tratti di chiedere riparazioni, di cercare aggiustamenti territoriali o di mobilitare il sostegno pubblico per politiche di confronto. Ma l’approccio cinese alla memoria delle sofferenze storiche opera secondo una logica diversa. “Non dimenticare mai la sofferenza” non è un mezzo per raggiungere un fine, ma il fine stesso: una sorta di vigilanza collettiva piuttosto che di preparazione alla punizione. Manca un bersaglio chiaro a cui attribuire la colpa o a cui agire. Sebbene il prezzo del massacro per il popolo cinese non possa essere ignorato, il sentimento revanscista nei confronti del Giappone rimane notevolmente impopolare tra intellettuali e politici cinesi. Se chiedessi a un cinese istruito se sostiene la vendetta contro il Giappone, la sua prima reazione sarebbe probabilmente di sincero sconcerto: “Vendetta a quale scopo?” Nelle innumerevoli controversie su questioni storiche, la richiesta più frequente della Cina è stata quella di far sì che il Giappone “affrontasse la storia in modo diretto” (正视历史), chiedendo riconoscimento e riflessione piuttosto che risarcimenti materiali o concessioni politiche.

Questo aiuta a spiegare perché la retorica ufficiale cinese descriva ancora le relazioni sino-giapponesi come “一衣带水”, separate da acque strette come una cintura di vestiti. Piuttosto che enfatizzare le lamentele storiche, questa espressione inquadra la relazione in termini di naturale prossimità geografica e culturale. Il messaggio di fondo è che la cooperazione, non il confronto, rappresenta lo stato di default tra vicini. Le tensioni politiche sono descritte come deviazioni temporanee da una realtà più fondamentale di interdipendenza.

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