Italia e il mondo

Le bizze catastrofiche degli armeni_di WS

Altro importante commento di WS, questa volta ad un articolo di Korybko

Questo articolo di Koribko solleva un grosso problema geostrategico con cui la Russia, comunque vada in Ucraina, dovrà confrontarsi presto: una “ catena turchesca ” che dal Bosforo al Caspio fino non si sa ( Kazakistan? ) separi la Russia e dai suoi “amici” strategici ( Egitto , Iran , India) e dai “ mari caldi “-

E l’ anello chiave di questa catena è il passaggio dell’ Armenia nell’orbita “occidentale”.

L’operazione americana in Armenia è molto astuta ed ormai difficilmente “parabile”, ma va detto che sono stati gli armeni a decidere in tal senso, quindi il proprio triste ma meritato destino, eleggendo e rieleggendo l’ agente di Soros.

L’ operazione è stata brillante ed attuata attraverso la diaspora armena in occidente che evidentemente non ha capito niente dalle proprie disgrazie; perché se questa nella prima fase ha spinto il velleitario ed intransigente nazionalismo armeno poi nella seconda ha incolpato la Russia del proprio fallimento per non aver essa sostenuto le insostenibili velleità armene.

E giustamente direi, visto che sostenere il nazionalismo armeno avrebbe portato alla Russia solo problemi geopolitici con tutti gli altri “stan”.

Quando infatti l’URSS è collassata il problema principale russo è stato non abbandonare quel 25% di cittadini ex-URSS russi / russofoni /russofili rimasti dispersi fuori dalla Russia, dallo stupido “sovietismo” inaugurato da Lenin, l’ inventore dell‘Ucraina.

Pure con i gravi problemi in casa, compreso il tribalismo etnico importato in Russia dal “ sovietismo “, l’unica cosa che poteva fare la Russia era cercare di difendere i russofili che chiedevano il suo aiuto contro le aggressive maggioranze etniche delle varie “repubblichette” ex-sovietiche.

E questo la Russia ha sempre sostanzialmente fatto cercando di smussare i conflitti. Conflitti che però venivano costantemente eccitati dai servizi dei “cari partner”.

Nel caso in esame, l’Armenia, la Russia ha sempre proposto una “mediazione onesta” tesa a ripristinare l’ equilibrio “sovietico”; nel caso in esame, appunto, sia i diritti della exclave armena del Nogorny-Karabah (NK)come degli azeri che la circondavano .

Ma questo al nazionalismo armeno non bastava, loro volevano certificata la “reconquista” del 1992 cosa che la Russia non poteva dargli; così alla fine il risultato netto, certificato dall’uomo di Soros ( ! ), è che oggi non ci sono più armeni nel NK e presto nemmeno nel corridoio di Zanzur che per l’ Armenia è la perdita della frontiera con “l’amico” Iran .

Presto quindi, saldando anche “l’ anello” armeno, una “ catena Nato-turca” si interporrà tra la Russia e l ‘Iran. Nella pratica gli armeni “residui” tradiscono le due potenze, prima Iran e poi Russia, che avevano garantito la loro sopravvivenza etnica dalla marea “turchesca” alla cui “benevolenza” ora invece si affidano su ” garanzia” (ahahah ) americana.

Qualcuno ora potrebbe domandarsi perché la Russia non ha contrastato più fortemente questa deriva interessandosi al Caucaso in modo più assertivo. La spiegazione ovviamente è che la Russia ha ora problemi più gravi ed urgenti .

Ma non è solo questo .

Infatti dopo la catastrofe del ‘91 la Russia ha finalmente preso atto del danno strategico autoinflittosi nell’aver strappato il Caspio meridionale all’impero iraniano nella illusione di poter raggiungere un mare ” caldo”.

L’ errore era doppio perché così la Russia andava proprio a sbattere DIRETTAMENTE contro quell’impero inglese che poi comunque sempre le avrebbe interdetto quello sbocco; già nel 1856 le aveva precluso infatti l’accesso al Mediterraneo.Quella stessa pressione l’aveva poi costretta a ritirarsi dal Pacifico, Ahawaii , Alaska, a vantaggio dei suoi “cugini americani “.

Insomma la Russia ha preso finalmente atto che tutte le sue disgrazie e relative dolorose “ritirate”, vengono da una precisa “centrale” che sta a Londra. “Centrale” a cui Stalin poi ha effettivamente inflitto parecchi danni, ma subendone altrettanti.

La conclusione strategica è che la Russia ora non può più ritirarsi e non può più commettere errori geostrategici specie con quel “cortile turchesco” che, con la spinta della suddetta “ Centrale “, ora gli punta un coltello alla pancia.

E come ci insegna il Toynbee quando , come la russia nel 1992, ci si accorge di essere entrati in un vicolo senza sbocchi, bisogna tornare indietro al “bivio precedente”, per quanto questo sia doloroso, difficile e disperato .

Il famoso aneddoto del “topo” che Putin ha citato spesso era appunto una avvertimento ai cacciatori del “topo-russia” per dire: lasciateci “tornare indietro”, non ci mettete con le “ spalle al muro” perché a quel punto tutte le vostre raffinate strategie di “ caccia” si condenseranno in semplice dilemma “ o tutti o nessuno” . E allora ci sarà una vera “spada gordiana” che taglierà tutti i nodi , “ catena turchesca” compresa.

Quindi nessuno pianga l’ Armenia , la sua “ campana” suona anche per noi .

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L’archetipo dell’esecutoreCome Elio Petri predisse David Puente

L’archetipo dell’esecutore
Come Elio Petri predisse David Puente

Il cinema di Elio Petri ha raccontato i“Direttori” al di sopra di tutto per mandato di pochi .

Qui serve un ragionamento stoico e spietato a tratti affettuoso verso il nostro compagno delle tante distopie recenti , immersi come siamo in una realtà priva delle scale mobili dei grigi .

Prima dell’exploit digitale del 2019/20, molti di noi, abitanti del fortino ribaltato di Alamo — indiani assediati dentro, i pochi fuori — hanno creduto di poter riflettere la medesima superiorità intellettuale semplificata dallo stile sessantotto .

Ritengo questo approccio negativo rispetto a un percorso consapevole delle dinamiche media-politiche.
Non per un vizio “platonico”, ma perché è urgente dare a David ciò che è di David . Donatello .

Per questo è piacevole rammentare come qualcuno cinquant’anni fa , molto lucidamente , non solo ne predisse l’avvento ,ma ne rappresentò anche l’anima .

Il cliché del lealista da sala da the alla corte del Re — il Ser Bis di Robin WokeWood, per capirci, un po’ serpe e un po’ Bruno Vespa— colui che , negando la regola aurea della tradizione elitaria marxista, non è identificabile nel solito luogo comune del mediocre ambizioso pronto a tutto.

Petri proprio in quegli anni “formidabili”, per fare film anarchici e meta-narrare il presente, scelse la via di evitare l’assimilazione censoria , esercitando un simbolismo interno-esterno raffinatissimo.

Nelle sue interviste incarnava il prototipo del “Comunista Così”, versione pravda edition, stratagemma essenziale per il riconoscimento borghese in essere mantenendo così la sopravvivenza culturale del suo cinema.

Alle Frattocchie (la scuola quadri del PCI), sopportavano l’artificio (solo i più svegli), basta che da contratto continuasse a separare le due anime: quella pubblica e quella più anarchica.

Per questo pensare che David Puente non sia in grado di comprendere le tesi complesse di chi lo attacca come osservava @alunni_70, è una sottovalutazione .
Le figure come il direttore di Open infatti sanno maneggiare con cura sia le critiche e le relative contromosse, e proprio per questo sono . Altrimenti non sarebbero.

Ruoli del genere sono frutto di selezione e non sono assimilabili ai comprimari “figli di “ superando così il grottesco mediatore riduttivo della commedia all’italiana e i cavalli di battaglia del “ Non siamo in un film di Alberto Sordi “.

Per capirci vanno oltre il filtro burocratico finale da “ tagliatori di teste “ tra la società del controllo e la “schiuma della terra” tanto cara a Wellington .(come chiamava i suoi soldati il generale che sconfisse Napoleone nello scontro finale).

Questi profili richiestissimi , invece assomigliano all’archetipo di quell’esecutore spietato e felicemente partecipe , esattamente la figura del prescelto dalla Macchina oppressiva che tutto vede che magistralmente raccontava Elio Petri.

Puente, da questo punto di vista, potrebbe essere benissimo “il Dottore” di “Indagine su un cittadino..”, o il Lou Castel (“il Niño” in “Quien Sabe”). Ma solo parzialmente .

È “il Direttore” di “ Sbatti il mostro in prima pagina “ il giornalista cinico e reazionario naturalmente partecipe la personificazione che davvero potrebbe rappresentarlo .

Non sono figure ignoranti né superficiali , tutt’altro : dobbiamo riconoscerne le “qualità”, infatti non è da tutti essere guardiani di soglia conto terzi .

Questi profili sono più attratti dalla logistica e alle sfaccettature del sotto e del sopra : quello che è bene oggi è male domani e viceversa .

Ovviamente anche il profitto non li attrae , quando domini un territorio anche la pecunia al massimo è consuetudine per assimilazione di classe .

Abbandoniamo dunque l’interpretazione riduttiva dell’esecutore ambizioso e di chi per indole, fa parte dei portatori di luce .
Figli prediletti delle zone d’ombra che rappresentano .

L’Algeria di Padre Ubu_di Bernard Lugan

 L’Algeria di Padre Ubu

L’Algeria manca di tutto. A parte gli idrocarburi e i datteri, non produce nulla. Nemmeno il grano per il couscous o il concentrato di pomodoro. Pertanto, al fine di evitare un’esplosione sociale, il governo ha appena legalizzato il contrabbando. Con il decreto n. 25-170 del 28 giugno 2025, gli “autoimportatori”, ovvero i “trafficanti-imprenditori”, sono ora autorizzati a importare fino a 24.000 euro di merci al mese. Certo, ma poiché è vietato prelevare dal proprio conto bancario più di 7.500 euro all’anno, il “trafficante-imprenditore” andrà quindi ad acquistare sul mercato parallelo i propri euro a un tasso doppio rispetto a quello ufficiale. All’inizio di luglio, la Banca d’Algeria quotava un euro a poco più di 150 dinari, mentre il mercato parallelo lo offriva a poco più di 270 dinari. Poi, il “trafficante-imprenditore” deposita i suoi preziosi euro su un conto corrente aperto in valuta estera, senza che la banca gli chieda la provenienza del denaro. Eppure, in questo regno di Padre Ubu che è l’Algeria, il decreto del 28 giugno 2025 impone agli autoimportatori di non essere dipendenti, commercianti o beneficiari di aiuti sociali. Conclusione: solo gli inattivi sono quindi autorizzati a diventare ufficialmente « trafficanti-importatori ». Ma come possono i disoccupati o gli inattivi giustificare il possesso di 24.000 euro in contanti? In realtà, è il riciclaggio e il riciclaggio di fondi occulti che è ora u fficialmente possibile… Infine, poiché l’Algeria deve importare tutto ciò che serve per nutrire, vestire, curare e equipaggiare la sua sfortunata popolazione, e mentre l’urgenza sarebbe quella di sostenere la diversificazione e le produzioni locali, migliaia di “trafficanti-imprenditori” finiranno per uccidere ciò che resta del commercio lecito, poiché il contrabbando ufficializzato è più redditizio dell’ impresa… In questo numero, un articolo è dedicato a un’importante scoperta sull’indigenità dei berberi. L’analisi genetica di due mummie naturali risalenti a 7000 anni fa mostra infatti che: 1) Questi proto-berberi non hanno alcuna traccia genomica sud-sahariana, cioè con le attuali popolazioni nere. 2) Sono geneticamente imparentati con l’uomo di Taforalt che viveva in Marocco circa 15.000 anni fa e il cui DNA non mostra alcuna traccia di geni sud-sahariani o associati a popolazioni del Levante, ma che, d’altra parte, aveva lievi legami con l’uomo di Neanderthal europeo. Poiché soddisfano tutti i criteri dell’ONU, ovvero l’anteriorità, l’identità distinta, l’autoidentificazione rispetto al territorio, il loro status di popolo autoctono, che è un dato scientifico evidente, è stato ulteriormente rafforzato dalla genetica. Conclusione: i berberi costituiscono effettivamente il nucleo antico della popolazione dell’Africa settentrionale. Per saperne di più, consultate il mio libro Histoire des Berbères des origines à nos jours (Storia dei berberi dalle origini ai giorni nostri). 

   ALGERIA: REGOLAMENTI DEI CONTI TRA I JANISSARI

  A seguito della spietata guerra tra i clan militari in Algeria, presto sarà necessario contare i generali che non sono passati dal carcere, dato che dieci generali maggiori, sessanta generali e ottantacinque colonnelli sono stati o sono tuttora rinchiusi nella prigione militare di Blida.

   La storia dimostra che l’Algeria è oggi fortemente influenzata dai metodi di governo ereditati dai tre secoli di colonizzazione turca. Il regime algerino è infatti frammentato dietro le quinte da una spietata guerra tra fazioni militari, simile a quelle che si combattevano prima del 1830 le componenti dell’odkak dei giannizzeri. Durante la colonizzazione turca, l’obiettivo era quello di mettere le mani sulla Reggenza per impadronirsi del bottino della pirateria e della vendita degli schiavi. Oggi è quello di controllare lo Stato per disporre delle rendite degli idrocarburi e dei traffici di ogni genere. Ritorno su questo passato turco che la storia ufficiale finge di ignorare e che, tuttavia, costituisce oggi la matrice dello Stato militare algerino. Durante il periodo dei Beylerbey (1544-1587), il potere oscillò tra la taïfa dei raïs (la confraternita dei capitani corsari) e i giannizzeri. Durante questi pochi decenni, i regolamenti di conto furono numerosi. Il beylerbey Hasssan-Corso fu così gettato vivo sui ganci delle mura di cinta del forte Bab Hazoun, e nel 1557 Mohamed Kurdogli fu sgozzato. Il periodo detto dei Pasci triennali (1587-1659) nominati per tre anni dalla Porta Ottomana fu più tranquillo perché, trattandosi di una carica acquistata, i suoi titolari, il cui obiettivo principale era quello di rimborsarsi e poi arricchirsi durante i tre anni del loro mandato, avevano come priorità quella di non crearsi nemici a livello locale . Il periodo degli Agas (1659-1671) fu quello dell’ instaurazione di una sorta di repubblica militare  con a capo l’aga dei giannizzeri eletto per due mesi, il che portò a una totale anarchia, con tutti gli Agas che morirono di morte violenta. Il periodo successivo fu quello dei Dey. Dal 1671 al 1830, data dell’arrivo dei francesi, si succedettero 29 dey, 17 dei quali furono assassinati. Tra questi Mohamed Bagdach, massacrato dalla folla il 22 marzo 1710; Deli Ibrahim, assassinato dalla sua guardia; Mohamed ben Hassan, assassinato dai reis nel 1724; Ibrahim Kutchuk, avvelenato nel 1748; Mohamed ben Bakir, ucciso nel dicembre 1754 da Ouzoun Ali, che si proclamò dey, ma fu ucciso lo stesso giorno. Baba Ali Belmouti fu avvelenato nel 1766, Mustapha fu sgozzato nel 1805, mentre Ahmed Bey fu decapitato dai giannizzeri il 7 novembre 1808. Da parte loro, Hadj Alin e Omar Agha furono strangolati, il primo il 7 aprile 1809, il secondo l’8 ottobre 1816. Oggi, dopo l’epurazione dei membri del clan del generale Gaïd Salah detto “il ghiottone”, è il turno del clan del generale Chengriha di “approfittare” della funzione. E i suoi membri bruciano le tappe perché sanno bene che, quando il loro capo sarà passato a miglior vita, toccherà a loro essere epurati dai colonnelli e dai generali che attendono con sempre maggiore impazienza il loro turno… il che provoca la furia epuratrice preventiva dei giannizzeri minacciati. Ecco perché si moltiplicano gli arresti, il più delle volte con motivi fallaci, in una continuità di guerre claniche iniziate nel 1962, subito dopo l’indipendenza, quando il giovane potere di Algeri riprese le vecchie pratiche ottomane.

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